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1 TUTELA DEI CREDITI TRIBUTARI DEL COMUNE NELLE PROCEDURE CONCORSUALI * * Sintesi della relazione tenuta al CORSO IFEL (Bologna – 28 giugno 2017) di FAUSTA BRIGHENTI (avvocato civilista e tributarista del foro di Modena) Introduzione Scopo del corso è quello di delineare l’iter operativo per fare valere il credito dell’ente impositore in caso di dichiarazione di fallimento del contribuente o di ammissione del contribuente alla procedura di concordato preventivo. Sono descritti gli atti che devono essere predisposti, nonché la relativa tempistica, per partecipare al concorso sui beni del debitore fallito e del debitore concordatario; di tali atti viene fornita un’esemplificazione concreta in una con la riflessione sui principi generali della materia (ad esempio per quanto riguarda il principio della domanda, la ripartizione dell’onere della prova, ecc.). Vengono illustrate le modalità con cui i creditori esercitano il controllo sull’attività degli organi della procedura concorsuale, con riferimento ai presupposti e alle procedure per proporre le opposizioni ed i reclami previsti dalla legge fallimentare. 0. Premessa Visto che oggi ci occupiamo principalmente dell’iter operativo dell’ente impositore per fare valere il proprio credito nei confronti del fallimento è necessario soffermarsi su quali siano i crediti che partecipano al concorso fallimentare. Quali tipi di credito sono concorsuali, possono cioè essere insinuati al passivo del contribuente fallito? In linea generale si tratta dei crediti che nascono prima della dichiarazione di fallimento.

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TUTELA DEI CREDITI TRIBUTARI DEL COMUNE NELLE PROCEDURE CONCORSUALI *

* Sintesi della relazione tenuta al

CORSO IFEL (Bologna – 28 giugno 2017)

di FAUSTA BRIGHENTI

(avvocato civilista e tributarista del foro di Modena)

Introduzione

Scopo del corso è quello di delineare l’iter operativo per fare valere il credito dell’ente impositore in caso di dichiarazione di fallimento del contribuente o di ammissione del contribuente alla procedura di concordato preventivo. Sono descritti gli atti che devono essere predisposti, nonché la relativa tempistica, per partecipare al concorso sui beni del debitore fallito e del debitore concordatario; di tali atti viene fornita un’esemplificazione concreta in una con la riflessione sui principi generali della materia (ad esempio per quanto riguarda il principio della domanda, la ripartizione dell’onere della prova, ecc.). Vengono illustrate le modalità con cui i creditori esercitano il controllo sull’attività degli organi della procedura concorsuale, con riferimento ai presupposti e alle procedure per proporre le opposizioni ed i reclami previsti dalla legge fallimentare.

0. Premessa Visto che oggi ci occupiamo principalmente dell’iter operativo dell’ente impositore per fare valere il proprio credito nei confronti del fallimento è necessario soffermarsi su quali siano i crediti che partecipano al concorso fallimentare. Quali tipi di credito sono concorsuali, possono cioè essere insinuati al passivo del contribuente fallito? In linea generale si tratta dei crediti che nascono prima della dichiarazione di fallimento.

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La data del deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa di fallimento e della relativa pubblicazione è il momento scriminante tra crediti tributari concorsuali e crediti tributari che sorgano nel corso del fallimento, che sono definibili crediti prededucibili.

Quali sono le conseguenze di tale linea di demarcazione: attengono ai tempi e alle metodologie di pagamento: i crediti concorsuali vengono soddisfatti in sede di ripartizione dell’attivo fallimentare, ove esistente, i crediti prededucibili vengono pagati con assoluta priorità rispetto agli altri crediti, come stabilito dall’art. 111 L.F..

La concorsualità del credito tributario dipende quindi dal momento in cui sorge l’obbligazione tributaria. L’opinione prevalente, soprattutto in giurisprudenza, anche di legittimità, è che l’obbligazione tributaria sorge nel momento in cui si verifica il presupposto di fatto dell’imposta, cioè la situazione di fatto cui la legge ricollega il sorgere del tributo. L’OCI (Osservatorio Crisi d’Impresa) ha appurato che quasi il 90% del Giudici delegati ha ritenuto che la natura concorsuale del credito e la conseguente ammissibilità al passivo vada riconosciuta ai crediti tributari i cui presupposti impositivi si sono verificati prima della dichiarazione di fallimento (id est deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa di fallimento).

L’avviso di accertamento quindi non fa sorgere l’obbligazione tributaria, ma consegue alla stessa ed ha un’efficacia meramente dichiarativa. Leggo da Cass. 13/9/2013 n. 20978. “… l’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria svolge una funzione di mera verifica della regolarità formale e sostanziale degli adempimenti cui il contribuente è tenuto e, in caso di inadempimento, di dichiarazione degli effetti ricollegati ex lege alla fattispecie prevista come presupposto d’imposta ….”.

Quindi la concorsualità del credito di imposta prescinde dall’emanazione dell’avviso di accertamento.

Ciò vale non solo per il credito di imposta, ma anche per il credito collegato alle sanzioni tributarie, poiché ciò che rileva è il momento in cui si è tenuto il comportamento positivo o negativo (omissione) che integra l’illecito amministrativo, indipendentemente dal momento in cui è emanato l’atto irrogativo delle sanzioni (in questo senso già una Cassazione datata 29 maggio 1984, n. 3273, secondo cui si può ammettere al passivo del fallimento anche il credito per sanzioni tributarie, collegate ad illeciti commessi ante fallimento, anche se alla data della proposizione della domanda di ammissione al passivo non sia stato emesso l’avviso irrogativo della sanzione.

A questo punto è opportuno incentrare l’ attenzione sulla notifica e sulla redazione dell’atto impositivo.

Nel caso di atto impositivo emesso dopo la dichiarazione di fallimento per presupposto tributario verificatosi in epoca anteriore alla procedura concorsuale occorre che la notifica sia effettuata sempre sia al contribuente che al Curatore.

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Si veda, in proposito, Cass. 30 dicembre 2009, n. 28071: “E’ ormai principio assodato di questa Corte che l'accertamento tributario, se inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo di imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al Curatore - in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare, o comunque della loro idoneità ad incidere sulla gestione delle attività o dei beni acquisiti al fallimento - ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell'atto impositivo (v. Cass. n. 6476 del 2007; n. 2910 del 2009)”. L’impugnazione degli atti fiscali quando il contribuente è assoggettato a fallimento è una questione che dovrebbe essere semplice, che però, vedremo infra, viene complicata dalla stessa Cassazione, che in parte sconfessa se stessa, e può però offrire utili spunti all’ente impositore per sollevare in giudizio eccezioni di rito. La Corte di Cassazione – sulla scorta di una dottrina unanime - ha infatti stabilito un principio cardine: “l'accertamento tributario, che inerisca ad obbligazioni i cui presupposti si siano verificati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente deve essere notificato non solo al curatore, in ragione della partecipazione al concorso fallimentare, ma anche al contribuente, che, tornato in bonis, resta direttamente tenuto al soddisfacimento del debito tributario non soddisfatto dal fallimento”1. Con la conseguenza che “è nullo l'atto esattivo emesso nei confronti del fallito tornato in bonis, cui, tuttavia, non sia stato notificato l’avviso di accertamento (cfr. Cass. nn. 4235/06, 6937/02, 14987/00, 3667/97, 7561/95)” 2. Quindi, se l’Ente impositore intende far valere una pretesa fiscale – il cui presupposto sia sorto prima della dichiarazione di fallimento – nei confronti della procedura concorsuale, al fine di insinuarsi al passivo, avrà l’onere di notificare l’atto impositivo al curatore. Qualora, invece, intenda far valere la pretesa fiscale nei confronti del fallito tornato in bonis, l’Ente impositore avrà l’onere di notificare l’atto fiscale al fallito. Nulla vieta all’Ente impositore di costituirsi il titolo tanto nei confronti della Procedura che nei confronti del fallito per il tempo in cui sarà tornato in bonis. In questo caso l’Ente impositore potrà notificare l’atto impositivo sia al contribuente che alla Procedura.

