TRIUMPH TIGER 1200 XC E XR 2018: DOTAZIONE ELETTRONICA … · una dotazione tecnica ed elettronica...

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NUMERO 318 9 gennaio 2018 N.113 PAGINE PROVA: VESPA SEI GIORNI Un'edizione speciale, numerata ma non limitata, che omaggia le Vespa che nel 1951 trionfarono alla Sei Giorni di Varese. L'abbiamo provata sullo stesso percorso di allora DAKAR 2018: CI SIAMO! Fine dei preamboli, partiti: 200 moto, 100 auto, 40 Camion. 9mila km di Deserti e paradisi sudamericani, 14 tappe. Sunderland già al comando NICO CEREGHINI: "BIAGGI, CAPIREX E SEMBRA IERI" La stagione 1998: Loris campione della 250 col botto, Max fermato a Barcellona… Vent’anni dopo, è bello tornarci sopra TRIUMPH TIGER 1200 XC E XR 2018: DOTAZIONE ELETTRONICA SUPER Pagine 2-13 News: Ducati 916, 25 anni e non sentirli. L'Avventura, la maxi enduro estrema di Walt Siegl | Mercato 2017, le vendite chiudono a +5,1% | Progetto giovani: il veicolo per l'ultimo miglio di BMW e IED | M. Clarke: La fine di un ciclo motoristico | Restaurando: Benelli Export 3V | Dakar: le prime tappe dell'edizione 2018 | MotoGP: I dieci Oscar del 2017 | MXGP: chi corre quest'anno | SX USA: Round 1 - Anaheim

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NUMERO 3189 gennaio 2018N.113 PAGINE

PROVA: VESPA SEI GIORNIUn'edizione speciale, numerata ma non limitata, che omaggia le Vespa che nel 1951 trionfarono alla Sei Giorni di Varese. L'abbiamo provata sullo stesso percorso di allora

DAKAR 2018: CI SIAMO!Fine dei preamboli, partiti: 200 moto, 100 auto, 40 Camion. 9mila km di Deserti e paradisi sudamericani, 14 tappe. Sunderland già al comando

NICO CEREGHINI: "BIAGGI, CAPIREX E SEMBRA IERI"La stagione 1998: Loris campione della 250 col botto, Max fermato a Barcellona… Vent’anni dopo, è bello tornarci sopra

TRIUMPH TIGER 1200 XC E XR 2018: DOTAZIONE ELETTRONICA SUPERPagine 2-13

News: Ducati 916, 25 anni e non sentirli. L'Avventura, la maxi enduro estrema di Walt Siegl | Mercato 2017, le vendite chiudono a +5,1% | Progetto giovani: il veicolo per l'ultimo miglio di BMW e IED | M. Clarke: La fine di un ciclo motoristico | Restaurando: Benelli Export 3V | Dakar: le prime tappe dell'edizione 2018 | MotoGP: I dieci Oscar del 2017 | MXGP: chi corre quest'anno | SX USA: Round 1 - Anaheim

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Moto.it Magazine N. 318 Prove

TRIUMPH TIGER 1200 XC E XR 2018: DOTAZIONE ELETTRONICA SUPER

di Andrea Perfetti

LA MAXI ENDURO INGLESE CONFERMA IL SUO CARATTERE DA VIAGGIATRICE COMODA E VELOCISSIMA (ANCHE IN OFFROAD) E RICEVE

UNA NUOVA DOTE ELETTRONICA ANCORA PIÙ RICCA. VIAGGIA FORTE, NON STANCA E STUPISCE IN FUORISTRADA CON

SOSPENSIONI SEMI-ATTIVE ECCELLENTI. NELLO STRETTO SI AVVERTE ANCORA IL PESO ELEVATO

La Casa di Hinckley affi-na l'estetica del modello aggiornato nel 2016 e allo stesso tempo introduce maggiori contenuti tecnici, inoltre l'ammiraglia ma-

xienduro di 1215 cc perde il nome Explo-

L rer e viene rivista in oltre cento particola-ri. Triumph continua a presentare la Tiger 1200 sdoppiandola nelle famiglie XR con cerchi in lega e XC con cerchi a raggi e più incline al fuoristrada, per un totale di cin-que modelli (sei, se consideriamo la XRx low seat con seduta 20 mm più in basso).

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Comprendono allestimenti via via più com-pleti partendo dalla entry level XR, passan-do per la XRx e giungendo fino alla XRT equipaggiata come una grantourer di lusso. Le versioni a ruote artigliate si declinano in XC e XCa, quest'ultima dotata dell'allesti-mento top. Per tutte è previsto un rispar-mio di peso variabile, a seconda delle ver-sioni, da 2 a 11 kg, che viene in soccorso di quello che era forse il maggior limite della versione precedente della Tiger 1200: la massa importante, che si faceva sentire so-pratutto in offroad o a bassissima velocità.Le novità hanno interessato anche il pro-pulsore tricilindrico di 1215 cc, potenziato fino a erogare 141 cavalli (due in più ri-spetto al 2017), assistito da un cambio do-tato del Triumph Shift Assist e silenziato dal nuovo impianto di scarico. Gli intervalli di manutenzione sono fissati ogni 16.000 chilometri. Il telaio vede crescere di po-chissimo l'inclinazione del cannotto di ster-zo (23.2° invece di 23.1°), di conseguenza varia l'avancorsa, ora di 99.9 mm; queste modifiche, assieme alla nuova sella e alla posizione del manubrio rivista (arretrato di

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2 cm), dovrebbero garantire un maggiore controllo e un miglior comfort sulle lunghe distanze, anche se non ci ricordiamo della vecchia Tiger come di una moto scomoda o nervosa. Immutata l'accoppiata 19 pollici anteriore e 17 posteriore per le ruote, in entrambe le versioni XR e XC (i cerchi a raggi di questa sono sempre tubeless). Gli pneumatici sono i Metzeler Tourance Next sviluppati apposta per lei.Aggiornato anche il reparto elettronico. Viene introdotta, con esclusione della XR, l'accensione keyless, nuovi riding mode (fino a sei, con la modalità Off Road Pro disponibile per le XC) e il cruise control

viene totalmente rivisto, mentre l'adozione dei fari cornering fa il paio con l'introdu-zione di blocchetti elettrici retroilluminati, il tutto gestito dalla nuova strumentazione TFT full color da 5". Sempre ampia, come tradizione Triumph, sia la possibilità di per-sonalizzazione del mezzo (dal trio di valigie posteriori, alle protezioni aggiuntive, fino alla sella e manopole riscaldate), sia la di-sponibilità di abbigliamento dedicato.I prezzi partono da 15.800 euro per la XR e arrivano su fino ai 21.050 della XCa (vi rimandiamo ai listini di Moto.it per cono-scere tutte le versioni). Le moto saranno disponibili in Italia da dicembre 2017.

COME SI COMPORTA SU STRADA E IN FUORISTRADADa quanto ci siamo divertiti, vorremmo iniziare il racconto della guida dalla parte offroad, ma sappiamo che i più si godranno la Tigerona su strada. E quindi partiamo dall’asfalto. Bene, Triumph ha cambiato oltre cento compo-nenti, ma non aspettatevi un’altra moto rispetto alla Tiger Explorer 1200 che ab-biamo provato nel 2015. Andava benone lei e va circa nello stesso modo anche la moto oggetto della nostra prova. Diciamo che si è adeguata ai tempi e ora sfoggia una dotazione tecnica ed elettronica di as-soluto rilievo. È più leggera (da 2 a 10 kg circa, a seconda delle versioni), ma questo è praticamente inavvertibile alla guida. C’è meno massa volanica e il motore ha due cavalli in più e una minore inerzia. Ma

ci verrebbe il naso ancora più lungo, se vi dicessimo che questo influenza in modo rilevante la risposta – peraltro già ottima –del triple britannico.Si nota invece il manubrio più vicino di 20 mm. Su strada la Tiger 1200 non è como-da, di più. La sella è moderatamente alta (da 835 a 855 mm), ma è stretta tra le gambe. Non ci sono vibrazioni e la pro-tezione dall’aria del parabrezza elettrico è favolosa. Abbiamo beccato la neve, la pioggia, temperature sotto zero, eppure ci siamo divertiti. Roba da matti, raramente ci era successa una cosa del genere. on la Tiger viaggi in prima classe. A questo aggiungete che la versione top della se-rie XC ha pure la sella riscaldata (oltre alle manopole). Risultato? Siamo arrivati a destinazione riposati e asciutti nonostante il meteo tremendo. Non possiamo dirvi se il motore scalda,

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quando fuori fa caldo. Ma in passato non abbiamo mai rilevato un calore superiore alle concorrenti di questo segmento.Anche il passeggero è ospitato come un re, ha pedane basse e un bel maniglione. La nuova strumentazione TFT da 5” ha carat-teri grandi e si legge in modo chiaro in ogni condizione. Inoltre cambia tema a secon-da del riding mode impostato. Tra l’altro i nuovi blocchetti sono semplici da usare anche coi guanti invernali.Passiamo ora al motorone della Tiger 1200. Come in passato sulle prime ti inganna. Nasconde a meraviglia i suoi cavalli (141, mica pochi). È talmente dolce e pastoso a ogni regime da sembrare sornione. Poi ti cade l’occhio sul tachimetro e capi-sci che razza di bombardone hai sotto le chiappe. Viaggia in sesta con un filo di gas a 1.500 giri, è pieno ai medi e sportivo ap-pena la lancetta del contagiri sfiora i 6.000 giri. Il tre di 1.215 cc è un gran bel pezzo di meccanica, meraviglioso nella guida tu-ristica anche in coppia. Andrete veloci (molto veloci) senza dare inutili scossoni al passeggero a ogni richia-mo del gas. Inoltre la trasmissione finale a cardano ha un funzionamento semplice-mente perfetto.La Tiger ha il comando dell’acceleratore con ride by wire e dispone di 5 mappe: standard, sport, pioggia, enduro e enduro pro. Quando se ne seleziona una, la cen-tralina in automatico setta la taratura del-le sospensioni semi attive TSAS (salva la possibilità comunque di personalizzare in modo indipendente motore e ammortizza-tori). Su strada abbiamo apprezzato molto la standard, non c’è infatti alcun effetto chiudi-apri e la gestione della potenza non è filtrata dall’elettronica in modo artificio-so. Il cambio è morbido e preciso, servi-to da un’assistenza elettronica molto ben tarata. A 130 km/h il motore gira a circa 5.000 giri (ce ne sono altri 5.000 a di-sposizione!). Diamo i pieni voti anche alla frenata Brembo (dotata di cornering abs), potente ma anche molto modulabile.

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Il consumo medio del test è stato pari a 6,6 l/100 km (contro i 5,2 dichiarati dal costrut-tore), è un risultato soddisfacente se pensia-mo ai tratti offroad fatti col motore spesso in zona rossa.Passiamo ora alle doti del telaio. La Tiger si conferma una moto molto sta-bile e dotata di una ciclistica neutra. Il suo terreno sono le curve medio veloci, dove è semplicemente irreprensibile. Anche sullo stretto se la cava, ma qui emer-ge il peso elevato (da 242 a 248 kg a secco a seconda delle versioni) che, unito al bari-centro alto, limita l’agilità. Non che la Tigre sia impacciata, sia chia-ro, però nelle svolte più strette richiede una guida muscolare. Ha un comportamento si-mile alle altre endurone big, come Honda Crosstourer e Yamaha Super Tenere. Un cenno a parte lo dedichiamo alle so-spensioni WP. Per scorrevolezza e logica di intervento dell’elettronica sono sicuramente

tra le migliori del panorama maxi enduro.Le abbiamo amate alla follia nel tratto in fuoristrada. Qui sono le best in class, come piace dire agli inglesi. Riescono a masche-rare il peso notevole della Triumph e san-no digerire buche, ostacoli e persino i salti. Impossibile chiedere di più. Anche il tre cilindri fa la sua sporca figura, perché l’erogazione elettrica e la risposta immediata al richiamo del gas permettono alla 1200 di digerire senza battere ciclio anche i tratti impestati dalla sabbia. La mappa enduro pro è davvero perfetta: zero controlli di trazione, ABS solo davanti e sospensioni morbide consentono l’im-pensabile. Si macinano chilometri e si fa strada. Ma occhio a non cadere: la moto è robusta e non si fa nulla, ma sollevar-la è roba da macho macho man. Nel test offroad abbiamo utilizzato le ottime Pirelli Scorpion Rally, montate sui cerchi a raggi della XCa.

TRIUMPH TIGER 1200 MY 2018DA 15.800 EURO

PESO A SECCO 242 Kg CILINDRATA 1215 ccTEMPI 4CILINDRI 3RAFFREDDAMENTO a liquidoAVVIAMENTO elettricoALIMENTAZIONE iniezioneFRIZIONE multidiscoPOTENZA 139 cv - 9950 giri/minCOPPIA 12 Kgm - 7600 giri/minEMISSIONI Euro 4CAPACITÀ SERBATOIO 20 Lt ABS SìPNEUMATICO ANTERIORE 120/90 R19PNEUMATICO POSTERIORE 170/60 R17

ABBIGLIAMENTOCasco X-lite 551 GTGiacca Rev’It! Sand 3Pantalone Rev’It! Sand 3Guanto Rev’It!Stivali Rev’It! Discovery

PIÙ INFORMAZIONILuogo: Almeria (Spagna)Meteo: piogga e neve nel test stradale (0°), sole nel test offroad (6°)Tester: Andrea Perfetti (185 cm, 87 kg)Foto: Kingdom

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VESPA SEI GIORNI

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Sotto sotto è una GTS 300, ma non chiamatela così. Solo... Sei Giorni. Sì, perché questa edizione speciale va ad omaggiare le Vespa Sport Sei Giorni che

nel 1951 conquistarono ben nove medaglie d'oro sulle strade della famosa gara inter-nazionale.La linea è quella moderna, ma sono inne-gabili i tanti e azzeccati richiami al passato come il sempre bellissimo faro basso, sul parafango anteriore, i dettagli cromati, la strumentazione vintage, il piccolo cupolino brunito. Il tutto in una moderna scocca in acciaio impreziosita dai portanumero sullo scudo e sul codone che riportano rigoro-samente il numero Sei, restando fedele ai colori e alla livrea della Squadra Corse di allora. I cerchi e il terminale sono neri, così come la sella "finto monoposto" e i loghi su cerchi e coda sono rossi: piccoli dettagli che ne sottolineano la sportività. Nel retroscudo una targhetta numerata ci ricorda che siamo in sella ad una Special Edition. Il cuore di questa Vespa resta il monocilindrico da 278 cc, quattro tempi, quattro valvole, raffreddato a liquido e ov-viamente ora Euro 4.I cavalli sono 21, a 7.750 giri, solo un ca-

vallino in meno rispetto alla versione Euro 3, ma il propulsore resta brillante e vivace, con un'ottima trasmissione e una ciclistica azzeccata, a completarne la fruibilità. Nulla cambia nemmeno per quanto riguar-da le sospensioni: monobraccio con molla elicoidale e ammortizzatore idraulico all'an-teriore, e doppio ammortizzatore idraulico al posteriore, con il precarico regolabile su quattro posizioni.Le ruote sono entrambe da 12 pollici e la frenata è affidata a due dischi, entrambi da 220 mm, coadiuvati dall'ABS.Un po' di numeri li abbiamo dati, quindi non ci resta che salire in sella a questa bella Vespona e - potevamo fare diversa-mente? - ricalcare l'esatto percorso del-la Sei Giorni di Varese, che nel 1951 vide trionfare lo scooter italiano, lasciando tutti a bocca aperta. Un centinaio di chilometri (allora anche sterrati) di saliscendi infiniti e innumerevoli tornanti, strade strettissime e lunghi rettilinei sul lungolago. Più alla pro-va di così, non potevamo.

