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TRIBUNALE CIVILE DI PALERMO - SEZIONE LAVORO
NOTE AUTORIZZATE
dei Sigg.ri ANTONINO AGNELLO, ANTONINO ISCA, GIACOMO FODERA’ rapp.ti e difesi dal
sottoscritto Prof. Avv. Giovanni Tesoriere
C O N T R O
la BANCA INTESA SPA con gli Avv. ti Fabrizio Fabbri, A. Chiello e Cesare Pozzoli
Udienza: 17.11.2005
G.U. – G. L. Dott. L. Cavallaro
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1. Dopo aver impugnato nei termini di legge con racc.te r.r. del 28.04.2004 e 03.05.2005 il
licenziamento loro intimato da Banca Intesa con lettere datate 01.03.04 (pervenute rispettivamente il 17 e
il 24 dello stesso mese), e dopo aver esperito in data 07.10.2004 con esito negativo il prescritto tentativo
obbligatorio di conciliazione presso l’Ufficio del lavoro di Palermo, i Sigg.ri Agnello, Isca e Foderà,
rispettivamente già inquadrati i primi due come Quadri direttivi di 4° livello e il terzo nel 4° liv. Area
professionale (categ. Impiegati), tutti addetti presso l’Area Sicilia Occidentale della Divisione Rete di
Palermo, con ricorso del 15.12.2004 (notificato a controparte il 19.01.2005) hanno adito il Tribunale di
Palermo - Sezione Lavoro.
Hanno dedotto i ricorrenti che Banca Intesa, lungi dal fare corretta applicazione delle norme legali e
pattizie in materia di licenziamenti collettivi (artt. 4, 5 e 24 della Legge 1991, n.223 e relativi accordi
sindacali), le ha apertamente violate, per non avere preventivamente e sufficientemente individuato la
collocazione aziendale ed i profili professionali dei dipendenti da esodare con riferimento all’ambito
organizzativo interessato; per avere adottato il solo criterio della maturazione del diritto a pensione, della
prossimità allo stesso o della maggior età, svincolato da ogni riferimento alle cause della crisi ed ai settori
interessati; per non aver specificato al termine della procedura le concrete modalità di attuazione dei
criteri adottati.
Inoltre, i ricorrenti hanno evidenziato che Banca Intesa, che aveva segnalato unicamente la categoria di
inquadramento del personale da licenziare, già nel luglio del 2003, aveva ecceduto di 47 unità il numero
dei quadri direttivi di 4° livello retributivo, che aveva comunicato in esubero con la lettera di avvio della
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procedura del 19.12.2002. Inoltre, alla data del licenziamento dei signori Agnello ed Isca, entrambi
quadri direttivi di 4° livello retributivo, Banca Intesa aveva allargato unilateralmente la platea degli
esodati “quadri direttivi di 4° livello” di ben 536 unità rispetto al numero fissato nella predetta lettera di
avvio della procedura del 19.12.2002.
I sigg.ri Agnello, Isca e Foderà hanno chiesto pertanto che, accertata l'inefficacia o l’illegittimità del
licenziamento loro intimato, venga applicato ai ricorrenti la tutela stabilita dall’art.18 della L.300/70 e
Banca Intesa venga condannata a reintegrarli effettivamente nel posto di lavoro occupato nella struttura
aziendale all’epoca del licenziamento, a risarcire il danno mediante pagamento di una indennità
commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quella della effettiva
reintegrazione, con gli interessi e la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dalla maturazione di
ciascun credito al soddisfo, nonché a risarcire gli ulteriori danni provocati dal recesso anticipato (perdita
di indennità,che oggi si specificano in premi di anzianità, perdita delle missioni che
rappresentavano una costante nel mese per la tipologia di lavoro esplicata sulle Filiali dell’Area
Sicilia Occidentale da parte dei ricorrenti,quota del canone di locazione a carico della banca per la
foresteria su Palermo fruita dal sig. Agnello, per la cui determinazione è stata prodotta idonea
documentazione, e quant’altro di cui godessero i ricorrenti al momento del licenziamento disposto
dall’azienda.), a provvedere all’adeguamento previdenziale ed al versamento delle quote dovute per il
fondo pensioni Comit, nonché a risarcire il danno biologico e quello legato alla perdita della
professionalità, da valutarsi anche in via equitativa, ed infine a pagare le spese, competenze e onorari del
giudizio, ivi comprese quelle inerenti la fase conciliativa.
A sostegno del ricorso, gli interessati hanno prodotto, oltre a vari altri documenti, anche copia del
ricorso alla DPL di Roma ed al Ministero del Lavoro proposto dalle Segreterie Provinciali
Sindacali Aziendali della FABI e della SINFUB, nonché copia dei comunicati dell’Organizzazione
Sindacale SINFUB (nn. 121-122-123/2004); ed hanno chiesto comunque al Giudice adito di
assumere informazioni e osservazioni sia orali che scritte alle predette Organizzazioni Sindacali.
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2. Con la memoria di costituzione depositata in data 25.03.2005, Banca Intesa Spa ha eccepito l’
inammissibilità e l’improponibilità delle domande proposte dal Sig. Foderà, ed ha comunque contestato
nel merito la fondatezza delle domande spiegate da tutti i ricorrenti, chiedendone il rigetto.
Ha sostenuto innanzi tutto la convenuta che il ricorso del Foderà debba considerarsi inammissibile od
improponibile, a causa dell'univoca accettazione del licenziamento (con implicita rinuncia
all'impugnazione dello stesso), che il ricorrente avrebbe espresso, da un lato, tramite la sua volontaria
adesione al trattamento previsto dal Fondo di Solidarietà, e la richiesta dell’ assegno straordinario di
sostegno del reddito (che, a parere della convenuta stessa, dovrebbe essere qualificato quale "incentivo
all'esodo") e, d'altro lato, tramite la rinuncia esplicita all'indennità sostitutiva del preavviso.
Ha dedotto comunque la resistente nel merito che la procedura di cui alla L.223/91 è stata osservata in
ogni suo aspetto (anche negli adempimenti formali previsti dall'art. 4, co, 3); e che il datore di lavoro ha
diffusamente motivato, negli atti che sono poi confluiti nell'Accordo di Programma del 5.12.02
(richiamato e allegato in ogni documento della procedura), le ragioni del licenziamento, derivanti
dall'esigenza di ridurre il personale per le difficoltà del settore creditizio (ribadite anche dal CCNL
dell'11.7.99), che avevano già indotto il legislatore a prevedere espressamente, all'art. 59 della I.
27.12.1997 n. 449, particolari criteri per le procedure di recesso collettivo nel medesimo settore.
Secondo la difesa della Banca, la motivazione datoriale dovrebbe considerarsi oltremodo specifica, dato
che I"`Accordo di Programma" del 5.12.2002 richiama il Piano di Impresa per gli anni 2003-2005 della
stessa resistente; Piano, nel cui ambito è evidenziato come, al fine di conseguire "... il miglioramento dei
risultati gestionali e reddituali" e di consentire al Gruppo di collocarsi al vertice degli Istituti di Credito
europei, era emersa la necessità, ritenuta prioritaria, di aumentare i profitti e ridurre i costi, tra i quali
avrebbe dovuto essere certamente limitato "il costo del lavoro", in una misura tale da potersi indicare in
5.700 il numero delle eccedenze”.
Ha osservato ancora la Banca convenuta che, proprio per gestire i processi di agevolazione all'esodo e di
riduzione del personale ex L.223/91 e "portare il dimensionamento dell'azienda bancaria italiana al pari
degli altri paesi europei", le organizzazioni sindacali hanno convenuto con Accordo Nazionale del
28.2.98, di istituire presso l’INPS un "Fondo di Solidarietà per il sostegno del reddito, della occupazione
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e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del credito"; e che, con DM 28.4.2000
n. 158, il Ministero del Lavoro ha disposto la regolamentazione di detto Fondo.
La resistente ha tenuto inoltre a precisare, facendo, in proposito, richiamo alla motivazione della sentenza
della Corte Costituzionale n. 268 del 1994, che il criterio stabilito del possesso dei requisiti per la
pensione di anzianità o di vecchiaia e, gradatamente, quello della maggiore prossimità alla maturazione
del diritto alla pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, ovvero della maggiore età
(favorendo sempre, per ciascun gruppo, la volontarietà nell'esodo) debba reputarsi del tutto legittimo,
trattandosi di un criterio di massima trasparenza e garanzia, privo di margini di discrezionalità nella sua
applicazione, non discriminatorio. Per altro, sempre secondo la tesi sostenuta dalla Banca, grazie al fatto
che tale criterio appare di così rigida applicazione, si dovrebbe reputare congrua anche la comunicazione
effettuata ai sensi dell'art. 4, co. 9 della L.223/91, considerando, in particolare, che Banca Intesa non si è
limitata ad offrire l'elenco dei licenziati, ma ha anche allegato alla comunicazione in parola gli atti
dell'intera procedura, tra i quali l'Accordo di Programma del 5.12.02, nel quale sarebbero state precisate le
"puntuali modalità" con cui sono stati applicati i criteri di scelta e la platea dei destinatari della selezione,
essendo nello stesso previsto che ciascun dipendente nato prima del 1954 avrebbe dovuto compilare il
modulo ECOCERT.
