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TRIANGOLO ROSSO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici Nuova serie - anno XXI N. 3 Giugno-Luglio 2002 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano www.deportati.it Aned Wilhelm Furtwängler Il grande maestro fu innocente o colpevole? Arte e dittatura La musica sfruttata per legittimare l’orrore e lo sterminio Ecco come l’ha vissuta la scuola elementare di Spezzano Albanese Gilberto Salmoni Dal liceo a Buchenwald IT Il dibattito al Consiglio nazionale ad Empoli da pagina 48 TESTIMONI DEL NOVECENTO GIORNATA DELLA MEMORIA da pagina 28 a pagina 7 euro 2,50 Atto di intolleranza dei rappresentanti di AN e di Forza Italia che abbandonano la manifestazione mentre parla il presidente dell’Aned Alla presenza del Presidente della Repubblica Inaugurato il Museo della deportazione PRATO Si è tenuto a Empoli il 7-8 marzo il Consiglio nazionale dell’Aned. Nel numero scorso del Triangolo Rosso abbiamo pubblicato il documento finale approvato all’unanimità. Pubblichiamo ora (nelle pagine centrali) un’ampia sintesi della relazione introduttiva del presidente Gianfranco Maris e dell’ampio dibattito che ne è seguito. da pagina 60 da pagina 58

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TRIANGOLOROSSOGiornale a cura

dell’Associazione nazionaleex deportati politiciNuova serie - anno XXIN. 3 Giugno-Luglio 2002Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

www.deportati.it

Aned

Wilhelm Furtwängler Il grande maestro fu innocente o colpevole?

Arte e dittaturaLa musica sfruttataper legittimare l’orrore e lo sterminio

Ecco come l’ha vissuta la scuola elementare di Spezzano Albanese

Gilberto SalmoniDal liceo a Buchenwald

IT

Il dibattito al Consiglio nazionale ad Empoli

da pagina 48

TESTIMONI DEL NOVECENTO

GIORNATA DELLA MEMORIA

da pagina 28

a pagina 7

euro 2,50

Atto di intolleranza dei rappresentantidi AN e di ForzaItalia cheabbandonano la manifestazionementre parla il presidentedell’Aned

Alla presenza del Presidente della Repubblica

Inaugurato il Museo della deportazione

PRATO

Si è tenuto a Empoli il 7-8 marzo il Consiglio nazionale dell’Aned. Nel numero scorso del Triangolo Rosso abbiamo pubblicato il documento finale approvato all’unanimità.

Pubblichiamo ora (nelle pagine centrali)un’ampia sintesi della relazione introduttivadel presidente Gianfranco Maris e dell’ampio dibattito che ne è seguito.

da pagina 60

da pagina 58

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Triangolo Rosso

Giornale a cura dell’Associazione nazio-nale ex deportati politici nei campi nazisti

Una copia euro 2,50 Abbonamento euro 10,00

Inviare un vaglia a: ANEDvia Bagutta 12 - 20121 Milano.Tel. 02 76 00 64 49 - Fax 02 76 02 06 37.E - mail: [email protected]

Direttore: Gianfranco Maris

Ufficio di presidenza dell’Aned Gianfranco Maris (presidente)Bruno Vasari Bianca PaganiniDario SegreItalo Tibaldi Miuccia Gigante

Comitato di redazioneGiorgio BanaliEnnio ElenaBruno EnriottiFranco GiannantoniIbio Paolucci (coordinatore)Pietro Ramella

Redazione di RomaAldo Pavia

Segreteria di redazioneFrancesca Ceretti

Collaborazione editorialeFranco MalagutiMaria Rosa TorriMarco MicciIsabella CavasinoGiorgia Bonacini

Numero chiuso in redazione il 1 Luglio 2002

Registr. Tribunale di Milano n. 39,del 6 febbraio 1974.

Stampato da:

Via Picasso, Corbetta - Milano

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Mettere marchio Guado

IT Questo numeroPag 3 Non basta la guerra per risolvere il problema

25 Aprile a TriestePag 4 No al tentativo di stravolgere la Resistenza

PratoPag 7 Inaugurato il Museo della deportazione Pag 10 Il fondo di assistenza a favore delle vittime delle persecuzioni

naziste in stato di bisognoTestimoni del ‘900

Pag 12 Gilberto Salmoni, dal liceo a BuchenwaldColmare il vuoto

Pag 18 Quanti furono i poliziotti oppositori del regime deportati dai nazisti?