SULLE STRADE DELLA SEI GIORNI DI VARESEPrima di partire chiariamo il concetto del "finto monoposto": la sella, in doppio rive-stimento con cadenino, impunture elettro-

VESPA SEI GIORNIdi Cristina Bacchetti

UN'EDIZIONE SPECIALE, NUMERATA MA NON LIMITATA, CHE OMAGGIA LE VESPA CHE NEL 1951 TRIONFARONO ALLA SEI GIORNI DI VARESE.

L'ABBIAMO PROVATA SULLO STESSO PERCORSO DI ALLORA

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saldate e cuciture bianche a contrasto, ha un look monoposto ma è in realtà omolo-gata per due. Strettini, ma ci si sta.Da soli invece si sta più che comodi: la grande scocca lascia possibilità di movi-mento, le ginocchia sono ben lontane dallo scudo e la sella a 790 mm da terra permet-te di guidare comodi e metter giù bene i piedi a - quasi - tutte le stature.Molto bello il manubrio "aperto" cromato, e la strumentazione che più vintage non si può.Cominciamo quindi a scorrazzare sulle strade della Sei Giorni - che allora erano quasi completamente sterrate - e a goderci questa Vespa che ben si presta non solo al percorso casa-lavoro ma anche e perché no a qualche bella scorrazzata fuori porta. Noi ci siamo goduti lo stretto e tortuoso

Passo del Cuvignone e tutte le curve che lo circondano, senza mai sentire la mancan-za di qualche cavallo o del comfort, che la Sei Giorni ci ha dato senza noie per tutta la giornata. Grazie anche alle sospensioni, ottimamente tarate e regolabili al poste-riore in base alle proprie esigenze, ma già confortevoli nella versione standard sia su terreni dissestati che nella guida un po' più sprint, dove non disdegna nemmeno qual-che piega, salvo toccare presto col caval-letto sull'asfalto a ricordarci che siamo co-munque in sella ad un mezzo da passeggio.Buona anche la frenata, i due dischi ferma-no senza problemi i 148 chili della Vespa, anche se non sarebbe male del mordente in più al posteriore.Unica nota dolente di questa Vespa Sei

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Giorni, ma si sa l'esclusività si paga, è il prezzo: per mettersela nel box ci vogliono 6.290 Euro, franco concessionario.

ACESSORIPer la Sei Giorni sono disponibili il para-brezza, il bauletto da 42 litri e il relativo supporto. Troviamo poi i portapacchi ante-riore e posteriore, il kit perimetrale croma-to, la sella più spaziosa, anch’essa proposta con doppio rivestimento e cadenino.Non mancano poi il telo copri gambe, il telo copri veicolo, l’antifurto meccanico, l’antifurto elettronico, il tappetino in gom-ma antiscivolo, la borsa in cuoio e il navi-gatore GPS Tom Tom Vio in edizione spe-ciale Piaggio Group.

E non dimentichiamo la Vespa Multime-dia Platform, che permette di mettere in comunicazione il proprio smartphone con la nostra Vespa ottenendone un compu-ter di bordo multifunzione, in grado di vi-sualizzareinformazioni come tachimetro, contagiri, ma anche potenza e coppia del motore istantaneamente erogati, accelera-zione longitudinale, consumo di carburante istantaneo e medio, velocità media e vol-taggio batteria, oltre che tutte le informa-zioni necessarie sul viaggio.Oltre agli accessori, sono disponibili anche capi di abbigliamento specificamente dedi-cati a questa Vespa, come il casco jet con visiera con loghi Sei Giorni, t-shirt, cappel-lino e sacca in cotone.

PIÙ INFORMAZIONIMeteo: sole, 15°Luogo: VareseTerreno: Urbano, extraurbanoFoto: Thomas Maccabelli

ABBIGLIAMENTOCasco Airoh Compact ProGiacca Alpinestars ReneeGuanti Tucano Urbano Jeans AlpinestarsScarpe TCX Boulevard

VESPA SEI GIORNI 300 6.340 EURO

PESO A SECCO 148 Kg CILINDRATA 278ccTEMPI 4CILINDRI 1RAFFREDDAMENTO a liquidoAVVIAMENTO elettricoALIMENTAZIONE iniezioneFRIZIONE multidiscoPOTENZA 22 cv - 16 kw - 7.500 giri/minCOPPIA 2 kgm - 22 nm - 5.000 giri/minEMISSIONI Euro 4CAPACITÀ SERBATOIO 9,5 Lt ABS SìPNEUMATICO ANTERIORE 120/70 - 12”PNEUMATICO POSTERIORE 130/70 - 12”

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Siamo abituati a vedere so-litamente moto special in salsa cafe racer ma, come l’eccezione che conferma la regola, ecco L’Avventura, creazione del tedesco Walt

Siegl. L’Avventura, nomen omen, è una moto estrema, fatta per il rally estremo, disciplina da cui prende ispirazione, in uno stile a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90.

Partendo dal dettaglio più succoso e incon-sueto, il motore è un Ducati 1100 raffred-dato ad aria, potente ed affidabile. Sempre Ducati è il telaio, derivato da una Hyper-motard, ma irrobustito mentre, il doppio forcellone in alluminio è fatto su misura per questa moto, così come la protezione para motore.Al reparto sospensioni troviamo una for-cella a steli rovesciati a lunga escursione

WALT SIEGL L’AVVENTURA, MAXI ENDURO ESTREMA

di Umberto Mongiardini

CON UN PESO DI 156 KG A VUOTO E MOTORE 1000 CC DUCATI, PROMETTE FORTI EMOZIONI SULLO STERRATO

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marchiata Showa, ovviamente totalmente regolabile, così come regolabile è il mono ammortizzatore Ohlins. Ovviamente il cer-chio anteriore è raggi, da 21 pollici, mentre il posteriore da 17 pollici.Visto che la capienza del serbatoio è spes-so un problema per le maxi enduro, Sie-gl ha deciso di dotare L’Avventura di due serbatoi, per una capienza totale di quasi 25 litri. Il design riesce ad unire un look vintage a soluzioni tecniche innovative:

tutta la carenatura è realizzata in Kevlar, garantendo così un peso di soli 156 Kg a secco e, sebbene possa sembrare old style, il doppio faro anteriore è composto da due unità circolari a LED marchiate Hella.Dietro al cupolino in plexiglas fumè, si in-travede una unità di navigazione di gene-rose dimensioni che, in caso di tragitti a piedi, può essere rimossa e portata a mano.Purtroppo il prezzo non è ancora stato reso pubblico.

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MERCATO A DICEMBRE: VENDITE IN CALO, MA IL 2017 CHIUDE A +5,1%. LE TOP 100

di Edoardo Licciardello

MERCATO FERMO A DICEMBRE, CON UN CALO DEL 45,3% RISPETTO AD UN 2016 ANOMALO. LA BMW R1200GS È LA TOP SELLER 2017

Un dicembre in linea con l'andamento medio del mer-cato quello appena conclu-so, che fa registrare 4.744 immatricolazioni (divise fra 2.904 scooter e 1.840 moto)

e chiude un 2017 in positivo, con 204.406 esemplari venduti per un bel +5,1% - 5,4 se si escludono i cinquantini perennemen-te in sofferenza - rispetto ad un 2016 già di forte ripresa. L'ultimo mese dell'anno pesa per poco più del 2% sul totale.Meno lusinghiero il confronto con il mese di dicembre 2016, rispetto al quale il calo è drastico: - 50,4% per le moto e - 41,5% per gli scooter, con un dato consolidato del - 45,3%: ma si tratta di numeri viziati dall'anomalia dello scorso anno, nel quale l'arrivo anticipato di molte novità piuttosto attese aveva dato origine ad un'atipica cor-sa alle immatricolazioni anche in un mese tradizionalmente calmo come dicembre, in cui la maggior parte dei clienti preferisce attendere gennaio per non "perdere un anno" nella targa.

LA TOP 30 DI DICEMBREAnche a dicembre continuano a vedersi po-

che moto nelle prime trenta posizioni asso-lute - in linea del resto con la stagionalità del mercato - e prosegue l'incursione del Piaggio Beverly 300 su un podio storica-mente dominato dalla triade Honda SH. A dicembre, il cavallo di battaglia della Casa di Tokyo conquista le prime due posizioni con il 125 e il 150, mentre il 300 scivola al quarto posto, dietro appunto al 300 di Pontedera. Rientra nei ranghi, ma per una sola unità venduta, il Kymco Agility. Ottima la prestazione dell'Honda X-ADV 750, che scala la classifica con la settima posizione, e recupera anche il rivale Ya-maha TMAX, in dodicesima piazza dopo lo scivolone del mese scorso. La prima moto in classifica nelle Top 30 del mese di chiusura è la Ducati Scram-bler 800, al decimo posto (a pari merito con Vespa GTS e Yamaha X-MAX), che per una volta scalza le maxienduro dalla vetta della classifica. Resta invariato, di-versamente, il dominio della Honda Africa Twin al sedicesimo posto, mentre va se-gnalata l'anomalia della Ducati Multistrada 1260 (teoricamente non ancora disponibile nei concessionari) al ventunesimo posto con 48 unità, probabilmente destinate ad

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esemplari test-ride o parco stampa.

LA TOP 100 MOTO 2017Torna a dominare la classifica l'inaffonda-bile BMW R 1200GS, come al solito impe-gnata in un duello con l'unica in grado di tenerle testa, la Honda Africa Twin. Biso-gna scendere di quasi 1000 unità vendute - un abisso, in questo periodo storico - per trovare la prima delle concorrenti, ovvero la NC 750X, a sua volta best seller a ca-vallo del cambio di decennio.Va segnalata, a livello di segmenti, la cre-scita della fascia fra gli 800 e i 1.000cc, che con una crescita del 12,2% fanno regi-strare 24.682 pezzi venduti e superano le

maxicilindrate che si fermano ad un +7%, aumento che vale 22.259 unità vendute. Inversione di tendenza anche nelle tipolo-gie, con le naked (30.793 moto vendute, +15,9%) che "fanno la barba" alle enduro stradali (26.402 unità, +3,4%) e la rela-tiva ripresa delle sportive, che con 4.313 immatricolazioni fanno segnare un +9,1%. Il dato che però più ci conforta è il boom delle 125, che va a compensare la fles-sione della fascia 300-600cc (-3,9%) e fa segnare un incredibile +22,4%, per un totale di 8.303 moto, a conferma di un ritrovato amore per le moto da parte dei sedicenni.LEGGI QUI TUTTE LE CLASSIFICHE

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Progetto Giovani

UN INNOVATIVO VEICOLO PER “L'ULTIMO MIGLIO”: E' LA NUOVA SFIDA DI IED MILANO

E BMW MOTORRAD

PROSEGUE LA COLLABORAZIONE FRA LA FILIALE ITALIANA BMW E IED DESIGN MILANO. I TESISTI 2018 DOVRANNO AFFRONTARE UNA SFIDA

MOLTO IMPEGNATIVA E ALTRETTANTO CREATIVA: DEFINIRE UN VEICOLO URBANO INTERCONNESSO E ADATTO A TUTTI

L'ultimo miglio, più noto come Last Mile, è un pro-getto al quale si stanno dedicando i maggiori co-struttori del settore auto-motive e piccole realtà in-

novative. Per tutti l'obiettivo è rispondere a una domanda di mobilità urbana individua-le in crescita e che in futuro contemplerà sempre più l'uso condiviso in centri città a traffico limitato.Il congestionamento delle metropoli, le ca-ratteristiche viarie di molti centri cittadini europei disegnati secoli fa, la necessità di ingombrare e inquinare meno, sono tutte condizioni che offrono ragion d'essere a una nuova categoria di veicoli molto pra-tici, particolarmente compatti, sicuri, puliti, confortevoli e soprattutto interconnessi.La funzione di questi veicoli che si muo-vono in spazi nei quali la velocità è spesso ridotta è di semplificare al massimo il tra-sporto in area urbana.Magari una volta lasciata l'auto in un par-cheggio di prossimità o il treno adoperato per arrivare in città. Veicoli che forniscano anche supporti informativi e servizi grazie

alle possibilità offerte dalla connettività. Il tema “Last Mile” è quello che stanno af-frontando alcuni tesisti di IED Design Mi-lano che frequentano il corso 2017-2018, a cui si sono aggiunti per l'occasione altri studenti del corso di Transportation Design di IED Design Torino.La proposta di tesi è arrivata dalla filiale italiana di BMW Motorrad, la stessa che ne-gli ultimi due anni ha già coinvolto l'istituto milanese con progetti dedicati al modello di serie G 310R (qui potete vedere l'ultimo video con i progetti di customizzazione del 2017). Tornando al tema di quest'anno, che sarà sviluppato fino al prossimo mese di lu-glio con le discussioni delle tesi, concerne il concept di un veicolo last mile coerente con l'immagine e i contenuti del marchio BMW, che sia connesso e che rispetti i ca-noni del “Design for all” adatto a un pub-blico eterogeneo.Il brief agli studenti è stato dato da Alberto Marazzini, product manager di BMW Mo-torrad e da Andrea Ferrari, marketing ma-nager di BMW Motorrad.Le linee guida del progetto tracciano i con-torni di un mezzo urbano tutto da immagi-

L'nare e che potremmo vedere concretizzato nei prossimi anni.Un mezzo che sarà giocoforza elettrico o al massimo ibrido (visto che i centri storici favoriranno sempre più la circolazioni con motori a impatto zero, mentre la tecnologia elettrica apre sicuramente a nuove soluzio-ni in termini di packaging e funzionamento) e che avrà un punto qualificante nelle op-portunità d'uso offerte dalla connettività.Un veicolo che potrà avere da una a tre ruote e che soprattutto dovrà offrire un'e-sperienza di guida affine al mondo BMW. Dovrà insomma essere distinguibile fra al-tre proposte e non soltanto innovativo. Altre indicazioni ricevute suggeriscono la possibilità di poter trasportare degli ogget-ti, consigliano di offrire protezione dalle in-temperie, sicurezza sulle strade lastricate, spiegano di progettare puntando a peso e ingombri contenuti (magari per essere ca-ricato in auto), e dicono infine di pensare a

un veicolo potenzialmente adatto alla con-divisione. Anche per questo dovrà offrire una gestione digitale semplice.Gli studenti dovranno pensare con mente apertissima e priva di condizionamenti, ma con un'attenzione particolare alle opportu-nità digitali e alla componente esperien-ziale d'utilizzo. Nel loro percorso saranno seguiti da Giacomo Bertolazzi (coordinatore corso Product Design) e dai docenti e re-latori di tesi Cristiano Oliva e Luca Loschi, quest'ultimo per il corso in lingua inglese.Per conoscere meglio la filosofia di inno-vazione e di progetto BMW i tesisti hanno avuto anche l'opportunità di incontrare a Eicma Edgar Heinrich, responsabile del de-sign moto di Monaco (vedi il video in alto).E' stata un'occasione importante per chia-rire alcuni concetti chiave prima di passare allo sviluppo delle idee.Come sempre Moto.it seguirà il progredire dei progetti di tesi aggiornandovi.