Riguardo i Quadri direttivi di 4° livello retributivo, la resistente ha tenuto a precisare che il numero
dei “quadri” esodati,a prescindere dal loro livello retributivo e con riferimento alla Regione Sicilia,
ammonta a 86 unità contro le 87 comunicate con la lettera di avvio della procedura.
3. Alla prima udienza di comparizione del 07.04.05 il Giudice ha fissato l’udienza per la discussione
e la decisione per il giorno 17.11.05, assegnando ai ricorrenti termine per note sino al
31.07.2005, con facoltà di produrre documenti, e a Banca Intesa termine fino al 07.11.2005 per
note di replica.
4. Prima di qualsiasi altra considerazione, è opportuno rilevare che il presente giudizio è uno dei tanti,
aventi il medesimo oggetto, che sono stati proposti su tutto il territorio nazionale; e il cui esito,
contrariamente a quanto assunto (ad effetto) dalla Banca convenuta (v., pag. 58 della sua memoria), non è
stato sinora sempre favorevole alla stessa.
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Anzi, a fronte delle (in verità abbastanza esigue) sentenze di segno positivo (per la Banca), vanno
ricordate quelle di segno negativo, supportate da motivazioni ineccepibili (e che in copia, per maggior
comodità dell’odierno decidente, si offrono oggi in comunicazione con le presenti note). E’ il caso della
sentenza del Tribunale di Viterbo, Sez. Lav., del 18.06.04 in causa Quadrani/ CARIVIT (del gruppo
B.Intesa spa); del Tribunale di Rieti, Sez.Lav., del 23.09.04 in causa Nitrosa/ CARIRI; del Tribunale di
Milano – Sez.Lav. dell’08.03.2005 in causa Viganò e C./ B. Intesa; dello stesso Tribunale di Milano,
Sez.Lav., del 10.03.2005 in causa Cipolat/B.Intesa; del Tribunale di Milano, sez.Lavoro, del 10.03.2005
in causa Seb.Bianca/B.Intesa, ed ancora del Tribunale di Milano, Sez. Lav., 17.03.2005 in causa Alì e
C./ B. Intesa; del Tribunale di Perugia, Sez.Lav., del 23.05.2005 in causa Venturini/ Cassa di
Risparmio; del Tribunale Ordinario di Milano, sez. Lavoro, in causa del 12.05.2005 Viganò Giulio c/
Banca Intesa; del Tribunale di Perugia del 23.05.2005 in causa Carizia C/ Cassa di Risparmio; del
Tribunale di Perugia del 30.05.2005 in causa Diamanti e C. C/ Banca Intesa; del Tribunale di Perugia,
Sez.Lav., del 30.05.2005 in causa Zerbini e C./ B.Intesa;del Tribunale di Perugia, sez. Lavoro, del
13.06.2005 in causa A.Ceccarelli/B.Intesa;ed ancora Tribunale di Perugia , sez. Lavoro del 13.06.2005
in causa Peirano e C. c/B.Intesa; del Tribunale di Milano, sez.Lavoro, del 20.06.2005 in causa
C.Bertulli/B.Intesa; Tribunale di Milano, sez.Lavoro, del 20.06.2005 in causa Contalto/B.Intesa; ed
ancora Tribunale di Milano, sez.Lavoro, del 20.06.2005 in causa Boirivant Gianfranco c/B.Intesa;
sentenze tutte, che si sono pronunciate per l’illegittimità della procedura di licenziamento collettivo
in questione e che hanno dichiarato l’inefficacia degli intimati licenziamenti con ogni conseguenza
di legge.
5. In effetti, tutte le eccezioni sollevate dalla Banca convenuta e tutte le argomentazioni dalla stessa
addotte a sostegno della legittimità del suo operato, possono essere puntualmente contestate e vanno
pertanto decisamente disattese.
Così l’eccezione preliminare, sollevata dalla difesa della Banca ed incentrata su un’asserta
inammissibilità o improponibilità del ricorso introduttivo, in quanto il Sig. Giacomo Foderà, avendo
espresso la sua volontaria adesione al trattamento previsto dal Fondo di Solidarietà, avendo richiesto
l’assegno straordinario di sostegno del reddito ed avendo esplicitamente rinunciato all’indennità
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sostitutiva del preavviso, avrebbe per ciò stesso accettato il licenziamento e rinunziato alla sua
impugnazione.
E’ bene premettere in proposito che, come è stato correttamente osservato in dottrina e in giurisprudenza,
in materia di licenziamenti non è neppure configurabile un’ “accettazione” in senso proprio, poiché il
recesso datoriale si pone come atto unilaterale, giuridicamente perfetto e produttivo di effetti, senza
bisogno di alcuna accettazione da parte del lavoratore.
Semmai, dal comportamento acquiescente del lavoratore potrebbe desumersi una “rinuncia” tacita
all’impugnazione del licenziamento (Cass., 30.08.1986, n. 5326).
Ma, affinché il comportamento del lavoratore possa concretizzare una rinuncia tacita all’impugnazione, è
necessario che ricorrano circostanze precise, concordanti e obiettivamente concludenti, che dimostrino
l’intenzione del lavoratore stesso di fare acquiescenza all’atto risolutivo (v., ad esempio, Cass.,
03.02.2000, n. 1194 e Cass., 09.07.1994, n. 6484); vale a dire una volontà univoca ed incompatibile con
un proposito contrario.
Il che richiede indubbiamente un accertamento particolarmente rigoroso delle circostanze e dei
comportamenti, dai quali potrebbe desumersi la manifestazione di una volontà tacita, incompatibile con
un proposito contrario, ovvero un accertamento della univocità di tali circostanze e comportamenti in
modo tale da svelare con assoluta chiarezza la volontà del loro autore (Cass., 21.03.2000, n. 3345; Cass.,
10.10.1996, n. 8861; e giurisprudenza di legittimità risalente conforme sul punto).
Nel caso in esame, è agevole dimostrare come tali circostanze e comportamenti siano tutt’altro che
univoci ed incompatibili col proposito contrario, di rinunciare all’impugnazione.
La richiesta di accesso al Fondo di solidarietà con rinunzia all’indennità sostitutiva del preavviso da
parte del Foderà non è invero circostanza decisiva in tal senso, come pretenderebbe parte avversa.
a) Occorre anzitutto considerare che l’assegno straordinario erogato dal Fondo di solidarietà non ha, nel
caso in esame, natura di “incentivo all’esodo”, ma di “sostegno del reddito”, il quale presuppone l’atto di
licenziamento e non un’adesione volontaria al piano di riduzione dell’organico.
In proposito si rinvia alla lucida ed esaustiva motivazione contenuta nella recente sentenza del Tribunale
di Milano, Sez.lav., dell’08.03.2005.
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Quel giudice, dopo aver puntualmente analizzato la normativa concernente il Fondo di solidarietà (art.2,
co. 28 della legge 23.12.1996, n. 662; D.M., 27.11.1997, n. 477; Accordo 28.02.1998 e D.M. 2000, n.
158) e le ragioni alla stessa sottese, è pervenuto ad una fondamentale distinzione, in base alla quale
appunto le prestazioni del Fondo in caso di licenziamento collettivo perseguono finalità di sostegno del
reddito per una categoria di dipendenti, come quella del credito, che proprio per il criterio della maggiore
età attinto dall’art.59 della legge 1997, n. 449 si trovano più esposti alla risoluzione del rapporto, con
maggiore difficoltà di reimpiego e senza possibilità di godere di altre forme di ammortizzatori sociali;
mentre le prestazioni dello stesso Fondo perseguono finalità di incentivo all’esodo nei confronti di coloro
che spontaneamente e volontariamente aderiscano al programma di riorganizzazione aziendale, senza
rendere necessario da parte datoriale un atto espulsivo.
Conclude sul punto il Tribunale di Milano: “Appare agevole, a tal punto, osservare come nettamente
disomogenea sia la posizione (e, quindi, in modo corrispondente, totalmente diverso il titolo per
l’attribuzione dell’assegno straordinario da parte del Fondo) di chi scelga di aderire volontariamente
alla riduzione del personale e di chi, invece, opponga alla stessa una resistenza, costringendo il datore
di lavoro ad addivenire ad un licenziamento, manifestando questi ultimi un comportamento di massima
opposizione possibile alla risoluzione del rapporto”.
