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Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 1 PROGRAMMA : Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a Padova entro le ore 10.00. (PRATO DELLA VALLE, S. GIUSTINA, S. ANTONIO, PIAZZA ERBE….) pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico. Ore 16.00 Partenza per Trieste e arrivo per le 18.30 Cena e TRIESTE by Night HOTEL VILLA NAZARETH, Via dell'Istria, 69, 34137 , TRIESTE TELEFONO: 040-771682 E-MAIL: [email protected] WEB: www.villanazareth.com Mercoledì 21 agosto

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Dal 21al 24 Agosto. Pellegrinaggio organizzato da un gruppo familiare per le famiglie della Comunità Pastorale "San Paolo" in Giussano. E' una esperienza di amicizia e di condivisione oltre che di arricchimento spirituale e culturale. Visiteremo Padova, Trieste, Monselice, Redipuglia, Grado, Aquileia, Arquà Petrarca, Santuario di Barbana e Vicenza.

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Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 1

PROGRAMMA : Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a Padova entro le ore 10.00. (PRATO DELLA VALLE, S. GIUSTINA, S. ANTONIO, PIAZZA ERBE….) pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico. Ore 16.00 Partenza per Trieste e arrivo per le 18.30 Cena e TRIESTE by Night

HOTEL VILLA NAZARETH, Via dell'Istria, 69, 34137 , TRIESTE TELEFONO: 040-771682 E-MAIL: [email protected] WEB: www.villanazareth.com

Mercoledì 21 agosto

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Padova LA BASILICA DEL SANTO

L'ESTERNO L'attuale Basilica è in gran parte l'esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni, che si sono succedute nell'arco di una settantina d'anni: 1238-1310. Ai tempi di sant'Antonio qui sorgeva la chie-setta di Santa Maria Mater Domini, poi inglo-bata nella Basilica quale Cappella della Ma-donna Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era sorto il convento dei frati fondato probabil-mente dallo stesso sant'Antonio. Deceduto nel 1231 all'Arcella, a nord della città, dove sorgeva un monastero di clarisse, il suo corpo - secon-do il suo stesso desi-derio - venne tra-sportato e sepolto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini. Il primo nucleo della Basilica, una chiesa francescana a una sola navata con abside corta, fu ini-ziato nel 1238; ven-nero poi aggiunte le due navate laterali e alla fine si trasformò il tutto nella stupenda co-struzione che oggi ammiriamo. L'INTERNO

Ci si può portare agli inizi della navata centra-le. Si noterà subito come l'architettura, pur sempre gotica nell'alzata, si distingue netta-mente in due parti: quella delle navate (in cui ci si trova) e quella dell'abside oltre il transet-to. Non soltanto perché quest'ultima è tutta affrescata, ma soprattutto per la diversa tipo-logia del gotico. L'area delle navate appare di ampia spazialità, ritmata da entrambi i lati da due calme e solenni campate. Sopra di esse, sia a sinistra che a destra, corre un ballatoio, il quale ac-compagna la navata centrale, per poi rinser-rare tutto intero il transetto.

Più che i resti di decorazioni e dipinti, colpi-scono i numerosi monumenti funebri, che rivestono pilastri e altri spazi e che risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII. Oggi noi prefe-riamo vedere le chiese ripulite da queste incrostazioni del passato. Non bisogna però sottovalutare il valore arti-stico di alcuni monumenti e il fatto che essi costituiscono un interessante spaccato della vita civile e culturale della città e della regio-ne. La presenza di questi monumenti funebri non interessa però la gran parte dei visitatori. Prima di lasciare la navata centrale, si osservi sulla controfacciata il grande affresco di Pie-tro Annigoni, terminato nel 1985, raffigura Sant'Antonio che predica dal noce. Il fatto

avvenne a Campo-sampiero (Padova) dove il Santo, imme-diatamente prima della morte, trascor-se un breve periodo di riposo e di racco-glimento (dalla se-conda metà di mag-gio al 13 giugno 1231). Alla gente (semplice o malata, indifferen-

te o curiosa; simpatico il contrappunto dei tre bimbi) e ai suoi frati (ai piedi della scala c'è il beato Luca Belludi, successore di sant'Anto-nio) il Santo indica il vangelo come fonte di luce e di vita. LA MADONNA DEI PILASTRO

Sulla prima colonna della navata sinistra si può ammirare la Madonna del Pilastro. È stata affrescata, pochi anni dopo la metà del '300, da Stefano da Ferrara. Non si badi agli angeli che stanno sopra e ai due apostoli ai lati, che sono aggiunte poste-riori. Così risalgono probabilmente al '600 i brillanti diademi sul capo della Madonna e del Bambino. Sopra il primo altare a sinistra sta la pala di san Massimiliano Kolbe, anch’essa dipinta da Pietro Annigoni nel 1981.

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LA CAPPELLA DEL SANTISSIMO

È la prima cappella della nava-ta destra. Vi si conserva l'Euca-ristia. Nel passato era detta Cappella dei Gattamelata, perché voluta dalla famiglia del condottiero Erasmo da Narni (soprannominato Gattamelata, + 1443) come luogo della sua tomba, che si può vedere nella parete sinistra; a destra invece è la tom-

ba del figlio Giannantonio (+ 1456). La cappella, in stile gotico, fu ultima-ta nel 1458. È di pianta quadrata, con quattro colonne agli angoli e la volta a spicchi con costoloni. Tutto il resto ha subìto varie sistemazioni nel corso dei secoli. L'ultima, compren-

dente anche l'abside dietro l'altare, risale agli anni 1927-1936 ed è opera di

Lodovico Pogliaghi, artista assimila-tore e versatile. LA CAPPELLA DI SAN GIACOMO

Proseguendo lungo la navata destra, si raggiunge il transetto che si con-

clude con la Cappella di san Giacomo, voluta da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna (Parma) con importanti incarichi diplomatici e militari presso i Carraresi di Padova.

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L'elegante e arioso ambiente gotico è stato realizzato negli anni ‘70 dei Trecento da uno dei maggiori architetti e scultori veneziani d'allora, Andriolo de Santi. La cappella si apre in basso con cinque arcate trilobate. LA CROCIFISSIONE.

Immediata è la suggestione che attrae il visi-tatore e lo avvolge nella calda atmosfera dei marmi e degli affreschi, finiti di restaurare nel 2000, che ricoprono tutta la superficie interna della cappella. Lo sguardo va spontaneamen-te alla grandiosa e drammatica Crocifissione, capolavoro di Altichiero da Zevio (Verona), il massimo pittore italiano della seconda metà del '300, che lo realizzò sempre negli anni ‘70 appena pronta la cappella. STORIA DI SAN GIACOMO. - Le otto lunette della cappella e uno scomparto ci presentano alcuni momenti della storia di san Giacomo, desunti dalla Legenda sanctorum o aurea di Jacopo da Varazze (1255?). Era un testo allora molto diffuso con intenti devozionali e che dava largo spazio a tradizioni e leggende e al quale tanti artisti hanno abbondantemente attinto. L'apostolo è san Giacomo il Maggiore (fratello di san Giovanni) il cui santuario di Compostel-la (Galizia/Spagna) era una delle grandi mete di pellegrinaggio della cristianità, specialmen-te nei secoli X-XV. L'autore degli affreschi è ancora Altichiero da Zevio, ma con la collabo-razione di Jacopo Avanzi, bolognese, la cui mano non è sempre facilmente distin-guibile. Proseguendo verso il deam-bulatorio, si lascia a destra l'uscita che conduce al Chiostro della Magnolia e, più avanti, l'entrata verso la Sacrestia; a sinistra, invece, il complesso presbiterio-coro chiuso da una superba cortina marmorea. Si giunge così alla prima cappella del deambulatorio. LA CAPPELLA DELLE BENEDIZIONI

In questa cappella i fedeli amano far benedire

anche oggetti personali, come ricordo duratu-ro e visibile dell’incontro di grazia avvenuto in Basilica. Ma ad attirare l'attenzione sono ora anche gli affreschi di Pietro Annigoni, i quali realizzano una stretta sintesi su un tema che ci sembra emergere con maggiore evidenza: la tragedia del peccato. La predica ai pesci, a sinistra (1981). L'episo-dio, stando alla fonte più antica, Actus beati Francisci et sociorum eius (1327-40), avvenne a Rimini nel 1223, alla foce della Marecchia. li Santo, vista la sua predicazione osteggiata da eretici e catari, se ne andò a parlare con i pesci, che affluirono numerosi guizzando fuori dalle onde. L'artista ci presenta il Santo che poggia sicuro su un grosso masso (allusione al Cristo) nell'atto di mediatore d'una fede "rappresentata" da quell'accorrere vivace dei pesci verso il loro Creatore. Accan-to a lui, un compagno dalla fede tentennante guarda impaurito la turba in arrivo. Al di là del Santo, più che le parti impressiona l'insieme: uomini e cose, tutto è sconvolto e sembra sfasciarsi. Così finisce il mondo che rifiuta Dio. Il Santo affronta il tiranno Ezzelino da Roma-no (1982). Secondo la Chronica dei notaio padovano Rolandino (1262) il fatto narrato dall'affresco è avvenuto poco prima che il Santo si ritirasse nell'eremo di Camposampie-ro, quindi nel maggio del 1231. Pregato dagli amici di Rizzardo di San Bonifacio (Verona)

sequestrato con altri della fazione ghibellina, sant'An-tonio si recò da Ezzelino III da Romano, per otteneme il rilascio. L'esito della missio-ne fu negativo. L'artista fissa l'incontro dei due per-sonaggi nella fase finale: un diniego che non ammette ripensamenti.

L'ostinazione del tiranno è resa dal risoluto gesto delle mani. Dietro di lui, il truce consi-gliere, raffigurato nella sua vera identità: il diavolo, l'ingannatore. Ma Ezzelino non è dei tutto tranquillo: si pro-

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tende in avanti, verso il Santo, con la bocca contratta da una smorfia, cercando di scruta-re diffidente la fonte di tanta semplicità e coraggio. Antonio ha in mano il vangelo, ma esso è ormai chiuso per il tiranno. Sant'Antonio, rassegnato, ha compassione del tiranno prigioniero di se stesso. Dietro, le ombre dei prigionieri, sospinti dalle guardie; gli uni estranei agli altri. La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo stacco e il risalto conferito dalla finta parete con cui è raffigurato il Crocifisso suscitano un'immediata forte reazione. Lo sguardo segue trepidante le gambe inarcate e lacere di sangue di Cristo. Il petto è stirato in giù e l'addome rigonfio, come avviene in questi condannati. Le braccia sono crudamente sti-rate e tutto il corpo sembra crollare. Il volto è uno strazio. Intorno l'atmosfera umida e plumbea è solcata da un lampo: unico segno, tale da non disperdere l'attenzione, dell'eco della natura. In alto, nel mezzo, una luce scar-latta, di amore e di sangue, rivela il senso ed esalta la sofferenza sacrificale di Cristo, che sembra sussurrare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Uscendo dalla cappella, guardia-mo in alto per risollevarci l'animo nelle serene e alte volte della parte absidale della Basilica. Pro-seguiamo lungo il deambulatorio, lasciando a destra la Cappella americana o di santa Rosa da Lima (1586-1617) patrona dell'A-merica, delle Filippine e delle Indie occidentali; a cui segue la Cappella germanica o di san Boni-facio (673-755), grande evangeliz-zatore della Germania; infine la Cappella di santo Stefano, primo martire cristiano, contenente chiari e agili affreschi dell'italiano Ludovico Seitz (1907), fecondo pittore ade-rente al movimento dei "Nazareni". Si raggiunge così, sempre alla nostra destra, il centro del deambulatorio da dove ci si im-mette nella Cappella dei Tesoro.

LA CAPPELLA DEL TESORO

Questa cappella, iniziata nel 1691,opera ba-rocca del Parodi, allievo dei Bernini, ha trova-to un distinto spazio nella Basilica, senza di-sturbarne la coerenza gotica. L'architettura si trasforma davanti a noi in trionfo, che inizia dalla balaustrata con le sue sei statue in marmo, dei Parodi. Al di là della balaustrata, il passaggio che consente ai visitatori di ammirare il "tesoro" della Basilica, che dà il nome alla cappella e che è raccolto in tre nicchie distinte da para-ste binate e precedute in basso da coppie di angeli L'insieme è coronato da cordoni di angeli festanti (in stucco, di Pietro Roncaioli da Lu-gano) che conducono a Sant'Antonio in gloria (in marmo, del Parodi). Altre decorazioni nel tamburo della cupola (del Roncaioli) e nella calotta (inizi di questo secolo). Memorie del Santo (antistanti la balaustrata). Prima di salire verso le nicchie, sostiamo ad osservare alcune memorie di san t'Antonio, che nel 1981 sono state collocate nell'area e sulle pareti antistanti la balaustrata. Nel gennaio del 1981 in occasione dei 750

anni dalla morte del Santo, nell'intento di precisare lo stato dei resti mortali di sant'Antonio, nominate allo scopo u-na"commissione religiosa pontifi-cia" e una "commissione tecnico -scientifica", venne aperta la tom-ba di sant'Antonio, per la seconda volta nella storia. (Vedi la pagina delle ricognizioni) Vi si trovò: una grande cassa di legno di abe-te, rivestita di quattro teli di lino e, sopra di essi, due drappi dorati finemente ricamati; nell'interno della grande cassa, una seconda cassa più piccola

(sempre in legno di abete) a due scomparti disuguali e con il coperchio percorso in lun-ghezza da una cordicella con tre sigilli; all'in-terno tre involti di seta rosso-cremisi fine-mente ricamati (ricavati probabilmente da un

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piviale) e con preziose bordure applicate cia-scuno contrassegnato da una scritta in perga-mena cucita indicante il contenuto e cioè:

• l'intero scheletro, ad eccezione dei men-to, dell'avambraccio sinistro e di qualche altra parte minore;

• gli altri resti, in gran parte allo stato di polvere;

• la tonaca, in tessuto di lana color cinerino.

• All'esterno della grande cassa nel loculo che la conteneva si è trovato:

• una lapide con le date della morte dei Santo, della sua canonizzazione e della traslazione dei suoi resti dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domini alla nuova Basilica (8 aprile 1263)

• parecchi anellini (10 bianchi e 50 neri) di collana o corona.

Per capire in parte tutto ciò, bisogna risalire al 1263. Terminata la seconda fase di costruzio-ne della Basilica, in occasione dei "capitolo generale" che radunava a Padova i francesca-ni ed essendo ministro generale dell'Ordine san Bonaventura, si trasferì la tomba del San-to dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domi-ni al centro della Basilica, sotto l'attuale cupo-la conica (davanti al presbiterio). In quell'occasione fu aperta per la prima volta la bara che conteneva i resti dei Santo, so-prattutto per estrame alcune reliquie da offri-re alla devozione dei fedeli anche in altre chiese. Grande fu la sorpresa nel vedere an-cora incorrotta la sua lingua. Fu allora che san Bonaventura, con il cuore colmo di ammira-zione, pregò ad alta voce: O lingua benedetta, che hai sempre benedet-to il Signore e dagli altri lo hai fatto sempre benedire: ora appare manifesto quanti meriti hai acquistato presso Dio. Si decise, allora, di conservare a parte la lin-gua dei Santo, il mento, l'avambraccio sinistro e qualche altra reliquia minore. Tutto il resto venne distribuito nei tre involti in seta rosso-cremisi, di cui si è parlato, e collocato in una piccola cassa e questa, a sua volta, nella cassa più grande.

La recente ricognizione del 1981 ha offerto l'opportunità di eseguire adeguate indagini di carattere storico, tecnico e artistico, antropo-logico e medico, su tutto il materiale che è stato rinvenuto. Lo scheletro dei Santo è sta-to in seguito ricomposto su un materassino e posato in una cassa di cristallo. In essa sono stati collocati due cofanetti in vetro con gli altri resti. La cassa di cristallo poi è stata rin-chiusa in una bara di rovere e ricollocata nella tomba. Sono invece stati esposti in questa Cappella dei Tesoro: la tonaca del Santo, le due casse in legno, la cordicella e due sigilli, i tre panni di seta rosso-cremisi ricomposti in piviale, i due grandi drappi dorati, la lapide, le moneti-ne e gli anellini. Tutte cose che qui si possono devotamente osservare. Salendo da sinistra verso si trovano le tre nicchie che racchiudono reliquie di sant'Anto-nio e di altri santi, ma soprattutto un gran numero di doni offerti per riconoscenza o devozione da illustri pellegrini dei passato al Santo di Padova. Ciò che invece deve focaliz-zare l'attenzione sono le più prestigiose reli-quie di sant'Antonio, che si trovano nella nicchia centrale. La lingua del Santo (al cen-tro). Non si pensi di vedere una lingua di colo-re rosso vivo. Ma ciò che si vede costituisce ugualmente un fatto inspiegabile, dato che si tratta di una parte anatomica fragilissima e tra le prime a dissolversi dopo la morte. Ora sono passati oltre 770 anni dalla dipartita di sant'Antonio e quella lingua costituisce un miracolo perenne, unico nella storia e carico di significato religioso, quale suggello dell'o-pera di rievangelizzazione della società ad opera del Santo. Degno di accoglienza di così incredibile reli-quia è il finissimo e delicato capolavoro di armonia e di grazia, in argento dorato, opera di Giuliano da Firenze (1434-36). La reliquia del mento (in alto). Più esattamente si tratta della mandibola, collocata in un reliquiario concepito come un busto, con aureola e cri-stallo in luogo dei volto. È stato commissiona-to nel 1349 dal cardinale Guy de Boulogne-

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sur-Mer, miracolato dal Santo: Egli stesso lo portò a Padova l'anno dopo, procedendo solennemente alla sistemazione del mento in questo reliquiario (in argento dorato). Le cartilagini laringee (in basso). Queste, ancora conservate, che sono gli strumenti della fona-zione, cioè della parola, hanno subito attirato l'attenzione, pur non costituendo un fatto inspiegabile come la lingua, nella recente ricognizione dei 1981. Si è pensato quindi di collocarle in visione insieme alla lingua del Santo. Il reliquiario è opera del trevisano Carlo Balljana. Uscendo dalla Cappella dei Tesoro e prose-guendo a destra, si incontrano: la Cappella polacca o di san Stanislao (+ 1079), vescovo e martire, patrono della Polonia; di seguito la Cappella austroungarica o di san Leopoldo (1075-1136), margravio e patrono d'Austria; segue la Cappella di san Francesco; e infine la Cappella di san Giuseppe. LA CAPPELLA DELLA MADONNA MORA

