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COMITATO EDITORIALE COMITATO SCIENTIFICO Maria Grazia Albano Paola Anzilotti Paola Binetti Alberto Calatroni Giacomo Delvecchio Antonio Gaddi Tiziana Gandini Lorenza Garrino Umberto Giani Manon Y. Khazrai Antonella Lotti Carlo Maganza Enrico Malinverno Sandra Morano Alvisa Palese Giuseppe Parisi Franca Parizzi Giovanni Renga Luciano Vettore Lucia Zannini Pietro Gallo - Presidente SIPeM Cesare Scandellari - Editor DIRETTORE RESPONSABILE Walter Martiny STAMPA M.S. Litografia – Torino DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE Centro Scientifico Editore s.r.l. via Borgone 57 10139 Torino Tel.011/38 53 656 r.a. Fax 011/38 53 244 E-mail: [email protected] http://www.cse.it Gli ABBONAMENTI e i NUMERI ARRETRATI vanno richiesti a: Centro Scientifico Editore, uff. ABBONAMENTI via Borgone 57 - 10139 Torino TUTOR è pubblicata quadrimestralmente. La Rivista sarà inviata ai Soci SIPeM in regola con la quota d’iscrizione per l’anno corrente e a coloro che abbiano già pagato l’abbonamento annuale alle seguenti condizioni: Quota annua d’iscrizione alla SIPeM comprensiva dell’abbonamento a TUTOR: 60 Euro (per Soci con meno di 40 anni: 40 Euro); soci sostenitori: 110 Euro Istituzioni: 60 Euro Solo abbonamento annuo a TUTOR: 40 Euro Numeri singoli o arretrati: 25Euro Abbonamento annuo per l’estero: 70 Euro Pagamento con assegno bancario non trasferibile intestato a: Centro Scientifico Editore s.r.l. A norma dell’art. 74 lett. C del DPR 26/10/72 n. 633 e del DM 09/04/93, il pagamento dell’IVA, assolta dall’Editore sugli abbonamenti o sui singoli numeri, è compreso nel prezzo di vendita. Pertanto non verrà in alcun caso rilasciata fattura. © Centro Scientifico Editore S.r.l. Tutti i diritti di proprietà letteraria ed artistica sono riservati compreso quello di traduzione. I manoscritti e le fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione anche parziale (fotocopie, microfilm, ecc.) senza speciale autorizzazione dell’Editore. In attesa di registrazione presso il Tribunale di Torino. S.I.Pe.M tutor Rivista della Società Italiana di Pedagogia Medica Volume 6 Numero Settembre 2006 1-2 Attualità, Proposte e Ricerche per l’Educazione nelle Scienze della Salute

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rivista SIPeM

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COMITATO EDITORIALE

COMITATO SCIENTIFICOMaria Grazia Albano

Paola Anzilotti

Paola Binetti

Alberto Calatroni

Giacomo Delvecchio

Antonio Gaddi

Tiziana Gandini

Lorenza Garrino

Umberto Giani

Manon Y. Khazrai

Antonella Lotti

Carlo Maganza

Enrico Malinverno

Sandra Morano

Alvisa Palese

Giuseppe Parisi

Franca Parizzi

Giovanni Renga

Luciano Vettore

Lucia Zannini

Pietro Gallo - Presidente SIPeM

Cesare Scandellari - Editor

DIRETTORE RESPONSABILEWalter Martiny

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DIREZIONEE AMMINISTRAZIONECentro Scientifico Editore s.r.l.via Borgone 5710139 TorinoTel. 011/38 53 656 r.a.Fax 011/38 53 244E-mail: [email protected]://www.cse.it

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S.I.Pe.M tutorRivista del la Società Ita l iana di Pedagogia Medica

Volume 6 Numero

Settembre 2006 1-2 Attualità,Proposte e Ricerche per l’Educazione nelle Scienze della Salute

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• Aggiornamenti su siti internazionali diMedical Education, reperibili in Internet

• Notizie su eventi societari• Articoli di impostazione teorica (su temi

“alti” di pedagogia, o di epistemologia, odi filosofia, o di metodologia, o di storiadell’educazione)

• Interviste a personaggi leader nellaMedical Education su temi generali ospecifici

• Articoli di “politica” della formazionesanitaria (su un tema di attualità)

• Recensioni di libri usciti recentemente eattinenti alla Medical Education

• Lettere al Direttore o “forum” didiscussione su temi formativi (inrelazione col sito Internet della Società).

TUTOR uscirà per il momento con tre fascicoli an-nuali: due con la struttura sopra descritta e un ter-zo fascicolo che stampa i principali interventi ai Con-gressi della Società.

Pianoeditoriale

TUTOR SI PROPONE DI OFFRIRE AI LETTORI ALCUNE RUBRICHEPRESENTI IN TUTTI I FASCICOLI e altre a rotazione, in relazione all’interesse di problematiche contingenti.

RUBRICHE• Editoriale• Articoli di ricerca pedagogica (selezionati

tra quelli pervenuti, sulla base dellaqualità effettiva, con la consulenza diReferees)

• Articoli di proposta per la soluzioneconcreta di problemi pedagogici rilevanti(per lo più su invito mirato, oppureselezionati dal Comitato di Redazione inbase alla qualità tra quelli pervenuti allaredazione)

• Contributi contenenti un esempioconcreto di “sussidio didattico”

• Rassegna bibliografica sintetica e conimpostazione critica sugli articoli piùinteressanti di Medical Education uscitirecentemente in altre riviste straniere(comprese quelle generalistiche) oitaliane

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tutorRivista della Società Italiana di Pedagogia Medica

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Volume 6, Numero

Set tembre 2006 1-2

Attualità,Proposte e Ricerche per l’Educazione nelle Scienze della Salute

Atti del XIII CongressoNazionale SIPeMGenova, 17-19 novembre 2005

PresentazioneIn principio era il metodoP. Binetti

I SessioneL’educazione alla salute

II SessioneLa narrazione: strumento di educazione

III SessioneL’educazione alla clinica

IV SessioneLa formazione permanentedei professionisti della salute

Lectio MagistralisCurare la medicina ovvero educareal cambiamentoL..Vettore

Poster

Sintesi conclusiva del CongressoP. Binetti

Assemblea SocialeRinnovo del Consiglio Direttivo

Premio “Vittorio Ghetti”

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Gli ABBONAMENTI e i NUMERI ARRETRATI van-no richiesti a:

Centro Scientifico EditoreUff.ABBONAMENTIvia Borgone 57 – 10139 Torino

Pagamento con assegno bancario non trasferibile in-testato a: Centro Scientifico Editore s.r.l. (a normadell’art. 74 lett. C del DPR 26/10/72 n. 633 e del DM09/04/93, il pagamento dell’IVA, assolta dall’Editoresugli abbonamenti o sui singoli numeri, è compresonel prezzo di vendita; pertanto, non verrà in alcuncaso rilasciata fattura).Tutte le informazioni sulla Società sono acquisibilisul sito web (www.pedagogiamedica.it) o presso laSegreteria SIPeM, che è aperta martedì e giovedì dal-le ore 15.00 alle 19.00 e venerdì dalle 9.00 alle 13.00.

Numero di telefono, fax e segreteria telefonica:045-532908e-mail: [email protected]

SIPeM e Centro Scientifico Editore garantiscono lamassima riservatezza dei dati personali loro fornitie la possibilità di chiederne gratuitamente la rettifi-ca o la cancellazione. Le informazioni archiviate ver-ranno utilizzate soltanto in conformità alla Legge675/96 sulla tutela dei dati personali.

La Rivista TUTOR viene inviata ai Soci SIPeM in re-gola con la quota di iscrizione per l’anno correnteo a coloro che abbiano pagato l’abbonamento an-nuale.Le condizioni di iscrizione o di abbonamento sonole seguenti:• Quota annua di iscrizione alla SIPeM comprensi-

va dell’abbonamento a TUTOR: 60 Euro (per So-ci con meno di 40 anni: 40 Euro); Soci sosteni-tori: 110 Euro.I pagamenti possono essere effettuati preferibil-mente tramite bonifico bancario sul C.C.5535464presso la UniCredit Banca – Filiale Santa Croce(CIN U; CAB 11730, ABI 02008); oppure me-diante assegno bancario intestato alla Società Ita-liana di Pedagogia Medica e inviato per posta al-l’indirizzo della Segreteria SIPeM – Via Tosca, 8 –37131 Verona.In entrambi i casi, SPEDIRE ALL’INDIRIZZO DEL-LA SEGRETERIA IL MODULO DI ISCRIZIONEche può essere scaricato e stampato dal sito webdella Società:www.pedagogiamedica.it.

• Solo abbonamento annuo a TUTOR: individuale:40 Euro; istituzioni: 60 Euro; numeri singoli o ar-retrati: 25 Euro; per l’estero: 70 Euro.

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IN PRINCIPIO ERA IL METODO...Paola Binetti

PresidenteLa Pedagogia medica è un sapere di frontiera, che confina da un lato con lascienza medica, da cui sembra ricavare i suoi obiettivi e i suoi contenuti,dall’altro con la pedagogia a cui sembra attingere per gli aspettimetodologici. In realtà le cose non sono così semplici e l’aspettometodologico della scienza della formazione assume carattere di fine, se sipensa alla educazione terapeutica, in cui la cura del paziente passaattraverso la sua stessa formazione-informazione. E d’altra parte laformazione degli adulti ricorre spesso a metodologie di lavoro usatetipicamente nel metodo clinico: prima tra tutte la discussione di casi e diproblemi. Esiste tra questi diversi saperi una fluidità e una flessibilità, checonsente uno scambio di obiettivi, di contenuti e di metodologie di lavoroe di valutazione.a L’originalità e la complessità della Pedagogia medica staproprio in questo costrutto razionale che permette di attribuire valore difine ai mezzi e valore di mezzo ai fini: pedagogia e medicina interagisconooffrendosi reciprocamente non solo gli strumenti essenziali per ilraggiungimento dei propri obiettivi, ma assumendo più propriamentemezzi e obiettivi dell’altro sapere all’interno del proprio modelloepistemico. Si potrebbe riassumere questa idea dicendo che non c’èsalute senza formazione e non c’è formazione che non migliori leproprie condizioni di salute. Lo star bene ha molto a che vedere con lapropria progettualità formativa e viceversa una formazione che nonportasse ad una maggiore e migliore qualità del benessere personale esociale sarebbe poco credibile e certamente non efficace. Questainterazione tra pedagogia e medicina può contribuire in modosignificativo ad abbattere gli steccati disciplinari, purché si crei una fusionearmonica e funzionale, senza confusione e senza indebite ingerenze. Letrasformazioni del mondo universitario in questi ultimi anni hanno creatospesso, sia nei docenti che negli studenti, una sensazione didisorientamento difficile da controllare.Ad un sistema accademico incontinua transizione, è mancato il riscontro di strumenti e di competenze

adeguate per farvi fronte. Nell’ambito sanitario, a cui la pedagogia medica siapplica in modo specifico, la formazione all’eccellenza, esige uno stile che nonpuò essere improvvisato..b Una cura ed un’assistenza qualitativamente

eccellenti rimandano ad una prevenzione rigorosa, che solo un’educazionemedica capillarmente distribuita sul territorio può garantire. La qualità

dell’educazione medica è il frutto maturo di un processo di integrazione, checomprende l’esperienza professionale, una riflessione sistematica sui molteplici

saperi, con cui si entra in contatto, e una cultura organizzativa declinata attraversoun paradigma psico-pedagogico, indispensabile per dare vita ad un progetto formativo

globale. Per questo si può parlare di un sapere esperto che sia contestualmente projectoriented e student oriented.

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abbiamo scelto un modello di lavoro forte-mente interattivo, centrato sullo scambio diidee, di opinioni e di esperienze, anche a co-sto di dover rinunciare ad una analisi più pre-cisa e puntuale di alcuni dei problemi presi inesame.La scelta del metodo: il lavoro tematico dellesessioni con piccoli gruppi di partecipanti, se-guito da una ampia sessione generale rifletteperò uno stile e una filosofia educativa. Co-loro che partecipano al convegno hanno giàletto sul sito o sulla rivista e, nel migliore deicasi, hanno studiato, i vari temi e le argomen-tazioni addotte dai proponenti. Chi ha volutoha potuto inserirsi nel dibattito attraverso ilforum, esprimendo il suo punto di vista e ar-ricchendo il forum con le sue osservazioni, lesue problematiche specifiche e le sue propo-ste concrete.Qui non assisteremo ad una lun-ga sequenza di interventi più o meno brevi,più o meno letti, più o meno accompagnati dapresentazioni di power-point… Qui, dandoper acquisita questa prima parte in una sortadi pre-conference booklet, cercheremo sostan-zialmente di interagire tra di noi, di confron-tare le diverse posizioni, puntando con one-stà intellettuale a mettere bene a fuoco i pun-ti di convergenza e i naturali punti di diver-genza. Al centro della nostra attenzione nonstaranno tanto le posizioni individuali già no-te, perché abbiamo già avuto l’opportunità diesporle, quanto le loro interfacce, il loro ar-ticolarsi nella teoria e nella prassi, così comeaccade nella quotidianità del dibattito inter-professionale, ma anche nella complessità del-le posizioni culturali in cui ognuno di noi ri-vela aspettative e prospettive.d

Alle comunicazioni frontali, ex cathedra, trop-po spesso così numerose in altri convegni, alpunto di rendere impossibile lo stesso dibat-tito, abbiamo preferito il lavoro di gruppo perottenere da tutti un ascolto attivo, capace ditradursi in interventi che ci aiutino a raggiun-gere una visione di profondità del tema o delproblema. Senza disperderci in una lunga se-

Professionisti e pazienti nella prospettivadella Pedagogia medicaLa pedagogia medica si struttura a partire dal-la convinzione profonda che la tutela della sa-lute vada perseguita sia attraverso una inten-sa opera di formazione dei professionisti coin-volti nel processo di cura, medici ma non so-lo medici, sia attraverso una serie di interventidiretti sul paziente e sulla sua famiglia. Agliuni e agli altri la pedagogia medica si rivolgesollecitandoli ad assumere le proprie respon-sabilità, in modi e forme diverse, ma semprenella piena consapevolezza che la salute è unbene individuale con ampie ricadute in tuttoil tessuto sociale, per cui va tutelato da cia-scuno e da tutti come un bene comune. Inquesta logica la Pedagogia medica assume lasua responsabilità prioritaria in una azione for-mativa che va oltre l’indispensabile lavoro diinformazione socio-sanitaria, ma punta diret-tamente alla individuazione di microskills, osoftskills come vengono chiamate da alcuniautori, con cui ognuno nel ruolo e nella con-dizione che gli sono propri impara a tutelarela propria ed altrui salute.c

In questo convegno si intrecciano le diverseanime della pedagogia medica, che assumonodi volta in volta un punto di osservazione pri-vilegiato: dalla formazione iniziale dei medicie di tutti gli altri professionisti dell’area sani-taria, alla formazione continua di quanti eser-citano già da molti anni la loro professione;dalla formazione dei docenti impegnati nellediverse attività didattiche rivolte ad un pub-blico sempre più variegato e complesso, allaformazione di quanti si dedicano ad una edu-cazione terapeutica mirata ad obiettivi alta-mente specifici; dalla formazione dei pazientia quella dei caregiver o dei volontari, che avario titolo contribuiscono a migliorare la qua-lità di vita dei malati, sia a casa che in ospe-dale. Per aiutare i partecipanti che provengo-no da ambiti culturali diversi, con esperienzeprofessionali diverse, ad individuare l’orizzon-te della pedagogia medica nella sua unitarietà

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quenza di micro-relazioni scollegate tra di lo-ro, ne abbiamo scelti pochissimi, uno per ognimezza giornata!• L’educazione terapeutica: contenuti, meto-dologie ed aspetti etici • La medicina narrativa e la narrazione comestrumento di educazione• L’educazione alla clinica, per approfondirnela natura e imparare ad insegnarla• La formazione permanente dei professioni-sti della saluteOgnuno di noi, nel rapporto con gli studentio con i pazienti ma anche nel rapporto con icolleghi, sa bene come sia necessario impara-re a comunicare in modo persuasivo, per ot-tenere liberamente da loro quel consenso chepermette di motivare alla scelta prima e al-l’azione poi. Ma non si può essere convincentise non si è convinti: convinti di ciò che si af-ferma e convinti che l’altro possa compren-dere, fino al punto di giungere a condividereuna idea, una posizione o una proposta. Nonci si può limitare ad informare, quando le no-stre convinzioni sono profondamente radica-te nel nostro stile di vita, desideriamo otte-nere almeno un certo consenso, il più con-vinto e motivato possibile. Sappiamo che peressere convincenti non basta limitarsi ad infor-mare, a dire come stanno le cose, senza tra-sferire nella informazione anche il benedettopeso delle nostre convinzioni. Un atteggia-mento troppo lucido e distaccato può esserepercepito dallo studente o dal malato comeuna sorta di fredda ed indifferente enuncia-zione teorica, a cui manca la maggiore provadi evidenza: la convinzione di chi propone latesi. Se manca convinzione o se questa con-vinzione non affiora in modo limpido, difficil-mente otterrà l’effetto sperato. Dialogare si-gnifica quindi saper esporre ciò che pensia-mo, con la giusta dose di convinzione, sapen-do rispettare le tesi e le convinzioni del no-stro interlocutore. È proprio del pedagogista,o meglio ancora dello psico-pedagogista, l’e-sperienza che il soggetto che parla e l’ogget-

to di cui parla formano spesso un tutto uni-co che si fonda sull’esperienza di vita del sog-getto, sulla sua storia personale. Non si puòcoglierne fino in fondo il senso, se non si ri-corre ad un approccio biografico, che facciada sfondo ai fatti e ai problemi in questione.Servono una medicina narrativa, un’etica nar-rativa e una pedagogia narrativa, laddove lanarrazione non è solo uno stile ed un meto-do, ma il costrutto stesso che supporta i fat-ti, ne definisce la ratio e ne illustra il senso.e

La scelta del metodo nei convegni SIPeM è unmodo concreto per rivelare l’anima stessa del-la nostra Società, in cui l’approccio persona-listico supporta sia il modello clinico che ilmodello formativo. Chi parla è per noi tantoe più importante ancora di ciò di cui parla,perché nel parlare l’uomo rivela se stesso eciò che dice traccia una linea sottile, ma inin-terrotta, per risalire alla sua identità, al suo es-sere uomo, non in senso generico, ma nellaconcretezza storica,del suo essere qui ed ora,del suo essere in un modo piuttosto che inun altro. Nel dialogo come metodo abbiamopensato che si esprimesse meglio lo spiritodella SIPeM,ma perché questo metodo ci con-sentisse di raggiungere i nostri fini senza smar-rirci, era necessario ripassare insieme alcuneregole del gioco, per giocare meglio e per rag-giungere più opportunamente gli obiettivi checi siamo proposti.

In principio era il metodo e il discorso sulmetodoMolte innovazioni sia a livello della architet-tura del sistema universitario sia a livello diprogettazione e pianificazione dei corsi di lau-rea sono scaturite dalla percezione di un cam-biamento socio-culturale a cui i vecchi mo-delli didattici non erano più in grado di ri-spondere in modo adeguato. La rapida pro-duzione delle conoscenze scientifiche, con larelativa obsolescenza che le caratterizza, il rit-mo dei cambiamenti organizzativi e socio-eco-nomici, la forte evoluzione tecnologica, hanno

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di esporre il suo punto di vista e difendere lesue ragioni, aiutandolo con domande oppor-tune a fare chiarezza anche in quelle aree incui il pensiero ha bisogno di una spinta cheviene dall’esterno per raggiungere il giusto li-vello di chiarezza.La didattica interattiva ha il suo focus nel pro-blema, nel nucleo tematico che costituisce lastruttura stessa del mandato, ma ha la sua cri-ticità nella metodologia di lavoro che si cen-tra sulla discussione e richiede delle skills dia-lettiche su cui oggi manca uno specifico trai-ning formativo. La palestra televisiva ci mostraspesso dei talk show in cui la dogmaticità del-le affermazioni, spesso prive di argomentazio-ni scientifiche, e l’invalidazione aggressiva del-le tesi dell’altro si configurano con un massi-mo di emotività ed un minimo di razionalitàe di logicità. Una volta la retorica era parteessenziale della formazione classica e ciò per-metteva alle persone di dialogare, distinguen-do tra i diversi piani comunicativi, senza confon-dere il rigore logico con il tono persuasivo esuadente. Razionalità ed emotività trovavanoentrambe uno spazio adeguato e concorre-vano al raggiungimento del fine,ma senza con-fusione di piani e senza fraintendimenti reci-proci. La classica distinzione tra i livelli di co-noscenza e i gradi di certezza aiutava tutti imembri di un forum di discussione a mante-nere una sana autocritica, prima di procede-re al contraddittorio nei confronti delle tesidegli altri.g

Si sente oggi il bisogno di ricordare alcuniaspetti che caratterizzano l’ars dialettica, sa-pendo che è l’arte di disputare in modo daconvincere, per ottenere il maggior consensopossibile, per alcuni con mezzi leciti ed illeci-ti: per fas et nefas, ma per altri nel pieno ri-spetto di una ricerca rigorosa della verità, al-meno sotto il profilo della metodologia ra-zionale. Possiamo dire che accanto all’eticadella conoscenza e all’etica della comunica-zione esiste un etica della dialettica.Tutti sap-piamo per esperienza che si può avere og-

sollecitato da parte del docente una nuovaresponsabilità, personale ed istituzionale, invi-tandolo a mettersi in discussione per acqui-sire una visione d’insieme dell’intero proces-so educativo. Il cambiamento metodologicoche l’educazione medica richiede riguarda nontanto il controllo delle singole tappe del pro-cesso educativo, quanto piuttosto la ratio chele collega.f

La formazione non è il frutto di una somma-toria di eventi isolati, ma un progetto organi-co in cui le diverse parti o si potenziano re-ciprocamente o si delegittimano, creando nic-chie di contraddittorietà che il soggetto vivecon visibile disagio. Ogni buona formazione èfrutto di una alleanza formativa che lega stret-tamente allievo e maestro come coautori diuno stesso progetto che realizzeranno conruoli diversi ma complementari.Accanto alle grandi alleanze formative, studentcentered, che possono abbracciare anche l’ar-co di una vita intera, ci sono le alleanze for-mative brevi, strettamente legate all’obiettivoche si desidera raggiungere anche attraversouna singola attività didattica,come accade quan-do si affronta lo studio di un problema: pro-blem centered.Ma perché anche queste alleanze brevi, lega-te ad un obiettivo concreto, possano risulta-re efficaci è necessario darsi delle regole delgioco; definire bene la metodologia di lavoroche si vuole utilizzare. Accordarsi sui puntichiave e restare fedeli al metodo scelto.La didattica interattiva, centrata sulla analisi ditemi e di problemi e sulla possibilità di af-frontarli e di risolverli con il contributo diquanti formano parte di un piccolo gruppo,presuppone in coloro che compongono il grup-po la capacità di esporre con chiarezza ed in-cisività il proprio punto di vista, difendendo leproprie ragioni in modo rigoroso e utilizzan-do gli argomenti necessari per ottenere at-tenzione e consenso. Ma presuppone negli in-terlocutori un interesse genuino e una buo-na capacità di ascolto per consentire all’altro

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gettivamente ragione, ma non riuscire a con-vincere l’altro, senza che l’altro voglia ricono-scere il valore delle nostre affermazioni e del-le argomentazioni con cui le sosteniamo. Avolte può essere difficile trovare le argomen-tazioni giuste per sostenere la propria posi-zione, per cui se l’avversario confuta la provache abbiamo utilizzato è come se negasse an-che il valore e l’oggettività della nostra posi-zione. Si può avere ragione,ma stare dalla par-te del torto e viceversa: avere torto ma ri-sultare del tutto convincenti… La verità og-gettiva di una proposizione e la validità dellamedesima nell’approvazione dei contendentie degli uditori possono essere cose diverse…Si può affermare che la dialettica nasce con lademocrazia ateniese del V secolo a.C., quan-do con la libertà politica si realizzano le con-dizioni che rendono possibile la libertà di pen-siero e di espressione. L’uguaglianza dei citta-dini di fronte alla legge aveva, come ricordaErodoto (V, 78), la sua realizzazione principa-le nell’uguale diritto di parola nelle discussio-ni pubbliche. Un diritto però che per Isocra-te (Aeropagitico, 20) è degenerato nella fa-coltà di dire qualsiasi cosa,nel parlare per par-lare. Non a caso ad Atene nascono sia la So-fistica che le grandi scuole di Socrate, Plato-ne ed Aristotele. Per Protagora (Teeteto, Pla-tone, 166 d sg) tutte le opinioni sono vere, inquanto è l’uomo la misura di tutte le cose eper Gorgia la dialettica consente di dimostraretutto e il contrario di tutto, cercando di bat-tere l’avversario con ogni affermazione, verao falsa che sia. Per Socrate la dialettica era in-vece l’arte della confutazione, che attraversole contraddizioni presenti nel discorso con ilsuo interlocutore, faceva emergere l’esigenzadi individuare non opinioni, più o meno bril-lantemente argomentate, ma il superamentodella soggettività, in un’ottica universalistica,come era per lui la scienza. Platone, dopo dilui, distingue tra la dialettica, che cerca di ve-rificare se una affermazione è vera o falsa (δια−λεγεσται), e il discutere per il discutere (ερι−

ζειν). Se con Socrate la dialettica si libera al-le interferenze retoriche, spesso si arresta al-la affermazione del sapere di non sapere ed èsolo con Platone che assume un vero e pro-prio carattere epistemico. Per Platone la dia-lettica non è una mera tecnica argomentativasganciata dal riferimento alla conoscenza del-la cosa, ma è il metodo rigoroso per giunge-re alla conoscenza. Nelle opere di Platone ladialettica assume in momenti diversi caratte-ristiche diverse: nel Menone (75 d) il dialogoriflette l’esigenza di sviluppare in positivo l‘ap-proccio socratico, per cui il metodo dialetti-co cerca un vero e proprio accordo con l’in-terlocutore (ομολογια); ma successivamentenella Repubblica, dove la dialettica è il sapereche i governanti debbono possedere per po-ter governare rettamente, questa è identifica-ta con il sommo grado della conoscenza. Inquesto brano Platone distingue chiaramentetra opinione (δοζα), cui concorrono l’imma-ginazione e le credenze (ειξασια e πιστισ),e scienza (επιστημη), fondata sul ragiona-mento e sull’intelligenza (διανοια e νοησισ).La dialettica in questo caso si identifica con ilpunto di massimo sviluppo del sapere, perchénon si accontenta delle ipotesi, ma attraversodi loro risale fino ad un principio primo, rap-presentato dall’idea di bene.Nelle ultime ope-re Platone definisce la dialettica come il pro-cesso di classificazione sistematica delle idee,per cui si procede dall’universale al particola-re e viceversa, senza mai cedere alla negazio-ne o alla simulazione della verità e del sape-re, come invece fanno i sofisti. In Platone il ri-gore logico della confutazione, vera e propriaanima della dialettica, non deve però esseremai disgiunto da un atteggiamento di bene-volenza nei confronti di coloro le cui idee so-no soggette a confutazione: “Solo se si con-futa in confutazioni benevole, facendo uso sen-za ostilità di domande e di risposte, brillanola comprensione e l’intelligenza intorno adogni cosa… “ (Lettera settima, 344 b)Per Aristotele logica e dialettica tendono en-

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le loro teorie. In questo modo Aristotele il-lustra cinque delle trappole principali che i so-fisti tendono ai loro interlocutori: la contrad-dizione e la confutazione, la falsità, il paradosso,l’errore linguistico, e il vuoto chiacchierare.Mostra come evitarle, individuando tredici ti-pi di sillogismi falsi, sei derivanti dalla fallaciadictionis e sette da vizi logici (fallacia extra dic-tionis).Da Cartesio in poi, ma soprattutto con Kant,si accentua l’accezione spregiativa del termi-ne dialettica, intesa come un’arte che preten-de di insegnare a discutere su tutto e che in-vece di aiutare a fare chiarezza su di un pro-blema, si risolve nella disputa tra due interlo-cutori, tesi più a mostrar di aver ragione chenon a cercare di comprendere meglio l’og-getto del dibattito.La dialettica viene assimilata alla sofistica, per-dendo di vista lo specifico contributo di Pla-tone e di Aristotele. Non è facile compren-dere come si sia potuti arrivare a questa va-lutazione così negativa della dialettica, anchese lo stesso Kant ci fornisce una possibile ipo-tesi interpretativa nella Logica (pp. 21-22) di-cendo: “La dialettica indicava in origine l’artedell’uso puro della ragione in riferimento aconcetti astratti, separati da ogni elementosensibile.Di qui i tanti elogi di quell’arte tra gli antichi.In seguito quando quei filosofi che rifiutavanodel tutto la testimonianza dei sensi cadderoinevitabilmente, con questa affermazione, inmolte sottigliezze, la dialettica degenerò nel-l’arte di affermare e contestare ogni proposi-zione. E così essa diventò un mero esercizioper i sofisti, i quali volevano raziocinare su tut-to e s’ingegnavano a dipingere la parvenza coni colori del vero e a rendere nero il bianco”.In altri termini Kant riconduce la degenera-zione della dialettica alla separazione della resextensa dalla res cogitans, alla frattura tra mon-do sensibile e mondo razionale. Oggi noi di-remmo dalla perdita dell’aggancio corretto conla realtà, con le prove della sua evidenza. Unadialettica che non sia evidence based diventa

trambe alla ricerca e alla affermazione dellaverità, la logica è la teoria che consente diidentificare i sillogismi apodittici: quelli veri edinnegabili; mentre la dialettica utilizza sillogi-smi probabili (probabilia), comunemente rite-nuti veri, anche se non è stato ancora stabili-to che siano tali. La logica appare come lascienza delle leggi che regolano il modo diprocedere del pensiero e la dialettica comel’arte del disputare, con tutta l’importanza chela disputa occupa nella ricerca della verità enella comunicazione interpersonale. La logicaavrebbe un carattere più teorico: le leggi delpensiero, mentre la dialettica avrebbe un ca-rattere eminentemente pratico, che scattaquando due persone hanno punti di vista di-versi su di un determinato argomento Ari-stotele, discostandosi da Platone, riporta ladialettica nell’ambito delle opinioni, per cuinon è scienza, ma non è neppure un pareremeramente soggettivo ed arbitrario,come nel-le degenerazioni sofistiche. È un metodo cheserve per ben discutere su ogni possibile ar-gomento, partendo da opinioni condivise daisapienti o dalla maggioranza, per demolire oper sostenere una tesi (Topici I, 1, 100 a 1-20). In questo senso non sono solo i sapien-ti a fare uso della dialettica, ma tutti gli uo-mini, perché a tutti è dato di dover difende-re o confutare una tesi. Ma non tutti sannofare della buona dialettica,perché spesso man-cano di una tecnica e di una abilità argomen-tativa specificamente sviluppata ed esercitata.Per Aristotele la dialettica, che lui distingueaccuratamente sia dalla scienza che dalla re-torica,ha tre applicazioni principali, che la ren-dono utile per allenarsi:• nella pratica della discussione con partico-lare attenzione al problema concreto, ogget-to della discussione;• nel confronto con alcuni interlocutori, perimparare a confutare le loro tesi;• in filosofia, sia perché aiuta a scorgere il ve-ro e il falso nelle diverse affermazioni e siaperché aiuta a trovare in ogni scienza queiprincipi primi che consentono di dimostrare

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autosufficiente e si espone al trionfo dell’arsloquendi piuttosto che al rispetto dei fatti. Ladialettica, priva di agganci alla esperienza rea-le, ha potuto sostenere tutto e il contrario ditutto, impoverendo le possibilità di conoscenzae di comprensione della realtà nell’uomo,sem-pre più solo davanti alla complessità del rea-le e davanti alla difficoltà di confrontarsi congli altri. h

Dialogare tra esperti di diverse discipline, fardialogare saperi diversi, confrontare punti divista diversi nel momento di dover prendereuna decisione, presuppone da parte di tutti gliattori un duplice atteggiamento di ascolto:a) verso se stesso, per riuscire ad esprimere

con chiarezza, incisività e comunicatività ilproprio punto di vista: in altri termini sa-persi spiegare, rendendo esplicito il pro-prio ragionamento interno;

b) verso l’altro, per cogliere con sufficienteagilità il suo punto di vista in se stesso ein rapporto alla propria posizione, per evi-denziarne gli spazi di identità e di diversità,ma anche i margini di mediazione e di ne-goziazione.

In un certo senso potremmo dire che la cri-si della dialettica ha una doppia radice, da unlato con la sua perdita di riferimento al realerivela l’inconsistenza del suo processo logico,che non approda più ad una conoscenza og-gettiva, e quindi condivisibile e comunicabile;dall’altro riflette una perdita sottile del suo

ancoraggio a quel principio primo, che Plato-ne identificava con il Bene e che si manifesta-va sia nel modo di trattare gli interlocutoriper confutare le loro ipotesi, sia nel fine stes-so della discussione.i Nell’ambito di un dibat-tito si può dire che le coordinate entro le qua-li una buona dialettica si muove, sono illustratenella tabella 1.Un buon comunicatore non si distrae mai daisuoi obiettivi, ma sa accantonarli durante il di-battito, mettendoli in secondo piano, per con-sentire all’altro di esprimersi con libertà. Evi-ta i inciampare in quelle conflittualità dialetti-che, in cui il vero scopo non è argomentarecorrettamente su di un tema, ma battere l’av-versario, perché non si può più parlare di in-terlocutore. In altri termini non perde mai divita che sta parlando di qualcosa (l’oggettodella discussione) con qualcuno (il soggettoprivilegiato del proprio rapporto comunicati-vo). Per questo alla chiarezza del dialogo de-ve corrispondere il rispetto per l’interlocuto-re, dal momento che la mancanza di rispettocrea una atmosfera di tale tensione da ren-dere impossibile comprendere effettivamentedi cosa si sta parlando e, analogamente, la man-canza di chiarezza nell’esposizione equivale inun certo senso alla mancanza di rispetto perchi ascolta. Riflette uno studio insufficiente,una rielaborazione inadeguata e una vera epropria forma di sottovalutazione o di svalu-tazione dell’interlocutore. l

Presentazione

TABELLA 1

• La chiarezza del linguaggio e il rigore dei concetti con cui si esprime chi parla, rigore logico

• Un vivo desiderio di convincere, andando incontro alle esigenze e alle aspettative degli altri, apertura

• La disponibilità ad accogliere spunti e proposte formulate dall’altro interlocutore, flessibilità

• La capacità di non perdere di vista i propri obiettivi, sostanziandoli con valori forti, fermezza

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tarli e per raccontarci.m Scegliere come me-todo del Convegno il confronto tematico, nelpiccolo gruppo prima e nella sessione gene-rale dopo, significa esprimere una profondaconvinzione nel valore della dialettica comestrumento di conoscenza e nell’atteggiamen-to di rispetto reciproco come momento qua-lificante della vita di ogni piccola comunitàscientifica. Non sarà però inutile ricordarequalche piccola strategia che possa aiutarci apresentare meglio il nostro punto di vista e atutelarci da eventuali modi impropri con cuiqualcuno possa presentare il suo… Non sitratta di voler avere ragione, ma di restituirealla ragione il suo ruolo orientante in un di-battito a più voci, in cui si confrontano più po-sizioni e più storie personali, più teorie e piùaspettative.Anche quando si ha ragione si habisogno della dialettica, per sostenerla e perottenere il consenso degli altri su questi pun-ti concreti. Senza dimenticare però che spes-so noi stessi non sappiamo se abbiamo ra-gione o no, spesso crediamo di averla: ci in-ganniamo e teniamo di ingannare l’altro, pun-tando più sull’ars dialettica che non sul rigo-re argomentativo. Scegliamo dei registri emo-tivi che tocchino la sensibilità dell’interlocu-tore, distraendolo dalla fallacia delle argo-mentazioni, enfatizziamo i casi singolari, pernon mettere in rilievo la loro scarsa genera-lizzabilità. Quando si incomincia a discuterespesso ognuno pensa di aver ragione, e il dub-bio si insinua poco a poco davanti agli argo-menti dell’altro e soltanto alla fine potrannoscaturire posizioni che riflettono meglio l’e-satta natura del problema. n

La discussione e il lavoro nei piccoli grup-pi come stile didatticoIl cambiamento metodologico che l’educazio-ne medica richiede riguarda non tanto il con-trollo delle singole tappe del processo edu-cativo, quanto piuttosto la ratio che le colle-ga. Lo studente spesso fatica a cogliere il di-segno complessivo del corso, per cui si diso-

La crisi della dialettica è ancora più profondanell’attuale contesto socio-culturale perchémentre tutti possono e vogliono parlare ditutto senza alcun riferimento alle competen-ze specifiche di ognuno, - e lo scenario tele-visivo ne offre continue manifestazioni -, man-ca spesso sia la chiarezza nelle regole del di-battito che la delicatezza nei modi del dibat-tito e non è infrequente veder mal-trattareda parte di una nuova sofistica sia i temi chele persone.La pedagogia medica offre una opportunità inpiù per restituire peso e valore ai due aspet-ti essenziali della dialettica, l’oggetto, di cui siparla, e il soggetto, a cui si parla:• da un lato infatti c’è la rilevanza scientificadei temi e la loro ricaduta nella vita delle per-sone: il tema della salute e della malattia, il do-lore e la sofferenza, la prevenzione e gli stilidi vita, la morte….• dall’altro la maggiore fragilità degli interlo-cutori coinvolti in questo processo, sia che sitratti di malati, che stanno sperimentando incarne viva la loro malattia, sia che si tratti digiovani in formazione, in cui l’esposizione per-sonale al dolore e alla sofferenza, si intrecciafortemente con la cultura scientifica da ac-quisire.Occorre sempre aver presente i temi di cuisi parla e ai quali occorre dedicare particola-re cura per sviscerarli e renderli comprensi-bili, ma anche le persone a cui si parla, per-ché nulla di ciò che si dice può risultare in-differente alla esperienza delle persone. Lascelta del metodo socratico, fatta come cifrastessa del XIII Convegno di pedagogia medi-ca, risponde all’obiettivo di non separare inmodo rigido oggetti e soggetti, nell’intento difare dell’esperienza personale di ognuno deipartecipanti e della relazione che si stabiliràtra di loro l’oggetto privilegiato del dibattito.In questo Convegno apprenderemo più o me-no, e quindi saremo più o meno soddisfatti diavervi partecipato, nella misura in cui sapre-mo entrare in relazione con gli altri per ascol-

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rienta e si sente solo davanti allo studio ne-cessario per affrontare l’esame. L’esame oggirappresenta quasi sempre il momento con-clusivo di un corso integrato e mostra alme-no tre dimensioni che ne aumentano la com-plessità :• quella estensiva; i saperi disciplinari in giocosono molti e non è facile definirne i confinispecifici, rispettandone la struttura epistemi-ca e il relativo core contents;• quella intensiva: ogni sapere ha un coeffi-ciente di sviluppo interno in evoluzione con-tinua, che richiede un discernimento non fa-cile tra l’essenziale e l’innovativo;• quella trasversale: anche davanti ad una do-manda apparentemente semplice, un proble-ma a basso livello di complessità, nessun sa-pere è autosufficiente. Necessita del contri-buto di altri saperi, non in modo sommato-rio, ma in modo sinergico e integrativo.La gestione di queste tre dimensioni, conte-stualizzata in modo diverso per ogni esamediverso, rimanda ad un tipo di competenza,solo recentemente adeguatamente evidenzia-ta, una oft skills che riecheggia per analogiaquanto fanno alcuni sw particolarmente evo-luti: knowledge management. Gestire la com-plessità di saperi diversi, fondendoli senzaconfonderli, e orientandoli alla soluzione diproblemi nuovi. La didattica tutoriale, centra-ta sull’analisi e la soluzione di problemi, creaun abito mentale che facilità questa agilità del-l’intelligenza, sia nel rapporto individuale conil problema che nella dinamica di gruppo. Undinamica che crea nuove risorse, ma eviden-zia anche nuove insidie, nelle quali si rifletto-no i diversi stili di apprendimento e di comu-nicazione, e i diversi stili decisionali.Ad ognu-no di questi stili corrisponde una diversa stra-tegia di identificazione dell’errore, soprattut-to dell’errore logico, e una diversa tattica per-suasiva nei confronti degli altri. Lavorare in-sieme ad un problema significa mettere allaprova non solo le proprie capacità cognitivema anche le proprie abilità dialettiche, perchéalla auspicabile collaborazione nella soluzione

del problema può fare da contrappeso unasottile competitività nella gestione della rela-zione.oSviluppare Learning Skills, compito fon-damentale dei docenti, assume una valenzaspecifica, spesso innovativa, quando affronta-no il loro ruolo con mentalità tutoriale, con-sapevoli della dimensione orientativa di ogniloro intervento. Si tratta di un compito nonfacile da tradurre in pratica, perché in realtànessuno insegna a risolvere problemi insiemeagli altri, mettendo in gioco tutte le nostre in-telligenze, compresa quella socio-emotiva equella organizzativo-gestionale. In un proces-so di cambiamento il nodo centrale del pro-blema resta quello di imparare dall’esperien-za, rinunciando alla sicurezza che possono da-re le strategie sperimentate in altre circo-stanze. Questa apertura al cambiamento, in-teriorizzato come esigenza di adattamento re-ciproco: consapevole ed intelligente, è sotto ilprofilo metodologico il nodo cruciale di que-sto convegno. Il modello proposto punta allavalorizzazione della nostra esperienza prece-dente in fatto di partecipazione a convegni…,ma punta soprattutto a sviluppare in ciascu-no di noi un tipo di apprendimento per sco-perta (discovery learning), che dia nuova si-curezza nell’affrontare i nuovi problemi che sipresentano. In questo modo si andrà raffor-zando una nuova competenza con una dupli-ce matrice:• una emotiva, che in un sereno confronto reci-proco permetterà di sviluppare quote crescentidi autostima e di sicurezza personale;• una pratica, che ci aiuterà a modificare con na-turalezza e convinzione, precedenti modi di af-frontare un problema o di svolgere una azione.Il riferimento al clima del setting, affidato atutto il gruppo, e l’invito ad esprimersi con li-bertà anche nel momento di commentare pun-ti di vista diversi dal proprio, appaiono quan-to mai opportuni per incoraggiare ogni par-tecipante a vincere eventuali timidezze, chepotrebbero indurre ad un silenzio poco gra-tificante per sé e imbarazzante per gli altri.Per comunicare le proprie idee non si deve

Presentazione

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scorso. Si può attaccare direttamente la tesi,concentrandosi sugli aspetti fondamentali op-pure analizzandone le conseguenze.Nella con-futazione diretta, si può tentare di dimostra-re che le premesse sono false (nego majorem)oppure, pur riconoscendone la fondatezza, sene negano le conseguenze (nego consequen-tiam). Nella confutazione indiretta può acca-dere qualcosa di simile, per cui pur ricono-scendo che la tesi dell’avversario è corretta,la si mette in relazione con altre affermazio-ni false, per dimostrane l’infondatezza.Altre volte si può confutare una affermazio-ne con un’altra affermazione, che in linea dimassima è corretta, ma non c’entra con quan-to è stato appena detto. Altre volte si cercadi esasperare l’altro, fino a fargli perdere la pa-zienza, confondendolo con domande inutili,provocatorie e confuse. Altre volte si defini-scono con termini negativi concetti di per séindifferenti, per attrarre su di loro un certodissenso.Questa manipolazione del linguaggioè uno degli stratagemmi più diffusi per cattu-rare il consenso del gruppo sul proprio pun-to di vista, distogliendolo da altre posizioni.Altre volte possono essere presentate opzio-ni apparentemente analoghe, che mostranoperò vantaggi e svantaggi così stridenti da nonlasciare adito a possibili dubbi, su ciò che sista suggerendo di fare.Quel che è certo è cheun gruppo di studio fondato sulla discussionedi un determinato tema è esposto al rischioconcreto di veder naufragare i suoi obiettivi,se non si ha una chiara comprensione dellestrategie dialettiche proprie e altrui.r Potremmodefinire tutto ciò la dimensione etica della di-scussione, quella per cui l’esposizione del pro-prio punto di vista tiene conto della com-plessità del problema e accetta di porsi nel-l’ottica di un altro, per vederne pregi e difet-ti e rivalutare successivamente la propria po-sizione. È comunque diverso se da un lavorodi piccolo gruppo deve emergere un docu-mento condiviso, una posizione unitaria delgruppo, una decisione operativa, oppure se

aver paura di esporsi, ma per potersi espor-re con semplicità è necessario il consenso im-plicito dei colleghi. Per questo è importantecercare di capire cosa accade davvero nelladinamica di un piccolo gruppo, dopo che unodegli interlocutori ha presentato il suo pun-to di vista.p Chiunque si sia cimentato conquesto stile didattico sa quanto possa risul-tare difficile in alcune circostanze stimolare emobilitare gli interventi dei partecipanti. Cisono moderatori che non sanno tollerare ilsilenzio,per cui non concedono al gruppo spa-zio e tempo per la riflessione e si sovrap-pongono continuamente ai possibili interven-ti, ri-appropriandosi della parola per comple-tare la propria presentazione del tema, am-pliarla, chiarirla… ma senza permettere all’al-tro di inserirsi con i suoi dubbi, le sue affer-mazioni e le sue domande. Ma ci sono anchepartecipanti che non hanno il senso del tem-po, paradigma essenziale del rispetto dell’al-tro, per cui monopolizzano il dibattito con ilracconto di esperienze che potrebbero esse-re più efficaci se sintetizzate adeguatamente.q

Ci sono partecipanti che invece di esporre lu-cidamente il proprio punto di vista, si dedica-no a smantellare quello dell’altro, attivandouna mischia dialettica, che induce il pubblicoa schierarsi con l’una o l’altra posizione, sen-za interrogarsi sulle proprie idee o opinioniin merito. La discussione entra in una fase distallo, in cui il problema originario perde i suoiconnotati essenziali e si stempera nel giocodelle relazioni e delle abilità linguistiche. L’ot-tenere il consenso del gruppo è più impor-tante dell’analisi delle ragioni che sono alla ba-se del problema. In questi casi si attiva unaazione-reazione, che induce l’altro non adesporre il suo punto di vista, ma a confutarela tesi precedente. In questo caso potrà farloconcentrandosi sul tema e mostrando che l’a-nalisi precedente non è coerente con la tesiche si sta discutendo (ad rem), oppure rivol-gendosi all’interlocutore (ad hominem) e met-tendo in risalto le contraddizioni del suo di-

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ognuno al termine del dibattito può conclu-dere nel modo in cui meglio crede. Se il pro-dotto della discussione deve essere unico econdiviso, le tensioni tra i partecipanti pos-sono essere maggiori; ma anche in questo ca-so si può cercare di arrivare a definire tuttal’area della condivisione, negoziando e me-diando, laddove è possibile, tra le diverse op-zioni. Contemporaneamente si può cercare diverificare se ci sono le condizioni per rag-gruppare le posizioni diverse e formulare unarelazione di maggioranza con delle postille diminoranza. Ogni opinione ha diritto ad averetutta la dignità che merita la persona che laesprime, ma - ovviamente - sul piano opera-tivo saranno le posizioni di maggioranza a pe-sare di più.Distinguere tra la libertà di espres-sione, conseguenza immediata e diretta dellalibertà di pensiero, e la responsabilità di assu-mere democraticamente le decisioni formu-late dalla maggioranza è uno dei segni più espli-citi della nostra cultura occidentale.

In conclusionePerché la metodologia scelta in questo con-vegno raggiunga i suoi obiettivi è necessarioche il moderatore delle diverse sessioni siachiaro nell’enunciare il problema, evidenzian-done la specificità e le possibili interfacce coni lavori degli altri gruppi. In altri termini con-viene che sappia stare nel concreto, senza per-dere di vista gli aspetti generali del tema del-la sessione. La chiarezza infatti serve a fareemergere gli aspetti problematici del tema, inmodo da stimolare un dibattito, in cui è ne-cessaria sinteticità, per lasciare a tutti il tem-po di esporre il proprio punto di vista sul-l’argomento. D’altra parte non si tratta nep-pure di raccogliere una sequenza di opinioni:una per ogni partecipante al lavoro di grup-po, ma di stimolare le interazioni anche sot-to forma di diversificazione degli approcci, del-le interpretazione e delle valutazioni.s

Per questo, durante la sessione di lavoro, sipuò provare ad includere le altre posizioni al-

l’interno della propria, oppure compiere l’o-perazione inversa e accettare di includere lapropria posizione in una di quelle che abbiamaggiori possibilità di farsi accettare. È un’ar-te che diventa sempre più necessario impa-rare, dal momento che sembra che il pro-gresso si faccia nelle riunioni e che tutto il no-stro lavoro si possa ricondurre ad una riu-nione di lavoro senza interruzioni: a casa, inospedale o in università, nelle società scienti-fiche e nel contesto sociale di cui facciamoparte: ovunque c’è sempre una riunione checi attende… Proprio per questo è indispen-sabile riuscire a formulare chiaramente la pro-pria posizione, sapendo evidenziare la sua coe-renza con gli obiettivi che si vogliono rag-giungere, con i vantaggi e gli eventuali svan-taggi. Non è facile riuscire a trovare il con-senso degli altri, senza rinunciare alle proprieidee, sapendo essere convinti e convincenti.Eppure il moderatore della sessione alla finedovrà cercare di elaborare un breve docu-mento da cui si possa evincere la linea di pen-siero su cui si è concentrato il consenso delgruppo: gli elementi che rappresentano quelcomune pensare da cui potrà successivamen-te scaturire una decisione condivisa, di cui siè disposti ad assumersi tutte le responsabi-lità. Ciò non toglie che accanto alla posizionedi maggioranza si possano e si debbano sin-tetizzare anche le eventuali posizioni di mi-noranza: quegli aspetti del dibattito sui qualinon è stato possibile trovare una convergen-za. Descriverli e quantificarli, in base al nu-mero degli aderenti, è parte integrante del gio-co democratico, in cui il presupposto che fadell’opinione maggioritaria il requisito princi-pale per il passaggio alla decisione, non esclu-de il contributo critico di un diverso sentire,che rappresenta un’efficace forma di monito-raggio dell’intero processo. Si pensi al modoin cui si può giungere ad elaborare un tratta-mento terapeutico in un team di curanti, ac-canto alla linea di massima condivisione pos-sono sussistere perplessità ed alternative, che

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servono l’arte e la letteratura.Medic, 4:109-114, 1996

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(18) Cattorini P, Leggere il corpo malato.Aspetti antropologici, epistemologici,medici, Liviana Ed, Padova, 1989

se correttamente formulate, potrebbero di-ventare essenziali a seconda dello sviluppodella malattia del soggetto. Analogamente mol-te posizioni che alla maggioranza appaionochiare in un determinato momento, possonoviceversa rivelare aspetti che inizialmente so-lo qualcuno aveva intuito e manifestato. Lacorrettezza del lavoro di gruppo può quinditornare sulle sue posizioni non appena l’evi-denza dei dati induce a muoversi diversamente,modificando il proprio comportamento. t

In questo senso la metodologia di lavoro scel-ta per questo convegno è nello stesso tem-po una sorta di gigantesca esercitazione e unoggetto di studio e di riflessione, utile per losviluppo di meta-competenze, che vanno al dilà dei contenuti proposti.