“In questo difforme quadro, appare possibile osservare come non potrebbe trovare spazio alcuno
un’attribuzione a titolo di incentivo all’esodo, in quanto il negozio tra le parti risulterebbe “privo di
causa”, essendosi già verificato l’”esodo” del lavoratore della Banca.
b) Attesa la ratio sopra evidenziata, che si ritiene abbia portato alla previsione legislativa e alla
costituzione del Fondo di Solidarietà, appare ben comprensibile che il ricorrente, una volta licenziato,
abbia deciso di avvalersi dell'opportunità di sostegno del reddito offerta dall’ordinamento, così come
avrebbe potuto avvalersi di altre forme di sostegno (ad esempio, indennità di disoccupazione), senza che
tale opzione, quasi immediata per chi si è visto privato della propria occupazione, possa tradire in alcun
modo una rinunzia all’ impugnazione dell’atto di recesso.
c) Non è significativo nel senso voluto dalla Banca che il lavoratore presenti una domanda firmata, che
richiama in varie parti l'avvenuto recesso e con la quale rinunzia all’indennità sostitutiva del preavviso.
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La domanda è necessaria perché l’accesso al Fondo di solidarietà non è automatico, ma subordinato alla
rinunzia dell’indennità sostitutiva del preavviso, che serve a sovvenzionare il Fondo stesso.
Questo, tuttavia, non dimostra affatto la sussistenza di una volontà ulteriore di rinunciare ad impugnare il
licenziamento.
Per altro, la richiesta di accesso al Fondo è sottoscritta non solo dal lavoratore, ma anche da un
rappresentante della Banca (chiamata anch’essa a sovvenzionare il Fondo). Il che evidenzia come le
dichiarazioni contenute in tale richiesta non siano disposte per produrre effetti diretti tra le parti, ma siano
destinate a un terzo, cioè al gestore del Fondo, l’INPS.
L’atto di rinuncia all’indennità sostitutiva del preavviso è un atto di disposizione del credito, già
entrato a far parte del patrimonio del lavoratore all’atto del disposto licenziamento. Il lavoratore
potrebbe investire tale indennità a suo piacimento, ad esempio, in titoli azionari, e impugnare egualmente
il licenziamento, dovendo eventualmente restituire l’ammontare percepito nel caso di esito positivo della
causa.
d) Non vi è stata alcuna trattativa tra le parti per cui il dipendente si determinasse a rinunciare
all’indennità sostitutiva del preavviso dando per consolidato il licenziamento.
e) Nessuna disposizione di legge o contrattuale prevede l’impossibilità per il lavoratore di impugnare il
licenziamento per il solo fatto di aver optato per l’accesso al Fondo di solidarietà.
In ordine a tutto ciò, può riportarsi, senza inutili parafrasi, parte della pregnante motivazione contenuta
nella già ricordata decisione del Tribunale di Milano 05.03.2005, secondo cui “tutte le condizioni per
accedere al Fondo erano già previste dalla lettera di recesso della Banca (essendo state predeterminate e
non pattuite tra il lavoratore e la Banca dopo la risoluzione del rapporto)…il che vale a confermare
come tra le parti nessuna trattativa vi sia stata (e, tanto meno, mai sia stato considerato definitivo il
licenziamento nell’atto di presentare la domanda per l’assegno straordinario)”.
“Occorre ancora ribadire come la normazione in materia finora analizzata risulta volta ad assicurare al
lavoratore estromesso, prossimo alla pensione, un sostegno al reddito successivamente alla perdita
dell’impiego, per poi evidenziare come la tesi della convenuta, secondo cui la rinuncia all’indennità di
preavviso determinerebbe necessariamente la “definitività” degli effetti del licenziamento, produrrebbe
un effetto esattamente antitetico a quello voluto dal legislatore: infatti, secondo l’ottica proposta dalla
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resistente, chi risultasse destinatario di un provvedimento espulsivo si sarebbe dovuto trovare, al
termine della procedura, nell’alternativa di dare la preferenza alla tutela del Fondo di solidarietà
oppure a quella giudiziaria (sottoponendo al vaglio di un Tribunale la legittimità del recesso).”
“ In tal modo, sarebbe ben potuto accadere, nella logica suggerita dalla Banca Intesa Spa, che – in
caso di opzione del lavoratore per la valutazione giudiziaria dell’atto risolutivo e di esito negativo della
lite (con dichiarazione di legittimità del recesso) – questi si trovasse del tutto sprovvisto di qualunque
tutela, compresa quella di sostegno al reddito, non potendo accedere al Fondo successivamente al
giudizio, essendo ormai inevitabilmente decorso il termine decadenziale di 15 giorni dalla ricezione
della lettera di estromissione dell’Istituto di Credito (essendo previsto nella stessa che il dipendente era
tenuto a compilare, entro tali stretti e tassativi termini, il modulo di “Richiesta di accesso al Fondo”,
allegato all’atto di recesso, pena la perdita del relativo trattamento di sostegno al reddito).”
“Appare ovvio, a tal punto, ricordare come, al contrario, il legislatore avesse stabilito l’assistenza del
Fondo di solidarietà proprio per i licenziamenti che fossero legittimamente intimati, essendo già
prevista la più penetrante protezione dell’art.18 della l. 300/70 nel caso in cui fosse accertato che il
recesso fosse avvenuto come illegittimo”.
“Non sarebbe, cioè, dovuto accadere che un lavoratore prossimo alla pensione (neanche uno) fosse
licenziato e si trovasse senza alcuna assistenza, per quanto l’atto di recesso fosse dichiarato legittimo da
un Tribunale”.
“E’ evidente allora come la soluzione teorica avallata dalla convenuta si contrapponga a tale logica:
obbligando il lavoratore che volesse sottoporre al vaglio giudiziale l’atto di recesso a rinunciare alla
adesione al Fondo, nel caso di esito per questi sfavorevole del giudizio, si verrebbe a privare del
“sostegno al reddito”, stabilito dalla normativa, proprio uno dei suoi naturali destinatari, ovvero un
dipendente prossimo alla pensione legittimamente licenziato”.
“La tesi non risulta, quindi, persuasiva, pena la vanificazione della ratio legis stabilita dal legislatore”.
“Inoltre, venendo più nello specifico a valutare il comportamento adottato dai ricorrenti, si deve notare
come l’atto di disposizione dell’indennità di preavviso apparisse in qualche modo necessitato per i
dipendenti espulsi e come, dunque, risulti difficile attribuire allo stesso significati ulteriori ed impliciti”.
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“Occorre, infatti, da una parte rammentare come i lavoratori estromessi non potessero accedere al
Fondo in epoca successiva ad una pronuncia giudiziaria sul recesso, dovendo rispettare la scadenza
decadenziale suddetta (15 giorni dalla comunicazione del medesimo): tale termine si poneva, quindi, per
gli stessi come perentorio, verificandosi, nel caso di mancata ottemperanza di quanto prescritto nella
lettera di risoluzione del rapporto loro trasmessa dalla Banca (compilazione del modulo di richiesta con
cessione dell’indennità di preavviso), la perdita irrimediabile del “sostegno al reddito” in parola”.
“Sempre nello stesso senso, nel valutare il significato del comportamento tenuto dai destinatari dell’atto
espulsivo, al fine di valutare un loro eventuale comportamento concludente, non si può, in aggiunta,
prescindere dal considerare come gli stretti termini assegnati al lavoratore dalla ricezione della
comunicazione del recesso (evidentemente gravosi dovendosi, tra l’altro, reperire, per compilare la
“Richiesta di accesso al Fondo”, dati non immediatamente disponibili quali, ad esempio, il “numero dei
contributi versati” o “la data fino alla quale avrebbero dovuto essere corrisposti i contributi figurativi”)
rendessero ancora minore lo spazio valutativo concesso al dipendente in tale frangente, con ciò
asseverandosi il giudizio di come la scelta di investire l’indennità di preavviso nel Fondo non fosse certo
idonea a rendere trasparente una differente volontà oltre quella espressa nello scritto trasmesso tramite
la Banca all’INPS”.
“…esaminata la fattispecie concerta nel suo complesso – che prevede la Richiesta di accesso al Fondo,
con un atto di disposizione dell’indennità sostitutiva del preavviso da compiersi necessariamente
immediatamente, senza alcun indugio – occorre, dunque, confermare come si debba concludere che non
appare possibile attribuire a tale azione un significato univoco (incompatibile con un intento contrario)
di voler rendere definitivi (o accettare, con comportamento acquiescente) gli effetti del provvedimento
risolutivo del rapporto”.
“La condotta tenuta dai lavoratori estromessi appare, viceversa, certamente in totale sintonia con la
logica insita negli atti normativi finora esaminati, essendo improntata a garantir loro un sostegno al
reddito in ogni caso, anche in quello in cui la legittimità del recesso fosse stata accertata da un giudice,
avendo evidentemente scelto, in ogni modo, di non perdere i benefici del Fondo di solidarietà, salvo poi
ricorrere al sindacato giudiziario per poter fruire, nel caso in cui il recesso fosse valutato come
illegittimo, della ben più incisiva protezione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori”.
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Quanto alla percezione del T.F.R., basta ricordare l’ insegnamento della Suprema Corte in materia,
secondo cui “la mera accettazione del TFR, ancorché non accompagnata da alcuna riserva, non può
essere interpretata per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti
derivanti dall’illegittimità del licenziamento, non sussistendo alcuna incompatibilità logica e giuridica
tra accettazione di detto trattamento e volontà di ottenere la dichiarazione di illegittimità del
licenziamento al fine di conseguire l’ulteriore diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno”
(Cass., 2000, n. 3345).