Un po' più avanti, sempre sulla destra, si en-tra nella Cappella della Madonna Mora. Ci troviamo nell'ambiente dell'antica chieset-ta di Santa Maria Mater Domini (fine secolo XII-inizio XIII) inglobata nell'attuale Basilica. Qui di certo ha pregato sant'Antonio e qui desiderava essere portato nell'approssimarsi della sua morte. In essa è poi stato sepolto fino al 1263. La statua della Madonna Mora che domina l'altare è stata realizzata nel 1396 da Rainaldi-no di Puy-l' Evéque, un artista guascone. I padovani l'hanno chiamata "Madonna Mora"

per il volto colorito, ma il titolo esprime so-prattutto il loro rapporto di confidente fami-liarità. A nord si apre la Cappella del beato Luca Bel-ludi, detta anche dei Santi Filippo e Giacomo il Minore, apostoli. È stata aggiunta al com-plesso della Basilica nel secondo Trecento, e chiamata del beato Luca, compagno e succes-sore di sant'Antonio, perché sotto la mensa dell'altare vi è la sua tomba. Qui sostano spesso gli studenti padovani, che si affidano all'intercessione del beato nel loro difficile impegno di studi. La cappella è stata, comunque, dedicata fin dall'inizio ai santi Filippo e Giacomo. Molto interessanti gli affreschi del fiorentino Giusto de' Menabuoi, che risalgono sempre alla se-conda metà del Trecento (1382). Deperiti a causa soprattutto dell'umidità, sono stati di recente recuperati da un riuscito restauro che ne ha valorizzato il notevole livello artistico. Il sarcofago pensile è oggi vuoto. L'altare è del Duecento e pare che dal 1263 al 1310 fosse l'altare-tomba di sant'Antonio, collocato però davanti al presbiterio della Basilica, sotto la cupola conica. LA CAPPELLA DELLA TOMBA DI SANT'ANTO-

NIO La tomba del Santo è stata chiamata fin dagli inizi anche "Arca". In questa cappella, sotto la mensa dell'altare e ad altezza d'uomo, c'è la tomba del Santo, qui collocata dopo essere stata dal 1231 al 1263 nella chiesetta Santa Maria Mater Domini (oggi Cappella della Ma-donna Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro della Basilica, di fronte al presbiterio, sotto l'attuale cupola conica; incerta invece rimane la collocazione della tomba dal 1310 al 1350 (che può essere stata anche l'attuale). Dal 1350 è sempre rimasta in questa cappella. Fino agli inizi del Cinquecento lo stile con cui era ornata la cappella era quello gotico, con affreschi di Stefano da Ferrara, lo stesso della Madonna del Pilastro. L'arredo attuale, cinquecentesco, notevol-mente unitario dal punto di vista architettoni-co e scultoreo, sembra doversi attribuire a

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Tullio Lombardo. L'altare è piuttosto invadente, ma l'artista Tiziano Aspetti (che lo realizzò verso la fine dei Cinquecento) era condizionato dall'altezza difficilmente modificabile della tomba, di certo precedente. Le statue sull'altare (sant'Antonio tra san Bonaventura e san Lu-dovico d'Angiò) sono dello stesso artista, mentre altri bronzisti hanno realizzato gli Angeli portacero, il cancelletto e i due piccoli candelabri. Quelli più grandi e slanciati, su supporti d'an-geli in marmo, sono invece creazione secen-tesca di Filippo Parodi. Altorilievi che accompagnano l'itinerario in-torno alla tomba. - Con un po' di attenzione e di buon senso si può armonizzare, per chi lo desidera, una sosta di raccoglimento presso la tomba del Santo con uno sguardo sommario ai nove altorilievi che la cappella ci propone. 1. Sant'Antonio riceve l'abito francescano.

Opera di Antonio Minello (1517). 2. Il marito geloso, la cui moglie, pugnalata

per gelosia, viene risanata dal Santo. Il lavoro, iniziato da Giovanni Rubino (detto il Dentone), fu portato a termine da Silvio Cosini (1536).

3. Il giovane risuscitato dal Santo. Il Santo, prodigiosamente trasferitosi in Portogal-lo, risuscita un giovane perché riveli l'i-dentità dei suo vero assassino così da scagionare il padre di Antonio, nel cui orto il cadavere era stato occultato. Inizia-to da Danese Cattaneo, fu ultimato da Girolamo Campagna (1573).

4. La giovane risuscitata. Si tratta di una ragazza annegata, risuscitata dal Santo, che nella rappresentazione non compare anche se in alto si vede la sua Basilica. È opera di Jacopo Sansovino (1563). Realiz-zazione ben calibrata e intensamente vigorosa.

5. Il bambino risuscitato. Si tratta del nipoti-no di sant'Antonio. Opera di Antonio Mi-nello con ritocchi del Sansovino (1536).

6. Il cuore dell'usuraio defunto non viene trovato dove doveva essere, ma nel suo

forziere, come il Santo aveva sostenuto. Opera di Tullio Lombardo (1525).

7. Sant'Antonio riattacca il piede a un giova-ne, che per disperazione se l'era troncato dopo aver dato un calcio alla madre. Evi-dente la mano di Tullio Lombardo (1504).

8. Il bicchiere rimasto intatto, dopo essere stato scagliato a terra per sfida da uno

che non credeva nella predicazione e nei prodigi operati da sant'Antonio. Iniziato da Giovanni Maria Mosca, fu portato a termine da Paolo Stella (1529).

9. Sant'Antonio fa parlare un neonato, per-ché attesti la fedeltà della madre, ingiu-stamente sospettata dal marito geloso. Opera di Antonio Lombardo (1505), fratel-lo di Tullio.

IL COMPLESSO CORO-PRESBITERIO Per visitare questo settore della Basilica è necessario rivolgersi a uno dei custodi. La decorazione della parte absidale della Basi-lica. La decorazione pittorica che ricopre la parte absidale della Basilica è stata realizzata dal bolognese Achille Casanova e aiuti tra il 1903 e il 1939, secondo un ampio progetto iconografico che non è il caso di presentare. L'intervento è stato molto criticato, perché troppo scolastico e disturba le pure linee architettoniche, che avrebbe dovuto invece accompagnare con semplicità e discrezione. Ma sarebbe riduttivo vedere soltanto ciò. L'opera ha in effetti qualcosa di grandioso ed è certo unica. Quando la Basilica è debita-mente illuminata, si resta affascinati da una

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viva e avvolgente emozione In basso, il coro: con tale termine si intende sia l'ambiente retrostante l'altare maggiore sia l'insieme degli stalli in cui sostano i religio-si per la celebrazione della "Liturgia delle ore", che è la preghiera ufficiale della Chiesa per il mondo, e durante la quale non manca mai il ricordo di quanti si raccomandano alle preghiere dei frati. Fino al 1649 il coro si tro-vava davanti all'attuale altare, nel presbiterio. Così era fino al concilio di Trento nella gran parte delle chiese che avevano il coro, come si può vedere tuttora particolarmente nelle chiese anglicane; poi gradualmente il coro è stato trasportato dietro l'altare per consentire ai fedeli di vedere meglio l'altare e di seguire con maggiore attenzione la liturgia. Gli attuali stalli dei coro della Basilica risalgono al secondo Settecento. I precedenti, capolavoro gotico dei fratelli Lorenzo e Cristoforo Canozzi e aiuti (1462-69), furono distrutti dall'incendio del 1749. Il candelabro pasquale: capolavoro di Andrea Briosco. A nord dell'altare si può osservare il superbo candelabro pasquale in bronzo di Andrea Briosco, detto il Riccio, terminato nel 1515. Non solo per dimensioni (m 3,92 più 1,44 di basamento marmoreo) ma anche per complessità e livello di fattura esso è uno dei massimi candelabri dell'Occidente cristiano. IL COMPLESSO DONATELLIANO: una grandio-sa sinfonia della vita e della fede. - Concludia-mo la visita della Basilica, osservando alcune delle trenta opere che il grande Donatello ha creato a Padova, dal 1444 al 1450, e che co-stituiscono uno degli eventi fondamentali del rinascimento e dell'arte non solo italiana. LA DEPOSIZIONE. - L'opera (si trova nel retro dell'altare maggiore) è in pietra di Nanto (Colli Berici, Vicenza). Quattro discepoli, tesi dal dolore, adagiano il nudo inerte corpo di Cristo nel sepolcro. Dietro esplode lo strazio

delle donne. Nel centro la Maddalena: più delle altre 43 donne ella esprime l'orrore di essere rimasta sola, nella memoria del suo peccato. E, nella rivelazione cristiana, il pec-cato è la causa profonda della morte. Il miracolo della mula (a sinistra, piuttosto in alto, sempre nel retro dell'altare). L'artista situa il noto episodio nella grandiosità di una Basilica, davanti all'altare. Gli studiosi, e non solo loro, continuano a stupirsi di fronte alla magia donatelliana che sa dare a spazi ridotti ampiezza e profondità inattese, utilizzando linee, decorazioni e materiali di vario colore. Lo sguardo scende dalle volte laterali, dilatan-

dosi nello scorrere delle linee trasversali, e come un'onda raccoglie le due masse di uomini e le spinge verso l'altare. Qui, di fronte all'acceso diffondersi della luce si avverte la serena calma della presenza di Dio: lo rivelano la santità e la fede di Antonio da una parte e la voce silenziosa

della natura dall'altra. La scoperta della pre-senza di Dio si riflette nelle risonanze indivi-duali dei presenti: una sola umanità agitata e ansiosa di Dio, un frantumarsi di reazioni... Donatello, come tutti i grandi geni, trascende la cultura dei suo tempo e ci appare quanto mai moderno. Come si può vedere, il rilievo molto basso riduce in prospettiva il volume dei corpi, che vengono appiattiti e dilatati acquistando così un suggestivo valore pittori-co. Questa tecnica, nella quale il Donatello è stato maestro, è chiamata con il termine to-scano (stiacciato", che vuol dire "schiacciato". Sulla destra del controaltare, l'artista presen-ta Sant'Antonio che fa parlare un neonato (perché attesti la fedeltà della madre, ingiu-stamente sospettata dal marito). In basso a destra: il bue (alato e nimbato per indicare che è il simbolo di un santo, nel caso dell'e-vangelista san Luca); a sinistra: il leone (simbolo di san Marco). L'ALTARE MAGGIORE. Quello che ora vedia-

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mo fu realizzato nel 1895 da Camillo Boito (fratello dei musicista Arrigo) ed è l'ultimo fra i diversi altari innalzati in Basilica nel corso dei secoli. Queste variazioni sono dovute al mutare della sensibilità e della prassi liturgica. In quello attuale sono stati radunati tutti i capolavori del Donatello, che prima erano sparsi in altri posti della Basilica. Eccoli di seguito descritti ad uno ad uno. I 14 PICCOLI ANGELI E IL COMPIANTO DI

GESÙ. In basso, lungo il lato frontale e i lati laterali dell'altare, sono stati collocati 10 ori-ginalissimi angeli musicanti (in dieci formelle) e 4 angeli cantori (in due formelle, quelle ai lati del Cristo morto). Benché non manchi in essi qualcosa di goffo, come del resto nell'ar-te dei tempo non ancora matura nella rappre-sentazione del bambino, questi putti suscita-no in noi un'immediata simpa-tia per l'impegno tutto infanti-le con cui vivono la loro parte. Al centro il Compianto di Gesù morto: una pagina di commo-vente tenerezza. La porticina dei Tabemacolo presenta Cristo morto assiso sul sepolcro (dei 1496: non si conosce lo scultore). Ai lati: alla nostra sinistra, Sant'Anto-nio riattacca il piede ad un giovane (che se l'era mozzato per disperazione dopo aver dato un calcio alla madre); a destra, Il cuore dell'usuraio (che non viene trovato dal chirurgo nel petto dell'usuraio, ma nel suo forziere).

• Santa Giustina e san Daniele. - Più in su, sopra l'altare, alla nostra sinistra: Santa Giustina (giovane martire padovana, il cui culto è attestato fin dal V secolo e alla quale è dedicata la grandiosa Basilica nel vicino Prato della Valle); a destra, San Daniele (giovane diacono di Padova, mar-tire agli inizi dei IV secolo e i cui resti ripo-sano nel Duomo).

• L'altare estende ai lati due ali più basse

sulle quali, alla nostra sinistra, si ha: sotto, l'angelo (simbolo di san Matteo) e, sopra, San Ludovico; alla nostra destra: sotto, l'aquila (simbolo di san Giovanni evangeli-sta) e, sopra, San Prosdocimo.

• San Ludovico d'Angiò San Ludovico d'Angiò e San Prosdocimo. San Ludovico (127 - 497), figlio di Carlo Il d'Angiò, re di Napoli: rifiutò la successione e, prima di accettare di essere vescovo di Tolosa, volle passare attraverso l'esperienza fran-cescana. Le sue scelte suscitarono una vasta impressione. Morì a 23 anni.

• San Prosdocimo (seconda metà del III secolo) è il fondatore e il primo vescovo della città di Padova. La sua tarda età è stata confermata dalla recente ricognizio-ne delle ossa, che riposano nella Basilica

di Santa Giustina.

• San Francesco e sant'Anto-nio. - Ai lati della Madonna Donatello ci presenta san Francesco e sant'Antonio, grandi protagonisti della vita religiosa e culturale del Due-cento.

• La Vergine e il Figlio. Il tema centrale di tutta la sinfo-nia donatelliana. La Madonna è giovanissima, anch'essa in varie parti incompiuta: appena uscita dall'opera del fonditore, ha la freschezza della prima creazione. Ci impressiona

tanta bellezza unita a tanta fissità di dolo-rosi pensieri. Ci ricorda certa statuaria antica, ma qui c'è anche il moto della vita e della storia.

• Il Crocifisso. - Dietro la statua della Vergi-ne s'innalza e domina lo spazio il Crocifis-so. Come lasciano intuire le proporzioni, esso non è stato realizzato dal Donatello per l'altare, ma per essere collocato nel mezzo della chiesa.

Lo si osservi dal basso. Il chiodo gonfia e in-crespa le vene trasversali del piede destro.

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L'occhio scorre con dolore lungo le gambe inarcate e spostate a destra, ma non ancora irrigidite. Impressionanti, specie se colpiti dalla luce, il ventre e il petto, che lasciano intravedere lo scheletro. Le braccia sono per-corse dal fremito ancora vivo delle vene e dei nervi. Il volto è quello di un eroe che fonde bellezza e coraggio. SACRESTIA

La sacrestia è preceduta da un atrio adorno di pregevoli affreschi. Sono attribuibili a un se-guace di Girolamo Tessari (detto anche Dal Santo). Rappresentano due miracoli: sant'An-tonio predica ai pesci e il bicchiere scagliato a terra rimane intatto (entrambi dei 1528). Nella lunetta sopra la porta murata, bell'af-fresco della metà dei '200: Vergine coi Bambi-no tra i santi Francesco e Antonio. Entrati nella luminosa sacrestia, si ammiri subito la volta tutta ravvivata dagli affreschi di Pietro Liberi che cantano, con estro e sbri-gliata fantasia, la gloria di sant'Antonio (1665). Sulla destra dopo l'entrata, la parete è occu-pata da un grande armadio a muro, opera di Bartolomeo Bellano (1469-1472). Le dieci tarsie che lo illuminano sono di Lorenzo Ca-nozzi (1474-1477); rappresentano (da sini-stra): i santi Bernardino e Girolamo, France-sco e Antonio, Ludovico d'Angiò e Bonaventu-ra; nei pannelli sottostanti, nature morte con Iibri e oggetti liturgici. Sulle altre pareti, tele a olio di Francesco Suman (1847). Attraversata una stretta saletta, si scende nell'ariosa sala dei capitolo (si chiamano capi-toli le riunioni ufficiali dei frati). Originaria-mente era decorata con un ciclo d'affreschi attribuiti a Giotto. Purtroppo ora ne rimango-no pochi resti. BASILICA DI SANTA GIUSTINA

STORIA

Nel tempo in cui la Patavium romana era nel suo massimo splendore, nella zona in cui ancora oggi sorge la Basilica e il Monastero di S. Giustina, c’era uno o più sepolcreti dell’aristocrazia pagana e un cimitero cristia-no. Qui il 7 ottobre del 304 fu deposto il cor-

po della giovane Giustina, messa a morte perché cristiana, per sentenza dell’Imperatore Massimiano, allora di passag-gio a Padova. Poco dopo il 520, ad opera di Opilione, pre-fetto del pretorio e patrizio, sorse la prima Basilica con l’attiguo Oratorio, decorata di marmi preziosi e di mosaici. Se ne ha una descrizione nel 565 in Vita S. Martini, Libro IV, 672-670, di Venanzio Fortunato. La Basilica cimiteriale oltre alle spoglie della Patrona della città e diocesi, fu arricchita di corpi e reliquie di molti santi, luogo di sepol-tura prescelto dai vescovi. Divenne così, già nel secolo VI, meta di pellegrinaggi dal mo-mento che il culto di S. Giustina era ormai diffuso nelle zone adiacenti al litorale adriati-co. Bisogna risalire al 971 per avere notizie certe circa la presenza dei monaci benedettini

neri a S. Giustina, e questo per merito del Vescovo di Padova Gauslino, il quale col con-senso del suo Capitolo ristabilì un monastero sotto la Regola di S. Benedetto, dotandolo di beni territoriali, di chiese e cappelle in città e in campagna. Iniziò così lo sviluppo progressi-vo operato dai monaci, che tanti benefici

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apportarono a tutto l’agro padovano con le bonifiche terriere che trasformarono le im-mense paludi e le sterminate boscaglie in distese di fertilissime campagne. ARTE

SANTA GIUSTINA Illustre per natali, ma più ancora per il suo cristianesimo, la sua mente pura seppe con-seguire la palma di altissima vittoria, il marti-rio. Trovandosi a Padova sua patria, vi soprag-giunse il crudele imperatore Massimiano, il quale nel Campo Marzio istituì un tribunale per uccidere i Santi di Dio. La beatissima Giu-stina mentre si affrettava a visitare i servi di Dio, fu sorpresa dai soldati presso Pontecorvo e portata al cospetto di Massimiano. Dopo una serie di domande sprezzanti circa la sua fede cristiana, e l’invito con minacce a sacrifi-care al grande dio Marte, di fronte alla co-stanza e alla fermezza della sua fede in Cristo, il crudele imperatore, preso da ira, emanò la sentenza: “Giustina, afferma di rimanere vincolata alla religione cristiana; e non inten-de obbedire alle nostre ingiunzioni, coman-diamo che sia uccisa di spada.” Ciò udendo, la beata Giustina esclamò: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di

ascrivere nel tuo libro la tua martire. (…) ac-cogli la tua ancella nel grembo tuo, che siedi nel trono, mia luce, perla preziosa, che sem-pre ho amato.” Finita la preghiera, piegate a terra le ginoc-chia, il sicario le immerse la spada nel fianco. Così trafitta, fattosi il segno della santa croce, serenamente spirò. Era il 7 ottobre 304. I cristiani vedendo l’ardore della sua fede e la

venerabile sua passione, deposero il suo cor-po nel cimitero appena fuori Padova, dove attualmente sorge l’Abbazia. (Passio S. Justi-nae Virginis et Martiris, sec.VI). LA BASILICA DI SANTA GIUSTINA