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Introduzione al temaPaola Binetti, Aldo Maldonato,

Giovanni Renga,Maria Grazia Albano

Il tema dell’Educazione alla salute è stato af-frontato nei diversi gruppi di lavoro in modo ilpiù possibile interattivo, per consentire a tuttii partecipanti di intervenire con le proprie espe-rienze specifiche, condividendole anche conquanti avevano profili professionali diversi. Losforzo di interfacciare le diverse prospettive,confrontandole e contrastandole, ha permes-so di mettere in luce le crucialità reali di que-sto tema, punto di riferimento nella quotidia-nità del proprio lavoro per molti dei parteci-panti. L’interattività e il confronto nei gruppi dilavoro sono state una scelta di metodo e dicontenuto, perché nessuna educazione tera-peutica è possibile al di fuori di un profondocoinvolgimento del paziente e di un ascolto re-ciproco, basato su rispetto ed interesse da unlato,ma anche sulla disponibilità al cambiamentodall’altro. In un progetto di educazione tera-peutica il processo di cambiamento coinvolgeoperatori e pazienti, in un sottile gioco di ruo-li in cui ognuno impara dall’altro e ognuno in-segna all’altro ciò che sa, ciò che ha vissuto eciò che ritiene utile ed efficace sulla base del-

la propria esperienza pratica.

Educazione alla salute e fattoridi rischio

Patrizia Lemma, Giovanni RengaDipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia

Università degli Studi di TorinoObiettivo perseguito dall’intervento è stato

quello di fornire alcune suggestioni, per rac-cogliere poi quelle dei partecipanti al gruppo,a

nell’intento di ricostruire un puzzle che ar-gomenti intorno ai tre quesiti proposti chevengono di seguito riportati.

È mutata la percezione del rischiocon l’evolversi della “modernità”?Progressivamente, con il procedere della mo-dernità, da fatti individuali capitati a soggettivittime del fato, i rischi diventano dati di fat-to oggettivi, concepibili come calcolabili, tan-to che la precisione delle stime ottenute in-vita a promuovere certezze e assicurare or-dine, facendo aumentare la sensazione di po-ter tenere il futuro sotto controllo. Il rischio,sempre più conosciuto, comincia ad apparirecome “maneggevole” e, un’accresciuta fiducianella possibilità di controllarlo, alimenta quel-la che è stata definita come la grande utopiaigienista che ha caratterizzato la sanità pub-blica del ventesimo secolo: l’avvento di unmondo in cui mano a mano che saremmo sta-ti in grado di descrivere i rischi li avremmoanche prevenuti. Siamo nel pieno di quella cheBauman definisce come la fase della moder-nità “solida”. La comunicazione si impone co-sì come strategia utile a ottenere il cambia-mento dei comportamenti (influenza aviaria… chi riesce si fa una opinione … agli altri ri-mane la corsa al vaccino … con il sospetto dimolti che la confusione abbia avvantaggiato qual-cuno).Con l’approssimarsi della fine del XX secolole discussioni intorno ai possibili scenari di ri-schio conseguenti alle condotte umane, so-prattutto in campo ambientale, vanno peròprogressivamente a sostituire le certezze pri-ma offerte dalle precise stime e, nella tardamodernità definita anche “modernità liquida”,crescerebbe conseguentemente la sfiducia nel-le istituzioni sociali e nelle autorità tradizio

Atti del XIII Congresso Nazionale SIPeM 2005

1a SESSIONEL’educazione alla salute

a Vengono riportati tra parentesi e in corsivo i ìcasiî discussi e lesuggestioni riportate dai partecipanti nel corso della sezione.

LAVORI DEI GRUPPI

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crescente sensazione di incertezza chiedendoagli esperti sempre di più, perché questi con-tinuamente si guadagnino la fiducia che pre-tendono di avere (Corsi pre-parto … un accessostratificato per classe sociale … donne di cultu-ra medio-alta che richiedono sempre più certez-ze – quale fra i tanti sarà il “ciuccio” migliore? –… ma come raggiungere le altre?).Viene però richiamata l’attenzione sulla natu-ra socialmente stratificata della percezione edelle reazioni all’esposizione ad un rischio: chiè socialmente avvantaggiato sarebbe continua-mente teso verso un confronto con coloro chesi dichiarano esperti e verso i quali è restio afirmare deleghe; chi invece dispone di minoririsorse materiali, ma ancor di più di quelle cul-turali, reagirebbe all’incertezza riponendo lapropria fiducia nelle opinioni di coloro che siconoscono e con i quali si condivide la cultu-ra,dando quindi nuovamente importanza al con-fronto con il proprio contesto di riferimento,in un progressivo processo di aggregazione,ana-logo a quello descritto come caratteristico del-l’epoca pre-moderna (Freire e la “coscientizza-zione” dove lo sviluppo della responsabilità perso-nale diventa l’obiettivo della comunicazione che as-sume una valenza educativa. Un sogno … figureprofessionali formate dai corsi triennali che affian-chino il medico di base in questo sforzo di proiet-tare le azioni utili a sviluppare salute fuori dai luo-ghi deputati alle cure).

L’educazione terapeutica:principi,

programmi e metodiMaria Grazia Albano

Facoltà di Scienze della Formazione,Università di Foggia

Alla sessione “L'Educazione terapeutica: prin-cipi, programmi e metodi ” ha preso parte unpubblico alquanto eterogeneo (studenti, in-fermieri, dietisti, dottorandi, docenti ecc.), conesperienze professionali e livelli di formazio-ne molto diversificati. Inoltre, per alcuni que-

nali.Tale perdita di fiducia sarebbe appunto laconseguenza dell’aver individuato la possibi-lità che dai processi decisionali nelle loro ma-ni potrebbero derivare temute sciagure cherischierebbero di compromettere lo stessofuturo dell’umanità (Treno Alta Velocità e disor-dini in Val di Susa).

Esistono regole che governano la di-vergenza tra le opinioni dei tecnicied i comportamenti dei comuni cit-tadini?Dinnanzi all’evidenza che le persone adultemostrino una grande avversione per deter-minati rischi, una relativa indifferenza verso al-tri, e al fatto che spesso i loro giudizi non sia-no in accordo con le opinioni dei tecnici, que-sti ultimi sono andati allora alla ricerca delleregole che governavano la divergenza tra leloro opinioni ed i comportamenti dei comu-ni cittadini: ognuno seguendo il proprio para-digma culturale.Da una parte troviamo infatti una cultura distampo empirista che coltiva l’aspirazione diidentificare le “strategie mentali” che i citta-dini comuni utilizzano nel formulare i loro giu-dizi sul rischio, per poter poi intervenire suqueste. Dall’altra parte le discipline “psy”, cheper buona parte si riconoscono ancora in unparadigma di tipo realista, provano invece aspiegare i meccanismi che generano i com-portamenti considerati rischiosi per la salute,attraverso teorie che si susseguono nel tem-po, nella convinzione che è su questi mecca-nismi che si dovrà agire se si vorrà ottenereil desiderato cambiamento nei comportamenti.

Quali le ricadute sul modo di conce-pire la comunicazione del rischio?Alcuni autori sostengono che, nella ormai ac-quisita consapevolezza dell’esistenza diffusa dirischi collegati ai comportamenti umani, i sog-getti adulti sarebbero spinti verso un proces-so di individualizzazione e che, posti dinnanzialla necessità di riporre la propria fiducia neisoli sistemi esperti globali, reagirebbero alla

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sto settore rappresentava un interesse moltorecente, per altri una tematica nuova ed ine-splorata a cui eventualmente accostarsi in fu-turo. È stato quindi necessario fornire delledelucidazioni iniziali sull'Educazione Terapeu-tica del Paziente (ETP) dando risposta alle do-mande del gruppo. È stata pertanto presenta-ta la definizione di Educazione Terapeutica delPaziente elaborata dall'OMS e la lista dellecompetenze che il paziente deve raggiungere,accettata dal Ministero della Sanità francese;è stata poi evidenziata la differenza tra Edu-cazione Terapeutica del Paziente ed educa-zione sanitaria, indicati i punti in comune delpercorso pedagogico dell'Educazione Tera-peutica del Paziente con quello della forma-zione del medico e le differenze sostanziali diquesti due campi di formazione (differenzemetodologiche, di contesto psicologico, so-ciale, cognitivo). Interesse particolare ha su-scitato la discussione sulle basi teoriche del-l'Educazione Terapeutica del Paziente. Inoltre,sempre fornendo risposte alle domande delgruppo, sono stati presentati esempi di pro-grammi di Educazione Terapeutica del Pazien-te messi in atto in contesti Ospedalieri in Sviz-zera e Francia e la lista delle branche medi-che (dei campi di applicazione dell' sull'Edu-cazione Terapeutica del Paziente) che si sonointeressate sinora a questo settore elaboran-do programmi per i pazienti ed effettuandoricerche in questo campo. Il gruppo ha infinecercato di dare una risposta alle domande ini-zialmente identificate per la sessione (Qualiesperienze esistono già in Italia di ETP ed inquali campi e contesti ? In quali contesi l'ETPpuò essere realizzata in Italia? Quali ostacolipossono essere superati -e con quali strate-gie- per la messa in atto di tali programmi?Come promuovere questo settore già moltosviluppato in molti altri Paesi?). Sono stati per-tanto identificati alcuni luoghi in cui programmidi sull'Educazione Terapeutica del Paziente esi-stono già in Italia all'interno di Ospedali (es.:Genova, Paderno Dugnano, Modena, Cinisel-lo Balsamo, Verona, Cuneo, Pinerolo) ed As-

sociazioni di Pazienti, per la presa in carico dipersone che soffrono di diabete, obesità, pa-zienti stomizzati, dializzati… Inoltre, secondol'opinione del gruppo, l'Educazione Terapeuti-ca del Paziente potrà svilupparsi in futuro nelnostro Paese nel contesto della Medicina Ge-nerale, delle RSA (strutture del territorio), deiDistretti Sanitari, degli ambulatori di Ospeda-li, attraverso le cure domiciliari, grazie ad ini-ziative dei Comuni. Lo sviluppo di questo cam-po richiede il superamento di alcuni ostacoligià attualmente esistenti quali: la carenza di for-mazione del personale sanitario in questo set-tore, l'attuale organizzazione sanitaria centratasugli Ospedali, la scarsa disponibilità di spazi edi tempo di cui dispone il personale sanitario.Il gruppo ha individuato infine alcune strategieda mettere in atto per superare tali ostacoli:accrescere le occasioni di formazione dei for-matori, incentivare una organizzazione sanita-ria basata sul territorio, riorganizzare, all'inter-no delle istituzioni sanitarie, il tempo da dedi-care alle cure, sostenere le associazioni dei pa-zienti nel mettere in atto programmi di Edu-cazione Terapeutica del Paziente.

L’etica dell’educazione delpaziente: sintesi conclusiva

Paola Binetti, Aldo Maldonato,Giovanni Renga, Maria Grazia

Albano

L’educazione terapeutica: un must enon un optionalNei diversi gruppi, tutti i partecipanti hannoammesso, in modo diverso, di aver imparatoa fare della buona educazione terapeutica fa-cendola: learning by doing, modulandola a se-conda delle risposte ottenute dal paziente edalla sua famiglia. L’apprendimento sul campoè stato necessario per la mancanza o comunque– fatte le debite eccezioni – per l’assoluta li-mitatezza di esperienze organiche in questocampo.

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contatto, ma altrettanto numerose sono lesfaccettature specifiche. Nell’opinione pubbli-ca spesso i due termini sono usati in modoindifferenziato, ma questo non facilità la com-prensione in profondità dei problemi con cuici si deve confrontare e le domande a cui oc-corre dare una adeguata risposta.Una seconda conclusione a cui si è giunti neigruppi è stata proprio quella di fare chiarez-za nella terminologia, per aggiungere chiarez-za alla filosofia e alla prassi della educazionein Medicina.La definizione che l’OMS ha dato nel 1998dell’educazione terapeutica: “l’educazione te-rapeutica del paziente consiste nell’aiutare ilpaziente ad acquisire e mantenere le compe-tenze che gli permettono una gestione otti-male della sua vita con la malattia”, mette l’ac-cento su due principi fondamentali: quello del-le competenze e quello della gestione otti-male della vita malgrado lo svantaggio che co-stituisce la malattia (soprattutto la malattiacronica).L’approccio concettuale dell’educazione tera-peutica si basa quindi su queste due nozioni.L’educazione terapeutica, a differenza di altreforme di educazione sanitaria, come l’educa-zione alla salute che si fonda principalmentesu azioni di sensibilizzazione e di comunica-zione, si rivolge ai pazienti ed al loro entou-rage vicino e si propone di renderli compe-tenti nel curarsi.Si tratta, quindi, di una formazione, in un cer-to senso di una scuola, fondata su una peda-gogia nella quale i pazienti, a partire dalla lo-ro esperienza e messi di fronte a nuovi sape-ri, imparano a conciliare nella quotidianità gliimperativi della loro vita e della loro malattia.Questa scuola, come tutte le scuole, si riferi-sce ad una filosofia dell’uomo, della salute edella società; veicola valori, comporta pro-grammi di diverso tipo, elabora ed applica inpermanenza una pedagogia, si avvale di edu-catori curanti specificamente formati, mette adisposizione dell’apprendimento dei pazientimetodi e mezzi didattici, realizza valutazioni.

Tutti hanno convenuto sulla necessità di rice-vere un insegnamento più strutturato,che sen-za nulla togliere alla esperienza del contattodiretto con i destinatari e dei diversi pro-grammi educativi, ne amplifichi l’efficacia, ri-ducendo il costo della propria incertezza cul-turale e pragmatica sia per i pazienti che perla popolazione in genere, quando si tratta diprogrammi di prevenzione.

Salute ed educazione come facce diun’unica medagliaOgni contributo che emergeva dal grupposembrava aprire la strada a molti altri inter-rogativi, ben al di là della possibilità di esau-rirli nel breve tempo a disposizione. E forsequesta è la prima conclusione del lavoro digruppo nel suo complesso: c’è un forte edesplicito bisogno di educazione alla salute cheabbraccia la prevenzione, si estende alla rela-zione di cura e coinvolge in modo significati-vo tutte le diverse forme di riabilitazione. Og-gi l’altro della nome della salute è Educazio-ne. Se le cose stanno così, allora si dischiu-dono nuovi orizzonti di formazione sia per imedici che per tutti gli altri professionisti del-l’ambito sanitario.Non ci si può più accontentare di consigli ge-nerici e di indicazioni sommarie: occorre im-parare a formare alla salute, interagendo conle famiglie e con i docenti nei diversi gradi del-l’istruzione,cercando di coinvolgere i vari mez-zi di comunicazione e sviluppando modelli ade-guati agli obiettivi che si vogliono raggiungere.Non basta enunciare principi, occorre attivarestrategie specifiche, mirate ed efficaci.

Educazione terapeutica ed educazio-ne alla salute: specificità e punti dicontatto In tutti i gruppi si è cercato di fare chiarezzasu due punti: educazione terapeutica ed edu-cazione alla salute. I due concetti spesso si in-trecciano per la stessa tipologia di valori chesono in gioco e per le metodologie didatti-che a cui ricorrono. Numerosi sono i punti di

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L’educazione alla salute non si im-provvisa…La terza conclusione che è scaturita dal lavo-ro dei sottogruppi è stata quella relativa allacompetenza necessaria per affrontare questocompito, tenendo conto della molteplicità deiruoli in gioco e della necessità di armonizzarliadeguatamente. L’educazione alla salute in al-cuni campi è da tempo una vera e propriascienza, capace di mobilizzare un sapere spe-cifico, con metodologie proprie, testi di rife-rimento, materiali didattici ad hoc, criteri divalutazione precisi e puntuali ecc. La terapiadel diabete giovanile, ad esempio, oggi sareb-be improponibile senza una interfaccia didat-tica e psico-pedagogica adeguata. Non a casogli interventi in questo campo sono diventatiun vero e proprio modello di riferimento an-che per altri ambiti in cui non ci potrebberoessere miglioramenti sensibili se venisse me-no l’intervento educativo.Il piano di studi dei futuri medici praticamen-te non contempla crediti formativi dedicati aquesto modello terapeutico di grande effica-cia, analogamente a quanto accade nei piani distudi di molti altri corsi di laurea delle pro-fessioni sanitarie. Didattica e pedagogia sonodegli optional, che si ritrovano solo in alcunefacoltà di medicina particolarmente attente aqueste problematiche. Dovrebbero invece di-ventare un ingrediente stabile dei piani di stu-dio di tutti i corsi di laurea, a cominciare dal-le rispettive triennali e senza bisogno di do-ver giungere alla laurea magistrale o ad unpossibile master in questo campo.In molti interventi dei partecipanti è affioratala consapevolezza di aver imparato a gestirequesti aspetti della formazione alla salute ri-flettendo sul modo in cui veniva impartita lo-ro: dalle lezioni ai seminari; dai gruppi di stu-dio alle piccole ricerche sul campo. Ora se èvero che ad insegnare si impara… imparan-do, allora è necessario che il modello didatti-co proposto dalle facoltà ai propri iscritti siispiri sempre più profondamente a questoobiettivo e faccia propri i parametri che clas-

sicamente definiscono il modello SIPeM. Unadidattica per problemi, interattiva e interes-sante, una definizione esplicita di obiettivi estrategie, un sistema di valutazione centratosu parametri chiari e significativi, misurabili emonitorabili. Dei materiali didattici accatti-vanti, capaci di sollecitare il gusto di accoglierliper migliorarli, per adattarli e per tagliarli apropria misura. Nulla di anonimo e precosti-tuito, ma sempre in progress… Uno stile di-dattico capace di sostenere continuamentel’autostima dell’allievo, per trasferirgli quotecrescenti di sicurezza nei processi decisiona-li, riducendo lo stress da incertezza e ampli-ficando la capacità di poter gestire con sere-nità anche gli inevitabili eventi critici.In definitiva la didattica utilizzata con gli stu-denti nella facoltà di medicina è una sorta diparadigma dell’educazione alla salute rivolta aipazienti reali o virtuali, deve soddisfare alla du-plice esigenza di fornire elementi di cono-scenza chiari e comprensibili per poter acce-dere ai livelli decisionali essenziali alla solu-zione dei problemi.

L’educazione alla salute ha un carat-tere fortemente eticoLa quarta conclusione emersa dai vari lavoridi gruppo mette in evidenza come, accanto al-l’analisi sul come educare alla salute, si vadavia via configurando la dimensione etica diquesta improcrastinabile responsabilità.Ci so-no tutte le implicazioni epidemiologiche di unaresponsabilità che va assunta in termini di sa-lute pubblica e che fanno della prevenzioneun obbligo da condividere a livelli culturali, so-cio-politici ed economico-organizzativi. La ne-cessità della prevenzione, valutata in terminidi tutela e garanzia della salute pubblica, ri-chiede una capacità di dialogo ai massimi si-stemi della struttura sociale, al punto che og-gi si parla di bio-politica,proprio in riferimentoalle nuove forme di tutela della salute. Moltedelle questioni bio-etiche, che presentano ri-svolti di natura bio-giuridica, impongono unripensamento delle dinamiche comunicative

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cura possono essere diversi nell’uno e nel-l’altro, purché siano sempre rispondenti al bi-sogno effettivo delle persone.

Leadership e modelli integrati di edu-cazione terapeuticaQuinta conclusione: le funzioni dei professio-nisti della salute non si possono limitare allacura delle persone malate. Per loro naturadebbono estendersi alla tutela della salute del-le persone sane, ma proprio per questo de-vono assumere una visione il più ampia pos-sibile di ciò che oggi possiamo e dobbiamo in-tendere come Salute. Educare i soggetti al-l'assunzione di stili di vita "virtuosi", che crei-no benessere e non inducano malattia, vuoldire metterli in condizione di fare un proget-to per il proprio futuro a medio-lungo termi-ne. Si tratta di un approccio pienamente ri-spettoso della libertà di scelta dell'interlocu-tore, a cui cerca di far scoprire come ogni for-ma di libertà personale abbia la sua dimen-sione sociale, pur senza condizionarlo. Il su-peramento di una logica individualistica nellagestione della propria salute non è sempre fa-cile né scontato nell’attuale quadro culturalené richiede una grande competenza. Ma ciòche sul piano filosofico può essere argomen-tato con maggiore difficoltà, appare decisa-mente più chiaro quando si affronta restandonel campo della salute personale e collettiva.La complessità del compito richiede uno sfor-zo sinergico in cui le competenze personali siintegrano con quelle degli altri membri delteam dei curanti, in cui tutti svolgono con sen-so di responsabilità la propria leadership te-rapeutica.Tra loro e il paziente deve nascereun’alleanza profonda, in cui il prendersi curainveste tutto l’uomo: il suo corpo sano o ma-lato, la sua emotività felice o ferita e la sua in-telligenza,chiamata a capire con chiarezza quan-to gli giova e cosa gli nuoce dolorosamente.Questa leadership va esercitata in modo au-torevole, senza timore ad entrare nel sensodelle scelte dell’altro, perché è il fine, il moti-vo per cui si interviene, ciò che dà senso al-

su questi temi. Non servono allarmismi più omeno terrorizzanti, ma una vera e propriacampagna di educazione alla salute, che ren-da partecipi degli obiettivi, dei costi della tra-sgressione e delle conseguenze che ne deri-vano. I moltiplicatori di efficaci di questa va-sta operazione culturale sono gli operatori sa-nitari in primo luogo, ma non in esclusiva.C’è tutto un aspetto che riguarda gli stili divita e che richiede un diverso livello di coin-volgimento soprattutto da parte delle fami-glie e della scuola. C’è un’etica della forma-zione che non può essere elusa e non puòneppure essere scaricata solo sul versante me-dico-sanitario. Lo stile di vita dei bambini po-ne infatti interrogativi inquietanti sul grandeproblema dell’obesità e delle sue conseguen-ze nel versante psicologico oltre che cardio-vascolare. Lo stile di vita degli adolescenti po-ne delle ipoteche fortissime sulla loro salute,quando coinvolge problematiche come la tos-sicofilia prima e la tossico-dipendenza poi, lemalattie a trasmissione sessuale, gli incidentilegati all’imprudenza in motorino o durantealcune attività sportive…. Le problematichedi tutela della salute in chiave educativa si so-no andate progressivamente intrecciando congli aspetti etico-antropologici da un lato e conquelli economico-organizzativi dall’altro. In ognigruppo si è andata progressivamente affer-mando la convinzione che etica e formazionecostituiscano le premesse indispensabili peruna corretta educazione alla salute. E l’edu-cazione alla salute è a sua volta la premessaper un’efficace educazione terapeutica.La pre-cede, l’accompagna e ne costituisce il natura-le epilogo.Tutti i lavori di gruppo hanno mes-so in risalto come ogni persona vada solleci-tata a prendersi cura di sé (self care), primaancora che degli altri e quindi individua nellaeducazione alla salute un momento privile-giato della libertà con cui ognuno può e de-ve assumersi la responsabilità delle sue deci-sioni. La relazione di cura riconosce nella re-ciprocità di una relazione asimmetrica la suaintima struttura etica, gesti e modalità della

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le azioni che si compiono. E in una chiave dieducazione terapeutica il non intervento nonavrebbe senso, al punto di potersi configura-re anche come una sorta di abbandono “for-mativo”. Nella relazione di cura non è in gio-co solo uno scambio asimmetrico di compe-tenze professionali, ma l’incontro di due sog-gettività che entrano in una dinamica inter-personale che risponde alla doppia logica diun progetto di cura e di un progetto educa-tivo. L’operatore sanitario, o meglio ancora ilteam degli operatori coinvolti, svolge conte-stualmente il duplice ruolo di chi insegna e dichi cura. Insegnare a curare e curare chi ap-prende sono uno dei volti nuovi della medi-cina, che pone nuovi obiettivi alla formazionedegli operatori. La relazione di cura, infatti, peressere efficace presuppone qualcosa che im-pegna la persona in prima persona, il suo far-si cura, e in questo caso il suo farsi maestro,non solo l’offerta di una prestazione o di unainformazione.

Educazione terapeutica e senso del-la malattiaSesta conclusione: dare senso alla malattia.Nella malattia il paziente sperimenta spessola nostalgia della sua dimensione soggettiva,soprattutto quando attraverso gli atteggiamentidei professionisti che si prendono cura di lui,ha la sensazione di averla smarrita o che altristiano deliberatamente ignorandola. Nell’edu-cazione terapeutica è possibile esplorare quelmisterioso luogo interiore in cui l’uomo in-contra la sua malattia e cerca la risposta a in-terrogativi esistenziali che vanno al di là del-l’aspetto meramente nosografico del cosa ho,per scendere nella profondità del chi sono edel perché soffro. Nel momento in cui sia ilmedico che il malato esprimono il loro biso-gno di andare oltre le difficoltà che la malat-tia presenta nella sua attuazione si crea l’op-portunità di esplorare una nuova dimensionedelle loro esistenze e si dà la possibilità dinuovi incontri interpersonali. Nuovi nello spi-rito e nelle modalità, anche se coinvolgono le

persone di sempre. Perché un progetto di edu-cazione terapeutica decolli è necessario che siaffermi con energia e con vigore la volontà divivere del paziente. Le paure e le ansie vannotenute sotto controllo, la quota di ottimismodeve crescere a scapito delle tentazioni pessi-mistiche, la qualità di vita da sempre desidera-ta deve assumere nuove sfumature e nuove ca-pacità di accettazione. L’educazione terapeuti-ca per essere efficace deve fondarsi su di unrinnovato amore alla vita, quali che siano le suedifficoltà. Il paziente deve modificare un certoapproccio, che spesso oscilla tra un entusiasmoingenuo e un timore drammaticamente espres-so dal rischio di vedersi ridotto a mera ogget-tualità. Occorre combattere la paura di perde-re il proprio ruolo e le prospettive, che gli so-no proprie. Quando si insegnano i fondamen-ti dell’educazione terapeutica ai futuri profes-sionisti dell’area sanitaria si riesce a ripropor-re agli studenti una idea della medicina diver-sa dal consueto, una storia di uomini più chedi malattie. Si fa della medicina un’arte narra-tiva che non perde mai di vista il senso dellasua narrazione, la dimensione catartica che vuo-le mettere in primo piano grazie alla sua fon-dazione psico-pedagogica e non meramentebiologica. L’influsso delle scienze sperimenta-li, continuamente rafforzato dai risultati dellaricerca scientifica,ha indotto a distinguere nel-l’uomo gli aspetti biologici, da quelli più lega-ti alla sfera dei suoi valori, dei suoi affetti edelle sue convinzioni. Per Ricoeur l’uomo ètale perché appartiene al tempo stesso al re-gime della causalità e a quello della motiva-zione, alla natura e alla cultura, al bios e al lo-gos…. Negli ultimi decenni per comprenderequesta doppia e contestuale appartenenza siè ricorsi ad un doppio principio di causalità,che ha permesso di inquadrare determinatiaspetti secondo le leggi che governano la realtàbiofisica, mentre per altri aspetti ha richiestoun riferimento al mondo dei significati e almodo in cui ciascuno interpreta se stesso eil mondo che lo circonda. Questo modellodualistico però è sempre messo in crisi quan-

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paziente e didattica medica, quella che si oc-cupa dell’educazione dello studente. Non èstato facile sottrarsi alla tentazione di fare unconfronto tra la scuola di educazione tera-peutica e quella di medicina. In entrambi i ca-si si tratta di educazione medica e la SIPeMtra i suoi obiettivi istituzionali intende farsi ca-rico di entrambe. Formare i medici o forma-re i pazienti a diventare curanti di se stessipresenta una serie di tappe in comune, chemeritano attenzione anche se occorre evita-re il rischio della banalizzazione. Nella forma-zione dei medici, come in quella dei pazienti,ci si riferisce ad un quadro concettuale in cuipartendo dall’identificazione dei bisogni si giun-ge a una diagnosi educativa; alla diagnosi edu-cativa segue la negoziazione degli obiettivi diapprendimento legati alle competenze da ac-quisire; solo una volta che ci sia stato un im-pegno effettivo per l’apprendimento di cono-scenze, abilità e tecniche corrispondenti, saràpossibile procedere a una adeguata valutazio-ne di ciò che si sa, delle capacità di ragiona-mento acquisite, dei gesti di cura e delle tec-niche necessarie, dei cambiamenti delle cre-denze di salute e della qualità di vita. Sono tut-ti i principi di una pedagogia per obiettivi cheprende in prestito chi si occupa di pedagogiamedica si tratta di una “nuova frontiera”, dicui la SIPeM accetta ben volentieri di porsicome punto di riferimento per analisi più ap-profondite nei diversi ambiti esaminati.Sono parole chiave quelle che definiscono ter-minologicamente l’educazione presa in esame:educazione terapeutica, educazione alla salu-te ed educazione medica. Ma vanno conside-rate anche come parole chiave in questo grup-po di lavoro quelle che definiscono l’etica del-l’educazione e la filosofia dell’educazione; ladidattica e la psicopedagogia, perché aiutanoa comprendere la tipologia dei saperi coin-volti e l’urgente necessità di fare sintesi dellaloro complessità per elaborare un modello ef-ficace e convincente sia sul piano teorico-cul-turale che nella prassi ordinaria.

do si assume la prospettiva della educazioneterapeutica in cui la motivazione a guarire at-traverso il circuito virtuoso della formazionee del self care impone di superare sia la dia-lettica mente-corpo, che quella medico-mala-to. In un buon rapporto di educazione tera-peutica c’è il tentativo di considerare medicoe paziente, allievo e maestro come membri diun unico sistema: una diade, che si costituiscenel momento in cui alla richiesta di aiuto del-l’uno corrisponde la disponibilità dell’altro adassumersi la responsabilità della cura. Il cura-re e l’educare sono attività che impegnanomedico e paziente in un’atmosfera da cui emer-ge chiaramente la visione della vita e dei va-lori che la supportano. Per guarire e per in-segnare a guarire occorre confrontarsi anchesu questo piano valoriale: senza mistificazionie senza manipolazioni, ma interrogandosi re-ciprocamente sul valore della vita anche incondizioni difficili e non prevedibili. Spesso almedico si richiede una rinnovata capacità dicompassione e di solidarietà, senza perdere divista però che la condizione dell’uomo am-malato accanto a sentimenti di compassionee di propensione alla cura, può suscitare an-che sentimenti naturali di ambivalenza, talvol-ta addirittura di rifiuto, conseguenti alla situa-zione particolare del malato. Davanti a un pa-ziente che non comprende e di cui non con-divide i valori, il medico può sentirsi tentatodi fare marcia indietro e di liquidare la situa-zione con una “semplice” somministrazione difarmaci, rinunciando ad esprimere quel rin-novato amore alla vita che fondamenta l’agi-re medico nelle sue diverse tappe e modalitàdi sviluppo. Amare la vita significa riuscire acoglierne il senso e a tradurne il significato al-l’altro, sapendo che senza questo punto di in-nesco è ben difficile ottenere una adeguatacompliance.

Educazione del paziente ed educa-zione dei professionistiUn’ultima conclusione emersa nei gruppi dilavoro riguarda il rapporto tra educazione del

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tenti dell’esperienza. In particolare, lo sforzorichiesto ai partecipanti è stato quello di espli-citare gli obiettivi educativi, siano stati essi im-pliciti o espliciti, che sottendevano l’utilizzo diarte, musica e letteratura, con particolare ri-guardo alle loro connessioni con gli intenti piùgenerali del curriculum. Si riportano i risulta-ti del lavoro di riflessione del gruppo sulla ba-se degli esempi e dei racconti riportati.Espressione artistica può essere utilizzata co-me strumento nell’ambito di corsi aventi obiet-tivi didattici anche molto lontani dall’educa-zione della capacità d’ascolto.Un esempio con-creto è stato proposto da una partecipanteche ha illustrato la propria esperienza in afri-ca nell’attuare un corso per educatori locali.Uno degli obiettivi del corso è la capacità difare diagnosi di handicap. Per definire megliol’oggetto della diagnosi a persone di culturamolto lontana da quella dei docenti è statoproposto ai partecipanti di presentare una for-ma d’arte (canzone, musica, pittura) sull’han-dicap. Principalmente però i partecipanti han-no identificato l’espressione artistica comespunto di lavoro, strumento, per riflettere edentrare in contatto con le emozioni dei pro-fessionisti della salute. È stato osservato chelavorare sulle emozioni è un’operazione im-pegnativa per la quale può essere necessariopassare da un setting pedagogico ad un set-ting psicologico, per la costruzione del qualedeve essere presente uno psicoterapeuta. Siaccenna a un’esperienza di psicodramma peri docenti al fine di lavorare sulle emozioni.Sono stati poi sottolineati i problemi di im-plementazione di iniziative che stimolino leemozioni e permettano un lavoro sui vissutidei professionisti. Innanzitutto problemi orga-nizzativi, dati dalla difficoltà di una progettua-lità e di una continuità nel tempo, ma special-mente di un’uniformità, in quanto la natura delcorso e i risultati ottenuti dipendono squisi-tamente dalla personalità e dai metodi didat-tici utilizzati dal docente.Tale fenomeno è mas-sivo nei corsi di questo tipo. Ma alla base deiproblemi organizzativi esistono dei problemi

Introduzione al temaFranca ParizziPediatra, Monza

Il crescente interesse per la narrazione in Me-dicina è dimostrato dalle numerose pubblica-zioni sul tema, monografie e spazi dedicati inprestigiose riviste mediche, e da una variega-ta serie di iniziative realizzate in diversi am-biti della formazione in molte sedi nel nostroPaese. Si tratta nella maggior parte dei casi diesperienze recenti, nate dalla percezione del-la necessità di sensibilizzare i discenti ad unapproccio “umano” al paziente, spesso tra-scurato sia nei curricula accademici che nelletematiche della formazione permanente. Lanecessità di un confronto di esperienze e diun approfondimento sui diversi aspetti dellaMedicina Narrativa negli ambiti della forma-zione ha animato la sessione.

Arte, musica e letteratura comestrumenti per educare lasensibilità e la capacità di

ascolto dei pazienti

Giuseppe ParisiMedico do Medicina Generale,Trento

Il gruppo era formato da studenti di profes-sioni sanitarie, pedagogisti e docenti nell’am-bito di scuole di professioni sanitarie.Dopo una breve introduzione teorica e me-todologica, è stato chiesto ai partecipanti diraccontare le proprie esperienze di insegna-mento o apprendimento nell’ambito del temadel gruppo, con particolare attenzione agli in-

2a SESSIONELa narrazione: strumento di

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legati all’intento implicito generale delle pro-fessioni sanitarie, che al di là delle proclama-zioni di principio, tende a formare professio-nisti che hanno come valore la neutralità af-fettiva e il distacco emotivo. Inseriti in questodispositivo, i docenti stessi seguono questoimperativo culturale e quindi privilegiano latrasmissione di contenuti piuttosto che uti-lizzare tali contenuti per entrare in contattocon le proprie emozioni e con quelle dei di-scenti. Viene presentato il caso dell’insegna-mento della storia della medicina che in unasede didattica è mero argomento di cono-scenza mnemonica e non stimolo di riflessio-ne sulle professioni sanitarie al fine della crea-zione del sé professionale.Ci si pone il problema se inserire tali stimoliall’inizio o alla fine del corso. Infine, si pren-dono in esame anche i problemi degli stessistudenti che nonostante la ricchezza emotivasempre presente denunciano la difficoltà adentrare in contatto con essa, a “sostare” nelmondo interno, ad essere consapevoli dellapropria ricchezza interiore, utilizzando taleconsapevolezza nella professione.Alla base c’èpaura delle proprie reazioni e poca conoscenzadegli affetti forti e nuovi che il contatto conla sofferenza genera in modo inaspettato; diconseguenza anche il confronto di gruppo vie-ne evitato.Un altro problema: non tutti gli studenti so-no attirati dalla stessa espressione artistica econviene quindi non proporre un corso ob-bligatorio bensì un ventaglio di proposte. Perquanto riguarda l’organizzazione generale delcurriculum, il gruppo ha convenuto che è inu-tile proporre corsi accattivanti una tantum matentare in tutti i corsi l’accordo sistematicodi due anime: quella tecnica da una parte equella umanistica dall’altra. La consapevolezzadi tale tensione dovrebbe permeare tutti gliinsegnamenti, e ciò implica l’importanza di unadiscussione nell’ambito del corpo insegnantesu queste tematiche.

La narrazione delle esperienzedegli operatori sanitari come

strumento di riflessionee formazione

Lorenza GarrinoCorso di Laurea per infermieri;Università degli Sudi di Torino

“Credo che la nostra vita passata continui adesserci, custodita fin nei minimi dettagli,

e che non si dimentichi niente, che tutto quelloche abbiamo percepito, pensato voluto,

a partire dal risveglio della nostra coscienza,persista all’infinito.”

(H. Bergson, Opere 1889-1896)

Alcuni spunti di partenza….La narrazione autobiografica è il racconto cheuna persona decide di fare sulla vita che havissuto, descrivendo nel modo più onesto ecompleto possibile ciò che ricorda di essa eciò che vuol far sapere agli altri riguardo adessa, di solito con l’aiuto di un’intervista con-dotta da un’altra persona (R.Atkinson 1998).

Quali sono le caratteristiche del pen-siero narrativo?Il pensiero narrativo è intenzionale e idiogra-fico, molto legato alla situazione particolareda cui si sviluppa. Possiede una diacronicitànarrativa o sequenzialità. Il riferimento è sem-pre a eventi particolari e concreti in cui è pre-sente la dimensione dell’intenzionalità.“I nes-si che noi costruiamo tra i nostri diversi sa-peri sono puramente soggettivi e esperien-ziali. Sono tracce del nostro esistere e di co-me abbiamo lasciato la nostra impronta nelmondo nello stesso tempo che il mondo la-sciava le sue impronte su di noi. Inevitabil-mente, che lo vogliamo o no, noi mettiamo inrelazione, creiamo, conosciamo, narriamo…come solo noi siamo capaci a fare” (D. Fabbri1998).Quale è il ruolo della memoria? La memoriaè custode di ogni connessione tra passato e

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razione nei corsi di laurea in infermieristicasotto forma di “Laboratorio delle emozioni”condotto al primo anno di corso e come at-tività nel triennio legata alla rielaborazione del-le esperienze di tirocinio come debriefing.Un uso significativo del dispositivo narrativoè stato riportato nei corsi per docenti e ani-matori della formazione continua aziendale,nei corsi di Cure Palliative, nella formazionedei docenti e istruttori per l’Emergenza e Ur-genza e nei corsi per tutori.Sono state segnalate delle esperienze signifi-cative anche all’interno dei corsi di laurea inostetricia riguardanti il percorso nascita e co-me attività di formazione continua in tale am-bito.Nella formazione per Operatori socio-sanita-ri lo strumento della narrazione si è rivelatoparticolarmente utile per favorire l’elabora-zione delle esperienze dei corsisti sia di tipopersonale che di tirocinio. Nel percorso for-mativo per educatori la narrazione viene uti-lizzata in particolare per far emergere le pro-blematiche cui l’educatore va quotidianamen-te incontro in caso di disabilità grave e peraiutare a riflettere sulle difficoltà del lavoroeducativo in tale ambito. In un reparto di neo-natologia la narrazione è stata utilizzata dalgruppo professionale per rivisitare la storia diuna bambina da loro assistita ed il percorsodella famiglia.Anche l’ascolto delle narrazionidei pazienti e delle famiglie hanno consentitodi attivare la riflessione del gruppo sul lavorodi cura. Sono state presentate anche espe-rienze personali riguardanti ambiti differen-ziati quali corsi di Pedagogia dei genitori, grup-pi Balint e corsi legati al Movimento di spiri-tualità coniugale. La finalità dell’utilizzo dellanarrazione è quello di promuovere nei corsi-sti un incontro con gli elementi latenti dellaloro storia educativa e del loro lavoro di cu-ra e realizzare nel gruppo un processo con-diviso di lettura, di decostruzione e riflessio-ne rispetto ai contenuti emersi. La narrazio-ne consente di sviluppare nuovi atteggiamen-ti nei confronti di se stessi e delle funzioni

futuro, governa il presente conscio e incon-scio. La memoria consente di riconoscere edi scoprire ciò che non potremmo svelare, inmancanza dei dati e delle percezioni che ge-nerano le inferenze necessarie all'immagina-zione. Evocare è un invito a guardare con oc-chi diversi il futuro, ripensare e riflettere sul-l'oggi comparando ed individuando le profon-de differenze; rivivere o ricordare è ricollo-care nel giusto posto (giusto per noi) le azio-ni, le decisioni, le scelte trascorse.

Perchè è importante la narrazionecome strumento di apprendimento?La rievocazione dell’esperienza consente dientrare nelle situazioni per capire dal di den-tro i processi e le dinamiche, senza classifica-re ed emettere diagnosi dall'esterno, in basead un sapere predefinito. La lettura e l’inter-pretazione delle narrazioni dei soggetti in rap-porto alla loro realtà ed esperienza è dunquevalorizzata nella formazione dall’attuale en-fasi sulla dimensione del learning, accanto aquella del teaching. Nelle attività formative lanarrazione non è solo un fatto individuale, maspesso il racconto del singolo viene condivi-so, analizzato ed interpretato nel gruppo. Il te-sto è un ponte che unisce narratore ad ascol-tatore su cui transita esperienza che si offreall'osservazione, alla condivisione, all'elabora-zione e all'interpretazione propria e altrui(Franza 1997).

1.In quale fase della formazione de-gli operatori sanitari (di base, spe-cialistica o permanente) è possibi-le/opportuno utilizzare lo strumen-to della narrazione? E con quali obiet-tivi?Dai contributi emersi nel corso dell’incontrosi sono evidenziate esperienze di utilizzo del-la narrazione in differenti ambiti nella forma-zione delle professioni sanitarie e sociali, siaper l’analisi delle esperienze educative e for-mative, sia del lavoro assistenziale e di cura. Ipartecipanti hanno riportato l’uso della nar-

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svolte, imparando a riflettere sui modi con cuisi apprende e si vive la relazione con il mala-to, le esperienze di malattia e di morte dei pa-zienti. La narrazione aiuta a sviluppare la ca-pacità di ascolto che tanta rilevanza ha nel la-voro assistenziale e di cura, nei gruppi di la-voro e con l’utenza.È importante però utilizzare il dispositivo nar-rativo con una progettualità accurata ed unadefinizione degli obiettivi di apprendimento fi-nalizzati ai bisogni formativi dei soggetti in for-mazione. È stato segnalato il possibile utilizzodella narrazione all’interno del Portfoglio nel-la sezione che comprende aspetti biografici epersonali relativi al “chi sono“ ed al “che co-sa ha fatto” per la ricostruzione e presenta-zione della propria storia professionale, utileanche a condurre il proprio bilancio di com-petenze. In sintesi il narrare risulta essere unostrumento in ambito formativo, una modalitàdi interazione tra utente e operatori, uno spa-zio per la propria storia di vita, come auto-biografia e cura di sé.

2. Quando e come raccogliere le nar-razioni? In che modo lavorare sullenarrazioni attivando la riflessione?Dal contributo dei partecipanti è emerso co-me il materiale narrativo venga raccolto at-traverso mandati individuali in cui si chiede adesempio di ricordare un episodio significativorispetto all’ambito oggetto di studio (tiroci-nio, lavoro clinico e assistenziale, esperienzedi formazione/educazione in qualità di forma-tori o formandi), esperienze che si ricordanovolentieri o meno, alle quali si correla un vis-suto positivo e negativo. I mandati sono pen-sati e studiati in rapporto agli obiettivi del cor-so e possono essere orientati ad esplorareaspetti riguardanti l’esperienza personale oprofessionale. I diari di tipo riflessivo posso-no essere utilizzati per esperienze più conti-nuative, quali i tirocini. È stato segnalato an-che l’utilizzo di metafore (la luce, la guida, ilfaro…) all’interno del sopracitato laboratorio

delle emozioni. La metodologia della narra-zione nei corsi di formazione viene anche uti-lizzata nella prima sessione dopo l’aperturadel corso. I partecipanti vengono invitati a nar-rare individualmente un episodio relativo allapropria storia personale di formazione, dovel’apprendimento è stato significativo oppurevi sono state difficoltà.La seconda fase prevede, attraverso la lettu-ra degli episodi personali, confrontarsi nel grup-po sull'esperienza vissuta e produrre una sin-tesi che evidenzi gli aspetti che hanno favori-to o ostacolato l’apprendimento emersi neiracconti personali. In questo caso l’utilizzo diquesta metodologia in fase di costituzione delgruppo consente ai corsisti di iniziare a co-noscersi confrontandosi sulle proprie espe-rienze.Viene riportato anche l’utilizzo di griglie peranalizzare individualmente prima ed in grup-po successivamente i testi. Il dispositivo nar-rativo consente di esplorare prima a livello in-dividuale e poi in gruppo, la dimensione co-gnitiva, affettiva dell'apprendimento, dell'inse-gnamento e del lavoro di cura, portando i par-tecipanti a riflettere su quali sono le dinami-che e sugli esiti. Per la restituzione in plena-ria con il grande gruppo può venir scelta, inmodo consensuale nel piccolo gruppo, la nar-razione di un partecipante per gruppo che vie-ne letta e analizzata con la guida del docenteche facilita nei partecipanti la libertà di espres-sione e presiede la messa in comune delleesperienze, in un clima avalutativo e di so-spensione del giudizio. Il poco tempo a di-sposizione non ha consentito di entrare nelmerito alla varietà e tipologia di griglie utiliz-zate. Peraltro indicazioni utili di tipo metodo-logico vengono fornite in letteratura (Franzae Mottana 1997, Massa 1997; Bertolini e Mas-sa 1997; Zannini 2001)

Come comparare le diverse narra-zioni, anche con finalità di ricerca?Dal contributo dei partecipanti sono emerse

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le densità di componenti cognitive e di vissu-ti affettivi da richiedere una adeguata elabo-razione culturale ed esistenziale. L’approcciodi ricerca più utilizzato con le narrazioni è ri-sultato essere quello fenomenologico. che sifocalizza sull’analisi descrittiva, retrospettivaed in profondità dell’esperienza.Attraverso lastoria si può vedere proprio come il sogget-to se la rappresenta descrivendo i tratti in-trinseci o le essenze dei vissuti esperienziali,cogliendo la situazione e contemporaneamentela rappresentazione, l’interpretazione ed il si-gnificato.

