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…Tu lavi i piedi a me?

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"SIGNORE, TU LAVI I PIEDI A ME?"

DAVANTI A QUESTO AMORE

Hai disteso le tue braccia anche per me, Gesù,

dal tuo cuore come fonte hai versato pace in me,

cerco ancora il mio peccato ma non c'è.

Tu da sempre vinci il mondo dal tuo trono di dolore.

Dio, mia grazia, mia speranza,

ricco e grande Redentore. Tu Re umile e potente,

risorto per amore, risorgi per la vita.

Vero Agnello senza macchia,

mite e forte Salvatore sei. Tu Re povero e glorioso

risorgi con potenza, davanti a questo amore

la morte fuggirà.

Gesù è Colui che viene a dire a ciascuno di noi «ti amo!» e «sei importante per me»; ma non viene sulle ali della potenza e neppure della gloria. Gesù è Colui che si è svuotato, è Colui che non ha conservato la propria condizione divina che lo rendeva uguale a Dio; ma si è svuotato, è divenuto piccolo, è divenuto un bambino, un uomo crocifisso, rifiutato, è divenuto povero. È vero che ad un certo punto Gesù è diventato potente, ha compiuto grandi miracoli ma temeva sempre che la gente vedesse in Lui il Potente. Allora Gesù diviene piccolo, egli è umile ed è per questo che noi ammiriamo i potenti, ma amiamo i piccoli, il bambino, la persona fragile e debole. Dunque, per me Gesù è Colui che si fa piccolo, è il Dio che diviene piccolo, che si nasconde nel povero, nell'umile, nel debole, nel moribondo, nell'ammalato; poiché tutte queste persone

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che sono particolarmente fragili sono in cerca d'amore e vedo che questo è il mistero di Gesù e che Gesù è amore. Gesù si è inginocchiato davanti ai suoi discepoli, ha lavato i piedi ai suoi discepoli dicendo: «occorre che vi dia un esempio: perché voi facciate quello che io faccio». Dunque, io credo che il mondo attende un salvatore piccolo e umile che venga per dare l'amore.

Dalla lettera di S. Paolo ai Filippesi

Abbiate in voi gli stessi sentimenti

che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina,

non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;

ma spogliò se stesso,

assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;

apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte

e alla morte di croce.

Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome

che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami

che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre

«Venite a me voi tutti che soffrite e siete chini sotto il vostro fardello e io vi darò il mio riposo poiché io sono mite e umile di cuore». Credo che tutto il mistero di Gesù sia contenuto in queste parole «mi chino su di lui come una fonte di misericordia» poiché tutto ciò che lui vuole è amare, dare il suo cuore e tutto quello che Egli

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chiede a noi è di offrire i nostri cuori, è di ricevere, direi, questo mistero dell'amore di Dio, la presenza di Gesù. Dunque, per me Gesù è Colui che è mite ed umile di cuore, che si cela nei poveri e che dice, come si legge nel Libro dei Profeti: «Figlio mio, dammi il tuo cuore». (Jean Vanier)

OFFERTA DEL NOME

….E’ Lui che mi serve…

ESPOSIZIONE DEL SANTISSIMO

IO SONO IL PANE DELLA VITA

Io sono il pane della vita chi viene a me non sentirà più fame chi crede in me non sentirà più sete

RIT. VENITE A ME VOI TUTTI, VOI UMILI ED OPPRESSI

VENITE E IO VI RISTORERÒ VENITE A ME VOI TUTTI, VOI UMILI ED OPPRESSI

VENITE E IO VI RISTORERÒ

Il pane che darò è la mia carne offerta perché abbiate in voi la vita rendete grazie alla bontà di Dio RIT.

Prendete e mangiate il mio corpo perché possiate rimanere in me

sarete un corpo solo uniti a me RIT.

Signore dacci ancora del tuo pane perché restiamo sempre uniti a te la tua presenza ci trasformerà RIT.