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Si dice che tutti ricordiamo bene dove eravamo e cosa stavamo facendo nei grandi momenti storici che abbia-mo vissuto nel corso della nostra esistenza.

Se allora è vero, come purtroppo è vero, che l’età media dei motociclisti si sta alzan-do, allora quasi tutti i nostri lettori ricorde-ranno il momento in cui hanno visto per la prima volta la Ducati 916.Svelata al Salone di Milano del 1993, la 916 lasciò tutti senza fiato. Un po’ perché allora non c’erano anticipazioni e foto rubate a rovinare il gusto del disvelo, un po’ per-ché la supersportiva della maturità Ducati di gestione Castiglioni era oggettivamen-te stupenda. Talmente bella da resistere praticamente immutata nell’estetica per otto anni. Pensate che – ironia della sor-te – avrebbe potuto essere molto diversa. Massimo Tamburini stava lavorando all’e-rede della 851 quando Honda presentò al Salone di Tokyo la sua NR750. Il designer romagnolo ne restò estrema-mente colpito, tanto da stracciare quanto fatto fino ad allora e ripartire da zero. E di-segnare una linea, ma anche stilemi come i sottilissimi fari affiancati o gli scarichi sotto il codone, che hanno definito tutta una ge-nerazione di supersportive. E hanno fatto invecchiare di colpo tutta la

concorrenza, perché non c’è stata rivale, almeno fino all’arrivo della Yamaha R1, che al suo cospetto non sembrasse grossa ed impacciata.Sotto la carenatura pulsava un bicilindrico Desmoquattro evoluto rispetto alla prece-dente unità della 888 – bisognerà aspetta-re la 996R del 2001 per festeggiare l’arrivo del Testastretta, primo cambio generazio-nale motoristico nella storia delle Super-bike Ducati – ma soprattutto una ciclistica che costituiva un salto quantico rispetto alla concorrenza, casalinga e stranieraForcellone monobraccio infulcrato nel tela-io (con abbandono del precedente schema pivotless) dotato di reggisella alleggerito e scomponibile, sospensione posteriore con regolazione dell’altezza indipendente dall’interasse ammortizzatore, tre brevetti come il cannotto di sterzo regolabile tra-mite eccentrici, l’ammortizzatore di sterzo trasversale e il dado della ruota posteriore con fermaglio in acciaio.Sportivamente parlando, la 916 è stata un mostro. Sei titoli in otto anni nelle sue va-rie versioni, ad opera di piloti come Fogar-ty, Corser e Bayliss, e tantissime vittorie di manche con loro e tanti altri, a partire da quel Pierfrancesco Chili che se ne innamo-rò a tal punto da non volerla abbandona-re quando arrivò la 999, scatenando le ire della Casa madre. E senza contare, con un

DUCATI 916: 25 ANNI E SEMBRA IERI

di Edoardo Licciardello

LA LEGGENDARIA SPORTIVA BOLOGNESE, CAPOLAVORO DELL'INDIMENTICATO MASSIMO TAMBURINI, COMPIE UN

QUARTO DI SECOLO

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po’ di rimpianto, tutto quello che avrebbe potuto farci Giancarlo Falappa, che la 916 l’aveva praticamente tenuta a battesimo prima di quel malaugurato incidente ad Al-bacete che gli ha stroncato la carriera.La 916 divenne poi 996 e 998, evoluta nel propulsore e con qualche sapiente ritocco nella ciclistica, ma restò sostanzialmente immutata. E uno dei segni della grandezza del design di Massimo Tamburini è – come abbiamo già detto in apertura – il mante-nimento dell’estetica, a parte la chiusura delle prese d’aria della carenatura (996R, 2001). Con la 916 è nata un’icona che ha influenzato tutta la produzione Ducati suc-cessiva, perché a parte quella 999 che non seppe mai conquistare davvero il cuore dei ducatisti, le famiglie Superbike successive

le devono molto. Le due opere di Gianandrea Fabbro, la 1098 e la 1099 Panigale – e quindi, ovvia-mente, la Panigale V4 – recuperano dichia-ratamente tantissimo in termini di estetica dalla 916, creando quell’”effetto 911” tanto ricercato quanto elusivo per Case e desi-gner di tutto il mondo.Fa davvero impressione pensare che sono passati 25 anni da quando abbiamo visto la 916 per la prima volta. Da allora il mondo del motociclismo è cambiato molto profon-damente nella sostanza, nell’estetica, nel-le abitudini e nei gusti di noi motociclisti. Quella che non è cambiata è la bellezza della 916. Che – oggi come allora – evoca come nessun’altra moto il concetto di per-fezione.

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RESTAURANDO FAI DA TE: BENELLI EXPORT 3V 1979

di Umberto Mongiardini

PADRE, FIGLIO E LA PASSIONE PER IL RESTAURO IN COMUNE

Oggigiorno è abbastanza raro vederne in giro ma, a cavallo tra gli anni '60 e '80 vedere un Benelli Ex-port per strada era tutt'al-tro che difficile.

Venduto in più di 100.000 unità a parti-re dal 1959, infatti, nelle sue più svariate versioni il piccolo della Casa di Pesaro, si

faceva notare all'interno della vastissima gamma di modelli utilitaristici per la propria affidabilità e per le discrete performance. Detto questo, risulta quasi anacronistica, ma decisamente romantica, la scelta di un ragazzo di 18 anni di acquistarlo in un mer-catino e di decidere di restituire al piccolo ciclomotore quella dignità che gli era stata rubata dal tempo.

O

Approda così su questa rubrica “Restauran-do fai da te”, la storia di Giordano e Michele Feruglio, padre e figlio che, con pazienza, amore e nostalgia, si sono cimentati nel restauro di questo Benelli Export 3V del 1979. Il modello del 1979, introdotto l'an-no precedente, si differenzia dai modelli dai modelli più datati per l'adozione di un nuovo motore con testa e cilindro in allu-minio e carter con sagoma maggiormente squadrata, mentre già dal 1977 la versione Export aveva ricevuto un nuovo serbatoio.Non volendo però rubare altro spazio al vero racconto, lascerò “parlare” diretta-mente Giordano, protagonista di questa storia storia assieme a Michele.“È davvero bello vedere come da quelli che qualcuno chiamerebbe "ferrivecchi", con passione, pazienza e grande competenza, escano delle moto rinnovate che altrimenti sarebbero destinate a triste fine”, così esor-

disce Giordano, e come dargli torto...“Questo motorino l'ha scovato mio figlio ad un mercatino, forse lo ha scelto perché era uno dei ciclomotori che andavano per la maggiore quando avevo la sua età, o anche perché di semplice restauro. Ha deciso che fosse un peccato lasciarlo in quelle condizioni, e l'ha portato a casa, lasciato fermo giusto il tempo di terminare la scuola e affrontare l'esame di maturità. Subito dopo, il Benelli è stato smontato in tutte le sue parti: fortunatamente le condi-zioni meccaniche di fondo non erano male, così sono stati sostituiti l'ingranaggio della trasmissione primaria, rovinato, tutti i cu-scinetti del motore e le guarnizioni, è stata rifatta una boccola e piantata in officina di rettifica. I carter motore, cilindro e testa sono stati sabbiati e poi pallinati.”Il lavoro di Michele, che come dice Gior-dano, è sato eseguito quasi totalmente da

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solo, tranne che per qualche piccolo aiu-to o suggerimento; si è poi concentrato sull'impianto sospensioni, dove forcella ed ammortizzatori, a parte essere stati river-niciati, hanno richiesto solo un ingrassaggio al rimontaggio, mentre solo il cavalletto ha richiesto alcune saldature.“Il telaio è stato sabbiato, così come i para-fanghi, e riverniciato a forno nel colore d'o-rigine - rosso; sono stati sostituiti i cerchi, troppo arrugginiti per essere preservati, e sono stati zincati i mozzi e tutte le altre parti deteriorate. Un grande lavoro è stato richiesto poi per la raggiatura dei cerchi, che è stata eseguita in casa, ma che ha poi richiesto la mano di un esperto per una perfetta centratura.Il lavoro di restauro, racconta Giordano, è proseguito con la sostituzione di “tutti i cavi di comando, con il rifacimento dell'im-

pianto elettrico, mentre alcuni elementi quali pedane, comando luci, adesivi, tappo serbatoio e manopole sono stati rimpiazza-ti con nuovi componenti, in quanto esteti-camente compromessi. Tutti i ricambi sono stati reperiti nelle varie mostre scambio.”Qualche dritta e informazione Michele è riuscito ad ottenerla da appassionati di cin-quantini d'epoca, in particolare di Benelli e Motobì, ai cui ha richiesto qualche informa-zione specifica.Un lavoro condiviso tra padre e figlio, ma non troppo, infatti, come ci scrive Giorda-no, “l'assemblaggio ha richiesto più tempo del previsto, perché il "restauratore" lavo-rava in solitudine, molto geloso del suo lavoro.” Il risultato lo potete vedere nelle foto, ora Michele sta pensando a qualche cosa di più impegnativo come un una moto da regolarità... si vedrà.

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Dopo che si sono affermati, certi schemi sono oggetto di un lungo lavoro di perfezio-namento, fino a che non si arriva a uno stadio tale che praticamente non sono pos-

sibili ulteriori miglioramenti.Si giunge cioè a una autentica condizione di stallo e quindi, per incrementare anco-

ra le prestazioni, non rimane altro da fare che cercare vie diverse e imboccarle con decisione dopo averle individuate (se ci si riesce).Oggi siamo vicini a una situazione del ge-nere, come dimostrano ampiamente i mo-derni quadricilindrici di serie di 1000 cm3. Hanno tutti quattro valvole per cilindro, distribuzione bialbero e schemi costrutti-

LA FINE DI UN CICLO MOTORISTICO. E POI?

di Massimo Clarke

ARRIVATI AL CULMINE DELLO SVILUPPO, COSA RESTA DA FARE NEI MOTORI? VEDIAMO ALCUNI ESEMPI DALLE GP DEL PASSATO.

D

A DESTRAIl motore delle prime Ducati 125 da Gran Premio era praticamente quello della “Marianna” dotato di una distribuzione bialbero. Ben presto però la casa bologne-se ha imboccato una strada diver-sa, sviluppando per le sue moto ufficiali delle rivoluzionarie teste desmo con tre alberi a camme

Nel 1949 la Mondial 125 bialbero ha vinto la sua classe nel primo Campionato Mondiale mostrando a tutti quale era la strada da seguire. Il suo motore è stato il capostipite di una grande stirpe di monocilindrici di straordinario successo. Qui testa e castello della distribuzione sono in fusione unica.

vi assai simili. Gli angoli tra le valvole e i rapporti di compressione differiscono ben poco da un motore all’altro; le potenze erogate (come pure le velocità di rotazio-ne) sono molto vicine tra loro e aumentano in misura sempre minore di anno in anno, segno che ormai si sta raschiando il fondo del barile.Per incrementare ulteriormente le potenze specifiche, in modo realmente sostanzioso, ci vorrebbe qualcosa di radicalmente diver-so, come ad esempio il passaggio alla so-vralimentazione.Qualcosa di analogo accade anche alle Mo-toGP, i cui motori forniscono potenze mol-to simili. Qualcuno ha (forse) 270 cavalli o addirittura qualcosa di più, mentre qualcun altro ne ha (forse) poco meno di 265, con curve di erogazione che sono solo legger-mente diverse da moto a moto.

L'ESEMPIO DEL PASSATOPure in passato si sono verificate situazioni analoghe. Un caso interessante è ad esem-pio quello dei monocilindrici da Gran Premio italiani nel periodo che va dai primi anni Cinquanta all’inizio del decennio successivo. La Mondial 125 bialbero, apparsa nel 1948 e impostasi l’anno successivo nel primo Cam-pionato Mondiale ha effettivamente aperto un’era.Questa moto è stata progettata dal gran-de Alfonso Drusiani, che sicuramente ave-va fatto tesoro delle esperienze accumulate nell’anteguerra da altri costruttori bolognesi e aveva osservato con grande attenzione i monocilindrici inglesi da competizione di 350 e di 500 cm3.Il successo della Mondial ha portato all’ab-bandono dei motori a due tempi da par-te degli altri costruttori impegnati nei Gran

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Il formidabile 250 Morini da Gran Premio dei primi anni Sessanta rappresenta il massimo livello evolutivo raggiunto dalla classica scuola tecnica italiana, per quanto riguarda le monocilindriche da competizione

Premi; in particolare la strada indicata dalla Mondial è stata rapidamente seguita dal-la Morini (con distribuzione monoalbero) e dalla MV Agusta. Lo schema adottato era semplice e razionale: nella testa venivano alloggiate due valvole fortemente inclinate tra loro, al cui richiamo provvedevano molle a spillo lavoranti allo scoperto. Superiormente alla testa veniva fissato un castello che ospitava i due alberi a camme (uno solo nella Morini). A seconda dei casi il comando della distribuzione poteva essere ad alberello e coppie coniche o a cascata di ingranaggi.La Mondial ha lavorato a lungo al perfezio-namento dei suoi monocilindrici bialbero, che hanno subito una importante rivisita-zione attorno al 1956, ma è comunque ri-masta sempre fedele allo schema impiegato in origine. Nel 1957 gli ultimi 125 usciti dal

reparto corse di via Milazzo a Bologna ero-gavano attorno a 18-19 cavalli a un regime dell’ordine di 11.500 giri/min o poco più. La loro potenza specifica era quindi di circa 150 CV/litro e la velocità media del pistone era vicina ai 22 metri al secondo.L’evoluzione dei monocilindrici MV Agusta da GP è avvenuta in maniera analoga, senza mai modificare lo schema costruttivo origi-nale, adottato nel 1950 con il passaggio dal due al quattro tempi. Per chi voleva costru-ire una monocilindrica da competizione, la “ricetta” all’epoca era la stessa (cioè quella appena descritta).Pure la Ducati, per la sua prima 125 da GP, con testa bialbero tradizionale, ha adottato uno schema analogo; subito dopo però si è posta in una categoria a sé stante grazie a una inedita distribuzione desmodromica (che prevedeva tre alberi a camme).