3. Come rispondono i discenti a que-ste attività?Molti partecipanti alla sessione segnalano co-me la narrazione consenta al soggetto (per-sona in formazione, paziente, famigliare, geni-tore) di diventare “autore del suo testo di vi-ta”, di “vedersi allo specchio”, una sorta disguardo dall’alto, grazie anche all’uso delle gri-glie di analisi, della titolazione e delle metafo-re. Sottolineano come il dispositivo narrativoconsenta di “educare alla relazione” e sia unpotente “strumento di sviluppo della compe-tenza emotiva”.Evidenziano inoltre che gli ele-menti portati più frequentemente dai corsistinel gradimento al termine di esperienze for-mative condotte con il metodo della narra-zione concernono il lavoro su di sé e la cre-scita personale. Il raccontare ed il raccontar-si consente infatti di orientare lo sguardo suaspetti particolari dell’esperienza e sviluppa-re nel soggetto in formazione questa capacitàriflessiva su di sé e su aspetti autobiografici.Le maggiori difficoltà riguardano l’utilizzo del-la narrazione nella formazione a livelli di ba-se, data la centratura dello studente soprat-tutto sul saper fare, in particolare nelle fasiiniziali del percorso formativo, con una con-seguente sottovalutazione del metodo. E’ im-portante che lo studente percepisca chiara-mente che la propria narrazione non vieneutilizzata per fini valutati di tipo sanzionato-rio e certificativo, in particolare all’interno di

alcune iniziative di utilizzo della narrazione co-me ricerca in particolare nell’ambito dell’as-sistenza ostetrica e come tesi di ricerca at-traverso l’utilizzo delle interviste di tipo nar-rativo.Sempre nell’ambito degli argomenti del-la sessione sono stati presentati due posterriguardanti la formazione al tutorato e la for-mazione dei formatori in Cure Palliative. Nelposter “La formazione che vorrei: riflessioni sul-l’apprendimento attraverso le narrazioni delleesperienze nelle sedi di tirocinio”,a vengono esa-minate 200 narrazioni in cui si evidenziano lesituazioni riconosciute dai partecipanti comefavorevoli all’apprendimento e come ostaco-lanti, a partire dalla personale esperienza deisoggetti in formazione. Nel poster Il silenzioche parla: la narrazione delle esperienze profes-sionali in cure palliative come strumento di for-mazioneb vengono prese in esame 30 narra-zioni dove emergono tre dimensioni in cui sipossono collocare gli “oggetti” di riflessione:l’accompagnamento della persona morente,l’accompagnamento della famiglia, il cambia-mento che l’esperienza e il contatto direttocon la persona assistita e la sua famiglia de-termina nel professionista, anche sotto formadi “apprendimento sul campo” e attraversoun atteggiamento di scoperta. Il materiale pro-dotto dai corsisti attraverso le narrazioni vie-ne sottoposto ad analisi attraverso la qualevengono messi in evidenza i nuclei di signifi-cato più ricorrenti e le immagini più rilevantiemerse nei testi. Ci si trova spesso di frontealla inattesa e quasi sconcertante qualità deicontenuti della narrazione, fenomeno che in-duce interrogativi pregnanti sul significato daattribuirvi e sulle nuove forme da ricercareper l’orientamento degli studenti e dei corsi-sti. Una ricerca accurata di interpretazioni, ol-tre il livello più immediato, può fornire nuovielementi per riesaminare ed arricchire di nuo-vi significati le pratiche di formazione e di cu-ra.Lo strumento narrativo aiuta a cogliere dal-l'interno il significato di episodi significativi le-gati all’apprendimento in tirocinio, poiché leesperienze di formazione racchiudono una ta-

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percorsi di tirocinio. In questa fase può esse-re utile per rievocare le prime esperienze ditirocinio e di contatto con il corpo del pa-ziente, con la malattia e la morte o esplorareaspetti motivazionali legati alle scelte profes-sionali all’interno di moduli introduttivi delpercorso formativo.Trovarsi davanti ad un foglio bianco con il man-dato di narrare può scatenare delle crisi di ri-fiuto. Il fenomeno è risultato limitato a pochicasi, ma i presenti hanno convenuto che de-ve essere garantita la libertà individuale, sen-za forzatura ed obblighi. Il formatore può in-tervenire nell’abbassare le resistenze indivi-duali, come facilitatore, anche attraverso unaiuto iniziale per il ricordo di situazioni signi-ficative. I partecipanti evidenziano l’utilità del-la narrazione quale strumento di supervisio-ne nei contesti lavorativi, come spazio di ana-lisi e di riflessione,e auspicano che attività for-mative strutturate con l’impiego di dispositi-vi riflessivi ed autobiografici possano essereanche riconosciute dal sistema di certifica-zione ECM. I partecipanti alla sessione ripor-tano sia in qualità di formatori che utilizzanoil dispositivo narrativo, sia in qualità di for-mandi “entusiasmo e convinzione sulla bontàdella narrazione come “strumento-oggetto”nella formazione e sottolineato le potenzia-lità della narrazione come strumento di ri-cerca di nuovi significati. Il punto di vista nar-rativo si pone oggi nello scenario formativocome dispositivo il cui utilizzo è ancora da ap-profondire ed esplorare, ma con un notevolepotenziale interpretativo, in quanto consentedi attribuire senso agli eventi ed alla realtà chele persone sperimentano e condividono nel-l’esperienza quotidiana.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Atkinson R: L’intervista narrativa. Milano:Cortina 2002Bertolini G, Massa R: Clinica della formazionemedica. Milano: FrancoAngeli 1997Fabbri D: Narrare il conoscere. Appunti peruna epistemologia della formazione. In Ka-neklin C. Scaratti G: Formazione e narrazione.Milano: Cortina 1998Formenti L, Gamelli I: Quella volta che ho im-parato: la conoscenza di sé nei luoghi dell'edu-cazione. Milano: Cortina 1998Franza A, Mottana P: Dissolvenze. Le immaginidella formazione, Bologna: Clueb 1997 Massa R. (a cura di),:La clinica della formazio-ne,Angeli, Milano 1997Zannini L. Salute, malattia e cura.Teorie e per-corsi di clinica della formazione per operatori so-ciosanitari. Milano: Franco Angeli 2001

Le narrazioni dei pazienti, comestrumenti educativi alla

relazione tra professionisti dellasalute e pazienti, e come

strumenti del processo di cura

Franca ParizziPediatra, Monza

Le narrazioni da parte dei pazienti sono uti-lizzate soprattutto negli ambiti della bioeticae della psicoterapia, mentre esperienze peda-gogiche che le utilizzano a scopo formativo,per educare all’ascolto e per acquisire unamaggior sensibilità alla relazione tra profes-sionisti della salute e pazienti, non sono nu-merose. Nella raccolta dell’anamnesi, il medi-co “traduce” la narrazione del paziente in unlinguaggio tecnico, il linguaggio biomedico, cheriduce l’esperienza della malattia a un insiemedi dati clinici, trascurando il vissuto persona-le che rende quel paziente unico, diverso da-gli altri, anche da quelli che hanno in comunela stessa malattia. Il linguaggio biomedico è una

a Garrino L, Lombardo S, Gargano A: La formazione che vorrei.Riflessioni sull’apprendimento attraverso le narrazioni delle esperienzenelle sedi di tirocinio, Poster

b Garrino L, Gregorino S, Prandi C: Il silenzio che parla. La narrazionedelle esperienze professionali in cure palliative come strumento diformazione, Poster

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consenso del paziente, può ostacolarne la li-bera espressione. La narrazione nella maggiorparte dei casi non si esaurisce in un incontro,ma è spesso un processo che avviene gradual-mente, attraverso la consapevolezza dell’ascol-to e della comprensione e la costruzione di unrapporto di fiducia.Questo processo,di cui han-no larga esperienza i medici di Medicina Ge-nerale, richiede disponibilità,umiltà, attenzione,interesse, un setting adeguato, ma soprattuttotempo da dedicare.Esiste una metodologia perraccogliere le narrazioni dei pazienti? La nar-razione è fondamentalmente la libera espres-sione del sentire del paziente e non può/nondeve essere imbrigliata in una griglia di domandeo in un’intervista predefinita. Può essere tutta-via interessante, a fini educativi e terapeutici,trarre dalle narrazioni di pazienti che hanno incomune uno stesso problema di salute, ele-menti emozionali ricorrenti, che consentano dimettere a fuoco bisogni ai quali cercare, co-struendole insieme ai pazienti, risposte.La Medicina Narrativa sostiene dunque il ruo-lo centrale dei pazienti come formatori dei pro-fessionisti della salute. Il progetto “Pedagogiadei genitori” (www.pedagogiadeigenitori.it),coordinato da Enrico Barone, cui partecipanogenitori e fratelli di soggetti con disabilità di-verse, ne è un esempio. Un’altra testimonian-za è l’esperienza effettuata dagli studenti delsecondo anno del Corso di Laurea in Medici-na e Chirurgia dell’Università di Tel Aviv, pub-blicata recentemente da Academic Medicine(“Illness in context and families as teachers.Ayear-long project for medical students” di A.Gaver - Academic Medicine 80, 448, 2005): ognistudente incontra cinque volte nel corso del-l’anno una famiglia di un soggetto con malattiacronica. Le riflessioni vengono discusse in pic-coli gruppi con la supervisione di un tutor. Ilprogramma mira all’acquisizione di capacità diascolto dei pazienti e allo sviluppo della prati-ca riflessiva e della sensibilità alla relazione. Unprogetto che utilizzi le narrazioni come stru-menti formativi alla relazione con il paziente ei suoi familiari dovrebbe essere longitudinale,

specie di maschera dietro la quale si cela eviene rimossa la componente emozionale del-la relazione terapeutica. Il linguaggio narrati-vo consente di togliere la maschera. La rac-colta dei dati clinici è necessaria per inqua-drare, diagnosticare, trattare la malattia, manon è sufficiente per “prendersi cura” del pa-ziente in senso globale, comprenderne il vis-suto ed i bisogni, espressi e inespressi. Com-prendere, interpretare,entrare in empatia conil paziente sono momenti cruciali del proces-so di cura. Empatia è sentire ciò che sentel’altro e come lo sente, è pertanto un pro-cesso di apprendimento delle emozioni vis-sute dall’altro. È necessario saper leggere, ol-tre alla malattia, il malessere del paziente, ve-ra radice della sua sofferenza. La narrazionenon deve essere interpretata come un’anam-nesi più accurata del paziente, né una esa-sperata ricerca di particolari biografici,ma, co-me dice Vincenzo Masini nel suo libro “Medi-cina Narrativa” (Ed. Franco Angeli, Milano2005), “uno stile di relazione”, “un modo di-verso di intendere ciò che è rilevante…, unprocesso di costruzione, insieme al paziente,di significati condivisi sulla salute e sulla ma-lattia, che può incidere profondamente sulladiagnosi e sul trattamento, essere di per séterapeutico o contribuire al miglioramento oall’accettazione della malattia e delle cure”.L’utilizzo delle narrazioni dei pazienti a scopoeducativo pone tuttavia problemi etici. Nontutti i pazienti sono disponibili a comunicaree condividere le loro storie con altre perso-ne (discenti), al di fuori del rapporto di fidu-cia che hanno costruito con un determinatomedico. Il consenso del paziente è pertantopassaggio fondamentale e inevitabile. L’utiliz-zo delle narrazioni scritte, anonime, può con-sentire di superare questo problema, tuttaviapresenta il limite di non trasmettere queglielementi del linguaggio non verbale fonda-mentali nella narrazione: gli sguardi, le parole,i silenzi, le espressioni del viso, i gesti, i com-portamenti… L’utilizzo dell’audioregistrazio-ne e della videoregistrazione, pur se con il

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cioè iniziare fin dai primi anni e proseguire lun-go l’intero Corso di Laurea, e trasversale, cioècoinvolgere gli studenti dei diversi Corsi di Lau-rea delle professioni sanitarie, per favorire, ol-tre a un apprendimento significativo e durevo-le, il confronto e la relazione tra diverse figu-re professionali che dovranno interagire tra lo-ro oltre che con i pazienti.

Un modello dinamico per lostudio delle relazioni tra EBM

(Evidence Based Medicine)e NBM (Narrative Based

Medicine)

Umberto GianiCattedra di Statistica, Facoltà di Medicina,

Università di Napoli

Recentemente, si è sviluppato un dibattito sul-l’approccio multi-metodologico (1-4), quanti-tativo e qualitativo, all’analisi dei problemi disalute e malattia che potrebbe avere riper-cussioni importanti sui contenuti e sulle me-todologie per la formazione nelle professionisanitarie. In questa sede verranno descritti irisultati di un progetto di formazione misto(vis-a-vis e a distanza) basato su una nuovametodologia di analisi esplorativa dei dati, l’a-nalisi strutturale, che permette di analizzare erappresentare dati di tipo quantitativo e di ti-po qualitativo. Sarà descritta dapprima l’impal-catura concettuale e filosofica generale senzaentrare nei dettagli matematico-statistici e poiverranno esposti alcuni risultati di esperimen-ti didattici.Iniziamo, a mo’ di esempio, con una doman-da: cos’è un tumore polmonare? Questa do-manda potrebbe sembrare strana perché usual-mente si ritiene che un tumore polmonare siaun’entità “oggettiva” e riconoscibile attraver-so l’applicazione di un insieme di procedurediagnostiche. Tuttavia, se ci si pone sul pianooperazionale, si può definire il “tumore pol-monare” come una classe di equivalenza nel-

la quale vengono raggruppate diverse situa-zioni cliniche che differiscono tra loro in di-versi dettagli, ma che si rassomigliano per al-cuni aspetti pregnanti. I criteri che definisco-no le classi di equivalenza delle malattie ven-gono formulati da gruppi di “esperti” sulla ba-se dei risultati della ricerca scientifica inter-nazionale. In tal senso, la definizione dei cri-teri di appartenenza di un quadro clinico-la-boratoristico alla classe di equivalenza “tu-more polmonare” è il frutto di una negozia-zione tra esperti “autorevoli” e, in quanto ta-le, è soggetta a variazioni più o meno repen-tine e profonde in funzione dall’evoluzione del-la conoscenza scientifica.Dunque, le classi di malattie sono provviso-rie, come si può evincere, ad esempio, dallemodificazioni cui va incontro periodicamentela classificazione internazionale della malattie.Allorquando un singolo medico di troverà di-nanzi al paziente X verificherà che siano sod-disfatti i criteri diagnostici e, in caso afferma-tivo, formulerà la diagnosi finale di “tumorepolmonare” che è anch’essa il frutto di unanegoziazione tra esperti in diversi settori (ana-tomo-patologi, radiologi, laboratoristi e cosìvia) che interagiscono con il medico clinico ilquale è in rapporto diretto con il paziente eha (idealmente) un quadro completo della si-tuazione.Se si accetta questa impostazione costruttivi-sta della conoscenza, sia la classe di equiva-lenza “tumore polmonare” sia la diagnosi del-la malattia del signor X possono essere con-siderate come veri e propri costruzioni so-ciali e, pertanto, devono essere storicizzate econtestualizzate. Ora, nell’ambito dell’EBM glistudi volti a valutare l’efficacia di una terapiasono tipicamente basati sulla formazione digruppi di pazienti “omogenei” affetti da unamedesima patologia. Secondo la impostazio-ne costruttivista i gruppi di pazienti affetti, adesempio, da “tumore polmonare” sono ungruppo di soggetti per i quali è stata negozia-ta in un certo luogo ed in certo momentostorico la diagnosi di ”tumore polmonare”; vi

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esempio, dire che il paziente X ha un “tumorepolmonare” significa che il modello M = “tu-more polmonare” spiega l’insieme {S} delle evi-denze (segni,sintomo,esami di laboratorio ecc.)che il medico Y ha rilevato in un certo tempoed in un certo luogo.La diagnosi clinica tipicamente non tiene con-to dei vissuti personali del paziente: in fondo,si assume implicitamente che un paziente X hao non ha un “tumore polmonare” indipen-dentemente da come egli si rappresenta la suasofferenza.Tuttavia, anche il paziente costruisce un mo-dello esplicativo, M’, delle proprie sofferenze,{S’}. Questa costruzione è un processo socia-le cui partecipano diversi attori (il paziente stes-so, i familiari, gli amici, i mass media, i mediciecc.) ed è anch’esso contestualizzato tempo-ralmente, socialmente e geograficamente. M’è l’insieme dei significati che il paziente X at-

deve essere stata una persona, che la societàriconosce come tecnicamente abilitata a for-mulare la diagnosi di tumore, che ha sancitoche il signor X ha un “tumore polmonare”.Dunque, in termini strettamente costruttivi-stici, se un paziente X non riceve la diagnosidi “tumore polmonare” da un tecnico abilita-to, egli non ha “ufficialmente” un “tumore pol-monare” e non potrà entrare in alcuno stu-dio di valutazione di efficacia. Sul piano for-male, il processo diagnostico può essere con-cepito come l’applicazione di un insieme diprocedure che trasformano il quadro clinico-laboratoristico {S} in una malattia M

{S} →Φ M

Da un altro punto di vista,M è il modello espli-cativo della sofferenza del paziente ottenutodal medico attraverso una procedura Φ.Ad

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Figura 1. Interazioni narrative

Sofferenze

del Paziente

{S’}

Spiegazione

Naïve

M’

Trattamento

Effettivo

T’

Sintomi

e Segni

{S}

Malattia

MDecisione

Terapeutica

T

Narrativa del paziente

Narrativa del medico

Traduzionenel linguaggiomedico

Comunicazione&

SpiegazionePrescrizione

Illness

representation

Compliance

EBM

Esperienza clinica

Processo

diagnostico

Folk Medicine

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sociale/politico

sensazioni spiacevoli

alcolici

disordini alimentarisesso

bevande eventi particolari

dieta

principi mo

infelicità

attività

malessere/malattia

fisica

salute/benessere

aspetto

dolciumi

felicità

funzioni fisiologiche

relazioni

strumenti

sensazioni piacevoli

sistemazioni

cibocomune

alimentiparticolarifisico

Figura 2. Grafo delle somiglianze strutturali delle associazioni verbali dei pazienti insovrappeso

attività fisica

sesso

alimenti particolari

rapporti sociali

eventi particolari

alimentari

infelicità

sensazioni piacevoli dieta

sensazioni spiacevoli

fisico

felicià

alcolici

salute, benessere

umane

strumenti

sistemazioni

funzionifisiologiche

dolciumi

bevande

cibo comune

relazioni

aspetto

disordini

principi morali

malessere, malattia

Figura 3. Grafo delle somiglianze strutturali delle delle associazioni verbali dei pazienti concefalea

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e complementari. In un primo senso, l’appli-cazione dei risultati dell’EBM dipende dalla dia-gnosi effettuata dal medico che, combinando-si con la conoscenza scientifica e l’esperienzaclinica, conduce alla decisione terapeutica re-lativa ad un singolo individuo. In un secondosenso, qualsiasi studio scientifico sulla valuta-zione dell’efficacia delle terapie dipende dal ri-sultato del processo diagnostico perché da es-so deriva la possibilità di formare gruppi omo-genei per diagnosi clinica.Il punto fondamentale è che l’intero proces-so è sotto il controllo del paziente perché èil paziente che decide se e quando consulta-re un medico, cosa raccontargli, se e quandoeffettuare gli accertamenti, se partecipare aduno studio clinico, se e quando attuare la te-rapia prescritta, a così via. Inoltre, anche la va-lutazione statistica dell’efficacia reale della me-dicina dovrebbe essere basata su una analisidei trattamenti T’ effettivamente attuati di pa-zienti le cui relazioni con quelle prescritte daimedici sono poco conosciute.È necessario dunque formulare nuovi model-li interpretativi per analizzare le narrative deipazienti e metterle in relazione, da una par-te, con quelle dei medici e, dall’altra, con lavalutazione dell’efficacia delle procedure dia-gnostiche e dei trattamenti. Sul piano peda-gogico è necessario che l’insegnamento dellamedicina subisca un radicale cambiamento po-nendo l’attenzione sulla concretezza delle vi-cissitudini del processo diagnostico-terapeu-tico piuttosto che su malattie idealizzate edontologicizzate.Alcuni tentativi sono stati ef-fettuati in tale direzione in diversi corsi dellaFacoltà di Medicina di Napoli. Il modello uti-

tribuisce alla propria sofferenza attraverso unaprocedura di interpretazione (per molti versipoco conosciuta) Φ’.

{S’} →Φ’ M’

In tal senso, {S} e {S’} sono due insiemi di even-ti che vengono interpretati attraverso due mo-delli esplicativi, rispettivamente M e M’. I pro-cessi [{S} →Φ M] e [{S’} →Φ’ M’] hanno un’in-trinseca dimensione temporale e possono es-sere considerati come due narrazioni paral-lele: quella del medico e quella del paziente.Ora, affinché il processo diagnostico abbia ini-zio, il paziente deve decidere di consultare unmedico e raccontargli le proprie sofferenzenel proprio linguaggio naïve, sofferenze che ilmedico deve tradurre in un linguaggio tecni-co allo scopo di attivare il processo diagno-stico, giungere ad una diagnosi M, comunicar-la al paziente, scegliere il trattamento miglio-re e prescriverlo al paziente. Tuttavia, non viè un isomorfismo automatico tra le spiega-zioni del medico (M) e quelle del paziente(M’). Infatti, la spiegazione, per così dire, naï-ve del paziente è influenzata da moltissimi fat-tori di tipo socioculturale (folk medicine).Un discorso simile si può applicare al tratta-mento. Infatti, anche le prescrizioni terapeu-tiche non necessariamente coincidono con itrattamenti effettivamente messi in atto daipazienti che sono la risultante di credenzespesso contraddittorie che generano proces-si decisionali complicati e poco conosciuti.Possiamo allora formulare un modello piùcompleto, anche se ancora parziale, del pro-cesso diagnostico.Nel modello rappresentato in Figura 1, la di-zione “Illness Representation” riassume tuttigli aspetti cognitivi ed emotivi che contribui-scono a dare senso alla sofferenza. a

Nonostante le inevitabili semplificazioni, que-sto modello permette di collocare l’EBM al-l’interno di un processo dinamico di intera-zione tra due narrative, quella del paziente equella del medico.b E ciò in due sensi diversi

Atti del XIII Congresso Nazionale SIPeM 2005

a Per ragioni grafiche sono mostrati solo alcuni dei fattori checontribuiscono alla scelta del trattamento effettivamente attuatodal paziente.

b In questa sede non sarà discusso il ruolo ideologico del“modello medico” che è fondato sulla “traduzione” di unproblema socio-economico legato al modo di produzioneorientato al profitto (con le note conseguenze sull’ambiente bio-psico-sociale) in un problema che concerne singoli individui.

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niente di aiuto

si può fare ben poco

permanente

condizione seria

durerà a lungo

importante nella mia vita

migliorerà col tempo

per il resto della mia vita

passerà velocemente

durerà poco

senza senso

fasi migliori-peggiori

mi arrabbio

niente condizionerà

dipende da me

conseguenzefinanziarie

modo in cui gli altrimi vedono

la terapia

comprensione chiaranon mi preoccupa

ansia

mi deprimo

controllo terapeutico

paura

posso influire

perplessità

posso influenzare

posso controllare

difficoltà a chi

azioni efficaciimprendibile

cambiano mistero

mi è vicinoi sintomi

sugli esiti

efficace

terapia efficace sugli effetti negativi

Figura 4. Grafo delle somiglianze strutturali delle risposte all’IPQ dei genitori di figli affettida Talassemia Major

permanente

per il resto durerà a lungo

migliorerà col tempo

passerà velocemente

durerà poco

condizione seria

si può fare ben poco

la terapia efficace

niente di aiuto

posso controllare

fasi migliori

importanza

senza senso

non mi preoccupa

mi arrabbio

della mia vita

mi è vicino

paura

ansia

imprevedibile

conseguenze

mistero

azioni efficaci

difficoltà a chi modo in cui gli altri

i sintomi cambiano

condizionerà

mi vedono

nella mia vitaperplessità

mi deprimo

sugli esiti

niente

comprensionechiara -peggiori

posso influenzare

posso influire

dipendeda me

controllo terapeutico

terapia efficace sugli effetti negativi

Figura 5. Grafico delle somiglianze strutturali delle risposte all’IPQ dei figli adulti affetti daTalassemia Major

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quelli affetti da cefalea. I dati sono stati rile-vati dagli studenti dei corsi di Statistica edInformatica dei corsi di laurea in Medicina eChirurgia e di Infermieristica nell’ambito diun’intervista semistrutturata a pazienti affettida un insieme di problemi di salute derivatida un questionario inviato ad alcuni medici dimedicina generale della regione Campania. Laregistrazione e la categorizzazione delle as-sociazioni verbali è stata attuata a distanza permezzo dell’applicazione MEANINGS di cui èdotato il sistema di formazione online DVLN(Dynamic Vir tual Learning Networks,http://elearning.medicina.unina.it/dvln).Questi risultati sono stati discussi dagli stu-denti in presenza dei medici di famiglia sia in

lizzato è basato sulla teoria dei grafi che per-mette di rappresentare graficamente per mez-zo del software DKN (5,6) la struttura dellerelazioni tra concetti superando le classichemappe concettuali. In particolare, l’analisi strut-turale permette di individuare costellazioni dinodi che si relazionano in modo simile a tut-ti gli altri nodi della rete. Il metodo può es-sere applicato sia a dati quantitativi che qua-litativi. In questa sede non entreremo nei det-tagli matematici e formali dell’analisi struttu-rale (7,8) e ci limiteremo a descrivere breve-mente alcuni risultati parziali. In figura 2 e 3è mostrato il grafo delle somiglianze struttu-rali delle associazioni verbali alla parola-sti-molo “cibo” nelle persone in sovrappeso e in

Atti del XIII Congresso Nazionale SIPeM 2005

difficoltàsessuali

non riesce

obesa

non si vergognapiù di sè

cambiamentodi look

scomparsaenuresi

dimagrimento

elementidepressivi

trasandata

stanchezza

saccheggio delfrigorifero

isolamento

strategiadialogica

DAP

desiderato

nata per caso

donna 29 anni

fratello 24 anni

amore romanticoa 14 anni

tentativo di violenza

segreto inconfessabile

padre

disoccupato

parental child

ictus tre anni prima

da parte dello zio

50 anni

rapporto conflittuale

madre 47 anni

a starea dieta

mortedel nonno

finitoevento traumaticoa 16 anni

immagine

enuresi notturnavissuta in

bassa

primi tre anni

sgradevole di sè

con i nonni

autostima

solitudine

casalinga

tossicodipendente

Figura 6. Grafico delle delle associazioni strutturali di una narrativa di una ragazza affetta dabulimia

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aula in modalità vis-a-vis sia a distanza attra-verso il forum di discussione di DVLN (9). Siè così sviluppato un ampio dibattito, in corsodi studio, sui temi della soggettività e dell’og-gettività, della diversa pregnanza degli aspettipsicologici, più soft, e di quelli clinico-labora-toristici, più hard, e degli strumenti statistico-matematici per la loro analisi. Si tratta di ri-sultati ancora in corso di elaborazione nel-l’ambito di un progetto di ricerca-azione vol-to a coniugare l’esigenza di una rigorosa ana-lisi scientifica con il coinvolgimento attivo de-gli studenti nella stessa produzione di nuovaconoscenza. Attualmente è in corso un ten-tativo di formulare un modello formale per lostudio delle interazioni tra le narrazioni deipazienti e quelle dei medici.

BIBLIOGRAFIA

(1) McWhinney IR. ‘An acquaintance withparticulars...’ Fam Med.1989;21:296-298.

(2) Borkan JM: Mixed methods studies: afoundation for primary care research.Ann Fam Med. 2004;2:4-6.

(3) Creswell JW, Fetters MD, Ivankova NV:

Designing a mixed methods study inprimary care. Ann Fam Med. 2004;2:7-12

(4) Creswell JW, Plano Clark VL, Guttman M,Hanson :Advanced mixed methodsresearch designs. In:Tashakkori A,TeddlieC, eds. Handbook on Mixed Methods inthe Behavioral and Social Sciences.Thousand Oaks, Calif: Sage Publications;2003:209-240.

(5) Giani U, Martone P: (1998) Dynamicknowledge network, problem basedlearning and distance learning. Int. J.Medical Informatics 50: 273-278

(6) Giani U, Martone P: (1997) Distancelearning, PBL and Dynamic KnowledgeNetworks in Medicine In Eitel F.,Gijselaers (Eds) Problem-Based learning.Theory, Practice and Research.Zeitschrift Fur Hochschuldidaktic.Studien-Verlag 1: 119-131

(7) Giani U,C-DKN:A new methodology forthe analysis of collective concept maps indistance learning, Medic. ClinicalMethodology&Education (in press)

(8) Giani U: (Ed) Complessità, salute emalattia. Millennium, Bologna, 2005

(9) Giani U: (Ed) Reti di conoscenzadinamica nella formazione a distanza.Liguori, Napoli, 2004, Napoli

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35

cioè il concetto di Clinica si rifà ai diversi con-tenuti disciplinari sarebbe più adeguato parla-re delle diverse discipline: Oculistica, Ostetri-cia,Ortopedia,Medicina Interna,Chirurgia Ge-nerale e così via.Ed è sintomatico come i più recenti ordina-menti didattici - dalla famosa Tabella XVIII inpoi - abbiano privilegiato questa impostazionebasata sulle discipline singole: non solo fram-mentando la vecchia Patologia Medica ma an-che abolendo il termine Clinica che nel vec-chio ordinamento indicava i corsi degli ultimianni, ivi compresa la Clinica Medica e la Clini-ca Chirurgica, ora divenute Medicina Interna.Nell’accettare questa impostazione, ci si devechiedere se si possa e si debba ancora parlaredi insegnamento clinico di didattica clinica.Ci si deve chiedere se esiste un denominato-re comune che sottostà ai diversi corsi talorachiamati “le Cliniche” e quindi se esista una giu-stificazione di insegnare qualche cosa che siaClinica tout-court, indipendentemente dai con-tenuti disciplinari. Si ritorna quindi al primitivoquesito: Cosa si deve intendere per Clinica?Un’altra locuzione che spesso tenta di chiari-re le idee in proposito - anche se non com-pletamente - riguarda la necessità di distin-guere tra studio (e didattica) dei modelli dimalattia - la vecchia Patologia Medica ora Pa-tologia Sistematica - e studio (e didattica) delmalato - la vecchia Clinica Medica.Su questa distinzione viene sostenuta la tesiche Clinica è tutto ciò che viene fatto a fa-vore del singolo malato: è quindi un’attivitàapplicativa non di contenuto;è un’attività idio-grafica nel senso che è essenzialmente rivol-ta al singolo e non è volta – come lo studiodelle malattie e delle scientifiche in genere, al-la ricerca di spiegazioni generali, valide cioèper tutti i malati di una determinata malattia.E tuttavia, questa impostazione, se accettata,lungi dall’esaurire tutti i problemi tende a crear-ne degli altri.Molto sinteticamente:

Introduzione al temaCesare Scandellari

Università di Padova

Nonostante che il termine “clinica” sia cor-rentemente utilizzato sia in ambito medico sianel linguaggio comune, il suo significato nonrisulta sempre univoco. Per dare significato altermine, si è soliti riferirsi all’etimologia dellaparola clinica che deriva da xline = letto edefinendo quindi clinica l’attività medica chesi svolge al letto dell’ammalato e che si rivol-ge quindi al singolo malato. Se questo rap-presenta l’iniziale significato corretto del ter-mine, va tuttavia rilevato come poi il termineabbia ampliato e modificato - almeno nell’ac-cezione comune - il significato. Non ci si rife-risce qui a Clinica come luogo di ricovero dimalati, quanto all’uso del termine per indica-re diversi settori dello scibile o dell’attivitàmedica. Si parla di Clinica Medica, di ClinicaChirurgica, di svariate Cliniche specialistiche(Clinica Oculistica, Clinica Ortopedica, Neu-rologica,Ostetrico-Ginecologica e così via) di-stinguendo così la Clinica in base a specificicontenuti. Il primo problema è quindi quello dichiarire se l’appellativo di Clinica dato ad unparticolare settore della Medicina dipende dal-la singolarità del malato o se è in dipendenzadelle diverse discipline. In altri termini, se cli-nica dipende dal modo e dal metodo di svol-gere l’attività del medico ovvero se è caratte-rizzata dai contenuti delle diverse discipline.Appare subito evidente, come questo quesito– che potrebbe a prima vista sembrare que-stione teorica di poco conto – condizioni in-vece un diverso approccio all’impostazione del-la didattica della clinica. Se le diverse clinichesono tra loro indipendenti ed autonome se

3a SESSIONEL’educazione alla Clinica

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- la clinica non tendendo alle generalizza-zioni non è scienza nella comune accezio-ne del termine;- la clinica, non avendo contenuti, non sipresta ad una didattica, semmai ad un ad-destramento imitativo, come avviene perl’apprendista che provando e riprovando esoprattutto con l’osservazione dell’anzia-no artigiano esperto, impara il mestiere: aquesto proposito, è d’obbligo ricordare ilfamoso interrogativo se la medicina sia unascienza o un’arte;- se esistano, tra i diversi atti che vengonocompiuti a favore del singolo malato, dellecaratteristiche distintive tali da far rientra-re nel concetto di clinica alcuni ed esclu-derne altri: per esemplificare, dissetare ilpaziente o aiutarlo ad assumere il cibo, aiu-tarlo nella cura della propria persona, si-gnifica fare clinica? Esiste un altro termineche indica queste azioni: assistenza . E al-lora, che rapporti vi sono tra assistenza eclinica? Sono la medesima cosa? Una è par-te dell’altra? Sono due attività distinte e, inquesto caso, quale è il loro discrimine?

Per ulteriori riflessione sull’argomento ci sipuò riferire al dibattito in preparazione delCongresso riportato su Forum SIPeM.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

C. Scandellari – La diagnosi Clinica: Masson,Milano 2005 Capitolo 5G. Federspil - Logica clinica McGraw Hill. Mi-lano 2004C. Scandellari - Epistemologia Clinica.Atti delSeminario di Scienze Umane in Medicina, Fer-mo 2004. Lettere dalla Facoltà – Bollettinodella Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’U-niversità Politecnica delle Marche,VIII (1): pp.12-14 e 19-22, 2005.

Gruppo di discussione su:La natura della Clinica

Giacomo Delvecchio, Elena Cavaleri*Ospedali Riuniti di Bergamo

* studentessa,Corso di Laurea in Ostetricia,

Università di Genova

Il gruppo di lavoro si è costituito spontanea-mente sulla scorta di preferenze individuali edè risultato composto da 14 persone tra lequali vi erano, oltre ad alcuni medici da anniinseriti pienamente nella professione di clini-ci e di docenti, come ricchezza del gruppo bensette studentesse del corso di laurea in oste-tricia e infermieristica e tre pedagogiste.La disomogeneità tra i partecipanti non si ètrasformata in un handicap formativo per qual-cuno, come sarebbe potuto succedere, ma inuna comunanza di intenti che ha avuto unapiena accoglienza nelle comuni risposte ma-turate insieme col contributo di tutti comepatrimonio culturale collettivo. In questo sen-so il gruppo ha mostrato di essere davvero,pur nelle brevità dell'azione didattica e nellaestemporaneità dei partecipanti, coeso e ma-turo così come dovrebbero sempre essere icollettivi d'apprendimento. Come sintesi dellavoro nulla può essere meglio delle conclu-sioni cui le giovani partecipanti sono perve-nute.CLINICA... che cosa si deve intendere per "cli-nica"? È questo l'interrogativo a cui noi, par-tecipanti a questo gruppo di discussione, ab-biamo cercato di dare una risposta, ma nonsappiamo sinceramente se dopo un'ora di di-battito il significato di tale vocabolo sia statocompreso appieno in tutte le sue molteplicisfaccettature, anzi, crediamo che neanche do-po giorni di discussione si possa arrivare a da-

LAVORI DEI GRUPPI

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anche assistere, sostenere, saper ascoltare edagire di conseguenza seguendo sempre un per-corso mentale che è fatto di scienza e di ra-gionamento logico ma anche di umanità e diinterpretazione di un pensiero narrativo. Se-condariamente abbiamo sottolineato come ilrapporto paziente-operatore si sia spostatoda un rapporto "uno ad uno" ad un rappor-to paziente-team multiprofessionale, e in cuiaddirittura il paziente entra costitutivamentea far parte del team, ma abbiamo anche ra-gionato su come il rapporto ideale si collo-cherebbe nella giusta via di mezzo, ossia, unrapporto uno ad uno tra paziente e ciascunafigura professionale che compone il team, o,meglio ancora,un rapporto paziente-team conun team composto da un solo rappresentan-te per ciascun ruolo; ma molto spesso, sia permancanza di tempo sia per gli inevitabili con-trattempi che talvolta sorgono durante il per-corso, questa tanto celebrata "continuità del-le cure" è sempre tale ma in una maniera in-tesa diversamente dai sanitari e dal malato. Lacontinuità della relazione di cura si viene adinterrompere ed il singolo malato si trova adessere seguito da più medici ed operatori(spesso con opinioni divergenti e differentimetodiche e tecniche di approccio allo stes-so problema e con diverse tecniche di co-municazione e quindi con diversità di relazio-ne), facendo quindi mancare alla persona unpunto di riferimento fisso e impedendo il for-marsi di un rapporto di fiducia tra pazienteed operatore, che si verrebbe invece a crea-re in un continuativo rapporto "uno ad uno".Prima di concludere abbiamo ragionato sulfatto che il letto del malato si trova "più inbasso" rispetto all'operatore, il quale, di con-seguenza, per assistere il paziente si dovràsempre inclinare.Quindi, in un certo senso, si potrebbe dire cheil significato attuale di clinica, più che al signi-ficato etimologico della parola stessa, si avvi-cina al fatto che l'operatore si deve conti-nuamente inclinare al servizio del malato com-patendolo ossia partecipando all'altrui soffe-

re una definizione chiaramente esaustiva diquesto termine così eterogeneo nei suoi con-tenuti ed in continua evoluzione.Ma partiamo dal principio.Così come si fa abi-tualmente quando ci si trova di fronte ad untermine di cui non si conosce il significato, perprima cosa abbiamo cercato di risalire al suosignificato originario riferendoci all'etimologiadella parola stessa e abbiamo constatato che"clinica" deriva dal greco "klinikos" che signi-fica "che si fa presso il letto" e questo a suavolta deriva da "kliné" che significa "letto" (1).Quindi abbiamo dedotto che la clinica rag-gruppa quell'insieme di attività - mediche enon - che si esplicano al letto del malato eche,di conseguenza, si rivolgono al singolo pa-ziente.Ma non basta, perché se questo rappresental'iniziale significato del termine, va tuttavia ri-levato come nel corso degli anni il significatodi questo vocabolo sia stato più volte rivisi-tato, modificato ed ampliato.Non è cambiato il luogo dove si fa la clinica(al letto del malato), non è cambiato neancheil cosa si fa al letto del malato (si ascolta il pa-ziente, lo si osserva, lo si assiste, ci si sosti-tuisce a lui parzialmente o totalmente nel sod-disfarne i bisogni elementari, lo si ausculta, siragiona [in questo caso si parla di ragiona-mento clinico che può essere induttivo, quan-do si risale dal particolare al generale, o de-duttivo, quando viceversa dalla teoria genera-le si ridiscende al caso particolare che va spie-gato], si agisce, si fa, lo si educa, si valutanol'efficacia delle cure e dell'assistenza, si smuo-vono affetti, ...), ma sono cambiati gli arteficidella clinica e l'atteggiamento e le pretese deipazienti che diventano sempre più esigentichiedendo ai professionisti "arte, scienza eumanità". Ritornando agli artefici abbiamo in-vece notato come innanzi tutto oggigiornonon siano più solo i medici a fare clinica, maanche gli operatori sanitari, dagli infermieri al-le ostetriche, fino anche ai pedagogisti, ognu-no secondo le proprie competenze, perchéclinica non vuole più dire soltanto curare ma

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renza e, al tempo stesso, fornendogli la pro-prie conoscenze e capacità. Per questo il pro-fessionista al posto di negare gli affetti che in-sorgono di fronte ai malati secondo una con-suetudine che è faticosa per tutti, dovrà es-sere empatico senza però lasciarsi travolgeredai sentimenti.Concludendo si potrebbe affermare che:

• La clinica è un insieme di saperi teorici,pratici e relazionali (cognizioni, prassi e re-lazioni).

• Per essere un buon clinico, quindi, non bi-sogna solo "sapere" e "saper fare" ma an-che "saper essere".

• Se la clinica è la pratica della medicina, o,meglio, delle professioni di cura integratetra loro al letto del malato per un unicofine che è il ripristino della salute, abbiamocapito che in medicina poi non esistono"cliniche speciali", se non come specializ-zazioni di un'unica e unitaria attività clini-ca. Al massimo ogni "clinica" rispecchia lecaratteristiche ed i contenuti specifici delcampo in cui si va ad applicare la clinica(quella vera).

Il gruppo ha terminato i lavori con un auspi-cio:abbiamo fatto un passo in più verso la com-prensione della Clinica,ma tanti altri passi con-creti dovranno essere fatti prima di compren-dere realmente,ossia con piena ed umana pro-fessione, il significato di questo termine.

Gruppo di discussione su:Clinica e Scienza

Carlo Maganza, Elisa BosticcaClinica Ostetrica, Università di Genova

Nell’ambito della sessione congressuale sul-l’educazione alla clinica, il gruppo di discus-sione su Clinica e Scienza si è ritrovato a ra-gionare anzitutto sulla natura della clinica stes-sa, così come proposto nelle tesi pre con-gressuali:se la clinica, cioè, possa essere con-siderata una scienza piuttosto che “un’arte”,o entrambe; e ancora, su quanto sia, even-

tualmente, rappresentata in essa la compo-nente scientifica e quella “artistica”, per giun-gere infine ad analizzare le possibili ricadutedi un modello concettuale così ripensato intermini di formazione.Il gruppo, nel tentativo di fornire una defini-zione del termine “clinica”, si è soffermato ini-zialmente sulla parola stessa, recuperando l’e-timologia greca del termine (ξλινε = letto),che rimanda esplicitamente ad ogni attività cheil medico, in assetto di cura, sviluppa al lettodel paziente (egli cioè si porge e si “inclina”verso la persona).È stata in qualche modo “ricollocata” la na-scita della clinica sul piano storico, ragionan-do dell’evoluzione della medicina da dimen-sione prevalentemente umanistica a disciplinaispirata al metodo scientifico.Sono stati cioè focalizzati i caratteri ed i fon-damenti “scientifici” della clinica con partico-lare rilievo agli essenziali criteri dell’oggetti-vità e della riproducibilità.In tal senso, vi è stata convergenza nel defini-re la clinica come campo di applicazione diconoscenze ottenute dalla ricerca attraversol’uso del metodo scientifico.Ma il gruppo si è interrogato a questo puntosui caratteri “artistici” della clinica.Con il termine “arte”, il gruppo di discussio-ne, dopo intenso dibattito, ha inteso far rife-rimento alle competenze per cui il medico saessere flessibile, creativo ed intuitivo, capacecioè di adattare il generale al particolare, ov-vero in grado di decidere rapidamente, nelcontesto, attraverso la sintesi di precedentiesperienze, anche eventualmente attraverso il“salto” di alcuni passaggi logici. L’attenzione alsoggetto, nella complessità della presa in cu-ra globale della persona, è apparsa attraversola discussione carattere e requisito altrettan-to irrinunciabile del clinico. La discussione siè poi sviluppata intorno alle prospettive edu-cative in campo clinico, ed è emerso come l’e-ducazione alla clinica come scienza non pos-sa prescindere dall’attenzione al rigore meto-dologico, al ragionamento scientifico, al mon-

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quali è stata discussa quella che vede la prin-cipale differenza tra patologia sistematica e cli-nica consistere nell’inclusione, in quest’ultima,la terapia che non viene compresa nella pa-tologia sistematica.Da parte di altri è stata proposta come diffe-renza fondamentale tra la didattica della Pa-tologia sistematica e la Clinica, l’inclusione inquesta della Semeiotica medicaNel confronto tra queste diverse opinioni sisono confrontate due diverse concezioni sul-la natura della clinica: la prima, quella tenden-te a considerare l’insegnamento della clinicaun insegnamento non programmatico né pro-grammabile in quanto legato alla variabilità del-la casistica del momento; la seconda quellatendente a considerare la didattica clinica prov-vista di concreti contenuti specifici (quelli le-gati alla terapia delle diverse malattie).La didattica più consona alla caratteristica idio-grafica della Clinica è sembrata a tutti consi-stere nella didattica basata sul problem sol-ving: in pratica nella presentazione di casi cli-nici, alla cui descrizione far seguire l’illustra-zione e la discussione delle modalità con cuiil clinico esperto ha condotto l’indagine dia-gnostica.Alla soluzione proposta di un’attività didatti-ca basata sul problem solving è apparsa ad al-cuni riduttiva nel senso che induceva a rite-nere la didattica della clinica ad un semplicetirocinio o in altri termine ad un apprendi-mento per imitazione: se anche ad alcuni com-ponenti tale aspetto è sembrato rispecchiarel’effettiva natura della didattica clinica, da par-te di altri è stata affermata la necessaria pre-senza nell’insegnamento clinico di un corpusdottrinale proprio, anche se non un corpusdisciplinare specifico.La discussione su questo punto ha portato aconsiderare il fatto che l’apprendimento del-l’agire clinico non può prescindere dalla ri-flessione sui criteri per cui il clinico sceglie unprocedimento piuttosto che un altro e che ta-le riflessione va a formare sia la metodologiamedica sia la metodologia clinica, essendo la

do della evidence based medicine. Educazio-ne alla clinica come “arte” rimanda invece apensieri ed a progetti che attraverso la me-dicina narrativa ed ovviamente all’esperienzasul campo (delle cure) consentano di costruiremodelli formativi veramente aperti alla com-plessità della persona e dei suoi bisogni.Nell’intensità del dibattito (il gruppo era for-temente eterogeneo, e comprendeva moltis-simi giovani, studenti di diversi corsi di laureae di specializzazione, accanto a docenti edesperti) è emerso il bisogno e l’importanza,appunto da parte dei giovani,di ritrovare “mae-stri” di clinica.Maestri di vita e di umanità. Maestri nell’in-contrare l’uomo e nel prendersene cura.Mae-stri, infine, di curiositas.Questo pensiero ci ha indotto ad interrogar-ci ancora in chiave etimologica intorno al ter-mine cura, che della parola curiosità condivi-de la radice.Abbiamo pensato che “sicurezza”, che signifi-ca poi “sine cura”, possa essere il limite tan-to della clinica quanto della scienza, laddoveinvece la dimensione della “curiosità” rappre-senti pienamente la giusta ispirazione del me-dico che cura e dello scienziato che ricerca.Questa ci è parsa una sintesi, pur faticosa, diun confronto appassionato su un tema com-plesso e radicalmente aperto a prospettive diapprofondimento.

Gruppo di discussione su:come insegnare la Clinica

Cesare ScandellariUniversità di Padova

Il Gruppo di discussione sulla didattica dellaClinica, ha iniziato la sua riflessione chieden-dosi quali siano le differenze essenziali tra laPatologia sistematica e la Clinica. La ripostapiù immediata ha messo in evidenza il carat-tere generalizzante della Patologia sistemati-ca, contrapposto alla natura individuale e sto-rica dei contenuti della Clinica.Non sono mancate opinioni diverse, tra le

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prima l’insieme di regole di razionalizzazionedell’agire del medico, la seconda le modalitàdi applicazione delle regole alle diverse deci-sioni – diagnostiche, prognostiche e terapeu-tiche – che il clinico applica al singolo paziente.In conclusione il Gruppo ha riconosciuto chela didattica della clinica riconosce caratteri-stiche peculiari rispetto all’insegnamento del-le tradizionali discipline; che il corso di Clini-ca Medica deve essere tipicamente un corsointegrato multidisciplinare, nel quale appaionoimprescindibili le nozioni di terapia, semeioti-ca medica e metodologia clinica; che in parti-colare la metodologia clinica rappresenta il ve-ro collegamento tra la Patologia sistematica(lo studio delle malattie) e la Clinica Medica(lo studio del malato).

Gruppo di discussione su:Clinica e professioni sanitarie

Alvisa PaleseCorso di Laurea per Infermieri

Università di Udine

La riflessione sul concetto di clinica (che deri-va da klinè – letto - e klinikè - arte relativa achi giace a letto) è abbastanza recente per l’in-fermieristica. Prima d’ora, infatti, si è discussomolto sull’opportunità di affiancare alla parola“assistenza” l’aggettivo “infermieristica” per di-stinguere il contributo offerto dagli infermierida quello di altri operatori.Negli ultimi anni, invece, con la nascita delle lau-ree sanitarie e lo sviluppo delle conoscenzemesse a disposizione dalla ricerca, l’attenzionesi è spostata in avanti, sul concetto di clinica: avolte per indicare ciò che un infermiere di re-parto è in grado di garantire; altre per indicarele lezioni di infermieristica applicate ai proble-mi dei pazienti; altre ancora, per indicare qual-cosa che ha a che fare con l’ospedale per di-versificarlo dall’assistenza domiciliare.Anche nel-le altre professioni dell’area sanitaria il concet-to di clinica sta assumendo spazi crescenti: sista infatti dibattendo sulla clinica ostetrica, sul-

la clinica fisioterapica, sulla clinica dell’educato-re e così via. La crescente attenzione non ri-guarda pertanto solo l’infermieristica ma pren-de in considerazione tutte le professioni che la-vorano per e con i pazienti. I quesiti attorno aiquali si sta sviluppando il dibattito riguardano:

a) esiste una “clinica” delle professioni sa-nitarie?b) Quali sono i metodi e le conoscenzeche utilizzano gli operatori mentre fanno “cli-nica”?c) Quali sono le differenze tra “clinica in-fermieristica” o “di altre professioni” e “cli-nica medica”?d) Qual’è la corrispondenza tra “clinica” e“assistenza”?e) Quale dovrebbe essere lo sviluppo del-la “clinica” nei diversi livelli della formazionedi base e avanzata degli operatori sanitari?

Nella nostra sintesi è stata assunta come ri-ferimento l’infermieristica sviluppando un ra-gionamento che potenzialmente potrebbe ri-guardare molte altre discipline dell’area sani-taria.

Esiste una “clinica” delle professionisanitarie?La clinica è l’applicazione della diagnostica edella terapia al letto del malato. Etimologica-mente richiama al movimento di chinarsi ver-so il paziente. Gli infermieri, quando si trova-no di fronte ai pazienti, individuano i proble-mi e assumono decisioni infermieristiche. Adesempio, quando gestiscono un paziente ap-pena operato che rifiuta di toccarsi la stomiaperché non riesce ad accettarla, individuano ilproblema e assumono le migliori decisioni perrisolverlo. Oggi il “chinarsi” (che potrebbe ri-chiamare una asimmetria tra operatore e pa-ziente) è un “venire incontro”, in cui la par-tecipazione “dell’altro” è fondamentale.Gli infermieri hanno sempre avuto la capacitàdi individuare i problemi dei pazienti; malgra-do questo, in passato, riferivano le loro os-servazioni ai medici ai quali competeva la dia-gnosi e la scelta del trattamento. Oggi gli in-

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cesso di nursing maggiormente enfatizzata èquella dell’accertamento e della scelta degliinterventi.Al di la del metodo e del contenu-to, tuttavia, tutte le cliniche sono applicate at-traverso la competenza relazionale che è tra-sversale e comune a tutti gli operatori che sioccupano della cura degli altri.

Quali sono le differenze della “clini-ca infermieristica” e “clinica medi-ca”?La prima differenza è relativa allo sguardo. Gliinfermieri osservano le reazioni del pazientealla malattia; i medici, osservano la malattiache ha il paziente. Ciascun operatore sanita-rio (ostetrica, fisioterapista, dietista) ha unosguardo ai problemi dei pazienti diverso daquello di altre professioni. Si tratta di punti divista importanti, diversi e complementari: laspecificità del contributo di ciascun operato-re è una grande ricchezza per i pazienti.Gli infermieri, ad esempio, attivano un ap-proccio clinico quando gestiscono il disconfortdel paziente, le limitazioni determinate dallamalattia, le sue reazioni emotive, i processi diadattamento procedendo in autonomia. Men-tre su alcuni problemi sono autonomi, su al-tri collaborano o dipendono da altre profes-sioni, come ad esempio quella medica. Tutta-via, in molte circostanze, anche quando appli-cano decisioni assunte da altri (ad esempio laterapia), gli infermieri continuano a decidere(ad esempio, il momento migliore per som-ministrare un farmaco). Questo accade anchein altre professioni.La differenza tra le cliniche è molto chiara:tuttavia, proprio perché sono molte, tantequanti sono gli operatori sanitari che gesti-scono il paziente, la questione rilevante da af-frontare è la loro integrazione. Sull’integra-zione delle cliniche - e non tanto sulla lorodifferenziazione - sarà necessario rifletteremolto in futuro per sperimentare strategieche “tengano insieme il contributo offerto nel-la cura del paziente da tutti gli operatori”.Ta-li strategie potrebbero basarsi su:

fermieri hanno affinato le loro abilità diagno-stiche (anche attraverso scale di accertamen-to dei problemi dei pazienti) e stanno poten-ziando quelle di decisione sulle migliori scel-te assistenziali. La loro clinica, come vedremopiù avanti, non riguarda la patologia che ri-mane di esclusiva competenza medica.La clinica è anche l’insegnamento della dia-gnostica e della terapia al letto del malato.Vie-ne insegnata e appresa nella pratica confron-tandosi con i singoli pazienti: l’insegnamentodella clinica, infatti, non riguarda mai il collet-tivo (“a tutti i pazienti con sondino naso-ga-strico deve essere fatto così”); non riguardamai l’aula (“oggi impariamo a sviluppare il pia-no di assistenza per il paziente con ictus”) enon riguarda mai le routine assistenziali (“aipazienti ricoverati deve essere fatta la terapiaentro le ore 9.00 del mattino). L’insegnamen-to della clinica avviene nei tirocini, quando lostudente si confronta con il paziente che pren-de in carico. La clinica, pertanto, comprendel’insegnamento e l’assunzione di decisioni in-fermieristiche sul singolo paziente. Per que-ste ragioni potremmo affermare che la clini-ca infermieristica esiste; che è recente, e chesi compone di più livelli: quella iniziale, garan-tita dal novizio; quella esperta, dopo 3-5 annidi pratica e quella avanzata.

Quali sono i metodi e le conoscenzeche utilizzano gli operatori mentrefanno “clinica”?Gli infermieri e agli altri operatori, quandofanno clinica, adottano un metodo: attraversoil metodo, individuano i problemi e assumo-no le decisioni applicando le conoscenze ap-prese nei percorsi formativi di base e conti-nui e con l’esperienza. La clinica si basa sullametodologia clinica infermieristica (processodi nursing) attraverso cui gli infermieri appli-cano le conoscenze derivate da molti saperi(quelli propri e quelli provenienti da altre di-scipline). Un approccio “clinico” richiede in-fermieri allenati ad individuare problemi ed adecidere gli interventi: la componente del pro-

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• una “filosofia” condivisa ai problemi deipazienti (ad esempio secondo il modellopatient-centre);

• un modello formativo che mette insiemegli studenti di diverse professioni durantei tirocini, a discutere sui problemi dei pa-zienti (ad esempio discussione di casi, la-boratori integrati);

• strumenti informativi capaci di integrareil contributo di più operatori (come adesempio l’uso di cartelle integrate);

• modelli organizzativi capaci di offrire mo-menti e strategie di integrazione (audit, di-scussione di casi).