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Dal vangelo secondo Giovanni Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Ora Gesù è solo con i suoi, e i suoi siamo noi. I discorsi di commiato sono caratterizzati da un'atmosfera di familiarità e d'intimità. E’ lui e loro, siamo noi e lui……. Gesù è venuto per mostrarci il suo amore. Ora Gesù, dapprima nella lavanda dei piedi, poi nelle parole di addio e infine nella passione e risurrezione, rivela il suo amore ai suoi fino alla perfezione. La lavanda dei piedi, che è come una grande porta che si affaccia sulla storia di dolore, dischiude la storia dell'amore perfetto. Giovanni riassume in una frase l'intero operato di Gesù: «Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». Gesù dimostra ai discepoli questo amore sino alla fine non solo lavando loro i piedi, ma offrendo per loro la sua vita in croce. Questo amore, che era la causa originaria del suo operato e delle parole rivolte agli uomini, caratterizza ora le parole di commiato. Esse sono in ultima analisi il testamento del suo amore. Gesù ci ama incondizionatamente e fino all'estrema conseguenza della morte. L'«ora» su cui Giovanni torna sempre a richiamare l'attenzione è l'ora del più alto compimento dell'amore di Gesù per i suoi. La parola greca télos significa 'scopo, compimento, adempimento'. E télos può significare anche 'nozze'. Nella sua morte in croce Gesù porta a compimento quello sposalizio con l'umanità che all'inizio del suo operato era brillato nelle nozze di Cana. Alla lavanda dei piedi Giovanni dà due interpretazioni, una simbolica e una anagogica. Il significato simbolico della lavanda dei piedi diventa chiaro in queste parole: Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e

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ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo". Gli disse Pietro: "Tu non mi laverai i piedi in eterno!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!". Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete puri". Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.

BROCCA E CATINO

…si alzò… Finché l’amore rimane “seduto”, chiuso in noi, prigioniero della nostra pigrizia e della nostra paura, rimane un bel sentimento che tutt’al più ci tormenta il cuore. L’amore ha bisogno di libertà, ha bisogno di esprimersi, deve uscire dal nostro cuore per comunicarsi con chi ci è prossimo, deve trasformarsi in azione, in cure amorevoli per chi ci è vicino, in carità. …depose… Nel nuovo testamento si parla di vesti e di tuniche. La veste indica un abito esterno; la tunica invece era un indumento che s’indossava sotto la veste; era un abito da casa, da lavoro ed era anche l’unico abito dello schiavo. Le vesti esterne invece rivelavano la funzione, il ruolo, il ceto e la provenienza di chi le indossava. Togliendosi la veste, indossando la sola tunica, Gesù si pone al di fuori di ogni funzione e di ogni stato sociale, si fa universale, si fa piccolo e debole. Fino a quel momento Gesù era apparso forte: aveva fatto grandi miracoli e aveva parlato con autorità agli scribi e

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ai farisei. La gente lo seguiva pensando che avrebbe liberato Israele, che avrebbe ridato loro dignità e scacciato i romani. A testimonianza del suo amore, Gesù invece discende nella piccolezza e nella debolezza: si lascia vincere. Una discesa incominciata con l’incarnazione nel seno di Maria; che continua, in modo visibile per i discepoli, con la lavanda dei piedi; che si concluderà sulla croce, col dono della propria vita. Certo, egli è il Figlio di Dio, è Maestro e Profeta. Possiede autorità e potere, ma non vuole con gli uomini un rapporto Dio/uomo fatto di soggezione e sudditanza da parte degli uomini, vuole manifestarsi come un cuore che vuole incontrare dei cuori, come amico che vuole vivere nel cuore dei propri amici. Togliendosi le vesti Gesù si fa ancora più piccolo, per vincere la nostra paura di Dio, per sostituire in noi l’immagine di un Dio legislatore distante e giudice severo, con quella di un Dio che è Amore, Tenerezza, Provvidenza e Misericordia infinita, un Dio che vuole darsi agli uomini e attirarli tutti a se, che vuole dare agli uomini la dignità di figli. prese… se lo cinse … versò ... cominciò a lavare … ad asciugarli … riprese… La lavanda dei piedi era un gesto che ciascun ebreo faceva per se. Talvolta veniva fatta dai figli o dalla moglie al capofamiglia, per testimoniare grande amore e sottomessa devozione. Nessun ebreo avrebbe mai lavato i piedi ad un altro ebreo. Tale pratica era considerata umiliante, non poteva essere richiesta ad un servo israelita ma soltanto ad uno schiavo non ebreo. Si può quindi immaginare la sorpresa degli apostoli nel vedere Gesù alzarsi e togliersi la veste, prendere acqua e asciugatoio, inginocchiarsi e lavare i loro piedi, nel bel mezzo di una cena solenne. Questa è una descrizione figurata dell'incarnazione di Gesù: egli depone le vesti della sua natura divina e appare con l'asciugatoio come un servitore. Il simbolismo della lavanda dei piedi è visibile