Pag 20 Il console svedese rischiò la vita per salvare una famiglia di ebrei Una storia

Pag 22 Morirono subito dopo la liberazione dei lager. Come ricuperare le salme?Terezin

Pag 24 I disegni del Ghetto. Carta e pastello mentre se ne andava l’infanziaIl ricordo

Pag 28 Sette tedeschi, sette esseri umani che ci aiutarono a vivere

Pag 31 ANEDil dibattito al consiglio nazionale di Empoli

Pag 47 A Mauthausen per raccogliere il giuramento dei deportati

I nostri ragazzi /Giornata della memoriaPag 48 Come l’ha vissuta la scuola elementare di Spezzano AlbanesePag 50 “Quante sofferenze in quelle baracche”Pag 51 “Vogliamo ricordare per dire mai più”Pag 52 Le poesie dei bambiniPag 54 Ferramonti: il più grande campo di concentramento del fascismoPag 55 Sicilia: la memoria in decine di scuolePag 56 Angoscia,emozione,impegno: lezione di storia a Dachau

Arte e dittatura Pag 58 Wilhelm Furtwängler. Il grande maestro fu innocente o colpevole?Pag 60 La musica sfruttata per legittimare l’orrore

Notizie Pag 64 Il ricordo dei fratelli Venegoni

BibliotecaPag 66 Il no a Mussolini nell’inferno dei lagerPag 66 Dalla Sicilia a Mauthausen passando per la ResistenzaPag 67 La guerra di Spagna nel diario di un protagonista Pag 68 Suggerimenti di lettura

Pag 70 I nostri lutti

Pag 71 A Franija, tra le baracche dell’ ospedale dei partigiani Giorno per giorno

Pag 72 Raid Nazista nel liceo di Varese: la parola d’ordine è tacerePag 73 Caccia aperta in tutto il triveneto contro extracomunitari e comunisti

Pag 74 Percorsi di studio tra i segni del tempoPag 76 Medaglia d’oro del Quirinale all’architetto Belgioioso

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Dopo l’11 settembre il mondointiero riconobbe che le dimensionidell’attacco terroristico agli USArichiedevano una risposta militareferma, che non travolgessepopolazioni innocenti ma cheesprimesse non solo tutta lapossibile e giusta repressionedell’atto criminale, ma anche esenza equivoci l’irrevocabilecondanna del terrorismo come attoche non potrà mai trovare nessunalegittimazione nella storia deipopoli. L’opzione militare, dunque,come prima e immediata scelta perdistruggere le basi di Osama BinLaden e per pervenire alla catturaed alla punizione dei responsabili.Ferma rimanendo, tuttavia, lanecessità di impostare, nei piùlunghi tempi necessari, unastrategia politica capace dicreare le condizioni diun superamentodell’emargina-zione, dellafame, dellepovertà che sonoall’origine ditutti i conflitti tragli uomini.È stato smantellatoil regime talebano inAfganistan, masono incerti irisultati pratici dellosmantellamento; sono statedistrutte le basi di Al Kaeda, masono ancora liberi Bin Laden eOmar, non sono state eliminate lecoltivazioni dell’oppio, i feudi deisignori della guerra sono tornatinelle antiche mani, alcuneprovincie sono rifluite nell’ambitodell’Iran, della Russia, dell’India,del Pakistan. Alla luce di tutto ciòappaiono inadeguati ai fini della

repressione e dell’annientamentodel terrorismo i bombardamenti, leportaerei, i missili, gli eserciti, contutto il loro corollario di feriteanche alle popolazioni innocenti edai diritti degli uomini in generale.Il terrorismo resta un pericoloinnegabile, è giusto ricordarlo ma èragionevole continuare a percorrereil cammino della guerra e dellarepressione armata, militare,spostando il tiro, mutandoobiettivo: oggi l’Irak come è statoieri l’Afganistan? Gli Stati Unitid’America percorrono, conossessiva insistenza e seguendo una

deriva unilateralista,l’obiettivo dellarepressione militare neiconfronti dell’Irak e