Anche i monocilindrici da competizione della MV Agusta hanno subito un intenso sviluppo nel corso degli anni Cinquanta, senza cambiare però le soluzioni tecniche di base. In questo motore di 175 cm3 si notano chiaramente il castello fissato superiormente alla testa e le molle delle valvole lavoranti allo scoperto

Attorno alla metà degli anni Cinquanta la Morini si è concentrata sulla classe 175 re-alizzando il famoso Rebello, destinato alle maratone stradali e alle gare juniores, che si è poi evoluto in versioni di cilindrata maggiore, dotate di teste bialbero.Il capolavoro della casa bolognese è stato però il monocilindrico 250 bialbero da Gran Premio, che ha fatto il suo esordio nel 1958 con 32 cavalli a 10.500 giri/min ed è arri-vato ad erogare poco più di 36 CV a oltre 11.000 giri/min nel 1963, quando è arrivato secondo (per due soli punti!) nel Campio-nato Mondiale. Questa moto ha rappresen-tato il punto più alto raggiunto dalla clas-sica scuola italiana per quanto riguarda i monocilindrici da competizione a quattro tempi. Il culmine di una linea evolutiva che

ormai non poteva essere ulteriormente svi-luppata…All’inizio degli anni Sessanta era ormai chiaro a tutti che per raggiungere potenze maggiori occorreva aumentare il numero dei cilindri e fare raggiungere ai motori re-gimi di rotazione più elevati. I bicilindrici hanno preso il posto dei mono nella classe 125 e nella 250 sono addirittura comparsi i quadricilindrici Benelli e Honda.La casa giapponese, che ha mostrato a tut-ti la strada delle quattro valvole per cilin-dro (già note da tempo ma mai affermatesi con decisione), ha spinto ancora più in là il frazionamento dei suoi motori da compe-tizione realizzando capolavori come il 50 bicilindrico, il 125 a cinque cilindri e il 250 a sei cilindri.

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Quattro anni dal primo dise-gno alla produzione di serie: è il tempo necessario alla realizzazione di un moderno faro Full Led. Basta questo dato a spiegare la comples-sità dei nuovi impianti di

illuminazione che vediamo sulle moto più recenti di gamma media e alta.Quello dei gruppi ottici di illuminazione è fra i settori che ha conosciuto i maggiori sviluppi tecnologici negli ultimi anni, e lo si è notato soprattutto nel mondo dell'au-tomobile, con il passaggio dalle lampade alogene a quelle allo xeno, poi ai led e infi-ne al laser, integrati da sistemi di controllo elettronici. Le ultime due tecnologie, Led e Laser, stanno offrendo le migliori applicazioni in termini di efficienza luminosa, gestione del campo illuminato e adattabilità alle condi-zioni del percorso e del traffico. In questo caso, servendosi di sistemi adat-tativi gestiti da sensori, telecamere e GPS che sono in grado di vedere in anticipo gli

altri veicoli, i pedoni o l'approssimarsi di una curva, per modificare il campo illumi-nato - anche in base alla velocità - e non abbagliare chi si incrocia. Detto in parole povere significa veder au-mentare enormemente la sicurezza attiva, incrementare l'affidabilità dei fari e diminu-ire i consumi elettrici. Il che si traduce in minori emissioni inquinanti: una questione particolarmente sentita nel settore auto-mobilistico, per via delle norme sempre più stringenti. Un incontro al dipartimento di ricerca e sviluppo BMW di Monaco con chi si occu-pa di progettare impianti illuminanti per i nuovi modelli, e una visita agli attrezzati la-boratori del centro FIZ, ci hanno permesso di conoscere lo stato dell'arte di un settore che è in rapida evoluzione, e che è diven-tato decisamente più complesso rispetto a pochi anni fa. Una complessità che porta molti vantaggi e maggiore sicurezza, che favorisce la riconoscibilità di un modello o di un marchio, ma che comporta anche un prevedibile aumento dei costi.

DAI FARI ALOGENI AI FULL LED, DAL LASER ALL'OLED. IL

FUTURO DELL'ILLUMINAZIONE MOTOCICLISTICA

di Maurizio Gissi

C'È TANTA TECNOLOGIA NEI MODERNI GRUPPI OTTICI DI MOTO E SCOOTER, A BENEFICIO DELLA SICUREZZA E DEL DESIGN.

LO ABBIAMO SCOPERTO VISITANDO IL CENTRO RICERCHE BMW A MONACO. VEDIAMO VANTAGGI E DIFETTI DI LED, LASER, OLED, XENO E

LAMPADE ALOGENE

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PIÙ COMPLICATO DEL PREVISTOSe è necessario così tanto tempo per met-ter a punto un nuovo fanale, come ci ha spiegato Roman Huska - developing engi-neer light technology per BMW - è soprat-tutto perché esistono ben dodici diverse omologazioni nel mondo alle quali occorre sottostare. Vuol dire dover rispettare ben oltre un centinaio di combinazioni diverse che considerano intensità luminosa, punti di misurazione, posizione delle luci sul vei-colo, campi illuminati, eccetera. In Cina, curiosamente, viene chiesta una potenza inferiore rispetto ad altri Paesi, per cui le regole d'omologazione non seguono le stesse logiche ovunque.Lo sviluppo sta portando alla messa a pun-to di una sola fonte luminosa adatta a tut-te le normative, e in questo senso i Led semplificano le cose, perché la sorgente

luminosa è maggiormente controllabile e adattabile.La cosa non è banale se si pensa che, ad esempio, la sola normativa europea pre-vede il controllo di venti differenti punti all'interno del fascio proiettato dal faro an-teriore. Naturalmente vale la stessa consi-derazione anche per l'uso delle più semplici e diffusissime lampade alogene ma, come vedremo, la tecnologia Led che va ormai per la maggiore garantisce risultati deci-samente superiori in molti ambiti, e non soltanto grazie anche all'introduzione del-la luce di marcia diurna DLR: quest'ultima è la terza luce, oltre ad anabbagliante e abbagliante, che ha aggiunto una funzione più efficace rispetto alla tradizionale luce anabbagliante lasciata accesa obbligatoria-mente di giorno. Per comparare i due sistemi ora disponibi-

li e le rispettive diversità costruttive, sono stati presi come esempio il fanale alogeno dell'ultima BMW F 800GS e quello full Led della nuova versione F 850GS presentata a Eicma.A differenza dei filamenti usati per le lam-pade a incandescenza e degli elettrodi in atmosfera di gas (Xeno), i Led (ovvero Light Emitting Diode, diodi a emissione di luce) sono composti da un chip di materiale se-miconduttore che emette luce quando è attraversato dalla corrente elettrica.

FARI FULL LED AL POTEREI vantaggi di questa tecnologia sono mol-teplici, a partire dalla maggiore efficienza della sorgente luminosa che supera il valo-re del 25%, contro il solo 3% della lampada alogena e il 7% circa di quella allo Xeno.

Inoltre la luce Led è “pulita” perché priva di raggi ultravioletti e infrarossi, non visibili, così che si consuma molta meno energia: tornando al faro della nuova GS, il consu-mo totale si ferma a 34 W. L'importanza di questo aspetto in campo auto, come accennavamo all'inizio, potendo anche contare sull'utilizzo delle luci diurne Led al posto degli anabbaglianti e con le altre fonti Led/Xeno per l'intera vettura, taglia fino a venti volte le corrispettive emissioni di CO2. Secondo aspetto, più importante ancora, è che per intensità e qualità la luce quella offerta dai Led è simile alla luce naturale – la temperatura colore supera infatti i 5.500 gradi Kelvin – a beneficio anche della per-cezione visiva dell'occhio umano.La durata dei Led supera di 10-15 volte

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quella delle lampade allo Xeno (non ne è prevista di fatto la sostituzione dei diodi), i Led sopportano molto bene le vibrazioni (altri test che devono superare questi fari riguardano resistenze termiche e a sostan-ze chimiche), sono molto compatti e per-mettono ai designer molta libertà creativa, a vantaggio dell'estetica della moto.Poiché rispetto a una lampada alogena con la tecnologia Led si usano molte più sorgenti luminose (dieci chip nel caso del faro GS850, ma si arriva a sessanta sui più sofisticati fari automobilistici) è molto più semplice gestire il fascio luminoso nei vari punti e modificarne le caratteristiche in modalità adattativa. La progettazione si avvale anche di uno speciale software in grado di simulare su strada le soluzioni allo

studio, misurandone l'efficacia nelle diver-se condizioni climatiche e viarie.Le tolleranze costruttive dei fari Led, ci ha spiegato un altro ingegnere di svilup-po (Frederic Pfeuffer) richiedono però una grande precisione dimensionale, ma in compenso è possibile adottare superfici riflettenti più piccole e quindi ridurre l'in-gombro dei fanali.Uno dei problemi della tecnologia Led è il calore generato dai circuiti elettronici (si arriva a 130°C), tanto più che il faro deve essere a tenuta ermetica: per questo viene utilizzato un supporto radiante in alluminio per i circuiti, mentre il “vetro” è in speciale materiale plastico per resistere agli urti.La luce emessa dai Led non è continua: è accesa per 10 millisecondi, spenta per 30,

riaccesa per altri 10 millisecondi e così via. E' questo il motivo per cui nelle eventuali riprese video – dipende dalla frequenza dei fotogrammi di registrazione - capita di ve-dere i fari Led andare a intermittenza.

DRL: SICUREZZA E RICONOSCIBILITÀL'introduzione delle luci diurne DRL (Dayti-me Running Light) ha seguito l'obbligato-rietà dei fari anabbaglianti accesi di giorno.Lo scopo di queste luci è di rendere il vei-colo visibile, non è quello di illuminare la strada: per questo motivo è ammessa un'a-rea molto più ampia in altezza rispetto agli anabbaglianti, senza peraltro correre il ri-schio di infastidire chi si incrocia.Viene poi preferita una luce blu perché meglio individuabile dall'occhio umano. Ri-sultato, grazie ai Led il consumo d'energia è molto inferiore rispetto alle luci aloge-ne (21 W nel caso della citata F 850 GS), è possibile usare maggiore potenza (circa 300 candele in più secondo le normative) e la visibilità aumenta in maniera impor-

tante come hanno confermato le statisti-che di incidenti registrate negli Stati Uniti.Dalle automobili, la soluzione DLR è sta-ta inizialmente trasferita alle moto proprio da BMW. Nel caso della GS 850 ci sono quattro Led che puntano inclinati di 45° nel diffusore anulare, che deve avere per legge una superficie minima di 25 cmq.E proprio con la funzione DLR qui entra in gioco la componente design, tanto che le luci diurne vengono sempre più impiegate come firma di un modello o di una marca.Harry Schmidt, designer del centro stile BMW Motorrad che fa da tramite con chi progetta i fari, racconta come i gruppi ot-tici siano diventati una parte sempre più influente dell'estetica di un nuovo modello, proprio per la loro integrazione nel design complessivo, e questo aumenta la ricono-scibilità del modello. Tanto che ormai fari e luci di coda richiedono un processo di sviluppo più lungo rispetto al resto delle sovrastrutture.Un altro aspetto interessante della tecno-

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crocia. Il sistema riconosce gli altri veicoli e ne esclude l’abbagliamento. La profondità dei fari è di oltre 400 metri.Le lampade allo Xeno hanno superato l'ef-ficienza di quelle alogene, ma a loro volta stanno patendo la concorrenza dei Led.Questi ultimi, oltre ai vantaggi ricordati pri-ma, hanno anche la preferenza dei motoci-clisti perché offrono una buona caratteriz-zazione estetica, e questo non è un aspetto secondario nella scelta di una moto.Fra i difetti dei fari full Led ci sono peraltro il peso maggiore rispetto ai tradizionali alo-geni, e soprattutto il costo parecchio supe-riore. E' una voce che diventa importante nel malaugurato caso di una sostituzione.

LA PRECISIONE E LA POTENZA LASERFra i diversi primati tecnologici di BMW c'è quello della luce abbagliante Laser, intro-dotta per la prima volta sulla i8 di serie

nel 2014 e mostrata su una speciale K 1600GTL nel 2016 al CES di Las Vegas. Giusto per ricordare che anche sulle moto è possibile adottarla.La luce abbagliante laser è l'ultima fron-tiera in fatto di potenza, efficienza e com-pattezza raggiungendo una portata di 600 metri contro i 300 metri dei migliori Led e una luminosità quattro volte superiore.Il sistema LARP (Laser Activated Remote Phosphor) prevede un diodo laser che ge-nera un flusso puntiforme di pochi micron. La luce laser emessa viene percepita come blu dall'occhio umano e per questo è con-vertita il luce bianca attraversando una una sostanza fluorescente (fosforo giallo) otte-nendo una temperatura colore di 5.500 gradi kelvin. Come nei diodi a emissione luminosa, i Led appunto.La luminosità elevata offerta dai sistemi LARP permettono di avere componen-

logia Led è che viene creato il fascio stra-dale illuminato a seconda del tipo di moto. Per esempio, sui modelli da enduro, che prevedono la guida in piedi e il superamen-to di ostacoli, viene data più importanza alla zona immediatamente davanti alla ruota, mentre per le GT conta l'ampiezza in curva e per le sportive la profondità. Dal punto di vista tecnico, racconta sempre il designer, è più difficile lavorare sui modelli naked, perché i fari hanno poso spazio a disposizione, sono arretrati e generalmente rotondi. Sportive carenate e GT permet-tono in questo senso maggiore libertà di progettazione.

FARI ADATTIVI: PER CURVE E FRENATEBMW è stata la prima casa a proporre un

faro motociclistico adattivo allo Xeno, sul-le K1600 GT e GTL del 2010. La lampada principale adotta uno specchio riflettente, sensori e servomotori provvedono a man-tenere il fascio all'altezza corretta durante i trasferimenti di carico (una moto si alza e abbassa in accelerazione e frenata molto più di un'automobile) e a orientarlo all'in-terno della svolta quando si è inclinati in curva. Naturalmente un faro così concepito è più grande, complesso e costoso rispetto ai full Led, e per questo è disponibile su modelli di fascia alta.Il video qui sotto mostra il funzionamento del sistema Selective Beam automobilistico di BMW. Una telecamera gestisce il fascio di luce consentendo una visibilità migliore e senza il pericolo di abbagliare chi si in-

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ti ottiche di dimensioni molto ridotte, e il tipo di fascio generato si presta a essere pilotato efficacemente. Sulla i8, come sulla Serie 7, l'illuminazione spot si attiva una volta superati i 70 km/h. La telecamera sul veicolo rileva l'assenza di traffico in senso opposto e quando si incrociamo altri mezzi il fascio viene modificato per evitare l'ab-bagliamento. Ragioni di costo rendono al momento questi sistemi relegati al mondo automobilistico.