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anche nel dialogo di Gesù con Pietro: Pietro non vuol farsi lavare i piedi perché considera evidentemente l'atto come un gesto da schiavi. Gesù gli risponde: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». La lavanda dei piedi rimanda a un altro evento, in ultima analisi: alla morte di Gesù. È immagine dell'ultimo servizio che Gesù renderà ai discepoli: la sua morte in croce per gli amici. …Signore, tu lavi i piedi a me? …Non mi laverai mai i piedi! …Se non ti laverò, non avrai parte con me… Pietro reagisce ed esprime ciò che, senza dubbio, vi è nel cuore di tutti. La sua protesta è l’amorosa venerazione di chi soffre nel vedere l’amato umiliarsi in quel modo, ma è anche protesta per incomprensione, perché non afferra il significato ed il motivo di quel gesto. Gesù promette a Pietro che più tardi verrà la comprensione, ma in quel momento esige da lui un’obbediente sottomissione: “…Se non ti laverò, non avrai parte con me…”. Se Pietro non si lascia lavare i piedi rinuncia all’amore di Dio, rinuncia alla comunione con Dio, rinuncia così all’appartenenza al Regno e all’eredità. A questo punto Pietro si lascia vincere; si apre a Gesù. Se comprendiamo simbolicamente la lavanda dei piedi, essa descrive allora l'essenza della morte di Gesù sulla croce. Sulla croce Gesù si inchina in basso fino all'estremo verso noi uomini, si inchina fino alla polvere della morte. Sulla croce egli tocca i nostri piedi e li lava. I piedi sono immagine della nostra relazione con il mondo: con essi veniamo a contatto con il mondo e ci sporchiamo. Gesù ci tocca nel punto di contatto con il mondo, per liberarci dal potere di quest'ultimo. I piedi, però, sono anche il punto più vulnerabile: i Greci parlano del tallone d'Achille. L'antica funzione della lavanda dei piedi non era mai solo quella della purificazione, ma sempre anche quella della guarigione. Poiché normalmente non si portavano calzature, nel camminare spesso ci si faceva male ai piedi. Lo schiavo controllava le ferite dei piedi e li frizionava con olio per guarirli. Gesù nella sua morte in croce tocca le nostre ferite. Il punto più vulnerabile per noi è la morte. Il fatto di essere

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mortali, caduchi, passeggeri era per i Greci il più grande scacco per la dignità umana. Nella sua morte in croce Gesù ci guarisce dalla nostra ferita mortale e ci purifica da tutto quel che ci sporca. Con la lavanda dei piedi Giovanni interpreta la morte di Gesù soprattutto come purificazione e guarigione, leggendola come compimento dell'amore. In ultima analisi è l'amore divino che ci purifica, che ci li-bera dall'essere prigionieri del mondo e che guarisce le nostre ferite. …dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Con la sua parola Gesù aveva raggiunto l’insieme del gruppo dei discepoli, ma con la lavanda dei piedi raggiunge ognuno personalmente, entra in comunione con ciascuno di loro, li ama tutti singolarmente. L’acqua lava e purifica. Lavando i piedi dei suoi discepoli Gesù li perdona non “dall’alto”, col potere del Maestro, ma “dal basso”, con la comunione e la tenerezza. Indica loro un’altra via, quella della piccolezza, dell’umiltà e del perdono. Chiede loro di vivere tutta la follia del Vangelo: amare senza misura, essere compassionevoli, non giudicare ma perdonare sempre, giungere fino ad amare il nemico.

LAVANDA DEI PIEDI

O AMORE INEFFABILE

Tu, abisso di carità, pare che sii pazzo delle tue creature.