ciò ha fatto emergereinnegabili preoccupazioni inEuropa dal febbraio adoggi in tutte leoccasioni di incontriinternazionali, inSpagna, in Francia,

negli Stati Arabi, inGermania. Non sarebbe

tempo di passare dallaunilateralità alle alleanze, per

esaminare tutti insieme,America ed Europa, i problemiche debbono essere risolti? Sicuramente ancora e sempre lavigilanza anche sui circuitifinanziari, ma, contempora-neamente, anche una politicadell’immigrazione, dei mercati,degli aiuti, per rimuovere le causeremote e prossime dei divari chenel mondo sono la causa ed ildolore dell’emarginazione, dellepovertà, della fame, e, quindi, dellaincomprensioni, dellerivendicazioni e dei rancori.

Gianfranco Maris

terrorismo

IT

Non basta la

guerra

per risolvereil problema

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No al tentativo di

La grande manifestazione antifascista che vede nella città giuliana una

25 Aprilea Trieste

Nessuna omologazione tra avvenimenti profondamente diversi, come i lager e le Foibe.

Pietà per i caduti,ma senza equivoci.

La strada imboccata dalla destra ha favorito odiose provocazioni.

I valori irrinunciabili della Costituzione.

La grandissima folla che hariempito il 25 Aprile laRisiera di S.Sabba a Trieste- una parte dei convenuti hadovuto addirittura restarnefuori – ha dato una forte ri-sposta al centrodestra cheaveva tentato accanitamen-te di stravolgere il signifi-cato della data: non festa del-la liberazione dell’ Italia dalnazifascismo, ma solo la “ri-conciliazione-ricordo di tut-ti i caduti”. Contrariamente

a quello che si fa in tuttal’Italia.Il manifesto che Comune eProvincia avevano diffuso,diceva infatti: “25 Aprile2002 -Cerimonie nel ricor-do di tutti i Caduti per la li-bertà. Risiera di S. Sabba ore11. Colle S. Giusto ore 12.45monumento ai Caduti” (del-la prima guerra mondiale1915-18. n.d.r) Questo ten-tativo di omologazione traavvenimenti storici tanto di-

di Ferdinando Zidar

Risiera diSan Sabbaore 11

I presentialla cerimoniavoluta dalla nuovaamministrazione

Risiera diSan Sabbaore 14

La folla si raccoglie intorno alle istituzionidemocratiche

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stravolgere la Resistenza

grande folla rispondere alla provocazione del centrodestra

versi, è stato subito respin-to dal Comitato della difesadei valori della Resistenzae delle istituzioni democra-tiche, che nel passato ave-vano sempre organizzato,senza difficoltà la manife-stazione del 25 Aprile nelsuo autentico significato.Il comitato (del quale sonoparte attiva Anpi, Aned,Anpia, Istituto per la storiadella lotta per la liberazio-ne, comunità ebraica asso-ciazioni combattentistiche,Acli, associazioni slovene ealtre realtà locali) si era riu-nito, presidente per forza di

legge il sindaco di Trieste –pronunciandosi a grandemaggioranza contro “lostrappo” alla tradizione.Tanto più che il sindaco ave-va manifestato il proposito dinon ammettere alla cerimo-nia nella Risiera un oratorein lingua slovena, sebbenesloveni e croati avessero da-to insieme agli italiani, uncontributo di sangue decisi-vo nella lotta di liberazione.Il Comitato aveva ampia-mente spiegato che respin-gendo la impossibile omo-logazione voluta dal sinda-co e dai suoi, non significa-

va affatto rinunciare alla do-verosa manifestazione dipietà di tutti i Caduti, di ogniparte. Ma ciò doveva acca-dere in data appropriata, chenon era certo quella del 25Aprile. Pietà per tutti i mor-ti, ma simboli e valori nonvanno confusi.Il coordinamento dell’Ulivoha appoggiato il comitato,annunciando tra altro unacerimonia alla foiba diBasovizza. Che infatti è av-venuta il 24 Aprile, presen-te una numerosa delega-zione.Ma è stato impossibile con-

durre alla ragione il centro-destra, il cui autentico regi-sta di tutta la vicenda era edè l’on. Roberto Menia, (An)che è anche assessore dellacultura. Più che il sindacoDipiazza (cdl) e il suo fian-cheggiatore, il presidenteScoccimarro (An). E così si è arrivati a due ma-nifestazioni: quella del cen-trodestra ha raccolto qual-che centinaio di partecipan-ti. A quella del comitato era-no presenti circa 7000 per-sone. Nel corso della giornata, lepresenze sono ammontate a