1 Cfr. Cass. 18 dicembre 2008, n. 29642. 2 Cfr. Cass. 18 dicembre 2008, n. 29642, cit.

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Un principio chiaro, viene però complicato dalla singolare asserzione in base alla quale il fallito sì, può impugnare l’atto fiscale, ma solo se il curatore rimane inerte (questo naturalmente pendente il fallimento). Per diversi lustri la Suprema Corte ha affermato che il fallito può impugnare gli atti fiscali solo se il curatore se ne disinteressa. Per la Cassazione, infatti, il fallito è “eccezionalmente abilitato ad impugnare l’atto impositivo nell'inerzia degli organi fallimentari” (tra le tante, Cass. 30 aprile 2014 n. 9434). Ma si tratta di un principio che contraddice la premessa patrocinata dalla stessa Suprema Corte: se infatti il curatore e il fallito perseguono interessi diversi, per quale ragione il fallito può impugnare un atto fiscale solo se il curatore se ne disinteressa? Muovendo da un postulato che presenta insanabili vizi logici si perviene obbligatoriamente a risultati paradossali. Addirittura, parte della giurisprudenza di merito disconosce la sussistenza della legittimazione ad impugnare del soggetto fallito anche quanto il Curatore, di concerto con il Giudice Delegato, abbia delibato che non vi è convenienza ad impugnare (cfr. Comm. Trib. Prov. Torino 41/9/2013 e Comm. Trib. Prov. Milano 7780/1/2016). Abbiamo quindi individuato i destinatari della notifica. Come deve essere la struttura dell’atto impositivo notificato dopo la dichiarazione di fallimento? La giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che “con il fallimento la società non viene meno, ma i suoi organi perdono la legittimazione sostanziale e processuale (L. Fall., artt. 44 e 43), che viene assunta dalla curatela fallimentare, la quale, per tale ragione, subentra nella posizione della fallita. Ciò comporta che sono opponibili alla curatela... gli atti formati nei confronti della fallita, mentre, dopo la dichiarazione di fallimento, gli ulteriori atti del procedimento tributario debbono indicare quale destinataria l'impresa in procedura e quale legale rappresentante della stessa il Curatore: tanto è avvenuto nella fattispecie, in cui la cartella di pagamento, emessa dopo la sentenza di fallimento, è stata notificata al Curatore che per l'appunto l'ha impugnata" (Cass. 14 maggio 2010, n. 11784; nello stesso senso, Cass. n. 14894 e n. 2803 del 2010)3. Regole processuali da rispettare se il contribuente fallisce nel corso del giudizio In questa ipotesi il giudizio deve essere interrotto ex art. 43 l.f.. Se, al contrario, il processo non viene interrotto e il curatore non è intervenuto, la sentenza non è opponibile alla procedura e pertanto è illegittima la cartella esattoriale

3 Inserire risposta quesito sub 1.

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emessa nei confronti del fallimento, il cui curatore avrà l’onere di impugnarla instaurando un processo tributario (cfr. Cass. 22809 del 2014). In proposito, è lecito chiedersi come debba comportarsi il Curatore per i debiti fiscali il cui presupposto si è verificato nel corso della procedura qualora l’attivo del fallimento non abbia capienza sufficiente per soddisfare tutti i crediti prededucibili. In ipotesi di questo tipo succede, nella pratica, che il Curatore paghi per intero i debiti fiscali man mano che vengano a scadenza per almeno un paio di ragioni. La prima è il timore (fondato) di trovarsi esposto alle pretese degli Enti impositori. Il secondo risiede nel fatto che il pagamento dei debiti fiscali deve avvenire entro determinati termini decorsi i quali scattano sanzioni e interessi. Ora, però, al di là di queste ragioni di “opportunità”, l’art. 111 bis non sembra ammettere corsie preferenziali in favore del fisco. Per cui anche i debiti fiscali il cui presupposto si è perfezionato in corso di procedura soggiacciono al riparto ex art. 111 bis. Non sembra infatti lecito accordare ai crediti degli Enti impositori una preferenza che la legge non prevede (e se fosse prevista sarebbe in odore di incostituzionalità). 4. Le cause legittime di prelazione del credito – L’art. 55 L.F. A norma dell’art. 2752, comma 3°, “hanno privilegio generale sui mobili del debitore, subordinatamente ai crediti dello Stato (per imposte dirette ed IVA), i crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province previsti dalla legge per la finanze locale e dalle norme relative all’imposta sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni”. L’art. 2778 c.c. colloca questo privilegio al grado 20°. Per quello che riguarda il privilegio ICI si è posto il problema di interpretare il rinvio testuale operato dalla norma alle “imposte, tasse e tributi previsti dalla legge sulla finanza locale”. Prima della sentenza delle Sezioni Unite del maggio 2010, di cui parlerò diffusamente dopo, la giurisprudenza di merito era divisa: il Tribunale di Milano (sent. n. 145/2007 e n. 2788 del 2008) ha sempre ritenuto che il rinvio a “legge per la finanza locale” si intendesse fatto a un corpus normativo organico e generico e pertanto il privilegio dovesse essere esteso in maniera indifferenziata ai tributi delle province e dei comuni. Altra giurisprudenza di merito ha ritenuto invece che il rinvio non potesse essere inteso come rinvio a qualsivoglia legge istitutiva di tributi locali, anche successive all’emanazione del codice civile, ma che il significato della norma dovesse intendersi come rinvio ai tributi previsti dal R.D. 1931 (Trib. Firenze 26 gennaio 2005; App. Bologna sent. n. 1095 del 2004).

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La questione è stata risolta dalla Sezioni Unite (si trattava dell’ICI del Comune di Peschiera Borromeo). Le Sezioni Unite compiono dapprima un excursus sulle diverse posizioni di giurisprudenza e dottrina. La tesi più restrittiva, ricordano i Massimi Giudici, osserva che il riferimento ai tributi previsti dalla legge sulla finanza locale contenuto nell’art. 2752 c.c. non potesse avere portata generale perchè altrimenti non si spiegherebbe l’emanazione successiva di singole leggi d’imposta che hanno via via istituito singoli privilegi per tributi locali: ad esempio il d.lgs. n. 507 del 1992 relativo alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nonché per la tassa occupazione spazi ed aree pubbliche, mentre il coevo d.lgs. 504/1992 nulla ha previsto per l’ICI. E questo è stato il criterio interpretativo seguito dalla penultima Cass. sul punto, con la sentenza n. 7309/2006 (seppure in relazione all’ICIAP), che ha altresì fatto riferimento ad un altro principio e cioè che essendo le norme che istituiscono i privilegi eccezionali, in mancanza di una espressa disposizione che preveda il privilegio esso non può ricavarsi attraverso l’interpretazione analogica di altra norma. In base a questo orientamento restrittivo della Cassazione, dunque, il privilegio andava riconosciuto se il tributo alternativamente: è inserito nel RD n. 1175 del 1931; ovvero se il privilegio è previsto da una singola legge di imposta. Le Sezioni Unite, viceversa, seguono l’opposto orientamento con le seguenti motivazioni. A) L’art. 2752 sin dalla sua nascita fu strutturato non per riferirsi ad uno specifico testo normativo, e tantomeno al R.D. del 1931, bensì per riferirsi alla disciplina generale della finanza locale e quindi non occorre una specifica disposizione che riconosca il privilegio che, come abbiamo visto, manca nel decreto istitutivo dell’ICI; B) neppure si tratta in questo caso di operare una interpretazione analogica in quanto “".le norme del cod. civ. che stabiliscono i privilegi in favore di determinati crediti possono essere oggetto di interpretazione estensiva, la quale costituisce il risultato di un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale; e di identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore, e soprattutto dalla "causa" del credito che, ai sensi dell’art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio. Con la conseguenza che il privilegio generale sui mobili istituito dall’art. 2752 c.c., sui crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni previsti dalla legge per la finanza locale, deve essere riconosciuto anche per i crediti dei comuni relativi all’imposta comunale sugli immobili (ICI) introdotta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, pur se successiva e quindi non compresa tra i tributi contemplati dal R.D. n. 1175 del 1931”.