Tutta “l’assistenza” è “clinica”?Non tutto ciò che fanno gli infermieri può es-sere considerato “clinica”. Quando gestisco-no l’alimentazione di un paziente stabile, adesempio,non fanno clinica ma assistono.Quan-do invece accertano la disfagia e decidono l’a-limentazione da garantire (solida, semisolida oliquida) a un paziente appena accolto con ic-tus, fanno clinica. Per questo, non tutta l’assi-stenza è clinica.Molto lavoro svolto dagli infermieri oggi nonè clinicamente rilevante. Questo dipende damolti fattori associati alla storia dell’infermie-ristica, alle basi della disciplina, ai percorsi for-mativi solo da pochi anni inseriti in università,ma anche alla normativa che fino a poco tem-po fa confinava l’infermieristica ad un ruoloausiliario.Gli infermieri fanno clinica ogni qualvolta as-sumono decisioni sui pazienti; tutte le volteche gestiscono il paziente senza assumere de-cisioni, fanno assistenza.Va segnalato, tuttavia,che in molte circostanze anche quando de-mandano atti assistenziali ad altri operatori(come ad esempio agli operatori socio sani-tari), gli infermieri attivano la loro competen-za clinica per rivalutare e monitorare le con-dizioni del paziente.

Quale dovrebbe essere lo sviluppodella clinica infermieristica nei diversilivelli della formazione di base e avan-zata?La clinica, se intesa come metodo, è unica.Non si differenzia. Non è diversa dal punto divista metodologico, infatti, la clinica esercita-ta da un medico di base, internista o da unospecialista in endocrinologia.Tuttavia, si modi-ficano le capacità di accertamento e di ge-stione dei problemi.Ad esempio, gli infermieri possono saper ge-stire la ritenzione urinaria in un paziente conictus; ma non è loro richiesta la capacità di ac-certare e gestire una rieducazione vescicalenel paziente mieloleso. Mentre la prima com-petenza clinica appartiene a tutti gli infermie-ri, la seconda a pochi. La clinica si articola sudiversi livelli in base a) alla complessità deiproblemi gestiti; b) ma anche alla capacità didecidere interventi (che è correlata alle atti-tudini, alle conoscenze specialistiche, all’espe-rienza..).Con la Laurea, gli infermieri si sperimentanonella gestione clinica dei problemi di salute piùfrequenti; con il Master, specializzano la loroesperienza acquisendo conoscenze per avan-zare in un campo assistenziale specifico.Con la Laurea Specialistica, invece, dovrebberosviluppare capacità metodologiche di ricerca.La clinica, infatti, è sostanzialmente un atteg-giamento di ricerca: di quell’operatore che, in-quieto di fronte ai problemi del paziente cheassiste, desidera ricercare, approfondire, capiree risolvere. Molte delle conoscenze necessarieall’agire infermieristico non sono ancora di-sponibili; molti problemi dei pazienti non sonoancora del tutto misurabili, descrivibili, com-prensibili. In analogia, molti interventi assisten-ziali non sono ancora verificati nella loro effi-cacia. Questa è la grande sfida delle professio-ni che hanno a che fare con la grande variabi-lità umana. La Laurea Specialistica non dovreb-be allenare la clinica di per sè, ma aiutare adaprire lo sguardo alla ricerca infermieristica ap-plicata ai problemi dei pazienti.

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parte della Clinica o sono discipline distinte?L’assistenza di tipo infermieristico (pulizia delmalato, sua alimentazione …) fa parte dellaclinica consistendo, in ultima analisi, nella cu-ra diretta del paziente? In definitiva quali so-no le caratteristiche essenziali di ciò che chia-miamo clinica?

2. Quali rapporti ha la Clinica con lealtre discipline mediche? Lo studente - e forse anche qualche docente- ha difficoltà a comprendere cosa differisce laclinica (attualmente:medicina interna) dalla no-sografia medica (attualmente: patologia siste-matica) e tende a considerarle sovrapponibilisino a studiarle dalle stesse fonti bibliografiche(dagli stessi testi).Come si attua il collegamentotra patologia sistematica e clinica?

3. La clinica è scienza? Si suole dire che la clinica è la scienza dell’in-dividuo. Questa affermazione ha un vago sa-pore di contraddizione in termini. La scienzainfatti ha lo scopo di formulare leggi genera-lizzanti, che siano in grado cioè di essere ap-plicate - al limite - a tutti i fenomeni del me-desimo ordine: la legge della caduta dei graviè applicabile a tutti i gravi; la legge sulla som-ma degli angoli di un triangolo è applicabile atutti i triangoli e così via.Appare quindi ano-malo il parlare di scienza dell’individuale. Inche misura quindi la clinica può dirsi scienzao scientifica? Quali ripercussioni ha questoaspetto sulla didattica e sulla formazione cli-nica? E’ possibile insegnare qualche cosa chemuta di volta in volta?

4. Ha posto la clinica nella forma-zione infermieristica?Esiste una clinica infermieristica? Quali sonoi rapporti tra assistenza e clinica?

5. Come insegnare la clinica.Quali sono i contenuti della clinica e quali lemetodiche di apprendimento della clinica? Co-me si fa ad insegnare una disciplina non basa-ta su generalizzazioni? Sui risultati delle discussioni si rinvia alle re-lazioni degli Animatori dei vari Gruppi.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALEWong TKS, Ching JWY. Diagnostic reasoningprocess using patient simulation in differentlearning environments. J Clin Nur 2002;11:65-72;Benner P,Tanner A.Chesla C.Expertise in nur-sing practice. Caring, clinical judgment andethics.USA:Springer Publishing Company,1996,pg. 2.Grobe S, Drew J. Fonteyn M. A descriptiveanalysis of experienced nurses’ clinical reaso-ning during a planning task. Res Nur Health,1991; 14: 304-314;Pesut DJ, Herman JA. Metacognitive skills indiagnostic reasoning: making the implicit ex-plicit. Nur Diag, 1992; 3(4): 148-154;Grenner D. Clinical judgment in nurse-midwi-fery: a review of the research with implicationfor education. J Nur- Midw 1988; 33(6): 261-268;Di Giulio P, Renga G, Saiani L (a nome delgruppo) Modelli e metodologie o anche clini-ca nella Laurea specialistica in Scienze infer-mieristiche? Assistenza Infermieristica Ricer-ca, 2003; 22(1): 19-26.

Sintesi conclusivaCesare Scandellari

Università di Padova

I quesiti posti ai vari Gruppi di discussione so-no stati i seguenti:

1. Cosa si deve intendere per clinica? Il Dizionario Treccani della lingua italiana, allavoce clinica riporta che nell’accezione comu-ne della parola, "clinica" indica la parte dellescienze mediche indirizzata allo studio diret-to del malato e al conseguente trattamentoterapeutico. Come secondo significato, clinicaindica il luogo destinato allo studio delle scien-ze mediche ed alla cura degli infermi. Questedefinizioni sono adeguate a caratterizzare l’es-senza della clinica? La Semeiotica Medica, laRadiologia, la Medicina di Laboratorio fanno

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Come sintesi finale ritengo qui utile riportare ilconfronto tra diverse opinioni, sulle quali sarebbeimprudente – oltre che presuntuoso – cercare didare risposte definitive. Quanto qui riportato ètratto da un confronto tra opinioni espresse daLuciano Vettore e il sottoscritto, confronto reso di-sponibile in forma più colloquiale nel forum delsito della Società.

Cesare: «Prima di iniziare a discutere, mi sem-bra utile un'altra domanda riguardante la cli-nica: l'occhio clinico rientra nella didattica del-la clinica? E perché?»

Luciano: «E allora veniamo alle domande po-ste da Cesare e ai tentativi di risposta che tut-tavia vogliono rappresentare anche nuovi sti-moli alla discussione.»

1. Cosa si deve intendere per clinica? La Semeiotica Medica, la Radiologia, la MedicinaLaboratorio, l'Anatomia Patologica fanno parte del-la Clinica o sono discipline distinte? In definitiva quali sono le caratteristiche essen-ziali di ciò che chiamiamo clinica? Ritengo che oggi il significato concettuale diClinica vada allargato a tutto ciò che riguardala cura del malato: il curare come percorso cheporta dalla rilevazione del problema di salute,manifestato nei sintomi e nei segni (non soloanamnestici e obiettivi, ma anche laboratoristi-ci, isto-patologici e strumentali), alla diagnosi,alla prognosi, alla terapia e alla riabilitazione,nonché alla prevenzione (soprattutto secon-daria); e oltre al curare il prendersi cura comerapporto integrale (psicologico, affettivo, co-municativo, etico, deontologico ecc.) tra cu-rante e curato. Insomma la Clinica oggi vede ilragionamento diagnostico e l'esercizio del me-todo clinico come una delle parti che conno-tano la Clinica, ma non più come il suo mo-mento principale o più nobile; non è più pre-valentemente lo studio del malato per l'identi-ficazione della sua malattia, ma anche e so-prattutto il suo trattamento (nel senso ampiodella locuzione anglosassone "management"),

che ovviamente comprende anche lo studio equindi una forte componente cognitiva.

L’assistenza di tipo infermieristico (pulizia del ma-lato, sua alimentazione …) fa parte della clinica,consistendo in ultima analisi nella cura diretta delpaziente? Nella misura il cui la Clinica si declina anchenel prendersi cura, cioè in una relazione diaiuto, comprende ogni tipo di assistenza: in-fermieristica, riabilitativa,dietologica, ecc.D'al-tra parte la parola clinica deriva dal greco kliné,che significa "chinarsi sul letto" (cioè pren-dersi cura del malato).Va inoltre considerato che qualsiasi atto del"prendersi cura" è anche curare; e comunquenon si esaurisce nell'esercizio di un compitogestuale o relazionale, ma presuppone sem-pre un fondamento culturale frutto di studioe ricerca (anche scientifica) e comporta unaresponsabilità decisionale; tutte queste com-ponenti nella loro sintesi costituiscono l'attoclinico.

2. Quali rapporti ha la clinica con le altre disci-pline mediche? Come si attua il collegamento tra patologia si-stematica e clinica? La nosografia, che assieme alla fisiopatologiacostituisce l'essenza della cosidetta "Patologiasistematica", nasce dall'esperienza clinica e siripropone una sistematizzazione descrittivadei fenomeni clinici sulla base delle conoscenzepiù aggiornate (evidence based quando sonodisponibili, e quando non lo sono proponen-do ipotesi verosimili d'interpretazione dei fe-nomeni biologici); sono conoscenze con con-tenuto eziopatogenetico, fisiopatologico e diapproccio preventivo,diagnostico, terapeuticoe riabilitativo. Di fatto le descrizioni nosogra-fiche sono una rappresentazione "cristallizza-ta" di quanto si conosce sulle malattie, basa-ta sulla scienza e sull'esperienza. Alla noso-grafia appartengono i testi, i trattati, i manua-li, ma anche le pubblicazioni scientifiche di ri-cerca clinica che danno una lettura per lo più

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che non consentono in via definitiva approc-ci di natura riduzionistica (i sistemi comples-si perdono in parte la loro "veridicità" quan-do i fenomeni vengono semplificati in formadi modelli paradigmatici).Tuttavia il metodo clinico, come quello scien-tifico, osserva i fenomeni, li descrive, cerca diinterpretarli in via ipotetica in relazione alleconoscenze esistenti formalizzate in modelli,prova a confutarli con argomentazioni ipote-tico-deduttive e con le decisioni conseguenti(anche le strategie diagnostiche comportanodecisioni), per ridurre quali-quantitativamen-te il ventaglio possibile delle interpretazioni,così da giungere a livelli di conoscenza checonsentano decisioni operative assennate equindi almeno probabilmente efficaci.

4. Ha posto la clinica nella formazione infermie-ristica? Esiste una clinica infermieristica? Quali sono i rap-porti tra assistenza e clinica? La risposta è sicuramente positiva e si giusti-fica con quanto finora affermato; la differenzatra clinica medica e clinica infermieristica siriferisce sostanzialmente agli ambiti di appli-cazione.Evidentemente una risposta più articolata po-trebbe venire espressa da chi ha esperienzadiretta dell'esercizio della clinica infermieri-stica; mi auguro pertanto che intervenga nel-la discussione qualcuno in ciò direttamenteimpegnato.

5. Come insegnare la clinica? Quali sono i contenuti della clinica e quali le me-todiche di apprendimento della clinica? Come sifa a insegnare una disciplina non basata su ge-neralizzazioni? L'insegnamento e l'apprendimento della clini-ca – se è accettabile quanto finora espresso– possono realizzarsi soltanto mediante la so-luzione di problemi clinici reali (o almeno rea-listici), opportunamente proposti e affrontaticosì da aiutare i futuri professionisti della sa-lute (non solo medici) ad acquisire e a eser-

epidemiologico-statistica e non individuale de-gli eventi/fenomeni clinici e delle loro inter-pretazioni.La clinica riguarda i problemi di salute dellepersone singole, problemi che sono - qualepiù, quale meno - complessi; ne ricerca e nepropone un'interpretazione basata sulle co-noscenze scientifiche, epidemiologiche e no-sografiche con il fine di consentire decisionidiagnostiche, terapeutiche, preventive e riabi-litative appropriate e adattate alla situazionespecifica, sempre diversa nella sua "unicità".Ha per questo una visione dove è possibileunitaria e complessiva, sempre di natura ipo-tetica e probabilistica, basata su osservazioniche si modificano nel tempo e nello spazio.Le decisioni hanno il fine di modificare, nei li-miti del possibile, e quindi sempre con il con-notato dell'incertezza – la storia naturale de-gli eventi patologici in atto.Tali decisioni ten-gono presenti gli esiti possibili in termini diprobabilità, basati sulle conoscenze esistenti ediventano operative valutando costantemen-te i rapporti tra i benefici attesi, i rischi pre-vedibili e i costi economici e umani, individualie sociali, complessivamente considerati e quin-di rilevanti anche sul piano etico.

3. La clinica è scienza? In che misura la clinica può dirsi scienza o scien-tifica? Quali ripercussioni ha questo aspetto sul-la didattica e sulla formazione clinica? E’ possi-bile insegnare qualche cosa che muta di volta involta? La clinica è una scienza "sui generis": può ten-tare generalizzazioni applicabili solo in via pro-babilistica e di verosimilianza, nella misura incui queste sono utili per l'applicazione di da-ti dell'esperienza a situazioni almeno appa-rentemente simili.Tuttavia il metodo clinico non differisce nellasostanza dal metodo scientifico, anche se hafinalità differenti perché si propone di risol-vere problemi singoli e almeno in parte sem-pre differenti l'uno dall'altro proprio in fun-zione della complessità dei problemi stessi,

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citare competenze e abilità anche operative(osservative, interpretative e decisionali).L'insegnamento e l'apprendimento della clini-ca hanno finalità prevalentemente metodolo-giche, schematizzabili nelle seguenti abilità ecompetenze:

- metodo generale di soluzione di proble-mi;- competenza nell'applicazione del metodoproprio del ragionamento clinico;- competenza e abilità nella soluzione diproblemi clinici specifici;- competenza e abilità nell'assunzione didecisioni appropriate in condizioni d'in-certezza in contesti definiti;- capacità di trasferire le conoscenze scien-tifiche al contesto interpretativo e deci-sionale nelle situazioni specifiche del sin-golo paziente (in ciò si sostanzia il valoredidattico e pedagogico della medicina ba-sata sulle prove di efficacia o EBM);- capacità di verifica e valutazione criticadei percorsi decisionali, di analisi formati-va degli errori e di correzione di tali erro-ri nelle decisioni.

Quest'ultimo quesito richiede nel dibattito fu-turo una considerazione più ampia di quellaqui proposta in modo molto succinto.

A proposito dell’ultimo quesito di Cesare sel'occhio clinico debba e possa essere insegnatoe appreso, in modo ancora più succinto e prov-visorio risponderei come segue: il cosiddettoocchio clinico è a mio avviso solo l'abilità diaccelerare i processi del metodo e dell'eser-cizio clinico; tale abilità si fonda in parte sudoti personali preesistenti, che credo consi-stano nella capacità di osservazione attenta,critica e non preconcetta, ma anche nel radi-camento di una cultura (non erudizione) me-dica; tali doti vanno, se possibile, aumentatema in questo momento non saprei dire in det-taglio come; l'occhio clinico si basa anche eforse soprattutto sull'esperienza pregressa,purché vissuta dal clinico con atteggiamentometacognitivo: perciò quello che i nostri stu-

denti debbono essere aiutati ad acquisire e aesercitare per tutta la loro vita coincide conil consiglio che Murri dava circa un secolo fa:"Avete bisogno di pensare, di riflettere, di ra-gionare ad ogni istante, se non volete rinun-ziare alla più utile delle prerogative umane.Non potete scegliere un concetto o l’altrosenza esaminarli tutti e senza dare finalmen-te un valore preponderante ad un argomen-to o ad un altro." E ancora:.“…. l’unica rac-comandazione illimitata, che vi facciamo, è diponderare tutto, di discutere tutte le opinio-ni, di non concedere alcun valore all’autoritàdelle persone: solo una critica sana e severadelle cose vi deve persuadere che siete nelvero. Per la nostra coscienza scientifica un os-sequio solo è legittimo – l’ossequio ai fatti ealla ragione. Ma importa molto di non scam-biare delle persuasioni personali poco giusti-ficate, come prove di lodevole indipendenzadi giudizio”.Queste affermazioni ricordano da vicino quel-le che un altro grande saggio, Bertrand Rus-sel, scrisse nel suo “decalogo” laico:“Non sen-tirti mai pienamente sicuro di nulla. ….. Nonportare mai avanti qualcosa nascondendo i fat-ti, perché essi si riveleranno da sé.…. Non in-durre mai la gente a non pensare con la pro-pria testa. ….. Non rispettare le affermazioniautorevoli altrui, perché troverai sempre un’af-fermazione autorevole opposta".

CesareSono d’accordo con Luciano che ciò che ab-biamo finora detto rappresenta solo “impor-tanti premesse” mentre l’obiettivo finale è quel-lo di discutere il “modo migliore di insegnareed appendere la clinica”. Ma per insegnare edapprendere bene la clinica, è necessario defini-re cosa dobbiamo insegnare ed apprendere. Larisposta che dà Luciano a questo interrogativo(cos’è la clinica) apre confini fin troppo ampi.Egli sostanzialmente dice che clinica è il “ma-nagement” del paziente nel senso più ampiodel termine, il prendersi cura. Ma a me sembra(devo essere polemico, altrimenti ci si ferma

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in quanto l’attività di assistenza può essere ap-presa anche per imitazione o secondo lineepreconfezionate di comportamento; ma chideve fare clinica deve acquisire – come affer-ma Luciano, mediante studio e ricerca – l’abi-lità e la capacità di risolvere problemi. [La di-stinzione potrebbe gettare una luce diversasull’utilità e la diffusione delle linee guida edella stessa evidence based medicine] Da que-ste premesse, risulta comunque chiara la ne-cessità che le modalità per una efficace di-dattica della clinica siano quelle indicate daLuciano e cioè il problem-solving ed ancor piùil problem based learning o PBL.Ma l’essenza della didattica clinica (essenzialei quanto peculiare ad essa) è costituita dal fatto che anche nella Clinica– disciplina caratteristicamente applicativa eidiografica – si deve riconoscere un impor-tante e peculiare settore di conoscenze si-stematiche costituito dalla Metodologia clini-ca, conoscenze che rappresentano la vera di-stinzione della clinica dalla patologia sistema-tica (differenza cui pochi docenti danno im-portanza).

Ma, a chiusura di queste brevi considerazioni,mi preme dare ragione dell’ultimo quesito sul-l’occhio clinico. E’ vero ciò che afferma Lu-ciano, citando Augusto Murri e Bertrand Rus-sel.A prima vista l’occhio clinico ha tutta l’ap-parenza dell’azzardo e suscita la diffidenza chesi deve provare verso le affermazioni apodit-tiche.Ma se è vero che Murri parlando dell’occhioclinico disse: “L’occhio medico, l’istinto, l’in-tuizione clinica, la divinazione sono frasi di unvalore inestimabile per coloro che debbononascondere la propria incapacità a osservaree a ragionare correttamente” potrei contrap-porre a queste affermazioni con un altro pas-so tratto dalle sue Lezioni cliniche: “Quel fa-moso occhio medico che cos’è mai, se nonquesta facoltà di ricostruire bene?”. E quindi:che cos’è questo occhio clinico – potrei ag-giungere io - se non la capacità di riconosce-

subito…) che una definizione così ampia fini-sca per non essere una definizione (definire si-gnifica assegnare i limiti).Un punto che mi distingue da Luciano è quel-lo in cui afferma che ogni tipo di assistenza,in quanto parte del prendersi cura del mala-to, è clinica. Certamente la clinica non è solodei medici, ma nella mia mente corrisponde aun ben preciso aspetto del curare e del pren-dersi cura.Con tutto il rispetto per l’opera del portan-tino o dell’autista dell’ambulanza che trasportad’urgenza il paziente al pronto soccorso, nonritengo che questo rientri nella clinica pro-priamente detta. Eppure sia il portantino chel’autista d’ambulanza si prendono cura del pa-ziente. A mio parere, queste attività rientra-no nell’ “assistenza” al malato ed io ritengoche clinica ed assistenza siano attività diffe-renti.Sono d’accordo quando Luciano dice che pren-dersi cura richiede un fondamento culturalefrutto di studio e ricerca; ma la caratteristicavera della clinica è individuata nella frase se-guente: la clinica comporta una responsabilitàdecisionale. Il che porta alla definizione chedarei dell’attività clinica: ricerca e tentativo dirisoluzione di un problema di salute di un in-dividuo.Perché possa essere caratterizzata co-me clinica, un’attività deve: applicarsi alla ri-soluzione di un problema di salute del singo-lo individuo.L’assistenza si occupa del singolo individuo,ma non si occupa della soluzione di proble-mi. Chi fa assistenza, opera non dico automa-ticamente, ma senza dover scegliere tra di-verse opzioni. Concordo quindi con l’affer-mazione che anche l’infermiere può fare cli-nica, ma lo fa solo quando nel suo campo, sitrova di fronte a un situazione che richiedeuna decisione. Pulire un paziente è assisten-za; decidere se a un paziente che ha inconti-nenza conviene mettere un catetere a per-manenza è clinica.La distinzione, secondo me, è importante, an-che sul piano didattico e dell’apprendimento,

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re a un rilievo clinico di apparente poca im-portanza il suo reale valore segnaletico chepuò essere così elevato da costituire elementodecisivo per la diagnosi finale? Forse che Mur-ri non indicò al suo aiuto Silvagni – che nonl’aveva notata- una lievissima iniziale deviazio-ne della rima orale, in base alla quale diagno-sticò un tumore cerebrale? Forse che non ad-ditò ai suoi scolari la mirabilissima diagnosi diOppolzer il quale “dall’aver veduto in un uo-mo che i testicoli non erano fra di essi nel-

l’ordinaria relazione di livello inferì che quel-l’uomo doveva avere anche i visceri internianormalmente situati”?Visto sotto quest’aspetto, il cosiddetto occhioclinico non è di per sé oggetto di insegna-mento, ma può rappresentare un buon esem-pio e un ottimo esercizio di applicazione delprincipio metodologico del valore segnaleticodei rilievi clinici: a riprova dello stretto colle-gamento tra didattica della metodologia e di-dattica della clinica.

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re e da privilegiare giustamente come mo-mento e occasione per fare il punto sullo sta-to dell'arte e per lanciare ulteriori traguardi.

Sono stati così affrontati i seguenti temi:- La formazione residenziale: potenzialità elimiti;- le competenze professionali e la forma-zione continua del personale sanitario;- lo sviluppo professionale continuo: anti-tesi, complemento o evoluzione dell’edu-cazione continua in medicina (ECM)?- Originalità pedagogica della formazione adistanza e dell'e-learning

Ogni tematica, ampiamente preparata nei la-vori precongressuali a tutti resi accessibili, èstata analizzata in sessioni operative con grup-pi di lavoro congressuali animati da personeesperte in formazione e contemporaneamen-te sperimentate sul campo proprio nelle te-matiche loro affidate. Queste competenze ela assertività dei partecipanti erano a priorigaranzia di risultato.Per la ricchezza del materiale prodotto nonè possibile trarre sintesi migliore di quella cheogni gruppo ha consegnato ai partecipanti.

La formazione residenziale:potenzialità e limiti

Giacomo DelvecchioOspedali Riuniti di Bergamo

Elisa Bosticcastudentessa, Corso di Laurea in Ostetricia

Università di Genova

Due narrazioni a confronto.1a narrazione: l’animatore.Il gruppo di lavoro si è costituito sulla scortadi scelte individuali ed è risultato compostoda 12 persone tra le quali vi erano in preva-

Introduzione al temaLuciano Vettore

Commissioni ECM della Regione Venetoe della Provincia Autonoma di Trento

Giacomo DelvecchioOspedali Riuniti di Bergamo

La formazione permanente dei professionistidella sanità è una necessità e un obbligo:deon-tologico prima e ora, stante il sistema nazio-nale ECM ormai a regime sia pure con mol-te pecche, di fatto anche "legale".I tumultuosi cambiamenti avvenuti nelle co-noscenze e nelle organizzazioni della sanitàimpongono un continuo adeguamento a nuo-vi standard professionali cui si risponde ade-guatamente solo con la formazione.Per questo la formazione permanente dei pro-fessionisti non è solo una necessità e un ob-bligo ma è anche un diritto per chi lavora.Non dobbiamo e non possiamo però na-sconderei la realtà: la formazione permanen-te dei professionisti nella sanità ha luci e om-bre. Di fronte a bisogni vi sono risposte: so-no però queste sempre adeguate e congruenti?Per cercare di dare alcune risposte non ba-nali a questo quesito, nel congresso si è vo-luto organizzare una sessione, quella conclu-siva,dedicata appunto ad alcuni aspetti cogentidella formazione permanente nella sanità ve-nendo incontro ad una tematica che costitui-sce il core culturale per una società liberalecome la SIPeM che ha nella sua mission pro-prio lo sviluppo continuo del professionista.Non è possibile in una sessione affrontare tut-to: una qualche scelta andava fatta.Si è pensato allora che tra i tanti argomentipassibili di interesse trasversale e non troppospecialistici ve ne fossero alcuni da privilegia-

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LAVORI DEI GRUPPI

4a SESSIONELa formazione permanente

dei professionisti della salute

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lenza medici da anni inseriti pienamente nel-la professione di clinici e di docenti speri-mentati sia in ambito universitario con stu-denti dei vari corsi di laurea che ospedalieroche territoriale e abituati pertanto all'incon-tro con MMG. Come ricchezza del gruppo vierano due studentesse del corso di laurea inostetricia e medicina che si sono costruttiva-mente animate nella discussione.È' semplicemente impossibile riferire anche insintesi la pienezza e la fecondità delle discus-sioni e degli spunti offerti, segno di una diffu-sa matura competenza formativa nei presen-ti. Di fronte ai numerosi e non facili quesitisuggeriti nella traccia di discussione, si è par-titi da una iniziale constatazione: la formazio-ne residenziale e stanziale, attività che preve-dono la presenza fisica continuativa dei do-centi e dei discenti sul luogo di formazionecon la possibilità di guardarsi negli occhi, rap-presenta di gran lunga la maggior offerta for-mativa per gli operatori della sanità in temadi educazione permanente. Infatti le proposteformative di altra natura e tipologia o non so-no ancora pienamente diffuse o accessibili, co-me la FAD e in genere l' e-Ieaming, o fannoancora fatica a prendere piede diffusamente,come è il caso della "formazione sul campo"prevista da alcune ma non tutte le regioni nel-l'ambito della regionalizzazione del sistemaECM nazionale attualmente vigente.Si è valutata fin da subito la complessità dellaformazione stanziale e la numerosità degli at-tori in campo,ognuno portatore di specifici in-teressi e di specifici diritti e doveri che vannotutti, nel mondo ideale ma anche in quello rea-le per lavorare se non all'eccellenza almenocon qualità, riconosciuti e soddisfatti: discenti,docenti,promotori,committenti,provider,spon-sor, organizzatori scientifici e infine, non ulti-mo certamente, il malato-utente-cliente-frui-tore del servizio di salute che alla fine vieneerogato passando, prendendola alla lunga manon tanto, attraverso il sistema della forma-zione permanente in sanità.A questo punto pur accorgendoci di essere

entrati in pieno nella spirale formativa e ri-conoscendo che per correttezza si sarebbedovuti partire dall'analisi dei bisogni, ci si è in-dirizzati invece con decisione all'ultimo deiquesiti e si è deciso di affrontarlo per primocercando una soluzione su cui tutti si con-cordasse.Nella ricerca della figura più idonea tra gli at-tori sul proscenio della formazione residen-ziale per investire in ulteriore specifica for-mazione professionalizzante partendo dal fat-to che la formazione permanente del profes-sionista non può avvenire a spot fortuiti edoccasionali ma deve essere perseguita scien-temente secondo un progetto auto (ma an-che etero) programmato dentro e fuori l'au-la con richiami periodici e in set adeguati, perla sua importanza educativa, si è individuatacome centrale la figura dell'organizzatore del-la formazione.Questa funzione è costituita non necessaria-mente da un singolo individuo ma, se il caso,da un team di persone dotate di competen-ze integrate, tra le quali al primo posto devefigurare una competenza pedagogica (andra-gogica), una competenza tecnico-professiona-le e una competenza organizzativa. A questafunzione devono appartenere: competenze,come detto, ma anche aspirazioni e ispirazio-ni, fantasia, coraggio per esplorare dimensio-ni d'aula e dimensioni "altre" in maniera in-novativa, facendo dell'innovazione un model-lo da importare ed esportare dentro e fuorile università e i luoghi istituzionalmente de-putati alla formazione.La fantasia poi deve essere attiva nel seguirein tempo utile i bisogni di formazione che so-no sempre mutevoli ed in continua evoluzio-ne e a cui purtroppo si risponde, molte vol-te in sanità, con risposte burocratiche e/o sem-plicemente formali, ossia fornendo rispostemagari articolate ma prive però di una veravocazione formativa e quindi forzatamente fru-strante perché inevitabilmente inconcludentisul piano dei cambiamenti auspicati/auspicabi-li. Tra vincoli burocratici, di fondi e di tempo

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Due narrazioni a confronto.2a narrazione: lo studente.Nell'ambito del XIII congresso di pedagogiamedica sul tema dell'educazione in medicinami sono trovata ad approfondire, all'internodi un gruppo di lavoro eterogeneo e stimo-lante, il tema della formazione permanente inambito sanitario.Curiosamente, il gruppo di lavoro nato per di-scutere il tema della formazione residenziale,seguendo la spontaneità del dialogo e del con-fronto, ha affrontato poi con maggiore inte-resse l'argomento della tesi congressuale del-la quarta sessione (Formazione permanentedei professionisti della salute).Questo fatto dimostra, tra l'altro, quanto l'u-nione di persone diverse diventi uno stimoloa ricercare risposte ai bisogni dei singoli com-ponenti, piuttosto che adeguarsi agli schemidi lavoro proposti, scoprendone di nuovi, piùinteressanti ed avvincenti per tutti i membridel gruppo di discussione. Fin da subito ci sia-mo domandati da dove nasca la necessità diformazione continua e come possa realizzar-si concretamente.In ultima analisi essa sembra nascere da un"bisogno di cambiamento" inteso come ade-guamento del proprio livello di preparazionee conoscenza scientifica, e che sembra supe-rare i vincoli e la meccanicità della propria at-tività professionale e condurre l'operatore sa-nitario - medici, ostetriche, infermieri o do-centi - verso nuovi stimoli di crescita ed ag-giornamento.Ma come si definisce questo" bi-sogno" di cambiamento?Se è vero che esso nasce dalla ... "crescita del-le conoscenze, sia teoriche che applicate, edallo sviluppo impetuoso della tecnologia ... "al fine di ottenere un operatore sanitario com-petente e rigoroso (che abbia capacità orga-nizzative e il rigore di un metodo scientifico)è pur vero che l'attuale formazione continuanon risulta esaustiva della reale necessità del-l'operatore sanitario: è possibile cioè immagi-nare un operatore che accanto ad una pre-parazione scientifica accurata e aggiornata svi-

e opportunità della formazione permanente,non vi sono stati dubbi: per il gruppo di lavo-ro vince per la sua pregnanza o per la sua ur-genza il bisogno formativo, e per questo laformazione deve essere centrata su chi ap-prende, sempre e in ogni caso anche modifi-cando (con coraggio) in corso d'opera (in au-la) il progetto iniziale. Non ci si è nascosti,sempre a partire dai bisogni e dalla burocra-tizzazione della formazione, il problema dellavalutazione finale che deve essere valutazio-ne di ricadute e quindi valutazione di compe-tenze ricadute a loro volta sul malato, desti-natario finale di ogni intervento di cura pre-parato e anticipato dall'intervento formativo.A questo punto una domanda è stata solle-vata:quando comincia la formazione continua?Dopo alcuni saggi tratti dalla personale co-noscenza della letteratura al riguardo, il grup-po, anche con l'apporto al riguardo fornitodalle studentesse presenti, si è accorto chein realtà la formazione continua, che non ve-de mai la fine, ha inizio già nella formazionedi base, ma non come continuità con questa,bensì come consapevolezza della necessità didare forma compiuta ad una professionalità.Quando, con le parole di Carlotta studen-tessa al IV anno del corso di laurea in me-dicina a Genova hostess del convegno e con-temporaneamente membro del gruppo, "tisembra di essere qualcosa che non sei", lì, al-lora, inchiodati da questa consapevolezza, co-mincia per ognuno la formazione continuapersonale.Ecco che allora dal senso di inadeguatezza,vissuta individualmente e/o socialmente, na-sce il bisogno formativo che viene soddisfat-to per due vie: la prima quella dell'obbligo; laseconda quella del piacere. Il piacere di stu-diare per studiare, l'epistemofila, è la spintamotivazionale alla formazione permanente; ilpiacere di studiare per studiare è la spinta mo-tivazionale al cambiamento che lavorando sulpotenziale delle persone permette addirittu-ra, come è stato detto da autorevole mem-bro del gruppo, "di far esplodere il sistema".

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luppi anche quelle doti di comprensione, em-patia, sim-patia (sun-pathos) così fondamen-tali nella relazione di cura? E ancora, è possi-bile promuovere nell'operatore la coscienzadi tutto questo o meglio e-ducarlo verso que-sto traguardo? In altri termini può la forma-zione continua rappresentare, oltre che unmomento di acquisizione strettamente "tec-nica", anche un atto maieutico sull'operatore?Un operatore cioè che attraverso le sue ca-pacità di "scienziato" ma anche di "artista" sap-pia abbandonare la dimensione classica del-l'aula piuttosto che della corsia, e possa spe-rimentare nuovi percorsi di crescita profes-sionale e personale. E se è difficile poter pen-sare ad un clinico non scienziato, cioè che nonsi avvale del metodo scientifico, altrettanto dif-ficile è immaginare un clinico che non sia unpo' artista, inteso come cioè professionistacreativo flessibile e sensibile, che riesce tal-volta a intuire e percepire ciò che altri noncolgono.La formazione permanente inizia quin-di quando i bisogni mutano e diventa neces-sario educare al completamento ogni opera-tore sanitario. Ma che cosa è oggi la forma-zione continua, cosa dovrebbe essere o cosavorremmo che fosse?In questo senso si dovrebbe tendere ad un'i-dea di formazione intesa anche come piaceredove l'approfondimento diventa una sete di co-noscenza e non una corsa all'accumulo dei pun-ti o una costrizione imposta per ottenere ECMnecessari al proseguimento della professione.La necessità diventa desiderio, spinta emozio-nale ed intellettuale proprio perché c'è consa-pevolezza di non sapere e questo ci porta adiniziare una ricerca continua sulla via dell' ap-prendimento, del dialogo e dell'incontro. Que-sta tema mi ha fatto riflettere sull'importanzadi sentire intimamente lo stimolo verso il sa-pere e vivere questa strada di fatica e di stu-dio come passione per la propria professionecome ci insegna la filosofia, la cui etimologia "amore per la sapienza" indica il proposito di ri-cercare significati per il solo piacere di do-mandarsi ciò che ancora non si conosce e di

tradurre in atto tutte le nostre potenzialità co-gnitive. Nel caso specifico degli operatori del-la sanità questo desiderio di conoscenza im-plica, tuttavia, un pensiero più profondo e ap-plicabile alla quotidianità: l'amore per il desti-natario delle cure. La nobiltà della nostra pro-fessione è attivarci nello studio per poter ren-dere il processo di diagnosi e presa in cura ilpiù possibile appropriato ed adeguato con ilcompito di donarci all'altro mettendo a dispo-sizione noi stessi ed il nostro bagaglio di co-noscenze in continua evoluzione. Alla luce diqueste considerazioni mi piacerebbe pensarealla formazione continua come risposta ad unprepotente desiderio di apprendimento che na-sce dal sentirsi limitati e che porta ad una ri-cerca continua, alla voglia di apprendere conamore e curiosità ed alla speranza di una cre-scita incessante per diventare operatori migliorial servizio di chi ha bisogno.

Le competenze professionali e laformazione continua del

personale sanitarioTiziana Gandini

Azienda Ospedaliera Universitariadi Circolo Varese

Quali caratteristiche specifiche assu-mono le competenze in ambito sani-tario?Per competenze professionali si intendono uninsieme di conoscenze, capacità e caratteri-stiche individuali che interagiscono con la mo-tivazione e la volontà; si esprimono in perfor-mance adeguate al contesto lavorativo e so-no osservabili nei comportamenti.Le competenze si sviluppano solo attraversol’integrazione tra contenuti di diverse disci-pline, andando a ricercare nelle stesse quelloche serve in termini di conoscenze per poter“saper fare” una determinata attività. Esse in-cludono aspetti “procedurali” legati al riusci-re ad applicare quanto appreso: la capacità ap-plicativa è una competenza “altra” da svilup-

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sto. Quando la formazione si sposta, dall’aulaalla realtà operativa, ha anche la possibilità diintegrare le esigenze dell’organizzazione conquelle dei singoli. In tal senso attiva circoli vir-tuosi di riflessione-revisione della pratica permigliorarla anche attraverso la definizione diindicatori comportamentali che definiscono“la buona pratica” per gruppi professionali.La formazione sul “campo” favorisce l’ap-prendimento delle capacità perché permettealla conoscenza di esprimersi nell’azione; as-sicura l’espressione della competenza in ter-mini di performance; migliora la relazione tragli operatori perché chiarisce le competenzedi ciascuno; stimola la riflessione e quindi ilmiglioramento delle performance.

Esistono metodologie didattiche perfacilitare l’acquisizione di competenzeprofessionali nella formazione con-tinua del personale? E quali sono?Il metodo principale è la supervisione e con-sulenza sul “campo” perché permette di met-tere in discussione tutte le figure professio-nali (non solo alcune); attiva la possibilità dicambiare la pratica rimuovendo ad esempiogli ostacoli organizzativi che impediscono l’ap-plicazione delle competenze apprese; rende lepersone consapevoli delle loro carenze in ter-mini di competenze.La formazione sul campo è in grado di “libe-rare” la formazione continua dalle logiche del-l’ECM (aula/corsificio dipendenti); aiuta a tro-vare un senso nella formazione e motiva l’ap-prendimento (perché le conseguenze sonotangibili); sviluppa entusiasmo contagiante an-che agli operatori più resistenti al cambia-mento; riaggrega i contesti organizzativi chesono molto “provati”, aumenta l’efficacia del-la formazione perché c’è l’immediata applica-zione. Esistono dei vincoli quali il tempo ne-cessario, gli spazi adeguati, le risorse indi-spensabili e soprattutto un riconoscimento al-meno equivalente alla formazione d’aula (an-che a livello di ECM).Esistono anche altre metodologie didattiche

pare. Le competenze si articolano su più li-velli: di base e trasversali che possono essereconsiderate comuni a tutti gli operatori (es.la comunicazione), e tecnico-specifiche legatealla singola professionalità e contesti. Lo svi-luppo di queste ultime non è possibile se nonsono gia state acquisite quelle di base.Le competenze hanno una componente chedà un valore aggiunto alla prestazione che so-no le “caratteristiche individuali” difficilmen-te sviluppabili con una semplice formazionesono ad esempio la flessibilità, l’adattabilità,l’apertura verso l’altro, la consapevolezza dise. Le competenze sono in continua evolu-zione e si modificano nel tempo, per questoagli operatori si richiedono capacità di “rias-sestamento” e revisione delle stesse. Esse so-no fondamentali soprattutto nella formazio-ne continua dove dalle discipline si prende “ciòche serve per poter fare” Nella formazionecontinua il punto centrale non è la disciplinama la persona con le sue competenze.

Quali tipi di competenze professio-nali possono rientrare nella forma-zione continua dei professionisti del-la salute?Rientrano tutte le competenze pertinenti ri-spetto all’attività svolta e molto legate alle esi-genze del contesto. Sono quelle in grado disviluppare un “essere pensante”.Ad esempio le competenze comunicative, re-lazionali, empatiche,organizzative,cliniche,pro-gettuali e metodologiche.

Esistono relazioni tra formazione sulcampo e competenze?Esiste un forte nesso tra la formazione sul“campo” e le competenze professionali per-ché le stesse si deducono e si esprimono nel-le attività svolte. In particolare la loro identi-ficazione parte proprio dalle attività quotidia-ne attraverso una riflessione “su ciò che si fa”e successivamente su “ciò che serve”, in ter-mini di capacità, conoscenze e caratteristiche;per garantire delle attività adeguate al conte-

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utili per acquisire la competenze professiona-li come la riflessione sull’esperienza utilizzan-do focus group, la ricerca, la sperimentazione,i laboratori, i progetti…

Come monitorare e verificare l’ac-quisizione delle competenze profes-sionali?Osservando i comportamenti professionali ecoinvolgendo le persone direttamente me-diante l’autovalutazione, l’eterovalutazione, lavalutazione del cittadino che è il cliente fina-le del servizio erogato dai professionisti nel-la salute.

Originalità pedagogica dellaformazione a distanza

e dell’e-learningLuciano Vettore

Commissioni ECM della Regione Venetoe della Provincia Autonoma di Trento

Com’era peraltro prevedibile, la conoscenzadella formazione a distanza (FAD) da partedei partecipanti alla sessione si è dimostratapiuttosto limitata. Per definire in modo con-creto i livelli di conoscenza dei partecipanti alGruppo di discussione, tutti i presenti sonostati inizialmente invitati a indicare quali espe-rienze avessero avuto di formazione a distan-za, o almeno che cosa si aspettassero da que-sto approccio didattico.Le esperienze descritte non sono state mol-te e in ogni caso per nessuna di queste era-no riconoscibili i criteri che connotano le mo-dalità più avanzate di FAD, soprattutto nellesue applicazioni di terza generazione dell’e-learning.È pur vero che la maggior parte degli inter-venuti ha utilizzato il computer nelle proprieesperienze di FAD e nessuno ha riportato al-tre modalità di FAD. D’altro canto il compu-ter è stato generalmente usato solo per la co-municazione e/o la trasmissione di dati, e quin-di non come mezzo di vera partecipazione in-

terattiva ai processi di apprendimento. Inoltrenon sono emersi elementi significativi che in-dicassero l’utilità di funzioni tutoriali eserci-tate da soggetti dedicati specificamente a ca-talizzare e a mantenere le relazioni interper-sonali su obiettivi didattici definiti e condivi-si. Nell’esperienza della maggioranza dei par-tecipanti sono stati individuati i seguenti aspet-ti positivi della FAD: la possibilità del discen-te di accedere dal proprio domicilio alle fon-ti della formazione anziché essere costrettoa recarsi di persona nei luoghi di apprendi-mento, l’adattabilità dei tempi di apprendi-mento alle esigenze individuali e la rapiditàdelle comunicazioni propria dello strumentoinformatico.La maggioranza delle esperienze ha riguarda-to la possibilità di accedere dalla rete ai ma-teriali didattici, che peraltro spesso s’identifi-cavano in set di diapositive in PowerPoint, op-pure in testi scritti con le caratteristiche diappunti/dispense, scaricabili e stampabili a ca-sa propria. In altri casi la FAD si realizzava conla distribuzione a sedi decentrate dell’Istitu-zione formativa dei materiali didattici per lopiù sotto forma di videocassette, CD-rom oDVD, contenenti la registrazione di lezionifrontali svolte nella sede principale: in altri ter-mini una sorta di lezione a distanza “in diffe-rita”, senza alcuna possibilità d’interazione di-retta sincrona tra docente e studenti. Peral-tro si riconosceva almeno in via teorica chetale interazione sarebbe stata demandabile al-la corrispondenza via e-mail tra il docente ei singoli studenti e veniva descritta un’unicaesperienza di teledidattica con trasmissione adistanza e ricezione sincrona della lezione fron-tale, modalità che consentiva l’interazione di-retta tra gli studenti delle classi “periferiche”e il docente grazie a un sistema di videocon-ferenza. Altre situazioni riguardavano aspettipiù amministrativi che didattici in senso stret-to, con accesso telematico degli studenti aoperazioni di segreteria.L’analisi critica nel panorama esistente, peral-tro con molte caratteristiche comuni, ha reso

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percorribile in modo abbastanza facile per pas-sare dalla situazione attuale a un futuro in cuisoprattutto l’e-learning sembra destinata aun’ampia diffusione.

È comprensibile che l’uso del supporto infor-matico eserciti un certo fascino su chi si av-vicina alla FAD e c’è anche il rischio di con-siderare di qualità superiore una metodologiaformativa per il solo fatto che si avvale di mez-zi tecnologici più sofisticati di quelli tradizio-nali. La consapevolezza di questo rischio è sta-ta espressa abbastanza chiaramente nella di-scussione, ma è stato anche sottolineato dapiù parti che l’uso dell’informatica ha sensonella misura in cui aumenta effettivamente ilvalore pedagogico dell’offerta formativa: in-somma si è convenuto che non sono gli “ef-fetti speciali” della multimedialità a conferireefficacia alla formazione a distanza.In questa prospettiva costruttivamente criti-ca sono così emersi e sono stati sviluppati al-cuni concetti chiave, che provo a riportareschematicamente:

1) La FAD sotto forma di e-learning se puòrappresentare – come si è rilevato fin dal-l’inizio della discussione - un approccio ap-parentemente molto comodo perché con-sente al discente di attingere alle fonti infor-mative direttamente dal proprio domicilioo dal proprio posto di lavoro, può d’altraparte comportare qualche difficoltà prati-ca se l’utente non dispone di un collega-mento veloce. Nel secondo caso può na-scere qualche problema di gestione eco-nomica, anche se ormai i costi dei collega-menti ADSL stanno gradatamente dimi-nuendo in relazione alla crescita dell’offer-ta di mercato e della diffusione.2) L’e-learning in senso stretto necessita diuna “piattaforma” cioè di un software adhoc. Questo – oltre che possedere le ca-ratteristiche adeguate per la trasmissionedelle conoscenze e per la verifica del loroapprendimento,caratteristiche connotate da

consapevoli i presenti di come la FAD sia unamodalità didattica poco conosciuta,scarsamentediffusa, e soprattutto non sia generalmente ap-plicata in modo da sfruttare pienamente le suereali potenzialità pedagogiche, che non posso-no ridursi a meri livelli di comodità e/o di ra-pidità nella trasmissione di dati.Il tempo ancora disponibile per il lavoro delgruppo è stato allora dedicato a individuarele modalità potenziali di utilizzazione della FADin generale e dell’e-learning in particolare, conla ricerca delle sue caratteristiche peculiari dimaggiore valore pedagogico.Preliminarmente si è preso atto che la FADintesa in senso ampio non coincide obbliga-toriamente con l’e-learning, poiché può svi-lupparsi anche senza l’utilizzazione degli stru-menti informatici. Si è constatato come le po-tenzialità delle applicazioni elettroniche eser-citino sentimenti contrastanti di attrazione edi timore soprattutto nei docenti più influen-ti delle Facoltà mediche, i quali - anche perragioni d’età - incontrano spesso sensibili dif-ficoltà nell’affrontare logiche operative piut-tosto distanti da quelle tradizionali. Al con-trario, le giovani generazioni di discenti – eanche di docenti – usano lo strumento infor-matico con molta disinvoltura, e ciò fa preve-dere nel prossimo futuro un mutamento piut-tosto consistente dell’atteggiamento nei con-fronti di queste metodologie didattiche conuna loro diffusione rapidamente crescente.Si è convenuto inoltre che almeno alcune del-le tappe non marginali di un progetto di FAD,e precisamente quelle di acquisizione delle co-noscenze, possano svolgersi anche con stru-menti non informatici (per esempio su testicartacei) e che il computer possa venire usa-to per molta parte del tempo di formazionecome stazione fissa periferica per la letturadei CD-rom o dei DVD contenenti i mate-riali didattici. In questi casi l’accesso alla retepuò essere limitato ai momenti di trasmis-sione dei dati con modalità d’uso semplici egià praticate. Probabilmente questa modalità“mista” di FAD può rappresentare un ponte

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una grande flessibilità per adattarsi a esi-genze individuali molto differenziate – deveconsentire anche una serie di applicazioni dicontorno, funzionali al perfezionamento delprocesso formativo (per esempio forum dicomunicazione asincrona, rubrica per gesti-re un indirizzario di contatti, biblioteca perl'archiviazione di documenti, calendario oagenda per la gestione degli eventi e ap-puntamenti, bacheca per la segnalazione dinotizie, eventi, curiosità, posta interna, in-stant messaging per la comunicazione sin-crona (chat) tra gli utenti, sistema di feed-back e di raccolta dei suggerimenti da par-te dei discenti ecc.).Tale piattaforma, più omeno ricca di funzioni, s’impone come unostrumento irrinunciabile e sul mercato so-no disponibili parecchie offerte di buon li-vello tecnologico. Il problema relativo allasua adozione – che peraltro non riguardal’utente, bensì l’erogatore della formazioneo il provider - può essere di natura econo-mica, perché i costi per la fruizione o perl’acquisto di una buona piattaforma sono an-cora abbastanza elevati.3) Dal punto di vista pedagogico l’atten-zione prevalente non riguarda specialmen-te le caratteristiche tecniche della piat-taforma, quanto piuttosto l’uso che ne fachi allestisce e propone i “prodotti” for-mativi. Infatti, l’aspetto cruciale dell’e-lear-ning è dato essenzialmente dalle caratteri-stiche intrinseche alle offerte formative, al-le quali si deve richiedere un’elevata effi-cacia pedagogica (che forse qualcuno nelcontesto dell’ECM preferirebbe chiamare“andragogica”, avendo prevalentemente ache fare con la formazione del professio-nista adulto). Nella realtà proprio questecaratteristiche non sono soddisfacenti ingran parte delle offerte esistenti e la ra-gione fondamentale è da ricercarsi nel man-cato sfruttamento a fini didattici delle po-tenzialità che la tecnologia possiede perconferire una vera originalità pedagogica al-la FAD e in particolare all’e-learning.