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Trieste12 000, compresi i visitato-ri provenienti da varie partid’Italia. Un numero mai rag-giunto negli anni scorsi.Terminata la breve celebra-zione “ufficiale”, senza al-cun discorso, con deposi-zione di corone, onori resida un pacchetto militare eriti religiosi: cattolico, an-che in sloveno, ebreo, orto-dosso serbo e greco. Ai riti hapartecipato anche una partedel comitato, il sindaco e isuoi alla fine accolti con vi-vaci contestazioni della fol-la. Sono rimasti nella Risierale autorità religiose, milita-ri, civili. È iniziata quindi la manife-stazione del comitato, con ilbenvenuto di MaurizioZacchigna, che ha riaffer-mato la “verità che vivrà più

a lungo di qualunque me-schino tentativo di manipo-lazione.Corone del comitato, deiconsolati di Slovenia eCroazia, della associazionidegli ex combattenti dei duePaesi, e di altre associazio-ni e dei Comuni del circon-dario sono state deposte da-vanti all’ urna contenenti leceneri dei bruciati nel fornocrematorio. Il direttore del Dipartimentodi storia dell’università diTrieste prof. Giovanni Mic-coli e il sindaco di Monoru-pino Alessio Krizman, han-no diffusamente illustratoin italiano e in sloveno il si-gnificato del 25 Aprile. Il professor Miccoli tra l’al-tro ha denunciato “…l’e-quivoco rappresentato dal-l’idea che si possa costrui-re una memoria condivisa,una conciliazione condivi-sa nel passato. Le concilia-zione si fanno nel presentee rispetto al futuro; tradu-cendo concretamente i prin-cipi che stanno alla base del-la Costituzione. Infine, la commovente let-

tura di testimonianze di so-pravissuti dei lager, alternata da canti applauditissimidel coro partigiano PinkoTomajic, l’ultimo dei quali,“Bella ciao”, è stata ripresaa gran voce e con profondapartecipazione dai presenti,che prima di lasciare laRisiera hanno deposto, cia-scuno, un fiore al sacellocontenente le ceneri.Ad aumentare la già fortetensione causata dall’atteg-giamento del centro destra,hanno contribuito alcuni ba-lordi, con molte scritte fa-sciste e inneggianti a Le Pentracciate sui muri delle città.Ma soprattutto deturpandoalcuni significativi monu-menti: quello dedicato alpoeta sloveno SreckoKosovel; quello di AlmaVivoda, la prima partigianacaduta a Trieste nel 1943;

Gruppi di “lepenisti”esaltano il duce

✔Numerosi gruppi di lepe-nisti, con varie etichette,sono sbarcati a Trieste neigiorni precedenti il 21Aprile, tenendo alcuni riu-nioni. Ecco un breve compendiodi frasi pronunciate in ta-li occasioni, tra un salutoromano e l’altro:-Mussolini il più grandestatista mai avuto in Ita-lia;- la Risiera? In quel posto l’unica gra-ticola esistente era una

bisteccheria- le prove uti-lizzate nel processo suifatti della Risiera sonostate concordate nelle sen-tine delle associazionipartigiane-la cosidettastanza delle torture è sta-ta costruita nel dopo-guerra-il fascismo è unostile di vita che si basa su-coraggio, onestà, onore;-bisogna procedere allademolizione dei monu-menti eretti ai partigia-ni”. f.z

quello che ricorda i mortinella Foiba di Basovizza. Del resto, la strada era sta-ta aperta in questo senso dal-la giunta comunale, che po-co dopo le elezioni delloscorso anno aveva riesuma-to un ritratto del podestàCesare Paganini, nominatoe sostenuto dai nazisti neglianni 1943-45, e collocatotra quelli dei sindaci diTrieste. Nessuna delle amministra-zioni precedenti aveva osa-to farlo. Queste iniziativenon avevano mancato di su-scitare proteste e condanne. In particolare FrancescoCossiga ha giudicato il 25Aprile voluto dal Comunee dalla Provincia “un atto diignoranza e di stupidità cheoffende la giustizia”.