Sempre secondo la Suprema Corte, “le quietanze a saldo o liberatorie che il lavoratore sottoscrive a
seguito della risoluzione del rapporto accettando senza esprimere riserve la liquidazione e le altre
somme dovutegli alla cessazione del rapporto non implicano di per sé, anche se contenenti la menzione
del licenziamento, l’accettazione del medesimo e la rinuncia ad impugnarlo o all’impugnazione già
proposta” (Cass., 2000, n. 1194).
Conclusivamente si può affermare che l’eccezione preliminare sollevata dalla Banca convenuta è,
sotto ogni e qualsiasi profilo, assolutamente priva di fondamento.
6. Venendo ora alle questioni di merito agitate nella presente causa, va affrontata dapprima quella
concernente l’ illegittimità della procedura di licenziamento collettivo, così come attuata da Banca
Intesa: per la mancata preventiva individuazione della collocazione aziendale e dei profili
professionali dei dipendenti da esodare con riferimento all’ambito organizzativo interessato; per l’
adozione del solo criterio della maturazione del diritto a pensione, della prossimità allo stesso o
della maggior età, anch’esso svincolato da ogni riferimento ai motivi tecnici, organizzativi e
produttivi ed all’ambito organizzativo interessato.
E’ bene premettere in proposito che “la legittimità o meno del recesso (nel caso di licenziamenti
collettivi) dipende non tanto dalle ragioni addotte dal datore di lavoro e dalle scelte di politica aziendale
– queste del resto insindacabili ai sensi dell’art.41 Cost. – quanto dalla regolarità del procedimento
instaurato per la selezione del personale da porre in mobilità e quindi da licenziare, ad iniziare dalla
preventiva comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali di detta iniziativa perché le parti
sociali possano addivenire eventualmente ad evitare in tutto o in parte la dichiarazione di mobilità”, e
che “l’inosservanza della procedura collettiva incide…sullo stesso potere dell’imprenditore di ridurre il
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personale essendo sanzionata dall’inefficacia dei singoli licenziamenti che può essere fatta valere da
ciascun lavoratore interessato” (così in termini, Trib.Viterbo, 18.06.2004).
Dispone in proposito l’art. 5, co.1 della legge 1991, n. 223 che l’individuazione dei lavoratori da
collocare in mobilità debba avvenire “in relazione alle esigenze tecnico produttive e organizzative del
complesso aziendale”; e l’art. 4, co. 3 della stessa legge prescrive che il datore di lavoro indichi, per le
posizioni lavorative in esubero, quali siano “la collocazione aziendale e i profili professionali”, in modo
da rendere trasparenti le proprie esigenze organizzative ossia il “preciso ambito organizzativo” in cui si
siano verificati gli esuberi.
Tali prescrizioni vanno dal datore di lavoro puntualmente osservate già nella comunicazione di avvio
della procedura, consentendo soltanto l’art.59 della legge 1997, n. 449 agli Istituti di Credito di avvalersi
di un criterio di selezione alternativo rispetto a quelli previsti dall’art.5 della legge 1991,n.223 (v., sul
punto ancora infra), ma non di derogare alle altre norme recate da quest’ultima, tra le quali figurano
appunto quelle sopra indicate degli artt. 4 e 5 (Cfr., Cass., Sez.Un., 13.08.2002, n. 12194).
E’ bene ricordare sul punto come la giurisprudenza sia di merito che di legittimità abbia in passato
precisato che, in ogni licenziamento collettivo, "esiste un metodo legale, inderogabile per definire le
eccedenze che passa attraverso la preventiva definizione del campo organizzativo nel quale far
agire in funzione selettiva" il criterio di scelta (cfr., in tal senso, ad esempio, Tribunale di Milano
28.12.00, in funzione di Giudice d'Appello).
Nella specie, la Banca convenuta nell’Accordo di programma 05.12.2002 (richiamato nella
comunicazione di inizio della procedura del 19.12.02) si è limitata a porre come cause della riduzione
del personale (individuato in complessive 5700 unità per il periodo 2003-2005) gli insufficienti risultati
dell’ultimo biennio e l’esigenza di sviluppo dei ricavi e del contenimento dei costi entro livelli
compatibili con la situazione economica e gestionale del Gruppo. Per definire le eccedenze come
sopra quantificate, la convenuta ha fatto riferimento al criterio della maturazione del diritto a pensione o
della prossimità alla maturazione di tale diritto o ancora della maggiore età (operando in tal modo una
selezione riguardante tutti i dipendenti - qualunque fosse il loro inquadramento, purchè nati prima del
1954 — ai quali è stato fatto compilare il Modulo ECOCERT), senza specificare la collocazione
aziendale e i profili professionali dei lavoratori da esodare, prescindendo cioè dall’ambito organizzativo
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interessato dalla riorganizzazione-riduzione; indicazione necessaria, senza la quale risulta impossibile
chiarire quale sia l’effettivo nesso causale tra l’esigenza di riduzione e la prospettata riorganizzazione, ed
impossibile altresì ogni tipo di controllo sulla giustificatezza di ogni singolo licenziamento.
A tal proposito si evidenzia che Banca Intesa ha trasmesso alle Organizzazioni Sindacali, all' Ufficio
Regionale del Lavoro e della Massima Occupazione competente ed anche alla Commissione
Regionale per l' Impiego solo l'elenco dei dipendenti licenziati, senza alcun riferimento ed
indicazione degli altri lavoratori oggetto della selezione, non consentendo, pertanto, la verifica del
suo operato.
Benchè, nell'allegato 2 della comunicazione di avvio della procedura, si fosse specificata l'entità della
riduzione, quantomeno per ciascun livello di inquadramento, nel prosieguo del procedimento, tali
indicazioni non sono state reputate in alcun modo vincolanti, risultando pacifico che il criterio di
selezione è stato dal datore di lavoro applicato operando una cernita riguardante tutti i dipendenti,
qualunque fosse il loro inquadramento, purchè nati prima del 1954.
Come risulta evidente, il dovere di menzionare gli estremi della collocazione aziendale e dei profili
professionali in riferimento all’ambito organizzativo interessato nella comunicazione di avvio della
procedura, così come in prosieguo, non rappresenta un semplice onere formale, ma incide in modo
diretto sul licenziamento collettivo, determinandone la legittimità.
Oltre alla possibilità di controllo sul nesso causale, di cui si è detto, le indicazioni in parola incidono
sensibilmente sull'ambito dei possibili destinatari della risoluzione del rapporto, come ben chiarito dalle
parole della Suprema Corte: “in quest’ordine di idee che assegna all’osservanza del procedimento una
funzione di preminente garanzia di interessi individuali è, del resto, agevole osservare come, nel caso di
specie, non possa negarsi che, in astratto, ove fosse stata rispettata la legge nella parte in cui impone di
enunciare le cause delle eccedenze, le unità produttive ed i profili professionali interessati, taluni dei
lavoratori interessati avrebbero potuto non essere coinvolti nella procedura”(Cass., Sez. un., 2002, n.
12194).
La procedura di individuazione dei lavoratori da licenziare operata, infatti, senza riferimento alla
"collocazione aziendale ed ai profili professionali" e senza riferimento all’ambito organizzativo
interessato, non ha determinato – come avrebbe dovuto - una selezione tra una pluralità di possibili
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destinatari del provvedimento di recesso, escludendo dal rischio del licenziamento coloro che in alcun
modo avrebbero potuto essere assimilati, per la propria professionalità, ai titolari delle posizioni
lavorative in esubero.
E’ stata pertanto palesemente violata nel caso in esame la corretta procedura stabilita dalla L.
223/91, con il risultato che ai dipendenti licenziati non è stato assolutamente possibile un controllo
circa il nesso causale che potesse sussistere tra il loro licenziamento e le effettive esigenze
riorganizzative dell'imprenditore (che avrebbero dovuto essere delineate specificando la
"collocazione aziendale e i profili professionali" del personale eccedente e tenendone conto per
l'intera procedura).
Inoltre, la circostanza che i criteri di selezione del "possesso dei requisiti per la pensione o della
maggiore prossimità alla stessa" siano stati applicati sull'intero nucleo dei dipendenti nati
antecedentemente al 1954 (e non con riferimento ad un "campo organizzativo delimitato") ha
inevitabilmente prodotto l'effetto di includere tra i destinatari del recesso anche quei lavoratori
(nati prima del 1954) che non avrebbero dovuto essere coinvolti in alcun modo nelle procedure in
quanto caratterizzati da un profilo professionale non "fungibile" (nel senso precisato dalla sentenza
della Corte di Cassazione n. 7169/03) con le posizioni lavorative da sopprimere in virtù della
riorganizzazione prospettabile.