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Dopo l’intervento delle Sezioni Unite è intervenuto anche il legislatore: art. 13, comma 13, d.l. 201 del 2011 ha espressamente stabilito che ai fini del 4° comma dell’art. 2752 il riferimento alla legge per la finanza locale si intende effettuato a tutte le disposizioni che disciplinano i singolo tributi comunali e provinciali. La norma richiede espressamente che si tratti di tributi di Pronicnie e Comuni: sono esclusi dal privilegio i tributi regionali. Quindi il privilegio che assiste i tributi comunali è lo stesso di quello mobiliare generale afferente ai tributi statali diretti; il privilegio non spetta però alle sanzioni dei tributi locali in quanto il legislatore del 2011, nel riformulare l’art. 2752 c.c., ha attribuito collocazione privilegiata alle sole sanzioni accessorie ai tributi diretti erariali. E’ utile sin da ora ricordare che i crediti assistiti da privilegio generale producono interessi, a propria volta assistiti da privilegio, anche nel corso della procedura concorsuale. Il termine ad quem è rappresentato dal momento in cui viene depositato un progetto di riparto in cui il detto creditore privilegiato venga soddisfatto anche solo in parte. Prima della riforma dell’art. 55, si riteneva invece che il momento finale di calcolo degli interessi privilegiati, collegati a crediti assistiti da privilegio generale, fosse la vendita dei cespiti più significativi. Ripercorriamo l’iter cronologico della procedura di ammissione al passivo dall’inizio. Quale è il primo atto che il creditore, nel nostro caso il Comune, riceve dalla procedura fallimentare? O la sentenza dichiarativa di fallimento, se il Comune è uno dei creditori che ha proposto l’istanza di fallimento, oppure la circolare del Curatore ex art. 92 l.f.. Come sappiamo, nella circolare che il Curatore invia a tutti i soggetti che risultano creditori in base alle scritture contabili viene indicata la data dell’udienza di verifica dello stato passivo e vi è anche obbligatoriamente l’avvertenza che il termine per proporre le domande tempestive di ammissione al passivo è il termine anticipatorio di trenta giorni prima rispetto alla data dell’udienza di verifica. Si tratta di un termine perentorio: le domande presentate dopo la sua scadenza si considerano tardive, con le correlative conseguenze in caso di intervenuti riparti parziali. Secondo la dottrina (Bruschetta) la legge fallimentare non indica un termine entro il quale il Curatore deve inviare tali avvisi perché essi devono essere inviati con la massima sollecitudine e naturalmente in modo da consentire il rispetto del termine dei trenta giorni. Diligenza del Curatore: occorre che il Curatore agisca con diligenza sia in merito alla tempestività con cui dà la comunicazione che nell’opera di completa individuazione di tutti i creditori.

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Se il Curatore è negligente, nel senso che non individua per propria colpa un creditore, e quindi non lo avvisa, risponderà civilmente dei danni che conseguono al creditore per non essere stato messo in grado di insinuarsi allo stato passivo, per non avere saputo del fallimento, ovvero dei danni che abbia subito per essersi insinuato tardivamente. L’onere di ricerca del Curatore con la nuova legge fallimentare è più oneroso perché, come recita l’art. 92 L.F. “il Curatore deve individuare i creditori “esaminando le scritture contabili e le altre fonti di informazione”; in dottrina si sottolinea la vaghezza dell’espressione (Lo Cascio), ma si indicano tra le fonti di informazione anche, ad esempio, i dipendenti, la contabilità non ufficiale, ecc.. Se il ritardo quindi dipende da una causa non imputabile al creditore il creditore non può essere considerato tardivo e quindi non soggiace al limite per le ripartizioni cui soggiace il creditore intempestivo, cioè anche se ci sono stati dei riparti parziali che hanno pagato pro quota i creditori della sua categoria, egli ha diritto a che tale quota non gli venga sottratta, insomma ha diritto di partecipare al riparto per l’intero. Un altro avviso di cui può essere destinatario il Comune nel cui territorio si trovino immobili acquisiti all’attivo fallimentare è quello introdotto nell’art. 10, d.lgs. 504/1992, dall’art. 1, comma 173, l. 296/2006, che prevede l’obbligo per il curatore entro novanta giorni dalla nomina di dare comunicazione al comune di avvio della procedura. La forma è libera e il termine, non essendo qualificato dalla legge come perentorio, non può essere considerato tale. Individuazione dei soggetti legittimati a proporre la domanda di ammissione al passivo dei crediti tributari. In base a quanto disposto dall’art. 87, comma 2, dpr 602 del 1973 e dall’art. 33del d.lgs. 112/1999 la legittimazione a proporre la domanda di ammissione al passivo del credito d’imposta spetta all’agente della riscossione, il quale agisce per conto dell’ente impositore senza che ciò comporti alcun trasferimento della pretesa. Si tratta di una competenza concorrente con quella dell’ente impositore, che mantiene la facoltà di agire anche in via autonoma essendo titolare del credito (cfr. Cass. Sez. Un. 15 marzo 2012 n. 4126). Prima di esaminare in dettaglio la forma e il contenuto delle domande di ammissione al passivo è opportuno sottolineare che tale fase è regolata da un principio tratto dal processo civile, cioè il principio della domanda. Abbiamo un duplice ordine di conseguenze.

a) Non possono esservi ammissioni al passivo d’ufficio, cioè di iniziativa del Curatore o del Giudice delegato, solo perchè essi abbiano altrimenti notizia dell’esistenza di un determinato creditore;

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b) il Giudice non può andare extra o ultra petita e cioè ammettere un credito per

una somma superiore alla richiesta ovvero considerarlo privilegiato in virtù della sua natura anche se il privilegio non è indicato nella domanda. Tra l’altro è lo stesso art. 93, 4° comma, L.F. che dispone che se è omesso o è assolutamente incerto il requisito dell’indicazione della causa legittima di prelazione il credito è considerato chirografario.

Occorre quindi che il creditore si attivi e nei limiti in cui si attiva il Giudice decide. Forma del ricorso

La legge richiede che l’insinuazione abbia la forma del ricorso: trattandosi di un rito speciale si ritiene che non siano ammessi equipollenti, nel senso che non si applica la regola, vigente ad esempio nel rito del lavoro o locatizio, per cui se un atto anziché con ricorso è proposto con citazione, la quale abbia però tutti i contenuti del ricorso e raggiunga il suo scopo, cioè essendo notificato alla controparte porti a conoscenza della stessa tutti gli elementi essenziali della controversia e quindi la metta in grado di difendersi, il procedimento è validamente instaurato. Non è così nel caso di procedimento di ammissione al passivo: occorre fare attenzione: la forma del ricorso è indefettibile; per cui se non è rispettata la forma del ricorso la domanda è inammissibile.

Il ricorso deve essere sottoscritto e può essere firmato dalla parte personalmente: questo significa, come voi sapete, che non è richiesta l’assistenza tecnica con il ministero del difensore.

La scelta è stata criticata in dottrina, ove si è prospettata la violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di difesa (il diritto di difesa deve essere garantito in ogni stato e grado del procedimento: art. 24 della Costituzione).

In effetti, la fase di verifica del passivo è ampiamente giurisdizionalizzata ed è fortemente caratterizzata dal punto di vista tecnico giuridico, poiché contiene termini di preclusione molto precisi, quanto al contenuto della domanda, alle eccezioni che può sollevare il Curatore (come recita l’art. 95 L.F. il Curatore può eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere all’udienza di discussione dello stato passivo, ad esempio decadenza o prescrizione del diritto) ovvero alle eccezioni che siano rilevabili d’ufficio dal Giudice delegato (ad es. ricorso non sottoscritto).

Si è discusso in dottrina se il termine ultimo per il curatore quanto all’eccepibilità di fatti estintivi, modificativi o estintivi fosse da individuarsi nel deposito in cancelleria del progetto di stato passivo (quindici giorni prima dell’udienza) o potesse ampliarsi fino all’udienza di verifica. In dottrina prevale tale seconda tesi proprio perché è concessa la facoltà al ricorrente di presentare osservazioni scritte e documenti sino all’udienza di esame dello stato passivo (art. 95, 2° comma, l.f.).

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Sappiamo però che se vi sia una contestazione sulla debenza del tributo da parte del curatore sussiste la riserva di giurisdizione delle Commissioni Tributarie, per cui è onere del curatore impugnare tempestivamente l’avviso di accertamento, di liquidazione o il ruolo, ricorrendone i presupposti, attività che non può svolgere in proprio, anche se è commercialista o avvocato, ma necessariamente attraverso un difensore abilitato. Ciò in quanto ai sensi dell’art. 31, u.c., l.f. il curatore non può assumere la carica di difensore delle ragioni del fallimento.

Il ricorso è trasmesso all’indirizzo pec del curatore, unitamente ai documenti

che lo corredano come prove, quindi esclusivamente in via telematica e firmato digitalmente.