Ferdinando Zidar

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Alla presenza del Presidente della Repubblica e di Gianfranco Maris

Prato

Atto di intolleranza dei rappresentanti di AN e di Forza Italia che abbandonano la manifestazione mentre parla il presidente dell’Aned

Il Museo della Deportazione-Centro di documentazione del-la Deportazione e della Resistenza sorge poco fuori la cittàdi Prato, il località Figline, ai piedi dell’Appennino che por-ta verso l’Emilia. La località non è stata scelta a caso. Proprio

a Figline il 6 settembre 1944, poche ore prima della libera-zione della città, i tedeschi in fuga catturarono un gruppo dipartigiani appena scesi dalla montagna. Alcuni riuscironoa fuggire, 29 furono impiccati alle travi di un porticato.

Il presidente Ciampi incontra Maris nel corso della cerimonia a Figline, in primo piano il sindaco di Prato Mattei

Inaugurato il museo della deportazione

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Il museodi

Prato

Uno dei pochi partigianisfuggiti a quella strage,Romano Villani, era pre-sente lo scorso 10 aprile al-la inaugurazione del Museodella deportazione. “I tede-schi – racconta - ci teseroun’imboscata. Ci presero,ci misero in fila sulla piaz-za della Chiesa e ci conta-rono. Le donne del paese ur-lavano: “hanno levato le fu-ni dai pozzi”. Capimmo chestavamo per essere impic-cati. Avevo già la corda alcollo: cercavano di farmisalire su una sedia, quandocon un atto disperato mi tol-si il cappio e fuggii verso lavicina montagna. Raggiunsisubito il bosco e i tedeschinon riuscirono più a pren-dermi. Per questo oggi sonoqui a ricordare la depor-tazione e la Resistenza”.Sotto quel portico, che mo-stra ancora le rudimentalitravi alle quali furono im-piccati i 29 partigiani, si èsoffermato il presidenteCiampi, prima della ceri-monia inaugurale.

Il Museo della deporta-zione e il Centro docu-mentazione – opera del

giovane architetto Alessan-dro Pagliai - è sorto a Figlineper iniziativa dell’Aned edell’Anpi e con la collabo-razione del Comune, dellaProvincia di Prato e dellaComunità ebraica di Firen-ze. Posto su due piani è con-cepito, nella parte inferio-re, come un viaggio simbo-lico in un campo di lavoro edi stermino nazista. Vi so-no esposti oggetti originaliprovenienti dai campi e dal-

le fabbriche che si trovava-no nelle gallerie scavate da-gli stessi deportati nellemontagne di Ebensee, la cit-tadina austriaca ora gemel-lata con Prato. Dice RobertoCastellani, operaio tessileche a 17 anni fu deportatoper aver scioperato controla guerra e che ogni giornova nelle scuole a racconta-re quel drammatico perio-do della storia d’Italia:“Dovevamo fare questoMuseo perché una voltascomparsi noi superstiti nes-suno ricorderà più ciò cheè accaduto”.Al piano supe-riore del Museo si trova il

Centro di documentazione:un ampio spazio riservato aincontri e conferenze, conbiblioteca, videoteca, po-stazioni individuali per com-puter in grado di fornire astudiosi e a cittadini la pos-sibilità di comprendere e diriflettere sui più drammati-ci avvenimenti del Novec-ento e in particolare sullatragedia dei campi di ster-minio nazisti.