Ed infatti questo concretamente è accaduto, che non considerando, in alcun modo, tale nesso causale e
operando una selezione sull'intero nucleo dei dipendenti nati prima del 1954, senza individuare
preventivamente l' "ambito organizzativo" degli esuberi, in violazione della corretta procedura stabilita
dalla L. 223/91, la Banca ha inevitabilmente inciso sul risultato sostanziale della procedura, rendendo
destinatari del licenziamento lavoratori che non avrebbero dovuto essere coinvolti nello stesso in quanto
di profilo professionale dissimile dalle posizioni lavorative da sopprimere.
Al riguardo, si ritiene utile evidenziare che il Sig. Antonino Agnello, quadro direttivo di 4° liv., già
responsabile Mercato Privati nell’Area Sicilia Occidentale, da qualche mese era stato designato e già
svolgeva le mansioni di “Animatore e/o Responsabile commerciale relativamente ai gestori del Segmento
Famiglie” e con competenza su tutte le filiali dell’Area Sicilia Occidentale (ubicate nelle Provincie di
Palermo, di Trapani, di Agrigento e di Caltanissetta). In base ad una nuova organizzazione commerciale,
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infatti, Banca Intesa aveva adottato per la fine del 2003 una piattaforma commerciale denominata
“Arcobaleno”, e definita strategica per il conseguimento degli ambiziosi obiettivi triennali 2003-2005. Il
Sig. Agnello era stato inserito in questo gruppo di lavoro e, pertanto, non risultava assegnato ad un
“settore e/o ramo di azienda” da sopprimere; tutt’altro: infatti, a seguito del licenziamento, l’Azienda lo
ha sostituito con altro lavoratore adibito, sino a quel momento, ad altre mansioni.
Analogamente è avvenuto per i Sigg.ri Isca (quadro direttivo di 4° liv., specialista pianificazione e
controllo in Area Sicilia Occidentale ed, in seguito, addetto Crediti di Area, ufficio quest’ultimo
addirittura poi potenziato) e Foderà (specialista Enti Istituzioni Regione Rete Italia), i cui ruoli (o
equipollenti) sono ora ricoperti da lavoratori che precedentemente risultavano assegnati ad altre mansioni.
Specificatamente, ancora, il Sig. Foderà, Capo ufficio (terza area professionale – 4° liv.), aveva
competenza su tutte le filiali dell’Area Sicilia Occidentale (incluse nelle Provincie di Palermo, Trapani,
Agrigento e Caltanissetta) ed il suo ruolo da sempre era considerato di particolare interesse per
l’Azienda, che, in data 22.03.2004, aveva anche diramato nella “WebIntesa news” aziendale un
messaggio alla rete per ricercare “specialisti” per il segmento di clientela “Pubblica
amministrazione locale”. In base a quanto affermato dal ricorrente Sig. Foderà, l’Ufficio Mercato
Pubblica Amministrazione locale della Direzione Marketing di Milano (da cui il ricorrente dipendeva
“funzionalmente” ), ed anche l’Area della Sicilia Occidentale (dalla quale il ricorrente dipendeva
“gerarchicamente”) per il grande interesse attribuito alla sua collaborazione, in data 23.03.2004 hanno
richiesto, infruttuosamente, alla Direzione Risorse ed Organizzazione dell’Azienda, di trattenerlo in
servizio. Per completezza, si aggiunge che il lavoratore che ricopriva presso l’Area Sicilia Orientale la
posizione equipollente a quella del Sig.Foderà, pur con i requisiti per l’esodo obbligatorio, è stato
mantenuto in servizio.
Su tali circostanze potrebbe il decidente, qualora lo ritenesse opportuno, assumere la testimonianza del
Sig. Fina Bartolo, nato a Castelbuono (PA) il 23.03.1955, il quale allora e anche adesso è addetto alle
Risorse Umane per l’Area Sicilia Occidentale con sede di lavoro in Palermo.
Come è stato esattamente rilevato dal Tribunale di Milano con la sentenza 08.03.2005, “la resistente,
prescindendo, dall'individuazione delle "aree di eccedenza", ha semplicemente considerato come causa
del descritto esubero di personale la propria esigenza di contenimento della spesa per la forza
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lavorativa, chiarendo alle Organizzazioni Sindacali effettivamente la "causa originaria" (l'abbattimento
del costo lavoro) che avrebbe determinato la riorganizzazione e la riduzione del personale, ma
omettendo di specificare in che termini tale esigenza (che, in diversa misura e proporzione, potrebbe
essere propria di ciascuna impresa) avrebbe concretamente inciso sugli assetti aziendali, tralasciando
così di rendere trasparente ed individuabile il nesso eziologico tra la prospettata riorganizzazione ed i
licenziamenti”.
Ciò in quanto il licenziamento collettivo non può essere "acausale", nel senso che il datore di lavoro
non può omettere di indicare il nesso eziologico sussistente tra le esigenze organizzative concrete e
la riduzione di personale (per aree di eccedenza), limitandosi a pubblicizzare, come nel caso in
parola, semplicemente l'antecedente causale più remoto rispetto alla esigenza riorganizzativa
(consistente nella necessità "originaria" di ridurre il costo del personale).
Non a caso, l'Istituto di Credito, alla fine del procedimento, non avendo operato tenendo conto delle "aree
di eccedenza", si è trovato di fronte ad ingenti problemi organizzativi, che hanno prodotto la
trasformazione a tempo indeterminato di 450 contratti di lavoro a termine (stipulati nel corso della
procedura per far fronte ad un imprevisto esodo volontario).
I provvedimenti di licenziamento in parola inoltre risultano improduttivi di effetti, in quanto affetti
da nullità anche per i profili di discriminatorietà che essi presentano.
Nel caso in esame, stante la scelta di un criterio volto a individuare i destinatari del licenziamento
innanzitutto sulla base del possesso dei requisiti per la pensione o della massima prossimità alla stessa, i
soggetti illegittimamente selezionati non sono risultati lavoratori qualunque, ma appartengono ad una età
certamente non inferiore ai 50 anni (considerato che la procedura riguardava lavoratori nati prima del
1954) e, normalmente e tendenzialmente, superiore, visto che, di norma, si collocano in un ambito di
maggiore anzianità anagrafica coloro che per ragioni di possesso dei requisiti contributivi si trovano nella
condizione di poter ottenere la pensione di anzianità o di vecchiaia o di maggiore prossimità alla stessa.
Operare la scelta di adottare una procedura di licenziamento collettivo al di fuori di un "ambito
predeterminato per profili e collocazione aziendale del personale eccedentario", optando contestualmente
per l'adozione del criterio del possesso dei requisiti per la pensione o di maggiore prossimità alla stessa,
ha determinato di conseguenza l’ inclusione nel numero dei destinatari del recesso di una elevatissima
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percentuale di dipendenti di età anagraficamente elevata (ovvero di una fascia di età comprendente,
quantomeno nel caso in esame, lavoratori nati prima del 1954, con una tendenza alla maggiore anzianità
anagrafica, in relazione alla circostanza che, di norma, nella maggior parte dei casi, sono i dipendenti di
maggiore età a conseguire i requisiti della pensione o della maggiore prossimità alla stessa).
Il criterio seguito dall'Istituto non ha lasciato alcuna possibilità, quantomeno per quei dipendenti che
erano in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia (e, in particolar modo, per i più anziani tra
questi), tenuto conto che il licenziamento programmato riguardava ben 5.700 lavoratori e che questi
sarebbero stati tra i primi destinatari del recesso.
Qualora, invece, il procedimento di selezione fosse stato operato tenendo conto dei "profili professionali e
della collocazione aziendale" delle posizioni lavorative in eccedenza, alcuni di questi ultimi non
sarebbero stati inseriti tra coloro che potevano definirsi come i destinatari dell'applicazione dei criteri
selettivi (ad esempio, perchè non "fungibili" nella loro professionalità con alcuno dei profili individuati
come in esubero).
Alla luce di quanto sopra, si può dire che risultano discriminatori non tanto i criteri stabiliti dall'art. 8 del
DM 158/00 e dall'Accordo di Programma del 5.12.02, quanto la loro peculiare modalità di applicazione,
compiuta dalla Banca Intesa Spa, prescindendo da una selezione attuata per "aree di eccedenza" , che ha
prodotto gli aberranti effetti di cui sopra, ancor meglio esplicitati dalle parole della Suprema Corte:
"dalla condivisione delle tesi del ricorso discenderebbe la legittimazione, in via generale, ad operare
ristrutturazioni aziendali mediante l'espulsione dei lavoratori più anziani, mentre il criterio dell'anzianità
contributiva, certamente oggettivo e razionale (cfr., da ultimo, Cass. 4140/2001), può soltanto essere
adottato per scegliere i dipendenti da licenziare nell'ambito di ben individuate categorie e comprensori"
(cfr., Cass, Sez.Un,. 2002, n. 12194).