Sarà poi il curatore a dovere depositare in cancelleria, unitamente al progetto di stato passivo, tutte le istanza di ammissione al passivo e la relativa documentazione. Contenuto dell’istanza Secondo l’art. 93 L.F. “La domanda di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, si propone con ricorso da depositare presso la cancelleria del Tribunale almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo. Il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente dalla parte e può essere spedito, anche in forma telematica o con altri mezzi di trasmissione purché sia possibile fornire la prova della ricezione. Il ricorso contiene: 1) l'indicazione della procedura cui si intende partecipare e le generalità del creditore; 2) la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o la rivendicazione; 3) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda; 4) l'eventuale indicazione di un titolo di prelazione, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale; 5) l'indicazione del numero di telefax, l'indirizzo di posta elettronica o l'elezione di domicilio in un Comune nel circondario ove ha sede il Tribunale, ai fini delle successive comunicazioni. È facoltà del creditore indicare, quale modalità di notificazione e di comunicazione, la trasmissione per posta elettronica o per telefax ed è onere dello stesso comunicare al Curatore ogni variazione del domicilio o delle predette modalità.

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Il ricorso è inammissibile se è omesso o assolutamente incerto uno dei requisiti di cui ai nn. 1), 2) o 3) del precedente comma. Se è omesso o assolutamente incerto il requisito di cui al n. 4), il credito è considerato chirografario. Se è omessa l'indicazione di cui al n. 5), tutte le comunicazioni successive a quella con la quale il Curatore dà notizia della esecutività dello stato passivo, si effettuano presso la cancelleria. Al ricorso sono allegati i documenti dimostrativi del diritto del creditore ovvero del diritto del terzo che chiede la restituzione o rivendica il bene”.

La norma sul contenuto del ricorso ricalca gli artt. 125, 163 e 414 c.p.c., cioè il tenore delle disposizioni che regolano l’atto di citazione che introduce il rito ordinario di cognizione e il ricorso in materia di lavoro. Esaminiamo ora i singoli requisiti. N. 1) Il ricorso deve innanzitutto contenere l’indicazione della procedura cui si intende partecipare cioè nome cognome, ditta, se si tratta di una ditta individuale, oppure ragione sociale e sede legale se si tratta di una società; occorre inoltre l’indicazione precisa del creditore (e del suo difensore), quando sia stato nominato, perché, come si è detto, tale nomina è facoltativa. N. 2) Deve essere determinata la somma che si intende insinuare al passivo. La necessaria determinatezza della domanda si ripercuote sul regime degli interessi: ciò significa che gli interessi sui debiti di valuta, maturati prima della dichiarazione di fallimento, debbano essere prima di tutto richiesti – ciò in base al principio della domanda di cui si è parlato prima - e anche calcolati nel loro ammontare. Si ritiene che possano (o meglio dire debbano) essere concessi e calcolati di ufficio gli interessi che sui crediti privilegiati maturano nel corso della procedura, e quindi successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art. 55 L.F., così come, ad esempio, maturano gli interessi sui crediti privilegiati dei tributi locali. In presenza di tale deroga legislativa al principio generale della sospensione del decorso degli interessi una volta intervenuto il fallimento, si tratta di un preciso dovere comportamentale degli organi della procedura nel momento in cui predispongono il riparto dell’attivo calcolare gli interessi maturati sul credito tributario, interessi cui si estende la prelazione. Tra l’altro solo il Curatore ha gli elementi per effettuare tale calcolo in quanto gli interessi maturano fino alla data della vendita del singolo cespite (per le garanzie reali, cioè pegno ed ipoteca) ovvero sino al deposito di un piano di riparto che li soddisfi anche solo parzialmente per quanto riguarda i privilegi generali, che sono appunto la garanzia che assiste il credito insistendo sulla totalità dei beni mobili del fallito; i crediti assistiti da privilegio maturano dopo la dichiarazione di fallimento al tasso legale e, come si è detto, sono assistiti dalla medesima causa di prelazione che assiste il credito capitale.

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N. 3) E’necessario indicare i fatti e gli elementi di diritto che costituiscono le ragioni della domanda (causa petendi). Infatti il Giudice è chiamato a decidere, seppure con delibazione sommaria, su di una vera e propria domanda giudiziale che deve essere individuata in tutti i suoi estremi e ciò per consentire un corretto contraddittorio con la potenziale controparte, cioè il Curatore, da un lato, e dall’altro il corretto svolgimento del giudizio di impugnazione nel caso in cui il credito non sia ammesso in tutto o in parte oppure non siano riconosciuti i privilegi richiesti.

Effetti pratici sulle domande del Comune

La domanda di ammissione al passivo del Comune dovrà pertanto indicare l’esatta entità del credito di imposta, l’esatto ammontare degli interessi maturati nel periodo anteriore alla data di dichiarazione del fallimento, il periodo di imposta cui ci si riferisce, il provvedimento impositivo da cui il credito trae origine (avviso di accertamento, avviso di liquidazione). Affinchè la causa petendi, cioè il fondamento giuridico del credito, sia compiutamente illustrata, suggerisco di ripetere nell’istanza di ammissione al passivo le motivazioni che corredano il provvedimento impositivo.

Agli enti che gestiscono direttamente la riscossione oltre ai compensi per l’attività di riscossione e che hanno adottato tale modalità di rimborso nell’ambito della propria potestà regolamentare ex art. 52 d.lgs. 446/1997 prestata spetta anche il rimborso delle spese della procedura di insinuazione al passivo ex art. 17, comma 1, d.lgs. 112/1999, come sostituito dall’art. 9, comma 1, d.lgs. 159/2015.

Appare opportuno il richiamo all’orientamento interpretativo della Corte Cassazione, n. 4861/2010 secondo cui le spese di insinuazione al passivo fallimentare devono essere ammesse al passivo in virtù dell’applicazione estensiva dell’art. 17 cit. che prevede la rimborsabilità delle spese per le esecuzioni individuali potendo la procedura concorsuale fondatamente ritenersi un’esecuzione di carattere generale su tutto il patrimonio del debitore.

Dette spese vanno individuate ai sensi dell’art. 17, comma 6, sulla base di una tabella approvata con decreto del ministero delle finanze in data 21.11.2000.

La domanda di ammissione al passivo può essere modificata fino all’udienza di verifica dello stato passivo: non sono però ammesse domande nuove.

Quindi mettiamo a fuoco la differenza tra modifica e novità. Facciamo un esempio di modifica ammissibile: integrazione della domanda

con il calcolo degli interessi maturati ante fallimento; esempio di domanda nuova non ammissibile: inserimento nella domanda di ammissione al passivo di un’ulteriore somma dovuta in relazione ad un altro provvedimento impositivo.

N. 4) Ora, poiché, come sappiamo, la domanda di ammissione al passivo serve per partecipare al concorso sui beni del debitore, è necessario che sia indicato l’eventuale titolo di prelazione, e cioè la natura del credito da cui deriva il privilegio

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di cui il credito è assistito. Sarà poi il Curatore, in sede di riparto, ad effettuare la graduazione tra i privilegi (prima del correttivo del 2007 la prima riforma della legge fallimentare aveva richiesto anche l’indicazione della graduazione del privilegio, ma questo, ritengo, sia essenzialmente compito del Curatore).

La Cassazione esclude che il ricorrente debba anche indicare esplicitamente la norma di legge che connota il privilegio richiesto; secondo Cass. 7964/2009 “una volta acquisito il fatto da cui trae titolo la prelazione, è obbligo degli organi preposti alla formazione dello stato passivo verificarne la riconducibilità al paradigma della norma di riferimento”.

Secondo la Cassazione quindi sarebbe (e poi spiego perché dico sarebbe) sufficiente che il Comune indichi la natura dell’imposta da cui il credito deriva.

La giurisprudenza del Tribunale di Modena è al contrario molto restrittiva sul punto: di recente, in esito ad una causa di opposizione allo stato passivo, è stato ritenuto non ammissibile in privilegio un credito per il quale, per errore, nell’istanza di ammissione al passivo era stato indicato un privilegio anziché un altro.

Quindi indichiamo sempre con precisione tali norme; tra l’altro non è un caso se nell’ipotesi di cui sopra si è arrivati sino in Cassazione. Evidentemente i giudici di merito (non solo quindi il Tribunale di Modena) erano infatti orientati ad escludere il privilegio non essendo stato indicato - in quel caso si tratta di un professionista - la norma dell’art. 2751 bis n. 2 c.c..

D’altra parte, l’orientamento del Tribunale di Modena è coerente con il disposto dell’art. 93 il cui comma 4° prevede che “se è omesso o assolutamente incerto il requisito di cui al n. 4 (e cioè l’indicazione del privilegio) il credito è considerato chirografario”.

N. 5) L’indirizzo PEC al quale si intendono ricevere tutte le comunicazioni relative

alla procedura ed ogni creditore è onerato della segnalazione di ogni variazione dello stesso al Curatore.