È uno degli esemplari più grandiosi e geniali di libera e ragionata traduzione in stile del tardo Rinascimento, della grande architettura imperiale romana. Nelle varie campate della navata e delle crociere si ripete un unico mo-tivo: una cupola, insiste mediante pennacchi su un quadrato di quattro arconi a tutto se-sto, i quali si scaricano sui sostegni verticali. Un apporto prettamente veneto è dato alla nostra chiesa dalla molteplicità delle cupole esterne. Un influsso bramantesco permane, forse derivante dal primo progetto del 1501, nelle finestre delle absidi e nei grandi occhi delle navate e della crociera. Gli autori di questo capolavoro che è la Basilica di S. Giu-stina, sono Andrea Briosco (1517), il cui pro-getto fu successivamente modificato da Mat-teo da Valle (1520). Santa Giustina rivela un architetto di tanta genialità, da ideare un edificio di smisurata mole e di inusitata architettura, di tanta scienza ed esperienza, da affrontare e risolve-re a perfezione i difficilissimi problemi di sta-tica, di proporzioni, di prospettiva. Chi sia questo ignoto fino ad oggi non è dato saperlo. IL CAMPANILE

La parte inferiore, fino alla cornice più bassa, è il campanile antico (secolo XII). Esso consta-va di una canna cieca a pianta quadrata (sette metri di lato), rafforzata su ciascuna fascia da due lesene a doppia ghiera, continue dall’alto al basso e legate in alto da doppia corona d’archetti, sopra la quale era la cella campa-naria, con una bifora per lato; era sormontata da una cuspide. Nel 1599, poiché la mole della nuova chiesa impediva alla città di sentir le campane, la vecchia torre fu raddoppiata d’altezza, mu-rando le bifore, togliendo la cuspide, riem-piendo i vuoti fra le lesene. L’aggiunta è una

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bella costruzione, che porta il campanile a circa 82 metri di altezza. Sostiene 7 campane (la più grossa pesa 2 tonnellate e mezzo) del secolo XVIII, le quali, benché fuse in anni di-versi e da diversi maestri, formano un magni-fico e armonioso concerto, il più bello di Pa-dova. Dal campanile, guardando la Basilica, sulla cupola centrale si ammira la statua di rame di S. Giustina in atto di proteggere la città. Sulle quattro cupolette: statue (in lami-na di piombo) dei Santi Prosdocimo, Benedet-to, Arnaldo, Daniele diacono. L’INTERNO

Magnifico nella sua austera nudità, solenne ma accogliente, poderoso e slanciato, gran-dioso eppure raccolto, armoniosissimo nelle perfette proporzioni, nell’equilibrio tra pieni e vuoti, nella lieta, diffusa e ricca luminosità. E’ il trionfo della volta e dell’architettura di mas-sa, alla quale è affidato tutto l’effetto. Pur vincolato da precedenti lavori lasciati incompleti, per combinazione di due schemi architettonici diversi, presenta perfetta unità, e pare opera di primo getto. Nel progetto dovevano apparire visibili all’esterno ben sette cupole grandi e quattro piccole, è inve-ce probabile che all’interno tutte (salvo quella centrale) dovessero essere semplici catini: tali son restati nel braccio lungo della navata maggiore; quelle della crociera e del presbite-rio furono «aperte» circa il 1605 per consiglio di Vincenzo Scamozzi, per migliorare l’acustica, che divenne, così, perfetta. La cupola di mezzo fu fatta negli anni tra il 1597 e il 1600; le quattro piccole furono «aperte» anche più tardi di quelle grandi.

Il bel pavimento fu iniziato circa nel 1608 e finito nel 1615; è di marmo di Verona giallo e rosso, e pietra di paragone. Vi sono inseriti, specialmente nei tratti longitudinali fra i pila-stri, molti pezzi di marmo greco appartenenti all’antica basilica di Opilione. Nel mezzo della navata, ammiriamo lo stu-pendo Crocifisso ligneo (secolo XV). Mirabile la testa per bellezza di tratti ed efficacia di espressione. LE CAPPELLE

A destra e a sinistra delle navate laterali si dispiegano venti cappelle, dieci da una parte e dieci dall’altra: San Paolo, S. Gertrude, S. Gerardo, S. Scolastica, S. Benedetto, i SS. Innocenti, S. Urio, S. Mattia, S. Massimo, La Pietà, il Santissimo, Beato Arnaldo da Limena, S. Luca, S. Felicita, S. Giuliano, S. Mauro, S. Placido, S. Daniele, S. Gregorio, S. Giacomo. In ciascuna delle cappelle sono custodite preziose tele di Palma il Giovane, Luca Gior-dano (1676), Sebastiano Ricci (1700), Bene-detto Caliari (1589), Antonio Zanchi (1677), Valentino Le Fevre (1673), Giovanni Battista Maganza (1616), Claudio Ridolfi (1616), Carlo Loth (1678). Scultori come Francesco De Sur-dis (1562), Bartolomeo Bellano (Sec. XV), Filippo Parodi 1689) hanno contribuito ad arricchire i singoli altari. Ognuna di queste cappelle ha in comune con quella di fronte, l’architettura dell’altare, la qualità dei marmi, i disegni della vetrata e spesso quello del pavimento. Belle le decora-zioni a stucco delle volte. Meritevole di particolare interesse è l’altare del Santissimo, che dal 1562 al 1674 accolse i Corpi dei SS. Innocenti; permutati titolo e ufficio con quella primitiva del SS.mo, fu tra-sformata con armoniosa inserzione del baroc-co nell’architettura del rinascimento. L’altare, bellissimo esemplare di barocco veneziano, è opera di Giuseppe Sardi (1674), che in perfet-ta unità di composizione vi pose il grande e bel tabernacolo ideato da Lorenzo Bedoni (1656) ed eseguito da Pier Paolo Corberelli (1656) per la primitiva cappella del SS.mo. Le sei statuine di bronzo sul tabernacolo sono

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di Carlo Trabucco (1697); i putti del basamen-to del tabernacolo, di Michele Fabris (1674), i due grandi e begli angeli, di Giusto Le Court (1675), le altre sculture, di Alessandro Tremi-gnon (1675), i mosaici del paliotto (i più belli di tutta la Basilica), di Antonio Corberelli (1675). Nel catino dell’abside: l’Eterno Padre circondato dagli Angeli; nella volta della cap-pella: il SS.mo Sacramento adorato dagli Apo-stoli: ambedue belle pitture a fresco di Seba-stiano Ricci (1700). S. LUCA EVANGELISTA

Non era, come molti credono, uno dei dodici apostoli scelti da Gesù; venne invece citato e lodato più volte da S. Paolo come suo fedele collaboratore nei viaggi che fece per evangeliz-zare le genti. Luca scris-se il Vangelo che da lui prese il nome, e gli Atti degli Apostoli. Fonti antiche parlano della sua professione di me-dico ed una tradizione assai diffusa lo presen-ta anche pittore del volto di Cristo e soprat-tutto della Madonna. Tra le icone “lucane” una è la Madonna Costantinopolitana (XI-XII sec.). S. Luca è festeggiato sia dalla Chiesa Cattolica che da quelle Ortodosse il 18 otto-bre. Il sarcofago di S. Luca è un’opera preziosa di scuola pisana (1313), fatta a cura dell’abate Mussato, gli specchi sono di alabastro orien-tale; il telaio che li inquadra, di porfido verde: due colonne di granito orientale, due di ala-bastro. Notare il sostegno centrale formato da quattro angeli, di marmo greco. Le figure dei riquadri sono così ordinate: sul lato mino-re verso il Vangelo, l’effigie di S. Luca, centro di tutta la composizione; sui due lati, nello stesso ordine: due angeli che portano torce, due angeli turiferari, due buoi (il bue è il sim-bolo biblico di S. Luca); sulla testata opposta è ripetuto il simbolo dell’Evangelista. Secondo una antica tradizione l’evangelista Luca, origi-

nario di Antiochia di Siria e morto in tarda età (84 anni), sarebbe stato sepolto nella città di Tebe. Da lì le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli dopo la metà del IV sec. e da qui nel corso dello stesso secolo o dell’VIII , trasportato a Padova nel Monastero di Santa Giustina. I monaci benedettini insediatisi nel nostro Monastero prima del 1000 iniziarono a venerare le spoglie dell’Evangelista. Nel 1354, l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia, si fece consegnare il cranio che finì

nella cattedrale di San Vito a Praga dove si trova ancora oggi. Nel 1436 fu affidata al pit-tore Giovanni Storlato l’incarico di rappresen-tare, sulle pareti della cappella dedicata al santo, una serie di sce-ne che ne narrano la vita, il trasferimento delle reliquie dall’Oriente e il suo

ritrovamento a Padova. Un secolo più tardi, nel 1562, si trasferì l’arca marmorea nel brac-cio sinistro del transetto, nell’attuale Basilica. All’approssimarsi del Grande Giubileo del 2000 il Vescovo di Padova, anche per motivi ecumenici, nominò una commissione di e-sperti per avviare una ricognizione scientifica delle reliquie di San Luca. Il 17/9/1998 fu aperto il sarcofago e si trovò in una cassa di piombo sigillata uno scheletro umano in buo-no stato di conservazione. I risultati definitivi delle indagini sono stati presentati nel Con-gresso Internazionale, svoltosi a Padova nell’ottobre dell’anno 2000. I dati scientifici – come è stato affermato al termine di quelle giornate, non smentiscono la tradizionale attribuzione a S. Luca delle spoglie; si pongo-no piuttosto come dati precisi, complementa-ri alle fonti scritte, attorno a cui l’indagine storica potrà muoversi con maggiore sicurez-za, soprattutto per chiarire come, quando e perché sia avvenuta la traslazione del corpo da Costantinopoli a Padova

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LA MADONNA COSTANTINOPOLITANA

In alto, sul Sarcofago di San Luca si ammira la copia cinquecentesca della «Madonna Co-stantinopolitana»: bella la pittura e bella la lastra di rame sbalzato e dorato che inquadra i due volti. La cornice di bronzo e i due Angeli in volo di Amleto Sartori (1960). Del medesi-mo sono gli otto bracci portalampade di bron-zo attorno all’abside (1961), e il disegno del piccolo coro. I documenti in nostro possesso segnalano la presenza della Immagine della Madonna Co-stantinopolitana nel Monastero di Santa Giu-stina a partire dal XII secolo e divenne ogget-to di viva devozione popolare. Secondo alcuni studiosi sarebbe l’immagine mariana più anti-ca che si conosca a Padova, di stile nettamen-te bizantino, venerata e invocata dai padova-ni come la Salus Populi Patavini. L’icona si presenta gravemente compromes-sa, tranne parte del volto della Madonna e del Bambino. La tavola è danneggiata da evidenti bruciature, che non è dato sapere se provocate da un incendio fortuito o dagli iconoclasti. La provenienza è certamente da Costantinopoli. Nel Cinquecento a un pittore venne affidata la trascrizione del volto della Madonna e del Bambino su cuoio e tutto il resto fu rivestito da una rizza d’argento dora-to e sbalzato con le figure della Vergine e del Bambino. Dietro questa nuova immagine, come in una teca, fu conservata l’icona anti-ca. Mentre il Monastero subiva le trasforma-zioni dell’occupazione napoleonica, la Chiesa divenne Parrocchia amministrata dal clero diocesano. Il 23 maggio 1909 Mons. Andrea Panzoni promosse l’incoronazione solenne dell’Icona costantinopolitana. Egli intendeva così contribuire alla maggiore valorizzazione del tempio che proprio in quell’anno fu eleva-to alla dignità di Basilica Minore Romana da Pio X. Nello stesso anno, un primo contingen-te di monaci, proveniente da Praglia, ritornò nel monastero dopo oltre un secolo dalla soppressione napoleonica e riprese il culto e la venerazione alla Madonna Costantinopoli-tana secondo la più antica tradizione.

Ancor oggi, il 23 maggio,- giorno anniversario della sua incoronazione si svolge una solenne e suggestiva processione cittadina in Prato della Valle. Nel 1959 si separò l’icona vera e propria dalla riza di argento dorato e sbalza-to che la proteggeva anteriormente. La riza ha trovato la sua collocazione definitiva in Basilica nel braccio del transetto di S. Luca, sorretta da due angeli (opera di Amleto Sarto-ri, 1960). I volti della Vergine e del Bambino Gesù, dipinti su tela, sono attribuiti a Moretto da Brescia (terzo decennio del XVI sec.). La tavola di legno sottostante fu affidata al re-stauro del prof. Lazzarin che sotto una patina di resina bruciacchiata scoprì alcuni frammen-ti di pittura originale. Al termine del restauro venne custodita e venerata nella Cappella interna del Monastero. La tradizione che la vuole salvata da Costantinopoli al tempo della persecuzione iconoclasta nell’VIII sec. non regge alla critica storica:fu giudicata del XII sec. circa dal prof. Lorenzoni per alcune carat-teristiche stilistiche delle aureole e del mento della Vergine. IL PRESBITERIO E L’ALTARE MAGGIORE

In origine, secondo l’uso tradizionale, la situa-zione era inversa: l’altare era in fondo, sotto il quadro (che posava circa due metri più in basso); il coro era dove è ora il presbiterio, e il lato minore volgeva le spalle al popolo, come ora le volge all’abside. La situazione attuale è del 1623; l’inversione, diede al po-polo la visibilità delle sacre funzioni. La scali-nata d’accesso e le balaustre sono di France-sco Contini, 1630. Nei pilastri, all’ingresso del presbiterio, a destra ammiriamo il busto del patrizio Vitaliano; a sinistra, il busto del patri-zio Opilione, opere ambedue di Giovanni Francesco De Surdis (1561). L’Altare Maggiore, bellissimo e semplicissimo (1640) progettato da Giovan Battista Nigetti; il ricchissimo mosaico intarsiato è di Pier Pao-lo Corberelli. L’altare racchiude il Corpo di S. Giustina. Ai lati si ammirano due residenze di noce, opera magnifica di Riccardo Taurigny (1564-1572): S. Pietro riceve dal Signore le chiavi –

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battezza Cornelio centurione – il castigo di Anania e Saffira e la Conversione di S. Paolo, la sua predicazione e la sua cattura. I parapetti delle cantorìe sono opera di Am-brogio Dusi, 1653. Gli organi attuali (quattro: uno a destra, due a sinistra, l’altro dietro all’ancona) sono opera della Ditta Pugina (1928). Le canne dell’organo attuale di sini-stra sono in parte quelle del Nachich e del Callido, che restarono dalla distruzione ope-rata da un fulmine nel 1927. A sinistra dell’altare: candelabro bronzeo per il cero pasquale di Arrigo Minerbi (1953). IL CORO GRANDE

Il «Coro Maggiore»: uno dei più belli del mon-do; ammirevoli: la maestà dell’insieme, domi-nato dall’immensa ancona dorata; l’adattamento perfetto dell’opera all’ambiente; la euritmia fra i due ordini di stalli, superiore e inferiore, e fra questi e il dossale; l’eleganza e perfezione degli ornati (per esempio, si osservi di scor-cio la serie delle cariatidi sor-reggenti i braccioli degli stalli; si noti l’elegantissimo dossale, col colonnato di squisite pro-porzioni, la trabeazione col bellissimo fregio, i bei putti sovrapposti, ognuno in una posa diversa; la varietà e la finezza dei fregi sparsi dovun-que). Di grande effetto gli spec-chi del dossale, con le figure scolpite in pieno rilievo. arte-9-2L’autore è Riccardo Taurigny, cui si deve non sol-tanto l’esecuzione, ma anche il disegno dell’opera, che durò dall’ottobre 1558 al lu-glio 1566. L’artista era di Rouen in Norman-dia: nel lavoro fu aiutato da dieci carpentieri e dall’artista Giovanni Manetti. Gli stalli sono 88; la materia, il legno, di noce, ben conserva-to. Il tema delle figurazioni, elaborato da Eutizio Cordes monaco di S. Giustina e dottis-simo teologo, si può enunciare così: «L’opera redentrice di Gesù Cristo prefigurata nel Vec-chio Testamento, attuata nella sua vita, appli-

cata all’umanità». A ciascuno dei fatti della vita terrena di N. S. Gesù Cristo (la Redenzione in atto) rappre-sentati nei grandi specchi del dossale, corri-sponde, in bassorilievo negli schienali degli stalli superiori, un fatto dell’Antico Testamen-to che è la figura profetica dell’altro; mentre gli schienali degli stalli inferiori portano bas-sorilievi allusivi: ai Sacramenti, che ci applica-no la Grazia della redenzione; ai doni dello Spirito Santo, che ci fanno agire secondo la Grazia, alle virtù che la Grazia produce, ai vizi che la Grazia estingue. I banditori della Redenzione sono rappresen-tati nelle statuine sedute poste sull’inginocchiatoio: due profeti dell’A. T.; i quattro evangelisti; i quattro massimi dottori della Chiesa Latina e si aggiungono, i due titolari della basilica: S. Giustina e S. Prosdoci-mo. Questo coro è un esempio dei più grandiosi e

completi, di quei cicli figurativi storici e simbolici che il Medio-evo ebbe giustamente cari ad istruire nel dogma e nella mo-rale cristiana. Il leggìo col cassone sottoposto è opera anch’esso di Riccardo Taurigny (agosto 1566 – luglio 1572); vi sono raffigurati la vita e il martirio di S. Giustina. Nel cassone e in sagrestia si conservavano preziose collezio-ni di libri corali egregiamente decorati da illustri miniatori dei secoli XV e XVI. Ne resta oggi

solo qualche malandato avanzo (cinque volu-mi in monastero, altri al Museo Civico). Il bel pavimento è del sec. XVI. n fondo al coro: il Martirio di S. Giustina: bella opera di Paolo Veronese (1575, firmata); la sua più grande pala d’altare. La cornice nobi-lissima, forse disegno di Michele Sanmicheli, fu scolpita da Giovanni Manetti, allievo e aiuto del Taurigny: è tutta dorata ad oro di zecchino. Sotto il quadro: bella porta in pie-tra; nella disposizione originaria chiudeva