La manifestazione diinaugurazione delMuseo si è tenuta nel

piccolo campo di calcio diFigline dove hanno parlato

il sindaco di Prato Mattei,che ha ricordato il sacrificodei pratesi nella lotta con-tro il fascismo, il presiden-te dell’Aned GianfrancoMaris, e infine il presiden-te della Repubblica, il qua-le si è soffermato in parti-colar modo sull’alto valoreetico del gemellaggio fraPrato e Ebensee, di cui erapresente una delegazione dicittadini austriaci guidatadal sindaco.Mentre parlava il presiden-te dell’Aned– tra gli applausidei giovani studenti cheaffollavano la tribunetta delcampo - si è verificato unatto di intolleranza politicasignificativo del clima che sista creando nel nostro pae-se: i rappresentanti di AN edi Forza Italia hanno osten-tatamente abbandonato illuogo della manifestazioneper farvi ritorno solo al mo-mento in cui ha preso la pa-rola il presidente Ciampi.Quest’atto è stato ferma-mente biasimato – oltre chedai presenti – dal ConsiglioProvinciale di Prato, il qua-le in un comunicato emessopoche ore dopo ha espres-so la piena solidarietà al pre-sidente dell’Aned “per lacontestazione pubblica dicui è stato oggetto da partedi alcuni consiglieri pro-vinciali e comunali del cen-tro destra” e riafferma “ilproprio impegno a fiancodell’Aned di Prato che havoluto, con grande tenacia edeterminazione, il Centrodi documentazione dellaDeportazione e della Resi-stenza”.

b.e.

Due particolari del museo

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Signor Presidente, inaugurareil centro di documentazione del-la deportazione italiana nei cam-

pi di annientamento nazisti, nel qua-dro delle celebrazioni del 25 aprile,come Lei ha fatto oggi in questa fra-zione di Figline del Comune di Prato,significa dare il suggello etico più al-to cui possa ambire una comunità or-gogliosa di riconoscersi nella Resi-stenza, fedele custode della memo-ria del suo passato di lotta antifa-scista, dei suoi operai in lotta controla guerra, protagonisti degli sciope-ri del marzo 1944 caduti nei campi disterminio, dei suoi 29 martiri parti-giani assassinati dai tedeschi in fuganel giorno della sua liberazione il 6settembre 1944.Investire – come ha fatto l’ammini-strazione Comunale di Prato – nellaricerca storica, nel campo specificodella deportazione politica, non si-gnifica voler conservare il passato, inricordi fermi, come un mito gratifi-cante o consolatorio, ma impegnar-si per diffonderne la conoscenza erealizzarne le speranze.

Che la conoscenza renda libe-ri, poiché senza conoscenzanon è neppure concepibile una

qualsivoglia scelta, è un assioma.Ma che la conoscenza sia la più in-sidiata delle mete umane è una ve-rità che mai come oggi è stata sottogli occhi di tutti.Basterebbe fare riferimento allo squal-lido revisionismo in atto, che, per mi-stificare la storia, ricorre perfino al-la toponomastica, tentando di inti-tolare vie o piazze a cosiddetti “sta-tisti”, che furono invece conclamatiportatori di sciagure sanguinarie pertutto il Paese.Ma forse, oggi, la più grave minacciaalla cultura, alla ricerca, alla cono-scenza, in un quadro dialettico di li-bertà, non deriva neppure dalla igno-ranza di epigoni di un passato ormaidefinitivamente condannato, quantoinvece da certe strumentali “moder-nizzazioni” del sistema culturale einformativo del Paese, dalla scuolaagli istituti di storia, dalle bibliotechealle ricerche scientifiche di base.

Basterebbe vedere quale pericolo didissolvimento le normative recentisulla privatizzazione hanno apertoper gli istituti storici della Resistenzae del movimento operaio, che purehanno accumulato, in oltre 50 anni diattività, un patrimonio di ricerche diincommensurabile valore.Basterebbe considerare quali saran-no le conseguenze dell’annullamentodi progetti già approvati che il CNR hadovuto annunziare agli attoniti retto-ri delle università italiane a seguitodei drastici tagli di spesa sulla ricer-ca operati con l’ultima legge finan-ziaria.

Basterebbe riflettere sulle pro-spettive di una riforma scola-stica che, ritenendo la storia

“un sapere permeabile ad una visio-ne politica della nostra società”, siripromette di porvi rimedio riducen-do quello studio approfondito del ‘900che era appena stato introdotto dalleriforme del precedente governo. La storia oggi ancora divide, perchénon è conosciuta e non si vuole chelo sia veramente. L’approfondimento e la diffusione del-la sua conoscenza richiedono sere-nità di giudizio, impegno e dedizione,ma sono rese impervie proprio dal-l’abbandono del sostegno al sistemaculturale da parte delle istituzioni.