FRONTIERA OLEDUn'altra tecnologia innovativa e già pre-sente in campo auto da un paio d'anni per i gruppi ottici posteriori è quella Oled. La BMW M4 GTS è stata la prima auto di serie a proporla.Si tratta di luce emessa da diodi di origi-ne organica (Organic Light Emitting Dio-de), che sfruttano molecole di carbonio e

idrogeno per generare luce visibile grazie al passaggio di corrente elettrica (elettro-luminescenza). E' lo stesso principio usato per gli schermi smartphone e TV: i diodi hanno una co-struzione a sandwich con strati semicon-duttori dello spessore di pochi micron, e uno spessore totale che va da 0,8 a 1,5 mm.A differenza dei Led, l'emissione della luce è diffusa invece che puntiforme, quindi può essere regolata a piacimento e adotta-ta per luci di stop e di svolta. La tecnologia Oled offre una visibilità co-stante da qualsiasi angolazione, ha un bas-so consumo di energia mentre il sistema faro permette una costruzione semplice e creativa perché gli Oled possono esse-re curvati, non servono parti riflettenti e nemmeno raffreddanti o di guida. Tutte caratteristiche che possono essere

sfruttate dai designer: i fari Oled posso-no essere formati da piccoli segmenti con diversi orientamenti, colori e accensione. Hanno un costo di produzione ancora alto e questo ne fa un'applicazione di nicchia e ancora lontana dal settore motociclistico.La differenza di funzionamento fra i sistemi alogeni, Led, Laser e Oled l'abbiamo vista nei laboratori di prova che BMW ospita al FIZ di Monaco: al centro di ricerca e svilup-po lavorano ottomila ingegneri su un totale di 20.000 addetti, in massima parte de-dicati al mondo automobilistico ma le cui conoscenze ed esperienze – come per l'ar-gomento che abbiamo affrontato - ricado-no anche sulla divisione tecnica Motorrad. Chiudiamo tornando all'illuminazione alo-gena. E' una tecnologia che va ancora per la maggiore (è usata da oltre il 90% del-

le nuove moto e scooter) e vedrà ulteriori prospettive di sviluppo per essere applicata su modelli più economici, ma anche classi-ci, proprio per il suo design.

ALOGENE NON AL TRAMONTONonostante la minore efficienza delle lam-pade alogene, comparata a Xeno e Led, ci sono continui miglioramenti che riguardano brillantezza della luce (secondo il produtto-re Philips gli ultimi modelli hanno superato le alogene standard del 130%), aumen-to del campo illuminato (+60%), luce più bianca (+40%, 4.000 Kelvin e oltre) e du-rata incrementata a 450 ore.In ogni caso l'obiettivo resta l'aumento del-la sicurezza di guida, ed è un peccato che la normativa vigente regoli malamente le modifiche retrofit ai fari di serie.

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Ciao a tutti! Son già passa-ti vent’anni e l’eco non si è ancora spenta. Stagione 1998,

una delle più incredibili del-la storia del motociclismo e certamente la più tosta per Capirossi e Biaggi: Loris che nell’ultima gara dell’anno conquista il suo contestato titolo della duemmezzo, Max che vince all’esordio in 500 come aveva fatto soltanto Saarinen eppure non gli ba-sta. A distanza di due decenni vale la pena di tornarci sopra, a beneficio di chi non c’era o era un ragazzino.A quell’epoca, pare una favo-la, i piloti spagnoli contavano poco e l’Aprilia dominava due classi: Valentino Rossi aveva già vinto il titolo della 125 e conquistò all’esordio in 250 cinque successi come Hara-da; mentre Sakata (“Kazuto

di nome e di fatto” specificai nella telecronaca) tra le pic-cole suonava con l’Aprilia un nugolo di Honda.Katoh (Honda) vinse la 250 in Giappone come l’anno prima, poi l’Aprilia si prese tutte le gare: con i tre ufficiali (Ha-rada, Rossi e Capirossi), e al Mugello con il mitico collau-datore Marcellino Lucchi. Si arrivò all’ultima prova in Argentina con Capirossi a quota 204 e Harada a 200. Loris iniziò in testa l’ultimo giro, ma fece due errori e fu passato sia da Valentino (che vinse) sia da Tetsuya. Spe-ronò o non speronò volonta-riamente il giapponese a due curve dall’arrivo? Per Harada sì, per l’Aprilia pure, per la FIM prima sì e poi no. Ma alla fine il campione del 1998 fu Capirex: licen-ziato dall’Aprilia, passato su una Honda, riabilitato da un tribunale, indennizzato con

un mucchio di soldi, un gran casino che a distanza di tem-po è giusto definitivamente archiviare, considerando che Loris ha chiuso una splendida carriera ed è comunque tra i grandi. Perfino Harada ha messo una pietra su tutto e gli è amico, dunque faccenda chiusa.Resta invece ancora aperta la ferita di Biaggi in 500 (su V4 Honda del team Kanemoto), che a Barcellona, terzultima gara della stagione 1998, si presentava con quattro punti più di Doohan: 189 a 185. In quel GP di Catalunya Max era secondo nella scia di Bar-ros, quando in fondo al drit-to spuntò una bandiera gialla che il romano non poteva ve-dere. Barros rallentò, Biaggi lo sorpassò sullo slancio, Barros passò di nuovo e la direzione gara ordinò un ride through ad entrambi; Max non obbe-dì, allora uscì anche la ban-

NICO CEREGHINI "MAX BIAGGI, CAPIREX E SEMBRA IERI"

LA STAGIONE 1998 FU RICCA DI COLPI DI SCENA: LORIS CAMPIONE DELLA 250 COL BOTTO, MAX FERMATO A BARCELLONA… VENT’ANNI DOPO, A MENTE FREDDA, È BELLO TORNARCI SOPRA ANCHE PER CHI NON C’ERA

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diera nera ma lui niente: pur squalificato, chiuse davanti a Doohan. Difficile accettare che un campionato magnifi-co come quello, col titolo an-cora tutto da giocare, finisse così male; e allora si parlò di complotto, era già in voga vent’anni fa, e certo la pena-lità era sproporzionata all’in-frazione ma il regolamento era quello. Le ultime due gare furo-no vinte da Mick Doohan, campione per la quinta vol-ta consecutiva; Max fu vice-

RESTA INVECE ANCORA APERTA LA FERITA DI BIAGGI IN 500, SU V4

HONDA DEL TEAM KANEMOTO, CHE A BARCELLONA, TERZULTIMA GARA

DELLA STAGIONE 1998, SI PRESENTAVA CON QUATTRO PUNTI PIÙ DI DOOHAN

campione, come nel 2001 e nel 2002 con la Yamaha.Due note, una brutta e una bella. Ai primi di febbraio di quel 1998 Takuma Aoki, pi-lota ufficiale Honda, perse l’uso delle gambe dopo un brutto incidente in un test a Tochigi. Ad Assen inve-ce Marco Melandri vinceva la sua prima gara iridata a 15 anni e 324 giorni, record di precocità. Sono passati vent’anni e Melandri, come Rossi, è ancora qui che prova a vincere le gare.

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Moto.it Magazine N. 318 MotoGP

E’ stata una stagione straor-dinaria, con gare avvincenti e spettacolari e con i piloti italiani protagonisti in tutte le classi: Franco Morbidelli è campione del mondo in

Moto2 (è la prima volta per un pilota italia-no), e Romano Fenati e Andrea Dovizioso sono vice iridati in Moto3 e MotoGP . Ripercorriamo il 2017 con dieci “Oscar”.

MIGLIOR PILOTA: ANDREA DOVIZIOSOFacile indicare i due piloti - Andrea Dovi-zioso e Marc Márquez - che sono arrivati in finale e si sono contesi l’oscar più ambito, più difficile scegliere il vincitore. I numeri dicono che il miglior pilota della stagione è stato Márquez , che ha conqui-stato il suo quarto titolo in cinque anni di MotoGP con sei vittorie, quattro secondi e due terzi posti, per un totale di 298 punti, nonostante tre “zero”, dei quali uno dovuto a una rottura meccanica.Insomma, il suo titolo è stato strameritato, ma per me il pilota dell’anno è stato Dovi-zioso per almeno tre motivi: 1) Ha battuto due volte Márquez all’ultimo giro, in en-

trambi i casi al termine di una gara pazze-sca; 2) ha saputo alternare grinta, perfino incoscienza, a razionalità e calma, in una miscela esplosiva unica; 3) dopo due anni di grandi tensioni ha riportato il motocicli-smo a una sfida fatta solo di sorpassi e ve-locità, senza nessuna polemica. Per tutto questo, ma per molto altro anco-ra, è il Dovi il pilota dell’anno.

MIGLIORE MOTO: HONDASu alcune piste è sembrata la Ducati la moto più equilibrata, ma secondo me, nell’arco del campionato, la Honda è stata complessivamente più efficace. E il confronto con il compagno di squadra conforta la mia tesi.Nel dettaglio (secondo la classifica costrut-tori): Honda: 6 vittorie Márquez, 2 vittorie Pedrosa, quarto nella generale; Yamaha: 3 vittorie Viñales (terzo in campionato), 1 vit-toria Rossi (quinto in campionato); Ducati: 6 vittorie Dovizioso (secondo in campiona-to), 0 vittorie Lorenzo (settimo in campio-nato). In definitiva, i numeri dicono che la Honda è stata la moto più vincente del 2017.

È

I DIECI OSCAR DEL CAMPIONATO 2017

di Giovanni Zamagni

RIPERCORRIAMO IL 2017 CON I NOSTRI DIECI “OSCAR”, PERCHÉ È STATA UNA STAGIONE STRAORDINARIA, CON I PILOTI

ITALIANI PROTAGONISTI IN TUTTE LE CLASSI: FRANCO MORBIDELLI CAMPIONE DEL MONDO IN MOTO2, ROMANO FENATI E ANDREA

DOVIZIOSO VICE IRIDATI IN MOTO3 E MOTOGP.

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LA SORPRESA PIU' BELLA: JOAN MIRDue piloti in finale: Joan Mir, campione del mondo Moto3,e Johann Zarco, sesto nel-la classifica generale della MotoGP con tre podi conquistati e tante gare da protago-nista. Difficile scegliere tra i due, perché quello che ha fatto Zarco era difficilmen-te prevedibile: lo stesso Hervè Poncharal, team manager della sua squadra, ha am-messo che mai si sarebbe aspettato simili prestazioni. Johann, quindi, è andato oltre ogni aspettativa, anche se in Moto2 aveva battuto primati a ripetizione.Per me, però, quello che ha fatto Mir è an-cora più sorprendente, anche se la Moto3 – ovviamente – non è la MotoGP.Ma vincere il titolo come ha fatto lo spa-gnolo al secondo anno iridato, come fece in passato un certo Valentino Rossi, va ol-

tre anche alle prestazioni di Zarco.

LA MIGLIORE PROMESSA 2018: MORBIDELLIPartiva da favorito Franco Morbidelli, e ha confermato tutto il suo enorme potenzia-le conquistando, alla grande, il titolo della Moto2. Franco sembrava avere tutto per diventare grande anche in MotoGP: talen-to, velocità, forza psicologica, carattere, dedizione al lavoro, passione: è sicuramen-te lui il pilota potenzialmente più forte tra i giovani italiani.

IL PILOTA PIU’ DELUDENTE: CAL CRUTCHLOWIn tanti sono in lizza per questo poco ambi-to premio, e purtroppo molti sono italiani: Andrea Iannone, al di sotto di ogni previ-

sione con la Suzuki; Nicolò Bulega, Nic-colò Antonelli, Enea Bastianini (perlome-no in parte) in Moto3; Lorenzo Baldassarri in Moto2. Per me, però, la delusione più grande del 2017 è stato Cal Crutchlow, che dopo aver vinto due GP nel 2016 ha con-quistato un solo podio (terzo in Argentina) nel 2017, facendosi notare solo per le nu-merosissime cadute e gli errori commessi.

LA MOTO PIU’ DELUDENTE: KTM MOTO3Ha deluso la Suzuki in MotoGP, ma è diffici-le capire quanto sia stato colpa della moto e quanto dei (del) piloti: ma complessiva-mente, la delusione più grande del 2017 è la KTM in Moto3, dove ha ottenuto una sola vittoria, due secondi e due terzi posti. Decisamente pochi, considerando il gran-dissimo potenziale della Casa austriaca.

“CASCATORE” DELL’ANNO: MARC MÁRQUEZLe statistiche dicono che il pilota che è ca-duto di più è stato Sam Lowes: 31 volte. Marc Márquez è scivolato “solo” 27 volte, ma è lui il “cascatore” dell’anno: nel suo caso, però, si tratta di un primato positivo, non negativo. Come aveva già fatto altre volte in passato, l'iridato spagnolo ha dimostrato un control-lo della moto unico al mondo, come con-ferma anche il salvataggio nell’ultimo GP di Valencia, quando stava per cadere alla prima curva dopo aver superato Zarco .Anzi, “tecnicamente” lui era caduto: però, è riuscito a salvarsi, con la solita inusi-tata scioltezza. Non bisogna quindi parlare di fortuna, ma di una tecnica che solo lui è in grado di attuare. Più in generale, il

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pilota che finito meno volte a terra è sta-to Valentino Rossi (4); e complessivamente nel 2017 sono state registrate 1.126 scivo-late (primato assoluto), contro le 1.062 del 2016.

RAPPORTO STIPENDIO/VITTORIE: JOR-GE LORENZOQui è facile assegnare l’oscar, in questo caso negativo: per Lorenzo nemmeno un successo, nonostante un ingaggio presumi-bile di 12 milioni di euro all’anno. Inoltre, tra i tre team più forti – Honda, Yamaha e Ducati – Jorge è stato quello che ha fatto peggio rispetto al compagno di squadra, con una differenza di cinque posizioni e 124 punti rispetto a Dovizioso. Curiosamente, anche Valentino Rossi, nel 2011, chiuse il suo primo anno con la Du-

cati al settimo posto, con due punti in più (139) rispetto a quelli conquistati da Loren-zo, che però ha conquistato tre podi, con-tro l’unico di Rossi.