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verso il popolo, in cima alla gradinata. Nei pilastri sotto le finestre: a destra: David vincitore di Golia; a sinistra: Sansone (sec. XVII). In origine, da questi pilastri sporgevano gli amboni per l’Epistola e il Vangelo, come fu uso costante nella Congregazione di S. Giusti-na fino a tutto il sec. XVI. Lunette delle arcate piccole: a destra: Giaele uccide Sisara: tela di Pietro Ricchi (1672); Nadab e Abiud puniti per aver usato fuoco profano: Giovan Francesco Cassana (1672). A sinistra: Lotta di Giacobbe con l’Angelo: Pietro Ricchi; Abramo riceve i tre Angeli: Gio-van Francesco Cassana. Sotto il presbiterio e il coro si stende una bella e spaziosa Cripta (1562), la cui volta è un capolavoro di statica per la piccolezza della monta rispetto alla corda (m. 2,60 su m.14). Da osservare, incorniciato da una nicchia del muro di fondo, il fonte battesimale di bronzo (Milani, 1964). CORRIDOIO DEI MARTIRI

Costruito nel 1564 per unire la Cappella di S. Prosdocimo con la chiesa attuale, è un am-biente di piacevoli proporzioni, con buone decorazioni contemporanee. Qui si può vede-re dentro una gabbia medioevale di ferro, la cassa di legno che custodì per qualche tempo (forse dal 1177 al 1316) il corpo di S. Luca Evangelista. Nel mezzo il bel pozzo (1565), adorno di eleganti decorazioni in niello, sotto il quale, su un tratto di pavimento in mosaico della Basilica Opilioniana, posa il primitivo pozzo del sec. XIII, contenente le ossa dei Ss. Martiri. Sulla destra, sotto vetro è visibile un lacerto di pavimento a mosaico della Basilica paleocristiana (Sec. V- VI) Sopra il pozzo dei Martiri: pitture della cupo-la: di Giacomo Ceruti (1750 circa). In fondo, sull’altare: Il ritrovamento del pozzo dei Martiri, con la miracolosa accensione delle 12 candeline: bella tela di Pietro Damini (1592-1631), piena di ritratti. Scendendo: il muro a destra è un tratto del fianco meridionale della chiesa medioevale riedificato sulla corrispondente parete della Basilica Opilioniana. Le due bifore sono rico-

struzioni (1923) su tenui tracce di due impo-ste di archi.Porta che immette nella cappella di S. Prosdocimo (1564). Ai lati: statue dei Ss. Pietro e Paolo, di Francesco Segala. Sono due delle undici statue eseguite da lui in terracot-ta (1564) per la nuova decorazione della cap-pella di S. Prosdocimo; sono oggi conservate nella Sala rossa all’interno del Monastero. Sopra la porta, ai lati dell’iscrizione: il pellica-no, la fenice: calchi di finissimi bassorilievi in marmo greco del sec. XVI. Gli originali furono tolti di qui per permettere la visione delle belle sculture del sec. XIII o XIV, che portavano nel retro. Oggi sono visibili nell’atrio della Sacrestia. SAN PROSDOCIMO E IL SACELLO

Prosdocimo, verosimilmente primo vescovo della chiesa padovana (sec. III-IV), è rappre-sentato in una «imago clipeata» di marmo (inizi del sec. VI), riscoperta durante la rico-gnizione della sua salma nell’omonimo orato-rio in S. Giustina (1957). Il suo culto e la devo-zione è confermata anche fuori del territorio padovano prima del Mille . L’iconografia lo presenta con il pastorale e l’ampolla dell’acqua battesimale in mano: simboli della sua missione pastorale in città e in diocesi. L’antica liturgia ne celebra la fedeltà al Van-gelo e all’insegnamento degli Apostoli. Il Sacello è un cimelio di arte paleocristiana, preziosissimo per l’antichità, la completezza, le rarissime opere d’arte che custodisce. Fu costruito (tra il 450 e il 520) dal patrizio Opi-lione unitamente alla basilica, al sommo della cui navata destra era innestato, allo spigolo tra levante e mezzogiorno. Orientato come la basilica, comunicava con questa mediante l’atriolo di occidente. È uno dei più begli esempi di quegli oratori, di cui l’antichità cristiana circondava i maggiori edifici di culto: oratori destinati a devozioni particolari di singole persone, fisiche o morali, e verso singoli Santi (qui, secondo un costu-me diffusissimo nei secoli IV-VI, si veneravano reliquie di Santi Apostoli e Martiri); e anche a sepoltura di insigni personaggi. Più sviluppato e più perfetto dei più fra i sacelli analoghi, il

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Sacello di San Prosdocimo consta di un qua-drato centrale, cui sono innestate quattro corte braccia coperte di volta a botte; il brac-cio orientale, absidato; il quadrato centrale è sormontato da cupola emisferica ad esso collegata mediante quattro pennacchi a quar-to di sfera. Come nella basilica annessa, le pareti erano rive-stite di tavole di marmi preziosi; dall’imposta degli archi in su tutto era coperto di mo-saici. Il braccio settentrionale immetteva in una sala, forse destina-ta ad accogliere sarcofagi di illustri personaggi. Nell’atrio ricostrui-to è possibile am-mirare il Timpano di porta della basi-lica opilioniana (sec. V-VI), e un pluteo di marmo greco del sec. VI; rarissimo perché doppio. In fondo: frontone triangolare (timpano di porta, sec. V-VI), con la iscrizione dedicatoria della Basilica e del Sacello: «Opilio vir clarissi-mus et inlustris, praefectus praetorio atque patricius, hanc basilicam vel oratorium in honorem sanctae Justinae Martyris a funda-mentis caeptam Deo iuvante perfecit ». Nel sacello: a destra: altare di S. Prosdocimo (1564), sarcofago romano di marmo pario, trovato (1564) nel terreno sotto il pavimento (conteneva i corpi di due Vescovi, allora de-posti altrove), e adibito da allora a custodia del corpo di S. Prosdocimo. Nel paliotto: S. Prosdocimo giacente, tra due Angeli cerofera-ri: bella scultura di ignoto (1564 – Marcanto-nio De Surdis). Sopra l’altare: stupenda immagine in marmo greco, di S. Prosdocimo (Sec. V-VI): rappre-senta il Santo nell’eterna giovinezza del para-diso, simboleggiata dai due palmizi laterali.

Porta la scritta contemporanea: « Sanctus Prosdocimus Episcopus et Confessor ». In origine era la parte centrale della fronte di un sarcofago: tagliata poi per essere inserita in altro monumento (come lo mostrano i due battenti laterali) fu posata, come autentica-zione, sull’arca in cui nel sottosuolo furono

nascoste le ossa del Santo; scoperta nell’esumazione del 1564, accompagnò nel 1565 le sacre ossa entro l’altare, ove fu ritro-vata nel 1957. A sinistra, davanti all’altare principale: la pre-ziosa « p e r g u l a» o iconostasi, l’unica del secolo VI che ci sia pervenuta integra. Uniche manomissioni: l’ultima colonna di destra, e i due capitelli estremi a destra e a sinistra, opera del Rinascimento. Come in tutte le antiche chiese, segnava la necessaria separa-zione tra clero e popolo, come oggi la balau-stra, e nello stesso tempo accentuava il carat-tere sacro del presbiterio e dell’altare. È di marmo greco (si notino le colonne tutte di un pezzo con gli altissimi piedistalli, e l’arco di mezzo a ferro di cavallo). L’iscrizione, con-temporanea, dice: «In nomine Dei. In hoc loco conlocatae sunt reliquiae sanctorum Apostolorum et plurimorum Martyrum qui pro conditore omniunque fidelium plebe orare dignentur (In nome di Dio: in questo

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luogo sono state collocate le reliquie dei SS. Apostoli e di moltissimi Martiri, i quali si de-gnino di pregare per il fondatore e per tutto il popolo di Dio). Si ritorni in chiesa per la stessa via. Dall’arco dietro l’altare di S. Mattia: bello sguardo sulla maestosa e semplicissima crociera della Basi-lica. CORRIDOIO DELLE MESSE E CORO VECCHIO

Entrando nel Corridoio delle messe per la porta accanto all’altare della Pietà, adorna di due belle colonne di marmo greco, si accede al Coro Vecchio, prolungamento della Chiesa medioevale, costruito negli anni dal 1472 al 1473 col lascito di Jacopo Zocchi. Di belle proporzioni e molto luminoso, consta di due campate a pianta quasi quadrata con volta a crociera; e di una abside formata da sette lati di un dodecagono regolare. Ha conservato la disposizione primitiva: ad oriente altare e presbiterio, e, davanti, il coro. Si notino la volta dell’abside di bell’effetto; le sue lesene pensili; sotto gli archi della navata i curiosi capitelli. La decorazione delle volte è del sec. XV; il gran fregio a fresco attorno le pareti è del sec. XVI. Questa cappella è nobili-tata da insigni opere d’arte, che ne fanno un vero museo. Il Coro ligneo è opera (1467-1477) di Francesco da Parma e Domenico da Piacenza, dei quali quasi nulla sappiamo. È opera d’intaglio e di intarsio. Bello l’insieme e molto pregevole; vigorosa ed elegante l’opera di intaglio. Interessanti pa-recchi dei primi specchi, per-ché riproducenti edifici dell’antica Padova. Nel mezzo, il cassone per i libri corali: opera un po’ più antica del coro, del Canozzi di Lendinara. Ancora nel mezzo: tomba di Ludovico Barbo; opera di un certo effetto, in pietra d’Istria. Nel presbiterio, a destra, sta-tua di S. Giustina, in pietra tenera, opera probabilmenete di fine sec. XIV-XV. A sinistra, arcosolio che pro-

tegge la statua giacente di Jacopo Zocchi, di Bartolomeo Bellano (1461); sopra: ambone per il Vangelo; è originale solo la parte infe-riore della gocciola di sostegno, con i suoi finissimi ornati. Accanto: porticina intarsiata che immette all’ambone: degli stessi autori del coro. Bel pavimento (sec. XVI) di rosso di Verona, con intarsi di marmi rari e riporti di bronzo. Funge provvisoriamente da altare un bel pa-rapetto di cantoria, scolpito in legno di noce da mano maestra ha sostituito un altare, di cui sono rimasti i gradini. I pilastri addossati alla parete sostenevano la stupenda pala, racchiusa in una nobile cornice, che Girolamo Romanino dipinse per questo luogo (1513-14), e che nel 1866 un commissario regio tolse a forza contro i diritti e le proteste della Fabbriceria. Oggi è al Museo Civico sempre in attesa di tornare al suo posto d’origine. Sulla parete: bellissimo Crocifisso ligneo, d’ignoto autore del sec. XV. SAGRESTIA

Nell’atrio della sagrestia, si possono ammira-re nella nicchia la Madonna col Bambino, bellissima terracotta della fine del sec. XV. L’Architrave insieme alla lunetta romanica che lo sovrasta, che rappresenta la Chiesa che dà la bevanda della vita ai fedeli. Sull’Architrave vi sono rappresentate: 1) l’Annunciazione; 2) la Visitazione; 3) la Natività del Signore; 4) l’Annuncio dell’Angelo ai Pastori; 5) l’Adorazione dei Magi.

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REDIPUGLIA, SANTUARIO BARBANA , GRADO, AQUILEIA.

REDIPUGLIA

Il più grande Sacrario Militare Italiano, sorge sul versante occidentale del Monte Sei Busi che nella Prima Guerra Mondiale fu aspra-mente conteso perché, pur se poco elevato, consentiva dalla sua sommità di dominare, per ampio raggio, l'accesso da Ovest ai primi gradini del tavolato carsico. La monumentale scalea sulla quale sono alli-neate le urne dei centomila caduti e che ha alla base quella monolitica del Duca d'Aosta, comandante della Terza Armata, dà l'immagi-ne dello schieramento sul campo di una Gran-de Unità con alla testa il suo Comandante.

Nel Sacrario di Redipuglia sono custoditi i resti mortali di 100.187 caduti: 39.857 noti e 60.330 ignoti. SANTUARIO BARBANA

Barbana è un’isola posta all’estremità orien-tale della laguna di Grado, sede di un antico santuario mariano. Si estende su circa tre ettari e dista circa cinque chilometri da Gra-do; è abitata in modo stabile da una comunità di frati minori francescani. Il suo nome deriva probabilmente da Barbano, un eremita del VI secolo che viveva nel luogo e che raccolse attorno a sé una comunità di monaci. Le origini dell’isola sono relativamente recen-ti: la laguna di Grado si è infatti formata tra il V e il VII secolo su di un’area precedentemen-te occupata dalla terraferma. Il luogo ospita-va, in epoca romana, un tempio di Apollo Beleno e, probabilmente, l’area destinata alla quarantena del vicino porto di Aquileia. Un piccolo bosco si estende sul lato occiden-tale dell’isola e ne copre più della metà della superficie: le essenze più diffuse sono i bago-lari, i pini marittimi, le magnolie, i cipressi, gli olmi. L’isola di Barbana è collegata a Grado da un regolare servizio di traghetti, con partenza dal Canale della Schiusa. Il viaggio richiede circa 20 minuti di navigazione. L’isola è inoltre dotata di un piccolo porto e può essere rag-giunta anche con mezzi privati.

Giovedì 22 agosto PROGRAMMA : partenza ore 8.30 e arrivo a REDIPUGLIA (9.15) , visita sacrario Ore 10.30 partenza per Grado, alle ore 11.30 partenza (motoscafo) per il Santuario di Barba-na (arrivo alle ore 12) Ore 12.30 Pranzo al Ristorante del Pellegrino Tel. 0431/80453 Ore 14.30 partenza per GRADO e visita alla città (15.00-16.00) Ore 16.00 partenza per AQUILEIA - Visita guidata Ore 17.30 partenza per Trieste Rientro per cena SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ DI TRIESTE

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NASCITA DEL SANTUARIO

Secondo la tradizione, la nascita del santua-rio della Madonna di Barbana risale all’anno 582, quando una violenta mareggiata minac-ciò la città di Grado: l’eccezionale evento meteorologico, che allora destò grande stu-pore e preoccupazione, si inserisce probabil-mente nella genesi dell’attuale laguna. Al termine della tempesta un’immagine della Madonna, trasportata dalle acque, venne ritrovata ai piedi di un olmo (o, secondo un’altra tradizione, sui suoi rami), nei pressi delle capanne di due eremiti originari del trevisano, Barbano e Tarilesso. Il luogo era allora relativamente lontano dalla linea di costa e il patriarca di Grado Elia (571-588), come ringrazia-mento alla Madon-na per aver salvato la città dalla mareg-giata, fece erigere una prima chiesa. Attorno a Barbana si formò una prima comunità di monaci che resse il santua-rio per i successivi quattro secoli. In questo arco di tempo il mare proseguì la sua avanzata: nel 734, da un documento di papa Gregorio III, si apprende infatti che Barbana era già un’isola. La chiesa venne probabil-mente ricostruita più volte e la stessa imma-gine della Madonna, non si sa se una statua o un’icona, andò perduta. Attorno all’anno mille, subentrarono i bene-dettini che ufficiarono il santuario per cinque-cento anni. A questo periodo risale la pesti-lenza che investì Grado nel 1237 e l’origine del pellegrinaggio annuale della città a Barba-na. DAL 1400 AD OGGI

Il santuario attuale Dal 1450 è documentata la presenza di frati francescani conventuali, che sostituirono i benedettini prima in chiave provvisoria e poi, dal 1619, in modo definitivo. I francescani,

che nel 1738 eressero una nuova chiesa a tre navate, rimasero nell’isola fino al 1769, quan-do la Repubblica di Venezia soppresse il mo-nastero. I legami di Venezia con il santuario, a dispetto di questo provvedimento, furono comunque sempre intensi, com’è testimoniato da lasciti testamentari di dogi (Pietro Ziani, 1228) e dall’esistenza, in passato, di un’apposita con-fraternita di gondolieri (la “Fratellanza della Beata Vergine di Barbana”). Lo stesso bassori-lievo dell’altare maggiore della chiesa di Bar-bana rappresenta, non a caso, una gondola in laguna. Dopo l’allontanamento dei frati, il santuario venne quindi affidato per oltre 130 anni ai

sacerdoti diocesa-ni, prima di Udine (1769-1818), poi di Gorizia (1818-1901). Un ruolo di particolare rilievo venne svolto da don Leonardo Sta-gni, al quale si devono la costru-zione degli argini (1851), la realizza-

zione dell’attuale cappella del bosco nel luogo dove venne ritrovata l’immagine di Maria (1854) e l’incoronazione della Madonna di Barbana (1863). Nel 1901 il santuario venne affidato ai frati francescani minori della provincia dalmata che edificarono un nuovo convento, curarono alcune bonifiche e misero mano alla costru-zione dell’attuale chiesa. Nel 1924, mutati i confini politici, il testimone passò ai confratel-li della provincia veneta di San Francesco, che hanno provveduto alla realizzazione della casa di esercizi spirituali “Domus Maria-e” (1959) e delle più recenti casa del pellegri-no (1980) e cappella della riconciliazione (1989). La chiesa L’isola è dominata dalla mole della chiesa e del campanile. La chiesa, che presenta alcuni