I n altri Paesi si ha invece il ri-spetto del dovere democraticodella ricerca e della conoscen-

za, come in Svizzera, ad esempio, do-ve una Commissione di undici esper-ti, sotto la guida dello storico JeanFrancois Bergier, ha avuto dallo Statol’incarico di fare luce su tutti gli aspet-ti della politica elvetica durante il se-condo conflitto mondiale e nei gior-ni scorsi è stato presentato a Ginevraun coraggioso rapporto finale che do-cumenta le drammatiche contraddi-zioni della politica svizzera di asilo,della politica economica di coope-razione con l’asse, del comporta-mento delle banche, in relazione al-la compravendita dell’oro e alla ge-stione dei depositi dei perseguitati.Su questo piano di ricerca, invece,

poco da noi si è fatto, per non direnulla, se si eccettua l’incarico pari-tetico dato agli storici italiani e slo-veni ed agli storici italiani e croatiper una ricerca sulle foibe, il cui la-voro, peraltro non è stato reso noto.Se la storia divide è comunque sem-pre e soltanto la storia che può uni-re, se è conosciuta, indagata, non pie-gata a manipolazioni di parte.

Ecco perché l’impegno, per pro-gredire verso memorie e valo-ri condivisi, deve fondarsi sul-

la ricerca e sulla diffusione della co-noscenza di tutte le fonti possibili diinformazione, quali possono essereancora oggi, in Italia, tutti quei pro-cessi che, subito dopo la fine dellaguerra, vennero istruiti dalle forzealleate contro i criminali nazisti e so-no poi stati insabbiati per decenninel corso della guerra fredda.La conoscenza di ciò che sono stateveramente la natura e la realtà ope-rativa dell’occupazione tedesca e delcollaborazionismo italiano, la co-noscenza della realtà orrenda con-tro la quale si è battuta la Resistenzaitaliana, possono aprire la strada al-la costruzione di quella memoria con-divisa sulla quale, in ultima analisi,si fonda l’identità di una Comunità.L’Associazione nazionale degli ex de-portati politici nei campi di sterminionazisti ha creato una Fondazione, conil fine, appunto, di raccogliere, con-servare e diffondere documenti e me-morie sulla deportazione e sullaResistenza.

Questo centro di ricerca di aPrato, così come la Fon-dazione dell’Associazione dei

deportati politici, così come gli isti-tuti storici, dovranno vivere e po-tranno vivere soltanto se sarannoaffiancati e sostenuti da un impegnopubblico, da un impegno delle isti-tuzioni che hanno il compito preci-puo e l’interesse di costruire valoricondivisi, i quali possono formarsisoltanto in una cultura della con-temporaneità capace di abbattere lebarriere che separano e dividono gliesseri umani ed i popoli.

Maris:“L’impegno per progredire verso memorie e valori condivisi deve fondarsi

sulla ricerca e sulla conoscenza”

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Il Fondo di assistenza a favoredelle vittime delle persecuzioninaziste in stato di bisogno

L’Italia, aderendo al Fondo Internazionaledi assistenza alle vittime di persecuzioni na-ziste in stato di bisogno, con la Legge N.240del 10 agosto 2000, ha deciso di versare uncontributo al Fondo stesso. A gestire la quo-ta italiana del Fondo è stata incaricatal’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane(UCEI), che ha voluto la presenza dell’Anedal suo fianco nella Commissione che va-glierà l’ammissibilità delle domande di con-tributo. Condizione prioritaria per accede-re al contributo sono le precarie condizionifinanziarie, con precedenza per coloro chevivono con redditi al di sotto della soglia dipovertà. Questo perché la natura del Fondonon è risarcitoria ma assistenziale.

Non vuole indennizzare ma, al contrario, sipropone di poter, anche se in misura non ri-solutiva, alleviare per quanto possibile queideportati (nel caso nostro) che si trovano inoggettive condizioni di difficoltà.

Ne consegue che non tutti i sopravvissuti aiKZ potranno beneficiare di un contributo.L’Esecutivo Nazionale, nella persona delsuo responsabile per gli indennizzi, ha giàprovveduto a inviare a tutte le Sezioni la do-cumentazione necessaria e le indicazioniper la stesura e la presentazione delle do-mande. Qualsiasi chiarimento può essererichiesto a Aldo Pavia, presso la Sezione diRoma o alla Sezione di Milano.