4) Tale originalità deriva da peculiarità chepossono probabilmente sintetizzarsi in dueparole: problematicità e interattività.Trop-po spesso i prodotti di e-learning offertiper l’ECM si limitano a trasmettere nozio-ni, in modo non obbligatoriamente più ef-ficace di quanto potrebbe fare un libro.Alcontrario lo strumento informatico, se op-portunamente adoperato, potrebbe essereparticolarmente adatto a sviluppare nel di-scente abilità di “problem solver”. Soprat-tutto offerte formative ben strutturate po-trebbero far apprendere, non solo e nontanto, nozioni teoriche da memorizzare,quanto i modi per applicare tali nozioni conspirito critico per la soluzione – sia puresimulata - di problemi realistici incontratinell’esercizio professionale del discente.L’al-tro aspetto carente, oggi più comune del-l’e-learning, è il tipo e il grado d’interatti-vità: il processo di apprendimento troppospesso è confinato in un dialogo “solipsi-stico” tra il discente e il prodotto forma-tivo che - in modo del tutto impersonale- funge da docente. Al contrario uno deidue requisiti fondamentali, particolarmen-te adatto proprio allo strumento informa-tico, è dato dalla possibilità di un dialogostimolato dal prodotto formativo, sia purea distanza attraverso vie telematiche, conla persona del docente. Il secondo requisi-to facilitato dalla tecnologia informatica èquello di favorire i contatti – pure a di-stanza - tra i discenti con la possibilità diformare vere e proprie “classi virtuali”, nel-le quali i singoli componenti possono co-municare tra di loro in modo diverso manon meno valido di quanto dovrebbe veri-ficarsi nel contatto in presenza, ciò per laricchezza e la variabilità dell’interazione deipartecipanti al processo, interazione chenon subisce in questo approccio i vincoliimposti dalle condizioni logistiche. Insom-ma uno degli aspetti più originali e peda-gogicamente fruttuosi dell’e-learning con-siste oggi nella possibilità di costruire del-

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vi adeguati dal punto di vista sia docimo-logico che pedagogico: cioè test propostiin momenti diversi dell’iter di apprendi-mento e capaci da una parte di attuare unaverifica delle conoscenze apprese puntua-le, oggettiva, equa e riproducibile e dall’al-tra di fungere da stimolo all’apprendimen-to attivo, responsabile e in qualche misura“guidato” dal feed back immediato che pro-prio il sistema valutativo computerizzatopuò offrire al discente sulle sue aree di nonconoscenza.7) Infine, si è rilevato come la FAD nellesue possibili applicazioni – e forse in mo-do precipuo sotto la forma dell’e-learning– pur mantenendo le proprie prerogativenaturali di metodologia dell’apprendimen-to cognitivo, possa ben armonizzarsi conaltri momenti e altri contenuti didattici.Sembra infatti ragionevole che, soprattut-to nella formazione professionalizzante,pos-sa risultare molto fruttuoso un approccio“blended”, capace d’integrare conoscenze,competenze,abilità e comportamenti e quin-di obiettivi didattici teorici e pratici, grazieall’utilizzazione integrata di metodologie di-dattiche diversificate.Tra queste trova unospazio funzionale rilevante anche la FAD,soprattutto se essa può fruire delle op-portunità non solo tecnologiche, ma anchepedagogiche offerte dall’e-learning.

L’efficacia delle strategietutoriali nell’apprendimento del

ragionamento diagnostico:studio quasi sperimentale

Alvisa Palese1, Anna Brugnolli2, Carlo Vidotti1,Giampiera Bulfone1, Serena Perli2,

Antonietta Zanini1, Anita Bevilacqua2,Stefania Zuliani1, Claudia Tosolini1, Luisa Saiani2

Corso di Laurea in Infermieristica1Università degli Studi di Udine2Università degli Studi di Verona

le vere o proprie reti di apprendimento,nelle quali la valenza formativa si concre-tizza soprattutto nelle relazioni educativetra tutti gli attori del processo.5) Certamente quello dell’interazione a di-stanza tra i partecipanti è un processo com-plesso che va “governato” secondo regolee programmi appropriati. Diventa essen-ziale in questo contesto la disponibilità didue tipi di tutori – per lo più individuati inpersone differenti – con due funzioni di-versificate: l’aiuto di natura tecnico-infor-matica ai discenti in difficoltà applicative epratiche, e - ben più importante dal puntodi vista pedagogico - l’aiuto alle dinamicheinterattive di apprendimento che il tutorepuò e deve esercitare fornendo stimoli, po-nendo quesiti, fornendo strumenti e ma-teriali per l’apprendimento attivo, facilitan-do dialoghi dei discenti con i docenti e deidiscenti tra loro, ecc.Non ci si può nascondere che tale tipolo-gia di e-learning, che meglio incarna le po-tenzialità pedagogiche originali di questamodalità di FAD, richiede due condizioniche ne possono rendere critica la realiz-zazione: un costo economico elevato e ladisponibilità in numero sufficiente - in pro-porzione al numero dei discenti - di tuto-ri preparati ad hoc. La preparazione dei“tutori di facilitazione dell’apprendimento”riguarda infatti sia capacità metodologichedi natura prettamente tutoriale (apprendi-mento di gruppo in rete), sia di compe-tenza sui contenuti per guidare corretta-mente il lavoro dei discenti.6) Inoltre è indispensabile la progettazio-ne e l’attuazione di un sistema di verificadell’apprendimento, di tipo formativo in iti-nere e certificativo finale, capace di aiuta-re l’apprendimento e di attribuire i credi-ti formativi con la garanzia di una valuta-zione affidabile. Proprio le caratteristichedella piattaforma giocano un ruolo impor-tante nell’aiutare a proporre test valutati-

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BackgroundDal 1973, l’American of Nursing Associationha definito che la pratica degli infermieri si ba-sa su una metodologia clinica che si chiama“processo di nursing”. Il processo di nursingsi compone di più tappe (accertamento, indi-viduazione della diagnosi infermieristica; pia-nificazione degli interventi, attuazione e valu-tazione) e può essere rappresentato come uninsieme di fasi di problem solving (Sorensen& Luckman, 1981) interrelate e interdipen-denti, volte a risolvere i problemi dei pazien-ti. Gli infermieri possono lavorare sulla basedel processo se sviluppano abilità di ragiona-mento diagnostico,problem solving e decisionmaking (Barman Deber, 1989). La fase più cri-tica del processo è quella del ragionamentodiagnostico che prevede l’interpretazione deidati raccolti e la definizione della diagnosi in-fermieristica.Non sono ancora disponibili evi-denze sull’efficacia delle strategie didattichenell’apprendimento del ragionamento diagno-stico. Tuttavia, l’esperienza dei formatori im-pegnati suggerisce una certa rilevanza del sup-porto tutoriale nello sviluppo dei processi diragionamento diagnostico.

ObiettiviGli obiettivi erano quelli di verificare l’effica-cia del laboratorio e delle sessioni di debrie-fing realizzate da tutor esperti nell’apprendi-mento del ragionamento diagnostico.Materiali e metodi: è’ stato adottato un dise-gno di studio quasi sperimentale che ha in-cluso studenti del primo anno del Corso diLaurea in Infermieristica di Udine (gruppo A)e Trento (Gruppo B) che hanno dato il loroconsenso. Non sono stati inclusi gli studentia) stranieri con difficoltà linguistiche; b) cheavevano già svolto in passato funzioni assi-stenziali (ad esempio operatori di supporto ovolontari di sistemi di emergenza); c) fuoricorso; d) che non hanno partecipato al 70%delle attività didattiche proposte. Entrambi igruppi hanno seguito il Corso di Metodolo-gia Clinica nella propria sede, standardizzato

nei contenuti e nei metodi al fine di render-lo omogeneo. Gli studenti di Trento hanno se-guito anche un laboratorio successivo al Cor-so in cui si sono sperimentati nella metodo-logia clinica lavorando in piccoli gruppi su uncaso simulato.Entrambi i gruppi sono stati suc-cessivamente randomizzati a partecipare, du-rante i tirocini clinici, a sessioni di de-briefingsettimanali focalizzati sulla discussione di ca-si.Tali sessioni sono state condotte da tutoresperto.

StrumentiÈ stato costruito un caso assistenziale perti-nente al livello formativo del 1° anno e som-ministrato agli studenti in tre momenti diver-si: al Tempo 0, per misurare la capacità di ra-gionamento diagnostico spontanea; al Tempo1, dopo il corso di Metodologia Clinica (e illaboratorio correlato per il Gruppo B) e altempo 2 al termine dei tirocini del primo an-no (con o senza debriefing). E’ stato anchesomministrato un questionario per indagarela tipologia di ragionamento diagnostico uti-lizzato dagli studenti e le difficoltà incontrate.L’efficacia delle metodologie didattiche e’ sta-ta misurata come a) numerosità delle ipotesidiagnostiche individuate dagli studenti; b) nu-merosità dei dati avvaloranti/mancanti ripor-tati per supportare le ipotesi; c) numerositàdei problemi corretti individuati.

Analisi dei datiI dati raccolti sono stati analizzati con “SPSSversione 12.00”. Sono stati utilizzati: il testChi-Square ed ANOVA accettando un livellodi significatività p < 0.05.

Primi risultatiGli studenti inclusi (n.151) erano omogeneiper età, genere e background. Al tempo 0, ilGruppo A di confronto ha individuato più ipo-tesi diagnostiche rispetto al gruppo B tratta-to (6,41/media studente vs 5,29 media/stu-dente, p< 0,001). Tali ipotesi sono state sup-portate da un numero più elevato di dati con-

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risposta su come e perché può servire un Si-stema di Sviluppo Professionale Continuo(SSPC).Il gruppo ha “raccolto ed analizzato” espe-rienze di accreditamento in uso presso alcu-ne Regioni (Veneto,Emilia Romagna,Valle d’Ao-sta,Toscana, Marche, Prov.Aut. di Trento) perla valorizzazione della Formazione Sul Cam-po – FSC.Questa tipologia di formazione con-sente di “costruire dalle basi” un Sistema diSviluppo Professionale Continuo, attraversouna contestuale implementazione di un siste-ma di accreditamento continuo delle perfor-mance del professionista. La formazione sulcampo può rappresentare una quota rilevan-te delle modalità di formazione continua, conla possibilità di utilizzare per l’apprendimentodirettamente le strutture sanitarie, le compe-tenze degli operatori impegnati nelle attivitàassistenziali e le occasioni di lavoro.Si tratta di incentivare attività che sul pianodell’ impatto formativo e del miglioramentoorganizzativo si ritengono potenti e respon-sabilizzanti.In Veneto, ad esempio, vengono già accredita-ti progetti formativi riconducibili a 3 tipolo-gie di Formazione sul Campo: stage/tirocini,partecipazione a progetti di ricerca e di ri-cerca-azione, gruppi di miglioramento e di au-dit clinico. La valutazione del progetto forma-tivo per l’attribuzione dei crediti ai fini ECMviene determinata dalla correlazione di tre ele-menti:- presentazione del progetto completa di tut-te le caratteristiche richieste,- ricadute formative sulle competenze pro-fessionali e coerenza del percorso con gliobiettivi formativi dichiarati,- grado di coinvolgimento degli operatori (im-pegno temporale).Questo sistema (FSC) riconosce crediti ECMper lo sviluppo di capacità tecnico-professio-nali (abilità/skills), per lo sviluppo di esperien-ze organizzativo-gestionali e per tutta un’al-tra serie di occasioni formative e di crescitaprofessionale che esulano da quelle basate

validanti rispetto a quelli individuati dal grup-po B (11,67/media studente vs 9,57 media/stu-dente p<0,005). Al tempo 1, il gruppo A diconfronto continua ad individuare un nume-ro superiore di ipotesi diagnostiche (6,41/me-dia studente vs 5,29 media/studente,p< 0,001)ma individua un numero inferiore di proble-mi corretti (2,58/media studente gruppo A vs3,55 media/studente gruppo B p<0,002). An-che al tempo 2, gli studenti del gruppo A in-dividuano più ipotesi diagnostiche (p< 0,01)ma un numero inferiore di problemi corretti(p < 0,05) rispetto al gruppo B trattato.

ConclusioniPur nei limiti dello studio, la prima analisi evi-denzia che gli studenti che apprendono il ra-gionamento clinico attraverso un insieme distrategie didattiche basate sull’approccio tuto-riale, procedono in modo più selettivo ed effi-cace: individuano meno ipotesi diagnostiche maun maggior numero di problemi corretti.

Lo sviluppo professionalecontinuo: antitesi, complemento

o evoluzione dell’EducazioneContinua in Medicina (ECM)?

Lamberto PressatoMedico di Medicina Generale

Commissioni ECM della Regione Venetoe della Provincia Autonoma di Trento

La "pista di discussione" sul tema relativo allosviluppo professionale continuo ha generato unconfronto su alcuni quesiti problematici.L’assegnazione di crediti basata sulla parteci-pazione ad eventi congressuali, corsi e for-mazione a distanza può essere la sola e prin-cipale modalità di garanzia formativa? Il gruppo di discussione ha riconosciuto i “li-miti” dell’attuale sistema nazionale ECM,a cau-sa dell’offerta formativa accreditata spesso dimedio-basso impatto e, di conseguenza, privadelle sufficienti “garanzie formative” adeguateper un professionista. Positiva e propositiva la

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classicamente su di un rapporto docente-di-scente. In merito alla valutazione della perti-nenza dei percorsi formativi e di crescita pro-fessionale, rispetto all’attività svolta nel pre-sente e a quella che presumibilmente verràsvolta in futuro, sono stati prospettati dueaspetti essenziali.1) Come considerare una determinata azio-ne svolta dal professionista ai fini del proces-so di SPC; in altri termini, qualsiasi sistema diSPC formalizzato deve stabilire in qualche mo-do la pertinenza dell’evento rispetto all’atti-vità svolta e che presumibilmente verrà svol-ta in futuro: il peso di tale evento rispetto agliobiettivi posti dal sistema di SPC.2) Come e con quali metodi rendere verifi-cabile oggettivamente lo svolgimento dell’at-tività ed il risultato dell’attività medesima.Se tutti i sistemi attivi o allo studio si pongo-no l’obiettivo di dare risposta a queste que-stioni, assai diversi sono i metodi praticati pertendere ad esso. La questione della pertinen-za implica, ad esempio, la definizione di crite-ri per stabilire chi sia responsabile di valuta-re questa pertinenza, e conseguentemente chisia responsabile della definizione della pianifi-cazione dello sviluppo professionale continuoe della sua approvazione.Restano “aperte” le questioni che “impegna-no” le Istituzioni e le Professioni… ma appa-re ora necessario guardare “oltre l’ECM” sen-za disperdere l’esperienza acquisita, perchéesiste una reale necessità di garantire ai pro-fessionisti ed ai cittadini il mantenimento del-le competenze tecnico-professionali come pre-requisito per una buona qualità del sistemasanitario.

Curare la medicina ovveroeducare al cambiamento

Luciano VettorePast President SIPeM

Comincio leggendovi qualcosa scritto da altri:

Dietro i due dottori, il vecchio Grabow e il giova-ne Langhals, un membro della famiglia Langhalsche esercitava la professione da circa un anno, ilsenatore Buddenbrook uscì dalla camera da let-to della vecchia consolessa, passò nella stanzadella colazione e chiuse la porta.

«Per favore signori... un momento solo» dis-se -, e li condusse su per la scala, lungo il corri-doio e attraverso la galleria a colonne fin nellasala dei paesaggi, dove, per via del tempo au-tunnale e freddo, era già accesa la stufa «com-prenderanno la mia ansia... Si accomodino! Mirassicurino, se è possibile!»

«Corpo di Bacco,mio caro Senatore!» risposeil dottor Grabow, che col mento affondato nellacravatta, si era comodamente adagiato nella pol-trona e con tutte e due le mani si premeva con-tro lo stomaco la tesa del cappello, mentre il dot-tor Langhals, un signore bruno, tarchiato, con labarbetta a punta e i capelli a spazzola, due be-gli occhi e un'aria fatua, aveva posato il cilindroaccanto a se sul tappeto e si guardava le manipiccolissime coperte di peli neri…

«Per ora non c'è assolutamente alcun moti-vo di preoccupazione; capirà... quando una pa-ziente ha la relativa robustezza della consoles-sa... In fede mia, come medico curante conoscobene la sua forza di resistenza. Per la sua età èvera-mente straordinaria... glielo dico io... - Già, ap-punto, è la sua età che...» disse il senatore in-quieto, torcendosi le punte dei lunghi baffi.

«Naturalmente non le posso affermare chela sua signora mamma domani andrà a passeg-

LECTIO MAGISTRALIS

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segno; vi ho dato la rappresentazione lettera-ria della medicina "tradizionale" per non an-noiarvi con descrizioni particolareggiate e po-trei sintetizzare la metamorfosi con questafrase: "dal medico che osserva, si prende cu-ra, consiglia e consola, alla medicina che cam-bia scientemente e scientificamente le sortidel malato".Si badi bene che le parole usate vogliono so-lo descrivere due situazioni, per lo più in mo-do succinto e approssimativo, non esprimeresu di esse giudizi di valore, perché sarebbetroppo lungo, complesso e in fondo morali-stico attardarci su vizi e virtù che hanno con-notato e connotano entrambi i modelli di me-dicina, come del resto ogni opera dell'uomo.Io con voi voglio cercare di fare dell'altro: unqualcosa che può definirsi come "l'esservi te-stimone".Testimone di che cosa? Per l'appunto testi-mone di quella metamorfosi, perché la mia ge-nerazione di medici ha avuto la ventura di cre-scere di pari passo con la seconda forma omodello di medicina, ma di essere nata quan-do la prima stava per esalare l'ultimo respiro,essendo però ancora viva nei Maestri del tem-po. Dovrò stare bene attento a non vestire ipanni del vecchio noioso che racconta ai gio-vani come andavano le cose ai suoi tempi...;insomma non vorrei fare un "amarcord", mapiuttosto aiutarvi a leggere una realtà in evo-luzione attraverso un'esperienza vissuta.Perché in fondo questo è – secondo me - ilsenso di una lezione magistrale; non è certoquello che spesso rappresentano le nostre le-zioni: il riassunto più o meno completo, chia-ro e ben fatto di ciò che altri hanno detto edè già scritto sui libri o – per i più ardimento-si – sull'ultimo fascicolo di qualche rivistascientifica; non può essere nemmeno su temidi scienza un collage - asettico e senz'anima -di scoperte, conoscenze e pensieri altrui, an-che quando riporta il prodotto di ricercatorie pensatori di altissimo lignaggio; una "lectiomagistralis" all'inizio del terzo millennio nep-pure può avere la presunzione di "spiegare

gio» seguitò placidamente il dottor Grabow. «Nonse l'aspetterà neanche lei, caro Senatore. È inne-gabile che il catarro nelle ultime ventiquattr'oreha preso una brutta piega. I brividi di ieri seranon mi sono piaciuti affatto, e oggi abbiamo an-che qualche sfitta, e respiro alquanto affannoso.C'è anche qualche linea di febbre... poca roba,ma è sempre febbre. Insomma, caro Senatore, bi-sogna ammettere il fatto increscioso che il pol-mone è leggermente infiammato...».

«Polmonite, allora?» chiese il senatore guar-dando prima un medico e poi l'altro.

«Si, pneumonia!» disse il dottor Langhalscon un inchino rigido e compìto.

«Precisamente, una piccola polmonite de-stra» rispose il medico di casa «che cercheremocon molta cura di localizzare....»

«Dunque, vi sono serie ragioni di preoccu-parsi?» Il senatore, immobile, fissò negli occhi l'in-terlocutore.

«Di preoccuparsi?... Oh, come dicevo, dob-biamo preoccuparci di limitare l'affezione, di cal-mare la tosse, di combattere la febbre... beh', ilchinino farà il suo effetto... E poi un'altra cosa,caro Senatore... Non spaventarsi di fronte ai va-ri sintomi, siamo intesi? Se l'asma dovesse au-mentare un po', se di notte dovessimo avere unpo' di delirio, o domani qualche espettorato... leisa, quell'espettorato bruno-rossastro, che implicala presenza di un po' di sangue... Tutto ciò sa-rebbe logico, strettamente nel quadro c1inico, as-solutamente normale...»

Le ragioni della lectio: 50 anni di Me-dicinaIl brano appena letto è tratto da I Budden-brook di Thomas Mann e rappresenta, sia pu-re in modo parziale, l'essenza della Medicina;un'essenza che dalla sua nascita probabilmen-te si è mantenuta fino alla metà del secoloscorso: quella rappresentazione nei secoli enei millenni ha subìto alcuni restauri, ma il di-segno di fondo è rimasto immutato fino ap-punto alla nascita di quella che potremmo chia-mare la Medicina scientifico-tecnologica, cheha in buona parte modificato proprio quel di-

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concetti", tanto più di fronte a una platea diformatori, sostituendo la povertà della paro-la all'attuale dovizia mass mediatica. Penso in-vece, o meglio spero, che una "lectio" possadiventare "magistralis" senza prosopopea –cioè utile a chi l'ascolta - nella misura in cuidà testimonianza della lettura personale di fat-ti, fenomeni, riflessioni, reazioni, interpreta-zioni, sensazioni vissute con la mente, ma an-che con il cuore; questo con lo scopo di con-dividere almeno in parte questa esperienza,incuriosendo e stimolando chi ascolta a pen-sare, a reagire – sia pure silenziosamente - colconsenso o con il dissenso personale, per poiapprofondire a proprio modo i problemi chela "lectio" vuole – e deve – lasciare aperti. In-somma, quello che - forse troppo presuntuo-samente - io vorrei fare con voi oggi è ren-devi partecipi di una esperienza di conoscen-za e solo così trasformare lo stato di passi-vità in cui vi costringo ad ascoltarmi in un"challenge" fosse anche irritante, purché siauno stimolo a pensare con la vostra testa co-se possibilmente originali.Infatti non abbiate paura di essere originali,cioè non abbiate paura di pensare o dire co-se opinabili, come oggi io stesso farò, perchéBertrand Russel ha scritto nel suo decalogo:"Non temere di avere idee originali,perché tut-to ciò che oggi è accettato, è stato un tempoconsiderato eccentrico";e Karl Popper ha scrit-to: "Le idee strane, le attese ingiustificate e lespeculazioni sono i nostri unici mezzi per com-prendere la natura. Quelli tra noi che rifiutanodi esporre le proprie idee al rischio della refu-tazione non sono dei veri partecipanti al gio-co della scienza". Con questa presunzione iovorrei allora proporre una lettura critica per-sonale della storia evolutiva della medicina (so-prattutto della medicina clinica, ma anche del-le sue basi scientifiche) negli ultimi 50 anni, cioèdell'ultimo scorcio del secondo millennio nelquale si è avuta l'evoluzione più clamorosa eampia – sia per quantità che per qualità - del-la Medicina in senso lato (dalla biologia mole-colare al nursing); e vorrei proporre tale let-

tura guardandola attraverso le lenti della miastoria/esperienza di medico e il mio modo difare clinica e ricerca; questo attraverso l'anali-si sia pure veloce di alcuni "eventi sentinella",di alcuni "marcatori" di una realtà in cambia-mento tumultuoso.

Il "nodo" delle istanze terapeuticheSe penso ai miei anni giovanili di studente edi giovane medico – da collocare tra il 1958e la seconda metà degli anni '60 - l'aspettoche mi colpisce di più è: "LA TERAPIA".La Facoltà di Medicina ha coltivato negli "ap-prendisti stregoni" della mia generazione (maforse li sta coltivando tuttora) due interessiprevalenti:- l'accumulo di un grande numero di nozionisistematiche, sia precliniche che di patologia:impara la teoria; la pratica verrà (strada) fa-cendo.....- il fascino della "bella diagnosi", nella quale ilragionamento clinico sofisticato rappresental'elemento di maggiore attrazione (il Clinicoalla Sherlock Holmes).A fronte di queste suggestioni culturali, si po-nevano altrettanto imperiose per noi, ma nonper i nostri maestri,due esigenze/paure (che for-se durano ancora immutate nei giovani d'oggi):

- che cosa posso fare di utile per questomalato, di cui conosco benissimo – ma so-lo teoricamente – la malattia?- di quali armi terapeutiche posso dispor-re ? come si usano senza sbagliare e checosa posso aspettarmi da esse ?

A ben guardare, queste due istanze rappre-sentano il fondamento naturale della Medici-na, arte della cura: due istanze per lo più in-soddisfatte fino agli anni 50 per la mancanzadi mezzi efficaci; successivamente frustrate inmodo paradossale dalla progressiva sovrab-bondanza di mezzi terapeutici, per lungo tem-po non regolati da una "metodologia tera-peutica" capace di eguagliare in valore ed ef-ficacia la "metodologia diagnostica", la qualeda sola ha monopolizzato il metodo del ra-gionamento clinico.

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storia naturale delle malattie, ma anche lavita dei malati.

Il fenomeno più eclatante, tuttora sotto i no-stri occhi, è dato dalla "supplenza" esercitatanella produzione e nella diffusione delle co-noscenze terapeutiche da parte dell'Industriafarmaceutica (e oggi anche di quella delle bio-tecnologie), che rappresentano le entità piùpotenti – scientifiche, ma anche economiche- della medicina moderna.Bastano forse poche grosse pennellate per trat-teggiare in modo emblematico i ritmi evoluti-vi della medicina nell'ultimo mezzo secolo:

Ma perché si è creata e anche si è mantenu-ta questa discrepanza ?

1) Per l'ingresso della chimica nella medi-cina, cioè per la nascita della terapia far-macologica, che è cresciuta a dismisura inmodo tumultuoso e disordinato2) Per il ritardo culturale della Clinica (omeglio dei Clinici, almeno di quelli italiani),persistentemente abbagliati dal fascino del-la diagnosi brillante e sprovvisti di un me-todo rigoroso per maneggiare armi potenti– soprattutto farmacologiche – di fatto ca-paci di modificare nel bene e nel male la

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TABELLA 1. Principi attivi “efficaci” disponibili alla fine degli anni ‘50

1) Vaccini: antivaioloso e antidifterico; sieri: antitetanico, antivipera e antidifterico

2) Antipiretici, antiflogistici: salicilato, aspirina, fenacetina, piramidone e butazolidina; chinino

3) Vitamine e antianemici: B12 (spesso ancora come estratto epatico) e complesso B; vit. C, D; solfatoferroso (più una quantità di "ricostituenti", polivitaminici, epatoprotettori, ecc. del tutto inutili)

4) Antibatterici: sulfamidici, penicillina, streptomicina, cloramfenicolo e tetracicline; antitubercolari: acidoparaminosalicilico, isoniazide; antiluetici

5) Antiasmatici: teofillina e adrenalina;

6) Cardiologici: digitale (spesso come tintura alcoolica, con variazioni stagionali di efficacia), strofantina(e anche le sanguisughe); trinitrina e nitrito d'amile

7) Diuretici: mercuriali e primi tiazidici

8) Anti-ipertensivi: reserpina e idralazina

9) Anticoagulanti: eparina e i primi dicumarolici

10) Stupefacenti: codeina, morfina e laudano

11) Psicofarmaci: clorpromazina, meprobamato

12) Antiepilettici: gardenale e dintoina

13) Ormonoterapici: insulina estrattiva di bue, tiroide secca, deltacortene, testosterone

14) Gastroenterici: purganti (mannite, magnesio solfato e olio di ricino),antiacidi; antispastici (atropina e belladonna).

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- quando io frequentavo la Facoltà di Medi-cina dal 1955 al 1961 erano disponibili me-no di 50 farmaci "veri" (intendendo cometali alcuni principi attivi progenitori di far-maci tuttora in uso; vedi tabella 1): molti diquesti erano ancora sotto forma officinaleo magistrale; la sperimentazione clinica eramolto "naif";- all'inizio degli anni '60 scoppia il primodramma tossicologico: i bambini focomelicida talidomide; da allora iniziano le fasi con-trollate della produzione,sperimentazione ecommercializzazione dei farmaci; e da allo-ra, ma con lentezza, i medici prendono co-scienza della patologia iatrogena (da effettisecondari e soprattutto da interazione trafarmaci);- nel giro di 10 anni i medici dispongono diqualche migliaio di "sostanze",anche se mol-te di queste di efficacia non comprovata econ effetti indesiderati spesso intollerabili; ilfarmaco diventa un "bene di consumo" e leregole del mercato ne condizionano la ven-dita, ma anche la ricerca e la produzione;- nella prima metà degli anni '60 la polio-mielite è sconfitta nel mondo grazie ai vac-cini dapprima Salk e poi Sabin;- alla fine degli anni '60 compaiono i primi"protocolli terapeutici" con le prime che-

mioterapie antiblastiche efficaci nella leu-cemia linfoblastica del bambino e nel linfo-ma di Hodgkin;- solo alla fine degli anni '70 iniziano i pri-mi "studi clinici controllati"

La lentezza nella crescita delle conoscenze far-maco-terapeutiche è indirettamente testimo-niata dalla frequenza delle edizioni della "bib-bia" della farmacologia clinica, "The Pharmaco-logical Basis of Therapeutics" di Goodman &Gilman:1941,1955,1965 e solo da allora a sca-denza quinquennale.D'altro canto la prima edizione dell'altra "bib-bia della medicina", l'Harrison's Principles of In-ternal Medicine esce nel 1958, poi con ritmoquadriennale fino al 1974, e quindi all'incircaogni 3 anni, tradotto anche in molte lingue.

Le "macchine" per la diagnosiUn processo analogo a quello descritto perle conoscenze e le applicazioni terapeuticheavviene negli stessi anni per i mezzi diagno-stici. Negli anni attorno alla mia laurea oltreche dei loro 5 sensi e del loro buon (sesto)senso i medici potevano disporre di un nu-mero limitato di strumenti di supporto alladiagnosi (vedi tabella 2):

- pochi esami radiologici (meno di una de-cina tra i quali – l'unico angiogafico – era

TABELLA 2. Esami diagnostici strumentali e laboratoristici disponibiliall’inizio degli anni ‘60• Indagini radiologiche: rx-grafia torace, spesso preceduta dalla radioscopia; stratigrafia soprattuttotoracica; rx-grafie del cranio e delle altre ossa; rx-grafia con bario delle prime vie digestive e del colon;pielografia e colangiografia endovenosa; angiografie per via venosa; carotidografia (tutte con mezzi iodatigravati spesso da intolleranze anche gravi)

• Indagini cardiologiche: elettrocardiogramma; balistocardiogramma; fonocardiogramma; cateterismocardiaco destro

• esami endoscopici: broncoscopia e rettoscopia (entrambe con endoscopi rigidi)

• indagini di laboratorio: esame di urine e feci,VES, glicemia, azotemia, es. emococromocitometricomielogramma, proteinemia con elettroforesi su carta, sodiemia e potassiemia, prove di discolloidità sierica(Takata e altre, presto abbandonate) tempo di protrombina, alcune emocolture e urinocolture

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dicina clinica, cioè la diagnosi e la terapia, maanche molte altre realtà che rapidamente en-trano a pieno titolo nel mondo della medici-na: a queste realtà cercherò di fare cenno sin-teticamente, soprattutto per dare un'idea dicome i medici della mia generazione abbianovissuto questa specie di "tsunami" tecnologi-co e del modo in cui sono stati aiutati, o me-glio non sono stati aiutati ad acquisirne i ri-sultati e a usarne gli strumenti.

L'information technologyle due parole che sinteticamente potrebberodare l'idea dell'arco evolutivo fino a ora svi-luppato sono "dalla fotocopiatrice a Internet";ho un senso di vertigine quando constato l'at-tuale reperibilità di qualsiasi "fonte" (o quasi)anche solo attraverso Google e la confrontocol modo in cui ho fatto la ricerca bibliogra-fica per la mia tesi di laurea (schedine biblio-grafiche di cartoncino e pellegrinaggio spessofrustrante per le biblioteche d'Istituto, dovequasi sempre mancava proprio il numero dirivista che ti serviva).La mia generazione ha vissuto tutte le tappeintermedie di questo percorso, per lo più af-frontate da dilettanti allo sbaraglio: dai micro-film alle fotocopie su vari supporti; dalle ri-cerche bibliografiche sui Current content pri-ma cartacei e poi su floppy disk alle richiestedegli abstract agli autori; dalle ricerche per pa-role chiave e usando gli operatori booleyanicon collegamenti telefonici dedicati a Pasade-na e poi a Frascati alle attuali ricerche biblio-grafiche da casa propria in Internet, semprepiù facili e facilitate dalle stesse riviste scienti-fiche, ma anche da promotori commerciali piùo meno occulti: così oggi è possibile conosce-re in tempo reale attingendo direttamente dal-la fonte qualsiasi notizia scientifica pubblicatain qualsiasi parte del mondo.Ma quanti di noi sanno usare strumenti cosìpotenti ottimizzando il rapporto tra costi ebenefici? Cioè quanto è lo spreco informati-vo e quanto il "rumore di fondo"? E quanti dinoi sono in grado di sottrarsi consapevol-

la terribile carotidografia); l'ECG e poco al-tro in cardiologia, dove peraltro negli am-bienti di alta specializzazione – ma solo inquesti - iniziavano le indagini emodinami-che; tra gli esami endoscopici la bronco-scopia e la rettoscopia, entrambe con en-doscopi rigidi. Così spesso veniva chiestoal chirurgo di aprire.... guardare, capire etalvolta chiudere! - l'autopsia affiancata da un corredo isto-patologico ricco di colorazioni era stru-mento prezioso di chiarimento diagnosti-co postmortale, mentre le biopsie in vivocompresa quella estemporanea durante lachirurgia, erano eccezionali e la citologiaera inesistente;- le indagini diagnostiche di laboratorio (an-che qui poco più di una decina): fino allaseconda metà degli anni '60 venivano ese-guite solo in ospedale, personalmente da-gli assistenti; i primi laboratori centralizza-ti presero piede solo alla fine di quel de-cennio con l'avvento delle tecnologie deglianalizzatori semi-automatici e automatici.

A partire dagli anni '70, accanto all'esplosio-ne delle terapie farmacologiche, si verificaval'esplosione delle tecnologie diagnostiche, chesono tuttora in espansione: dalle innumere-voli indagini di chimica clinica all'immunoisto-chimica fino alle tecniche molecolari; dalla va-sta gamma di esami ultrasonografici di gran-de duttilità alla TAC (in Italia dall'inizio deglianni '80) alla RM e alla PET; dagli innumere-voli riscontri bioptici in vivo alle indagini (epoi anche alle terapie) endoscopiche: tuttetecnologie supportate dall'elettronica e dal-l'informatica, per le quali le scelte e le deci-sioni di sviluppo furono (e sono) fortementedeterminate dall'industria e dal mercato degliapparecchi e dei reattivi.Da quel momento le macchine e le tecnolo-gie che le fanno funzionare si affiancano e gra-dualmente sostituiscono gli occhi, i mani, gliorecchi e spesso, purtroppo anche.... il cuore.Inoltre, macchine e tecnologie non coinvol-gono solo i due processi essenziali della me-

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mente dall'influenza mediatica del mercato, ca-pace di modificare e indirizzare spesso in mo-do inavvertito i comportamenti e le decisio-ni personali anche nelle scelte mediche, scien-tifiche o professionali?E infine: in quale misura le Istituzioni formati-ve (nella fattispecie l'Università, ma anche leSocietà scientifiche) e quanti vi appartengonosviluppano competenze in questi ambiti? Sitratta probabilmente di un connotato gene-razionale, ma ho la netta impressione che inostri studenti possano insegnarci – almenosull'uso di queste tecnologie – più di quanto,per inadeguatezza culturale, molti di noi so-no addirittura in grado di apprendere. Ma sequesto ritardo di aggiornamento tecnologicopuò non preoccupare perché sarà sponta-neamente sanato dal tempo, che dà spazio anuove generazioni predisposte a inseguire eutilizzare tutte le innovazioni tumultuosamentesopravvenienti, è nostra e non delegabile re-sponsabilità di educatori considerare gli aspet-ti culturali ed etici strettamente connessi al-l'applicazione delle tecnologie informatiche.Quindi è nostro compito non farci sopraffa-re da esse, e aiutare chi le conosce bene ausarle utilmente e a non esserne usati.

La ricerca biomedicaAnche la ricerca scientifica in ambito biome-dico ha avuto un'evoluzione vorrei dire "ri-voluzionaria" sotto gli occhi della mia gene-razione di medici: la ricerca di base, anche que-sta sempre più sofisticata nelle tecnologie, ègradualmente diventata appannaggio di nonmedici anche nelle Facoltà di Medicina e quin-di - almeno potenzialmente - meno finalizza-ta alla salute dell'uomo; ed proprio in termi-ni utilitaristici è sempre più difficile distingue-re la ricerca clinica da quella tecnologica e se-parare le conseguenze dei risultati positivi perla salute dell'uomo dai risultati spesso più uti-li per il mercato: si pensi alla brevettazione equindi alla commercializzazione delle scoper-te/invenzioni delle biotecnologie.Non v'è dubbio tuttavia che i risultati della ri-

cerca di base arrivano sempre più velocementead essere applicati alle decisioni dei medici perla salute della persone; ma ogni nuovo pro-dotto da vendere richiede che si trovino nuo-vi compratori e ciò comporta la scoperta/in-venzione di nuove malattie e di nuovi malati;in fondo nulla di nuovo sotto il sole: già nel1921 Jules Romains fa dire al suo DottorKnock nel trionfo della medicina un aforismaattributo a Pasteur "Coloro che sono sani, omeglio che si credono sani, sono malati e nonsanno di esserlo".E se la mia generazione di medici era inizial-mente abbastanza vicina agli interessi venalidel dottor Knock per aumentare i propri clien-ti paganti, in tempi più recenti anche i medicimigliori, affascinati dai grandi progressi dellamedicina moderna, non sempre si accorgonoche le ricerche e i progressi scientifici tocca-no quasi solo gli ambiti che producono pro-fitti a chi vi ha investito capitali: insomma sifanno quasi solo le ricerche con risultati chepagano, cioè si fanno quasi solo le ricerche vo-lute da chi le paga....Certamente c'è un abisso anche nel rigoremetodogico tra i lavori clinici dei medici chedi poco mi hanno preceduto sul "raro caso di....", che facevano della Clinica il regno dell'e-sperienza e dell'intuito individuale, e gli attua-li trial clinici controllati, le attuali sofisticatis-sime metanalisi e gli altri moderni approcci al-la ricerca clinica fondati sui principi della me-dicina basata sulle prove di efficacia (EBM oEvidence Based Medicine).Tuttavia non possiamo rinunciare, proprio an-che nella nostra veste di formatori, a una at-tenzione critica nei confronti di queste me-todologie: non vi è dubbio che esse rappre-sentano quanto di meglio il metodo scientifi-co ha potuto mettere fino ad oggi a disposi-zione della ricerca biomedica, ma sarebbe unacontraddizione nei confronti della serietà del-la scienza se non fossimo vigili nel rilevarneanche i limiti, poiché proprio la capacità criti-ca è la vera garanzia di un loro miglioramen-to. In questa ottica credo allora più che leci-

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sone riguardante i rimedi per le proprie ma-lattie e i fallimenti nella conservazione dellapropria salute;- prima di affrontare quest'ultimo aspetto va-le tuttavia la pena di considerare anche il mu-tamento che ha subito l'organizzazione dellaricerca scientifica nell'ultima metà del vente-simo secolo: l'attività di ricerca si è trasfor-mata da impegno privilegiato di una élite in-tellettuale a professione di massa; tutto que-sto è reso inevitabile dall'espandersi quantiti-vo della ricerca scientifica, dal suo intimo em-bricarsi con le tecnologie e dalla necessità diapplicare tecniche di ricerca sempre più nu-merose, complesse e sofisticate; così oggi laricerca è condotta da miriadi di tecnici-ricer-catori, frequentemente impegnati in opera-zioni ripetitive i cui risultati descrivono i fe-nomeni più che interpretarli e comprenderli;inoltre, la dipendenza dai risultati pubblicatidel riconoscimento economico e di carrieradei ricercatori da una parte dovrebbe garan-tire la credibilità dei risultati stessi (anche sepurtroppo non mancano i "falsi" scientifici....),ma dall'altra comporta la produzione in gran-de quantità di risultati di qualità mediocre aifini di un effettivo progresso scientifico; sonouna testimonianza di tutto ciò: la crescita a di-smisura delle riviste scientifiche e dei lavori inesse pubblicati; la sostanziale irrilevanza inno-vativa di molte pubblicazioni; di contro la dif-ficoltà nell'essere percepiti correttamente dal-la comunità scientifica di risultati significativima affogati nel mare di dati; la provvida im-plementazione di sistemi informatici – i database bibliografici – per la categorizzazione ela veloce reperibilità delle pubblicazioni scien-tifiche; la discutibile ma irrinunciabile propo-sta di criteri e di indici di valutazione dellaqualità dei risultati pubblicati (per es., il bennoto e probabilmente abusato "impact factor",che ha sostituito l'infido "citation index", chepoteva peraltro diventare credibile se avesseconsiderato non tutte le citazioni immediate,ma solo quelle persistenti per esempio dopoun quinquennio dalla data di pubblicazione); la

to doveroso segnalare i rischi dell'attuale ri-cerca scientifica, oltre a quello già segnalatodella sua possibile subalternità a interessi com-merciali:- innanzi tutto è – a mio avviso – irrinuncia-bile un atteggiamento prudente e saggio pro-prio nei confronti dell'essenza stessa del me-todo scientifico, che peraltro non può in al-cun modo - per i limiti intrinseci delle capa-cità umane di conoscenza – rinunciare all'ap-proccio riduzionista: le realtà che si studianoper essere comprese nella loro essenza deb-bono essere analizzate, vorrei dire "smonta-te" nelle loro componenti; ma tale approccio,isolando artificialmente fenomeni che nellarealtà sono tra loro strettamente correlati,porta una lettura parcellizzata, si potrebbe di-re modellizzata della realtà stessa, che perdedi vista le interrelazioni intrinseche ai sistemicomplessi; in effetti il sistema biologico, cioèl'insieme di fenomeni che consentono i pro-cessi vitali, è un sistema straordinariamentecomplesso, all'interno del quale ogni fenome-no influisce sugli altri e viene da essi modifi-cato in una serie intricata di reazioni e di con-troreazioni di modulazione reciproca;- prendere coscienza di ciò dovrebbe nutriredi grande umiltà l'impegno di ogni ricercato-re, preservandolo da quel "delirio di onnipo-tenza" di cui al contrario spesso il ricercato-re, proprio perché appassionato del propriolavoro, diventa schiavo; d'altro canto, propriola constatazione della costante provvisorietàe modificabilità dei nostri risultati, entrambedovute alla frequenza dei nostri errori, do-vrebbe preservarci da tale delirio; invece ciòfrequentemente non accade e così il mondoscientifico biomedico con la propria presun-zione ha sovente indotto anche nei profanil'erronea credenza dell'infallibilità della scien-za e della sua capacità di vincere ogni male eogni limite; e quando le evidenze dimostranoi risultati negativi degli errori compiuti la fru-strazione ne è la conseguenza altrettanto im-propria; un po' oltre avremo modo di accen-nare alle ricadute di ciò sul vissuto delle per-

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diffusione di lobbies scientifiche autoreferen-ziali. Questa sorta di "scientific pollution" hasuggerito il saggio aforisma: "Dov'è la SA-PIENZA che abbiamo smarrita nella cono-scenza? Dov'è la CONOSCENZA che abbia-mo smarrita nella informazione? Dov'è l'INFOR-MAZIONE che abbiamo smarrita nei dati?"

Salute o salutismo?Gli avvenimenti e le realtà che ho cercato ditratteggiare fino a questo momento possonodare probabilmente ragione del modificarsi nelmondo attuale sia del concetto diffuso di sa-lute, sia degli atteggiamenti e comportamentidegli operatori sanitari, sia del funzionamen-to e dell'organizzazione delle strutture sani-tarie. Cominciamo col vedere come si è evo-luto il costume comunicativo dei medici ita-liani (e non solo italiani.....) negli ultimi 50 an-ni. Come dicevo all’inizio, negli anni ’50 sonoiniziati i veri progressi della medicina scienti-fica, con i quali si sono purtroppo palesati dipari passo i regressi nella comunicazione: in-fatti, il farmaco e le indagini diagnostiche so-no diventati i mediatori privilegiati della co-municazione tra medico e paziente; un pa-ziente va via malvolentieri dall’ambulatorio delmedico se non ha una ricetta, o almeno unaprescrizione di quelle che chiama “le analisi”;il medico spende meno tempo e fatica tra-scrivendo prescrizioni farmaceutiche o dia-gnostiche, che non dialogando con un pazientespesso renitente ai consigli scomodi.Negli ultimi decenni sono tumultuosamentecresciute le tecnologie biomediche e si trat-ta per lo più di tecnologie molto utili; ma sideve anche constatare con qualche preoccu-pazione che all’estendersi delle tecnologie hafatto riscontro una diminuzione dell’uso del-la parola, cioè della comunicazione interper-sonale. La necessità del lavoro in équipe, po-sta dalla complessità attuale e sempre cre-scente delle decisioni mediche, ha frappostoun ulteriore diaframma nel rapporto tra ledue persone al singolare, che sono il pazien-te e il suo medico.

Man mano che la parola consolatrice dei me-dici viene in buona parte sostituita dalla pre-scrizione diagnostica o terapeutica, i dottoriin carne e ossa sono sostituiti dai professoriin TV: anche questi comunicano con il pubbli-co, ma non “educano” le persone, perché silimitano a informare (o disinformare?) spet-tatori curiosi ma passivi sui sintomi delle ma-lattie e sui loro rimedi più avanzati, e così fa-cendo raggiungono lo scopo (non sempre ca-suale) d’indurre nei “consumatori” nuovi bi-sogni sanitari. In questo contesto l’influenzadei medici diventa invasiva e vengono medi-calizzati molti problemi che non sono intrin-secamente di natura sanitaria, anche se pos-sono avere ripercussioni sulla salute.La gente sceglie e chiede le cure in base alleproprie presunte conoscenze mediche, nutri-te di notizie attinte dai rotocalchi, dalle enci-clopedie mediche, dalle trasmissioni televisivee in un futuro quasi presente da Internet. Co-sì conoscenze teoriche, spesso distorte per-ché mal comprese, si mescolano al vissutoemotivo personale della malattia; campagned’informazione talvolta ben orchestrate sulla“malasanità”, accanto al comportamento pro-fessionale non sempre cristallino di alcuni –speriamo pochi – colleghi, fanno si che unaquota crescente della popolazione abbia pau-ra della medicina moderna e si rifugi in prati-che avulse da ogni base scientifica; il rappor-to tra la persona e la cura della sua salute vapericolosamente tingendosi di una alone ma-gico nel ricorso fideistico sempre più frequentea pratiche “esoteriche”, che sembrano in qual-che modo compensare la caduta oramai dif-fusa del senso del sacro.Da qualche tempo nella cultura della “gente”si è radicato il rifiuto più totale della sofferen-za, rifiuto che si connota spesso per una peri-colosa irrazionalità: le insufficienze della medi-cina e le sue sconfitte sono vissute come col-pe personali dei medici; la prorompente esi-genza di benessere senza limiti fa crescere inuna miscela esplosiva una domanda salutista adoltranza (tutti dobbiamo ed esigiamo di esse-

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medici “tradizionali” danno una risposta “para-noica”, che oscilla tra il delirio di onnipotenza(“noi soli sappiamo curare, perché ci basiamosu prove scientifiche”) e il delirio di persecu-zione (“tutti ce l’hanno con noi: la gente noncapisce il nostro vero valore”).Questo - sia pure in prima approssimazione- è lo scenario nel quale correntemente oggisi gioca nell'occidente opulento la relazionedi comunicazione tra medico e paziente, re-lazione che si dibatte tra conflittualità e com-plicità nella ricerca improbabile di una effetti-va negoziazione tra un medico che consigli sa-pientemente (cioè secondo scienza e coscienza)e un cittadino che sappia effettivamente es-sere unico giudice e unico vero responsabiledella qualità della propria vita.Ma lo scenario della salute diventa quasi apo-calittico se lo sguardo diventa planetario esten-dendosi soprattutto al Sud del mondo: là sicompongono denutrizione e degrado igieni-co, epidemie e indisponibilità delle cure (an-che per malattie di cui i ricchi non muoionopiù), mentre nel Nord ricco le multinazionaliproteggono i loro brevetti e nel contempo di-struggono gli equilibri ecologici mondiali, co-struendo la catastrofe prossima ventura.Per condizioni opposte ma paradossalmentesimili nelle conseguenze finali Nord e Sud delmondo hanno platealmente frustrato il sognodell'OMS "salute per tutti nell'anno 2000": al-la miseria fanno controcanto gli interessi dimercato prevalenti sulla vocazione alla cura;alle violenze delle guerre corrispondono quel-le degli incidenti della strada o sul lavoro equelle della droga; alle malattie da denutrizio-ne corrispondono le malattie da ipernutrizio-ne; alla mortalità infantile corrisponde la lon-gevità senile, abbrutita dalla disabilità o dal-l'abbandono affettivo.Insomma, la medicina è malata, probabilmen-te perché l'umanità è malata.

La malattia della MedicinaFino ad ora ho cercato di fare un po' di “se-meiotica delle condizioni della medicina d'og-

re belli, magri, sani, capaci di prestazioni fisichesuperlative); ma la risposta non è fatta di com-portamenti responsabili con la scelta di stili vir-tuosi di vita; al contrario ci si rivolge fideisti-camente ai rimedi “naturali” e per questo mi-ticamente ritenuti solo e sempre benéfici, il tut-to in un clima diffuso da “new age” che di fat-to esercita una vera e propria diseducazionealla salute, trasformata in salutismo. Infine, laburocratizzazione spinta dei rapporti tra citta-dino e servizio sanitario, la stessa polemica sul“welfare state” in bilico tra assistenzialismo eaziendalizzazione liberista, nonché le restrizio-ni finanziarie in sanità, non più evitabili in unaragionevole allocazione delle risorse, deludo-no fortemente le attese – spesso anche quel-le più motivate - dei cittadini e sono fonte digrave frustrazione per i medici.Tutto ciò inquina fortemente la relazione tramedico e paziente: il consenso informato, cheil medico deve giustamente chiedere al pa-ziente per ogni decisione ma che spesso si ri-duce a una pratica formale, si scontra anzichéconiugarsi con il diritto individuale alla “libertàdi cura”, e anche questa è spesso vissuta dalpaziente in modo mitico e irrazionale: con ilcaso Di Bella siamo stati tutti testimoni del-le gravi devianze nel concetto di “libertà dicura” espresso da una parte non esigua del-l’opinione pubblica.D’altra parte i pazienti, soprattutto quelli sof-ferenti di malattie gravi e crudeli, vivono dram-maticamente la necessità di scegliere tra la scar-sa loquacità spesso apodittica del medico “tec-nologo” e la disponibilità all’ascolto e al dialo-go del medico “alternativo”; i pazienti conti-nuano a pretendere l’applicazione delle alte tec-nologie, riponendo in esse una fiducia talvoltaeccessiva, ma contemporaneamente ricorronoai medici “alternativi”, come sono gli omeopa-ti o i pranoterapeuti: infatti questi medici so-no più disponibili e infondono sicurezza ga-rantendo la “naturalità” dei rimedi o addirittu-ra sollecitando aspettative più “magiche” chescientifiche.Di contro,a questa domanda “schi-zofrenica” vissuta da molto pazienti, spesso i

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gi", di rilevarne i sintomi per tentare una dia-gnosi; spesso si tratta anche per la medicina,come succede nella medicina di una diagnosidescrittiva più che etiologica, e quindi anchequi le prescrizioni terapeutiche rischiano ge-neralmente di essere più sintomatiche che cu-rative: tuttavia sarebbe paradossale che propriola medicina si sottraesse alla cura, contraddi-cendo persino l'antico adagio del "medice, cu-ra te ipsum", qui esteso dal singolo al sistema.La malattia della medicina è - almeno in parte- una crisi di crescita, di quelle che i nostri non-ni chiamavano "malattie di crescenza": la rapi-dità dello sviluppo ne ha squilibrato i processifisiologici e sono mancati gli elementi che po-tevano garantire l'equilibrio nelle scelte.Le Scuole di Medicina, le nostre Facoltà nonhanno governato il sistema di crescita dellamedicina, ma anzi ne sono state trainate; co-sì hanno perpetuato anziché "curarne" gli squi-libri di sviluppo.