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richiami all’architettura orientale, è in stile neoromanico ed è relativamente recente. I lavori di costruzione dell’attuale edificio, che sorge sul luogo delle chiese succedutesi nei secoli passati, sono stati infatti avviati nel 1911 e completati, dopo una pausa dovuta alla prima guerra mondiale, nel 1924. Il pro-getto è dell’architetto goriziano Silvano Ba-rich, che negli anni successivi disegnerà i piani anche per il santuario di Monte Santo. La semplice facciata è ingentilita da lesene di pietra e da un rosone. La struttura culmina con un’ampia cupola. L’interno a tre navate, con soffitto a carena di nave, presenta elementi di notevole interesse nell’altare maggiore del 1706 e, soprattutto, nella statua lignea della Madonna, opera di scuola friulana della fine del Quattrocento. La statua, a grandezza naturale, rappresenta Maria in trono con in braccio Gesù bambino: lei regge con la mano destra una rosa, proba-bilmente a simboleggiare la fede, lui invece tiene in mano un libro, chiaro riferimento al Vangelo. I due altari laterali, in stile rinasci-mentale-barocco, sono di scuola veneziana e sono dedicati a San Francesco (sinistra, 1763) e Sant’Antonio (destra, 1749). Della scuola del Tintoretto è invece il quadro dei gondolie-ri in pellegrinaggio (1771) custodito nella sagrestia, dove è possibile ammirare anche una Madonna col Bambino di autore ignoto (1734). Gli affreschi della cupola (oltre 500 metri quadrati) sono un’opera più recente di Tibur-zio Donadon (1940). Lo spazio è diviso in quattro grandi quadri rappresentati l’incoronazione di Maria, la processione del perdòn di Barbana, l’apparizione della Vergi-ne sull’olmo, e una visione del patriarca Elia. I quadri sono separati da figure bianche che simboleggiano le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). Le vetrate della chiesa rappresentano alcuni misteri del rosario. Il campanile, alto 47,8 metri, è stato inaugurato nel 1929: le quattro campane attuali, come invito alla pace, sono

state ricavate dal metallo di cannoni tedeschi della seconda guerra mondiale. La piccola Cappella della riconciliazione, alla destra dell’altare maggiore, conserva una statua della Vergine del 1700 in pietra di Auri-sina e un cippo di pietra di età romana, raffi-gurante un magistrato. La continua azione della laguna ha impedito la conservazione di tracce significative dei santuari più antichi. Tra le vestigia giunte fino a noi, è possibile ricordare un bassorilievo funerario rappresentate un’apparizione di Cristo risorto (X-XI secolo), un frammento dell’albero presso il quale secondo la tradizio-ne venne ritrovata l’immagine della Madon-na, un rivestimento per altare in cuoio e oro (XVII secolo), e due colonne con capitelli co-rinzi, quest’ultime poste oggi davanti al cam-panile. Nella cappella della “Domus Mariae” è custodita la statua della cosiddetta “Madonna mora”, venerata nel santuario dall’XI al XVI secolo. L’opera, in legno dipinto, è stata recentemente restaurata: curiosa-mente, la Madonna regge il bambino per i piedini. Una tela di Madonna orante del 1500 può infine essere ammirata nella mensa dei frati. Della prima chiesa costruita dai francescani (XVIII secolo) sono invece rimaste numerose tracce, sia negli arredi interni che in materiale iconografico (dipinti, fotografie, bassorilievi). La chiesa, più piccola dell’attuale, si presenta-va con una semplice facciata bianca, successi-vamente ingentilita da un porticato, e aveva un piccolo campanile. La cappella nel bosco e le statue A poca distanza dalla chiesa, sul luogo dove secondo la tradizione si arenò l’immagine della Madonna, sorge la cappella dell’apparizione, costruita nel 1854 per cele-brare il dogma dell’Immacolata Concezione. La cappella, di forma ottagonale, ha preso il posto di un precedente capitello votivo ed è stata decorata nel 1860 dal pittore udinese Rocco Pitacco. I dipinti rappresentano la glori-ficazione di Maria tra angeli e personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sulle

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pareti laterali, quadri relativi alla proclama-zione del dogma e alla vita e alle origini del santuario. La cappella, che è circondata da un piccolo cimitero, custodisce le spoglie del venerabile Egidio Bullesi, un giovane istriano distintosi per il suo apostolato a Pola e a Monfalcone. All’ingresso del piccolo porto dell’isola è visi-bile una statua della Madonna, eretta nel 1954 a ricordo dell’anno mariano. Altre sta-tue dedicate a San Francesco e ad Egidio Bul-lesi sono inoltre dislocate nei pressi della chiesa e della “Domus Mariae”. El Perdòn de Barbana Il pellegrinaggio più noto è il cosiddetto “Perdòn di Barbana” che si svolge ogni anno nella prima domenica di luglio e prevede una processione di barche imbandierate in lagu-na da Grado a Barba-na. La processione, che inizia di primo mattino, è guidata dalla “Battella”, l’imbarcazione che trasporta la statua della Madonna degli Ange-li custodita nella basilica di Grado. Nell’occasione viene aperto il ponte girevole che collega Grado alla terraferma e l’autorità civile consegna un dono simbolico alla Ma-donna. L’origine del pellegrinaggio risale a un voto fatto dalla comunità gradese in seguito alla pestilenza del 1237. Il nome “perdòn” deriva invece dalla consuetudine di accostar-si, nell’occasione, al sacramento della confes-sione. Altri pellegrinaggi Il santuario è inoltre meta di numerosi pelle-grinaggi provenienti principalmente dai paesi della Bassa Friulana, testimoniati anche da documenti pittorici come, ad esempio, un quadro votivo che ricorda la processione della comunità di Ruda. I pellegrinaggi votivi delle comunità si svolgono prevalentemente dal mese di aprile allla fine di settembre.

Numerosi pellegrini partecipano inoltre il 15 agosto e l’8 settembre di ogni anno, in occa-sione delle festività mariane dell’Assunzione e della Natività, alle due processioni nelle quali la statua della Madonna di Barbana viene portata a spalla per l’isola. GRADO

LA BASILICA PATRIARCALE DI SANT’EUFEMIA

è il principale edificio religioso di Grado (GO) e antica cattedrale del soppresso Patriarcato di Grado. Risalente al VI secolo, sorge in Campo dei Patriarchi, affiancata dal battistero e dal cam-panile a cuspide del secolo XV. Sul luogo dove oggi troviamo la basilica di

Sant’Eufemia, sorgeva una precedente basili-ca del IV-V secolo. L’edificio venne ordinato da Elia, arcivescovo di Aquileia in fuga da un’invasione: quella dei Longobardi. Quasi al contempo, Elia, in contrasto con papa Pelagio II a seguito della condanna dei Tre Capitoli, scelse la strada dell’autocefalia, proclamandosi patriarca, e, per riaffermare la propria fedeltà al concilio di Calcedonia, deci-se di dedicare la nuova chiesa a Sant’Eufemia di Calcedonia, patrona di quel concilio, consa-crandola forse il 3 novembre 580. Seguendo le complicate traversie della sua diocesi, tra il VI e l’inizio del VII secolo, la basilica fu sede del ramo filo-romano e filo-bizantino in cui si scisse il patriarcato, fino alla definitiva separazione tra le due chiese e la costituzione, negli anni 717 e 739 del Patriar-cato di Grado. Sottoposta al sempre più stretto controllo dei

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Duchi di Venezia, delle cui terre era chiesa madre, più volte coinvolta negli scontri milita-ri per la mai sopita rivalità coi vicini Patriarchi di Aquileia, la basilica di Sant’Eufemia prese a decadere a partire dal 1105, quando il nuovo patriarca, Giovanni Gradenigo, scelse di risie-dere nella capitale: Venezia. La basilica mantenne tuttavia la titolarità della cattedra patriarcale anche dopo il rico-noscimento pontificio, nel 1177, della resi-denza veneziana dei patriarchi. Nel 1451, però, con la soppressione del titolo gradense e l’istituzione del nuovo Patriarcato di Venezia, la basilica venne incorporata nella nuova diocesi, perdendo il titolo di cattedrale, trasferito alla basilica di San Pietro di Castello, a Venezia. Nel 1455 venne eretto l’attuale campanile, sormontato da una statua segna-vento in rame sbalzato del 1462, raffigurante San Michele Arcangelo, attuale simbolo di Grado. Facciata e fianco sinistro La pala d’oro L’esterno, in stile paleocristiano, si presenta in mattoni e arenaria a vista e presenta rimaneggiamenti risalenti ai secoli XVII e XIX, in parte rimossi coi restauri ese-guiti a metà novecento. La facciata, rivolta verso Cam-po dei Patriarchi, è ripartita a salienti e lesene e aperta da tre ampi finestroni, al disotto dei quali si intravvedono le tracce dell’antico nartece, oggi scomparso. Ad essa è addos-sato sul lato destro il campani-le, a cuspide, d’aspetto vene-ziano. L’interno, ampio e luminoso, è diviso in tre navate, delimitate da colonne in marmi poli-cromi, in parte di epoca romana, così come i capitelli. Sulla parte alta e lungo le pareti perimetrali, si aprono numerosi ed ampi fine-stroni, che illuminano l’ambiente ed il sovra-stante tetto a capriate. Notevole è la decorazione musiva interna, in

particolare per quanto riguarda il grande mosaico pavimentale, risalente alla fine del VI secolo. Sul lato sinistro della navata centrale si erge poi un alto ambone esagonale, con decorazioni scultoree del XIII secolo. Nel presbiterio, decorato in alto da affreschi quattrocenteschi, trova posto la pala d’oro in argento sbalzato e cesellato, donata alla basi-lica nel 1372 dal nobile veneziano Donato Mazzalorsa. Ripartita in tre registri, raffigura: in quello superiore l’Annunciazione, il Cristo e i simboli degli Evangelisti, in quello inferiore una serie di archetti con figure di Santi e, nel registro centrale, Cristo in trono e San Marco che celebra messa. La basilica ospita la statua della Madonna degli Angeli che, in occasione della festa del Perdon di Barbana (prima domenica di luglio), viene portata in processione in laguna fino al santuario di Barbana. Accanto al complesso basilicale si trova il battistero ottagonale con ampia vasca mar-morea a immersione. IL BATTISTERO di Grado è un monumento

paleocristiano che sorge all’interno dell’antico castrum, a fianco della Basilica di Sant’Eufemia. Ha forma ottagonale, con vasca esagonale. La sua co-struzione risale al VI secolo. A partire dal IV e dal V secolo, Aquileia, ripetutamente sac-cheggiata durante le invasioni barbariche, venne progressi-vamente abbandonata dai suoi abitanti, che si rifugiaro-no nella vicina Grado. La defi-nitiva decadenza aquileiese

venne sancita dal passaggio del patriarca, il romano Paolino (557-569), nella nuova sede gradese. Stabilitosi a Grado, Paolino iniziò a progettare una serie di edifici religiosi che dovevano servire la crescente popolazione dell’isola e dare alla città la dignità di sede vescovile. Al suo successore, il beneventano Probino (569-

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571), si deve il battistero, come testimoniato dal suo monogramma riportato sulla lastra frontale dell’altare, dove colombe e pavoni fanno da cornice a una croce. Dopo Probinio, Elia (571-586/87) completò i lavori con la realizzazione della basilica di Santa Eufemia, della prima chiesa di Barbana e, probabilmen-te, di una prima restaurazio-ne della basilica di Santa Maria delle Grazie. L’emergere di Venezia come potenza lagunare portò a una lenta decadenza di Gra-do, che nel corso dei secoli perse la sede vescovile e si ridusse a un semplice villag-gio di pescatori. Nel Seicento l’edificio, che nell’alto medio evo era stato dotato di gradinate cerimo-niali e di un’arca dedicata a San Giovanni, venne restau-rato in stile barocco e così rimase fino al secolo scorso. Nel 1925 vennero avviati lavori di scavo e restauro che ne riportarono alla luce le forme originarie, sia nell’aspetto esterno che nei semplici interni. L’edificio ha un impianto ottagonale. L’esterno è in cotto ed è dotato di otto alte finestre, una per lato, sotto le quali era pre-sente un portico d’ingresso, oggi perduto. L’attuale ingresso, rivolto a occidente, è di realizzazione recente, mentre l’antica porta, rivolta a nord-ovest, è stata murata in passa-to. L’interno è molto semplice. Il pavimento è musivo, con decorazioni geometriche e flore-ali e un’iscrizione, dedicata a Sesinio. Al centro la vasca battesimale è curiosamente esagonale, in contrasto con l’impianto ottago-nale dell’edificio. L’altare sorge in un’abside ricavato nel lato orientale: è illuminato da tre finestre ed è decorato con frammenti sculto-rei. Il soffitto in legno è stato ricostruito nel 1933 sulla base dell’edificio originario.

LA BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE

è una delle due basiliche paleocristiane di Grado. Si affaccia sul Campo dei Patriarchi, nel centro storico della città, a pochi passi dal Battistero e dalla Basilica di Sant’Eufemia, mentre i resti di una terza basilica (la Basilica della Corte) sono visibili a poca distanza, ai

limiti del castrum romano. La basilica è stata costruita alla fine del VI secolo per volontà del Patriarca Elia, che negli stessi anni comple-tò la costruzione della Basili-ca di Sant’Eufemia e avviò i lavori per la prima chiesa di Barbana. La chiesa venne edificata sul sito di una precedente basili-ca paleocristiana risalente alla prima metà del V secolo, forse voluta dal vescovo Cromazio. I due stadi della costruzione

risultano evidenti nell’interno, che i restauri hanno ripristinato a due livelli. La basilica ha curiosamente una base quadra-ta sia nella pianta che nell’alzato. L’interno è scandito da tre navate separate da due file di cinque colonne marmoree di provenienza diversa. Di particolare interesse l’altare, l’acquasantiera e la statua lignea della Ma-donna delle Grazie, tradizionale meta devo-zionale della popolazione gradese. L’architettura della basilica è caratterizzata dal forte slancio verticale della navata centra-le. La facciata in pietra e mattoni ha tre porte

ed è ingentilita da una trifora. AQUILEIA Aquileia fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. Fu dapprima baluardo contro l’invasione di popoli barbari e punto di partenza per spedi-zioni e conquiste militari. Grazie ad una buona rete viaria e ad un impo-nente porto fluviale, col tempo divenne sem-pre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffina-

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to (vetri, ambre, fictilia, gemme…). Raggiunse il suo apice sotto il dominio di Ce-sare Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) divenendo capitale della X Regio “Venetia et Histria” ed accelerando quel processo che ne avrebbe fatto una delle più importanti metropoli dell’Impero Romano. Durate i secoli successivi, guerre interne, scorrerie o rappresaglie esterne e rapide incursioni minacciarono la città che, coinvolta nella più ampia crisi dell’Impero, iniziò lenta-mente ad acquistare un volto nuovo divenen-do, con l’arrivo del cristianesimo, centro di irradiazione missionaria e di organizzazione ecclesiastica. CENNI STORICI SU AQUILEIA

Aquileia fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. in un luogo che era all'in-crocio di popoli e traffici commerciali. Fu dapprima baluardo contro l'invasione di po-poli barbari e punto di partenza per spedizio-ni e conquiste militari. Collegata da una buona rete viaria, col tempo divenne sempre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffinato. Raggiunse il suo apice sotto l'impero di Cesare Augusto: con una popola-zione stabile di oltre 200.000 abitanti, divenne una delle maggiori e più ricche città di tutto l'impe-ro. Fu residenza di parecchi imperatori, con un palazzo assai frequentato, fino a Costantino il Grande e oltre. Quando vi giunse il messaggio cristiano (la tradizione parla di una venuta di S.Marco evangelista che portò a Roma S. Ermacora per farlo consacrare da S. Pietro come primo vescovo di Aquileia), esso ebbe rapido svilup-po sotterraneo, tanto da esplodere pronta-mente appena venne concesso il culto pubbli-co con l'Editto di Milano del 313 d.C.

Basti pensare che furono erette prontamente tre grandi aule, lussuosissime, poste tra loro a ferro di cavallo: due principali, tra loro paral-lele, unite da una trasversale. Ciascuna pote-va contenere comodamente da due a tre mila persone: cosa impensabile per un semplice "inizio" di evangelizzazione e per le ingenti risorse necessarie per realizzarle. Queste poi, ben presto risultarono insufficienti per conte-nere tutti i fedeli, e dovettero essere demoli-te per far posto ad altre aule più ampie. Infat-ti troviamo che, qualche decina di anni più tardi (verso il 345), partendo dalle fondazioni dell'Aula Nord, fu eretta una molto più ampia (lunga ben 70 metri e larga 31: 5 metri più lunga di quella che vediamo), la più vasta in assoluto per Aquileia: quella che nel 452 d.C. fu distrutta da Attila e mai più risorse. Anche l'Aula Sud, ampliata sotto il vescovo Cromazio rimase semidistrutta dall'invasione degli Un-ni. A questo punto c'è da notare una caratte-ristica tipica e unica di Aquileia: tutte le varie basiliche erano strettamente a forma rettan-golare e senza abside. Quando i figli degli scampati e degli esuli ri-tornarono ad Aquileia e pensarono ad una ricostruzione, volsero l'attenzione alle strut-

ture residue dell'Aula Sud, che ancora fu ampliata in lunghezza e larghezza: saranno le fondazioni di quest'ultima a fare da supporto, dopo un lungo periodo di com-pleto abbandono (dai Longobardi all'800), alla costruzione di una vera e propria basilica, come noi l'intendia-

mo, e che sommariamente costituisce il peri-metro di quella attuale. Quest' opera fu por-tata a termine dal vescovo Massenzio (811-838), con l'aiuto finanziario di Carlo Magno. Successivamente però, prima gli Ungari e poi un terremoto (988) la resero inagibile. Resti del pavimento in mosaico di questa basilica si

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possono esplorare attraverso due botole: una presso l'altare al centro del presbiterio e l'al-tra presso il sarcofago di San Pietro. LA BASILICA

Il primo edificio di culto cristiano aquileiese fu edificato nel 313 d.C. dal vescovo Teodo-ro. Era costitui-to da tre grandi aule rettangola-ri poste a ferro di cavallo, dal battistero e da ambienti di servizio Le due aule parallele (teodoriana sud e teodoriana nord) erano mosaicate ed adibite alla celebra-zione della messa e all’insegnamento delle Sacre Scritture; la sala trasversale, pavimen-tata a cocciopesto, veniva invece utilizzata come collegamento tra le due aule preceden-ti. Verso la metà del IV secolo l’aula teodoriana nord subì un notevole ampliamento allo sco-po di contenere un numero sempre più gran-de di fedeli (aula post-teodoriana nord). Ac-canto venne costruito un nuovo battistero con vasca esagonale. Detta aula venne di-strutta dagli Unni di Attila nel 452 d.C. e mai più ricostruita. Successivamente anche l’aula teodoriana sud venne trasfor-mata in un edificio a tre nava-te con un grande battistero di fronte al suo ingresso princi-pale (aula post-teodoriana sud). Nella prima metà del IX secolo il patriarca Massenzio volle avviare i primi lavori di ristrut-turazione di quest’ aula crean-do il transetto, la cripta degli affreschi (sotto il presbiterio),

il portico e la Chiesa dei Pagani. La basilica attuale è sostanzialmente quella consacrata nel 1031 dal patriarca Poppone dopo le modifiche da lui eseguite (sopraelevazione dei muri perimetrali, rifaci-

mento dei capitelli, af-fresco dell’abside e costruzione

dell’imponente campanile alto 73 metri). Ulteriori interventi furono apportati dal patri-arca Voldorico di Treffen nel XII sec. (affreschi nella cripta massenziana con scene della vita di S. Ermacora, della Passione di Cristo ed altre a carattere allegorico e profano) e dal patriarca Marquardo di Randek nel XIV secolo (archi a sesto acuto fra le colonne e tutta la parte alta della basilica compreso il tetto a carena di nave rovesciata, lavori resi necessa-ri dopo il terremoto del 1348).