In caso di mancata indicazione dell’indirizzo pec o di mancata consegna all’indirizzo pur indicato tutte le comunicazioni sono fatte dal curatore al creditore in questione mediante deposito in cancelleria (sempre in forma telematica).

Pendente la procedura e nei due anni successivi il Curatore è tenuto a conservare i messaggi pec inviati e ricevuti.

Al ricorso devono essere allegati i documenti dimostrativi del diritto di credito. A tal fine, per i tributi locali, ritengo che sia sufficiente l’atto impositivo, in quanto vi si estrinseca con chiarezza la pretesa tributaria e la si quantifica, anche se non divenuto definitivo.

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Che fare nell’ipotesi di credito di imposta contestato, cioè se il contribuente ha

impugnato l’atto impositivo e il Comune deve al contempo attivarsi per insinuarsi al passivo? Le conseguenze sono diverse a seconda che sia impugnato un avviso di accertamento o di liquidazione, da un lato, ovvero, dall’altro, che sia impugnato il ruolo. Nell’ipotesi di impugnazione del ruolo versiamo in un caso in cui la legge prevede espressamente l’ammissione con riserva (di cui tratteremo nel paragrafo dedicato alla verificazione del passivo fallimentare). Nel caso in cui sia impugnato l’avviso di accertamento o di liquidazione sia la lettera della legge (art. 88 D.P.R. 602/73 che parla solo di ammissione con riserva in presenza di ruolo) che i principi generali sul riparto di giurisdizione vorrebbero che il provvedimento del Giudice delegato non possa che essere di non ammissione, in quanto sui fatti costitutivi, estintivi, modificativi dell’obbligazione tributaria vi è la giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie. La Cassazione si è però pronunciata in senso contrario, e cioè in senso favorevole all’ammissione con riserva anche in questa ipotesi (Cass n. 7485 del 24 agosto 1994, che ha appunto statuito che “i crediti, relativi a tributi per i quali sono insorte contestazioni pendenti innanzi alle Commissioni tributarie, sono ammessi al passivo delle procedure di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 con "riserva" da sciogliersi dopo la decisione della controversia tributaria e in armonia con l'esito di quella decisione. Il giudizio innanzi al Tribunale fallimentare non è sospeso ex art. 295 c.p.c. in attesa della decisione tributaria definitiva”). All’esito del giudizio tributario, se esso sarà favorevole all’ente, potrà essere inoltrata domanda di ammissione tardiva, anche oltre il termine annuale decorrente dall’udienza di verifica dello stato passivo previsto dalla legge, poichè si versa ovviamente nell’ipotesi in cui il ritardo non è imputabile al creditore. Di regola, e per chiarezza espositiva, i documenti vanno depositati unitamente alla domanda di ammissione al passivo che devono corredare dal punto di vista probatorio. Tuttavia, una lettura dell’art. 93 L.F. coordinata con l’art. 95 L.F. ci illustra che i documenti possono anche essere depositati successivamente, fino all’udienza di esame dello stato passivo. In tal caso, il Curatore, che non ha avuto modo di esaminarli, potrebbe chiedere un termine a difesa, tenuto conto dell’onere di tempestivo svolgimento delle eccezioni che gli incombono e che devono essere sollevate a pena di preclusione, come vedremo nel prosieguo, nel corso della udienza

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di verifica. Quanto alla tipologia dei documenti, si osserva che per regola generale è sufficiente la mera fotocopia, non necessariamente autenticata; solo in caso di contestazione sulla conformità all’originale della copia prodotta sarà allora onere del creditore istante esibire, magari in udienza, l’originale (cartaceo) o una copia autentica, secondo quanto stabilito dall’art. 2712 c.c. (“le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”). 2. Domanda di ammissione tempestiva Come abbiamo visto, è tempestiva la domanda presentata entro il termine perentorio di trenta giorni prima rispetto all’udienza di verifica dello stato passivo; se non viene rispettato il termine si decade non già dal diritto di partecipare al concorso ma dal diritto di presentare una insinuazione tempestiva. L’art. 101, 1° comma, L.F. riconosce infatti il diritto di depositare domande tardive entro il termine di dodici mesi dalla data dell’udienza di verifica dello stato passivo, rectius dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, che di solito coincide, ma può non coincidere se sorgano problematiche particolarmente in sede di verifica e sia quindi necessario un rinvio; la legge fallimentare prevede un esame delle domande tardive che via via vengono presentate nel corso dell’anno ogni quattro mesi. La prassi del Tribunale di Modena – aggiungo - è nel senso di esaminare tutte le insinuazioni tardive in un’unica udienza fissata una sola volta decorso il termine massimo dell’anno, a meno che non si tratti di dipendenti che hanno diritto di accesso al fondo di garanzia INPS. La norma in questione è coerente con l’esigenza di rispetto del dovere del Curatore di predisporre e depositare il progetto di stato passivo quindici giorni prima rispetto all’udienza di verifica. La proposizione della insinuazione produce gli effetti della domanda giudiziale: il che significa, dal punto di vista processuale, che non è ammissibile la proposizione della medesima domanda in altra sede; dal punto di vista sostanziale vuol dire che viene impedito il decorso di termini di prescrizione e di decadenza con effetto permanente fino alla chiusura del fallimento. 3. Domanda di ammissione tardiva Sono considerate tardive le domande depositate oltre il termine di trenta giorni dalla data dell’udienza di verifica dello stato passivo; il termine ultimo per il deposito delle tardive è l’anno dalla data dell’esame dello stato passivo. Ogni quattro mesi il Curatore chiede al Giudice di fissare un’udienza per l’esame delle tardive (anche se abbiamo illustrato prima quella che è la prassi del Tribunale di Modena)

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Il procedimento è identico a quello delle tempestive (caratteristiche dell’istanza, regole generali); la novità più rilevante introdotta dalla riforma è quindi l’identità delle regole del procedimento di insinuazione tardiva rispetto al procedimento di insinuazione tempestiva. Prima della riforma occorreva radicare infatti una vera e propria causa, con l’obbligatorio ministero del difensore, mentre ora il procedimento è di gran lunga più snello. Vi è anche un secondo tipo di domande tardive vale a dire presentate oltre il termine di un anno dalla data dell’udienza di verifica dello stato passivo; tali domande sono ammissibili a due condizioni: * se il ritardo deriva da causa non imputabile al creditore; * dal punto di vista temporale, fino a che non siano esaurite le operazioni di ripartizione dell’attivo. Riprendiamo un esempio già fatto. Una causa non imputabile al creditore potrebbe essere, come abbiamo ricordato in precedenza, la pendenza del contenzioso tributario avente ad oggetto un avviso di accertamento o un avviso di liquidazione su cui si fonda il credito dell’ente impositore. La differenza di trattamento giuridico tra i creditori tempestivi e quelli tardivi è che i tardivi possono soddisfarsi sull’attivo secondo quanto dispone l’art. 112 L.F. e cioè possono aspirare solo alle ripartizioni che avranno luogo dopo l’esecutività dello stato passivo supplementare. La regola per la quale il creditore tardivo non può recuperare quanto ripartito (ovviamente pro-quota) ai creditori tempestivi nei riparti parziali precedenti soffre due eccezioni: a) creditori muniti di titolo di prelazione; b) creditori chirografari che si siano insinuati tardivamente per causa a loro non imputabile. Entrambi possono prelevare nei successivi riparti le quote che sarebbero loro spettate nei precedenti riparti, sempre ovviamente nei limiti delle disponibilità residue. Il che significa, naturalmente, per il principio della stabilità dei riparti ora sancito dal nuovo articolo 114 L.F. (i pagamenti eseguiti in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti) che i creditori tardivi non possono mai ripetere dagli altri creditori quanto è stato loro erogato per effetto della mancata insinuazione tempestiva di un concorrente. 5. La verificazione del passivo fallimentare Vediamo cosa si svolge nell’ambito dell’udienza di verificazione dello stato passivo. Abbiamo visto che sino al termine di quindici giorni antecedenti l’udienza fissata per la verifica dello stato passivo il Curatore deve depositare in cancelleria il