- Le scienze di base sono cresciute – in Italiacome in tutto il mondo, anche se da noi conmaggiori difficoltà organizzative ed economi-che - grazie all'esplosione tecnologica;ma mol-to spesso hanno perduto di vista sia l'orien-tamento alla salute dell'uomo, sia l'educazio-ne dei futuri medici al rigore del metodo scien-tifico: la formazione al metodo della scienza èstata quasi sempre sostituita nelle nostre au-le dall'informazione sulle nozioni che la scien-za tumultuosamente produce, ma che anchealtrettanto tumultuosamente modifica o so-stituisce; poca attenzione è stata posta inve-ce al radicamento del metodo che finalizza earmonizza la valutazione critica e l'uso delleinformazioni, così dimenticando che le nozio-ni sono provvisorie, mentre il metodo è pe-renne; insomma i nostri studenti proprio neiprimi e più fecondi anni di studio vengonoinformati sulle scoperte della scienza, ma nonvengono in alcun modo avviati a diventare co-struttori di scienza.- Nell'insegnamento delle scienze cliniche laproliferazione delle specializzazioni, attente so-prattutto alla specificità delle malattie,ha oscu-

rato la visione unitaria del malato; anche quila crescita delle conoscenze tecnologiche hasuscitato la presunzione di onnipotenza neiconfronti del problema particolare - etiologi-co, patogenetico o teraputico - perdendo divista le molteplici ragioni di sofferenza dellapersona che chiede cure, i suoi problemi disalute in tutta la loro complessità: si constataoggi dolorosamente l'agonia se non la mortedella Clinica medica, il tempio del metodo cli-nico; è emblematico, ma non per questo me-no sorprendente, che la Medicina generale –l'unica che mantiene una visione unitaria bio-psico-sociale della persona sana e malata nelproprio contesto globale - sia insegnata e ap-presa al di fuori dell'Università; ed è anche de-ludente che, nonostante ciò, la Medicina ge-nerale sia a sua volta frustrata nelle sue po-tenzialità e soffocata dalla burocrazia del si-stema.- Gli studenti sono addestrati a memorizzaregrandi quantità di dati, che acquisiscono perlo più ascoltando docenti che spesso si limi-tano a ripetere a lezione ciò che i discenti po-trebbero leggere da soli su testi e trattati: co-sì gli studenti non imparano a cercare le infor-mazioni, a valutare in modo autonomo l'im-portanza dei concetti, a sceglierli e a sotto-porli a critica comparata, ma debbono limi-tarsi a ricordare nozioni per ripeterle al piùpresto e pedissequamente all'esame (poi pos-sono anche dimenticarli...); non appassionanopiù di tanto lo sviluppo del pensiero critico,la visione prospettica della realtà, la capacitàdi analisi e poi di sintesi degli elementi sem-pre molteplici e sempre variegati che conno-tano ogni realtà, e tanto più le realtà della vi-ta e della salute dell'uomo; la trasmissione delpensiero tende a essere dogmatica piuttostoche problematica, creando così la falsa cre-denza che la scienza costruisca certezze,quan-do invece può al massimo ridurre le aree d'in-certezza; la dialettica e il confronto tra pari,come l'utilizzazione originale dello stile per-sonale di conoscenza e di apprendimento nonsono tenuti in gran conto, quando non ven-

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cologia clinica accanto a quelli di psichiatria;contestualmente si sono affacciate – purtrop-po in teoria più spesso che in pratica - anchemetodologie didattiche adeguate, come sono il“gioco dei ruoli”, le simulazioni comunicative,la revisione critica dei propri comportamentirelazionali, ecc.; inoltre s’insegnano tecniche ef-ficaci di colloquio per la raccolta e la trasmis-sione di informazioni; si discute della deonto-logia nei rapporti professionali e si comincia afamiliarizzare i futuri medici con il lavoro inéquipe: tutte cose che richiedono esercizio nel-la relazione e nella comunicazione.Peraltro non si può nascondere che della co-municazione all'Università s'imparano – quan-do s'imparano - solo le tecniche,che sono con-dizioni necessarie ma non sufficienti per la cre-scita di una comunicazione empatica; tuttaviaqualche risultato è visibile nel comportamen-to degli studenti, che – per esempio - sonomolto più cortesi e corretti nel rapporto coni pazienti di quanto non fossero molti mediciche li hanno preceduti.

- Delle carenze appena segnalate pochi ma af-fidabili critici si sono fatti interpreti negli ul-timi anni in vari ambienti della sanità italiana,fuori ma anche dentro all'Università e hannoavanzato proposte di rimedi; spiriti profetici,primo tra loro il carissimo e compianto AldoTorsoli, hanno cominciato a parlare anche inItalia di "Medical Humanities" (MH), tradotteforse impropriamente come Scienze Umane;purtroppo i seguaci più pronti della tenden-za, incapaci tuttavia di uscire dalla logica di-sciplinare nella quale sono profondamente ra-dicati, hanno immediatamente concepito e ser-vito ai loro studenti altri corsi di lezioni dicontenuto più informativo che formativo: an-cora una volta si è chiesto agli studenti di me-morizzare nozioni di storia e filosofia dellascienza, di storia della medicina, di letteratu-ra o di antropologia, di economia sanitaria, dideontologia e di etica o bioetica, di logica odi psicologia; inoltre le scelte – spesso limita-te a due o tre discipline - sono dipese in mol-ti casi soprattutto dalla disponibilità locale di

gono addirittura scoraggiati. - La crescente di-sponibilità degli strumenti multimediali dellacomunicazione con il loro fascino e la capa-cità propria dell'immagine di far comprende-re con immediatezza concetti difficili stannomodificando sostanzialmente le strategia diapprendimento delle giovani generazioni: senon costa più grande fatica capire le cose edi esse si richiede solo la memorizzazione su-perficiale e transitoria, il pensiero profondone è fortemente penalizzato; di fatto nella ci-viltà del "homo videns" l'elaborazione del pen-siero sembra far perdere tempo; quindi i pro-cessi di metaconoscenza – il pensare il signi-ficato dei propri pensieri, la capacità di ripen-sare in profondità le conoscenze acquisite –non sono considerati valori e perciò non ven-gono abitualmente né insegnati, né apprezza-ti. - In un contesto che privilegia la visione or-ganicistica della malattia e correttamente neconsidera l'approccio terapeutico solo se "evi-dence based" non c'è molto spazio per le elu-cubrazioni psicologiche e nemmeno per gliaspetti paternalistici della comunicazione coni pazienti, anche se un nuovo paternalismo –quello della indiscutibilità della scienza – nesta prendendo il posto; non è certo da di-sprezzare l'attenzione per l'oggettività delleosservazioni e per la dimostrabilità d'efficaciadelle decisioni,ma tale attenzione non deve es-sere alternativa all'attenzione per l'altra metàdella luna: la componente psicologica che be-ne può integrarsi in una visione psicosomati-ca. In realtà questo aspetto è per lo più tra-scurato nelle nostre Scuole di Medicina, chementre giustamente si contrappongono alla vi-sione irrazionale e antiscientifica delle "medi-cine alternative", spesso con un atteggiamentomanicheo addirittura ne ignorano l'esistenza, ecosì non consentono alle giovani generazionidi creare nei loro confronti difese efficaci, chepossono nascere solo dalla conoscenza criticadi ogni tipo di fenomeni. In effetti nell’ordina-mento dei corsi di laurea in medicina dalla fi-ne degli anni ’80 sono entrati a pieno dirittogli insegnamenti di psicologia medica e di psi-

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docenti con specifiche titolarità, più che daun'analisi pianificata delle utilità e delle op-portunità; quasi dovunque sono assenti un ap-proccio di natura problematica e un intentosostanzialmente educativo. Una scelta di que-sto genere è ben lontana dalla felice defini-zione data da Spinsanti delle MH, le quali perl'appunto con un disegno di ampio respiro do-vrebbero "assicurare la felice sinergia tra lescienze naturali e le scienze umane, in vista diuna medicina che sappia curare e prendersicura, assicurare cure efficaci dal punto di vi-sta biologico, ma anche rispettose di tutta lamolteplicità dei bisogni umani". Infatti la rela-zione di cura richiede contemporaneamentecompetenze di natura tecnico-scientifica e dinatura psico-relazionale, cioè le capacità diascoltare, comprendere, condividere e sor-reggere, oltre che di rilevare, diagnosticare,decidere, prescrivere, curare, prevenire e ria-bilitare. Per conseguire le abilità richieste daquesti fini le scienze umane non possono es-sere oggetti di apprendimento astratto, bensìdebbono nutrire la comprensione "sapienzia-le" della sofferenza e del bisogno di cui la me-dicina intesa come relazione di aiuto si pren-de cura: in altri termini le MH dovrebbero aiu-tare i futuri professionisti della salute a "cre-scere in umanità" più che diventare espertiteorici, o peggio eruditi di conoscenze uma-nistiche; ogni atto medico oltre alle compo-nenti scientifiche e tecniche, possiede com-ponenti psicologiche, affettive ed emotive, eti-che e deontologiche, giuridiche, sociali ed eco-nomiche; e ciò non vale solo per gli atti me-dici che si rivolgono direttamente alla curadelle persone malate, ma anche per gli oggettidi studio propri della bio-medicina: pure la ri-cerca scientifica non può essere esente da va-lutazioni che ne cerchino il significato meta-scientifico, ne definiscano il valore per esem-pio dal punto di vista etico, ma anche dal pun-ta di vista sociale, economico, ecc.Potremmo allora dire che gli obiettivi educa-tivi della MH sono per lo più obiettivi di na-tura "metodologica".

- Un apprendimento di questo tipo richiedeperaltro approcci didattici adeguati: gli studentidebbono esservi coinvolti personalmente; ilconfronto tra pari all'interno del piccolo grup-po attorno a problemi concreti che riguarda-no la cura delle persone non può non susci-tare interesse in chi abbia scelto una qualsia-si professione sanitaria; l'interesse si trasfor-ma in curiosità e in stimolo alla ricerca per-sonale nel momento in cui i discenti consta-tano il proprio grado, sia pure variabile da sog-getto a soggetto, d'incompetenza nel cercarela migliore soluzione del problema; inoltre, lapeculiarità di ogni problema sanitario realisti-camente proposto è quella di richiedere ap-procci multidisciplinari e multiprofessionali;multidisciplinari nel senso che ogni singoloproblema può presentare contemporanea-mente più tipi di quesiti, ai quali danno rispo-ste parziali e complementari le diverse MH:cioè quesiti che di volta in volta richiedonorisposte con risvolti prevalentemente psico-logici, etici, antropologici, filosofici, sociali oeconomici variamente associati in relazionealle situazioni specifiche.

- I problemi sanitari reali (o realistici) nellagrande maggioranza dei casi cercano e trova-no risposte dall'apporto collaborativo e ar-monico di più professioni sanitarie con diffe-renti competenze tecniche o scientifiche, macon il fine comune dettato dalla relazione dicura; se ciò è vero, sembra naturale che findai primi anni del proprio cursus studiorum glistudenti delle diverse professioni della saluteaffrontino fianco a fianco (cioè in gruppi mi-sti) i medesimi problemi attinenti alle MH, perabituarsi a contribuire alla loro soluzione cia-scuno con le proprie specificità professionalioltre che umane, così da evitare contrapposi-zioni e inutili conflitti spesso dannosi proprioper il destinatario della relazione di cura nelmomento concreto della sua realizzazione.

Quali cure per la Medicina malata?Il discorso sulla MH ha già aperto il discorso

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lo professionalizzante – è quella di educare al-la gestione del cambiamento con un approc-cio fondato sui valori (per questo abbiamo da-to particolare spazio al discorso fondante sul-le Scienze umane) e sul metodo; cioè sulla ca-pacità di lettura critica della realtà con l'usoautonomo e maturo degli strumenti della co-noscenza; insomma si tratta di aiutare il rea-lizzarsi di un momento importante nell'evo-luzione dell'homo sapiens e nell'uso del suostrumento evolutivo più importante: l'uso ap-propriato dell'intelligenza intesa come capa-cità di adattamento poietico, cioè di governoresponsabile delle realtà che mutano (con laconsapevolezza che mutano non tanto per ra-gioni naturali, quanto in buona parte come ef-fetto di decisioni umane non sempre assen-nate: si pensi alla violenza sull'ecosistema).

Quali mappe per navigare il futuro?E allora quali indicazioni possiamo lasciare al-le nuove generazioni affinché ciò che la nostragenerazione ha appreso dai propri errori siafattore di crescita virtuosa e feconda?Coloro che si sono impegnati negli ultimi lu-stri a rinnovare l'approccio formativo per leScienze della salute, si sono dati giustamentealcuni obiettivi che mi sembrano pertinenti nel-l'educazione al cambiamento,e che mi limiteròa enumerare a conclusione del mio dire:- obiettivo preliminare è quello di definire chia-ramente il “profilo” del professionista da for-mare, affinché esso sappia rispondere effica-cemente ai reali bisogni di salute della Societàin cui si troverà a operare; dovrebbe essereun professionista colto, ma non erudito, unprofessionista che non solo conosce, ma an-che e soprattutto è competente e abile nelproprio esercizio professionale; un professio-nista curioso e capace di cercare, acquisire eapplicare criticamente nuove conoscenze, ca-pace di assumere secondo scienza e coscien-za decisioni autonome nell’ambito delle pro-prie competenze professionali, nonché di va-lutare le proprie decisioni dal punto di vistaetico e di prevederne le conseguenze socio-

sulle "cure" di cui la "medicina malata" ha bi-sogno, individuandole in un approccio educa-tivo differente dall'attuale nella formazione deinuovi Professionisti della Salute. Questo di-scorso, che utilmente si è servito del para-digma offerto dalle Scienze umane,va ora este-so a tutti gli ambiti della "medical education";infatti l'evoluzione di quest'ultima e i suoi rap-porti dialettici con i cambiamenti della medi-cina rappresentano il contrappunto che do-vrebbe legare tra loro i vari aspetti dell'evo-luzione della medicina nel prossimo futuro.La medicina ha bisogno di cure, ma non sonopensabili, né proponibili cure che ne possanorallentarne o ridurne la crescita.Al contrarioservono fattori capaci di equilibrarne e ar-monizzarne la crescita, che appunto attengo-no all'educazione/formazione: e non può nonessere anche educazione al cambiamento.

Il messaggio finale di questa mia "lettura" vor-rebbe essere proprio il seguente: è finita (oper lo meno si è interrotta) "l'era della stabi-lità" che ha contraddistinto la storia della me-dicina con un'evoluzione per piccoli passi dalsuo nascere presso la Scuola di Kos fino al-l'incirca alla metà del '900; il connotato tipicodella situazione attuale è la rapidità evolutivadi ogni realtà – dentro e fuori della medicina- con la "volatilità/caducità" di ogni risultato;questo oggi si constata oltre che nella velo-cità delle comunicazioni, sia dei mezzi di tra-sporto che delle informazioni,anche nella scien-za che diventa sempre più tecnologia; nellamedicina che cura sempre più organi e appa-rati (e, in un futuro vicino, molecole...) e sem-pre meno si prende cura dell'uomo integrale;nella vita degli individui, costretti a rincorre-re i cambiamenti per non essere marginaliz-zati.Tutto ciò comporta il rischio della perdi-ta dei valori fondamentali, sostituiti da unasorta di nevrosi permanente del cambiamen-to, che porta inevitabilmente alla "sindromedel burn out". In questo tipo di realtà l'impe-gno educativo permanente (learning for life)diventa un elemento irrinunciabile; la funzio-ne principale degli Educatori – anche a livel-

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economiche, ma anche ricco di doti affettivee di capacità relazionali, vorrei dire "espertoin umanità" in quanto avrà a che fare con per-sone e non solo con malattie e dovrà comu-nicare con i propri interlocutori senza sogge-zioni e senza rigidità, cioè in modo efficace edempatico, disponibile a sottoporre il propriooperato a valutazioni di qualità;- la seconda tappa consiste nell'indicare conchiarezza i contenuti culturali e professionalinecessari a realizzare quel modello, cioè quel-li che in pedagogia medica sono chiamati obiet-tivi educativi o dell’apprendimento, cioè le co-noscenze scientificamente provate, le compe-tenze e le abilità che i discenti debbono ap-prendere,essendo in questo efficacemente aiu-tati dalle attività didattiche, cioè dal lavoro deidocenti; di ogni obiettivo dovrebbe risultareesplicito il grado di profondità al quale si ri-tiene necessario che quell'obiettivo venga con-seguito (il solo ricordare è infatti diverso dal-l'abilità di interpretare dati o fenomeni, o dirisolvere problemi e assumere decisioni);- ogni docente dovrebbe inoltre conoscere erispettare il senso di alcune parole: addestra-re significa insegnare a compiere azioni, men-tre istruire significa trasmettere informazioniche potranno risultare utili in alcune circo-stanze operative; formare significa sostanzial-mente modificare comportamenti e nella fat-tispecie avrà lo scopo di indurre prassi e com-portamenti professionali adeguati ai fini; tuttequeste “funzioni didattiche” giocano il lororuolo in relazione al tipo di obiettivo educa-tivo proposto e non possono essere utilizza-te indifferentemente per obiettivi cognitivi, ge-stuali o psico-relazionali; esse rappresentanogradi via, via più complessi della attività do-cente e dell’impegno discente perché sono fi-nalizzati a livelli di apprendimento via, via piùelevati; all’apice della piramide sta l’azione dieducare, che ha il significato etimologico di e-ducere, di aiutare una persona a “tirar fuori”il meglio di sé, cioè di far emergere valori diattitudine e d’impegno – anche di conoscen-za e di competenza – che, spesso inconsape-

volmente, albergano in ogni soggetto.Sicuramente nell’azione dell’educare si realiz-za al massimo grado un tipo di apprendimen-to centrato sulla persona, ma anche tutte lealtre “azioni didattiche” (addestrare, istruire,formare) riescono a farlo nella misura in cuial centro del processo e dell’ attenzione vie-ne collocato il soggetto che sta apprendendo,al “servizio” del quale si pone chi sta inse-gnando;

- un elemento ulteriore da acquisire è la con-sapevolezza che l’insegnamento universitarioe post-universitario sono rivolti a soggetti adul-ti, si svolgono in ambiti professionali definiti,sono finalizzati a indurre e a migliorare com-portamenti professionali e hanno come og-getto non solo l’apprendimento di contenutiprofessionali specifici, ma anche l’acquisizionedi un metodo fondante la corretta utilizza-zione di quei contenuti. E allora bisogna ren-dersi conto di come apprende il professioni-sta adulto, il quale s’impegna ad apprendereper sapere ciò che gli serve per operare, perfare, cioè per compiere gli atti richiesti dallasua professione, e per essere, cioè per entra-re in relazione soddisfacente con le personeche incontra nel proprio esercizio professio-nale. L’apprendimento dell’adulto è facilitatodall’interesse personale per le cose da ap-prendere, dalla partecipazione attiva al pro-cesso e dal vantaggio che egli ne ricava, fosseanche solo di gratificazione personale. In ef-fetti l’homo sapiens apprende perché è con-tinuamente obbligato a risolvere problemi; inquesta sua attività essenziale per la sopravvi-venza egli applica – grazie all’intelligenza di cuiè dotato – il metodo e la logica della ricerca,e proprio in coerenza a ciò impara per ten-tativi e per errori; non potrebbe non usare lamemoria, che gli serve tuttavia non per im-magazzinare informazioni ridondanti e spessoinutili, bensì per non ripetere errori già com-messi e quindi per abbreviare la durata deipropri percorsi; in altri termini nell’affrontareproblemi nuovi egli utilizza – grazie alla me-moria – l'esperienza acquisita nel risolvere

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za della posizione “moralistica” ancora impe-rante, in una pedagogia centrata sulla personaè facile percepire come dagli errori si possa ap-prendere molto: si potrebbe dire che l'ap-prendere dagli errori è il modo più “naturale”di apprendere; perciò l‘errore va utilizzato pri-ma che punito e questo giustifica l’ampio spa-zio che è opportuno concedere alla valutazio-ne formativa, la quale di per sé rappresenta unformidabile strumento educativo; e deve cre-scere nei docenti,sulla base dell’esperienza per-sonale, la convinzione che i contenuti sono va-lutabili dalla loro applicazione più che dalla lo-ro memorizzazione.Tutte queste considerazionisono confortate dalla constatazione che unavalutazione “virtuosa” mobilita due processieducativi molto utili ed efficaci: la gratificazio-ne personale, che stimola a migliorare la pro-pria performance; e l’etica della responsabilità,che si alimenta della coscienza dei propri com-piti ma anche della consapevolezza realisticadelle proprie capacità e dei propri limiti.

Una conclusione narrativaE ora, a conclusione - ammetto piuttosto ir-rituale - di questa lectio forse poco magistra-lis, proietterò uno spezzone di 6 minuti dellagià citata piece teatrale “Il dottor Knock, ov-vero il trionfo della medicina” scritta nel 1921da Jules Romains e qui recitata dagli allievi del-la Scuola di Formazione specifica in MedicinaGenerale della Provincia Autonoma di Trento;scuola che, con molta saggezza, ha usato co-me strumento pedagogico la comprensione ela preparazione teatrale di questo testo. (Ilmio grazie più caloroso va al dottor Valcano-ver e ai medici-attori per avermi fornito e con-sentito di usarne la registrazione).La commedia racconta due visioni contrap-poste della medicina: quella del vecchio me-dico di paese, che non ha pretese o illusionitaumaturgiche e alla fine se ne va - forse an-che annoiato - in città, da un villaggio di mon-tagna dove per anni ha fatto un lavoro one-sto ma poco produttivo di osservazione unpo' fatalista dello stato di salute dei suoi com-

aspetti simili di problemi precedenti;- sulla base di queste consapevolezze, i fon-damenti della moderna pedagogia dell’adultoconfermano – anche nell'apprendimento del-la medicina - che il discente deve essere po-sto al “centro” dei processi educativi; che l’ap-prendimento è il fine e l’insegnamento è ilmezzo; che non si può imparare tutto quelloche serve una volta per tutte (per esempiosolo durante il periodo scolastico) e che quin-di risulta fondamentale “l’imparare a impara-re” perché l’apprendimento è un processo at-tivo che obbligatoriamente dura tutta la vita;- in un tale scenario la funzione docente, tra-dizionalmente intesa come pura e autorevo-le trasmissione unilaterale del sapere, devetrasformarsi in quella di “facilitatore dell’ap-prendimento”, che grazie alla propria culturae alla propria esperienza sa individuare e sascegliere gli obiettivi educativi essenziali e piùche trasmettere la conoscenza aiuta a impa-rare; insomma, certamente anche istruisce eaddestra, ma soprattutto forma ed educa, perlo più attraverso l’esercizio dell’ars maieuticache stimola la curiosità, la ricerca, la scoper-ta e la capacità critica;- inoltre, affinché l'apprendimento risulti effi-cace si dovranno mettere a punto e utilizza-re metodi didattici coerenti con la strategiaeducativa sopra enunciata: metodi capaci distimolare l’apprendimento per curiosità, perricerca e per scoperta; metodi capaci di inte-grare conoscenze, competenze e abilità, co-me si ottiene egregiamente attraverso l’ap-prendimento basato sulla soluzione di pro-blemi; e infine metodi che privilegino l’ap-proccio “interattivo” in piccolo gruppo (la co-sì detta didattica tutoriale), perché attraversotale approccio di confronto e d’aiuto tra pa-ri si ottiene anche un forte potenziamento deiprocessi metacognitivi;- infine,non esiste apprendimento efficace sen-za valutazione,perché ciò che non si valuta vie-ne …. svalutato e da sempre lo studente stu-dia “naturalmente” per l’esame. Ma a differen-

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paesani; l'altra visione è quella trionfalista diun giovane medico "rampante" che va a so-stituirlo e rapidamente medicalizza tutti gli abi-tanti del luogo: ma fa questo non per amoredella loro salute, ma solo della propria "arte".Vi proietto la sequenza conclusiva del con-fronto tra le due visioni della medicina, cheavviene quando il medico anziano constatastupefatto i risultati raggiunti e vantati dal gio-vane collega e quest'ultimo esprime tutto ilsuo "delirio di onnipotenza".Provate a collegare quanto vedrete con il bra-no de “I Buddenbrook” che ho letto all'inizioe immaginate i due richiami letterari comemetafore del messaggio fondante all'internodella mia trattazione:entrambi i testi sono sta-ti scritti in anni precedenti alla nascita e allosviluppo della medicina scientifico-tecnologi-ca, e tuttavia non mi sembrano del tutto estra-nei al nostro tempo attuale; certamente sonoambientati in uno scenario del tutto diverso;ma restano numerose le analogie soprattuttotra l'atteggiamento di questi medici e di quel-li attuali: gli uni e gli altri mostrano la stessafiducia nelle proprie capacità; gli uni e gli altrivedono “l'arte" di cui sono esperti come l'e-lemento principale del proprio agire, di cui sipresentano come gli unici referenti e giudici.Sorge così il sospetto che la natura intrinse-ca della medicina sia immutabile e ne discen-de il dubbio che non vi sia alcun bisogno, oche risulti comunque sterile un'educazione alcambiamento.Ma è proprio così, o non è piuttosto questoil suo peccato d'origine? Un peccato d'origi-ne non della medicina in sé,ma degli esercentidi quest'arte i quali – nonostante le molte af-fermazioni retoriche – più o meno inavverti-tamente tendono a trasformare il "prendersicura della persona sofferente" nella presun-zione di poter curare ogni suo malanno, e nelcontempo trasformano una vocazione al ser-vizio in un esercizio di potere personale suipropri simili.Nel mio discorso penso di avere tratteggiato- attraverso la mia esperienza professionale -

un arco temporale che ha visto crescere, an-ziché attenuarsi questo peccato d'origine; eparadossalmente ne è stato lievito il grandesviluppo della ricerca scientifica e tecnologi-ca, che ha moltiplicato gli strumenti d'inter-vento efficace senza di pari passo nutrire inchi li usa la virtù dell'umiltà per farne ricono-scere i limiti.E così, paradossalmente, la medicina si è tra-sformata da strumento di liberazione in stru-mento che crea dipendenza!Tutto ciò suscita in me qualche trepidazioneper il futuro (i vecchi soffrono di paure....). E'per questo che ho ritenuto opportuno lan-ciare questo grido d'allarme e suggerire unaindicazione, che bene poi si adatta a tutte lesituazioni contemporanee su cui il nostro giu-dizio si fa timoroso; il suggerimento è questo:in un mondo che cambia tanto velocementeda perdere anche l'istinto per la conservazio-ne del proprio ecosistema, in un mondo nelquale i valori vengono rapidamente "consu-mati" o addirittura rimossi, perché l'avere ol'apparire contano più dell'essere e il compe-tere è funzionale al sopraffare, affinché il nuo-vo non sia solo una moda transitoria, ma rap-presenti a sua volta un valore effettivo, è es-senziale mettere al primo posto l'educazionedelle nuove generazioni, il che vuol dire aiu-tare la maturazione mentale e lo sviluppo eti-co delle loro persone, non solo le loro capa-cità di fare per produrre: è nostro compitoeducarli a ragionare in autonomia di giudizio,ad assumere in prima persona la responsabi-lità delle proprie decisioni, ad agire per il be-ne comune più che per il mero tornacontopersonale,a guardare ampio e lontano, in un'ot-tica planetaria che riguarda tutta l'umanità, nelnord e nel sud del mondo; e questo in tutti icampi, dalla politica all'arte, dalla sociologia al-l'economia,all'ecologia e per quanto ci riguardapiù da vicino oggi, anche nell'esercizio dellaMedicina.

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to sul paziente (d’Ivernois, 1995), è stato realizzatoutilizzando metodologie didattiche attive quali le dis-cussioni di gruppo, le esercitazioni, il role playing. Unaspetto innovativo era rappresentato dalla partico-lare attenzione prestata agli aspetti emotivi legati allamalattia. Il corso si proponeva un duplice obiettivo:ottenere una migliore gestione della malattia e au-mentare la qualità di vita. Per valutarne l'efficacia,sono stati sottoposti ai pazienti coinvolti due ques-tionari da compilare prima e dopo lo svolgimentodel corso: un Questionario delle Condotte di Rifer-imento - CdR (Trento, 1998) e un questionario perla va lutaz ione del lo stato di sa lute - SF36(http://crc.marionegri.it/qol).Risultati. Hanno partecipato al corso 8 soggetti. Perquanto riguarda il Questionario delle Condotte diRiferimento (CdR) si è visto un significativo miglio-ramento dei punteggi dei questionari compilati dopoil corso, che indicherebbe una maggiore capacità digestione della malattia. Per quanto riguarda invece ilquestionario per la valutazione dello stato di salute(SF36), i dati raccolti appaiono discordanti; questopuò essere dovuto al fatto che il test valuta lo statodi salute in generale, non negli aspetti specificamentelegati al diabete.

Bibliografia essenzialed’Ivernois JF, Gagnayre R: Educare il paziente. Guida al-

l’approccio medico-terapeutico. Mediserve, 1995;Norris SL, Lau J, Smith JS, Schmid CH, Engelgau MM: Self-

Impariamo ad essere diabetici: primipassi di un corso psicoeducativo conpazienti affetti da diabete di tipo 2R. BALESTRIERI, L. ODONE, G. LAMIANI, E.VEGNI.,E. A. MOJACattedra di Psicologia,Dipartimento di Medicina, Chi-rurgia e Odontoiatria,Università degli Studi di Milano,Ospedale San Paolo - Polo Universitario.

Introduzione: La letteratura sottolinea l’importanza diattuare un processo educativo rivolto ai pazienti perconseguire gli obiettivi terapeutici soprattutto nelcaso di una patologia cronica come il diabete di TipoII (Trento, 2004). Numerosi studi dimostrano inoltreuna maggiore efficacia di un intervento di grupporispetto agli interventi individuali (Norris,2002).Obi-ettivi. Questo lavoro si propone di presentare uncorso psicoeducativo rivolto a pazienti affetti dadiabete di Tipo II svolto presso la Cattedra di Psi-cologia dell’Ospedale San Paolo di Milano nel periodoaprile-giugno del 2005. In particolare, verranno il-lustrati i presupposti teorici e la struttura del prog-etto e i dati, del tutto preliminari, relativi all’effica-cia dell’intervento.Materiali e metodo. I partecipanti sono stati selezionatitra i soggetti afferenti presso l'ambulatorio di dia-betologia dell'Ospedale San Paolo di Milano sullabase del loro interesse a partecipare. Era previstaanche la possibilità di coinvolgere un parente stretto.Il corso, basato su un approccio pedagogico centra-

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menti di cultura gestionale con elementi di medicalhumanities. Al riguardo viene illustrata l’esperienzaformativa maturata presso l’A.O. Ospedali Riuniti diBergamo.Materiali e metodi.Dal 2003 presso l’A.O.viene offertoun articolato corso di “medical humanities e culturagestionale” della durata di 55 ore di apprendimen-to diviso in moduli monotematici riservato a piccoligruppi di medici. Il corso ha trattato i seguenti con-tenuti generali: strategie di problem solving, gestionedell’errore in medicina, il normale e il patologico,etica e autonomia nella relazione di cura, costruireun team, comunicare cattive notizie, controversienella Evidence Based Medicine, customer satisfac-tion, etnomedicina, la salute degli operatori. Il con-tratto formativo prevede l’acquisizione delle capac-ità di individuare condizioni di criticità e negativitàrispetto alle modalità ordinarie di lavoro relativa-mente ai temi trattati e quindi saper progettare mod-ifiche correttive di natura educativa a carico delledisfunzioni riscontrate.Dal punto di vista gestionale gli strumenti veicolatia questo scopo sono costituiti dai fondamenti diproject management. La modalità didattica è costi-tuita da: analisi di casi affrontati singolarmente e inpiccoli gruppi guidati, plenarie di restituzione, analisiteorica da parte del docente che assume un ruolodi facilitatore d’apprendimento. Sono sempre pre-senti in aula e coinvolti nella didattica oltre al docenteun tutor di gruppo e un tutor d’aula.L’articolazione d’aula prevede la presentazione di casireali di natura clinica e di casi storici, il gioco di ruoli,la visione di film, il confronto diretto con esperien-ze significative portate in aula criticamente. L’inter-vento dei docenti ha avuto un carattere interattivo,con un’ottica di scambio e confronto reciproco traprofessionalità ed expertise diverse provenienti dalmondo della sanità pubblica e privata e dall’Univer-sità, in particolare con le Facoltà di Medicina di Milano-Bicocca e Facoltà di Lettere e Filosofia di Bergamo.Solo come esempio, nel modulo formativo di 8 orededicato alle operazioni di inquiry e learning iner-enti l’errore clinico e organizzativo sono trattati, sti-molati dall’analisi preliminare “in diretta” di eventistorici catastrofici e a partire quindi dalla teoria edall’esperienza clinica: i sistemi di rilevazione deglieventi avversi mediante incident reporting e root

management education for adults with Type 2 diabetes. Ameta-analysis of the effect on glicemic control.Diabetes Care,25:1159-71,2002;

Trento M, Passera P,Tomalino M et al.:Therapeutic groupeducation in the follow-up of patients with non-insulin treated,non insulin dependent diabetes mellitus.Diabetes Nutr Metab,11:212-6,1998;

Trento M, Passera P, Borgo E:A 5-year randomized con-trolled study of learning, problem solving abilty, and qualitàof life modifications in people with type 2 diabetes managedby group care. Diabetes Care, 27:670-5,2004.

Medical Humanities e culturagestionaleBARBERIS L.*, BETTINESCHI L.°, DELVECCHIO G.*,NACLERIO R.§, PAGANONI G.** A.O. Ospedali Riuniti Bergamo ° Ufficio Tecnico ASLBergamo §Università di Bergamo

Introduzione. La sanità italiana è in faticoso cambia-mento. Strumento elettivo per guidare e governareil cambiamento nella complessità è la formazionecontinua (FC) del personale. Scopo della FC non èperò solo quello, limitante per il formatore avanza-to che si occupa di educazione dell’organizzazionee per chi esercita una professione intellettuale nel-l’epoca della knowledge economy, di addestrare anuove mansioni operative. Compito di una FC diqualità da intendersi come motore del cambiamen-to, è invece quello di educare i professionisti a undiverso nuovo ruolo professionale e sociale.Poiché una criticità maggiore nella direzione del cam-biamento è costituita dalla difficile trasposizione deirisultati delle ricerche e dell’innovazione nelle strate-gie di decision making (1) può essere opportunoconcentrare gli sforzi progettuali nell’elabo-razione/costruzione di modelli di ruolo (2) i qualiavranno poi i compiti di disseminare il cambiamen-to, dandone testimonianza sia della direzione chedell’impegno e comprendere le resistenze attive epassive. Per arrivare a questo sottobiettivo irrinun-ciabile, assodato che le specifiche conoscenze tec-niche appartengono ai discenti, lo strumento è l’an-dragogia con le sue tecniche più mature mentre ilcontenuto formale dell’insegnamento/apprendimen-to è costituito dall’accoppiamento sinergico di ele-

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cause analysis, il sistema di ringegnerizzazione delcircuito di prescrizione-somministrazione comput-erizzata dei farmaci mediante carrello intelligente.Considerazioni conclusive. La conoscenza è capitale in-tellettuale che deve essere valorizzato e tesaurizza-to sempre più in sanità, specie in un contesto con-correnziale come l’odierno ed in cui la customersatisfaction relativa alla qualità percepita e a quellaerogata è centrale per innescare processi evolutivia favore del cliente esterno e interno dell’organiz-zazione. In questa ampia cornice di riferimento, ladidattica centrata sul discente, principio attivo chedeve guidare ogni FC in sanità e accompagnare ilcambiamento long life nel professionista e nell’azienda,permette di esulare dalle condizioni d’aula e mettei clinici “in contesto”, ovverosia permette di simula-re le reali condizioni sul campo, le uniche, in fondo,che permettono una naturale interiorizzazione delleconoscenze acquisite. Così effettuato, inoltre, l’ap-prendimento è sia individuale che collettivo, config-urandosi un ulteriore livello di apprendimento, col-laborativo appunto (3), realizzato attraverso unavoluta strategia di pedagogia sociale preliminare peruna learning organization. Quest’ultima è uno scopofinale, proiettato nel futuro, della FC. Con tali pre-messe educative e di qualità nella progettazione erealizzazione del corso, i test finali di gradimento edi apprendimento individuali effettuati alla fine di ognimodulo e alla fine del corso, anche ricorrendo allacostruzione di mappe cognitive e/o con elaborazionial PC, intercettano in pieno la generale soddisfazionedel committente, dei docenti e dei discenti.

Collaboratori: M. Ceruti Preside di Facoltà Univer-sità di Bergamo;W. Fornasa Università di Bergamo;I. Lizzola Università di Bergamo; P. Braibanti Univer-sità di Bergamo; P. Barbetta Università di Bergamo;G. Rezzonico Università Milano-Bicocca; S. Spinsan-ti Istituto Giano Roma;M.I.Milesi OO.RR.Bg e corsodi laurea in Infermieristica Università Milano-Bicocca;I. Morandi OO.RR. Bg e corso di laurea in Infer-mieristica Università Milano-Bicocca;G.Taddei OO.RR.Bg;C.Ottomano OO.RR.Bg;M. Salmoiraghi OO.RR.Bg; G. Remuzzi OO.RR. Bg e Istituto Mario Negri;M. Migliori OO.RR. Bg; L. Iamele OO.RR. Bg; M. Mon-turano libero professionista.

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tion 2003;37:758

Pedagogia dei genitori e formazionedel personale socio-sanitario E. BARONE, E. CECCHINI S. FAGNI

Introduzione. I genitori, come formatori, esprimono leloro competenze educative attraverso la narrazione del-l’itinerario di crescita dei figli. Scopo della Pedagogia deiGenitori è sottolineare la dignità dell’azione pedagogi-ca dei genitori come esperti educativi (1). Il progetto siè diffuso a livello nazionale ed internazionale, con-tribuendo alla formazione, nei rispettivi ambiti, degliesperti e dei professionisti che si occupano di rappor-ti umani.Attualmente, numerose Istituzioni Scolastiche,Aziende USL ed Enti Locali adottano la metodologiadella Pedagogia dei Genitori per l’aggiornamento deipropri operatori.Descrizione dell’ esperienzaLe agenzie formative istituzionali hanno riconosciuto lavalidità di questo approccio, come dimostra un’e-spe-rienza pilota realizzata dalla Azienda USL 5 Toscana,nel-l'ambito del Piano di Formazione 2004 per il personaledel Dipartimento Sociale Zona Pisana (2), estesa allealtre Zone della stessa USL (Val d’Era ed Alta Val diCecina) col Piano di Formazione 2005. La particolaritàe l’originalità dell’esperienza consiste nel capovolgere ilruolo degli operatori sociali da attori del progetto in-dividualizzato ad ascoltatori del progetto di vita, tramitela narrazione del genitore del bambino disabile e/o indifficoltà. Obiettivo specifico non era l’acquisizione dicontenuti conoscitivi, ma la promozione dell’adozionedi nuove prassi nella stesura del pro-getto individualiz-zato per la persona disabile.RisultatiIl corso ha visto la partecipazione dei genitori in qualitàdi docenti e si è avvalso della narrazione quale princi-pale strumento pedagogico (3)I laboratori realizzati sono stati fonte preziosa di rifles-sione sulla formazione professionale.Alcuni dati emersi:- gli operatori professionali del settore sociale hanno

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Una metodologia di valutazionedell’apporto delle discipline di baseall’espressione della professioneinfermieristica. Contributo allaformazione dei formatori ed allaformazione continua.Esperienza a Messina.M. BOTTARI, F. CAVALLARO, A. CALATRONI*Ufficio infermieristico, Direzione Sanitaria, e*Dipartimento di Scienze Biochimiche, Fisiologiche edella Nutrizione, Policlinico Universitario di Messina

Le finalità del contributo si collegano al non sem-plice processo di attuazione pratica di due provved-imenti tesi a elevare la qualità dell’assistenza sani-taria in Italia: la Laurea in Infermieristica, che prevedepersonale provvisto di buon bagaglio cognitivo, e laformazione continua del personale sanitario. Infatti,primo obiettivo del contributo è valutare come lenozioni delle discipline di base abbiano finora con-tribuito alla cosciente espressione personale dellaprofessione infermieristica, allo scopo di fornire in-dicazioni ai formatori dei formatori utili a identifi-care gli argomenti ritenuti passibili di maggior svilup-po in un prossimo futuro. Sulla base dei risultati ot-tenuti si potrà poi ampliare il discorso alle disciplineprofessionalizzanti. Il motivo che giustifica la ricercadell’obiettivo suddetto nasce dalla necessità di val-utare criticamente due realtà: la difficoltà concretadi riuscire a esprimere una didattica di base che siasemplice, essenziale e chiara e il tempo limitato cheviene concesso agli Studenti per lo studio.Si è cercato di raggiungere l’obiettivo attraverso unametodologia molto elementare, cioè mettendo apunto un questionario che chiede al soggetto stu-dente anziano di valutare, a posteriori, quale sia statoil reale vantaggio da lui tratto dall’aver seguito i corsidi discipline di base nell’interpretazione razionale dioperazioni pratiche della sua attività giornaliera. Unesempio: in occasione di una trasfusione di sangue,quale vantaggio il soggetto ritiene di aver ottenuto,per la sua personale partecipazione intellettiva ai variaspetti dell’operazione, dalle spiegazioni relative allecaratteristiche ed all’importanza dei gruppi sangui-gni? Come tutti i questionari, anche questo è forte-mente influenzato da chi lo ha redatto e, per quantoriguarda i risultati, da chi lo ha compilato: esso quindi

percepito la novità e la validità della metodologiaproposta, come evidenziato dalla loro disponibilità amettere in campo le proprie risorse personali at-traverso lo strumento narrativo (4-6);- alcune assistenti sociali hanno invitato i rispettivitirocinanti a prender parte ai laboratori, ritenendoche la formazione in ambito accademico non con-templasse questo tipo di impostazione educativa(opinione peraltro pienamente confermata dai direttiinteressati);- assenza quasi totale degli operatori professionalidel settore sanitario.Prospettive. L’esperienza realizzata ha permesso diverificare la possibilità di una duplice ricaduta dellostrumento formativo utilizzato (la narrazione), coneffetti sia sull’operatività quotidiana dei singoli chea livello sistemico, in relazione all’organizzazione deiServizi. La Pedagogia dei Genitori diventa dunque“esportabile” e promuove il ruolo attivo della famigliaall’interno dei Servizi Socio-sanitari deputati alla“cura”, fornendo strumenti ed indicazioni concreteper la programmazione e la valutazione multi-di-mensionale. La narrazione, intesa come conoscenzae condivisione del progetto personalizzato, diventauna risorsa a fianco degli altri strumenti di valu-tazione professionali (care/case manager). Essa rap-presenta uno strumento metodologico per rendereconcreti ed attuabili i principi della partecipazioneattiva del cittadino e dell’integrazione socio-sanitarianei servizi che costituiscono i cardini della Societàdella Salute, attualmente in sperimentazione nelle trezone socio-sanitarie della Azienda USL 5 Toscana.

Bibliografia (1) Moletto A. e Zucchi R. I genitori salgono in cattedra.

Animazione Sociale, anno XXXIV: 79-86 (2004).(2) Fagni S. Pedagogia dei genitori. Handicap & Scuola,

121: 21 (2005).(3)Cecchini E. Genitori per la formazione: un’esperienza

alla ASL di Pisa. Handicap & Scuola, 121: 23-24 (2005).(4) Franceschini M.Handicap & Scuola, 121: 21-22 (2005).(5) Guerrini A.M. Handicap & Scuola, 121: 22 (2005).(6) Fagni S. Handicap & Scuola, 121: 22-23 (2005).

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ha valenza ancora di modello sperimentale. In talesperimentazione è stato valutato il suo impatto suun ristretto numero di studenti, selezionati tra quelliappartenenti al 3° anno di CdLI, che si presupponeabbiano già notevole esperienza pratica, su base vo-lontaria, disponibili cioè a dedicare un poco di tempoa una seria compilazione del questionario.Nel questionario si è richiesto agli studenti di quan-tificare i vantaggi ottenuti, nella loro attività profes-sionale, dalla trattazione di argomenti vari a loroofferta nel corso di lezioni delle discipline di base,quindi Anatomia ed Istologia, Chimica Medica e Bio-chimica, Biologia e Genetica e Fisiologia Umana. Perogni disciplina sono stati elencati da otto a sedici ar-gomenti, suddivisi equamente tra quelli ritenuti piùaccessibili e quelli che si presuppone abbiano ri-chiesto una maggiore attenzione. Una dettagliata de-scrizione commentata dei risultati sarà presentatanel poster, ma pochi commenti generali appaiono giàpossibili, sia pure su un modello sperimentale. Comeprevedibile, i massimi vantaggi dichiarati sono relati-vi ai corsi di Anatomia e Fisiologia, mentre minorivantaggi sono stati dichiarati ricavati dagli insegna-menti di Biochimica e Biologia. Il dato è comunqueda tenere in grande considerazione per la forma-zione dei formatori, perché evidentemente permanea livello del personale sanitario quella difficoltà a col-legare il mondo molecolare alla pratica clinica chesolo la generazione ultima di medici ha saputo com-pletamente superare, in virtù di un’era in cui biolo-gia molecolare e l’ingegneria genetica si sono imposteanche negli ambiti clinici. Altro dato che non sor-prende è che i maggiori vantaggi vengano dichiaratiper gli argomenti più accessibili.Anche in questo casol’indicazione appare chiara: gli argomenti più com-plessi, che però sono anche i più attuali, non vengonostimati e memorizzati a sufficienza. Delle varie pos-sibili cause, una può essere eliminata concedendoagli studenti più tempo per assimilare le informa-zioni. L’incubo attuale dell’inserimento precoce nelmondo del lavoro fa privilegiare gli aspetti pratici efa dimenticare che la nostra tradizione predilige laformazione dell’Uomo culturalmente indipendente,dalle molteplici potenzialità. Occorre trovare unaformula di connubio.

Multidisciplinarità einterprofessionalità: un progettopossibile?M. CANEPA, G. NAPOLITANO, R. FELLINI,C. MAGANZACorso di Laurea in Ostetricia – Università degli Studidi Genova

Il progetto nasce durante la preparazione del Core-curriculum del Corso di Laurea in Ostetricia dell’U-niversità degli studi di Genova.Da quest’anno abbiamoprovato, lavorando insieme, a delineare il Core-curri-culum del Corso Integrato “Ostetricia:la donna in gra-vidanza”, intrecciando in maniera significativa gli apportidisciplinari del settore di competenza ostetrica e diquello medico-specialistica,per avvicinare ulteriormentele due professionalità impegnate nel percorso di nascita.Ciò da un lato per coinvolgere i discenti in un per-corso dove non ci fossero delle sovrapposizioni te-matiche (uno stesso argomento ripetuto più volte daidiversi docenti) e dall’altro perché l’offerta didatticacosì concepita, a più voci e “a più sguardi”, potesserappresentare un valore aggiunto. La parte più arduadi questo progetto è stata, come ovvio, la messa inopera. All’inizio dell’anno accademico i docenti delCorso Integrato si sono riuniti per organizzare le “oredi lezione”, attenendosi al piano didattico del Core-curriculum. Anche nella messa in pratica degli incon-tri con gli studenti, sia nel setting d’aula che in quellidi tutorato clinico per il tirocinio professionalizzante,si è valorizzato l’aspetto della compresenza e dellacondivisione tra i docenti di professionalità diverse (gi-necologo e ostetrica). Forte attenzione è stata postaal coinvolgimento attivo degli studenti con ampio ricorsoa metodologie tutoriali innovative come problem-solving (PS),problem based learning (PBL), role-playing(RP) ecc. Nella tabella 1 della pagina seguente si allegacopia del piano didattico che mette in evidenza la com-presenza dei docenti.