Chi ti muove a fare tanta misericordia? L'Amore…

RIT. O AMORE INEFFABILE,

DOLCISSIMO GESÙ, O AMOROSO VERBO,

ETERNA DEITÀ, TU SEI FUOCO D'AMORE,

ETERNA VERITÀ, RESURREZIONE NOSTRA, SIGNORE

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Tu sei somma dolcezza nell'amarezza nostra,

splendore nelle tenebre, sapienza nella stoltezza. RIT.

Tu sei Signore, Padre, Tu sei fratello nostro, Tu sei Deità eterna,

purissima bellezza. RIT.

O Amore, amore inestimabile, eterna Deità…

… Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Per coloro che hanno il coraggio di vivere l’insegnamento di Gesù e operano seguendone l’esempio, la gioia e la pace sono premio immediato. Gesù rimanda i discepoli al suo agire. Egli è loro Signore e Maestro. «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». Lavarsi i piedi significa qui più che servirsi semplicemente a vicenda. Come Gesù dobbiamo inchinarci, abbassandoci, sui nostri fratelli, e toccarli lì dove sono sporchi, dove essi stessi non riescono ad accettarsi. Dobbiamo purificarli con il nostro amore. Chi sa di essere amato si sente puro e schietto, smettendo di dilaniarsi con i sensi di colpa. L'amore incondizionato lo libera dalla sua autosvalutazione e dal disprezzo di sé. E dobbiamo toccarci l'un l'altro nelle nostre ferite. Chi tocca la ferita purulenta dell'altro si sporca le mani, ma perché le ferite possano guarire ci vuole uno che tocchi in modo amorevole e affettuoso, uno che unga con l'olio dell'amore. Gesù invita i suoi discepoli a un comportamento nuovo. Egli desidera una comunità di amici che si rendono l'un l'altro, in amicizia, il servizio della lavanda dei piedi. Desidera una comunità di fratelli e sorelle che si amano e accolgono l'un l'altro in modo incondizionato, affinché ciascuno in questa comunità si senta limpido e schietto, affinché ciascuno si sperimenti come dopo un bagno completo: rinfrescato, cosparso di olio, consapevole della propria bellezza, capace di emanare un profumo fragrante.

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Gesù, curvo sul pavimento, deterge entro l’acqua i piedi dei suoi amici.…Si rimane senza parole di fronte a un Dio felice solo di servire e che ci fa scorgere nel servire la fonte della gioia … "Sapendo queste cose sarete beati se le metterete in pratica" … sarete felici!

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".

MI BASTA LA TUA GRAZIA

Quando sono debole,allora sono forte perché tu sei la mia forza.

Quando sono triste è in te che trovo gioia perché tu sei la mia gioia.

Gesù io confido in te. Gesù mi basta la tua grazia.

Rit. Sei la mia forza, la mia salvezza, sei la mia pace, sicuro rifugio.

Nella tua grazia voglio restare, santo Signore sempre con te.

Quando sono povero,allora sono ricco,

perché sei la mia ricchezza. Quando son malato è in te che trovo vita

perché sei guarigione. Gesù io confido in te. Gesù mi basta la tua grazia. Rit.

Quando sono debole allora sono forte perché tu sei la mia forza.

…E’ Lui che mi chiama amico…

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Dal vangelo secondo Giovanni Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

La parola di Gesù ha fatto uscire dai discepoli tutto quanto vi è di impuro, li ha portati a contatto con il vero centro della loro anima: «Va bene come sei. Tu sei puro, sei stato creato buono da Dio. Bontà e purezza sono più forti di tutti i peccati. Se ti apri al mio amore, tutto in te è puro e tutto ciò che è disonesto viene purificato e trasformato».