Gli atti posti in essere dalla convenuta concretizzano innegabilmente una discriminazione per una fascia
di età di lavoratori (al di sopra dei 50 anni e di norma anche tendenzialmente più anziani dal punto di
vista anagrafico e, quantomeno, per i dipendenti più anziani in possesso dei requisiti per la pensione di
vecchiaia), in violazione dell'art. 15 della L.300/70 e dell'art. 2 lettera b) del dlgs. n. 216/03, attuativo
della direttiva 2000/78/CE, la quale stabilisce che è operata una "discriminazione indiretta quando
una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente
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neutri possono mettere (...) le persone di una particolare età (..) in una situazione di particolare
svantaggio rispetto ad altre persone".
L’applicazione da parte della Banca dei criteri di cui all'art. 8 del DM 158/00, senza una preventiva
determinazione delle "aree di eccedenza", ha posto gli appartenenti alla fascia di età sopra descritta in una
situazione di particolare svantaggio rispetto agli altri dipendenti.
E un simile risultato non era certamente nelle intenzioni del legislatore, che all'art. 59, co. 3, della I.
449/97 ha stabilito solo un ulteriore criterio di selezione, da applicarsi nell'ambito della L. 223/91, senza
derogare assolutamente alle garanzie di tale legge per nessuno dei lavoratori.
Se la Banca avesse applicato il criterio selettivo dell'art. 8 del D.M. 28.4.2000 n. 158 per "aree di
eccedenza", il licenziamento collettivo avrebbe potuto riguardare anche personale più giovane, potendo
la scelta cadere su soggetti privi dei requisiti pensionistici ed anche più giovani dei 50 anni (va
considerato che, ai sensi del cit. art. 8, nel caso in cui non trovino applicazione, quali criteri di selezione
quello del "possesso dei requisiti di legge previsti per aver diritto alla pensione di anzianità o vecchiaia" o
quello "della maggiore prossimità alla maturazione alla stessa", deve tener luogo quello residuale della
"maggiore età"). Il legislatore ha inteso solo attenuare per quanto possibile l'impatto sociale di un
licenziamento collettivo, attuato, legittimamente, secondo le regole di cui alla L. 223/91, e non certo
di pregiudicare i dipendenti di maggiore età, derogando per questi soltanto alle garanzie previste
dalla suddetta legge e proponendo un modello di società costituzionalmente inaccettabile ai sensi
degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Conclude sul punto il Tribunale di Milano sez. Lavoro nella sentenza 2156 del 10.03.2005 riguardo
la causa G.Cipolat Mis. C/B.Intesa : “A nulla rileva, si deve aggiungere, il fatto che tutta la procedura sia
stata condotta in accordo con le organizzazioni sindacali: il licenziamento è un atto proprio del datore di
lavoro, e deve essere rispettoso della legge, alla quale peraltro neanche le OO.SS. sono superiori; la legge
pone vincoli e limiti anche ai sindacati, finché la gerarchia delle fonti è quella che è. Non può valere a
legittimare il licenziamento collettivo così impostato nemmeno la circostanza che la Banca protesti di
aver solo accettato le pressioni o richieste sindacali, affrontando anche costi maggiori (di riqualificazionì,
promozioni e trasferimenti a catena di personale) in dipendenza dell’impegno ad accettare tutte le
domande di dimissioni agevolate, da qualunque ufficio o reparto provenienti e anche se proposte da
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dipendenti che si sarebbe preferito mantenere al lavoro. La "mutazione" del parametro dell’anzianità" da
criterio di scelta nell'ambito degli esuberi funzionalmente individuati, ad operatore unico della riduzione
di personale è oggettiva, è nei fatti e le buone intenzioni – anche a prenderle per tali – "stanno a zero”;
peraltro la grande vantaggiosità complessiva dell'operazione per la convenuta, sotto il profilo del
risparmio atteso, è del tutto indiscutibile”.
7. Altro grave motivo di illegittimità del licenziamento collettivo de quo risiede nella violazione
dell’art.4, co.9 della legge 1991, n. 223, per avere omesso la Banca convenuta, al termine della
procedura, di indicare le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5,
co.1.
Il cit. art. 4, co. 9, dispone infatti che "esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8 ( ..) l'elenco dei
lavoratori collocati in mobilità con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di
residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con
puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui
all'articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all'ufficio regionale del lavoro e della
massima occupazione competente, alla commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di
categoria di cui al comma 2".
Con lettera del 26.3.2004, Banca Intesa ha trasmesso al Ministero del lavoro, alle Direzioni Regionali del
Lavoro ed alle OO.SS. una comunicazione, ai sensi dell'art. 4, comma 9, della L 223/91, con la quale ha
indicato per ciascun nominativo "il tipo di pensione", "la data di maturazione dei requisiti per la pensione
o l'accesso al Fondo'', “il luogo e la data di nascita, l'età anagrafica, la residenza, la qualifica e il livello di
inquadramento, nonchè il carico di famiglia" dei dipendenti da esodare, senza però indicare le modalità di
applicazione dei criteri di scelta
Secondo quanto sostenuto ex adverso sul punto, la parte della norma in questione sarebbe stata posta solo
allo scopo di far determinare all'azienda in modo preciso i criteri di selezione del personale eccedentario,
nei casi in cui il datore di lavoro scelga di avvalersi di un criterio vago o addirittura di più criteri in
concorso tra loro, dovendosi, viceversa, reputare assolto il compito, nell'ipotesi in cui si opti – come nella
specie - per un criterio rigidamente predeterminato.
Ma l’assunto si rivela del tutto infondato.
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Benchè la norma in parola, in vari casi, sia stata utilizzata dalla giurisprudenza per delineare la
sussistenza, nella comunicazione di chiusura della procedura, di un obbligo datoriale di "cristallizzare" i
criteri, in modo che non sia più possibile, successivamente (ex post, in un processo), motivare un
determinato recesso dando prevalenza al criterio di volta in volta più conveniente per giustificarlo (cfr.,
ad es., Cass. n. 419 de11998; n. 3140 del 01/04/1999; Cass. n. 4685 del 27/05/1997), la sua portata va
certamente ben al di là di tale pur corretta, ma parziale applicazione.
Alla luce delle più recenti sentenze della Suprema Corte, che rappresentano ormai un orientamento
consolidato (cfr., in particolare, Cass., 26.05.2004, n. 15377; Cass., 20.12.2004, n. 23607; Cass., 2003, n.
16805; Cass., 2003, n. 86), deve ritenersi che uno degli scopi fondamentali che hanno determinato il
legislatore a richiedere la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di
scelta di cui all'articolo 5, comma 1, non limitandosi ai dati stabiliti dalla prima parte dell'art. 4, co. 9, cit.,
sia la massima soddisfazione possibile delle esigenze di trasparenza della procedura "così da porre i
lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi in condizione di controllare la
correttezza dell'operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti" (cfr., Cass., 26.05.2004, n. 15337;
Cass. 20.12.2004, n. 23607; Cass., 2003, n. 16805; Cass., 1998, n.11480 ).
Un importante arresto del Supremo Collegio ha precisato che "in materia di licenziamenti collettivi per
riduzione del personale, la legge n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e
cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un
significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato "ex
post" nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale, concernente il
ridimensionamento dell'impresa, devoluto "ex ante" alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi
poteri di informazione e consultazione" (Cfr., Cass. 12.10.1999, n. 11455).
Per poter consentire un effettivo e reale controllo preventivo a quello giudiziario risulta fondamentale
che il datore di lavoro assicuri la massima trasparenza possibile sulle modalità con cui ha applicato i
criteri di scrutinio.
Del resto, lo stesso dato letterale della norma è sufficientemente chiaro: essa, infatti, non si limita a
richiedere l'indicazione precisa di quali siano i criteri o il peso da attribuirsi a ciascuno di essi , ma
prescrive che sia offerta la "puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i
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criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1", lasciando intendere di richiedere, con le parole "modalità
con le quali sono stati applicati i criteri", la specificazione di un quid pluris rispetto alla mera precisa (e
"cristallizzata") indicazione in astratto dei criteri; un quid pluris, che consenta di risalire alle modalità con
le quali nel caso concreto tali criteri sono stati applicati nei confronti di ciascuno dei destinatari della
procedura (e non dei soli licenziati). In caso contrario, il legislatore avrebbe ben potuto limitarsi a
stabilire la puntuale indicazione semplicemente dei criteri e non delle modalità con le quali sono stati
applicati (non utilizzando, da una parte, il termine "modalità" e, dall'altra, un verbo al passato prossimo).
In relazione all'art. 4, co. 9, della L. 223/91, la Suprema Corte ha posto in luce che "la norma in
esame, nella parte in cui fa obbligo al datore di lavoro di indicare puntualmente le modalità con le
quali sono stati applicati i criteri di scelta, è diretta a rendere trasparente la scelta operata così da
porre i lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi in condizione di
controllare la correttezza dell'operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti. Non soddisfa
certamente tale esigenza la trasmissione dell'elenco dei lavoratori licenziati e la comunicazione dei
criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali. Nè a tal fine è sufficiente la
predisposizione di un meccanismo di applicazione in via successiva dei vari criteri.