Il ritorno alla nascita: viaggioiniziatico di due neo-dottoriG. COLOMBO, I DELLACASA Università degli Studi di Genova

La nascita ci richiama alla mente immagini e storieche ci portano ben lontano dall'ambiente proprio di

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tato di un parto operativo più o meno elettivo, néla conclusione della spirale ascendente di test discreening e indagini diagnostiche sempre più sofisti-cate. Quello che si respira al C.N.A. e nei suoi op-eratori è l’idea che non debba esistere una gerar-chia di saperi per l’intervento migliore nel fenome-no nascita, bensì che sia opportuno sfruttare il con-tributo di altre discipline, cosicché la donna, futuramadre,possa trarre giovamento dalla psicologia,dallapsicoanalisi, dall'antropologia, dalla letteratura e nonsolo dalla fisiologia, dall'ostetricia e dalla chirurgia.Ad esempio, con il racconto di “Sole, Luna e Talia”di Basile potrebbe già essere aiutata ad accettare lanuova identità assunta perché tale racconto, versioneseicentesca della fiaba che ispirò ai fratelli Grimm“La bella addormentata”, la fanciulla si sveglia solo

una corsia ospedaliera, nonostante nei sei anni delCorso di Laurea in Medicina e Chirurgia la stessacorsia sia sempre stata la nostra meta. È per questoche entrare al Centro Nascita Alternativo,pur essendocolpiti dalla sua assoluta novità, non ci ha condottocosì distanti dal nostro immaginario, in cui l'eventoè vissuto in totale serenità e calma con i dovuti tempie il dovuto scenario:suonare il campanello per poterviaccedere nonostante possessori dell’agognato titolodi dottori, i quadri alle pareti colorate che ispiranoi moti migliori dell'anima (per essere ottimisti sulfuturo dei nuovi venuti), i suoni leggeri, e soprattut-to la volontà di un’interdisciplinarietà volta a far ri-entrare in un'ottica il più possibile propria l'eventonascita, non ammettendolo solo quale esito di unamaturazione cervicale indotta o spontanea,né il risul-

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TABELLA 1. Piano Didattico

Indirizzare la coppia verso i controlli preconcezionali Medico + OstetricaInquadrare le basi morfo-funzionali dello scambio materno-fetale MedicoRiconoscere lo stato di gravidanza e le specifiche modificazioni e adattamentiche esso comporta a carico dell’apparato genitale e degli altri principali organi Medico + OstetricaDefinire le modalità di sorveglianza di una gravidanza fisiologica Medico + OstetricaIndividuare i principali fattori di rischio in gravidanza e i relativi criteridi selezione MedicoEffettuare un’anamnesi orientata alla definizione del rischio ostetrico MedicoEffettuare le principali procedure semeiologiche dell’esame obiettivo generale Mediconella gravidaInquadrare le peculiarità professionali del personale sanitario coinvolto nella Ostetrica“care”della gravidaSviluppare capacità relazionali nella raccolta dell’anamnesi OstetricaSviluppare abilità empatiche e comunicative nei confronti della donna Ostetricain gravidanzaInquadrare le procedure di diagnostica prenatale e le problematiche relative Medico + OstetricaFornire adeguate informazioni in merito alle procedure previste Ostetricadalla legge 194/78 Fornire alla gravida adeguate indicazioni riguardanti viaggi e vaccinazioni OstetricaFornire adeguato supporto psicologico le donne extracomunitarie OstetricaInformare le donne in merito alla condotta assistenziale durante la gravidanza OstetricaSaper utilizzare le evidenze scientifiche in merito alla sorveglianza prenatale Medico + Ostetrica(espl. vaginali, ecografie, esami di laboratorio e indagini strumentalinella gravidanzaCondurre un incontro-colloquio con la gravida OstetricaEffettuare i controlli appropriati in prossimità del termine di gravidanza Medico + OstetricaFornire informazioni sui controlli da effettuare oltre il termine di gravidanza Medico + Ostetrica

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dopo aver dato alla luce i gemelli Sole e Luna, sot-tolineando come sia un rapporto di reciprocità incui la parte che riceve la vita dà a sua volta la vita.Così la spiegazione delle modificazioni corporeedurante l'espulsione del feto potrebbero incorag-giarla ad affrontarla senza paure,magari con la visionedi parti in aree del mondo in cui l’atto del partorirenon richiede nessun altro se non la sola donna, cheancestralmente sa esattamente cosa fare. La visionedi film come “La storia di una cammella che piange”,fornirebbero in maniera forse più incisiva e atrau-matica l'idea di come la depressione postpartum nonsia da considerarsi una malattia, ma una situazionetransitoria e risolvibile con un aiuto corale che laneo-madre non deve temere di chiedere a più sogget-ti. Per agevolare la comprensione di paure legate al-l'evento e farle così emergere dall’inconscio, essapotrebbe esporre ad uno psicanalista i propri sogni,provando così a risolvere le angosce più remote.Con la musicoterapia può iniziare la comprensionedi un rapporto che si salderà con la nascita delproprio figlio, lasciando libere di scivolare sulle notemusicali tutte le emozioni, i pensieri, le ansie, che ladonna affronterà in totale simbiosi emozionale conil proprio feto.Al termine della frequenza in questanuova visione di corsia di ostetricia, ne siamo usciticon la convinzione che sia necessario spostare ilpunto di osservazione dell'evento nascita un po' piùlontano,per accogliere e comprendere e quindi meglioaiutare nella presa in cura la donna. Ma è necessariauna vera e-ducazione, che porti all’umiltà di nonritenersi, in quanto preparati nell’ambiente medico,i soli “care providers” formati per occuparsi dellagravidanza e della nascita, bensì essere i promotoridella formazione di un circuito virtuoso di collabo-razione tra tutti i luoghi e le discipline che possonodefinire la venuta al mondo di un nuovo essere.

La comunicazione biomedica ininglese: i seminari di scritturascientifica della Facoltà di Medicinae Chirurgia di Firenze*°^ANDREA. CONTI, ^§ ANTONIO CONTI,*°^G. F. GENSINI.*Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica,Università degli Studi di Firenze

°Fondazione Don Carlo Gnocchi, IRCCS Firenze^Centro Italiano per la Medicina Basata sulle Prove,Firenze§Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Universitàdegli Studi di Firenze

La tecnica di scrittura dell’articolo scientifico bio-medico in lingua inglese può essere insegnata edappresa, ma la sua collocazione nel curriculum deglistudi medici nell’ottica della formazione permanen-te dei professionisti della salute non è ancora defini-ta con precisione.Al fine di dare una risposta alla ri-chiesta di condivisione di un metodo scientifico distesura del manoscritto biomedico in inglese la Pre-sidenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia dellaUniversità di Firenze ha organizzato, nel corso di dueanni accademici consecutivi, due seminari di scrittu-ra scientifica in inglese, gratuiti ed aperti a tutti gli in-teressati. Sono stati invitati docenti con documenta-ta competenza letteraria, biomedica e relazionale, ehanno partecipato 24 specializzandi e 16 dottorandidi area sanitaria. Il formato del seminario prevedevauna parte teorica interattiva, consistente nell’illu-strazione esemplificata da parte dei docenti delle prin-cipali tecniche di scrittura scientifica in ambito bio-medico, una parte pratica-operativa consistente nellavoro in piccoli gruppi degli specializzandi e dei dot-torandi chiamati alla stesura di una sezione di testoscientifico e una discussione finale con intervento diqualificati ricercatori con esperienza pluridecennalenella preparazione del manoscritto biomedico in linguainglese. Nella parte teorica iniziale sono stati propo-sti due modelli validati di composizione dell’articoloscientifico, quello classico suddiviso in 4 sezioni (In-troduzione, Materiali e Metodi, Risultati, Discussio-ne) e quello ispirato alla Medicina Basata sulle Evi-denze articolato in 8 sezioni (Scopo dello Studio,Pro-tocollo dello Studio, Luogo di Svolgimento, Pazienti,Modalità di Intervento, Principali Parametri di Valu-tazione, Principali Risultati, Conclusioni). Nella partepratica sono stati forniti agli specializzandi ed ai dot-torandi dati semplificati relativi a uno studio clinico(specializzandi) e ad una ricerca di base (dottoran-di). Specializzandi e dottorandi sono stati poi suddi-visi rispettivamente in 8 gruppi (di 3 persone cia-scuno) ed in 4 gruppi (di 4 persone ciascuno) che sisono dedicati all’elaborazione di ognuna delle 8 sezionidel modello evidence-based dell’articolo originale in

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°Presidenza Facoltà di Medicina e Chirurgia,Università degli Studi di Firenze.§Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Universitàdegli Studi di Firenze.

Negli ultimi cinque anni la Facoltà di Medicina e Chi-rurgia dell’Università degli Studi di Firenze ha pro-mosso e progressivamente potenziato un’attività diprogettazione e di produzione di materiali didatticion-line a supporto della didattica tradizionale per glistudenti dei Corsi di Laurea di area sanitaria, in par-ticolare del Corso di Laurea in Medicina e Chirur-gia e di quello in Infermieristica (“Progetto e-Lear-ning”). La consapevolezza che la formazione remotadeve essere proposta ed applicata sia in una logicadi servizio che in una logica di sperimentazione eche l’e-learning è da interpretarsi come un elemen-to da integrare nel sistema della formazione e noncome un elemento sostitutivo alla didattica conven-zionale, ha portato all’elaborazione di un modello diinsegnamento universitario integrativo a distanzadelle Scienze Umane per le Professioni Sanitarie In-fermieristiche. Sono stati pertanto predisposti ma-teriali didattici on-line (comprensivi di un’indicazio-ne ragionata di siti Internet educativi in lingua ita-liana relativi alle Scienze Umane) rivolti agli studen-ti del Corso di Laurea in Infermieristica (CdLI) ed èstato preparato e validato un questionario struttu-rato mirato alla valutazione dell’interesse percepitoe della soddisfazione espressa dagli stessi studentidel CdLI. La sperimentazione didattica è stata avviatanelle sedi decentrate di San Giovanni Valdarno (incui l’insegnamento della Storia della Medicina e dellaBioetica si è tenuto per la prima volta nell’anno ac-cademico 2004/2005) e di Pistoia della Facoltà Medicafiorentina. Ciò in considerazione del fatto che la di-sponibilità on-line di materiali didattici facilmentefruibili può rappresentare uno strumento integrati-vo che offre una formidabile opportunità di inte-grazione e di verifica proprio laddove, come avvienenelle sedi decentrate dell’Ateneo, il contatto perso-nale docente-discente non può essere così continuocome nella sede centrale.Al fine di documentare l’in-teresse e la soddisfazione il questionario struttura-to è stato somministrato, fino al momento presen-te, a 49 studenti (35 femmine, 14 maschi, intervallodi età compreso tra 22 e 46 anni). L’interesse per-cepito e la soddisfazione espressa dagli studenti del

lingua inglese (gli specializzandi), e di ognuna delle 4sezioni del modello tradizionale (i dottorandi). La di-scussione finale ha messo a fuoco gli elementi chiavedel processo attivo e partecipato della scrittura scien-tifica in lingua inglese, sottolineandone al contempole criticità. La disponibilità del confronto tra duemodelli ha permesso di evidenziare pregi e limiti diciascun approccio. La soddisfazione percepita è ri-sultata elevata da parte di tutti i partecipanti; il modelloevidence-based di stesura dell’articolo biomedico ininglese ha registrato una maggiore adesione agli stan-dard di riferimento internazionali di tecnica di scrit-tura scientifica. L’esperienza formativa della FacoltàMedica fiorentina ha fornito pertanto risultati moltoincoraggianti in termini di soddisfazione soggettiva edi risultati obiettivabili misurati sull’uniformità dei testiscientifici preparati dai giovani medici ai criteri adot-tati dalla comunità scientifica internazionale. Un ulte-riore elemento educazionale da sottolineare è la ca-pacità del seminario di scrittura scientifica, propostonel formato descritto, di instillare lo spirito di colla-borazione negli operatori sanitari e di sollecitare di-rettamente la loro disponibilità a lavorare in squadra,sviluppando al contempo le loro conoscenze teoriche(acquisizione dei principi base della tecnica di scrittu-ra scientifica), le loro competenze pratiche (traduzio-ne operativa della tecnica nella stesura di una sezionedell’articolo biomedico in inglese) e le loro capacitàrelazionali (sviluppo dell’attitudine a collaborare inmodo integrato nella preparazione di un testo scien-tifico originale frutto del lavoro di una squadra di pro-fessionisti sanitari).

La formazione a distanza delpersonale infermieristico: analisistrutturata dell’interesse e dellasoddisfazione per i materialididattici elettronici degli studentidel Corso di Laurea inInfermieristica della Facoltà diMedicina e Chirurgia di Firenze.*^ANDREA A. CONTI, ^°§ANTONIO CONTI,°M. R. GUELFI, *^°G.F. GENSINI.*Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica,Università degli Studi di Firenze.^Centro Italiano per la Medicina Basata sulle Prove,Firenze.

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CdLI per i materiali didattici disponibili nell’archivioelettronico della Facoltà medica fiorentina sono ri-sultati elevati, e significativamente superiori alla sogliadel 75% prevista nell’ipotesi nulla degli Autori (p<0,01per l’interesse percepito e p<0,05 per la soddisfa-zione espressa). I risultati positivi rilevati su un numerorappresentativo degli studenti del CdLI costituisco-no un elemento di stimolo da un lato al potenzia-mento di strumenti didattici integrativi on-line e dal-l’altro alla prosecuzione dell’opera di registrazionedel grado di interesse e di soddisfazione degli stu-denti del Corso di Laurea in Infermieristica. Rap-presentano inoltre un incentivo all’estensione del-l’attività formativa a distanza sperimentata ed al suomonitoraggio strutturato nell’ambito delle ScienzeUmane ad altri Corsi di Laurea dell’area sanitaria,processo attualmente in corso di svolgimento.

OSCE: Objective structuratedclinical examination per lavalutazione annuale dellecompetenze professionaliCTRSM M. CURZEL, TSRM P. BLADO,TSRM T. GASPERI

Una delle fondamentali priorità perseguite dai docentie tutor dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanita-rie è certamente la valutazione delle competenzeprofessionali acquisite dallo studente al termine diun percorso formativo. Certificare il livello di com-petenza raggiunto dallo studente risulta, in ambitoradiologico, particolarmente complesso data la pre-senza di alcune variabili, quali l’utilizzo di tecnologiasofisticata, la necessità di salvaguardare pazienti eoperatori da esposizioni non giustificate alle radia-zioni ionizzanti e la valutazione di competenze rela-zionali che identificano sempre più il Tecnico di Ra-diologia come un professionista che si prende caricodel paziente durante tutto l’iter radiologico. In uncontesto medico scientifico caratterizzato da un’in-calzante evoluzione tecnologica, tuttavia non disgiuntadalla necessità di sviluppare un ragionamento criticoche coinvolga tutto l’atto radiologico nella sua com-plessità tecnica ed assistenziale, i formatori dell’arearadiologica cercano soluzioni alternative alla tradi-zionale “prova pratica” che per anni ha caratteriz-zato le valutazioni certificative del tirocinio profes-

sionale, nonché i training nella formazione perma-nente. Dall’esperienza del Nursing è possibile indi-viduare metodiche e strumenti innovativi, idonei aconsentire un’efficace valutazione integrata e com-pleta degli obiettivi formativi. Con l’attivazione delCorso di laurea in Tecniche di Radiologia Medica, perImmagini e Radioterapia presso l’Università degliStudi di Verona – polo didattico di Ala (Trento), alcunidocenti e tutor delle discipline tecnico pratiche,hanno introdotto lo strumento “Objective Structu-rated Clinical Examination” per la valutazione annualedelle competenze professionali. L’OSCE è stato pro-gettato come un insieme di stazioni di interpreta-zione radiologica correlata alla metodologia tecnicae alle misure radioprotezionistiche previste. In ognistazione lo studente ha il compito di osservare cri-ticamente il radiogramma proposto identificando lestrutture in esame, la metodologia utilizzata e i criteridi correttezza/accettabilità dell’esame radiologico. Ilnumero e la tipologia delle stazioni è stato proget-tato in funzione alle competenze professionali da va-lutare: dall’interpretazione del radiogramma, alla de-scrizione analitica di un grafico dosimetrico, alla si-mulazione della messa in atto di misure radioprote-zionistiche. La sperimentazione ha consentito dimettere in risalto i punti di forza e di debolezza dellametodica, stimolando un interessante confronto frai docenti coinvolti ed individuando spunti di rifles-sione su una tematica che coinvolge tutti i forma-tori dell’area radiologica.

È necessario ripensare la formazionein ambito clinico in un'ottica ditutorialità?L'esperienza di un gruppo distudenti del corso di LaureaSpecialistica di Medicina eChirurgia di Genova nel corsointegrato di ginecologia e ostetricia.DE FELICE S., DELLACASA I, FRAVEGA R.Università degli studi di Genova, Corso di Laureaspecialistica in Medicina e Chirurgia

Le carenze dell'offerta formativa nei sei anni.....Perché,se l'uomo è tanto complesso e il nostro ruolo deveessere quello di guaritori sensibili, ci vengono impostenozioni asettiche da “imparare a memoria”, riempi-

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Problem Based Learning (PBL): utilestrumento metodologico diformazione degli operatori sanitariper la costruzione di percorsidiagnostico-terapeuticiM. M. FARINA§, E. BONOLDI°§Medico Chirurgo - Struttura PolispecialisticaTerritoriale - Az. U.L.SS. n. 6 Vicenza°Medico Chirurgo – Unità Operativa di Anatomia eCitoistopatologia - Az. U.L.SS. n. 6 Vicenza

Introduzione. Presso l’Azienda U.L.SS. n. 6 “Vicenza”- Regione Veneto, nell’ambito di un vasto progetto diriorganizzazione e ottimizzazione delle attività assi-stenziali, è stata prevista la stesura di percorsi dia-gnostico-terapeutici (PDT), inizialmente per pazienticon diagnosi di neoplasia di organo e,successivamente,per altri gruppi di patologie.Con PDT s’intende “…unasequenza e una temporizzazione ottimale degli inter-venti medici e di altro personale sanitario per unaparticolare procedura o diagnosi, disegnato per mini-mizzare ritardi e razionalizzare l’utilizzo di risorse eper ottimizzare la qualità dell’assistenza…” (1). Di-versamente dalle Linee Guida, che si caratterizzanoper la loro staticità ed applicabilità generale, la pecu-liarità dei PDT è quella di essere fortemente conte-stualizzati rispetto alla realtà di riferimento. Un pro-cesso di cambiamento dei modelli organizzativi, nel-l’ambito di un determinato contesto,richiede da partedegli operatori sanitari una forte disponibilità a rive-dere criticamente comportamenti ormai consolidatinel tempo, per introdurne di nuovi e condivisi. Essocostituisce un processo dinamico che prevede l’indi-viduazione delle criticità o problematicità esistenti, l’a-nalisi accurata delle cause che le hanno provocate, ladefinizione degli obiettivi per il cambiamento, la pia-nificazione delle azioni da intraprendere ed infine l’in-dividuazione di indicatori per la verifica sia del pro-cesso sia del risultato.L’adesione al cambiamento è maggiore se gli attoridel processo vengono coinvolti attivamente in esso,diventandone così i veri protagonisti, e se l’interaprogettazione del cambiamento è caratterizzata dallacondivisione in tutte le sue macrofasi, dalla motiva-zione e dalla disponibilità ad acquisire nuove cono-scenze ed abilità. In particolare, nella costruzione diun percorso diagnostico-terapeutico, è inoltre indi-spensabile l’attivo coinvolgimento di tutte le profes-

endo quaderni di appunti con numeri, calcoli e valoridi cui non ci viene richiesta la comprensione, masolo una prova mnemonica? La nuova impostazionetutoriale nel corso di ginecologia e ostetricia al quintoanno. È stato un apprendimento delle parole chiaveriguardanti non solo la ginecologia, ma tutto l'uni-verso della salute della donna, paziente o in totalebenessere,attraverso incontri tutoriali a piccoli gruppi,che contavano meno di una ventina di persone,docente compreso, e non solo compreso numeri-camente, che proponeva problemi clinici solo invi-tandoci a tirare fuori la nostra sensibilità e le nozioniche pensavamo settoriali e specifiche e, che, im-provvisamente, ci “correvano” in aiuto. Con l’osser-vazione diretta e partecipata nei reparti di ginecologiaed ostetricia, ci è stata offerta la possibilità di avereuna visione globale di tutti quei tasselli che com-pongono l'universo clinico della ginecologia e del-l’ostetricia. Alle attività di reparto facevano seguitoulteriori incontri, durante i quali, senza timidezza nésenso di inferiorità, che in altre sedi ci incombono,abbiamo esposto al docente i punti oscuri o pocochiari, che ci sono stati brillantemente e con sem-plicità chiariti, portando a una collaborazione e affi-atamento mai visti prima. L’esame finale è stato unmomento di vero confronto tra docente e studen-ti, dove l'unica cosa davvero richiesta era la com-prensione e la visione critica dei problemi.Il risultato secondo il nostro punto di vista. Il sovverti-mento totale della metodologia didattica utilizzata,tutorialità e non più dogmi frontalmente imposti, èstato il vero strumento attraverso cui, finalmente, cisiamo accorti di come l’educazione alla medicinadebba essere fortemente incentrata non solo sulsapere del medico-docente,ma soprattutto sui bisogni,da una parte degli studenti e dall'altra del paziente-persona, che, come tali, diventano il vero fulcro diun girotondo di conoscenze, competenze e sensi-bilità fortemente congiunte tra loro, il cui unico esolo obiettivo deve essere quello di migliorare laqualità dell’offerta di cura.

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sionalità necessarie alla realizzazione dell’iter assi-stenziale.L’apprendimento per problemi (PBL) sembraquindi costituire uno strumento metodologico par-ticolarmente adeguato per formare gli operatori coin-volti in un processo di cambiamento (2). Esso, infatti,prevede una metodologia di lavoro tarata sulla di-mensione del gruppo, incoraggiando i partecipanti ainteragire, collaborare e concordare le decisioni, pri-vilegia la centralità e l’autonomia del discente ededuca ad enunciare e sostenere posizioni con argo-menti solidi. A tal proposito, il PBL si presta ancheall’adozione di criteri previsti dalla Evidence Based

Medicine (EBM) (3). Sperimentare l’adeguatezza delmetodo PBL al lavoro di gruppi formati da profes-sionalità eterogenee.- Testare l’applicabilità del metodo PBL alla costru-zione di un percorso diagnostico-terapeutico.- Conoscere il livello di percezione, da parte dei par-tecipanti, dell’utilità del metodo proposto.Disegno della sperimentazione• Partecipanti- Medici ospedalieri - compresi quelli della Direzio-ne Medica Ospedaliera (200).- Professioni sanitarie e personale amministrativodelle Unità Operative (56).• Suddivisione in gruppi- Due gruppi da otto partecipanti per ogni sessione,reclutati in modo da riprodurre la massima interdi-sciplinarietà ed interprofessionalità all’interno di ciascungruppo ed invitati con lettera personalizzata.• Articolazione della sessione- Stesura del contratto formativo (15 min).- Illustrazione del metodo PBL: storia e struttura (20min).°- Il Naufragio: sperimentazione delle modalità dellavoro di gruppo (30 min).*- Il Temporale: sperimentazione del metodo PBL suproblema profano (45 min).*- Applicazione del metodo PBL a problema clinico(60 min).- Valutazione del gradimento: aspetti positivi e aspettinegativi (10 min).- Considerazioni dell’osservatore (10 min).Caratteristiche dei problemi clinici propostiSono stati costruiti e testati tre problemi clinici esem-plificativi di necessità di ottimizzazione e razionaliz-zazione di iter diagnostico-terapeutici di patologia on-cologica. Gli elementi costituitivi dei problemi inter-cettavano criticità di carattere organizzativo, clinico,amministrativo e di qualità percepita dall’utente.Scheda dell’osservatoreLa scheda dell’osservatore comprendeva alcuni pa-rametri (4) utili alla valutazione (vedi fig. 1).•Materiale fornito- Lettera di invito personalizzata con esplicitazionedegli obiettivi dell’iniziativa- Testi dei problemi- Sintesi bibliografica del PBL- Comunicazione mediante lettera personalizzata del-

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OBSERVATION-SHEET

name group member.............

Task-levelfunctional behavior

asking for informationgiving informationsummarizinginitiatingcoordinatingclarifyng

nonfunctional behavior

special pleadingwithdrawingdominatingcompeting

Process-levelfunctional behavior

“gate keeping”encouragingstandard settingrelieving tensionmediating

nonfunctional behavior

blockingborsing aroundseeking recognitionbeing agressive

Special remarks:

Figura 1. Scheda dell’osservatore

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appare inoltre far nascere e potenziare negli opera-tori il senso di appartenenza al più vasto gruppo deiprofessionisti della salute, costituendo in tal senso unefficace strumento per il conseguimento degli obiet-tivi strategici di un’Azienda Sanitaria.

Bibliografia(1) Coffey RJ et al.: Quality Management in Health Care

14(1):46-55, Jan/Feb/Mar 2005(2) Guilbert JJ: La guida pedagogica. Roma, Ed. Armando

1981; Schmidt, H. G., Problem-based learning: rationale and de-scription. Med Educ 17:11-16;1983

(3) Brody H, EBM and Medical Power: Outline Sketch of aHistory Waiting to Be Written, in Medical Humanities Reportat http://www.bioethics.msu.edu

(4) Moust, Jos C.:The Maastricht Tutor Role – pg.19 - Maas-tricht, 1989

l’esito della sessione comprensivo delle valutazionidei partecipanti.Risultati e considerazioni conclusiveAdeguatezza del metodo al lavoro di gruppi formatida professionalità eterogenee. Il metodo PBL si è di-mostrato adeguato a facilitare l’integrazione ed il com-pletamento di informazioni proprie di profili profes-sionali diversi, poiché in grado di riprodurre in am-biente protetto la realtà operativa quotidiana. Creaaltresì un clima di serena collaborazione e valorizzal’apporto delle singole competenze professionali intermini di conoscenze ed abilità. Applicabilità delmetodo alla costruzione di un PDT: il metodo si è ri-velato strumento assai utile alla costruzione dei PDTpoiché ha fornito una visione più globale dei proble-mi analizzati da diverse angolature ed una forte con-testualizzazione delle soluzioni proposte aderendo alleesigenze emerse da ciascuna professionalità.Tale metodo

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Aspetti positivi

• Rigore metodologico• Buona comunicazione di gruppo• Lodevole iniziativa “istituzionale” su problema metodologico• Possibilità di confronto con i colleghi• Imparare un modo di procedere• Lavoro di gruppo con confronto disciplinare• Basi per creare i percorsi diagnostico-terapeutici• Definizione di percorsi diagnostici• Valorizzazione della multidisciplinarietà• Possibilià di applicare l’EBM• Casi concreti • Partecipazione di più competenze e quindi di diversi punti di

osservazione• Presa di coscienza della variabilità dei percorsi di un paziente

all’interno dell’ospedale

Aspetti negativi• Ambiente piccolo e rumoroso• Conseguenze pratiche?• Competizione tra gruppi• Protagonismo all’interno dei gruppi

Figura 2.Valutazione dei partecipanti, suddivise in aspetti positivi e negativi piùfrequentemente segnalati

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Pratiche formative in medicinaattraverso il cinemaG.FOGNINI, G. CASAZZA, PG. DUCA Dipartimento Scienze Cliniche, Università di Milano

Le nostre esperienze didattiche basate sull’uso di operecinematografiche sono riconducibili a due momenti for-mativi del corso di studi di medicina. La prima espe-rienza (Medicinema), ormai giunta al 4° anno, ancorchéin continua evoluzione dal punto di vista metodologi-co, è rivolta agli studenti di tutti gli anni di corso.Allaproiezione dell’opera integrale abbiamo fatto seguire,nelle diverse edizioni, la discussione con esperti dellospecifico argomento trattato (ad esempio handicap,ma-lattia mentale ecc), con registi (nel caso particolare delfilm “Semmelweis”, in considerazione della facilità concui abbiamo potuto contattarlo e coinvolgerlo),con stu-diosi o ricercatori anche di altre discipline (filosofi ebiologi per gli aspetti etici, i limiti della ricerca e dellaapplicazione delle biotecnologie, l’orizzonte delle mani-polazioni genetiche); ci siamo poi orientati a fare svol-gere una breve discussione libera, a piccoli gruppi (nonoltre i 20’-30’), senza pretese di orientamento e pro-posta di soluzioni da parte nostra,alla fine di ogni proie-zione. Sempre si è comunque richiesto agli studenti dielaborare una breve tesina originale (3-4 facciate) suuno degli argomenti affrontati, da presentare e discute-re in plenaria alla fine del corso in un incontro a questospecificamente dedicato. Per l’anno in corso ci propo-niamo di individuare solo un paio di tematiche per cia-scuna delle quali presentare una coppia di film, così dafavorire il confronto di diversi punti di vista e renderepalese che, ovviamente, nel film non va cercata la ri-sposta ma piuttosto una buona ed esaustiva formula-zione della domanda, con particolare attenzione allediverse prospettive da cui si può guardare ad un pro-blema complesso come quelli che generalmente sipongono al medico nella sua relazione con il malato, lasocietà, la ricerca. Una seconda innovazione che cer-cheremo di praticare è quella di allargare la partecipa-zione, mediante crediti ECM per medici e infermieri,anche a queste figure professionali che vorremmo coin-volgere sistematicamente nella discussione in piccoligruppi e nella redazione – discussione delle tesine.Nel-l’ottica di fare di questa attività non tanto un’iniziativaculturale (cineforum) ma un’attività formativa pratica incui il punto di vista di chi vive le problematiche in prima

persona è privilegiato rispetto a quello dell’esperto chespesso fa riferimento a una prospettiva astratta.La secondaesperienza, con obiettivi di primo approccio e sensibiliz-zazione alla formazione all’umanizzazione in medicina eindirizzata a tutti gli studenti iscritti al primo anno dicorso, si è basata lo scorso anno e quest’anno continuaa basarsi su film diversi,più generali,tesi a sollevare quesiti,riflessioni e interrogativi non così mirati a specifiche te-matiche come nel caso di Medicinema.Si tratta del modulodi Medicinema (proiezione e discussione di 3 audiovisi-vi) inserito nel corso di Introduzione alla Medicina. Inquesto caso le tematiche sono: il medico, la sua forma-zione, il suo ruolo nella società; il mondo della ricercabiomedica, le sue regole, i suoi vincoli; la prospettiva delpaziente nel suo vissuto di malattia e nel suo rapportocon il medico. Anche in questo caso alla fine delle proie-zioni si svolgono brevi lavori di gruppo con il mandato diformulare delle domande a cui si vorrebbe avere una ri-sposta. Ad ogni studente viene successivamente distri-buito l’elenco completo delle domande formulate e l’in-vito a cominciare a trovare delle possibili risposte. Inquesto caso si avrà l’occasione di 3 successivi incontriplenari nei quali si forniranno risposte, lì dove queste esi-stono e sono effettivamente formulabili in modo univoco,mentre si confronteranno opinioni e punti di vista diversidove le domande sono del tutto aperte e le risposte as-solutamente opinabili. I risultati di cui disponiamo sonoestratti delle tesine di approfondimento degli studenti el’elenco delle domande sollevate dalla visione dei film.Lafilmografia di cui disponiamo consiste,attualmente,di circacinquanta opere consultabili presso la Biblioteca del PoloUniversitario di Vialba.

Il silenzio che parla: la narrazionedelle esperienze professionali incure palliative come strumento diformazioneL. GARRINO*, S. GREGORINO** C. PRANDI****Ricercatore in Scienze Infermieristiche, Facoltà diMedicina e Chirurgia Università di Torino**Referente per la formazione tutoriale settoreLauree sanitarie, ASO S. Giovanni Battista di Torino***Referente formazione Polo Oncologico Biella,Formatore Pallio Centro Studi

Introduzione.. Nel corso Formazione dei Formatori in

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Riflessioni sull’apprendimentoattraverso le narrazioni delleesperienze nelle sedi di tirocinioA. GARGANO*, L. GARRINO ** S. LOMBARDO**** Infermiera Dirigente ASO S. Giovanni Battista diTorino** Ricercatore in Scienze Infermieristiche Facoltà diMedicina e Chirurgia Università di Torino *** Cordinatore Corso di Laurea in InfermieristicaFacoltà di Medicina e Chirurgia Università di Torino -sede di Cuneo

Introduzione. La riflessione condotta originata dall’a-nalisi del materiale prodotto e raccolto nei corsi diformazione al tutorataggio e nei corsi per infermieriguida di tirocinio del Corso di Laurea in Infermieri-stica di Torino e di Cuneo negli anni 2003-2005.Materiali e Metodi. Attraverso la narrazione viene sol-lecitata nei partecipanti la rivisitazione e l'esplorazio-ne di episodi significativi della propria esperienza for-mativa di base in tirocinio,risalenti anche a 10-15 anni,successivamente viene stimolato il confronto in piccologruppo e in sessione plenaria (1). Lo strumento nar-rativo aiuta a cogliere dall'interno il significato di episodirilevanti legati all’apprendimento in tirocinio, poichéle esperienze di formazione racchiudono una taledensità di componenti cognitive e di vissuti affettivida richiedere un’adeguata elaborazione culturale edesistenziale.Risultati. Dall’analisi di 200 narrazioni si evidenziano lesituazioni riconosciute dai partecipanti come favore-voli all’apprendimento e come ostacolanti, a partiredalla propria personale esperienza. Gli aspetti favo-renti l’apprendimento riguardano la relazione forma-tiva, la coerenza teoria-pratica, la responsabilizzazio-ne e il percorso verso l’autonomia, la guida ed il so-stegno efficaci ricevuti nelle situazioni difficili di frontealla malattia e alla morte. Tra gli aspetti ostacolantivengono riportati nelle narrazioni climi persecutori edi abbandono e climi sanzionatori.Conclusioni. Lo strumento della narrazione consentedi riflettere rispetto ai modelli educativi (2) per svi-luppare nuovi atteggiamenti, imparando a considera-re i modi con cui si conosce e si apprende, acco-standosi ai processi educativi con metodologie e stru-menti innovativi. La narrazione di situazioni di ap-prendimento vissute come studenti comporta infattiun ribaltamento della scena formativa e consente ai

Cure Palliative promosso da Pallio nell’anno 2005 e nelmodulo “Formazione e motivazione del personale” delMaster biennale di II livello in Cure Palliative dell’Uni-versità di Torino (anno 2003-2004) è stato utilizzato lostrumento della narrazione, allo scopo di attivare neipartecipanti una riflessione sulla propria esperienza pro-fessionale nel seguire i pazienti nella fase terminale dellavita, promuovendo l’incontro con gli elementi latentidella loro storia professionale(1).Materiali e Metodi. Attraverso la narrazione viene solle-citata nei partecipanti la rivisitazione e l'esplorazione diepisodi significativi della propria esperienza professio-nale in C.P., e viene stimolato il confronto in piccologruppo e successivamente in sessione plenaria. La me-todologia riflette un atteggiamento formativo di tipoclinico inteso come una risposta non di tipo frontale,ma un entrare nelle situazioni per capirne dal di dentroi processi e le dinamiche, senza classificare ed emette-re diagnosi dall'esterno, in base ad un sapere parziale(2).Risultati.Da 30 narrazioni prese in esame emergono tredimensioni in cui si possono collocare gli “oggetti” diriflessione: l’accompagnamento della persona morente,l’accompagnamento della famiglia, il cambiamento chel’esperienza e il contatto diretto con la persona assi-stita e la sua famiglia determina nel professionista,anchesotto forma di “apprendimento sul campo” e attraver-so un atteggiamento di scoperta (3).Conclusioni. Lo strumento della narrazione consente disviluppare una riflessione rispetto alla propria modalitàespressivo–relazionale nel percorso assistenziale e dicura, sugli atteggiamenti del professionista nei confron-ti della morte e favorisce il miglioramento dell’atten-zione alla “storia personale” delle persone assistite.

Bibliografia (1) Zannini L: Salute, malattia e cura.Teorie e percorsi di

clinica della formazione per gli operatori socio-sanitari F.Angeli, Milano 2001

(2) Franza A, Mottana P: Dissolvenze. Le immagini dellaformazione, Clueb, Bologna 1997

(3) Formenti L, Gamelli I:Quella volta che ho imparato: laconoscenza di sé nei luoghi dell'educazione,Cortina,Milano 1998

La formazione che vorrei…

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soggetti di focalizzare e far proprio ciò che facilital’apprendimento ed attivare climi formativi favorevo-li.

Bibliografia (1) Franza A Mottana P (1997): Dissolvenze. Le immagi-

ni della formazione, Clueb, Bologna (2) Zannini L (2001): Salute, malattia e cura Teorie e per-

corsi di clinica della formazione per gli operatori socio-san-itari F.Angeli, Milano

(3) Kaneklin C, Scaratti G: Formazione e narrazione.Milano: Cortina 1998

L’ascolto del dolore e dellasofferenza: esperienza di unlaboratorio narrativoS. LOMBARDO* S. ABELLO**, G. CONTI**, M.S.CHIRCO**, E. CHIAPELLO**, C. DELFINO**,C. GIORDANA**, F. PAROLA*** Docente di Infermieristica Generale I- Universitàdegli Studi di Torino – Sede di Cuneo -** Studenti Corso di Laurea in Infermieristica- Uni-versità degli Studi di Torino – Sede di Cuneo –

L’attivazione di un “laboratorio narrativo” è stataproposta nel corso di due anni accademici, come at-tività elettiva a libera scelta degli studenti.Le finalità dell’iniziativa sono state quelle di stimo-lare la riflessione sulla malattia, la sofferenza e lamorte, mediante la lettura di romanzi, per giungerea una più approfondita capacità di riconoscere e diinterpretare le espressioni, le emozioni e le storiedei soggetti coinvolti nella malattia. L’esperienza sicolloca nell’ambito delle ”medical humanities”, ap-proccio che valorizza i molteplici contributi dellescienze umane per ottenere nuove ed innovativepratiche di cura. I partecipanti hanno letto da tre acinque testi di narrativa contemporanea e/o classi-ca scelti da un elenco proposto. Alla lettura deiromanzi ha fatto seguito una personale elaborazionein base a una griglia fornita.All’itinerario individuale di lettura, si sono succedu-ti degli incontri di confronto e di discussione sui testicomuni, letti da tutti i componenti, per ricercare, trale diverse trame, i fili conduttori e le espressioni piùincisive del disagio. Il processo di riflessione ha con-

sentito di esaminare le risonanze emotive dei parte-cipanti per meglio comprendere il “cuore” del malatoe la sua malattia. Ha permesso di ri-considerare lepersone assistite nella loro condizione di fragilità,cogliendone i segnali “deboli” ed interpretandoli, diesplorare i sentimenti di solidarietà con il dolore edi riscoprire il senso del prendersi cura.

Bibliografia Binetti P, Danieli G: Progetti e processi d’integrazione

delle humanities in medicina.Tutor 3:97-100,2002Gadamer HG: Dove si nasconde la salute. Milano: Raf-

faello Cortina, 1994Formenti L: La formazione autobiografica.Milano:Guerini,

1998Zannini L: Salute, malattia e cura.Teorie e percorsi di

clinica della formazione per gli operatori socio-sanitari.Milano:Franco Angeli, 2001

Educateci a curare…M.LUCCHETTI,M.CANEPA,R.RUBIZZO,F.CUBERLI,I.. MAFFEO

Secondo, terzo, quinto, sesto anno: diverso bagagliodi studi, diversa esperienza clinica e diverse inclina-zioni personali. Siamo state però tutte provocate daltema di questo congresso:“EDUCAZIONE IN ME-DICINA”.Ma io che tipo di medico voglio diventare? Qual’èla strada per raggiungere quello che il mio cuore de-sidera? Quale educazione?Aiutandoci con tre quadri a noi cari abbiamo rias-sunto quella che per noi è, già e non ancora, espe-rienza sul campo.- Di cosa abbiamo bisogno?Competenza, innanzitutto. Professionalità e cono-scenze sono indispensabili per la formazione di unmedico. Occorre tuttavia anche un maestro che ciinsegni a farne buon uso.- Di fronte al limite.E quando questo non basta? La scienza medica nonpuò avere la pretesa di essere risolutiva. Vogliamoimparare anche ad affrontare l’insuccesso: esso fadrammaticamente parte della nostra dignità profes-sionale.- Compagnia al malato.

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sono molte: software di simulazione, manichini, pro-grammi di surgical solving problem ma sono ancheparticolarmente costosi e, comunque, la loro dispo-nibilità numerica è limitata in rapporto al numerodegli studenti. Rinviando quindi questi sussidi didat-tici ad un livello più avanzato dell'apprendimentotecnico, tra l'altro più utile negli anni successivi - con-testualmente allo studio della clinica chirurgica - edancor più nell'ambito dei programmi delle Scuole diSpecializzazione chirurgiche (essendo alcuni softwa-re di simulazione e di surgical solving problem pret-tamente legati all'apprendimento di procedure spe-cialistiche), si ritiene che il 1° approccio per l'edu-cazione psico-motoria deve essere rappresentato dalmodello statico e poi da quello pseudo-dinamico.Si è voluto, pertanto, mettere a punto una serie pro-gressiva di telaietti chirurgici che prevedono livellisequenziali propedeutici di difficoltà per l'esecuzio-ne prima ad occhio nudo e poi al microscopio.Il telaietto di primo livello è stato ottenuto medianteil posizionamento su capsula di Petri di garza ade-guatamente fissata ed incisa al centro. Gli studentihanno dovuto suturare l'incisione prima apponendopunti semplici staccati, poi una seconda volta consutura continua, la procedura è stata ripetuta primaad occhio nudo e poi al microscopio.Il telaietto di secondo livello è stato ottenuto me-diante il posizionamento su capsula di Petri di partedi guanto chirurgico, procedendo analogamente sumateriale di diversa consistenza.Il telaietto di terzo livello è stato ottenuto median-te l'utilizzo di due frammenti di guanto chirurgicoadeguatamente approssimati e trazionati in modo daconsentire allo studente di eseguire anastomositermino-terminali prima ad occhio nudo e poi al mi-croscopio. Il telaietto di quarto livello prevede la pre-senza di capsula di Petri corredata da parte di guantoe al centro di quest'ultimo è stato creato un oc-chiello. Si richiede allo studente di collegare con ana-stomosi termino-laterale l'estremità di un tubicinocon l'occhiello creato. Successivamente gli studentihanno concluso il training utilizzando frammenti pulitidi scarto di protesi vascolari da suturare in moda-lità termino-terminale e da testare con soluzioneliquida all'interno tenuta in pressione con l'ausilio diclamp vascolari.Questi modelli di esercitazione sonostati testati dall'autore in qualità di tutor su studen-ti del terzo anno di medicina nell'ambito delle atti-

Abbiamo di fronte una persona: ogni nostro inter-vento non deve essere solo un atto medico, ma ungesto carico di umanità, proposta di una compagnianella sofferenza.Le opere che vorremmo proporre come esempi diquesti tre spunti di riflessione sono, nell’ordine:-Visita all’ospedale (Jean Martin Charcot ausculta unapaziente), Prieto-The doctor, Sir Luke Fildes-Giorno di visita in ospedale, Geoffrey

L'insegnamento della chirurgia: imodelli di esercitazione chirurgicaed i Project Work. Due momentiapplicativi importanti E. M. OTTOVEGGIO M.D., Ph.D.

Nell'ambito del processo formativo dello studentedel Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, l'ap-prendimento della Chirurgia dovrebbe trovare unacollocazione già dal III anno di medicina che rap-presenta la fase cerniera tra il biennio di formazio-ne di base e quello di applicazione.I moduli didattici sequenziali e propedeutici offronoallo studente l'approccio graduale che consente diricevere formazione teorico-pratica e di sedimen-tarla fino a farla propria alla fine del Corso di Laurea.Grande importanza riveste - in questa ottica - il 1°approccio alla chirurgia che porta allo studio dellapatologia funzionale e,contestualmente,educa il coor-dinamento psico-motorio dello studente attraversol'esercitazione ad occhio nudo ed al microscopio.Lo studente impara così a coordinare la mano, ilpolso, l'occhio e la mente, impara a conoscere lapostura chirurgica corretta, le numerose possibilitàdi posizioni offerte dalla rotazione del suo polso,dal-l'uso coordinato delle mani tra di loro per appren-dere le tecniche di sutura ed annodatura, le opzionidi accesso chirurgico, l'isolamento delle strutture, ilrispetto delle strutture viciniore, il controllo vasco-lare, la resezione, l'espianto, l'impianto, etc.Inizialmente lo studente è rigido, non riesce a fina-lizzare i movimenti e,pertanto, l'approccio sul modelloanimale risulta assolutamente non etico oltre checontroproducente per il suo sviluppo psico-motorio.Oggi le risorse disponibili per la didattica pratica

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vità formative professionalizzanti ed hanno prodot-to da una parte un accresciuto interesse ed entu-siasmo per lo studio delle discipline chirurgiche edall'altro il loro utilizzo ha prodotto un migliora-mento del loro coordinamento motorio evidenzia-to dal superamento dei successivi livelli di applica-zione.L'allestimento artigianale del modello d'esercitazioneconsente a ciascun docente di poterlo adottare senzadover affrontare gravi preoccupazioni di ordine eco-nomico. Lo studente potrà quindi approdare al simu-latore con maggior padronanza del proprio coordi-namento e, potrà pertanto rivolgere la propria at-tenzione alle peculiari caratteristiche delle procedu-re da apprendere e la sua curva d'apprendimento saràpiù rapida.Anche il suo approccio al modello animalepotrà trarre giovamento dall'esercitazione su telaiet-to, accelerando la curva d'apprendimento delle tecni-che chirurgiche ed altresì mostrandosi utile strumentopropedeutico per l'impostazione di un'ipotesi di ricercaautonoma che non può non giovarsi dell'entusiasmoe della ricchezza d'idee tipici dell'età giovanile che tro-veranno nel tutor un'indispensabile guida nella razio-nalità applicativa della ricerca stessa anche per la pre-parazione della tesi di laurea. La preparazione, coltutor, del project-work è anch'essa indispensabile pereducare gli studenti alla corretta raccolta bibliografi-ca, alla collocazione scrupolosa dei dati per l'allesti-mento della casistica chirurgica ed all'analisi dei risul-tati ottenuti per poter infine estrapolare insieme leconclusioni raggiunte.Insegnare agli studenti a sviluppare il proprio spiritocritico, le proprie potenzialità deduttive è importan-te sia per l'apprendimento della corretta valutazionedi uno studio che per l'orientamento terapeutico di-rettamente conseguente alle conclusioni raggiunte.

Costruzione della progettualitàterapeutica: un importante criticalpoint nel processo formativo dellostudente di medicina. Ipotesi didattica secondo un modellointerattivo per l'educazione alclinical solving problem medianteapproccio integratoE. M. OTTOVEGGIO M.D., PH.D.

Terapia, da therapon ''servo'', indica l'indispensabileatto di servizio verso il paziente, unica finalità che ilmedico deve prefissarsi nel suo operato professio-nale. Proprio questo spirito di servizio porta a col-locare al centro dell'attenzione la persona ammala-ta, a valutare le opportunità di cura e scegliere quellapiù congrua attraverso il dialogo dei saperi speciali-stici coinvolti nella gestione del paziente stesso edella patologia da trattare per ripristinare il suo equi-librio di salute. Educare a tale dialogo è indispensa-bile nell'ambito di una corretta offerta formativa.L'opportunità docimologica può essere colta in varieoccasioni: di didattica frontale nei corsi integrati, inoccasione della presentazione dei casi clinici nel-l'ambito dei meeting dipartimentali, nell'ambito deiforum monotematici sul trattamento di una parti-colare patologia, nell'ambito delle attività formativeprofessionalizzanti dove lo studente dovrebbe ap-prendere la costruzione della progettualità terapeu-tica vedendo agire i medici del reparto assegnatoper la frequenza come attori esemplari del dialogomultidisciplinare; ma, esiste un'occasione in cui glistudenti stessi possono diventare attori di questodialogo: i seminari interattivi dedicati. Si è voluta ipo-tizzare l'offerta di un seminario interattivo dedicatoal clinical solving problem mediante approccio inte-grato analizzando il caso di un paziente affetto daepatocarcinoma primitivo.La scelta è ricaduta su unapatologia neoplastica del fegato proprio perché il pa-ziente neoplastico da una parte ed il tipo specificodi organo colpito dall'altra impongono l'approcciomultidisciplinare per ottenere una eradicazione nonsolo chirurgica ma soprattutto oncologica della pa-tologia con ripristino dell'equilibrio di salute del pa-ziente. In questa ipotesi didattica gli studenti possonousufruire della presenza del paziente in aula, di docenti(il patologo, il radiologo, il gastroenterologo, l'endo-scopista, l'oncologo, il radioterapista, lo psicoterapeu-ta, il chirurgo) in qualità di consulenti. Un animatoreguida il seminario. Il paziente narra la sua storia clinicaed i docenti ne puntualizzano gli aspetti essenziali; poi,gli studenti visitano il paziente con l'aiuto dei docentie, congedato il paziente, tracciano una flow-chart d'in-tervento prendendo in considerazione le varie opzioniprocedurali di ausilio per la discriminazione diagnosti-ca. I docenti illustrano e motivano le scelte realmenteoperate a proposito di quel caso e guidano gli studentialla formulazione della diagnosi. L'animatore stimola gli

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Valutazione strutturata dellacompetenza clinica in medicinainternaL. PETTINARI, A. MARCHETTI, P. LECCESE,F. MONTEFORTE, A. SCALISE,W. SIQUINI,M. G. DANIELIDipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche,Università Politecnica delle Marche

Contesto. L’acquisizione delle abilità pratiche ha unruolo centrale nell’Educazione Medica e la selezio-ne di metodi adeguati per la valutazione di tali com-petenze è sicuramente di rilevante interesse.L’EsameClinico Strutturato Obiettivo (OSCE) oggi si confi-gura come uno dei più validi, affidabili ed oggettivimetodi per evidenziare le competenze possedutedallo studente di Medicina e Chirurgia. Negli anni2003-2004, 2004-2005 il metodo OSCE è stato ap-plicato presso il Dipartimento di Scienze Mediche eChirurgiche dell’Università Politecnica delle Marche.Obiettivi.- Verificare i risultati ottenuti nei due anni di appli-cazione del metodo al fine di stabilire la program-mazione didattica futura in base ai risultati ottenutinegli anni precedenti (Competence-Oriented MedicalEducation)- Indagare la percezione della qualità didattica delmetodo tra Discenti e Docenti.Metodi.- L’analisi dei risultati ottenuti ad ogni sessioned’esame, relativamente a ciascuna stazione, ci ha con-sentito di elaborare l’andamento grafico di tali ri-sultati medi ottenuti nel periodo di applicazione- La percezione della qualità didattica del metodo èstata indagata somministrando a Discenti e Docentiun questionario inerente gli aspetti teorici e praticidi organizzazione e di amministrazione dell’OSCE.Risultati.- I punteggi medi ottenuti hanno dimostrato quali sta-zioni, per i risultati meno favorevoli, fossero merite-voli di maggior approfondimento.A conferma di questo,l’adeguamento della didattica per l’anno successivo haabolito la precedente tendenza, favorendo una di-spersione più probabile dei risultati ottenuti.- Discenti e Docenti hanno apprezzato l’introduzio-ne dell’OSCE sottolineando come principali aspettipositivi la potenzialità di tale metodo di fungere da

studenti a riflettere sulle possibili opzioni terapeuti-che e sull' approccio terapeutico combinato o se-quenziale in relazione alle caratteristiche assunte dallapatologia in quel paziente.Dopo la discussione i docentiillustrano e motivano la scelta realmente operata perquel paziente.

I critical point considerati sono:- l'istruttoria anamnestica e la visita del paziente;- la scelta delle indagini per l'orientamento diagnostico;- l'analisi dei risultati e la formulazione della diagnosi;- l'analisi fisiopatologica e l'esame del comportamen-to della patologia nel caso particolare preso in esame;- la conseguente costruzione del piano terapeutico;- la preparazione di un idoneo consenso informato alpiano terapeutico.Gli studenti si cimentano infatti - supportati dai docenti- nella preparazione di un documento di consenso ingrado di ridurre al minimo possibile l'asimmetria dirapporto tra equipe medica e quel particolare pa-ziente, cercando di essere da una parte puntuali ecorretti nella descrizione della patologia, della sua na-turale evoluzione, delle opportunità terapeutiche di-sponibili e delle prospettive di beneficio che offronoin riferimento alla cura della patologia e del pazien-te, delle motivazioni che determinano una scelta col-legiale del programma terapeutico consigliato ma,d'altra parte, cercando di essere sensibili all'alteratoequilibrio emozionale che interviene nel paziente almomento della dichiarazione diagnostica e della pro-posta terapeutica conseguente aiutandolo ad elabo-rare il suo processo clinico in modo corretto, fino aripristinare il suo equilibrio emozionale. Perché si èvoluto rivolgere l'approccio didattico allo studentemedico ancora in formazione? Perché egli non haancora anticorpi relazionali ed è quindi più recettivoal dialogo multidisciplinare. D'altro canto, almeno inambiente universitario la responsabilità docimologicadovrebbe imporre l'obbligo dell'esempio di dialogomultidisciplinare in tutte le occasioni didattiche so-pradescritte ed il modello presentato dovrebbe esseresolo un momento applicativo per gli studenti di at-teggiamenti osservati e recepiti in un clima didattico-clinico utile a loro ed ancor più al paziente a cui ungiorno dovranno offrire il proprio servizio professio-nale.