IL PIU’ BEL GP DELL’ANNO: AUSTRALIATre GP si sono contesi il titolo di “GP dell’anno”: Austria (vittoria di Dovizioso su Marquez all’ultimo giro); Giappone (stesso risultato); Australia (Marquez, Rossi, Vi-nales). Nei primi due GP, lo spettacolo è stato dato da Dovizioso e Marquez e si è lottato per la vittoria, mentre in Australia, il successo di Marquez è stato netto, ma i sorpassi sono stati infiniti, con almeno sei piloti protagonisti: Marquez, Rossi, Vinales, Zarco, Iannone e Miller. Alla fine, per me è stato il GP d’Australia il più spettacolare dell’anno. Ma scegliere è stato difficile.

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LA NOVITA’: LE DOMANDE SOCIALLa Dorna ha introdotto le domande “so-cial”, ovvero i quesiti posti dagli appassio-nati di motociclismo ai piloti attraverso i più noti social network.Due gli appuntamenti previsti per ogni GP: uno al termine della conferenza stampa del giovedì, quella di presentazione della gara, e uno al termine della conferenza di saba-to sera, quella con i tre piloti in prima fila della MotoGP e i piloti in pole di Moto3 e Moto2.Ne è venuto fuori un momento piacevole e divertente: alla fine è stato un po’ ripetiti-vo, qualcosa va rivisto, ma nel complesso è stato un esperimento riuscito.

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Moto.it Magazine N. 318 Superbike

Finito il 2017, la speranza è che il 2018 possa esse-re migliore. Guardare al passato purtroppo serve a poco, quindi cerchiamo di pensare al futuro e di farlo

con ottimismo: per quanto riguarda i cam-pionati dei quali mi occupo (Superbike e CIV) penso sia lecito farlo, anche se per motivi differenti.Il mondiale delle derivate dalla serie ha finalmente cambiato strada. Dorna si è svegliata dal letargo nel quale era caduta e sta cercando di sistemare la complicata situazione che si è venuta a creare negli ultimi anni. Ancora una volta, come era già successo nell’era Flammini, i regolamenti hanno permesso che le superbike si allon-tanassero sempre più dalla produzione di serie, permettendo lo sviluppo di una tec-nologia sofisticata e costosa, riservata ai pochi che se la potevano permettere.Le nuove regole sono fumose ed incomple-te, ed hanno scatenato un grande malcon-tento, anche se in realtà non sono ancora state divulgate in forma definitiva. Ma giuste o sbagliate che siano, le rego-le possono sempre essere modificate dalla prova dei fatti. L’importante è che sia la Dorna che le Case costruttrici abbiano de-

ciso di cambiare rotta.Per il prossimo anno non vi aspettate gare completamente diverse rispetto a quelle del 2017, o molti risultati a sorpresa. Vin-cerà sempre il più forte, e in Superbike il più forte si chiama Jonathan Rea. Però di certo le nuove regole compliche-ranno la vita a lui ed alla Kawasaki, per permettere alle altre Case di recuperare il tempo perduto ed ai privati di diminuire il grande svantaggio che attualmente li sepa-ra dai team ufficiali.La situazione attuale, che vede due Case contendersi la vittoria e gli altri a fare da spettatori, si è venuta a creare negli anni, e ce ne vorranno altrettanti per mettere le cose a posto.A mio parere, il 2018 sarà un anno di cam-biamenti e di transizione. La vera rivolu-zione, il vero cambiamento sostanziale, avverrà nel 2019, quando le moto saranno più simili tra loro e Rea sarà, con ogni pro-babilità, emigrato verso il campionato che gli compete, vale a dire la MotoGP.Per l’anno che sta iniziando il mio favorito è ancora lui, ma oltre al “solito” Davies at-tenti a Melandri, che ha un anno di espe-rienza in più sulla Panigale, e soprattutto al giovane talento Razgatlioglu .La Supersport sarà combattutissima come

F

BUON ANNO ALLA SBK, AL CIV E A NOI MOTOCICLISTI!

di Carlo Baldi

UN ALTRO ANNO È PASSATO, E COME SEMPRE LA SPERANZA È CHE IL PROSSIMO POSSA ESSERE MIGLIORE,

ANCHE PERCHÉ QUESTO 2017 SE NE VA PORTANDOSI VIA TROPPE PERSONE CARE, PILOTI, EX PILOTI E TECNICI

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sempre, ma quest’anno, oltre al sultano Sofuoglu ed al campione uscente Mahias, sono certo che anche il nostro Caricasulo sarà in grado di lottare per il titolo.

CIV IN SALUTEIl Campionato Italiano di Velocità gode in-vece di ottima salute, ma non deve fare l’errore che ha fatto la Superbike, vale a dire guardare solo alla situazione attuale, senza prevederne gli sviluppi futuri. Quello italiano è diventato uno dei mi-gliori campionati nazionali al mondo, se non il migliore, e soprattutto adempie al suo compito più importante: permettere ai giovani di mettersi alla prova, crescere e maturare, per prepararsi alle competizioni internazionali.La Moto3 da anni sforna talenti destinati non solo alla stessa classe del motomon-

diale, ma anche ad altre categorie, come ha dimostrato tra gli altri Alessandro Del Bianco, scelto dal team Althea per repli-care i successi di Giugliano e De Rosa nel campionato europeo Stock 1000. Impossi-bile prevedere chi si contenderà nel 2018 il titolo della Moto3, che sarà come al solito deciso negli ultimi giri dell’ultima gara.La Supersport nazionale sarà come sempre il teatro di uno scontro generazionale, tra i giovani emergenti, come il campione 2017 Davide Stirpe, Nicola Morrentino, Lorenzo Gabellini o Marco Malone, ed i campioni consacrati come Massimo Roccoli, Ilario Dionisi ed i rientranti Alessio Velini e Mi-chel Fabrizio.Per quanto riguarda la Superbike, sembra che il dominatore delle ultime stagioni, Mi-chele Pirro, non sarà della partita e quindi il favorito d’obbligo diventa Lorenzo Zanetti,

del team Motocorsa Racing, che dovrà però vedersela con i vari Baiocco, Tamburini e Andreozzi, ma anche con il sostituto di Pir-ro, che dovrebbe essere (manca solo l’uf-ficialità) Matteo Ferrari: dopo due stagioni concluse al terzo posto, il giovane pilota di Rimini si candida quindi al ruolo di avver-sario più temibile per Zanetti.Sarà una Superbike avvincente, ma è pro-prio in questa classe che la Federazione dovrà in futuro cambiare le regole, per evi-tare un aumento dei costi che sta riducen-do il numero dei team e dei piloti. Ridurre i costi e porre un freno alla tec-nologia, con moto il più possibile vicine a quelle di serie. Il che non vuol dire elimi-nare l’elettronica (che è ormai presente su tutte le moto sportive), ma utilizzarla per una maggior sicurezza e per dosare le pre-stazioni. La stessa strada che sembra aver

intrapreso la Dorna.Che sia CIV o mondiale, la Superbike è quindi destinata a cambiare faccia nell’arco dei prossimi due anni.\vvUscendo dall’ambito delle competizioni, per il 2018 mi auguro che la categoria dei motociclisti venga finalmente riconosciuta non solo per i propri doveri, ma anche per i diritti. Il diritto a viaggiare su strade meno dissestate e più sicure, a pagare metà tarif-fa in autostrada (rispetto alle auto), a poter utilizzare parcheggi dedicati, a conseguire una patente o a stipulare un contratto assi-curativo senza dover affrontare costi proi-bitivi. Sarebbe ora di favorire il traffico a due ruo-te, anche perché noi inquiniamo meno del-le auto e contribuiamo a ridurre il traffico nelle grandi città.Buon anno a tutti

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Nancy van de Ven, una delle principali rivali di Kiara Fon-tanesi per il titolo mondiale WMX, è fuori dai giochi per due mesi dopo essersi rot-ta tibia e perone mentre si

allenava in Spagna alla vigilia di Natale; il mondiale comunque inizierà a Pietramura-ta, in Trentino, il 7 e 8 aprile prossimi.A due mesi dal GP di apertura in Patagonia, Youthstream ha annunciato gli OAT (team ufficialmente accreditati), con 36 piloti per classe che hanno la partecipazione garan-tita ad ogni round delle serie 2018 MXGP e MX2.Dopo diversi mesi di ansia, solo due dei pi-loti che avrebbero voluto correre nel mon-diale non sono riusciti a trovare una moto, e sono Evgeny Bobryshev, che correrà per la Suzuki in Inghilterra, e Damon Graulus.Quasi la metà dei piloti regolari del mon-diale correranno con KTM e Husqvarna, cosa che peraltro non sorprende, in quan-

to anche i clienti preferiscono le moto che hanno chiuso nelle prime 3 posizioni in ogni classe l'anno scorso.Solo la Francia, con 10 piloti, ne avrà più dell'Italia, che ne porterà 9 sulla griglia di partenza. Belgio e Gran Bretagna invece ne schiereranno 7 ciascuno, mentre quelli di Paesi Bassi e Spagna saranno 6. Non meno di 21 Paesi porteranno almeno un proprio pilota al gate, un'altra indicazione che il sistema di qualificazione di YS funziona meglio di quelli degli anni '80 e '90, che arrivò quasi a distruggere questa disciplina nei paesi più piccoli, in quanto solo una mezza dozzina di contendenti dominava questo sport.Ad accompagnare Antonio Cairoli nella MXGP ci saranno Alessandro Lupino, Davi-de Bonini e Ivo Monticelli, mentre Samuele Bernardini, della TM Factory, e il campione della EMX250 Morgan Leisardo, saranno affiancati da Michele Cervellin, Nicola Ber-tuzzi e Simone Furlotti nella MX2.

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MXGP 2018: ECCO CHI CORRERÀ LA PROSSIMA STAGIONE!

di Alex Hodgkinson

36 PILOTI, DEI QUALI BEN NOVE ITALIANI: OVVIAMENTE CAIROLI C'È!

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Il Golden Boy, protagonista delle scene del motocross statunitense degli anni a cavallo degli Ottanta, oltre che per essere stato un va-lido avversario dei campioni

di quei tempi, lo si ricorda anche per avere vinto ben sei titoli nazionali outdoor, tut-ti in sella alla Yamaha a partire dal 1977, segnando un record durato una ventina d’anni, sino a quando la classe di Ricky Carmichael nel 2003 segnò un nuovo ca-pitolo nell’albo d’oro americano.

Abbandonato il ruolo di pilota, Broc Glover è ancora al seguito dei campionati d’ol-treoceano, ma come responsabile tecnico del racing service Dunlop, che vanta le principali squadre partecipanti al National e al Supercross. In occasione di un no-stro incontro, ci ha fatto il pronostico del-la prossima stagione indoor che si apre il 6 gennaio all’Angel Stadium di Anaheim, California.

«Considerata la mia posizione in Dunlop, che mi porta va lavorare a fianco di quasi tutti i migliori piloti attuali, cerco di non

fare favoritismi e di non avere preferenze tra loro. Detto questo, anche alla luce del-le ultime gare del 2017 non penso che si debba essere dei geni per capire chi posso-no essere i favoriti della prossima stagione 450. Ad iniziare da Marvin Musquin, che ha fatto così bene in quest’ultima parte dell’anno; Eli Tomac, sempre bello da ve-dere sulla moto; un Dean Wilson in ascesa e un Jason Anderson che sta diventando sempre più forte, grazie ad una maggiore consapevolezza delle sue possibilità. Per me comunque l’importante è vedere delle belle gare, gli aspiranti al podio sono molti, ma questo è un aspetto che mi af-fascina meno».

La classe 250 la vedi più contesa?«Non sai mai cosa aspettarti da questa classe, basta pensare all’incidente in cui Austin Forkner si è fratturato un polso an-cora prima dell’inizio. Questa categoria è comunque sempre combattuta e diverten-te da vedere, ma difficile da pronosticare».

Il calendario è confacente alle esigenze di team e piloti?«Gli organizzatori cercano di proporre il mi-

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BROC GLOVER: I MIEI FAVORITI DEL SUPERCROSS 2018

di Massimo Zanzani

IL FUORICLASSE CALIFORNIANO, CHE CONTINUA A SEGUIRE IN PRIMA PERSONA L'SX USA, HA RACCONTATO A MOTO.IT COSA SI ASPETTA

DALL’IMMINENTE STAGIONE SUPERCROSS

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gliore compromesso tra date e disponibilità degli stadi, ma non sempre si può soddi-sfare tutti. Secondo me andava evitato solo il cambia-mento dell’assegnazione dei punti: tutte le volte che si è tentato qualcosa di diverso in passato, non ha mai migliorato lo spettaco-lo ed inoltre si rischia di creare confusione tra gli appassionati, che hanno a che fare con un punteggio e quindi un regolamento diverso nel National e nei GP. La modifica alle semi finali ci può anche stare, ma il resto l’avrei lasciato come era, avrei preferito invece che al posto di avere in alcune tappe tre finali o l’accorpamen-to di Costa Est ed Ovest, avessero trova-to qualche soluzione per abbassare i costi delle gare, che in questo momento sono

troppo alti per tutti, ed in modo particolare per la classe 250».

Come consideri l’attuale livello dei piloti? «Se si guarda attentamente quello che fanno specie nel Supercross, si capisce come la loro abilità sia molto alta: è in-credibile vedere quello che riescono a fare in pista, il problema è che quando fanno degli errori spesso la pagano con infortuni che non gli permettono di correre l’intera stagione. Quindi vanno sottolineati il loro ritmo di gara e le loro capacità tecniche, il pro-blema è che devono mantenere queste prestazioni in tutte e 17 le prove della stagione, diversamente è impossibile ag-giudicarsi il titolo».