Come il tralcio trae linfa dalla vite, così ci attraversa l'amore di Gesù manifestatosi nella sua morte in croce. Ed è un rimanere reciproco. Noi dobbiamo rimanere in Gesù: allora egli resta in noi e ci pervade del suo amore. E quest'amore ci fa portare frutto. Il vero frutto non consiste in grandi prestazioni esteriori, ma nell'amore che emana ora da noi. Gesù adesso spiega apertamente in cosa consiste il rimanere in lui: «Rimanete nel mio amore!».L'amore è come uno spazio in cui entrare e abitare, è come una fonte cui stare aggrappati, similmente al tralcio che è innestato alla vite e da essa riceve forza. Gesù interpreta il suo amore come amore tra amici. Non è un amore dall'alto verso il basso, ma un amore che vede l'altro come uno che ha lo stesso valore, un amore tra amici. E il culmine di questo amore amicale è la morte di Gesù per noi, suoi amici: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». L'amore per gli amici, per i Greci come per gli Ebrei, è

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un bene sommo e rappresenta la realizzazione del loro desiderio più profondo. Gesù chiama i suoi discepoli 'amici'. Non sono più servi ignari di quello che fa il padrone, servi che non hanno accesso al cuore del loro signore. Il servo non comprende il suo signore egli è all'oscuro e perciò ha continuamente paura. Con questa immagine di amicizia Giovanni descrive il mistero della nuova relazione di Dio con noi uomini, così come ha preso forma attraverso la realtà di Gesù Cristo. L'amore amicale è un puro dono. Esso non produce in noi una cattiva coscienza, un obbligo tale per cui dobbiamo ricambiarlo. Esso, semplicemente, esiste. Se siamo diventati amici, allora è da sé, spontaneamente, che l'amore scorra in noi. Nell'immagine dell'amico Gesù ci ha spalancato il suo cuore, ci ha rivelato tutto quello che ha udito dal Padre suo. Nella morte, Gesù, in qualità di nostro amico, ci viene particolarmente vicino: lì viene suggellata per sempre la nostra amicizia, lì possiamo sperimentare quanto siamo importanti per Gesù - così importanti che egli dà la vita per noi. ….Chinandosi sul petto di Gesù… Mi sono chiesto più volte che cosa significava questo discepolo che Gesù "amava di più". Per entrare in Giovanni ci vuole un desiderio incredibile! Io ho trovato soddisfacente questa risposta: l'errore di fondo, che non mi faceva vedere per tutti questi anni, è che per capire questo amore maggiore per Giovanni da parte di Gesù bisognava non guardare a Gesù ma a Giovanni e ho capito cos'è questo amore maggiore: Giovanni è colui che ha corrisposto all'amore di Cristo: questa è la risposta! E' l'unico che fin dall'inizio ha deciso di amarlo anche quando non lo capiva. Solo a cent'anni forse ha capito, ma quando ne aveva pochi e ha incontrato Gesù il suo cuore ha deciso di amare quel maestro, di amarlo comunque - questa persona così strana, incomprensibile, pericolosa - lui ha deciso di amarlo. Ed è per questo, ed è in questo la differenza: che un amore corrisposto è molto di più di una amore semplicemente donato. Giovanni ha potuto vivere l'amicizia con Cristo e Cristo ha trovato in lui l'amicizia umana, un'esperienza profonda, vera, di amicizia. Nello splendido e tremendo versetto “Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù” troviamo questo Giovanni che si stende sul cuore di Gesù. Esegeticamente non è certo il cuore del Vangelo ma lo è

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nell'esperienza dell'apostolo Giovanni. Giovanni ha potuto aderire con tutta la sua vita al cuore di Cristo, un dono riservato a lui, ma certo non solo in quel momento. Penso che lo facesse d'abitudine, quando non capiva questo maestro, quando non capiva il suo comportamento, quando soprattutto lo sentiva distante, perché Gesù continuava ad essere colui che è altro. Quando lo sentiva impossibile da possedere, da trattenere quando lo sentiva amore, ma un amore che ribaltava, che rimandava ad altro, un amore che faceva esplodere fuori, che non teneva lì, che non diceva questo è il Paradiso e facciamo tre tende, fermiamoci qui. Ma quando capiva che colui che gli era accanto era il Cielo e che quindi la sua amicizia, il suo tentativo di comunione, era continuamente messo a rischio, messo in forse proprio da questo, dalla stessa persona di Cristo, cosa faceva Giovanni? Quando viveva tutto questo e non capiva e soffriva e gemeva e non sapeva più che cosa inventare per il Suo Maestro, sicuramente, cosa faceva? Si sdraiava sul cuore, raggiungeva Gesù in questo suo amore. E' questo che faceva. Aveva, come ogni amico, scoperto che c'è una via unica dove risolvere tutto e arrivare a Gesù che è questo cuore aperto, diventare la vittima di questo amore, il cuore che non avrebbe mai respinto nessuno. Ed è per questo che Giovanni non ha lasciato Gesù a differenza degli altri apostoli e discepoli. Se Giovanni è presente nei momenti più importanti è perché c'era sempre. Non è come Pietro o Giacomo o Andrea, che erano chiamati a vivere i momenti solenni e ufficiali. Lui c'era sempre, era sempre col suo Signore e non pensava di scappare, perché sceglieva sempre questo sentiero d'amore, sempre percorribile, sempre, anche sotto la croce. Gli altri per rimanere avevano bisogno di capire, a lui bastava amare e lo sceglieva continuamente. Ed è per questo, io credo, che Gesù ha affidato sua madre a lui: perché parlavano lo stesso linguaggio…