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feed-back per la programmazione didattica e la chia-rezza ed oggettività del nuovo tipo di valutazione.Aspetto che merita rinnovata attenzione è la ne-cessità di raggiungere una maggiore integrazione trapratica simulata e reale.ConclusioniIl metodo OSCE è risultato capace di valutare nonsolo la preparazione pratica acquisita dallo studentema anche la programmazione e la qualità didattiche.Nella nostra esperienza, inoltre, la Valutazione Strut-turata trova adeguata introduzione al termine delcorso di studi in quanto mira ad evidenziare la padro-nanza di abilità pratiche, sintesi dei diversi approccianalitici acquisiti durante i sei anni di preparazionealla professione medica.

Tutorship e piccolo gruppo facilitanol’apprendimento dell’evidence-basedmedicine negli studenti diinfermieristica: risultati di unostudio di coorte prospetticocontrollatoG. PELUSI1, G. POMPONIO2, F. MASCELLA4,M. FRATINI

3

, G. DANIELI4

1Insegnamento di Infermieristica Generale,Tutor Corsodi Laurea in Infermieristica Università di Ancona2Insegnamento di EBN e Metodologia della Ricerca,Università di Ancona, Clinica Medica Ospedali Riunitidi Ancona3 Insegnamento di EBN e Metodologia della Ricerca,Università di Ancona, Agenzia Sanitaria Regionale,Ancona4 Istituto di Clinica Medica, Ospedali Riuniti edUniversità di Ancona

Introduzione. L’evidence-based medicine (EBM) ha loscopo di aumentare l’efficacia delle decisioni nellapratica clinica basandole sull’integrazione dell’espe-rienza professionale con le migliori informazioni de-rivate dalla ricerca. L’evidence-based Nursing (EBN)rappresenta l’applicazione di questi principi alla praticainfermieristica. Nonostante l’insegnamento dell’EBMsi sia dimostrato in grado di favorire negli studentil’utilizzo delle informazioni di migliore qualità nellafase di decisione clinica, non è tuttora chiaro qualesia il metodo di insegnamento più appropriato. Loscopo di questo studio è di valutare l’efficacia del-

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l’uso di un modello basato su attività di tutorship inpiccolo gruppo nel favorire l’apprendimento delleabilità di ricerca negli studenti di infermieristica.Materiali e metodi. È stato condotto uno studio pro-spettico su due corti parallele di studenti, suddivisirandomicamente all’inizio dell’anno in due canali (Ae B) per ragioni organizzative. Gli studenti apparte-nenti al canale A sono stati esposti all’intervento spe-rimentale, mentre gli studenti del canale B rappre-sentano il gruppo controllo. Gli studenti del canaleA sono stati invitati ad aggregarsi spontaneamentein gruppi (6-8 persone) e a nominare un “leader” eun “segretario”.Gli studenti di entrambi i canali hannoricevuto le stesse lezioni frontali, dimostrazioni in-terattive condividendo il programma e slide-show. Igruppi del canale A hanno inoltre ricevuto il mandatodi analizzare alcuni scenari clinici, aventi livelli di dif-ficoltà differenti, che simulavano la definizione delleprincipali caratteristiche di uno studio clinico(outcome, popolazione, intervento, disegno speri-mentale).Gli outcome primari valutati sono stati: 1)abilità degli studenti nel valutare correttamente lecaratteristiche fondamentali di un trial clinico.2) sod-disfazione generale degli studenti sul metodo di in-segnamento. Gli outcome sono stati valutati in en-trambi i gruppi attraverso lo stesso questionario.Risultati. 90 su 120 studenti (46 del canale A vs 44del canale B) hanno accettato di partecipare allostudio. 46/46 questionari degli studenti del canale Ae 42/44 degli studenti del canale B sono stati valu-tati nell’analisi. La percentuale di studenti che haespresso giudizio favorevole circa l’interesse gene-rale del corso è risultata maggiore nel gruppo in-tervento (93% vs 61%; p<0.05); analogamente l’ana-lisi dei risultati relativi all’abilità degli studenti nel va-lutare le caratteristiche di un trial clinico rileva unamigliore abilità degli studenti del Canale A. In parti-colare, le risposte corrette sono state del 66,03%nel gruppo A e del 45,3% nel gruppo B (p<0.05).Confrontando i risultati ottenuti con i diversi gradidi difficoltà attribuiti agli scenari clinici da valutare,si osserva la tendenza verso una maggiore differen-za tra i gruppi, a favore di quello sperimentale, nelcaso degli scenari più difficili. Infatti, differenze nonsignificative sono osservabili in 3-4 scenari etichet-tati come “facili”, mentre il gruppo sperimentale di-mostra una performance migliore in tutti i test di

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L’Educazione Terapeutica del Paziente (ETP) rappre-senta una strategia di prevenzione secondaria cuil’OMS dà grande importanza. L’Ufficio Europeo del-l’OMS ha affidato alla nostra UO* il compito di svilup-pare un progetto sperimentale di ETP rivolto ai pazi-enti con cardiopatia ischemica cronica, operata enon, caratterizzato da alcuni aspetti innovativi: es-tensione dell’ET al paziente con cardiopatia cronica,uscita dell’ET sul Territorio, soprattutto, coinvolgi-mento del Medico di Medicina Generale (MMG) nelruolo di Educatore.Il progetto pilota è iniziato il 1 dicem-bre 1998 e si è chiuso il 1 dicembre 2003, sviluppan-dosi sul territorio dell’A.S.S. n.4 “Medio Friuli” (5 Dis-tretti, 336.420 abitanti e 291 MMG). I fase. Formazionedi 15 MMG-Educatori (MMG-E) all’anno, dal 1° al 5°anno, con l’acquisizione di competenze comunicative econoscenze tecniche (epidemiologiche, cliniche, psico-logiche, sociologiche, pedagogiche), ed articolata in:

a) seminari di "Tecnica della Comunicazione" b) sessioni di lavoro di gruppo su: Cardiopatia ischem-ica cronica (1999),Scompenso cardiaco cronico (2000),Valvulopatie (2001),Aritmie (2002), Ipertensione arte-riosa (2003)c) stesura di ogni argomento da parte dei sottogruppi(Conduttore e 2 MMG-E) e redazione annuale del“Manuale ad uso dell'Educatore”, che rappresenta lo“strumento” del MMG-E per l'erogazione omogeneadell’educazione terapeutica ai pazienti ed è comprensi-vo degli argomenti trattati ogni anno.. II fase. Dedicataall’educazione terapeutica dei pazienti,da parte dei MMG-E, dal 2° al 5° anno, sul territorio di ognuno dei 5 Dis-tretti dell’A.S.S. n.4 “Medio Friuli”, con corsi di lezioni(12 ore/corso) di ET (corsi-ET) a gruppi di 10 pazien-ti, accompagnati dagli eventuali parenti.Conclusioni. Il gradimento dei pazienti sul territorio edi risultati dei test sembrano indicare una buona rius-cita dei corsi seguiti dai MMG-E, col raggiungimentodi sufficienti abilità comunicative e conoscenze speci-fiche sugli argomenti trattati. Ciò incoraggia a con-tinuare ad affinare il metodo di formazione dei MMG-E, in vista di ulteriori applicazioni sul territorio.

media e alta complessità. Dato interessante è che ilcorso è stato giudicato “utile” dalla maggior partedegli studenti (91% nel gruppo sperimentale vs 78%nel gruppo di controllo; p=ns), ma solo la metà dellapopolazione di studenti crede che i contenuti po-trebbero essere applicati nel contesto clinico di cuihanno esperienza, senza differenze tra i due gruppi.Conclusioni. Lo studio ha permesso di evidenziarecome l’insegnamento in piccolo gruppo favorisce lapartecipazione attiva dello studente alle lezioni oltremigliorare l’apprendimento delle conoscenze relati-ve alla valutazione critica della ricerca clinica.

BibliografiaSackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg W,

Haynes RB: Evidence-based Medicine. How to Practise andTeach EBM.2nd edn. Edinburgh: Churchill Living-stone 2000

Pomponio G,Calosso A: EBM e metodologia della ricercanelle professioni sanitarie. C.G. Edizioni Medico Scientifiche,Torino, ottobre 2005.

Lunyk-Child OI, Crooks D, Ellis PJ et al.: Self-DirectedLearning: faculty and student perceptions, Journal of NursingEducation 2001;40:116-123.

Dorsch JL, Meenakshy KA, Meyer LE: Impact of an evi-dence-based medicine curriculum on medical students’ atti-tudes and skills. J Med Assoc 2004;92(4):397-406

Holloway R, Nesbit K, Bordeley D, Noyes K:Teaching andevalutating first and second year medical students’pactice ofevidence-based medicine. Med. Educ 2004;38:868-878

Norman GR, Shannon SI: Effectiveness of instruction incritical appraisal (evidence-based medicine) skills. A criticalappraisal skills training for clinicians. Can Med Assoc J1998;158(2):177-81

Educazione terapeutica delcardiopatico cronico. Progetto Pilotadell’OMS. Dall’ospedale alterritorio: formare gli educatoriL. PRELLI§, G. MAISANO^, G. MOLINIS*, E. PETRI§,D.TUNIZ*, M.VALENTE*§ MMG ASS N°4 “MEDIO FRIULI”* UO Cardiologia Riabilitativa (CR),WHOCollaborating Centre (WHOCC) for Research andTraining in Rehabilitation and Secondary Prevention inCardiovascular Diseases, ASS n°4 “Medio Friuli”, IMFR– Udine^ Udine - WHOCC Scientific Director

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Pedagogia e medicina: complementidi umanitàL. PINO, L. MAGANI

"L’enorme quanto tipico rilievo, che la formazione medicaattribuisce spesso all’anatomia, alla fisiologia e alla bio-chimica lancia agli studenti un messaggio fuorviante: cheil segreto degli scopi della medicina vada cercato in queste

discipline e in queste scienze. Sennonché esse non sonoil segreto, ma solo una parte di esso"(Hasting Center, 1997)L’idea di Pedagogia medica nasce dalla necessità dicolmare la latenza pedagogica presente negli attualicurricula formativi delle professioni sanitarie. I diffe-renti paradigmi istitutivi delle Scienze della Naturae delle Scienze dello Spirito suggeriscono alla Peda-

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Formazione Medica

Educazione Medica

Formazione in medicina

Professionalità

Aspetti tecnici, scientifici e metodologiciAspetti personali

Paradigma Medico-Pedagogico

L'efficienza professionale si esprimeattraverso l'attenzione a sè e all'altro

Metodosperimentale

Interpretazione

Pedagogia medica

Scienzedella

naturadello

spirito

Scienze

Scienzedellanatura

dellospirito

Scienze

Pedagogia medicaScienza generale della formazionee dell'educazione dell'uomo che progettala sua vita nella cura e nell'assistenzadi coloro che sono violati dalla malattia

gogia l‘individuazione di un linguaggio comune nelquale la tecnica e la dimensione umana divenganocomponenti fondamentali del prendersi cura.La Medicina e la Pedagogia hanno come oggetto dellaloro indagine l’uomo: la prima si avvale del metodosperimentale e del principio di causalità, la secondasceglie il modello interpretativo. In questo scenariola Pedagogia medica diviene luogo privilegiato del-l’incontro tra il sapere di matrice scientifica conquello di origine filosofica, preservando l’autonomiascientifica di ogni scienza. L’idea di “laboratorio” èlo strumento metodologico più adatto a rendereesperienza vissuta il paradigma educativo sopra de-lineato attraverso il quale il sapere, il saper essere,il saper fare e divenire sono frutto di trasversalità edi reciproca negoziazione. Il progetto di “Laboratoriodi Pedaogia medica” è stato calato in un contesto con-creto presso il Polo didattico dell’Azienda Ospedalie-ra dell’Ospedale Santa Corona in Pietra Ligure (SV),strutturato in forma di Seminario in otto incontri rivoltiagli studenti del Primo anno del corso di Laurea inScienze Infermieristiche.Il paradigma pedagogico di riferimento è l’Idea di“Bildung” all’interno del quale sono ascrivibili le due

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non ha realizzato una valutazione intermedia del per-corso dello studente. Se la valutazione intermedia eranegativa, nel 17,2% (11/64) dei casi è stato program-mato un percorso di recupero.Dal punto di vista deglistudenti, la funzione tutoriale dovrebbe essere basatasui seguenti pattern: stimolare l’autonomia dello stu-dente, insegnargli a ragionare sui problemi e collega-re teoria e pratica nel 17,5% (25/143) dei casi; sti-molare l’autonomia dello studente, insegnargli a ra-gionare sui problemi, collegare teoria e pratica e sup-portarlo nelle difficoltà nel 9,1% (13/143) dei casi; sti-molare l’autonomia dello studente, insegnargli a ra-gionare sui problemi, collegare teoria e pratica, sup-portarlo nelle difficoltà, facilitare l’integrazione dellostudente nell’UO e insegnargli cosa fare nel 7,7%(11/143).Conclusioni. Pur nei limiti dello studio,è emersoun profilo del tutor che all’inizio del tirocinio censi-sce le competenze già acquisite dagli studenti; defini-sce solo in parte gli obiettivi di apprendimento conlo studente; attiva sessioni di briefing/debriefing, ma èmolto più orientato alla valutazione finale che inter-media. Numerosi sono i punti di forza emersi, comepure le aree di miglioramento da attivare per soddi-sfare completamente le attese degli studenti che siaspettano tutor capaci di stimolare l’autonomia, il ra-gionamento clinico e in grado di supportarli nelle dif-ficoltà.

Partenariato europeodi apprendimento“Pedagogia dei genitori”R. ZUCCHI, A. MOLETTO1, M. E. PICIOCCO2,E. BARON, E. CECCHINI3, M. R. DAL MOLIN,M. G. BETTALE4

1Comitato per l'Integrazione Scolastica di Torino,2Sezione di Brindisi dell’Associazione Italiana PersoneDown (AIPD) ONLUS,3Sezione di Pisa-Livorno dell’AIPD ONLUS4Associazione "Integrazione" di Villaverla (VI)

Introduzione. La “Pedagogia dei Genitori” è nata inseguito ad attività che valorizzano il protagonismodi quanti si impegnano ad essere operatori sociali disalute mentale in una dinamica di reciprocità, ali-mentata dalla messa in discussione dei rapporti in-terpersonali (1).Questi principi derivano dalla praticadelle assemblee di Attività Terapeutica Popolare,natea Modena e condotte a Torino dal 1978, dove i ge-

dimensioni fondamentali della Formazione e dell’Edu-cazione;a) Formazione: incontro dell’uomo con se stesso.b) Educazione:Il porsi dell’uomo innanzi all’altro uomo.

Le strategie didattiche attivate daitutor clinici del Corso di laurea inInfermieristica di Udine: il punto divista degli studenti.R. QUATTRIN (1), A. ZANINI (2), G. BULFONE (2),D. FADINI (2), E. FIAPPO (3), A. PALESE(2),S. BRUSAFERRO(1)(1)Direzione Sanitaria, Azienda PoliclinicoUniversitario di Udine;(2)Corso di Laurea in Infermieristica,Università degli Studi di Udine;(3)Cattedra di Igiene, Dipartimento di Patologia eMedicina Sperimentale e Clinica, Facoltà di Medicinae Chirurgia, Università di Udine

Obiettivi. Lo studio ha indagato le diverse metodolo-gie didattico-educative utilizzate dai tutor clinici, ana-lizzando il punto di vista degli studenti infermieri.Materiali e Metodi. Lo studio, parte di un’indagine piùvasta, è stato condotto nel periodo gennaio-marzo2005 come indagine di prevalenza, utilizzando unquestionario semi-strutturato somministrato a tuttigli studenti infermieri (n. 172) del Corso di Laureain Infermieristica di Udine.Risultati. Hanno risposto l’83,1% (143/172) degli stu-denti. All’inizio del tirocinio, il tutor ha chiesto allostudente di esplicitare le competenze e gli obiettivigià raggiunti nel 61% (87/143) dei casi: questo è piùfrequente quando lo studente è inserito in turno(71,8%;56/78) rispetto a quando è fuori turno (46,2%;24/52) [p < 0.05]. Il 65,7% (94/143) degli studenti hadichiarato di non aver definito un piano di apprendi-mento con il proprio tutor ma di aver raccolto viavia le opportunità formative che si sono presentate.Durante il tirocinio il 64,3% (92/143) degli studentiha partecipato a incontri di breafing/debreafing atti-vati dal tutor per rielaborare l’esperienza clinica: nel39,1% (36/92) tali incontri venivano effettuati qualchevolta nell’arco del mese, nel 22,8% (21/92) 1 volta allasettimana,nel 12,0% (11/92) 1 sola volta durante tuttoil tirocinio, nel 10,9% (10/92) ogni giorno, nel 7,6%(7/92) a giorni alterni, nel 6,5% (6/92) più volte algiorno [1 n.r.]. Nel 53,1% (76/143) dei casi il tutor

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nitori hanno parte attiva,prendendo la parola in pub-blico e testimoniando i loro percorsi educativi. Lafecondità del protagonismo dei genitori, come ope-ratori sociali e primi conoscitori dei loro figli, hafatto sì che intervenissero come formatori attra-verso la narrazione delle proprie esperienze già nel1995, formalizzando i principi scientifici del proget-to.Dal 2001 al 2004 la rete di associazioni che adottae diffonde tale metodologia si è fatta promotrice diun Partenariato europeo di apprendimento,nel quadrodel Programma Socrates - Azione Grundtvig 2 (edu-cazione permanente), al quale hanno partecipato or-ganizzazioni francesi e scozzesi. Descrizione dell’esperienza. Il Partenariato europeo "Pedagogia deiGenitori" si è prefisso lo scopo di validare in con-testi socio-culturali diversi la dignità dell'azione pe-dagogica dei genitori, mediante la creazione di unarete di apprendimento, costituita da genitori con figliin situazione di handicap o con difficoltà. Obiettivispecifici del progetto erano:- il coinvolgimento dei genitori e la loro valorizzazionenell’elaborazione dei progetti di vita ed educativi dei figli;- lo scambio e l'appropriazione delle diverse esperienzepersonali e della conoscenza dei modelli di servizi di-sponibili negli altri Paesi partecipanti al Partenariato;- l'acquisizione, da parte dei genitori, della consapevolez-za delle proprie competenze educative, sia come mutuoaiuto che nella formazione dei professionisti;- il riconoscimento della validità scientifica di talicompetenze da parte di tecnici ed operatori deisettori socio-sanitario e dell'educazione.Risultati. Si sono costituiti gruppi autonomi di geni-tori i quali hanno organizzato riunioni periodicheche, in molti casi, hanno visto anche la partecipa-zione di professionisti ed esperti (insegnanti, educa-tori, medici, operatori sanitari, assistenti sociali). Sianel corso delle riunioni, che su base individuale, èstata effettuata la raccolta delle narrazioni dei geni-tori, intese come percorsi di vita, redatte dai geni-tori stessi. Le sinergie sviluppate grazie all’interazio-ne fra le organizzazioni partecipanti e numerose isti-tuzioni pubbliche hanno consentito una efficace dif-fusione dei risultati del progetto, sia attraverso pub-blicazioni che l'organizzazione di convegni nazionalied internazionali (2,3). Tali prodotti hanno portatocome risultato una sensibilizzazione del pubblico, conparticolare riferimento ai professionisti sopra men-

zionati.Prospettive. Il valore aggiunto dell’interazione attivafra partner provenienti da ambienti culturali moltodifferenti è emerso chiaramente, unitamente ai be-nefici connessi alla capacità di condividere gli atteg-giamenti comuni (4). I risultati raggiunti sono statiparticolarmente stimolanti, per ciò che concerne siala diffusione dei principi ispiratori del progetto chela capacità dimostrata nel trasferire la sostenibilitàdelle azioni dall’ambito europeo a quello locale. Laricchezza pedagogica emersa dalla de-istituzionaliz-zazione del processo di apprendimento, l’importan-za di raggiungere figure di discenti che non rientra-no nel normale quadro istituzionale, l’educazionecome servizio hanno consentito di sviluppare unmodello innovativo di impostazione didattica che,potenziando il processo di apprendimento,può essereutilizzato per influenzare l'educazione formale deiprofessionisti nei settori di intervento sull'handicap.

Bibliografia (1) AA.VV. Pedagogia dei genitori: Handicap e famiglia.

Educare alle autonomie. A cura di M. Tortello e M. Pavone;Ed. Paravia Scriptorium – Torino (1999).

(2) AA.VV. Handicap & Scuola; 99: 17-19 (2001), 103: 3-38 (2002), 106: 14-18 (2002), 107: 16-21 (2003), 108: 26-30(2003), 109:13-18 (2003),110:24-28 (2003),111:2-30 (2003),112: 18-25 e 36 (2003), 113: 32-39 (2004), 114: 7-15 (2004),115: 16-21 (2004), 116: 22-30 (2004), 118: 20-28 (2004).

(3) AA.VV.:Un mosaico di esperienze. Le narrazioni cometestimonianza e formazione. A cura della Sezione di Pisa-Livorno dell’AIPD ONLUS; Stampa 83 – Cascine di Buti, Pisa(2004).

(4) Barone E.: Handicap & Scuola, 121: 19-20 (2005).

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CONCLUSIONI DEL CONVEGNOPaola Binetti

Presidente SIPeM

Il XIII Convegno di Pedagogia medica ha avuto un suo stile del tutto particolare che daun lato riflette la migliore tradizione del pensiero e della prassi pedagogica iniziata conDe Cecco, Guilbert, Ghetti, Cartoni… Maestri illuminati che non sono più tra di noi,ma dall’altro ha messo in evidenza aspetti del tutto peculiari di questo nostro tempoculturale, connotato da una forte richiesta di scientificità e di eticità, ma nello stessotempo ancora smarrito davanti alla velocità di cambiamenti non sempre facili dacomprendere e da governare.Non a caso le tre lezioni magistrali, poste strategicamente all’inizio, al centro e altermine del Convegno, hanno avuto come snodo concettuale una riflessioneattenta sui nuovi paradigmi del sapere medico declinato nell’ottica della cura edella formazione:• Il paradigma del metodo• Il paradigma della scientificità• Il paradigma della complessità: governare il cambiamentoPer molte persone addette ai lavori, soprattutto per quei docenti universitariche sono passati attraverso la molteplicità delle esperienze didattiche degliultimi anni , la pedagogia medica sembra identificarsi con la didattica dellamedicina. Per loro il problema è squisitamente didattico: definire bene cosainsegnare: il core curriculum, come insegnare, utilizzando i metodi più efficacisia sul piano concettuale che pratico, come valutare a breve e medio terminela qualità dell’insegnamento e i relativi processi di apprendimento. Lariflessione sul metodo pedagogico è sostanzialmente una riflessione suirisultati che si ottengono in termini di formazione professionalizzante con ilsingolo studente e con una intera classe. L’obiettivo è ottimizzare i risultati,concentrando le risorse per evitare inutili dispersioni di tempo e di spazio, maanche di energie culturali e di uomini: tutori, docenti, ecc. L’importanza che ladidattica occupa nel panorama universitario è ben poca, nonostante la recenteriforma la ponga al primo posto e nella facoltà di medicina per di più ècertamente schiacciata tra le due istanze della ricerca e della assistenza, chesono molto più forti, pregnanti e in un certo senso ri-paganti.Il metodo in Pedagogia medica non riguarda solo la metodologia didattica intesa

come offerta formativa di contenuti e strategie di apprendimento, tocca invece ilsenso stesso dell’essere medico e risponde all’interrogativo profondo della identità

professionale che ognuno desidera realizzare. La sofferenza è sempre percepita inrelazione ad un male e questo male a sua volta appare come tale perché evoca la

mancanza di un bene corrispondente.È il bene che l’uomo desidera ed è al bene che aspira: desidera la salute, perché la

considera un bene per sé, desidera avere vicino una persona cara, perché la consideraun bene per sé e si considera un bene per lei. Il rapporto tra gioia e sofferenza si iscrive

tra i misteri con cui l’uomo deve fare i conti ogni giorno, perché ogni giorno laquotidianità lo espone a sentire sulla sua pelle l’aggressione più o meno violenta di cose

che lo fanno soffrire, tanto più quando non ne comprende il senso e non riesce ad accettareche proprio lui debba esserne vittima.SI

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stile decisionale affidabile ed efficace. Al medico, al-l’infermiere si chiede una specifica esperienza nelsaper decodificare il mondo della sofferenza. Il doloree la sofferenza hanno bisogno di nuove modalità diascolto, che diano valore al tempo dell’accompa-gnamento silenzioso e della condivisione degli affettie dei valori. Ma comprendere, nel senso di prende-re con sé l’umanità dolente dell’altro, non è facile eil linguaggio scientifico non è sufficiente.Il paradigma della scientificità, acutamente ripropo-sto da Ivan Cavicchi, si pone come un superamentodella dicotomia che separa scienze umane e scienzebiologico-sperimentali. Nelle scienze umane con-temporanee si è giunti ad un modello generalesecondo il quale: “l’uomo è tale perché appartieneal tempo stesso al regime della causalità e a quellodella motivazione… alla natura e alla cultura, al biose al logos…”. Possiamo esplicitare questa doppia ap-partenenza, dicendo che per comprendere e spie-gare alcuni aspetti dell'essere umano dobbiamo in-dagarlo secondo le leggi che governano la realtà bio-fisica mentre per altri aspetti è necessario fare rife-rimento al mondo dei significati e al modo in cui cia-scuno interpreta se stesso e il mondo che lo cir-conda. Lo stesso vale per il comportamento versoil paziente dove la parte cosiddetta scientifica con-siste nell’esame obiettivo, nelle analisi di laboratorioe nelle prescrizioni farmacologiche,mentre “le qualità‘umane’ e ‘psicologiche’ del medico vengono consi-derate un ‘supplemento d’anima’ incontrollabile sepure prezioso… frutto di buona volontà e di espe-rienze poco trasmissibili. E’ un approccio che puòessere definito elementarista, in quanto separa da unlato l’organismo e dall’altro la persona,e viene messoin discussione da più parti.Anche se l’orientamentoattuale delle Facoltà mediche privilegia l’approccioclinico ed educativo basato su prove di evidenza(EBM), spesso inoppugnabili, tutti: medici e malati, in-fermieri ed amministratori, stanno scoprendo di nonpoter fare a meno della dimensione umanistica, per-cepita nell’immaginario collettivo come il contribu-to necessario per offrire una assistenza realistica-mente centrata sul paziente.Tutti ne parlano,ma nonsempre si è in grado di offrire una relazione di curaattenta alla globalità dei bisogni del paziente,nei con-fronti dei quali prevale un’ottica di tipo riduzionisti-co, che privilegia –ad esempio- quelli di natura bio-logica rispetto a quelli di natura relazionale. Il giovane

Il paradigma del metodo in pedagogia medica nonpuò quindi limitarsi al cosa insegnare, ma deve ri-spondere al quesito del perché insegnare per cir-coscrivere un sapere che sia realmente significativoper il medico e per i pazienti.Assumere questa pro-spettiva ci aiuta a comprendere come poter andareincontro alla persona che soffre, al di là di teorie odi schemi concettuali generici. Una delle maggioridifficoltà nella tematizzazione delle questioni eticheè la separazione nella cultura moderna della analisiteorica dei problemi dalle competenze morali degliindividui. Il sapere sembra distanziarsi dal saper esseree alla competenza scientifica del professionista nonsempre corrisponde sul piano pratico una adeguatacoerenza nei valori affermati in via di principio. Nelsapere e nell’agire bio-medico questo scollamentorappresenta un elemento di sofferenza aggiuntiva peril paziente, che a volte si trova nella necessità di sce-gliere tra un professionista con un elevato profiloscientifico,ma meno disponibile a spendersi sul pianorelazionale e un professionista la cui disponibilità èsuperiore alla competenza. Ovviamente la questio-ne è mal posta se si legge in chiave disgiuntiva: com-petente ma meno disponibile o disponibile ma menocompetente. Il realtà il quesito andrebbe posto cor-rettamente solo in questi termini: competente ugualedisponibile e il suo reciproco:disponibile uguale com-petente. Perché non v’è dubbio che la competenzaprofessionale in tutte le professioni, ma soprattuttoin quelle che si riconoscono nel paradigma fondati-vo della relazione di aiuto, la competenza è parte in-tegrante della disponibilità e non sarebbe credibileuna disponibilità non-competente.Infatti la competenza professionale si riconosce nonsolo dal nucleo di quadri concettuali, in cui le diverseteorie si collocano, per offrire spunti razionalmentefondati alla soluzione di problemi, ma presupponenello stesso tempo un profilo di abilità, pratiche edintellettuali, necessarie per risolvere anche tutti iproblemi pratici e teorici, che via via entrano in que-stione. Ma nelle aspettative del paziente presuppo-ne prima di tutto la capacità di comprendere il dolore,il suo dolore, e di aiutarlo a dargli un senso, esplici-tandone i significati nascosti. Nel core competencedi un professionista esperto ci sono interessi, at-teggiamenti e valori, che danno ragione di una soli-dità morale, che fa da fondamento a tutte le suescelte personali e professionali, traducendole in uno

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medico chiede di imparare a cogliere le esigenze delpaziente non solo attraverso le moderne tecnichedella strumentazione scientifica, ma anche attraver-so quel misterioso canale comunicativo che si attivasolo grazie ad una relazione interpersonale signifi-cativa. La vera sfida non sta nell’aggiungere alla for-mazione scientifica contenuti di tipo umanistico, manel riportare all’interno della prospettiva scientificala visione integrata dell’uomo. Cavicchi ha parlato dimedicina ontologica,noi potremmo dire che la nuovascienza deve riscoprirsi in un taglio antropocentri-co, in cui il riduzionismo tipico delle scienze codifi-cate nei settori scientifico-disciplinari recupera la suadimensione sapienziale e torna a cogliere sia il sensodi una scienza per l’uomo che la visione dell’uomoin quanto tale come oggetto della scienza. Un uomocolto nella sua essenza di uomo, nella sua compiu-tezza relazionale e nella sua integrità esistenziale. Lascienza che ha l’uomo per oggetto e per fine dellesue ricerche deve darsi un paradigma capace di fornirerisposte integrate ed integranti, tali per cui la cono-scenza si faccia non solo descrizione di fatti ed eventi,ma neppure mera interpretazione di dinamiche de-terministiche, come accade nei ragionamenti di tipofisio-patologico o probabilistiche, come accade nelclassico approccio EBM. Abbiamo bisogno di unascienza che sappia anche contemplare il mistero chec’è nell’uomo e nella natura, ammettendo che nonpossiede ancora tutte le risposte che gli eventi me-riterebbero, perché questi la sovrastano e senzacedere alla tentazione di ridurre la realtà al circuitologico delle sue spiegazioni parziali ed imperfette. Ilnuovo paradigma della scienza sollecitato da Cavic-chi sfida sia gli scienziati che i pedagogisti, perchéobbliga a progettare una formazione che non si sot-tragga all’onere dell’umiltà e che si impegni più nellaricerca delle domande essenziali, che nella pseudo-soddisfazione di risposte parziali.Il terzo paradigma, postulato da Luciano Vettore nelsuo ampio e articolato discorso sulla complessità,riguarda le nuove capacità indispensabili per gover-nare il cambiamento. La medicina è malata, curiamola medicina: questo è stato il topic della relazione,una sorta di ritornello che ha punteggiato la sua trat-tazione. Lo stato di sofferenza in cui versa la medi-cina riguarda sia i modelli organizzativo-assistenzia-li che quelli tecnico-scientifici. E la formazione ne fale spese, perché riflette uno stato di confusione nel-

l’alternanza delle proposte didattico-culturali. Il rap-porto tra formazione tecnico-scientifica e forma-zione umanistica è sempre stato uno dei nodi cru-ciali nel campo della Medical Education, non tantoperché si possa mettere in discussione l’irrinuncia-bile contributo di ognuno dei due poli, ma perché ildibattito si sposta verso il peso oggettivo da asse-gnare all’uno o all’altro, nel momento di pianificareil curriculum e fissare obiettivi, tempi, contenuti, stra-tegie. Indubbiamente l’attuale orientamento privile-gia una medicina sempre più rigorosa,basata su provedi evidenza (EBM), spesso inoppugnabili, ma ciò nonbasta per migliorare la formazione dei medici. Studirecenti hanno dimostrato come la formazione pro-fessionalizzante del medico richieda anche una di-mensione umanistica che sia in grado di incidere sullaqualità specifica della sua professionalità, permet-tendo di generare ipotesi interpretative più elasti-che e creative. Il processo decisionale, che conclu-de una indagine diagnostica e precede la pianifica-zione terapeutica, richiede un’analisi degli elementidisponibili, spesso in contraddizione tra di loro e talida evidenziare un concreto margine di rischio tra lescelte possibili. Rischio che non può essere affron-tato solo sulla base di criteri inoppugnabili. Occorrefare appello ad un approccio in cui si innestano anchecomponenti di pensiero non riducibili alla stretta evi-denza scientifica. Il cambiamento per essere ade-guatamente governato richiede una formazione chesi fondi sul costrutto scientifico che presidia il ra-gionamento clinico,ne migliora l’efficacia e l’efficienza,ma soprattutto garantisce al malato la qualità di unrapporto interpersonale più significativo e soddisfa-cente. La rapida evoluzione che la ricerca scientificain ambito biomedico ha avuto è sotto gli occhi ditutti, al punto tale da richiedere energie dedicate inmodo pressoché totale, ne è prova il fatto che laricerca di base, sempre più sofisticata nelle tecnolo-gie, è gradualmente diventata appannaggio di biologi,e comunque di non medici e quindi - almeno po-tenzialmente - meno finalizzata alla salute dell'uomo.E’ sempre più difficile distinguere la ricerca clinicada quella tecnologica e separare le conseguenze deirisultati positivi per la salute dell'uomo dai risultatispesso fini a sé stessi o più utili per il mercato. Nonc'è dubbio tuttavia che i risultati della ricerca di basesono applicati sempre più velocemente alle decisio-ni che i medici prendono.L’efficacia stessa della ricerca

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relazione di cura e di tutela della salute. La dimen-sione multiprofessionale della educazione clinica de-finisce un orizzonte di competenze in cui quelle degliuni si intrecciano strettamente con quelle degli altrie senza un adeguato dialogo è impossibile fornire ri-sposte qualitativamente soddisfacenti ai pazienti. Ilprogressivo aumento del livello culturale nelle pro-fessioni sanitarie sta lentamente erodendo quella chefinora è stata una naturale leadership del medico epone proprio in ambito clinico interrogativi inquie-tanti sotto il profilo della responsabilità individualee collegiale Diventa pressante fornire risposte inte-grate ad interrogativi sulla natura stessa della clinica:in che rapporto stanno il nursing clinico con la clinicamedica e in che misura entrambi usano una meto-dologia scientifica, che consenta di riconoscersi nellerispettive identità e nelle relative differenze.Un terzo nodo concettuale è stato affrontato nellasessione dedicata alla narrativa, in cui accanto all’usoche nella migliore tradizione pedagogica si è semprefatto del metodo autobiografico, di quel narrarsi percomprendersi e farsi comprendere,è emerso il valoreculturale di un approccio che mantiene lo studentea stretto contatto con la nostra tradizione cultura-le e letteraria. Le storie narrate dal romanzo, dalcinema, dal teatro… sono altrettante finestre sulmondo interiore delle nostre emozioni, ma anchedelle nostre aspirazioni, toccano contestualmente gliaspetti più alti e più profondi di una intimità che lamalattia e la sofferenza mettono allo scoperto. Ilvalore della narrazione dà alla storia clinica la di-mensione peculiare di un paziente, che non puòessere racchiuso nello schema nosografico che sup-porta il processo di razionalizzazione della forma-zione medica. Ma offre alla formazione dello stu-dente la sponda più significativa per comprendereed interpretare correttamente quelle che Borgnachiama le intermittenze del cuore.Infine il quarto nodo affrontato è stato quello dellaformazione continua: sia in termini di contenuti chedi atteggiamenti, di metodi e di strumenti. Sonoemerse in questa ultima sessione esigenze in partecontrastanti, ma tutte legate al paradigma della com-plessità. Da un lato infatti c’è il bisogno di poten-ziare le proprie competenze comunicative, per mi-gliorare la qualità relazionale del rapporto con il pa-ziente e con i colleghi, dall’altro il bisogno di inter-rogarsi sul senso di una rincorsa ai crediti ECM,

impone un modello in cui si riflette un approccio ri-duzionista: le realtà che si studiano per essere com-prese nella loro essenza debbono essere analizzatee "smontate" in tutti i loro aspetti. Ma se questometodo facilita l’accrescimento e l’approfondimen-to delle conoscenze, isolando artificialmente feno-meni che nella realtà sono tra loro strettamente cor-relati, porta ad una lettura frammentata della realtà.La racchiude in modelli concettuali che l’uomo puòdominare meglio, ma non per questo riflette ade-guatamente ciò che la realtà è in se stessa.Si perdonodi vista le interrelazioni intrinseche ai sistemi com-plessi; l'insieme dei fenomeni che caratterizzano iprocessi vitali, che sono per loro stessa natura semprecomplessi e profondamente embricati tra di loro.Il paradosso che questo paradigma pone alla medi-cina oggi è che quanto più si sviluppano le compe-tenze analitiche, tanto più si perde di vista il sensoglobale dei processi. Ossia gli atteggiamenti che pre-sidiano una ricerca efficace sono diversi da quelli chesi richiedono nel momento della formazione, in cuideve prevalere un approccio di tipo sintetico; ana-logamente a quanto accade nel ragionamento clinico,in cui alla iniziale fase analitica della raccolta datideve corrispondere nel momento delle decisioni te-rapeutiche una chiara capacità di sintesi.Le quattro sessioni di lavoro, lette attraverso le sintesidei loro coordinatori,hanno messo in evidenza alcunipunti cruciali che meritano una speciale riflessionenell’ambito della nostra Società di Pedagogia medica.La sessione sull’Educazione terapeutica, con cui si èaperto il convegno,ha avuto il grande merito di porreal centro della attenzione generale il paziente, conla pluralità dei suoi bisogni e delle sue aspettative.Ma anche con la specificità dei suoi diritti: primo tratutti il diritto ad una formazione specifica, a quellaeducazione terapeutica che costituisce la dimensio-ne più efficace della sua autonomia decisionale, si-gnificativa solo se autenticamente ben formata. Unabuona cura comincia sempre con una buona for-mazione: l’educazione terapeutica è un fattore im-portante per una buona compliance, ma è soprat-tutto garanzia di libertà per il paziente.Un altro nodo culturale importante è stato affron-tato nella sessione sulla clinica. Si pensi ad esempioa come sia sempre più stretto il legame tra l’edu-cazione alla clinica dei medici e quella degli altri pro-fessionisti, che svolgono un ruolo importante nella

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qualora questi non siano funzionali ad un progettopersonale ben definito. Ma c’è stato anche lo spazioper verificare in che modo l’e-learning possa defi-nire non solo i confini di una formazione a distan-za, che sembra dilatarsi ed arricchirsi sempre di più:e come expanded e come enriched, ma anche comeeccellenza critica nel saper selezionare un propriocore curriculum, finalizzato ai processi di auto-rea-lizzazione, personale e professionale.Abbiamo bisogno di nuovi saperi e di nuovi modellidi elaborazione e di integrazione di questi saperi, pernon perderci in una revisione dei curricula e dei pianidi formazione, che credendo di muoversi alla ricercadelle cose essenziali, perdono di vista l’essenziale diogni processo di buona formazione. La sola scienzanon basta e soprattutto in medicina serve una scienzache non perda di vista la sua finalità essenziale: quel-l’antropo-centrismo che può essere raggiunto solocon un giusto mix di formazione curriculare ed ex-tracurriculare, a cui concorrono appunto cinema, let-teratura ed arte. La questione antropologica è alcentro della innovazione pedagogica che vogliamorealizzare, sia nel processo di cura che nel proces-so di formazione. Sono le domande sull’uomo quellea cui dobbiamo cercare di rispondere e di fatto sonole più inquietanti e le più intriganti. La società italia-na di pedagogia medica vuole riproporre un modellodi medico colto,ma anche di infermiere colto,secondocanoni nuovi, ma non per questo estranei al dibat-tito che ci vuole innovativi nella tradizione e tradi-zionali nella innovazione. La Formazione all’eccel-lenza richiede sotto il profilo culturale la capacità difondere diversi saperi, senza confonderli e senzaconfondersi. La formazione al dialogo è possibile sel’altro è colto nello stesso tempo come interlocu-tore con cui confrontarmi, ma anche come misteroda scoprire. Per questo è necessario riappropriarsidi un progetto culturale e formativo ampio ed arti-colato, ma senza perderci nei nuovi labirinti: l’uomomalato, nella sua singolarità e nella sua dimensionerelazionale sono il nostro obiettivo principale. L’e-ducazione medica ha sempre avuto un forte risvol-to etico, ma occorre passare all’etica della terzapersona (si deve fare) all’etica della prima persona,passando attraverso l’etica di una intelligenza di-sposta a misurarsi sia con la molteplicità dei saperi,anche i nuovi saperi, che con la pluralità dei linguaggi.La SIPeM si impegna a creare uno spazio di studio

su questi grandi temi, senza avere la fretta di volereo di dover produrre degli strumenti e dei materialicapaci di rendere più efficace la formazione.Non vo-gliamo semplicemente ottimizzare dei risultati, macome ogni società scientifica vogliamo contemplarel’oggetto del nostro sapere esplorandolo alla lucedelle nuove istanze che vengono dalle sfide scienti-fiche e tecnologiche, ma anche e soprattutto dallesfide etiche ed antropologiche. La pedagogia medicanon vuole limitarsi ad essere una didattica medica,ma vuole scendere più in profondità, per compren-dere meglio in che modo da una retta filosofia dellamedicina possa scaturire una migliore filosofia del-l’educazione in medicina, sapendo che si tratta di unavia nuova e finora assai poco esplorata.A questa dimensione speculativa della SIPeM fa ri-scontro però un grosso impegno di servizio attra-verso le varie Sezioni locali, che stanno comincian-do a mettere radici e stanno assumendo delle iden-tità diverse, da un luogo all’altro. Ogni sezione localeha un suo modello organizzativo: sono laboratori au-tonomi ed integrati di sapere intorno alla medicina.Hanno un potenziale di sperimentazione molto ampioin piena sintonia con il proprio contesto, secondo ilcorretto criterio del realismo pedagogico… Sonofatte di donne e di uomini, di saperi e di esperien-ze, di teorie e di modelli, ma sono fatte soprattuttoper aggregare risorse, per mobilitare energie ed en-tusiasmi e per identificare bisogni. Ogni sezione puòraccogliere intorno a sé profili professionali diversi,può disegnare progetti di diversa complessità e puòdarsi degli obiettivi con una maggiore o minore ri-caduta sociale. Ma ognuna sarà un vero e propriopunto di riferimento per quanti in quel luogo e inquel tempo vogliono ragionare insieme di scienzamedica, di etica e di bioetica, di modelli organizzati-vi, ma anche di arte e di cultura. Possono nasceredei seminari, dei corsi, dei master e quant’altro lafantasia e la creatività possa suggerire: anche dei sem-plici salotti culturali. Sono sezionicamminano sullegambe di chi se ne fa carico. Tutti sappiamo che èdifficile farle funzionare, ma desideriamo farle fun-zionare e bene….

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e, per l’incarico di Revisore dei Conti, il Socio:Paola AnzilottiL’Assemblea è invitata a proporre altre candidaturespecialmente se rappresentative di settori discipli-nari diversi da quello medico ed infermieristico (giàrappresentati in Consiglio).Al termine delle votazioni, il Consiglio Direttivo rin-novato, risulta così composto:

PresidentePaola Binetti

ConsiglieriAlberto Calatroni

Giacomo DelvecchioAntonio GaddiPietro Gallo

Lorenza GarrinoUmberto GianiAntonella Lotti

Yeganeh Manon KhazraiAlvisa PaleseFranca ParizziLucia Zannini

Revisori dei ContiPaola Anzilotti

Enrico MalinvernoSandra Morano

Partecipano alle sedute del Consiglio,su invito del Pres-idente e in qualità di Responsabili Regionali, i soci:

Tiziana GandiniCarlo Maganza

Rinnovo delConsiglioDirettivo

Durante l’assemblea generale dei Soci si è proce-duto al Rinnovo del Consiglio Direttivo.Constatato che è scaduto il mandato dei ConsiglieriCarlo Maganza e Tiziana Gandini, i quali a termini diStatuto non sono rieleggibili;Constato altresì che il socio Daniele Rodriguez hapresentato le sue dimissioni dall’incarico di Revisoredei Conti;Considerato che hanno diritto di rimanere in Con-siglio Direttivo fino alla fine dell’anno 2006 comeConsiglieri:Maria Grazia AlbanoPietro GalloLorenza GarrinoUmberto GianiAlvisa PaleseFranca ParizziLucia Zanninie che hanno diritto di rimanere in Consiglio Diret-tivo fino alla fine del 2006 come Revisori dei Conti:Enrico Malinverno Sandra Moranoviene preso atto della necessità di eleggere 6 nuoviConsiglieri ed 1 Revisore dei Conti.

Viene comunicato che al Consiglio Direttivo risultanodisponibili all’incarico di Consiglieri i seguenti Soci:Alberto Calatroni Giacomo Delvecchio (Consigliere rieleggibile)Antonio GaddiDonatella LippiGiuseppe ParisiYeganeh Manon Khazrai Antonella LottiLaura Vizzotto

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rensen & Luckman, 1981) interrelate e interdipen-denti, volte a risolvere i problemi dei pazienti. Gli in-fermieri possono lavorare sulla base del processo sesviluppano abilità di ragionamento diagnostico,problemsolving e decision making (Barman Deber, 1989). Lafase più critica del processo è quella del ragiona-mento diagnostico che prevede l’interpretazione deidati raccolti e la definizione della diagnosi infermie-ristica. Non sono ancora disponibili evidenze sull’ef-ficacia delle strategie didattiche nell’apprendimentodel ragionamento diagnostico. Tuttavia, l’esperienzadei formatori impegnati suggerisce una certa rile-vanza del supporto tutoriale nello sviluppo dei pro-cessi di ragionamento diagnostico.Obiettivi: gli obiettivi erano quelli di verificare l’effi-cacia del laboratorio e delle sessioni di debriefingrealizzate da tutor esperti nell’apprendimento delragionamento diagnostico.Materiali e metodi: è stato adottato un disegno distudio quasi sperimentale che ha incluso studenti delprimo anno del Corso di Laurea in Infermieristicadi Udine (gruppo A) e Trento (Gruppo B) che hannodato il loro consenso. Non sono stati inclusi gli stu-denti a) stranieri con difficoltà linguistiche; b) cheavevano già svolto in passato funzioni assistenziali(ad esempio operatori di supporto o volontari disistemi di emergenza); c) fuori corso; d) che nonhanno partecipato al 70% delle attività didatticheproposte. Entrambi i gruppi hanno seguito il Corsodi Metodologia Clinica nella propria sede, standar-dizzato nei contenuti e nei metodi al fine di renderlo

Premio“Vittorio Ghetti”

Il Premio “Vittorio Ghetti” 2006 per una ricercapedagogica originale è stato assegnato al lavoro diA. Palese et al. relativo a strategie tutoriali per l’ap-prendimento del ragionamento diagnostico. Nevengono qui illustrati l’impianto sperimentale e irisultati raggiunti.

L’efficacia delle strategietutoriali

nell’apprendimento delragionamento diagnostico:studio quasi sperimentale

A. Palese (1), A. Brugnolli (2),C.Vidotti (1), G. Bulfone(1),S. Perli (2), A. Zanini (1),

A. Bevilacqua (2), S. Zuliani (1), C.Tosolini (1),L.. Saiani (2)

Corso di Laurea in Infermieristica(1)Università degli Studi di Udine(2) Università degli Studi di Verona

Background: dal 1973, l’American of Nursing Asso-ciation ha definito che la pratica degli infermieri sibasa su una metodologia clinica che si chiama “pro-cesso di nursing”. Il processo di nursing si componedi più tappe (accertamento, individuazione della dia-gnosi infermieristica; pianificazione degli interventi,attuazione e valutazione) e può essere rappresen-tato come un insieme di fasi di problem solving (So-

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gnificatività p < 0.05.Primi risultati: gli studenti inclusi (n.151) erano omo-genei per età, genere e background. Al tempo 0, ilGruppo A di confronto ha individuato più ipotesidiagnostiche rispetto al gruppo B trattato (6,41/mediastudente vs 5,29 media/studente,p< 0,001).Tali ipotesisono state supportate da un numero più elevato didati convalidanti rispetto a quelli individuati dal gruppoB (11,67/media studente vs 9,57 media/studentep<0,005).Al tempo 1, il gruppo A di confronto con-tinua ad individuare un numero superiore di ipotesidiagnostiche (6,41/media studente vs 5,29 media/stu-dente, p< 0,001) ma individua un numero inferioredi problemi corretti (2,58/media studente gruppo Avs 3,55 media/studente gruppo B p<0,002).Anche altempo 2, gli studenti del gruppo A individuano piùipotesi diagnostiche (p< 0,01) ma un numero infe-riore di problemi corretti (p < 0,05) rispetto algruppo B trattato.Conclusioni: pur nei limiti dello studio, la prima analisievidenzia che gli studenti che apprendono il ragio-namento clinico attraverso un insieme di strategiedidattiche basate sull’approccio tutoriale, procedo-no in modo più selettivo ed efficace: individuanomeno ipotesi diagnostiche ma un maggior numerodi problemi corretti.

omogeneo.Gli studenti di Trento hanno seguito ancheun laboratorio successivo al Corso in cui si sonosperimentati nella metodologia clinica lavorando inpiccoli gruppi su un caso simulato. Entrambi i gruppisono stati successivamente randomizzati a parteci-pare, durante i tirocini clinici, a sessioni di de-brie-fing settimanali focalizzati sulla discussione di casi.Tali sessioni sono state condotte da tutor esperto.Strumenti: è stato costruito un caso assistenzialepertinente al livello formativo del 1° anno e som-ministrato agli studenti in tre momenti diversi: alTempo 0, per misurare la capacità di ragionamentodiagnostico spontanea; al Tempo 1, dopo il corso diMetodologia Clinica (e il laboratorio correlato peril Gruppo B) e al tempo 2 al termine dei tirocini delprimo anno (con o senza debriefing). E’ stato anchesomministrato un questionario per indagare la ti-pologia di ragionamento diagnostico utilizzato daglistudenti e le difficoltà incontrate.L’efficacia delle me-todologie didattiche e’ stata misurata come a) nu-merosità delle ipotesi diagnostiche individuate daglistudenti; b) numerosità dei dati avvaloranti/mancan-ti riportati per supportare le ipotesi; c) numerositàdei problemi corretti individuati.Analisi dei dati: i dati raccolti sono stati analizzati con“SPSS versione 12.00”. Sono stati utilizzati: il testChi-Square ed ANOVA accettando un livello di si-

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