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progetto di stato passivo, in cui conclude motivatamente, anche se la motivazione è di regola succinta, proponendo di ammettere o meno ciascun credito. Se il Curatore non rispetta questo termine, il Giudice delegato dovrà rinviare l’udienza di verifica ed eventualmente – tenendo conto del comportamento complessivo del Curatore – avviare un procedimento di revoca nei di lui confronti. Questo perché, come abbiamo visto, al deposito in cancelleria del progetto di stato passivo è correlata la possibilità per i creditori di presentare osservazioni in merito alle conclusioni del Curatore. Consiglio pratico: prendere sempre visione del progetto di stato passivo, che viene trasmesso a tutti i creditori a mezzo pec, ed eventualmente, in caso di non accoglimento totale o parziale delle proprie domande, predisporre conclusioni scritte. La legge consente di depositarle sino all’udienza di verifica, tuttavia consiglio di farle avere al Curatore possibilmente qualche giorno prima dell’udienza, per consentirne una valutazione ponderata, anche perché tale udienza ha caratteristiche di sommarietà e speditezza. Di regola, come abbiamo illustrato parlando della domanda di ammissione al passivo, e per chiarezza espositiva, i documenti vanno depositati unitamente alla domanda di ammissione al passivo che devono corredare dal punto di vista probatorio. Tuttavia, una lettura dell’art. 93 coordinata con l’art. 95 L.F. ci dice che i documenti possono anche essere depositati successivamente, fino all’udienza di esame dello stato passivo. In tal caso, il Curatore, che non ha avuto modo di esaminarli, potrebbe chiedere un termine a difesa, tenuto conto dell’onere di tempestivo svolgimento delle eccezioni (ad es. di decadenza) che gli incombono e che devono essere sollevate a pena di preclusione, come vedremo nel prosieguo, nel corso della udienza di verifica. L’udienza di verifica ha conservato, rispetto a quella ante riforma, la caratteristica della sommarietà, cioè della concentrazione, della speditezza, della mancanza di formalismi (ad es. come si è detto, sia le motivazioni del progetto di stato passivo del Curatore che le motivazioni dei provvedimenti di ammissione al passivo possono/devono essere sintetiche). Quale è la dinamica dei rapporti tra le parti? Quale è il ruolo del Giudice delegato? Manca ogni potere inquisitorio del Giudice, cioè ogni potere di iniziativa autonoma, con un duplice ordine di conseguenze,

- per quanto riguarda la domanda di ammissione del credito; - per quanto riguarda la ricerca delle prove a sostegno del credito.

Ciò significa che il Giudice delegato può disporre atti istruttori solo su richiesta delle parti; come si è detto, nella verificazione del passivo ogni creditore ha l’onere di fornire la prova della sussistenza del proprio credito, non essendo ammessi interventi suppletivi del Giudice delegato in tal senso, cioè interventi in aiuto di una

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parte che non abbia fornito la prove del proprio credito, ovvero che l’abbia fornita in modo incompleto. Anche l’ambito di cognizione del Giudice è determinato dalla domanda di ammissione al passivo: il Giudice non può quindi ampliarne i confini, ad esempio ammettendo al passivo il tributo per un’annualità per cui non sia stata formulata espressa richiesta, ovvero ammettendo al passivo le sanzioni anche se non sono state inserite nella domanda di ammissione, né può rilevare d’ufficio eccezioni. Quindi i provvedimenti che il Giudice delegato può adottare sono i seguenti: a) ammissione, b) diniego di ammissione; c) ammissione parziale; d) ammissione con riserva. 6. L’ammissione al passivo con riserva; rapporti con il contenzioso tributario Effetti dell’ammissione con riserva: diritto all’accantonamento della quota in caso di riparti parziali. Abbiamo considerato il rapporto tra credito di imposta contestato e ammissione al passivo. Che fare nell’ipotesi di credito di imposta contestato, cioè se il contribuente ha impugnato l’atto impositivo e il Comune deve al contempo attivarsi per insinuarsi al passivo? Diverse sono le conseguenze a seconda che sia impugnato un avviso di accertamento o di liquidazione, da un lato, ovvero, dall’altro, che sia impugnato il ruolo. Nell’ipotesi di impugnazione del ruolo siamo in un caso in cui la legge prevede espressamente l’ammissione con riserva. Nel caso in cui sia impugnato avviso di accertamento o di liquidazione sia la lettera della legge (art. 88 D.P.R. 602/73 che parla solo di ammissione con riserva in presenza di ruolo) che i principi generali sul riparto di giurisdizione vorrebbero che il provvedimento del Giudice delegato non possa che essere di non ammissione, in quanto sui fatti costitutivi, estintivi, modificativi dell’obbligazione tributaria vi è la giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie. La Cassazione, tuttavia, si è pronunciata in senso contrario, e cioè in senso favorevole all’ammissione con riserva anche in questa ipotesi (cfr. Cass. 24 agosto 1994, n. 7485) secondo cui “i crediti, relativi a tributi per i quali sono insorte contestazioni pendenti innanzi alle Commissioni tributarie, sono ammessi al passivo delle procedure di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 con "riserva" da sciogliersi dopo la decisione della controversia tributaria e in armonia con l'esito di quella decisione. Il giudizio innanzi al Tribunale fallimentare non è sospeso ex art. 295 c.p.c. in attesa della decisione tributaria definitiva”.. In conclusione: il coordinamento tra il principio generale della concorsualità sancito dall’art. 52 l. fall. e l’amplissima riserva di giurisdizione degli organi di giustizia tributaria è stato risolto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza nel senso che la

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sussistenza di tale giurisdizione preclude al giudice delegato ogni controllo sul titolo fondante la pretesa tributaria. Conclusione. All’esito del giudizio tributario, se esso sarà favorevole all’ente, potrà essere inoltrata domanda di ammissione tardiva, anche oltre il termine annuale decorrente dall’udienza di verifica dello stato passivo previsto dalla legge, poichè si versa ovviamente nell’ipotesi in cui il ritardo non è imputabile al creditore. Abbiamo anticipato cosa accade quando il credito tributario è fondato su di un avviso di accertamento impugnato in commissione tributaria; esaminiamo ora cosa accade nell’ipotesi di credito tributario fondato sul ruolo, che è un caso tipico di ammissione con riserva, prevista dalla legge (art. 88 del D.P.R. 602/73). A questo punto, apriamo una parentesi: gli altri casi di ammissione con riserva sono: - i crediti condizionati, cioè la cui esistenza dipende dal verificarsi di un avvenimento futuro e incerto ; - i crediti per i quali la mancata produzione del titolo, cioè della prova, non dipende da colpa del creditore; - i crediti fondati su sentenza non passata in giudicato; a questo proposito ricordo che possono essere ammessi con riserva i crediti riconosciuti da sentenze tributarie di primo o di secondo grado, anche se non sono passate in giudicato. L’art. 88 D.P.R. 602 del 1973 prevede che “Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia presentata in via tardiva a norma dell'articolo 101 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Nel fallimento, la riserva è sciolta dal Giudice delegato con decreto, su istanza del Curatore o del concessionario, quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al Giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto.”. La regola generale, dettata dall’art. 88 (novellato dal d.lgs. n. 46/1999) è che il ruolo costituisce il titolo in base al quale l’agente della riscossione può chiedere l’ammissione al passivo con riserva. Se in ordine alle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, sia che si tratti di insinuazione tempestiva che di tardiva. Il Giudice delegato scioglie la riserva relativa all’ammissione al passivo quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al Giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto. La norma richiede che sia presentata un’istanza per lo scioglimento della riserva da parte del Curatore o dell’agente della riscossione. Non sono d’accordo con chi ritiene che il Giudice delegato possa sciogliere la riserva anche d’ufficio sia perchè è difficile immaginare che il Giudice delegato pervenga a conoscenza da sé dell’esito del processo tributario, se uno dei contendenti