don Achille Tronconi Momenti di comunione I momenti di comunione sono attimi di pienezza, momenti di silenzio e di riposo che possono diventare preghiera. Sono momenti di guarigione interiore che due persone si donano reciprocamente. Questo avviene anche fra amici, quando, dopo aver parlato a lungo,

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c'è una sorta di momento magico di comunione in cui si sente che si sta bene insieme. Sui due amici scende un silenzio che nessuno dei due ha voglia di infrangere. Questo momento di pace, di amicizia, di comunione, diventa un momento in cui si è insieme nell'umiltà e nel dono di sé. E' un istante di eternità in un mondo in cui si intrecciano l'azione, il rumore, l'aggressività, il bisogno individuale di affermarsi e la ricerca dell'efficacia. Due cuori battono all'unisono, dando libertà l'uno all'altro. Due persone sono presenti l'uno all'altra. E come se il tempo si fermasse. Tuttavia, l'uno non può bastare all'altro. L'altro non è Dio; non può colmare totalmente il cuore umano. Ma può essere uno strumento di Dio, può rivelare la sua presenza. (Jean Vanier)

CONSEGNA DELL’IMMAGINE

BENEDICAT Benedicat tibi Dominus et custodiat te;

ostendat faciem suam tibi et misereatur tui.

Convertat vultum suum ad te et det tibi pacem.

Dominus benedicat, frater Leo te.

Benedicat, benedicat, benedicat tibi Dominus

et custodiat te. (2v.) … frater Leo, te.

….E’ lui che prega per me …

Dal vangelo secondo Giovanni Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.

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Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.  La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità non è un prodotto mondano. L'unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù - che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell'efficacia della missione cristiana nel mondo. «Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l'istituzione della Chiesa ... Proprio qui, nell'atto dell'ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. E questa preghiera non è soltanto parola: è l'atto in cui egli «consacra» se stesso e cioè «si sacrifica» per la vita del mondo. Gesù prega perché i suoi discepoli siano una cosa sola. In forza di tale unità, ricevuta e custodita, la Chiesa può camminare «nel mondo» senza essere «del mondo» e vivere la missione affidatale perché il mondo creda nel Figlio e nel Padre che lo ha mandato. La Chiesa diventa allora il luogo in cui continua la missione stessa di Cristo: condurre il «mondo» fuori dall’alienazione dell’uomo da Dio e da se stesso, fuori dal peccato, affinché ritorni ad essere il mondo di Dio.

Dall’udienza generale di Papa Benedetto XVI di mercoledì 25 gennaio 2012

Gesù Cristo prega per noi, prega in noi, è pregato da noi   Dio  non  poteva  elargire  agli  uomini  un  dono  più  grande  di  questo: costituire  loro  capo  lo  stesso  suo  Verbo,  per  mezzo  del  quale  creò l'universo. Ci unì a  lui come membra,  in modo che egli  fosse Figlio di Dio e figlio dell'uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con 