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Miramare Il Castello di Miramare, circondato da un rigoglioso parco ricco di pregiate specie bota-niche, gode di una posizione panoramica incantevole, in quanto si trova a picco sul mare, sulla punta del promontorio di Grigna-no che si protende nel golfo di Trieste a circa una decina di chilometri dalla città. Voluto attorno alla metà dall’Ottocento dall’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo per abitarvi insieme alla consorte Carlotta del Belgio, offre la testimonian-za unica di una lus-suosa dimora nobi-liare conservatasi con i suoi arredi interni originari. LA STORIA - IL CA-

STELLO

Il Castello di Mira-mare e il suo Parco sorgono per volontà dell’arciduca Massi-miliano d’Asburgo che decide, attorno al 1855, di farsi costruire alla periferia di Trieste una residenza consona al proprio rango, af-facciata sul mare e cinta da un esteso giardi-no. Affascinato dall’impervia bellezza del pro-montorio di Grignano, uno sperone carsico a dirupo sul mare, quasi privo di vegetazione,

Massimiliano ne acquista vari lotti di terreno verso la fine del 1855. La posa della prima pietra del Castello avviene il 1° marzo 1856. Alla Vigilia del Natale del 1860 Massimiliano e la consorte, Carlotta del Belgio, prendono alloggio al pianoterra dell’edificio, che a quel-la data presenta gli esterni del tutto comple-tati, mentre gli interni lo sono solo parzial-mente, in quanto il primo piano è ancora in fase di allestimento. Il palazzo, progettato dall’ingegnere austriaco

Carl Junker, si pre-senta in stile ecletti-co come professato dalla moda architet-tonica dell’epoca: modelli tratti dai periodi gotico, me-dievale e rinascimen-tale, si combinano in una sorprendente fusione, trovando diversi riscontri nelle dimore che all’epoca

i nobili si facevano costruire in paesaggi alpe-stri sulle rive di laghi e fiumi. Nel Castello di Miramare Massimiliano attua una sintesi perfetta tra natura e arte, profumi mediterranei e austere forme europee, ricre-ando uno scenario assolutamente unico gra-zie alla presenza del mare, che detta il colore azzurro delle tappezzerie del pianoterra del

Venerdì 23 agosto

PROGRAMMA : partenza ore 8.30 per MIRAMARE e visita guidata. Ore 11.00 partenza per TRIESTE Ore 13.00 Pranzo al PIZZERIA RISTORANTE COPACABANA Via del Treato Romano 24 tel. 040 370084 VISITA ALLE CHIESE PRIMA DI PRANZO , POMERIGGIO BASILICA DI S. GIUSTO, ARCO DI RICCARDO, S. SILVESTRO PAPA, PIAZZA DELL’UNITÀ D’ITALIA, TEATRO ROMANO, CHIESA DI S. SPIRIDIONE…..ALTRE CHIESE SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ

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Castello, e ispira nomi e arredi di diversi am-bienti. La realizzazione degli interni reca la firma degli artigiani Franz e Julius Hofmann: il pianoterra, destinato agli appartamenti privati di Massimiliano e Carlotta, ha un ca-rattere intimo e familiare, il primo piano è invece quello di rappresentanza, riservato agli ospiti che non potevano non restare abbaglia-ti dai sontuosi ornati istoriati di stemmi e dalle rosse tappezzerie con il simboli imperia-li. LA STORIA - IL PARCO Il Parco di Mirama-re, con i suoi venti-due ettari di super-ficie, è il risultato dell’impegnativo intervento condot-to nell’arco di molti anni da Massimilia-no d’Asburgo sul promontorio roc-cioso di Grignano, che aveva in origine l’aspetto di una landa carsica quasi del tutto priva di vegeta-zione. Per la progettazione, Massimiliano si avvale dell’opera di Carl Junker, mentre per la parte botanica si rivolge inizialmente al giardiniere Josef Laube, sostituendolo in seguito con Anton Jelinek, già partecipante alla famosa spedizione della fregata “Novara” intorno al mondo. Grossi quantitativi di terreno vengono impor-tati dalla Stiria e dalla Carinzia, e vivaisti so-prattutto del Lombardo Veneto procurano una ricca varietà di essenze arboree e arbusti-ve, moltissime delle quali di origine extraeu-ropea. I lavori, avviati nella primavera del 1856, sono seguiti costantemente da Massimiliano, che non smetterà di interessarsi al suo giardino anche una volta stabilitosi in Messico, da dove farà pervenire numerose piante. Nella zona est prevale la sistemazione “a

bosco” che asseconda l’orografia del luogo: alberi alternati a spazi erbosi, sentieri tortuo-si, gazebi e laghetti, ripropongono i dettami romantici del giardino paesistico inglese. La zona sud ovest, protetta dal vento, acco-glie aree geometricamente impostate, come nel caso del giardino all’italiana antistante al “Kaffeehaus” o delle aiuole ben articolate intorno al porticciolo. Il Parco di Miramare, che nelle intenzioni del committente doveva essere una stazione sperimentale di rimboschimento e di acclima-tazione di specie botaniche rare, è un com-

plesso insieme natu-rale e artificiale: in esso è possibile ancor oggi respirare un’atmosfera intrisa di significati stretta-mente legati alla vita di Massimiliano, e cogliere al con-tempo il rapporto con la natura che è proprio di un’epoca. Nel Parco si segnala-

no in particolare: le sculture prodotte dalla ditta berlinese Moritz Geiss; le serre, con vetrate che si aprono nell’originale struttura in ferro; la “casetta svizzera” ai margini del “Lago dei cigni”; il piccolo piazzale con i can-noni donati da Leopoldo I re dei Belgi; la cap-pella di San Canciano con un crocifisso scolpi-to con il legno della fregata “Novara”, dedica-to nel 1900 a Massimiliano da suo fratello Ludovico Vittore. LA STORIA - IL CASTELLETTO

In parallelo alla costruzione del Castello, Mas-similiano fa erigere nel parco il piccolo “Gartenhaus” anche chiamato “Castelletto”, in quanto imita in scala ridotta gli esterni eclettici della residenza principale. Abitato saltuariamente da Massimiliano e Carlotta dal 1859 fino al 1860, il Castelletto gode di una notevole posizione panoramica: si affaccia sul porticciolo di Grignano ed è preceduto da una zona a parterre, abbellita

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da alberi e da una fontana nello spiazzo anti-stante alle serre. È dotato di una pianta a base quadrata, con terrazza, torretta e pergolata di ingresso, e la decorazione superstite al primo piano mostra numerose analogie con quella della prima residenza triestina di Massimiliano: Villa Laza-rovich, che l'arciduca prese in affitto nel 1852 da Nicolò Marco Lazarovich, sistemandola secondo il suo personale gusto. Molti arredi di questa questa villa, sita sul colle di S. Vito, e tutt’ora esistente in via Tigor 23, furono fatti confluire a Miramare per esplicita disposizione di Massimiliano. Gli echi della tragica storia di Massimiliano e Carlotta risuonano anche nel Castelletto: qui, infatti, tra la fine del 1866 e l’inizio del 1867, i medici sorveglieranno strettamente Carlotta, colpita dai primi segni di un preoccupante squilibrio mentale. Negli anni ‘30 del Novecento, quando il Ca-stello è abitato dai Duchi di Savoia-Aosta, il Castelletto diventa un museo aperto al pub-blico, che vi può ammirare gli arredi del Ca-stello che Amedeo di Savoia-Aosta non ha incluso nei suoi appartamenti. Attualmente il Castelletto ospita la sede della Direzione della Riserva Naturale Marina di Miramare.

Trieste TEATRO ROMANO

via del Teatro Ro-mano In riva al mare, nella estremità inferiore del colle di S. Giu-sto, i Romani co-struirono un grande teatro capace di contenere 6.000 spettatori. La pendenza del colle fu utilizzata come nei teatri greci ma soltanto parzialmente perché è qua-

si interamente un'opera muraria. La parte più alta delle gradinate e il palcoscenico erano in legno. Molto poco è rimasto: soltanto il basa-mento della parte fissa della scena e le basi in muratura dei pilastri del portico. Al Civico Museo di Storia e Arte sono conservate le statue ornamentali. In tre iscrizioni dell'epoca di Traiano compare il nome di Q. Petronius Modestus , un perso-naggio legato al teatro del tempo e trova conferma la data della costruzione del teatro intorno alla seconda metà del I sec. Come per gli altri monumenti romani subì la spoliazione delle pietre pregiate e già pronte ad altri usi. Divenne così il solido fondamento delle case che si costruirono sopra. Pietro Nobile, architetto neoclassico e studioso delle antichità locali, lo individuò nel 1814 guidato anche dal nome del luogo "Rena ve-cia" (Arena vecchia). . SINAGOGA TEMPIO ISRAELITICO

via S. Francesco d'Assisi, 19 Il documento ufficiale più antico reperibile che menzioni un insediamento ebraico, sep-pur piccolo, a Trieste è datato 1236 ed è co-stituito da un atto notarile che menziona l'ebreo Daniel David di Trieste, che spese 500 marchi per combattere i ladroni sul Carso. A cominciare dal XIV sec. vi si stabilirono E-brei provenienti dai paesi tedeschi; alcuni erano sudditi dei Duchi d'Austria ed altri dei Principi locali. Durante il periodo medioevale

gli Ebrei della città erano dediti princi-palmente ad attività bancarie (prestiti) e commerciali; dal XIV sec. troviamo Ebrei banchieri ufficiali del municipio. Alla fine del XVII sec. gli Ebrei di Trie-ste, così come quelli di molte altre comu-nità d'Europa, si

trovarono al centro di una battaglia con le autorità cittadine che pretendevano la co-

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struzione di un ghetto e la conseguente emar-ginazione del piccolo nucleo ebraico all'inter-no di esso. Il conflitto durò un certo periodo di tempo, al termine del quale gli Ebrei furono costretti a cedere alle autorità e ad accettarne l'imposizione. Alla fine del XVIII sec. gli Ebrei tornarono a vivere al di fuori dei ristretti confini del ghetto. A quel tempo essi si occupavano di commercio e artigianato ed alcuni erano fornitori della Corte Austriaca. Il numero degli Ebrei triestini era allora molto esiguo: un centinaio di perso-ne. Il 19 aprile 1771 Maria Teresa concesse due Patenti Sovrane agli Ebrei di Trieste, Patenti che sono dei veri e propri regolamenti. Nel 1782, col famoso Editto di Tolleranza, Giusep-pe II ammise gli Ebrei alle cariche di deputati della Borsa e ad alcune professioni liberali. Un anno più tardi venne aperta la Scuola Elemen-tare Israelitica col titolo di Scuole Pie Normali Israelitiche. L'anno seguente, il 1784, vennero aperte le porte del ghetto e gli Ebrei triestini poterono quindi coabitare con i cittadini di altra fede religiosa. Tuttavia la maggior parte di essi continuò ad abitare nel ghetto; tanto è vero che dopo la breve occupazione francese del 1797, essi si accinsero a costruire due nuove Sinagoghe nella via delle Scuole Israelitiche; Sinagoghe che furono demolite durante il primo quarto del '900 in seguito allo sventra-mento della "Città Vecchia". La nuova monumentale Sinagoga, opera degli architetti Ruggero e Arduino Berlam, venne inaugurata nel 1912, e rimpiazzò le quattro Sinagoghe più piccole che esistevano in pre-cedenza. Nel 1931 vivevano a Trieste 5025 Ebrei. Nel 1938 la Comunità crebbe fino a contare 6000 membri. Durante il periodo dell'occupazione germani-ca, i Nazisti eseguirono operazioni di rastrella-

mento ai danni della popolazione ebraica. Nel 1945 rimasero a Trieste solo 2300 Ebrei. Negli

ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, i Nazi-sti stabilirono un campo di sterminio alla Risiera di S. Sabba, unico nel suo genere in Italia, e 710 Ebrei vennero deportati dalla città. Il famoso Samuele David Luzzato era nativo di Trieste. Lo scrittore Italo

Svevo viveva a Trieste, dove ambientava i suoi romanzi e novelle. Dopo la guerra circa 1500 Ebrei rimasero nella città; nel 1965 il loro numero si abbassò a 1052 su 280.000 abitanti. Oggi la Comunità Ebraica conta circa 700 membri. L'ultima vestigia della Trieste Ebraica del passato fu la Sinagoga Ashkenazita di via del Monte che oggi, alcuni anni dopo la sua chiusura, ospita i locali del Museo della Co-munità Ebraica di Trieste "Carlo e Vera Wa-gner". CATTEDRALE DI SAN GIUSTO Piazza della Cattedrale, 3 La Cattedrale di S.Giusto si erge sul colle o-monimo, cuore dellacittà romana. Verso la metà del V secolo, nel luogo ove sorgeva il capitolium, fu edificata una basilica paleocri-stiana, la prima sede vescovile, per la quale furono sfruttate le strutture precedenti. Essa era un'aula rettangolare a tre navate, con il presbiterio absidato e il pavimento mosaica-to; gli scarsi resti musivi sono oggi visibili nel pavimento attuale. Nel VI sec. fu modificata in alcune sue parti, durante il vescovado di Frugifero, che è il primo vescovo tergestino documentato; essa andò distrutta prima del IX secolo, non si sa in quale frangente. Dal IX secolo nel luogo della primitiva catte-drale coesistettero verosimilmente due edifici sacri, cioè una cattedrale più piccola della precedente, dedicata alla Vergine Assunta, e il sacello di S.Giusto. Nel secolo successivo la cattedrale subì ulteriori modifiche ed amplia-

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menti. Nel XI secolo la Cattedrale dell'Assunta si presentava a tre navate che si concludevano ad oriente con altrettante absidi, di cui rima-ne solo quella centrale, rivestita più tardi del prezioso mosaico con la Madonna in trono. In corrispondenza di essa rimangono anche i due filari di sette colonne ciascuno. Il sacello di S.Giusto era più piccolo, ma aveva anch'esso tre navate concludentisi ad orien-te con le rispettive absidi, di cui rimango-no quella centrale con il mosaico esaltante Cristo e i Ss.Giusto e Servolo e quella de-stra, che è dedicata a S.Apollinare. Nel Trecento cattedrale e sacello furono fusi in un unico spazioso edificio; si demolirono la navata destra dell'Assunta e quella sinistra del sacello, ricavando al loro posto la navata centrale dell'attuale Cattedrale di S.Giusto. FACCIATA Facciata semplice a capanna, illuminata da un leggero ed elegante rosone gotico. Gli stipiti del portale furono ricavati dalle due metà di una stele funeraria della gente Bar-bia, degli inizi del I sec. d.C.; il busto in basso a destra fu trasformato successivamente in quello del martire Sergio. I tre busti bronzei posti su mensole rappresentano i vescovi triestini Andrea Silvio Piccolomini (1447-50), divenuto papa Pio II; Rinaldo Scarlicchio (1622-30) ed Andrea Rapicio (1567-73). Il massiccio e tozzo campanile ingloba i resti del propileo romano: cinque colonne corinzie reggenti una trabeazione con fregio a girali e trofei d'armi. In essa è collocata la nicchia archiacuta con la statua trecentesca di S.Giusto, che tiene nelle mani la palma del martirio e il modellino della città murata di cui è il protettore, la testa del santo è un ritratto di età romana reimpiegato. INTERNI

Interno a cinque navate è molto suggestivo per la sua asimmetria: le due navate di sini-stra appartenevano alla basilica romanica dell'Assunta, quelle di destra al sacello alto-medievale di S.Giusto. I preziosi mosaici di ispirazione bizantina-ravennate che rivestono l'abside sinistra risal-gono agli inizi del XII sec.: es si esaltano la

Madre di Dio tra gli arcangeli Gabriele e Michele e gli Apostoli nel giardino mistico. I mosaici dell'abside destra, stilisticamente vicini a quelli dell'As-sunta, sono posteriori di circa un secolo: sullo sfondo dorato si staglia il Cristo benedicente

affiancato dai martiri Giusto e Servolo. Sotto i mosaici, entro le arcatelle, intorno al 1230 furono eseguiti gli affreschi con la passio di S.Giusto, di sapore popolare: gli episodi ri-guardano la fustigazione del santo alla pre-senza del prefetto, la sua condanna a morte per annegamento, il cammino verso il molo, il martirio, il sogno premonitore del presbitero Sebastiano, il ritrovamento del corpo del martire, i solenni funerali e l'assunzione in cielo della sua anima. Da notare nel registro inferiore il motivo del velario attraverso il quale s'intravedono scene allegoriche e la bella cupola sorretta dai quattro arconi impo-stati sui capitelli a foglie piene; il tamburo ha una bella decorazione ad arcatelle cieche. A destra della cappella di S.Giusto si apre l'absi-diola dedicata a S.Apollinare, decorata da affreschi romanici molto sbiaditi dal tempo, raffiguranti le Storie del Santo. L'abside centrale, che conclude il presbiterio, è stata mosaicata nel 1932 dal veneziano Guido Cadorin che vi ha raffigurato l'Incoro-nazione della Vergine e Santi. L'iscrizione latina nell'arco ricorda che il mosaico fu dona-to dalla città di Trieste nel XIV anniversario della vittoria (4 novembre 1918). A sinistra dell'abside dell'Assunta, attigua alla

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cappella dell'Addolorata, si apre la cappella del Tesoro, che si trova al sicuro oltre un'arti-stica cancellata in ferro battuto del XVII sec. Esso è formato grosso modo da tre gruppi di oggetti, di epoca diversa: uno bizantino-romanico, uno gotico-rinascimentale e uno barocco-neoclassico. I pezzi più notevoli ap-partengono ai primi due gruppi. Tra essi sono da notare in particolar modo:

• l'urna-reliquiario di S.Giusto, in lamina d'argento sbalzato opera duecentesca di produzione cividalese. Fu ritrovata intatta nel 1624 dal vescovo Scarlicchio sotto l'altare del Santo; nell'urna fu ritrovata anche la pietra forata che secondo la tradi-zione fu legata al collo del martire per affogarlo e il velo dipinto con la sua delica-ta immagine;

• il crocifisso dei Battuti, in lamine d'argento dorate e sbalzate, eseguito intorno alla metà del Duecento e rimaneggiato in epo-ca più tarda;

• il crocifisso di Alda Giuliani, donato dalla signora nel 1383; è in argento sbalzato a delicati motivi floreali impreziositi da smal-ti; sotto la croce appare la figura della donatrice inginocchiata in preghiera;

• l'alabarda di S.Sergio, divenuta emblema di Trieste, in ferro battuto su piedistallo do-rato di stile gotico; secondo la leggenda essa cadde miracolosamente nel foro della città l'8 ottobre 303, allorché il santo sol-dato fu martirizzato in Siria. La tradizione vuole che l'arma-reliquia non tolleri né la ruggine né la doratura.