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non lo informa; inoltre la necessità dell’istanza per lo scioglimento della riserva mi pare più coerente al principio dell’impulso di parte che governa l’intera fase di verifica dello stato passivo. Il decreto che scioglie la riserva è comunicato dal Curatore all’agente della riscossione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento; contro questo decreto, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, l’agente della riscossione può proporre reclamo al Tribunale che decide in camera di consiglio, dopo avere sentito le parti. Quando può verificarsi questa situazione contenziosa? Quando lo scioglimento della riserva, e quindi il conseguente provvedimento di ammissione, sia riduttivo rispetto a quanto statuito, in ordine al credito tributario, dallo stesso Giudice tributario, e ciò avvenga ad esempio per negligenza del Curatore nel fornire i dati nell’ambito dell’istanza di scioglimento della riserva; naturalmente può esservi interesse a proporre reclamo anche in capo al Curatore, in ogni caso in cui il procedimento di ammissione non sia conforme a quanto statuito nel giudizio tributario. L’unico rimedio a disposizione del creditore quando il proprio credito sia ammesso con riserva, pur non ricorrendone i presupposti, è l’opposizione allo stato passivo. 7. L’opposizione allo stato passivo fallimentare Siamo alla fase eventuale di accertamento del passivo, vale a dire alla fase che attiene ai rimedi impugnatori contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Abbiamo tre tipi di impugnazione: quella proposta dal creditore contro l’esclusione totale o parziale del proprio credito; l’impugnazione proposta dal Curatore o dai creditori contro l’ammissione, che si ritiene ingiusta, di altri crediti; la revocazione, che è il rimedio con cui il Curatore o i creditori, una volta che siano decorsi i termini di opposizione ordinaria, possono fare valere sostenendo che l’ammissione di un credito è dovuta a falsità, dolo, o errore, le cui prove non si sono prodotte tempestivamente per cause non imputabili al ricorrente. Per proporre l’opposizione occorre l’assistenza tecnica di un difensore tecnico (avvocato). Legittimato attivo è il creditore il cui credito non sia stato ammesso in tutto o in parte. Trattandosi di un giudizio di impugnazione è legittimato a proporlo il creditore che sia risultato soccombente. L’opposizione radica un nuovo giudizio diretto ad un riesame a cognizione piena delle stesse situazioni soggettive oggetto della domanda di ammissione al passivo. L’opponente assume la veste di attore e il Curatore di convenuto. Può il Curatore nella fase di opposizione sollevare eccezioni che non ha sollevato nella fase di contraddittorio nell’ambito dell’udienza di verifica dello stato passivo? Secondo l’opinione più rigida la risposta è negativa (quindi è esclusa la possibilità di eccepire la decadenza dal potere impositivo

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dell’ente nella fase di opposizione se non è stata sollevata in sede di udienza di verifica). Procedimento. Il ricorso in opposizione deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale fallimentare entro il termine perentorio di 30 giorni che decorre dal momento in cui è pervenuta presso la residenza o il domicilio del creditore la raccomandata con avviso di ricevimento inviata dal Curatore oppure dal momento della ricezione del fax o della comunicazione a mezzo posta elettronica. Il Giudice competente a conoscere delle opposizioni è il Tribunale in composizione collegiale; l’art. 99 della legge fallimentare dispone espressamente che il Giudice delegato – che ha emanato il provvedimento impugnato – non può fare parte del collegio. Tale divieto non sussisteva prima della riforma ed aveva posto annosi interrogativi in merito alla compatibilità con il principio di terzietà del Giudice e con le regole del giusto processo (canoni costituzionalizzati nel nuovo art. 111 Cost.). Dopo il deposito del ricorso, il presidente fissa l’udienza: quindi ricorso e provvedimento di fissazione dell’udienza devono essere notificati a cura del ricorrente. La parte convenuta ha l’onere di costituirsi in giudizio depositando una memoria difensiva almeno dieci giorni prima dell’udienza. Come abbiamo visto è pacifico che la decisione sul merito sia presa dal collegio; tuttavia il presidente può incaricare un singolo Giudice – relatore – di compiere gli atti istruttori. Il Tribunale può assumere a base delle proprie decisioni solamente i documenti che le parti hanno prodotto: non sono ammessi poteri di iniziativa ex officio nella ricerca delle prove: addirittura si è discusso, in passato, se il Giudice relatore dell’opposizione potesse acquisire il fascicolo della insinuazione tempestiva; la risposta, nel passato regime, era positiva, anche se si riteneva non censurabile il Giudice che non lo facesse. Ritengo che anche dalla disciplina attuale sia consentito acquisire documenti (quali ad esempio, come si è detto, il fascicolo dell’insinuazione tempestiva) che comunque già appartengono alla procedura fallimentare. La revocazione dei crediti ammessi è un mezzo di impugnazione c.d. di carattere straordinario, che può essere esperito dopo il decorso del termine per l’impugnazione, in quattro tassativi casi: falsità; dolo; mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti per causa non imputabile alla parte; errore essenziale di fatto. 8. L’opposizione al progetto di riparto Il progetto di ripartizione non è più riferibile esclusivamente al Giudice delegato, che si limita a ordinarne il deposito in cancelleria, ma è atto esclusivo del

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Curatore (tant’è che non occorre nella nuova disciplina, a differenza della disciplina antecedente, il parere dei comitato dei creditori). Nel termine perentorio di quindici giorni da quando i creditori hanno ricevuto la comunicazione di avvenuto deposito del piano di riparto esso è reclamabile con le modalità previste dall’art. 36 L.F., e cioè mediante ricorso al Giudice delegato che decide senza formalità, tranne che quelle necessarie a garantire il rispetto del principio del contraddittorio. Legittimati al reclamo contro il progetto di ripartizione sono tutti i creditori; contraddittori necessari sono il Curatore e i creditori controinteressati, cioè coloro la cui quota di partecipazione al riparto verrebbe diminuita se fosse accolto il reclamo. Le motivazioni del reclamo posso coinvolgere solo motivi di diritto, ma non profili di opportunità, quali ad es. la tempistica dei riparti parziali (che ricordiamo in teoria debbono essere eseguiti ogni quattro mesi secondo la legge fallimentare) o l’entità della somme distribuite in sede di riparto parziale. Per motivi di diritto intendiamo il rispetto dell’ordine dei privilegi, la giusta imputazione delle spese generali da sottrarsi dall’attivo nel suo complesso, mentre le spese specifiche relative, ad esempio, al cespite assoggettato ad ipoteca sono da sottrarsi esclusivamente dal valore del bene immobile. La dottrina che vede nel reclamo contro il piano di riparto un reclamo contro gli atti del Curatore esclude la necessità del patrocinio di un legale, patrocinio che diverrà necessario nella fase davanti al Tribunale. Infatti, la decisione del Giudice delegato è reclamabile avanti il Tribunale fallimentare e dopo questo secondo grado di giudizio il provvedimento del Tribunale fallimentare sarà ricorribile in Cassazione. CONCORDATO PREVENTIVO Gli effetti del concordato preventivo per il debitore Mettiamo a fuoco lo stato giuridico del debitore concordatario e gli effetti del concordato per i creditori L’ Art. 163 l.f. dispone: con decreto del tribunale non soggetto a reclamo viene dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo e nominato il commissario giudiziale; n.b.: gli effetti che descriveremo in realtà non si esplicano a decorrere dal decreto di apertura ma dal deposito del ricorso e questo è un argomento che si trae dalla lettura dell’art. 168 l.f., di cui parleremo in seguito, a proposito del tema dell’esecuzione/riscossione.

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L’art. Art. 167 l.f. dispone: Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale (1). I mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato. Con il decreto previsto dall'articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma (2). Ciò significa che l’imprenditore concordatario conserva l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni nonché la gestione dell’impresa, salve le limitazioni del secondo comma dell’art. 167 cit. connesse alla finalità satisfattoria del concordato, che impone che ogni atto sia funzionale all’attuazione del piano concordatario. Per tale motivo sussistono le limitazioni di cui al 2° comma dell’art. 167 l.f. che colpiscono con l’inefficacia rispetto ai creditori concorsuali gli atti di straordinaria amministrazione (ed altri specifici atti quali ad es. le transazioni) che siano compiuti senza l’autorizzazione del giudice delegato. Quindi il debitore concordatario non perde la capacità giuridica, pur con le limitazioni sopra indicate: ecco perché si parla di “spossessamento attenuato”. Il debitore conserva anche piena capacità processuale per le controversie che concernono la gestione del suo patrimonio e la gestione dell’impresa; sul versante processuale la posizione del debitore quindi non risente degli stessi limiti che incontra sul versante sostanziale e di cui ho parlato prima, a differenza di quanto avviene nel fallimento per il quale è dettata la norma di cui all’art. 43 l.f. Durante le fasi di ammissione, di omologa, di esecuzione del concordato preventivo, anche se avvenga con cessione di beni, la società che vi sia sottoposta conserva la piena capacità processuale avendo il liquidatore e il commissario giudiziale, a differenza del curatore, compiti e prerogative esclusivamente interni alla procedura fallimentare, restando la società rappresentata dagli organi che per legge la rappresentano: pertanto, se nelle more del giudizio di secondo grado, la società che ha vinto il primo grado di giudizio, viene ammessa alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, la notifica dell’appello deve essere fatta non nei confronti del commissario giudiziale, né nei confronti del commissario liquidatore, bensì nei confronti del legale rappresentante della società (Cass. dal 1987). Pertanto, GLI ATTI IMPOSITIVI, GLI APPELLI, VANNO ESCLUSIVAMENTE NOTIFICATI AL LEGALE RAPPRESENTANTE DELLA SOCIETA.