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gli  uomini.  Di  conseguenza,  quando  rivolgiamo  a  Dio  la  nostra preghiera,  non  dobbiamo  separare  da  lui  il  Figlio,  e  quando  prega  il corpo del Figlio, esso non deve considerarsi come staccato dal capo. In tal modo la stessa persona, cioè l'unico Salvatore del corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo, quindi, sia le nostre voci in lui, come pure la sua voce in noi. E quando, specialmente nelle profezie, troviamo qualche cosa che suona umiliazione, nei riguardi del Signore Gesù Cristo, e perciò non ci sembra degna di Dio, non dobbiamo temere di attribuirla a lui, che non ha esitato a unirsi a noi, pur essendo il padrone di tutta la creazione, perché per mezzo di lui sono state fatte tutte le creature. Perciò  noi  guardiamo  alla  sua  grandezza  divina  quando  sentiamo proclamare:  «In principio  era  il  Verbo,  e  il  Verbo  era presso Dio  e  il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato  fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto» (Gv 1, 1‐ 3). In questo passo  ci  è  dato  di  contemplare  la  divinità  del  Figlio  di  Dio,  tanto eccelsa e sublime da sorpassare ogni più nobile creatura. In altri passi della Scrittura, invece, sentiamo che egli geme, prega, dà lode a Dio. Ebbene ci è difficile attribuire a lui queste parole. La nostra mente  stenta  a  discendere  immediatamente  dalla  contemplazione della  sua  divinità  al  suo  stato  di  profondo  abbassamento.  Temiamo quasi di offendere Cristo,  se  riferiamo alla  sua umanità  le parole che egli dice. Prima rivolgevamo a lui la nostra supplica, pregandolo come Dio.  Rimaniamo  perciò  perplessi  davanti  a  quelle  espressioni  e  ci verrebbe  di  cambiarle. Ma  nella  Scrittura  non  si  incontra  se  non  ciò che gli si addice e che non permette di falsare la sua identità. Si  desti  dunque  il  nostro  animo  e  resti  saldo  nella  sua  fede.  Tenga presente  che  colui  che  poco  prima  contemplava  nella  sua  natura  di Dio,  ha  assunto  la  natura  di  servo.  E'  divenuto  simile  agli  uomini,  e «apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 7‐8). Inoltre ha voluto far sue, mentre pendeva dalla croce,  le  parole  del  salmo:  «Dio  mio,  Dio  mio,  perché  mi  hai abbandonato?» (Sal 21, 1). E' pregato dunque per la sua natura divina, prega  nella  natura  di  servo.  Troviamo  là  il  creatore,  qui  colui  che  è 

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creato. Lui immutato assume la creatura, che doveva essere mutata, e fa di noi con sé medesimo un solo uomo: capo e corpo.  Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi. 

Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino 

SCAMBIO DEL BIGLIETTINO CON IL NOME

Dio vuole irrompere nella nostra vita

Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro,

sceglie una creatura umana come suo strumento e compie meraviglie lì dove uno meno se le aspetta.

Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante,

ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono ‘perduto’, lì Egli dice ‘salvato’;

dove gli uomini dicono ‘no!’, lì Egli dice ‘sì’! Dove gli uomini distolgono con indifferenza

o altezzosamente il loro sguardo, lì Egli posa il Suo sguardo pieno di un amore

ardente incomparabile. Dove nella nostra vita siamo finiti

in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio,

dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi,

dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, lì Egli vuole irrompere nella nostra vita,

lì ci fa sentire il Suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del Suo amore,

della Sua vicinanza e della Sua Grazia.