Va considerato, infatti, che anche in un siffatto sistema, vi è necessità in primo luogo di controllare
se tutti i dipendenti in possesso dei requisiti previsti (ad es. tutti i dipendenti in possesso dei
requisiti per il pensionamento alla data del 31 maggio 1998) siano stati inseriti nella categoria da
scrutinare; in secondo luogo, nel caso in cui i dipendenti inseriti nella predetta categoria siano in
numero superiore ai previsti licenziamenti, vi è necessità di controllare se siano stati correttamente
applicati i criteri di valutazione comparativa per la individuazione dei dipendenti da licenziare".
Alla luce di tutto quanto sopra, si deve quindi concludere che il comportamento della convenuta
anche in tale fase della procedura - con la semplice trasmissione alle Organizzazioni Sindacali e agli
Uffici Regionali del Lavoro dell'elenco dei lavoratori licenziati, con l'indicazione dei criteri di scelta
rigidamente predeterminati, anche nell'ordine di applicazione (e con allegazione alla stessa
comunicazione del 26.3.04 degli atti precedenti della procedura e degli accordi sindacali stipulati) -
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non può considerarsi sufficiente a soddisfare le esigenze di garanzia che la procedura stabilita
dall'art. 4, co. 9, cit. , tende a realizzare.
Osserva correttamente in proposito il Tribunale di Milano nella già citata sentenza del l’08.03.2005 che ,
nel corso della procedura, Banca Intesa si è avvalsa dei dati risultanti dai moduli ECOCERT, i quali non
garantiscono in alcun modo nè che tutti i dipendenti da considerarsi siano stati sottoposti a scrutinio nè
che i criteri di selezione siano stati correttamente applicati (dovendosi, tra l'altro, anche notare come tale
indicazione non sia neppure contenuta nel testo della comunicazione ex art. 4, co., 9 cit., ma solo nei suoi
allegati e, in particolare, in un Accordo antecedente all'inizio della procedura, che - benchè ripetutamente
richiamato nella stessa quale parte integrante - non poteva che "preventivare", ex ante, quale sarebbe stato
lo sviluppo successivo del procedimento, ma non "dare atto", ex post, di quanto compiuto, come dovrebbe
avvenire nella comunicazione di chiusura dello stesso) e si deve tener conto che la trasmissione alle
Organizzazioni Sindacali dell'elenco non appare in alcun modo idonea a soddisfare le esigenze
procedurali stabilite dall'art. 4, co.9, cit.. Infatti, da un lato, occorre precisare che tale ultima norma
dispone che il controllo della comunicazione prevista dalla stessa disposizione sia effettuato non solo dai
sindacati, ma anche dagli Uffici Regionali del Lavoro competenti e che non risulta che l'elenco sia stato
inoltrato anche a tali organi che hanno, quindi, ricevuto solo quello relativo ai lavoratori licenziati,
contenuto nella comunicazione del 26.3.04.
Dall'altro, giova porre in rilievo come tale onere di informazione non richieda adempimenti di
carattere informale, potendo essere assolto dall'azienda in qualunque momento della procedura e
nei confronti di rappresentanti sindacali che non possano essere in alcun modo individuati a
posteriori.
Al contrario, si deve rilevare che le indicazioni relative a tutti i dipendenti in considerazione
avrebbero dovuto essere definitivamente inserite in un formale documento, per l'appunto la
"comunicazione di chiusura del procedimento", che deve essere "trasmesso" alle OO.SS. (oltre che
agli altri soggetti indicati dall'art. 4,co. 9, cit.) in un ben individuato momento (il termine della
procedura) per restare quale attestazione di come si sia svolta la selezione per chiunque volesse
sindacarne la sua legittimità (i lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi
amministrativi, secondo la Corte di Cassazione n. 16805/03; cfr., anche, Cass. n.11480 de11998).
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Dall'elenco trasmesso con la comunicazione di cui all'art. 4, co.9, cit., tanto per le Organizzazioni
Sindacali che per l'Ufficio del Lavoro che per i singoli licenziati, è assolutamente impossibile verificare
se "tutti" i dipendenti in possesso dei requisiti previsti (ovvero tutti quelli nati antecedentemente al 1954)
siano stati inseriti nella categoria da scrutinare e, anche se lo fossero stati, correttamente applicati i criteri
di valutazione comparativa per la individuazione dei dipendenti da licenziare. E’ evidente l'interesse
proprio di ciascun lavoratore licenziato ad una comunicazione che riguardasse non solo i
destinatari del provvedimento espulsivo, ma tutti i dipendenti nati antecedentemente al 1954,
essendo tale informazione fondamentale per verificare se tutti questi ultimi fossero stati inseriti tra
i soggetti da scrutinare, determinandosi, in caso contrario, importanti effetti sui risultati sostanziali
della procedura.
Infatti, in ogni licenziamento collettivo, nel caso di sottrazione di alcuni dipendenti alla selezione,
potrebbero essere licenziati dei lavoratori, in loro vece, che non lo sarebbero stati nell'ipotesi in cui
anche i primi fossero stati sottoposti al dovuto scrutinio.
Se è vero che nella comunicazione di chiusura della procedura debbono essere indicati quantomeno tutti i
dipendenti potenziali destinatari della selezione, in un procedimento che si svolga secondo i canoni di
legittimità di cui alla L.223/91, si deve anche ritenere necessario, ai fini della massima trasparenza, che
nella stessa siano menzionati, con opportuna motivazione al riguardo, pure quei dipendenti che (ad
esempio, non svolgendo mansioni "fungibili" con il profilo ritenuto in esubero) non siano stati inseriti tra
i destinatari dell'applicazione dei criteri selettivi, per il fatto che lo scrutinio ai sensi della L. 223/91 deve
compiersi in relazione alle "aree di eccedenza" predeterminate, in conformità alle esigenze
riorganizzative.
Solo quale ulteriore conferma dell'insufficienza dell'operato della Banca Intesa, va rilevato che in
occasione di altro ricorso, analogo a quello presente, proposto davanti al Tribunale di Milano - Sezione
Lavoro, discusso nell’ udienza dell’ 08.03.05 e deciso in pari data, in causa Viganò e C.ti c/ Banca Intesa,
è emerso proprio dalla documentazione prodotta dalla parte convenuta che un dipendente della Banca,
tale Danilo Appianelli, pur nato prima del 1954, non è stato sottoposto alla selezione.
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Nella procedura in esame, dunque, non sono state adeguatamente tutelate quelle esigenze di trasparenza
che costituiscono un bene giuridico meritevole di protezione in quanto strumentale per la garanzia delle
posizioni giuridiche dei destinatari dei singoli provvedimenti di recesso.
Non era e non è possibile rilevare se tutti i lavoratori in possesso dei requisiti richiesti siano stati
inseriti nella categoria da scrutinare, né se vi sia stata corretta applicazione dei criteri di
valutazione comparativa.
D'altro canto, per la resistente era ben possibile attuare un comportamento alternativo e legittimo senza
uno sforzo eccessivo: infatti, la Banca avrebbe ben potuto trasmettere, con la comunicazione ex art. 4, co.
9, della I. 223/91, quantomeno l'elenco dei dati sia dei destinatari del licenziamento sia di tutti gli
scrutinati (indicando anche i dipendenti esclusi dall'applicazione dei criteri in quanto per professionalità
in alcun modo riferibili alle "aree di eccedenza" predeterminate), in modo tale da rendere trasparente che
tutti i lavoratori nati antecedentemente al 1954 erano stati sottoposti alla procedura.
Tale completo elenco non avrebbe dovuto includere solo i dati (nel caso in parola) descritti dalla
resistente, ma informazioni maggiormente utili allo scopo, quali, ad es., l'anzianità contributiva dei
lavoratori scrutinati (non menzionata in alcun modo nella comunicazione ex art. 4, co. 9, cit.), da ritenersi
fondamentale per valutare se i criteri in questione siano stati applicati correttamente.
In tal modo, proficuamente sarebbe stata possibile l'attuazione di quel controllo preventivo alla fase
giudiziaria tanto per i singoli dipendenti oggetto del provvedimento espulsivo (il Sig.Agnello, infatti,
se posto a conoscenza dei dati della graduatoria, li avrebbe sicuramente contestati perché non tenevano
conto del figlio Flavio, fiscalmente a carico e non considerato a pag.83 dell’elenco dei lavoratori in
mobilità) quanto per i Sindacati e gli Organi Amministrativi, potendo gli stessi procedere ad ogni
più opportuna comparazione tra le posizioni dei dipendenti confrontati nella procedura e non
rimanendo così tali fondamentali operazioni nella sfera soggettiva interna del datore di lavoro.
In tal modo, gli adempimenti formali richiesti dall'art. 4,co. 9, cit., lungi dal restare un "inutile rituale",
avrebbero trovato un’ applicazione corrispondente sia al dato letterale della norma che alle esigenze di
tutela sottese alla stessa, avendo a disposizione i destinatari della comunicazione di chiusura della
procedura gli elementi sufficienti per appurare non solo se tutti i dipendenti con i requisiti prestabiliti
fossero stati considerati, ma anche se effettivamente il datore di lavoro avesse attuato in modo
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ineccepibile un criterio di selezione rigido, ma comunque necessitante di un controllo nella sua concreta
applicazione.