Nel tesoro è conservato anche il polittico di Paolo Veneziano, raffigurante la Crocifisione e sei Santi entro archetti trilobati; altri Santi compaiono a mezzo busto nei pennacchi fra gli archi. La pala fu commissionata per l'altare maggiore della cattedrale nella seconda metà del Trecento. Nella navata sinistra si aprono le due cappelle di S.Giovanni e di S.Giuseppe. La prima risale ad epoca tardoromanica e fu edificata probabilmente nel luogo dell'antico

battistero paleocristiano. La vasca battesima-le ha la forma esagonale della consolidata tradizione paleocristiana aquileiese. Sulle pareti sono esposti gli affreschi con le Storie di S.Giusto, recentemente restaurati, strappa-ti dal sacello omonimo, dove nel corso del Trecento avevano ricoperto quelli più antichi, oggi ivi visibili. La cappella di S.Giuseppe fu edificata nel XVII sec. dal vescovo Scarlicchio. Nel 1704 fu eretto il bell'altare marmoreo, in cui è posta la pala raffigurante lo Sposalizio della Vergine, eseguita da Sante Peranda, un discepolo di Palma il Giovane. Nel 1706 fu affrescata dal pittore lombardo Giulio Qua-glio, attivo anche a Udine; sulle pareti laterali sono rappresentate le scene della Fuga in Egitto e della Morte di S.Giuseppe; sulla volta la Glorificazione del Santo. Nella navata destra si aprono le cappelle di S.Servolo e di S.Carlo. La cappella di S.Servolo fu eretta nella prima metà del Trecento ed ampliata circa un seco-lo più tardi. Di grande rilievo artistico è il drammatico gruppo scultoreo del Vesperbild o Compianto sul Cristo morto, in arenaria dipinta, opera di produzione tedesca della prima metà del Trecento. La cappella di S. Carlo fu voluta nel 1336 dal vescovo fra' Pace da Vedano per sistemarvi la propria sepoltura (la sua lapide tombale si trova oggi nella cappella di S.Servolo). In essa sono sepolti alcuni membri del ramo Carlista dei Borboni di Spagna e Marzio Strassoldo di Villanova, capitano cesareo di Trieste dal 1710 al 1723. SANTUARIO DI SANTA MARIA MAGGIORE

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Piazza S.Silvestro Il Santuario di S. Maria Maggiore s'innalza imponente di fianco alla chiesetta romanica di S. Silvestro, oggi tempio delle Comunità Evangeliche elvetica e valdese. La chiesa fu edificata fra il 1627 e il 1682 dai Gesuiti, giun-ti nella città nei primi anni del secolo. I lavori però furono ultimati molto tempo dopo; in-fatti la facciata fu compiuta agli inizi del Set-tecento su progetto, sembra, del celebre architetto padre Andrea Pozzo e la decorazio-ne interna si protrasse ancor più a lungo poi-ché nel 1773, al momento della soppressione della Compagnia di Gesù, la chiesa era ancora incompiuta. Nel 1849 scoppiò un'epidemia di colera che in pochi mesi mieté numerose vittime: in quel terribile frangente la città si raccomandò fiduciosa alla protezione della Madonna della Salute e il 21 novembre si recò in massa in processione alla chiesa dei Gesuiti, ove il ve-scovo celebrò un solenne pontificale. Da allo-ra i Triestini ogni anno, il giorno dellla festa della Presentazione di Maria al Tempio detta popolarmente della Madonna della Salute, accorrono numerosi al santuario per parteci-pare alle liturgie in suo onore. La devozione alla Madonna è promossa soprattutto dalla Confraternita della Madonna della Salute, fondata nel 1827. La chiesa ha pianta a croce latina; l'aula a tre navate è coperta a botte, mentre all'incrocio del transetto si erge la cupola che fu ricostrui-ta nel 1817, dopo un incendio. Nell'abside splende il grande affresco dell'Immacolata Concezione eseguito nel 1842 da Sebastiano Santi. Sull'altare maggiore, eretto fra il 1672 e il 1717; sono collocate le statue dei Santi Gesuiti Ignazio di Loyola, Luigi Gonzaga, Fran-cesco Borgia e Francesco Saverio, scortati da Angeli. A destra del presbiterio si apre la cap-pella della Madonna della Salute; in cui è degnamente collocata la venerata immagine di Maria, opera seicentesca dipinta forse dal Sassoferrato. A sinistra del presbiterio c'è la cappella del Crocifisso, risalente al 1713. Nei bracci del transetto si fronteggiano gli altari

seicenteschi dedicati ai Santi Ignazio e Fran-cesco Saverio; il primo custodisce una bella pala col santo titolare dovuta al pennello di Francesco Maffei. Nelle navate laterali sono collocati altri tre altari: dell'Angelo Custode, dei Martiri Triestini, della Madonna delle Grazie, quest'ultimo con la statua della Vergi-ne col Bambino scolpita dal friulano Pietro Bearzi nel 1853. Nei pennacchi della cupola il palmarino Giovanni Battista Bison dipinse, agli inizi dell'Ottocento, i quattro Evangelisti. Da notare ancora il pulpito marmoreo del 1742, dal quale predicarono oratori di grande fama durante la novena della Madonna della Salute.

CHIESA DI SANT'ANTONIO NUOVO

Piazza S.Antonio Nuovo La chiesa di S.Antonio Taumaturgo è chiama-ta popolarmente S.Antonio Nuovo perché sostituisce una precedente dello stesso titolo, risalente alla seconda metà del Settecento. Fu innalzata tra il 1825 e il 1849 su progetto dell'architetto Pietro Nobile, uno dei massimi esponenti del neoclassicismo triestino, che si ispirò alla grandiosità classica di celebri mo-numenti romani. Un tempo la chiesa si spec-chiava nelle acque del porto canale che s'in-cunea ancor oggi, in parte, nel Borgo Teresia-no. La facciata è caratterizzata da un maestoso pronao con sei colonne ioniche e un ampio frontone; sull'attico sono collocate sei statue scolpite nel 1842 da Francesco Bosa raffigu-ranti i Santi protettori di Trieste, cioè Giusto,

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Sergio, Servolo, Mauro, Eufemia e Tecla. La facciata posteriore è sormontata da una cop-pia di campanili gemelli. L'interno colpisce per la vasta spazialità scan-dita dal ritmo lento e pacato degli archi, delle volte a botte, delle crociere, ritmo che trova la sua pausa e il suo fulcro nella cupola cen-trale. Nell'abside è campito l'affresco esegui-to nel 1836 da Sebastiano Santi, raffigurante l'Ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. La mensa dell'altare maggiore, disegnato dal Nobile, è sormontata da un'edicola con colon-nine corinzie e cupola, secondo il gusto del tempo diffuso soprattutto in ambito lombar-do. Nelle sei nicchie laterali, illuminate da ampie finestre lunate, sono collocati altrettanti altari inquadrati da coppie di lesene; le grandi pale ottocentesche raffigurano Sant'Anna e la Vergine bambina, del pittore Michelangelo Grigoletti; la Presentazione al tempio, di Feli-ce Schiavoni; San Giuseppe, di Johann Schoo-mann; Sant'Antonio, di Odorico Politi; il Mar-tirio delle Sante Eufemia, Erasma, Tecla e

Dorotea, di Ludovico Lipparini; la Crocifissio-ne, di Ernest Tunner. CHIESA GRECO ORIENTALE DI SAN NICOLÒ

Riva III Novembre, 7 La presenza della Chiesa Greco-Orientale nella città di Trieste risale alla prima metà del Settecento.

Il tempio, dedicato a San Nicolò e alla Santis-sima Trinità, fu eretto sulle Rive poiché a quei tempi Trieste era un florido emporio e, grazie anche ai commercianti greci, al porto appro-davano ogni anno migliaia di battelli da tutto il Levante dove il Santo è molto venerato. Inoltre San Nicola è il patrono dei marittimi, degli armatori e di tutti coloro in generale che lavorano con i traffici del mare, protettore dei perseguitati ingiustamente e dei fanciulli. La chiesa, costruita in forma di basilica a na-vata unica, fu aperta ufficialmente con la prima Messa celebrata il 18 febbraio 1787. Appena entrati, si nota subito l'Iconostasi lignea splendente di intagli dorati e pitture, pure a fondo oro; sopra i battenti delle tre porte sono raffigurati i Santi Pietro e Paolo ed altri Padri della Chiesa. Ci sono poi nella parte superiore 21 dipinti a tempera su tavola con fondo oro, che raffigurano scene evangeliche. Nella parte inferiore ci sono 8 icone con co-pertura d'argento: San Nicola, la Madonna in Trono, il Cristo Re, la SS. Trinità, San Spiridio-ne, la Madonna con Bambino, San Giovanni il Precursore; ai due lati le icone di San Giorgio e quella di Santa Caterina d'Alessandria. Sulle pareti laterali ci sono due tele di grandi dimensioni del pittore Cesare dell'Acqua che raffigurano la predicazione del Battista e Cri-sto con i fanciulli. Più avanti si può ammirare la splendida tela che raffigura l'episodio biblico noto come "L'Ospitalità di Abramo". CHIESA SERBO ORTODOSSA DI SAN SPIRIDIO-

NE

via S.Spiridione Nei pressi di piazza S.Antonio sorge la chiesa dedicata a San Spiridione della Comunità cristiana Serbo-Ortodossa. L'edificio, che ha un'altezza di 40 metri, è a pianta a croce greca coperta da una grande cupola sostenuta da quattro arconi, è affian-cata da quattro calotte emisferiche che rico-prono i quattro bracci della croce. La sua struttura ricorda lo stile bizantino delle chiese orientali. Il tempio fu aperto al culto il 2 settembre

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1868 e può accogliere circa 1600 fedeli. La pietra usata per la costruzione viene dalle cave locali di Santa Croce e da quelle di Brioni in Istria; le colonne della facciata sono in mar-mo rosso di Verona ed i cornicioni di marmo di Toscana. L'interno è decorato con pregevoli affreschi e

pitture su fondo ad olio. Sopra l'altare si ammira Cristo con gli Aposto-li, sulla parte destra è rappresentata l'Assun-zione della Vergine.

Sulla parete sinistra, in alto, è raffigurato il primo Concilio ecumenico di Nicea del 325 con San Spiridione e gli altri padri conciliari. L'iconostasi, che divide il presbiterio dal resto della chiesa, comprende, in basso, quattro icone d'eccezionale valore e pregio artistico: San Spiridione, Madonna con Bambino, Cristo Re, l'Annunciazione. Sono ricoperte in oro e argento e sono state eseguite in Russia nel primo '800. Nella fila superiore ci sono le icone dei Santi della Serbia: San Simone Mirotocivi, San Sava (1175-1235 fondatore della Chiesa serbo-ortodossa), San Stefano Prvovencani e lo zar Urosh. Nella fila superiore si trovano le immagini del Battesimo, della Crocifissione e della Resurre-zione di Cristo. Davanti all'iconostasi risalta il grande cande-labro d'argento donato dal granduca russo Paolo Petrovich Romanov durante la sua visi-

ta a Trieste nel 1772. CHIESA EVANGELICA LUTERANA

Largo Panfili Dal 1778 è presente a Trieste una Comunità Evangelica di Confessione Augustana. Nella prima meta del secolo XVI, i primi sintomi dello spirito della Riforma si basarono sia sul luteranesimo tedesco sia su quello dei rifor-matori svizzeri. La borghesia di Trieste, spiritualmente vivace ed aperta alle novità provenienti da oltralpe, già nel 1540 seguiva con molta partecipazio-ne le prediche tenute nello spirito della Rifor-ma di Lutero. Con la trasformazione in Porto Franco della città, dal 1719 giunsero anche i primi com-mercianti luterani. Solo nel 1778, però, l'imperatrice Maria Tere-sa prima ed il figlio Giuseppe II poi, autorizza-rono lo svolgimento di funzioni religiose in una casa privata. Nel 1786 i luterani acquistarono la chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, che si trova nella parte più antica della città. Nel 1870 tale chiesa fu rivenduta al Comune per-

ché si era resa possibile la costruzione dell'attuale chiesa in Largo Panfili. Aperta al culto nel 1874, que-sta chiesa, lunga 35 metri e larga 22, fu progettata nello stile neo-gotico dall'ar-chitetto Zim-

mermann di Breslavia e fu costruita dall'im-presa Berlam e Scalmanini. Sono degni di nota i tetti a spiovente in lastre di ardesia, sopra le navate e l'abside ottago-nale. Il campanile a punta, ornato da guglie fiorite ha un'altezza di 50 metri. All'interno, sopra l'altare, si ammira la bellissima vetrata

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del coro, che raffigura la "Trasfigurazione di Cristo" del Raffaello, realizzata dalla vetreria artistica Zettler di Monaco di Baviera. La Comunità evangelica luterana negli anni migliori contava quasi 2000 membri. Nel 1852 Trieste aveva 70.486 abitanti e nell'ambito cittadino vivevano 2353 protestanti. Nel tem-po queste adesioni sono andate via via ridu-cendosi. Oggi la comunità conta circa 150 membri. Le funzioni domenicali, alle ore 10, si svolgo-no alternativamente in lingua tedesca e in lingua italiana poichè in questa comunità coesistono queste due identità. BASILICA DI SAN SILVESTRO - Chiesa Evange-lica Riformata Elvetica e Valdese Piazza S.Silvestro La basilica di San Silvestro, che sorge accanto alla chiesa cattolica di Santa Maria Maggiore, è la più antica chiesa della città (sec. XI o XII). Sulla facciata di questa bella basilica romanica spicca un sobrio ed elegante rosone, mentre, davanti a quella che fu la porta principale, possiamo ammirare il portico, pure esso ro-manico, sormontato dal campanile che, pro-babile antica torre di difesa lungo le mura della città, è stato poi ornato, nell'ultima ricostruzione, da eleganti bifore. Una pia tradizione, attestata da una lapide commemorativa del 1672 murata sulla parete postica della chiesa, fa qui risalire la presenza di un luogo di culto in quella che era stata la casa delle prime cristiane di Trieste, le due martiri Tecla ed Eufemia. Nel corso dei secoli singolari furono le vicen-de della basilica che la stessa lapide ci ricorda essere stata "primum templum et Cathedra-le" della città. La finestra sul lato destro, con profonda strombatura e transenna originale ancora sul posto, e le due transenne marmoree più tardi inserite nel campanile, ci dimostrano come ci sia stata una fase di costruzione più antica di quella romanica. Sopra la porta principale una lapide in latino ci ricorda le ultime vicende allorché nel 1785, sotto l'imperatore Giuseppe II, la chiesa di

San Silvestro fu posta a pubblico incanto al prezzo fiscale di 1500 fiorini. In tale data alcuni membri della Comunità Evangelica di confessione elvetica, in gran parte immigrati svizzeri dai Grigioni, la acqui-starono e, dopo averla restaurata in modo sobrio, la riaprirono al culto riformato, dedi-candola a Cristo Salvatore. Nel 1927, a causa dei danni di un violento terremoto, fu restaurata ripristinando il pri-mitivo stile del trecento. Nel 1928 la basilica venne dichiarata monumento nazionale. Dalla fine del 1800 alla comunità Elvetica si è affiancata una comunità Valdese, anch'essa riformata, dando vita ad una integrazione totale della vita comunitaria pur nella distin-zione amministrativa. La comune fede in Cri-sto Gesù Salvatore e Signore ha portato ad un'unità di azione e di testimonianza, pur nella libertà delle strutture esteriori e nella responsabilità ed autonomia di ciascuna co-munità. Di recente, impegnate fortemente nell'aiuto umanitario delle popolazioni colpite dai rivol-gimenti nei Balcani, le Comunità hanno anche sviluppato una certa presenza culturale sia attraverso una biblioteca specializzata in teo-logia biblica e storia della Riforma, sia attra-verso il "Centro Culturale A. Schweitzer" che promuove conferenze e concerti. L'organo - di gran pregio - è stato di recente completa-mente restaurato ed accompagna i culti delle

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Arquà Petrarca

Arquà Petrarca è un Borgo medievale che conserva immutato il fascino di un tempo ed è considerato la perla dei Colli Euganei. Abita-to fin dai tempi romani, acquistò importanza dopo che Francesco Petrarca, sommo poeta della lingua italiana, desiderò trascorrere gli ultimi anni della sua vita nella caratteristica serena quiete del luogo. Il paese ne conserva la casa e la tomba con le spoglie. Il richiamo alla memoria del poeta favorì nei secoli suc-cessivi il sorgere di case e ville di molte fami-glie venete, che costituiscono oggi un patri-monio artistico ed architettonico degno di essere visitato e rivisitato con religiosa atten-zione. I recenti interventi, i cui sforzi sono stati fina-lizzati alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio storico e naturalistico, hanno dato i loro frutti ed oggi la Città di Arquà Pe-trarca è stata ammessa al ristretto club dei

Borghi più Belli d'Italia ed ha ricevuto l'elezio-ne a Bandiera Arancione del Touring Club.