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REGOLE CHE NE TRAIAMO PER IL MODUS OPERANDI DELL’ENTE IMPOSITORE: Nello stesso ordine di idee, il debitore conserva piena capacità capacità giuridica nell’ambito del procedimento di accertamento e di riscossione del tributo, il che significa che deve essere sempre il destinatario degli atti dell’ente impositore. Questa è la regola che vale sempre, in tutte la fasi del concordato preventivo, sia prima dell’omologa, che dopo; il debitore concordatario ed è sempre legittimato ad impugnare gli atti impositivi. (come vedremo infra, nella fase della liquidazione si aggiunge il liquidatore giudiziale). A questo punto per chiarezza schematizziamo la procedura di concordato preventivo: 1 fase: dal deposito del ricorso, cui segue l’apertura del concordato sino all’omologa. In questa fase si svolge l’adunanza dei creditori, l’eventuale approvazione se nel corso dell’adunanza o dei venti giorni successivi la proposta viene approvata dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, e l’eventuale omologa, che avviene sempre con decreto del Tribunale che valuta la regolarità della procedura e l’esito della votazione. In questa fase organi della procedura sono il Giudice delegato e il Commissario Giudiziale. Dopo l’omologa si apre la fase della liquidazione, preordinata al realizzo delle attività e al riparto del ricavato tra i creditori secondo le cause legittime di prelazione, ad opera del Liquidatore Giudiziale che viene nominato nel decreto di omologa. Organi della procedura in questa fase sono il Giudice delegato, il Liquidatore Giudiziale e il Comitato dei creditori. Il concordato con riserva: la ragione dell’istituto è quella di concedere all’imprenditore in crisi il tempo necessario per predisporre proposta e piano, al riparo da azioni esecutive e cautelari, in quanto vi è l’anticipazione della tutela inibitoria ex art. 168 l.f.. L’istituto è regolato dall’art. 161 lf , 6° e 10° comma, che consente all’imprenditore di depositare la domanda di concordato, corredata dei bilanci degli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare al ceto creditorio la proposta e il piano entro un termine fissato dal giudice. Con il decreto con cui viene concesso tale termine vengono posti a carico del debitore degli obblighi informativi periodici e viene nominato il commissario giudiziale. Il concordato con continuità aziendale richiede due presupposti: - che il piano sia esplicito nel prevedere la coninuità dell’esercizio dell’impresa e contenga una specificazione analitica dei costi e dei ricavi; che la relazione del professionista attesti “che la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”.

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Nel concordato preventivo i debiti tributari che sorgono dopo la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono prededucibili; i crediti tributari sorti prima sono concorsuali. Ai crediti tributari prededucibili si applicano le imposte e in caso di inadempimento o ritardo le sanzioni. Tra le figure del Commissario Giudiziale e quella del Liquidatore Giudiziale vi sono differenze di ruolo che si ripercuotono sul corretto modus operandi dell’ente impositore nella procedura di accertamento e di riscossione del tributo. Una breve premessa sulla figura del Commissario Giudiziale. Il Commissario Giudiziale è un organo della procedura cui sono attribuite funzioni composite: vigilanza, informazione, consulenza, impulso; egli non rappresenta il debitore, NE’ RAPPRESENTA I CREDITORI ( a differenza del liquidatore giudiziale che invece agisce come mandatario dei creditori). Ne deriva quindi un’importante differenza con il liquidatore giudiziale e una rilevante conseguenza per i creditori in generale e per il comportamento procedimentale degli enti impositori in particolare: il Commissario Giudiziale non ha mai legittimazione né attiva né passiva per le cause che concernono il patrimonio del debitore; né è legittimato a partecipare ai giudizi per l’accertamento dei crediti, siano essi civilistici siano essi tributari; non ha alcuna legittimazione surrogatoria ad agire in vece del debitore. Egli quindi non è legittimo destinatario degli atti impositivi o di riscossione, né ha la legittimazione processuale ad impugnare gli stessi. Il Commissario Giudiziale non ha alcun obbligo tributario; nell’ambito dei suoi poteri di vigilanza deve però controllare il rispetto di tali adempimenti da parte del debitore concordatario e segnalare gli eventuali inadempimenti al Giudice Delegato. Sul punto della differenza di posizione tra Commissario Giudiziale e Liquidatore Giudiziale è intervenuta Cassazione civile sez. I 13/04/2005, n. 7661, ove si osserva che la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione; per effetto di tale sentenza è da ritenere che venga meno il potere di controllo del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell'ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione, tra le quali non può essere compresa quella concernente il riconoscimento di un compenso per incarico professionale conferito e verosimilmente espletato in una fase ad esse antecedente.

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Sempre seguendo questo ordine di idee Cass. 13340/2009, la quale, anche in riferimento alla fase successiva all’omologa, cioè alla fase della liquidazione, statuisce che: L'avviso di accertamento tributario emesso nei confronti di società ammessa al concordato preventivo con cessione dei beni deve essere notificato al rappresentante legale e non al commissario liquidatore, atteso che il debitore concordatario è l'unico legittimato passivo in ordine alla verifica dei crediti dopo l'omologazione del concordato, sussistendo la legittimazione del liquidatore solo nei giudizi relativi a rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione. Sul versante sostanziale sappiamo tutti che durante la procedura il debitore concordatario rimane soggetto agli obblighi tributari sicchè deve provvedere a tutti gli adempimenti cui è tenuto l’imprenditore in bonis. Ne consegue che, come il debitore è parte in senso sostanziale di tutti gli atti che concernano il suo patrimonio, così lo rimane anche per i rapporti tributari, che pertanto a lui fanno direttamente capo, e sui quali è legittimato processualmente a interloquire. Può esservi però anche una legittimazione del Liquidatore Giudiziale che si aggiunge a quella del debitore concordatario. Tale legittimazione si configura nei giudizi che investono lo scopo liquidatorio della procedura (Cass. 9643/04). Nel caso di cui si occupa la sentenza testè citata il Liquidatore aveva presentato in vece del debitore concordatario la dichiarazione straordinaria INVIM da cui era scaturito l’accertamento: Quindi la legittimazione del liquidatore giudiziale è ulteriore e concorrente con quella del debitore ammesso al concordato (in tal caso c’era anche la legittimazione del liquidatore giudiziale perchè l’accertamento di maggior valore colpiva l’imposta di registro di un atto di vendita messo in atto durante l’attività liquidatoria del concordato), è una legittimazione strumentale per il compimento degli atti propri della liquidazione. Rimane il fatto che l’unico destinatario necessario delle notifiche e l’unico contraddittore necessario è il debitore concordatario. Conclusione: il debitore del tributo è un litisconsorte necessario, nel senso che deve sempre partecipare al processo tributario contro gli atti impositivi. La legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore nei sensi indicati, il quale agisce in una veste come quella di mandatario dei creditori. I principi affermati sono che : a) il liquidatore è legittimato a presentare le dichiarazioni fiscali, laddove tale attività è funzionale al compito di conservazione e liquidazione del patrimonio concordatario e quindi anche nell’inerzia del debitore; b) il liquidatore giudiziale è legittimato a proporre ricorso avverso gli atti impositivi; c) però, il soggetto la cui presenza è imprescindibile è il debitore concordatario, cui vanno perciò notificati gli atti impositivi per consentirgli di partecipare al giudizio.

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I RIFLESSI SULLA RISCOSSIONE COATTIVA DELLE IMPOSTE

La proposizione di una domanda di concordato preventivo determina, ai sensi dell'art. 168, comma 1, l.fall., non già l'estinzione ma l'improseguibilità dei procedimenti esecutivi individuali, che entrano in una situazione di quiescenza perché i beni che ne costituiscono l'oggetto materiale perdono "de iure" e provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata.

Non sono pertanto ammesse azioni esecutive per la riscossione coattiva di imposte/sanzioni aventi titolo anteriore al concordato; il divieto opera non solo fino al momento in cui il decreto di omologa divine definitivo, come potrebbe sembrare dal tenore letterale dell’art 168 l.f., ma sino alla conclusione della procedura di liquidazione dei beni, ciò in virtù di un’interpretazione sistematica, in base alla quale tutti i beni dell’attivo sono funzionali alla realizzazione del piano che, essendo stato approvato, vincola tutti i creditori concorsuali.