Dietrich Bonhoeffer

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Un pensiero….Ognuno di noi ha ricevuto un bigliettino con su scritto un nome…è la consegna di un amico, di un fratello, che ci viene fatta da Dio…Ognuno di noi ha il compito di pregare per lui, di custodirlo nel cuore alla presenza del Padre… Vorrei provare a mettere nero su bianco una condivisione, da portare nella preghiera comune in questo tempo quaresimale….Mi sembra che oggi il cristiano non sia tanto colui che vive l'esperienza della relazione con Dio nella sua vita quotidiana quanto colui che crede ad un insieme di verità (fossero anche buone tipo: Dio ti ama, è bello servire ed avere dei fratelli da servire, ecc). Magari ha anche capito che gli altri sono fratelli e fra questi, per un inspiegabile motivo d’amore, qualcuno diventa suo vero amico. Il problema che ‘relazione’ è un termine vago perché in fondo tutto è relazione. Qui l’accento è su ‘amico’. Se l’uomo crede solo a delle verità (buone, per carità) e non vive la relazione di amicizia con il Signore, che è una presenza viva e vera, rischia di perdere di vista l’essenziale. Se non c’è questa ‘relazione’ particolare il rischio è che ci si fermi a un pio esercizio di regole, ad un’applicazione morale, anche nel vivere gli affetti più cari… Gesù veramente è stato uomo. Se ami una persona cerchi di costruire una relazione tangibile con questa e non ti limiti a guardarla da lontano o a dire che le vuoi bene (esempio forse poco calzante…). Se sei amico di qualcuno sei amico e basta, non pensi sempre e solo a come ‘sdebitarti con lui’. Quello casomai è un contratto.

Quindi forse sarebbe importante rivalutare e vivere l’amicizia con Dio e con gli uomini non limitandoci ad imitare – che per lo più è scimmiottare- il Signore. L’amicizia è fatta di ascolto, servizio, è un “esserci”, starci, raggiungere e farsi raggiungere. È una presenza, reale. Come ha fatto Gesù con i suoi nel Cenacolo. Se accogliamo e viviamo la nostra relazione di amore-amicizia con il Signore come fondante la nostra vita allora comprendiamo perché Gesù i discepoli non li chiama più servi ma amici. È importante farsi toccare da questa amicizia, entrarci dentro, farsi plasmare, e talvolta anche cambiare. Secondo me il discepolato, da quel momento in poi, non è più mettere i piedi nelle orme di chi amo ma camminare accanto a lui….

In fondo… Che caratteristiche ha un amico vero? L'amico è colui che condivide la nostra vita e noi la sua. E’ vicino nella gioia ma anche nei momenti di buio e di difficoltà. Ci sprona a fare del nostro meglio ed è talvolta disposto a donare la vita per noi. Questa caratteristica è particolarmente richiamata da Gesù: "Non c'è amore più grande di questo:

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dare la vita per i propri amici". E Gesù è proprio così, l'amico vero che dà la vita. E' profondamente addolorato per la morte di Lazzaro, si commuove, piange ed è affranto, urla, sbuffa ma non si arrende alla tristezza ed esorta a continuare a credere nell'amicizia e nella vita. È l'amico vero che, quando è necessario, rimprovera perché ama così tanto chi gli è amico da non poter permettere che le "pietre" che ostacolano il cammino diventino un blocco al profondo desiderio di vita vera.

Riscopriamo il nostro ruolo di amici del Signore guardando come Lui è amico degli uomini, come ne ha bisogno, come li serve, come li cerca per stare con loro e così le nostre amicizie acquisteranno un sapore diverso…

D’altronde è Lui per primo che ci viene a cercare. Ma siamo noi che abbiamo bisogno di Lui…

…lungo la notte, ho cercato l'amore dell'anima mia; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città

per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amore dell'anima mia.

L'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:

«Avete visto l'amore dell'anima mia?». Da poco le avevo oltrepassate,

quando trovai l'amore dell'anima mia. Lo strinsi forte e non lo lascerò…

Dal Cantico dei Cantici

REPOSIZIONE DEL SANTISSIMO

E Ti Vengo A Cercare Franco Battiato

E ti vengo a cercare

anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio

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la mia essenza Questo sentimento popolare

nasce da meccaniche divine

un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te

Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri

non accontentarmi di piccole gioie quotidiane

fare come un eremita che rinuncia a sé

E ti vengo a cercare con la scusa

di doverti parlare perché mi piace

ciò che pensi e che dici perché in te vedo le mie radici

Questo secolo oramai alla fine

saturo di parassiti senza dignità mi spinge solo ad essere migliore

con più volontà Emanciparmi dall'incubo delle passioni

cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male

essere un'immagine divina di questa realtà

E ti vengo a cercare perché sto bene con te

perché ho bisogno della tua presenza

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BETANIA: il servizio,la preghiera,

l’amicizia lamicizia.

Esercizi Spirituali quaresima 2012Parrocchia S. Ippolito Martire