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Anaheim 1: anche quest'an-no ce la siamo messa alle spalle. La gara più atte-sa, l'apertura del Super-cross 2018, non ha deluso le aspettative, regalando

la solita messe di duelli, sorprese e po-lemiche. Innanzi tutto va segnalato che per la prima volta in forse 10 anni l'An-gel Stadium ha registrato il tutto esau-rito: 60mila appassionati hanno riempito gli spalti a discapito del fatto che ormai la gara si può veramente guardare ovun-que in diretta e in qualsiasi modo, dalla TV allo smartphone. Un aspetto che nelle stagioni passate veniva indicato come il motivo principale per cui si stesse regi-strando un costante calo di pubblico ma che sabato sera, evidentemente, non ha significato nulla.In pista i piloti non hanno deluso le aspet-tative, anche se molti di loro hanno di-chiarato apertamente di aver sentito la pressione di dover dare il meglio di se da-vanti a una "full house". Adam Cianciarulo lo ha descritto molto bene: "Io ho sempre corso la Costa East ma in un modo o nell'altro sono stato ad A1 fin dal 2008. Però non ho mai visto lo

stadio così pieno. Nel pomeriggio gli spalti erano quasi vuoti e dunque non ci ho fatto caso, ma quando sono uscito dal tunnel per la prima heat della serata mi è venuto un groppo allo stomaco, non mi aspettavo tutta quella gente. Sia nella heat che nel Main Event ho corso i primi giri molto teso, sperando di non fare la figura del pollo davanti a 60mila persone".La gara della 250 non ha offerto molte emozioni, grazie (o "per colpa di") ad uno strepitoso Shane McElrath che ha condot-to la finale dal primo all'ultimo giro sulla sua KTM Factory gestita dal Team Troy Lee Designs. Shane ha guidato in modo perfetto e ha fatto il vuoto dietro di se, lasciando Plessinger e Cianciarulo a com-battere per gli altri due gradini del podio. McElrath non è certo uno di quelli che si fanno notare quando non è in sella: molto concentrato e preciso fin nei minimi det-tagli, in qualche modo esce dallo stereo-tipo del pilota yankee spaccone e "super cool". Volendo fare un paragone, Shane sembra più Robocop che Capitan Ameri-ca, per intendersi. Ma è anche molto simpatico e disponibile, e sa bene come il risultato finale di que-

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AMA SUPERCROSS ROUND 1: ANAHEIM-I, TOMAC RESTA

CON LA PATTA APERTAdi Pietro Ambrisioni

MUSQUIN DOMINA, ROCZEN RECUPERA. A MCELRATH LA 250. TANTI GLI SPUNTI DAGLI USA: VILLOPOTO PASSA IN YAMAHA (!) E TOMAC

BUTTA AL VENTO LA GARA CON LA PATTA APERTA

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sto Campionato West Coast 2018 dipenda prima di tutto da sé stesso. "Nella off-season onestamente non sa-pevo nemmeno a che livello fossi: per mesi ho seguito la stessa routine e gli stessi allenamenti ma alla fine ero chiuso nella mia campana di vetro e solo una volta sceso in pista per la prima heat (che ha vinto - Nda) ho capito di essere messo bene. Anche lo scorso anno ho vinto qui ad A1 ma è stato un turbine di emozioni che non mi aspettavo. Vincere la finale, salire sul podio e ri-cevere la tabella rossa in qualche modo mi ha scombussolato emotivamente e ha sicuramente influenzato il resto della

mia stagione. Quest'anno però è diverso: mi sono allenato duramente, conosco il mio valore e non sento alcuna pressione. So che Plessinger, Cianciarulo e tutti gli altri non mi concederanno niente e sa-ranno pronti a sfruttare ogni mia indeci-sione, quindi dovrò rimanere concentrato e semplicemente guidare come ho dimo-strato di saper fare".Ride anche Justin Hill, campione in carica dopo essersi aggiudicato il titolo 2017 in sella alla Kawasaki del Team Pro Circuit. Ma ride perché lui è fatto così, sempre ottimista e gioviale anche quando le cose non vanno bene. E sabato sera per lui niente è anda-

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to bene, sebbene abbia messo a segno il miglior tempo nelle qualifiche del po-meriggio. Ho sentito gente nel paddock puntare il dito sulla sua nuova moto, la Suzuki Factory gestita dal Team JGR, ma non credo sia quello il problema. Se non hai feeling con la moto col cavolo che fai segnare il miglior tempo in prova: a questi livelli non si scherza, tutti i piloti danno il 120% ogni volta che scendono in pista. La spina nel fianco di Justin, invece, sono state le partenze, davvero inguardabili. E qui bisogna soffermarsi a parlare della principale novità del Supercross 2018, ov-vero la grata di metallo che da quest'an-no viene piazzata dietro al cancelletto, e che ha cambiato completamente la tec-nica di partenza per tutti. Il fattore prin-cipale ovviamente è il grip, che aumenta in modo esponenziale."Adesso devi rispettare i cavalli della tua

moto come se fossi in sella ad una 450 - ci ha detto McElrath - prima sulla terra potevi fare praticamente quello che vole-vi e la moto la gestivi facilmente. Adesso è un attimo sbagliare e se devi correggere la tua gara è praticamente compromessa". Aaron Plessinger ha invece dichiarato di essere riuscito a perfezionare la nuova tecnica di partenza solo tre giorni prima di Anaheim: "Ci ho lavorato per settima-ne, ma la moto mi si impennava sempre e non riuscivo a venirne fuori. Meno male che ne sono venuto a capo giusto in tempo, `dipende tutto da come usi la frizione". Un altro grosso fattore che la grata di ferro ha introdotto è che le moto sono più alte (non scendendo nel canale che si crea nella terra) e adesso molti piloti devono usare dei blocchi di partenza per poter mantenere il peso del corpo il più avanti possibile.

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Sembra un problema solo per i piloti più bassi, ma i blocchi li usa anche Adam Cianciarulo, tra i più alti se non il più alto pilota nella classe 250. "Sulla mia pista privata ho installato una grata per provare le partenze, anche se non potevo essere sicuro che fosse esat-tamente come quella che avrei trova-to qui. Uso i blocchi anche se sono alto perché mi piace poter caricare ancora di più l'anteriore e contrastare le impenna-te che adesso sono molto frequenti dato che la ruota posteriore praticamente non slitta e scarica tutti i cavalli in modo mol-to più efficiente".Prima di passare al piatto forte, la classe 450, parliamo per un attimo delle pole-miche. Quella legata al nuovo sistema di assegnazione dei punti è, francamente, del tutto sterile. In base al nuovo re-golamento il vincitore di un Main Event prende adesso 26 punti anziché 25, men-tre secondo ne prende 23 ed il terzo 21.

In molti hanno ripreso in mano la clas-sifica del 2017 e hanno visto come To-mac, grazie alle sue 9 vittorie, in base al nuovo sistema di assegnazione dei punti avrebbe ottenuto lo stesso punteggio fi-nale di Dungey, ma avrebbe anche vinto il campionato in virtù del maggior nume-ro di affermazioni nei singoli Main Event. Ottimo materiale per una discussione da bar... lasciamo ai lettori ogni ulteriore commento.La seconda polemica è decisamente più "succosa". Sabato mattina abbiamo rice-vuto in sms di presentarci al camion Ya-maha alle 9 in punto per un "annuncio molto importante". In modo molto infor-male e senza troppe cerimonie, a tuta la stampa presente è stata comunicata la bomba: Villopoto è adesso il nuovo te-stimonial e ambassador Yamaha. Si, lo stesso Ryan Villopoto che ha speso la sua intera carriera in sella alle verdi adesso è l'uomo immagine delle blu. Il fattore

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shock, per chi ha buona memoria, è stato molto simile a quando Stefan Everts ha annunciato alla stampa attonita al Moto-cross delle Nazioni del 2008 di passare in KTM, dopo aver dominato negli ultimi 9 anni della sua carriera proprio in sella alle Yamaha.Non ho perso tempo e ho parlato subito con Ryan, approfittando del momento di silenzio assoluto che ha seguito l'annun-cio. "Ryan - gli ho detto - è la prima volta che ti vedo sorridere nel giorno di gara... Dimmi esattamente di cosa si tratta e per quanti anni hai firmato". "Il contratto per ora prevede un solo anno - mi ha detto Ryan - e praticamente mi vede come uomo immagine e marketing Yamaha. Si, in effetti sorrido perché sono molto contento e dopo anni di gare, al-lenamenti e praticamente fare la stes-

sa cosa giorno dopo giorno, adesso ho l'opportunità di aprirmi a molte nuove discipline ed attività. Svilupperò la 450 ed anche la 125 2t (!) ma sarò impegnato anche sulla moto da strada, correrò un paio di gare della Hooligan Race di flat track su una moto costruita ad hoc e pre-derò parte anche a diversi eventi di UTV e side by side". Riguardo ai suoi rapporti con gli altri pi-loti del Team è stato molto chiaro: "Il mio accordo è con Yamaha USA, non con il Team, quindi non ci sarà nessun coinvol-gimento diretto. Non voglio che Webb o Barcia pensino che voglia imporgli le mie scelte, anche perché quello che andava bene per me non è detto che funzioni anche per loro. Ovvio che sono qui a disposizione, e se vogliono parlarmi o hanno bisogno di

qualsiasi consiglio sanno perfettamente dove trovarmi".Eccoci, finalmente, alla classe regina, la 450. Nei giorni immediatamente prima di Anaheim 1 tutta l'attenzione era concen-trata su 3 aspetti, che sono stati ribaditi fino alla nausea. A che punto è il recupe-ro di Roczen? Potrà Musquin continuare la serie di successi iniziata alla Monster Energy Cup e nelle gare della off-season europea? Infine, dopo i 9 successi del-lo scorso anno, Eli Tomac sarà l'uomo da battere?Beh, A1 ha dato le sue prime risposte. Una delle cose che sentirete più spesso nelle conferenze stampa prima dell'inizio del Supercross (io fino ad oggi ne ho se-guite 14) è il detto "Ad Anaheim 1 non puoi vincere il campionato, ma lo puoi perdere". Il messaggio sottinteso è che

non bisogna mai strafare pur di vincere la gara più attesa dell'anno, perché il cam-pionato è lungo e tutto può succedere. Allo stesso modo, se si spinge troppo e si fa un errore grave, si rischia di mandare a monte un'intera stagione. Non ci pos-so giurare ma credo che queste parole abbiano tormentato i sogni di Eli Tomac sabato notte.Ma andiamo in ordine.Ken "il guerriero" Roczen ha fatto vedere che il suo recupero è pieno, e lo ha dimo-strato alla grande. Il tedesco, beniamino della folla assieme a Reed, non solo ha fatto segnare il miglior tempo in prova, ma ha lottato come un leone tutta la sera, chiudendo quarto in finale. Forse le indicazioni più significative sono arriva-te da come abbia recuperato delle brutte partenze: se da un lato dovrà per forza

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migliorare la sua tecnica per adattarsi al nuovo start, dall'altro si è visto chiara-mente come Kenny non stia guidando di conserva, magari cercando di proteggere il braccio sinistro. Nella heat di qualifica ha avuto qualche bel contatto con Mu-squin, e in finale non si è tirato indietro una sola volta quando c'era da suonare la carica in mezzo al gruppo. L'unico rischio lo ha corso sulla piccola sezione ritmica dopo la prima curva, la stessa che ha vi-sto molti piloti andare a terra e che è costata a Tomac forse più della semplice vittoria.Ma prima di passare al grande sconfitto di A1 parliamo velocemente di una con-ferma, Jason Anderson, e di una grande sorpresa, il resuscitato Justin Barcia. An-derson non ha bisogno di presentazioni, anche il suo nome è sempre l'ultimo a

venir fuori quando si parla di potenziali vincitori. Jason ha vinto qui nel 2016 e la sua vittoria più recente in un Super-cross è stata Las Vegas 2017. Eppure gli manca ancora qualcosa, certamente non la velocità quanto piuttosto la costan-za nei risultati, derivante forse da una guida un po' troppo sporca che non gli permette di trovare il giusto feeling con tutti i tracciati. Di sicuro è uno che non si tira indietro quando arriva il momento di dare qualche spallata, e onestamen-te quando in finale ha raggiunto Barcia, tutto lo stadio si aspettava di assistere ai fuochi di artificio tra i due piloti più fisici del Supercross. Invece Justin si è quasi fatto da parte, evidentemente contento di portare a casa un podio quando meno di tre mesi fa stava pensando di ritirarsi e meno di un mese fa non sapeva ancora

con che moto avrebbe corso nel 2018. "Sicuramente un'altalena di emozioni che mi ha insegnato molto - ha detto Barcia in conferenza stampa - passare dalla vo-glia di ritirarsi ad un podio ad Anaheim 1 è una sensazione fantastica. D'ora in poi non darò più nulla per scontato, il mio contratto con Yamaha prevede solo sei gare ma so per certo che hanno le risorse per gestire tre piloti se davvero lo voglio-no (gli altri due sono Webb e l'infortuna-to Millsaps - Nda). La chiave per il mio destino è in mano mia, correrò gara per gara cercando di dare il meglio e spero che se avrò fatto bene il mio lavoro Ya-maha mi confermerà anche per il resto del campionato".Chi non ha certezze e sicuramente non sta sorridendo in questo momento è Eli Tomac. L'ufficiale Kawasaki è stato veloce tutto il giorno, pur non apparendo mai veramente fluido. In finale ha azzeccato lo start e sembrava in grado di staccare tutti, specialmente dopo aver fatto se-

gnare il giro veloce. Ma, in un modo che ormai non sorprende più nessuno, Eli sot-to pressione ha ancora una volta buttato tutto al vento ed è caduto sulla sezione ritmica di cui dicevamo sopra. Ha battu-to la spalla sinistra (ma pare che non sia niente di grave) e soprattutto è rimasto completamente disorientato, tanto che dopo essere ripartito molto indietro si è fermato nuovamente per allacciare i pan-taloni che si erano aperti durante la ca-duta. Uno spettacolo quasi comico, espo-sto in maniera impietoso dalla televisione in diretta planetaria, che la dice lunga su quanto la caduta improvvisa abbia scon-volto un pilota che non fa certo della for-za mentale la sua punta di diamante.A frittata fatta, e praticamente ultimo, Tomac ha poi deciso di darci un taglio e dirigersi ai box anzitempo.Vedremo quanto questa débâcle influi-rà sul suo campionato, anche in funzio-ne del fatto che il suo nemico numero 1, Marvin Musquin, ha colto una vittoria

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fantastica ma anche abbastanza sconta-ta. Il francese ha guidato la sua KTM Red Bull al limite (prova ne sia che a 6 giri dalla fine è quasi caduto anche lui sulla stessa sezione che ha atterrato Tomac) ma sempre danzando come solo lui sa fare. Personalmente sono convinto che sia nelle cronometrate del pomeriggio che nella sua heat di qualifica MM25 si sia tenuto un po' coperto, per fare un po' di tattica. Non sarebbe la prima volta che un francese si comporta in questo modo, come dimostrano gli illustri precedenti di Jean Michel Bayle e, recentemente, Chri-stophe Pourcel.Quando è scattato il via del Main Event, però, i 60mila di Anaheim hanno potuto vedere per la prima volta il vero Marvin e anche se Tomac non fosse caduto è lecito pensare che la sua non sarebbe comun-que stata una cavalcata solitaria. "Vince-

re qui è fantastico - ha detto poi Mu-squin - anche perché sostituire Dungey come pilota numero 1 del Team non sarà mai facile, non solo per quanto a vinto ma per la grande persona che è. L'anno scorso da me ci si aspettavano dei piaz-zamenti a podio, ma da quest'anno devo vincere, quindi è bello poter iniziare su-bito bene. La pista stasera non era molto tecnica (Anaheim 1 non lo è mai, proprio per aiutare i piloti ad entrare in modalità "full race") - Nda) per cui abbiamo gui-dato tutti al limite per poter trovare quel mezzo secondo di vantaggio sugli avver-sari, io stesso ho quasi fatto un disastro a pochi giri dalla fine".Come già detto e ridetto, Anaheim 1 non vale un campionato, ma le indicazioni sono importanti: allo stato attuale Mu-squin ha l'enorme vantaggio di una tec-nica di guida sopraffina, che lo aiuta in

tutte le situazioni. Curva stretto, gestisce in modo splendido i "wheel tap" sulle ritmiche più intrica-te e ha sempre un asso nella manica da giocarsi quando la partita si fa intensa. I suoi due limiti più grossi, invece, sono la tecnica sulle whoops e un punto di do-manda sulla capacità di essere aggressivo e "cattivo" quando serve. Le whoops più profonde (qui le chiamano "giant" o "monster"), come molti di voi avranno già notato, Marvin le salta due o tre alla volta, mentre praticamente tutti gli altri piloti le affrontano galleggiando sulla cima, tenendo una marcia alta. Non so esattamente quale delle due tec-niche sia la meno rischiosa, ma ad occhio la seconda sembra la più redditizia in ter-mini di velocità. E probabilmente anche quella meno sensibile al cambiamento della pista con il passare dei giri. La guida

precisa di Musquin gli permette comun-que di saltare e gestire ogni cambiamen-to, e comunque nelle piste più tecniche saranno altri i punti in cui saprà fare la differenza. Per cui secondo me, da quel punto di vista il "vero" MM25 non è an-cora uscito. Rimane l'aspetto fisico, che un po' sconfina anche in quello mentale. Psicologicamente il francese è sicura-mente granitico, altrimenti non vinci le tre manche della Monster Energy Cup in scioltezza quando c'è in palio un milione di dollari. Dal punto di vista della fisicità invece non so esprimermi. Credo che le vere risposte arriveranno più avanti in campionato, quando sarà il momento di confrontarsi più da vici-no con torelli come Anderson, Roczen, Barcia, Baggett o lo stesso Tomac, che come noto non sono esattamente leggia-dre ballerine.