Infatti, anche un parametro di scrutinio di carattere vincolato (nel momento attuativo) perde in gran parte
le sue valenze garantistiche se, a causa della carenza dei dati utili, resta impossibile procedere ad una
immediata verifica di come concretamente il datore di lavoro ne abbia fatto utilizzo.
Da ultimo, ma non ultimo per importanza ai fini della carenza di trasparenza che emerge, si evidenzia
che in data 18 maggio 2004, presso i locali del Servizio Ufficio Provinciale del Lavoro di Trapani e
dinanzi alla Commissione Provinciale di Conciliazione, Banca Intesa Spa, rappresentata dal sig. Fina
Bartolo, Addetto alle Risorse Umane Area Sicilia Occidentale di Palermo, ha revocato il licenziamento
del sig. Ciaravino Pietro, nato a Trapani l’ 1/10/1946, già effettuato dall’Azienda con decorrenza 1 aprile
2004 e che il lavoratore aveva impugnato. Dal contenuto del verbale redatto dal Presidente della
Commissione emerge che al predetto dipendente di Banca Intesa Spa, che risulta inserito a pag. 86
(appena prima del Sig.Foderà) nell’elenco dei lavoratori in mobilità consegnato alle Organizzazioni
Sindacali ed anche agli Enti destinatari, l’Azienda ha accordato un importo lordo onnicomprensivo di
euro 20.000,00 a titolo di incentivazione all’esodo, anche ai sensi dell’art. 17, comma 4 bis, del vigente
T.U.I.R., come modificato dall’art.5 del Dlgs.n.314 del 1997, ottenendone contestualmente le dimissioni.
Di tutto ciò non vi è alcun cenno nella memoria difensiva di Banca Intesa Spa e, tra gli allegati, non si
individua alcuna copia di lettera, che informi le Organizzazioni Sindacali e gli Enti destinatari della
lettera del 26 marzo 2003 riguardo alla “revoca del licenziamento” in questione e che ne spieghi le
motivazioni.
_ _ _ _ _ _ _ _
Si fa presente che nel ricorso introduttivo, per mero errore materiale, il codice fiscale del ricorrente
Antonino Agnello è stato indicato come GNL NNN 45S05 G273W, anzicchè GNL NNN 45S05 G273M.
_ _ _ _ _ _ _ _
Ritenuto l’anzidetto, si insiste per l’accoglimento del ricorso.
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Per maggiore comodità del decidente, si offrono in comunicazione con le presenti note:
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1)copia della sentenza 08.03.05 n.237, emessa dal Tribunale di Milano Sezione Lavoro, G.U. Dott. N. Di
Leo, in causa Viganò Gianluigi e C.ti c/ Banca Intesa Spa;
2)copia della sentenza 10.03.05 emessa dal Tribunale di Milano Sezione Lavoro, G.U. Dott. N. Di Leo, in
causa Bianca Sebastiano c/ Banca Intesa Spa;
3) copia del dispositivo di sentenza (n.985) emesso dal Tribunale di Milano Sezione Lavoro, G.U. Dott.
Francesco I. Frattin, in causa Gianmario Cipolat Mis c/ Banca Intesa Spa e copia della relativa sentenza
n.2156 del 10.03.2005;
4) copia del dispositivo di sentenza (n. 1119) emesso dal Tribunale di Milano Sezione Lavoro G. U. Dott.
ssa Eleonora Porcelli, in causa Pier Federico Alì e C./Banca Intesa Spa;
5) copia della sentenza emessa il 18.06.04 dal Tribunale di Viterbo Sezione Lavoro, G.U. Dott. ssa Vilma
Passamonti, in causa Quadrani Aldo / CARIVIT s.p.a. (del Gruppo Banca Intesa Spa):
6) copia della sentenza n. 202 emessa il 23.09.04 dal Tribunale di Rieti Sezione Lavoro, G.U. Dott.ssa
Claudia Canè, in causa Nitrola Orlando / CARIRI;
7) copia del dispositivo di sentenza emessa il 23.05.2005 dal Tribunale di Perugia in causa Venturini /
Cassa Risparmio;
8) copia del dispositivo di sentenza emessa 24.05.2005 dal Tribunale Ordinario di Milano, sez. Lavoro,
in causa Viganò Giulio c/ Banca Intesa;
9) copia del dispositivo di sentenza emessa il 30.05.2005 dal Tribunale di Perugia in causa Zerbini/ Banca
Intesa;
10) copia del dispositivo di sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in causa Carizia / Cassa Risparmio;
11) copia del dispositivo di sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in causa Diamanti e c./ Cassa di
Risparmio;
12) copia del dispositivo della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in data 13.06.2005 in causa
Ceccarelli Attilio c/B. Intesa;
13) copia del dispositivo della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in data 13.06.2005 in causa
Peirano e C. c/B. Intesa;
14) copia del dispositivo di sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 20.06.2005 in causa Cesare
Bertulli c/B. Intesa;
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15) copia del dispositivo di sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 20.06.2005 in causa
Boirivant Gianfranco c/B. Intesa;
16) copia della sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 08.11.2003, n. 16805;
17) copia del comunicato “webintesa News” del 22.03.2004;
18) copia del comunicato n.146/2005 dell’organizzazione Sindacale Sinfub;
19) copia del comunicato sindacale FABI sull’accordo con Banca Intesa per il premio di fedeltà (al 25° e
35° anno di servizio);
20) lettera di risposta da parte di Banca Intesa alla richiesta avanzata dal sig. Agnello alla corresponsione
del premio previsto al 35° anno di servizio;
21) lettera di risposta da parte di Banca Intesa alla richiesta avanzata dal sig. Foderà alla corresponsione
del premio previsto al 25° anno di servizio;
22) copia del verbale della Commissione di Conciliazione di Trapani (rep. 34/2004/cred) del 18 maggio
2004 su Ciaravino c/B.Intesa;
23) copia fac simile modulo di richiesta di adesione al Fondo;
24) copia fac simile dichiarazione;
25) copia fac simile richiesta accesso al Fondo;
26) copia elenco telefonico servizio mercato amministrazione locale direzione centrale Banca Intesa;
27) copia elenco telefonico del personale dell’ Area Sicilia Occidentale di Banca Intesa;
28) copia elenco lavoratori in mobilità per la Sicilia;
29) copia modulo ECOCERT del sig. Appianelli Danilo (cfr. pag.21 della presente nota);
30) copia di una parte del foglio 1 del mod. 730/2004 del ricorrente Agnello;
31) copia dei documenti I.N.P.S. ed altri dati utili alla determinazione della retribuzione media mensile
del ricorrente sig. Agnello relativamente all’anno 2003 (la decorrenza del licenziamento è stata
1.04.2004) comprese missioni, quota a carico dell’azienda della foresteria in uso al ricorrente su Palermo
(lasciata, su richiesta tassativa dell’Azienda, dopo la data di comunicazione del licenziamento), premio
assegnatogli con lettera del 20 maggio 2004 per aver partecipato e conseguito l’obiettivo di budget 2003
(tale premio è stato incassato per l’esercizio 2004 dal personale in servizio con pari mansioni lavorative a
quelle che erano assegnate al ricorrente),ecc..,compreso l’ammontare del premio previsto per i dipendenti
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ex Comit al raggiungimento del 35° anno di servizio in azienda e non riconosciuto da Banca Intesa
(neanche in quota) all’atto del licenziamento (cfr. allegato “20”);
32) copia verbale di riconsegna di beni aziendali in uso al sig.Agnello (compreso appartamento);
33) copia dei documenti I.N.P.S. ed altri dati utili alla determinazione della retribuzione media mensile
del ricorrente sig. Isca relativamente all’anno 2003 (la decorrenza del licenziamento è stata 1.04.2004)
comprese missioni, premio assegnatogli per aver partecipato e conseguito l’obiettivo di budget 2003 (tale
premio è stato incassato anche per l’esercizio 2004 dal personale in servizio con pari mansioni lavorative
a quelle che erano assegnate al ricorrente),ecc..;
34) copia dei documenti I.N.P.S. ed altri dati utili alla determinazione della retribuzione media mensile
del ricorrente sig. Foderà relativamente all’anno 2003 (la decorrenza del licenziamento è stata 1.04.2004)
comprese missioni, premio assegnatogli con lettera del 20 maggio 2004 per aver partecipato e conseguito
l’obiettivo di budget 2003 (tale premio è stato incassato anche per l’esercizio 2004 dal personale in
servizio con pari mansioni lavorative a quelle che erano assegnate al ricorrente),ecc.., compreso
l’ammontare del premio previsto per i dipendenti ex Comit al raggiungimento del 25° anno di servizio in
azienda e non riconosciuto da Banca Intesa (neanche in quota) all’atto del licenziamento.
Palermo, 14 Luglio 2005
Prof. Avv. Giovanni Tesoriere
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