Oltre l'aspetto storico natura-listico sono stati fatti no-tevoli investi-menti anche nella promo-zione dei pro-dotti locali in particolar

modo dell'Olio che ha portato il Borgo ad aderire all'Associazione Nazionale Città dell'Olio. LA CASA DEL PETRARCA

La struttura originaria era del duecento e fu lo stesso Francesco Petrarca, a partire dal 1369 quando gli fu donata dal Signore di Pa-dova Francesco il Vecchio da Carrara, a pre-siedere i lavori di restauro. La casa, composta di due corpi con un dislivello l'uno dall'altro di tre metri e mezzo, fu modificata dal Poeta che aprì sulla facciata alcune finestre e ne fece un unico alloggio con due unità abitative riservando come abitazione per sé e per la propria famiglia il piano sopraelevato dell'e-dificio sito sul versante di sinistra, mentre riservò alla servitù e ai servizi l'edificio di destra, sito in alto, dove si trovava anche l'ingresso principale Nel cinquecento ne di-venne proprietario il nobile padovano Pietro

PROGRAMMA MATTINA: ore 8.30 partenza per ARQUA’ (arrivo previsto ore 10.30) Visita al Borgo ore 12 partenza per MONSELICE ore 12.30 Pranzo a MONSELICE: RISTORANTE PIZZERIA CAMPIELLO, RIVIERA BELZONI 2 Tel. 0429 73323 Pomeriggio visita per le strade della città ore 15.30 partenza per VICENZA (arrivo ore 16.30) Visita al Teatro Olimpico oppure alla Città Cena “libera” in Città ore 24.00 previsto rientro

Sabato 24 agosto

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Paolo Valdezocco; è' in questo periodo che vengono costruite la loggetta di stile rinasci-mentale e la scala esterna ed è soprattutto allora che vengono fate dipingere le pareti con tempere rappresentati scene ispirate al Canzoniere, ai Trionfi e all'Africa, tutte opere del Poeta. Seguirono poi anni di degrado, anche se la casa continuava ad essere meta di personaggi famosi quali l'Alfieri ed il Foscolo. L'ultimo proprietario, il cardinale Pietro Silve-stri, la donò, nel 1875, al Comune di Padova. Attualmente sono ancora conservati, lo stu-diolo in cui morì il poeta, con sedia e libreria (pare) originarie. Da ricordare, inoltre, la nic-chia in cui è custodita la mummia della gatta che si dice fosse appartenuta al Poeta. Ben-ché la casa abbia subito talvolta notevoli mo-difiche, la sua attuale sistemazione risale ai restauri avvenuti tra il 1919 e il 1923 quando il Comune di Padova, in accordo con la So-printendenza ai Monumenti, fece ripristinare tra gli aspetti più importanti l'accesso origina-rio e ricostruire le finestre gotiche. Anche se l'aspetto urbano attorno alla casa si è modifi-cato nei secoli, ciò che rimane immutato è il potere evocativo che la casa suscita in sé, complice il paesaggio che gli si distende da-vanti e che è più o meno lo stesso ammirato dal Poeta. ORATORIO SS TRINITÀ

Dell'Oratorio si hanno notizie certe a partire dal 1181, anche se sicuramente preesisteva. Chiesa molto cara al Petrarca, poiché vi era solito recarsi a pregare vista anche la vicinan-za con la propria casa, si presenta con una struttura di im-pianto romanico ad un'unica navata con travature scoperte e tetto a capanna. Più volte modificato nei secoli, nel trecento, l'Oratorio, fu ingran-dito ed affrescato, dell'epoca sono le tracce raffiguranti

alcune Madonne e un piede di San Cristoforo, e nel quattrocento fu poi aggiunta l'abside. All'interno è visibile l'altare ligneo seicentesco con la pala di Palma il Giovane raffigurante la Trinità, e sempre del seicento è il paliotto in cuoio raffigurante il Cristo risorto. Ai lati dell'altare sono collocati la statua di S. Cristo-foro in pietra dipinta e la statuta in legno dipinta, di S. Lucia. All'interno della chiesa sono conservate alcune lastre tombali ed un'acquasantiera di epoca romana. Di note-vole pregio sono poi un quadro di Giovanni Battista Pellizzari “La trasmissione del basto-ne di vicario che Antonio degli Oddi fa a Da-niele degli Oddi” e una grande tela del 1670, con cornice scol-pita, che rappresenta una matrona identifica-bile con la “Città di Padova nell'atto di rende-re omaggio a un vescovo martire”.Il campani-le, del XII secolo, fu più volte rimaneggiato sino al 1928 quando un restauro lo riporto alla presumibile forma originaria ricavata da stampe seicentesche. LOGGIA DEI VICARI

Legata all'Oratorio, e a ridosso dello stesso, è la Loggia dei Vicari. Di origine duecentesca era il luogo deputato per le riunioni e la di-scussione dei problemi tra i capifamiglia ed i Vicari. Vi si accedeva dopo essere stati convo-cati al suono della campana, dall'arco che dava sulla piazza. Nel 1828 il tetto fu demoli-to è la loggia rimase scoperta sino ai giorni nostri. Nel mese di novembre 2003, il Comu-ne di Arquà Petrarca, ha dato inizio ai lavori

che hanno portato la Loggia ad avere nuo-vamente una copertu-ra. Novità assoluta l'utilizzo del vetro quale struttura por-tante per la sovra-stante copertura in rame. Oggi i riflessi azzurri dei raggi solari filtrati delle capriate in vetro rendono an-cor più suggestiva la

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visita al monumento. L'interno della Loggia è arredato con gli stemmi dei Vicari che in pas-sato avevano governato Arquà per conto della Serenissima. La Casa del vicario era adia-cente alla loggia e ne condivideva un muro. Entrati, infatti, nella Loggia sulla parete oppo-sta all'entrata dell'Oratorio sono ancora visi-bili due monofore ed una bifora. Si possono anche vedere i resti dell'affresco trecentesco, di autore ignoto, raffiguranti S. Giuliano ospi-taliero che uccide i propri genitori.

Monselice NOTE STORICHE

Nel 602 il bizantino castrum Mons Silicis cade nelle mani del re longobardo Agilulfo, come racconta Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum, prima fonte scritta sull'abi-tato. Già insediamento neo-eneolitico (IV-III millennio a.C.), della cultura del bronzo (II millennio a.C.) e romano, sotto i Longobardi e Franchi Monselice è un'importante roccaforte militare e centro amministrativo a capo di un vasto territorio tra l'Adige e i Colli Euganei. Libero Comune a metà del XII seco-lo, nel 1237 acco-glie il tiranno Ezzelino III da Romano, vicario dell'Imperatore Federico II di Sve-via in terra vene-ta, il quale vi co-manda ingenti lavori di fortifica-zione e ne fa base di violente cam-pagne militari contro Padova, Este e i castelli delle terre vicine.Conquistato nel 1338 dai da Carrara, signori di Padova, al termine di un estenuante assedio durato un intero anno, nel 1405 è annesso ai territorio della Serenis-sima. Il lungo e prospero periodo veneziano ne segna il graduale declino della vocazione militare ed il fiorire delle attività agricole, industriali (estrazione e filatura) e commer-

ciali, favorite dalle comode vie fluviali di tra-sporto. L'estrazione di pietra dal colle della Rocca e dal Montericco caratterizza la cresci-ta industriale della città e raggiunge il suo massimo sviluppo nel '700. Un grosso carico di trachite partito da Monselice nel 1722 sarà impiegato per pavimentare piazza San Marco a Venezia. MONSELICE TERRA DI FEDE

Percorso: Via XXVIII Aprile, Via del Santuario, Largo Paltanieri, Via Sette Chiese, Vicolo Sca-lone, Via San Martino, Via San Tommaso, Via Trento Trieste, Via San Giacomo, Via Tassello, Via Matteo Carboni, Via del Pellegrino, Via Tortorini, Piazza San Marco, Via Cadorna. CHIESA DI SAN PAOLO:

Uno dei più antichi edifici sacri della Città edificato nel VII secolo; ristrutturata nel 1985. Si presenta come un complesso architettoni-co del ‘700. All’interno dopo una campagna di scavi riguardanti una piccola chiesetta pro-to-romanica triabsidata e ad un’unica navata. Dopo il 1255 venne rinnovata per richiesta dell’arciprete Simone Paltanieri costruendo

una cripta ed una chiesa a navata unica; all’interno della cripta le volte a crociera vengono affresca-te con raffigura-zioni di S. France-sco, S. Saverio e S. Paolo. Davanti la chiesa era col-locato un monu-mento funerario romano più famo-

so nella storia della Città. L’ANTICA PIEVE DI

SANTA GIUSTINA:

Costruita per volere del Cardinale Simone Paltanieri nel 1256 sui resti di un'antica chie-sa denominata San Martino Nuovo situata in corrispondenza dell'attuale abside. Origina-riamente l’antica chiesa pievana intitolata alla martire padovana Giustina (307 d. C.) era situata da circa il X secolo sulla sommità del

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colle. La Pieve si presenta ad impianto tardo romanico con elementi decorativi gotici in trachite ed in cotto. Il campanile romanico-lombardo del 1200. La facciata in trachite è divisa da cinque paraste di mattoni, con roso-ne ed ornata da due bifore. Le finestre sono a strombo, gli archi a tutto sesto. Il portale è preceduto da un elegante protiro di stile goti-co (l'affresco della lunetta posto sopra il por-tale è di Antonio Soranzo, 1931). Grazie ai restauri del 1927- 1931 sono state eliminate tutte le superfetazioni ba-rocche. Lo stile si ispira agli ideali di povertà ed austerità ben espressi ad esempio nelle chiese dei Servi e degli Ere-mitani a Padova. All'interno ad unica larga navata, un'abside quadrangolare con volta a crociera e due cappelle laterali. All'interno si trovano prege-voli opere d'arte tra cui il Polittico di Santa Giustina della metà del XV secolo, la tavola con la Madonna dell'Umiltà attribuita ad Antonio da Verona (1421), l'originale è custodito nel tesoro del Duomo. All'interno sono state collocate numerose tele provenienti dalle chiese e conventi sop-pressi della Città di Monselice. Si segnale una statua in pietra di Santa Giustina attribuita a Silvio Cosini (1535 ca.), un cippo funerario del I secolo d.C. e quattro formelle a bassorilievo attribuite a Giovanni Marchiori (1696-1778). SANTUARIO GIUBILARE SETTE CHIESE:

Un Arco introduce in “via romana” lungo le sei cappelle costruite tra il 1605 e il 1615 a imitazione delle Basiliche Romane del percor-so sacro. Progettate dallo Scamozzi (1552/ 1616), piccole stanze che si affacciano sulla via sopraelevata con gradoni. Unici elementi decorativi sono cornici e architravi in trachite, e all’interno sono ospitate tele di Giacomo

Palma il Giovane. Il percorso si conclude alla settima cappella di San Giorgio, in passato oratorio della famiglia Duodo. ORATORIO DI SAN GIORGIO:

Punto focale della devozione religiosa popola-re a Monselice, e il punto d’arrivo del percor-so lungo le sei cappelle Duodo. Progettato dallo Scamozzi fu ridisegnato a pianta circola-re nel 1651. Alla fine del Settecento per fe-

steggiare la solenne trasla-zione di numerose reliquie e di tre martiri, donati dal papa ad Alvise Duodo, si erige l’Arco di ingresso alle sei cappelle e anche la chie-sa viene arricchita di un campanile, un orologio, un pavimento in marmo, pittu-re e altare. CHIESA DEL CARMINE:

Alle pendici del Monte Ricco la Chiesa di Santa Maria del Carmine con annesso un monastero di padri carmeli-tani soppresso nel 1656. Dipinta sopra la parete l’Immagine di Nostra Signo-ra. Il restauro del 1757 do-

vuto al Rettore Buggiani e tre altari con le pale. Dipinti di Santa Teresa, San Vidale ed Estasi di Santa Teresa. CHIESA DI SAN GIACOMO:

Sorta da un ospedale per pellegrini fondato nel 1162, i benedettini costruirono il conven-to e la chiesa, ricostruita poi nel 1332. Nel 1420 tutto passò ai canonici di San Giorgio in Alga, che restaurarono in maniera radicale il complesso. All’interno due enormi teleri di Michele Desubleo del XVII secolo, rappresen-tanti la Chiamata di San Giacomo Apostolo e la Trasfigurazione, San Giacomo di Dario Va-rotari, Crocefisso con Maria e santi di G. Pal-ma il Giovane e la Sacra Famiglia di Maganza. Molto importante la raccolta di libri liturgici miniati dei secoli XVII - XVIII. In un edificio staccato è ospitato il Museo Missionario fran-cescano, con grandi testimonianze storiche e

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oggetti d’arte raccolti dai missionari in Giap-pone e Cina. DUOMO NUOVO SAN GIUSEPPE LAVORATO-

RE:

Chiesa inaugurata nel 1957, opera dell’architetto Bonato. Al suo interno sono conservati moltissimi arredi provenienti da chiese e monasteri di Monselice soppressi. Le opere più importanti sono una scultura di legno del XV secolo di San Savino, una scul-tura in pietra della Madonna del pomo, un Crocefisso ligneo di G. Marchiori 1696 - 1778, due dipinti di Litterini 1669 - 1748 raffiguranti la Morte di san Giuseppe e compianto di Cristo, Estasi di Santa Teresa di Mengardi 1738 - 1796, San Francesco Saverio in adorazione della Madonna di Ludovico da Vernansaal 1689 - 1749, nella cripta due altari seicenteschi provenienti dalla chiesa di Santo Stefano, le sculture in marmo di san Prosdoci-mo della Bottega di Morlaiter e una santa di Antonio Bonazza oltre a numerose altre pale d’altare.

Vicenza TEATRO OLIMPICO

Teatro OlimpicoCapolavoro e opera estrema di Andrea Palladio, cui fu commissionato nel febbraio 1580 dall’Accademia Olimpica, soda-lizio di composita estrazione sociale costitui-tosi a Vicenza nel 1555 con finalità culturali e scientifiche, di cui lo stesso Palladio era socio. La costruzione fu iniziata nel maggio 1580, ma Palladio non ne vide la realizzazione, per l’improvviso sopraggiungere della morte, il 19 agosto dello stesso anno. L’Olimpico, dopo varie e complesse vicende, fu completato cinque anni dopo e venne inaugurato il 3 marzo 1585 con la memorabile messa in sce-na dell’Edipo Tiranno di Sofocle. Al Teatro si giunge attraverso l’Odeo e antio-

deo, due ampie sale realizzate da Vincenzo Scamozzi e decorate rispettivamente da affre-schi di Francesco Maffei raffiguranti divinità e figure allegoriche (1637 ca) e da un fregio monocromo di rilevante interesse documen-tario (1595 ca), riproducente allestimenti teatrali curati dall’Accademia prima della costruzione dell’Olimpico (Amor costante,

Sofonisba) e spettacoli o manifestazioni ospi-tate all’interno del nuovo teatro (Edipo Re, ambasceria dei legati giapponesi). All’interno di uno spa-zio chiuso che vuole simulare l’ambientazione all’aperto dei teatri classici, Palladio dispo-

ne una monumentale scenafronte fiancheg-giata da due ali o versure e una cavea semiel-littica di tredici gradoni, conclusa alla sommi-tà da un’esedra a colonne, in parte aperta in parte a nicchie entro muro. Nei tabernacoli e sui plinti della struttura architettonica sono collocate le statue degli Accademici commit-tenti del Teatro, abbigliati all’antica. Nell’ordine più alto una serie di splendidi bassorilievi raffiguranti Storie di Ercole, di Ruggero Bascapè. Oltre le tre aperture della scenafronte si staccano le prospettive lignee raffiguranti le vie di Tebe, realizzate dallo Scamozzi per lo spettacolo inaugurale dell’Edipo Tiranno e divenute fisse e immuta-bili nel tempo. BASILICA PALLADIANA La Basilica Palladiana è l’edificio simbolo di Vicenza, vertice della creatività di Andrea Palladio, iscritto dall'Unesco fra i beni patri-monio dell’umanità. La Basilica si alza mae-stosa sul lato sud della piazza dei Signori, cuore e salotto della città. Dal 2007 al 2012 la Basilica Palladiana è stata oggetto di un com-plesso ed articolato intervento di restauro (architettonico, funzionale, impiantistico) con il duplice obiettivo di preservare la noto-

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rietà e le straordinarie qualità figurative e spaziali del monumento, e di restituire alla città il suo edificio simbolo, garantendo il pieno utilizzo e la funzionalità del complesso per la realizzazione di eventi culturali. Nel 2012 la Basilica Palladiana è stata restitui-ta ai vicentini e trasformata in moderno con-tenitore culturale, arricchito di nuove e inedi-te funzioni (culturali, commerciali, informati-ve, civiche). STORIA Il primo nucleo dell'edifi-cio, il primitivo Palazzo della Ragione, fu edifica-to alla metà del Quattro-cento e successivamente circondato, tra il 1481 e il 1494, da un duplice ordi-ne di arcate, erette da Tommaso Formenton. Crollate nel 1496 le logge dell'agolo sud-ovest, ne venne decisa dopo un lungo dibatti-to la ricostruzione totale, affidata nel 1546 al giovane Andrea Palladio, a seguito di pubblico concorso. Il progetto segna la consacrazione artistica di Palladioe inaugura il nuovo volto di Vicenza, ispirato alla classicità, come indica lo stesso nome di Basilica, assegnato alla costruzione in riferimento agli edifici della Roma antica dove si discutevano politica e affari. Il sistema a-

dottato da Palladio si basa su un duplice ordi-ne di logge (tuscaniche al piano terra e ioni-che al primo piano) che incorpora la preesi-stente fabbrica gotica, lasciando emergere la

grande copertura a carena di nave rovesciata, e sulla ripetizione lungo tutto il perimetro dello stesso modulo architettonico: la serlia-na, un arco a luce costante affiancato da due aperture laterali rettangolari. L'opera venne completata nel 1614 con l'apparato scultoreo della terrazza. Il primo piano ospita la grandiosa sala già del

Consiglio, lunga 52 metri e alta 25 al colmo della volta. A fianco del complesso monumentale si erge la Torre dei Bissari, alta 82 metri con una base di soli 7, dove venne installato fin dal XIV secolo il primo orologio meccanico a uso pubblico della città.

Visite al monumento Terrazza e logge Dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17.30). Ingresso gratuito dal lato della nuova bigliet-teria su piazza delle Erbe.

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, amante della vita, che nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, benedici noi e questo cibo perché possiamo servirti meglio nei nostri fratelli. Amen.

PREGHIERA AI PASTI

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Preghiera alla Madonna di Barbana

Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, Regina della Laguna!Regina della Laguna!

Noi, tuoi figli devoti, con gioia veniamo a teNoi, tuoi figli devoti, con gioia veniamo a te e fiduciosi ti supplichiamo.e fiduciosi ti supplichiamo.

Tu, che in tempi remoti,Tu, che in tempi remoti,

al pio Barbano lasciasti un segno di sollecitudine materna,al pio Barbano lasciasti un segno di sollecitudine materna, continua a volgere il tuo sguardo benignocontinua a volgere il tuo sguardo benigno

su di noi, sulle nostre famiglie, su di noi, sulle nostre famiglie, su questa terra rivolta ad Orientesu questa terra rivolta ad Oriente

e animata dallo spirito che fu di Aquileia cristian a.e animata dallo spirito che fu di Aquileia cristian a.

Tu, consacrata dallo Spirito Santo, Tu, consacrata dallo Spirito Santo, fa’ che seguiamo il tuo Figlio sulla via del Vangel o fa’ che seguiamo il tuo Figlio sulla via del Vangel o

e diventiamo suoi validi testimoni,e diventiamo suoi validi testimoni, portando a tutti la Parola di vita portando a tutti la Parola di vita

con gesti generosi di carità,con gesti generosi di carità, attenta ai poveri e ai sofferenti.attenta ai poveri e ai sofferenti.

Tu beata perché hai creduto, Tu beata perché hai creduto,

ottienici dal Signore una fede salda, ottienici dal Signore una fede salda, una speranza fervente, un amore operoso.una speranza fervente, un amore operoso.

Mostraci il cammino della pace Mostraci il cammino della pace perché, con tutti i nostri fratelli,perché, con tutti i nostri fratelli,

possiamo giungere là dove tu dimoripossiamo giungere là dove tu dimori con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo,con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo,

nella comunione con i Santi, nella comunione con i Santi, per tutti i secoli dei secoliper tutti i secoli dei secoli

Amen.Amen.

Benedetto XVI