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DAKAR 2018: PERÙ-BOLIVIA-ARGENTINA. QUALE MOTO?

di Piero Batini

SUNDERLAND DETENTORE, KTM OVVERO SEDICI DI FILA. UNA BELLA RAPPRESENTATIVA DI CONCORRENZA, SEMPRE PIÙ AFFILATA.

GONÇALVES INCERTO, SUDAMERICANI SULLA BRECCIA

Lima, 1 Gennaio. KTM ha vinto tutte le ultime sedici edizioni della Dakar. Ovvero è imbattuta dal giorno del primo successo, consegna-to alla Marca austriaca nel

gennaio del 2001 da Fabrizio Meoni al ter-

L mine di una Gara da far accapponare la pel-le. Indimenticabili, quella edizione del Rally e il nostro Pilota.Oggi KTM si presenta con il detentore, Sam Sunderland, e una Squadra ormai collauda-ta che spinge in prima linea anche Matthias Walkner, Antoine Meo e Toby Price, vinci-

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tore dell’Edizione 2016, non perfettamente recuperato dai suoi acciacchi, ma indoma-bile. Di “sospetto”, KTM porta a Lima anche la sua nuova 450 Rally Factory, la moto che ha debuttato in Marocco. È una Moto completamente nuova, e porta in dote il pieno della tradizione “operativa” della Casa austriaca, basata su un’evolu-zione accorta e costante e lunghe fasi di collaudo. La 450 Rally è più leggera, più affilata, più piccola insomma, con un nuovo motore che ne esalta le caratteristiche di agilità ma che promette di spingere ancor più lontano la Regina “moderna” della Dakar. Con una KTM semi-ufficiale anche alcuni tiratori franchi, come Gerard Farrés, terzo lo scorso anno, Stefan Svitko, Cervantes o Laia Sanz, solo per fare qualche nome, e l’”Armata Gemella” delle Husqvarna, ca-pitanata dal Campione del Mondo Pablo Quintanilla.Honda e Yamaha sono gli avversari “stori-ci”, e anche, un po’, le alternative frustra-te dell’ultima era della Dakar delle Moto. Honda, uno Squadrone, in parte e al ver-

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tice rivisitato dopo l’incerto, ma discusso, dello scorso anno. Joan Barreda, l’incerto (incidente) Paulo Gonçalves, Michael Met-ge, Kevin Benavides, Ricky Brabec. Anche la 450 Factory giapponese è stata oggetto di molte migliorie ed evolve co-stantemente, a volte un po’ troppo. Yamaha riparte da Adrien Van Beveren, Franco Caimi e Xavier de Soultrait, e una Moto che è forse la più “variabile” degli ultimi anni, spesso veloce, non sempre perfetta, ma potrebbe anche essere l’anno della “maturità”.Nessuno sta a guardare, neanche i ruo-li cosiddetti secondari, poiché c’è sempre

una Dakar aperta alle sorprese del buon lavoro e della buona volontà, dell’inventi-va. Quest’anno arriva Gas Gas, sorpresone con una Squadra completamente rifatta da zero, a partire dalla testa: quest’anno Gio’ Sala Manager, linea d’attacco incentrata sul ritorno di Johnny Aubert e la promozione di Jonathan Barragan, e una Moto che… aspettate un momento per la sorpresa. Ritornano più “adulte” anche Hero, dell’a-mico Volfgang Fischer, che introduce Oriol Mena, e Sherco, con il monumentale Joan Pedrero e Adrien Metge.Italiani. Bella Squadra. Anzi uno Squadrone, che si bilancia ormai

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equamente sulle linee di forza di Alessan-dro Botturi e di Jacopo Cerutti, a buona ragione ritenuti i nostri rappresentanti più forti. In sella rispettivamente a una Yama-ha che definiremmo semi-ufficiale Botturi, con una Husqvarna semi… italiana Cerutti. Poi, con una KTM Alessandro Ruoso, Al-berto Bertoldi, Gabriele Minelli e Livio Me-telli, con una Husqvarna Fausto Vignola e Maurizio Gerini. Non molti, ma tutti bravi, i nostri!Come definire la Dakar 2018 delle Moto? Anche senza saper né leggere né scrivere, avvincente.

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San Juan de Marcona, 8 Gennaio. La Dakar è sempre appesa a un filo, questo sia chiaro. Ma talvolta quel tipo di sospensione diventa un isterismo del destino.

O della mala intelligenza, come dicono qui, in questo Magnifico Paese che è il Perù. Altro giro, terza tappa, e siamo ormai con un terzo dei concorrenti out o KO. Roba da non credere, il Rally partito in salita as-somiglia tremendamente alle edizioni di trent’anni fa, quando era capace di far fuori metà dei concorrenti in un paio di giorni. Va bene, la situazione è assai meno dram-matica di quanto si dipinga, ma c’è già pa-recchia gente che è lì, a mordersi le mani o rosicchiarsi le unghie.ìTra Pisco e San Juan de Marcona, la 40ma Dakar continua a scendere verso Sud lungo la dorsale del Pacifico. È uno spettacolo unico, i paesaggi sono stupendi, la natura esplode meraviglie sen-sazionali, ma ci sono anche terreni duri, in-grati, che Marc Coma & Co. hanno scelto a bella posta e con grande cinismo (buono) per rendere infernale la vita dei Dakariani. Sensazioni e dejà vu che fanno parte della

Storia e che nessuno rinnega ma, certo, il risultato è quello di una edizione anniver-sario spietata. Tiriamo una riga e diciamolo subito: la Da-kar è questa!Hanno vinto Sam Sunderland (KTM), Nas-ser Al Attiyah (Toyota), Ignacio Casale (Quad Yamaha). Cose già viste. Ha vinto l’IVECO, l’Elefante del Deserto Italiano dell’argentino Federico Villagra, e questa volta si tratta di un inedito, di una magnifica prima volta. Purtroppo nella ter-za Tappa hanno perso in molti, in alcuni casi disastrosamente. Non so se iniziare dalle Macchine o dalle Moto. Stiamo dalla parte della cronologia e occupiamoci del disastro combinato da Joan Barreda. Il ragazzo è forte, il più ve-loce di tutti quanti, ma pare che non ce la faccia neanche questa volta. Partito con un polso dolorante, non troppo ma si sà, andare in moto è una cosa che si fa bene solo se si è al 100%, Barreda ha corso fino alla terza tappa, quasi compresa, come da manuale. Calmissimo il primo giorno, fortissimo il se-condo, ed era in testa. Come da copione doveva aprire la pista, ma lo ha fatto così

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SUNDERLAND, AL ATTIYAH & ATTI OSCENI

di Piero Batini

CORSI E RICORSI, E AMARO IN BOCCA. DISASTRO BARREDA, ROMA IN OSPEDALE. IL PRINCIPE VINCE DI NUOVO, “PETER” VA IN TESTA,

TUTTA LA SQUADRA PEUGEOT È IN AGGUATO. BIS AUTOREVOLE DEL CAMPIONE IN CARICA DELLE MOTO. VOGLIAMO PARLARE ITALIANO?

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bene, sui 300 chilometri della terza Tap-pa da Pisco a San Juan de Marcona, che nessuno è riuscito ad a andare a prender-lo. La gara perfetta… fino a 20 chilometri dall’arrivo, quando di fronte a un bivio non evidente il catalano ha preso la strada sba-gliata. Il deserto di Ica è particolare.Aperto, molto ampio e con un’infinità di piste. Porta all’errore, perché è facile sce-gliere una pista divergente solo perché è più battuta, o meno ripida. E poi resta uguale da tutte le parti, cosicché quando Barreda si è reso conto dell’errore aveva già buttato una ventina di minuti al vento.Adesso non c’è molto da scegliere. Barreda crolla dal primo a quattordicesimo posto. Per vincere deve recuperare due minuti al giorno. Il polso continuerà a fargli male.

Prima resisteva volentieri e ha dimostrato che poteva convivere in maniera eccellen-te con il fastidio, adesso magari gli darà anche… sui nervi. La velocità Joan ce l’ha, ha bisogno di un po’ di fortuna, e di quella Squadra, fatta attorno al Pilota, che riesca finalmente a lavorare solo per il suo Pilota, in modo au-tonomo e in modo da essere il resto della componente. Naturalmente Barreda dovrà vedersela con il fronte della Dakar più interessante che si possa immaginare. Nella prima dozzina di classificati a San Juan de Marcona ci sono 4 Marche, otto nazionalità, quattro tra vin-citori e piazzati alla Dakar e 3 Campioni del Mondo. Almeno la metà di questi può vincere e nessuno sembra davvero un se-

condo livello. Gara bellissima. Tornando a Barreda, sarà interessante vedere, senza pregiudizi, dove riuscirà ad arrivare, e tenere presente che lo spagnolo la sua lepre ce l’ha in quel Benavides che involontariamente cerca di fargli ombra nel Team e che è, adesso, se-condo ma non distante alle spalle dal lea-der e detentore Sam Sunderland.Oggi una macchina è andata a fuoco, la Toyota dell’argentina Alice Reina, man-dando in fumo un sogno nel più brutale dei modi. Alice, in lacrime, ha detto che tornerà. In mattinata il motociclista ceko Klimciw è caduto poco dopo il timbro e ha chiuso la sua Dakar sull’elicottero medico, e in ospedale ci è finito anche Joan Roma, per uno strano incidente. Sembra che Nani abbia perso conoscen-za sbattendo la testa dopo un salto, e che quindi abbia continuato a premere sull’ac-

celeratore con la Macchina fuori controllo. Il navigatore, Alex Haro, ha tirato il freno a mano e aperto il contatto di accensione, ma la macchina è andata in tonneau varie volte. L’Equipaggio ha saputo riparare e conclu-dere la Speciale, ma subito dopo i medi-ci hanno spedito il vincitore del 2004 in Moto e 2014 in Auto in ospedale, dove per fortuna pare non si siano riscontrati danni particolari al testone del nostro amico. In bocca al lupo Nani, rientra presto.Non a questo giro, tuttavia, e per lo Squa-drone Mini quella ancora in corso pare es-sere una Dakar in un vicolo cieco. Fuori Menzies, in regime di forfetaria Garafu-lic e Al Rajhi, restano in qualche modo in gara l’argentino Terranova e il polacco Przygonski. Hirvonen è retrocesso al 20 posto e non si sa ancora in che modo potrà continuare.

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Una disfatta. Ma Sven Quandt non ha col-pa, certo. La colpa è della Dakar.Certo è meglio avere una Macchina aggior-nata. Le cose vengono meglio. Non più fa-cili ma meglio. Nasser Al Attiyah ha ripre-so a correre forte, molto forte, ha vinto la tappa e tiene giù dal podio Sébastien Loeb. In questo modo la nuovissima Toyota Hilux fa bella figura, Pilota e Marca dimostrano di meritare il titolo di “Avversario” e di po-tersi infilare tra le maglie strettissime della rete Peugeot. La differenza di comportamento e di at-titudine, e a questo punto anche di stra-tegie tra i Team Toyota Gazoo e Peuge-

ot Sport è notevole. In questo momento Nasser è nettamente svantaggiato, e non solo perché al comando del Rally è tornato il più grande di tutti, Stephane Peterhan-sel. Nasser è da solo contro una Squadra di fuoriclasse con la Macchina regina. Ten Brinke e Giniel De Villiers, bravissimi, ba-sano la loro corsa su altre chiavi tattiche. Da un punto di vista psicologico il Principe del Qatar non ne risente. Non è nuovo a correre in solitario, e la sua strategia, logica e dimostrata fino alla con-clusione della terza tappa, è la più sempli-ce e rischiosa: attaccare. Ma la grande differenza, a questo punto, la

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stanno facendo proprio le Macchine e non i Fuoriclasse. Basta vederle passare per ren-dersi conto che le Peugeot continuano ad avere una marcia in più e possono puntare più che sulla velocità sul ritmo, sul passo, di gran lunga il “metodo” più redditizio per domare una Dakar, soprattutto se difficile e insidiosa come dimostra di essere questa strana, bella, evocativa edizione.Cerchiamo italiani. Botturi dove sei?

Cerutti que pasa? Camelia que haces? Siamo in ribasso, ma sotto un certo aspet-to è molto meglio starsene così “tattica-mente” tranquilli aspettando tempi miglio-ri. Certamente torniamo volentieri sulla corsa di Eugenio Amos, nostra speranza assoluta, che con il non nuovissimo buggy di Gache continua letteralmente a strabi-liare. Ancora una tappa eccellente, e “sia-mo” al tredicesimo posto.

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COLLABORATORI Nico CereghiniGiovanni ZamagniCarlo BaldiMassimo ZanzaniPiero BatiniAntonio GolaEnrico De VitaAntonio PriviteraAlfonso RagoMassimo ClarkeMax MorriAndrea BuschiPietro AmbrosioniLuca FrigerioAlberto CapraAlex Hodgkinson

PROGETTO GRAFICO: Camilla Pellegatta

VIDEO: Luca Catasta, Fabrizio Partel, Antonio Mulas, Camilla Pellegatta

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