1Le fasce di reddito indicate dal Ministero del Tesoro sono: POVERTÁ. Si considera povertà la cifra di Euro 7.023,81per una famiglia composta di un solo individuo, di Euro 11.671,93 per un nucleo di due persone. Tra gli Euro12.394,97 e 15.493,71 può sussistere una condizione di difficoltà.

2Il percepire il vitalizio di cui alla Legge N.791, quale superstite dei KZ non verrà considerato, in linea di massima,quale voce integrante del reddito. L’invio della copia del Certificato di Iscrizione del Ministero del Tesoro serve perattestare di aver subito la persecuzione nazista.

3L’importo del contributo non sarà uguale per tutti. Molto semplicemente: maggiore sarà l’importo per chi ha un red-dito basso (tra quelli sopra indicati), minore per i redditi più alti. Nello stabilire l’importo si terrà anche conto dialtri parametri, quali gli oneri per affitti e, ad esempio, le condizioni di salute dei richiedenti.

4L’ammontare del reddito è considerato al netto delle ritenute fiscali, (cioè quanto il richiedente ha realmente a di-sposizione per vivere).

5Le domande devono pervenire, secondo le indicazioni della Presidenza Nazionale, assolutamente entro il 30 ago-sto 2002.

6Il contributo può essere richiesto dai superstiti viventi aventi le caratteristiche previste dalla Legge alla data del 10agosto 2000.

Gli eredi potranno presentare domanda solo per coloro che sono deceduti dopo il 10 agosto 2000.In questo caso il richiedente deve presentare la domanda per il deceduto, allegando tutta la documentazione dimostran-te che il deceduto versava nelle condizioni previste per la concessione del contributo.

Le domande devono pervenire entro il 30 agosto di quest’anno

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Chi ha diritto al contributo individualePer accedere al contributo individuale si deve soddisfa-re i seguenti Criteri per la selezioneSono due i prerequisiti richiesti dalla legge: essere statoperseguitato dai nazisti ed essere in precarie condizionifinanziarie, avere residenza in Italia.Gli eredi hanno diritto a presentare domanda solo per co-loro che, rispondendo ai criteri richiesti, siano decedutidopo il 10 agosto 2000.

1.1 Vittima del persecuzioni naziste Sarà legittimato a ricevere il contributo assistenziale in-dividuale chiunque soddisfi indifferentemente uno deiseguenti criteri: perseguitato politico o sindacale rico-nosciuto a sensi della legge 791/80, perseguitato in quan-to Ebreo, Rom o Sinti, Testimone di Geova, a motivo dicomportamento sessuale, disabile, durante il regime odoccupazione nazista.

1.2 Precarie condizioni finanziarie Il richiedente deve dimostrare di vivere in precarie con-dizioni di bisogno e quindi avere:Reddito annuo inferiore o uguale a:- 7023,81 (£ 13 600 000) per famiglia composta da un

singolo;- 11671,93(£ 22600000) per nucleo familiare di due per-

sone;Coloro invece che sono oltre la fascia di reddito considerataa rischio di povertà:Reddito annuo fino a:- 12.394,97(£ 24 000 000) per famiglia composta da un

singolo;- 15.493,71(£ 30 000 000) per nucleo familiare di due

persone;dovranno totalizzare almeno 4 punti nel questionario cheè parte integrante del modulo di richiesta, per poter accedereal minimo contributo.

ModalitàIl Modulo di Richiesta Contributo Assistenziale Individuale,reperibile nei centri di raccolta (elenco qui sotto), dovràessere compilato da ogni singolo richiedente, in ogni suaparte e dovrà essere corredato della documentazione re-lativa che attesti la veridicità di quanto dichiarato. La Richiesta e la relativa documentazione dovranno es-sere consegnate o spedite a mezzo plico, raccomandato,a centri di raccolta, dove personale esperto sarà a dispo-sizione dei richiedenti per aiutarli nella compilazione. Non potranno essere prese in considerazione le richiesteche pervenissero oltre il termine del 31 agosto 2002.

EsclusioniSaranno esclusi coloro i quali non rientrano nei crite-ri stabiliti; la Commissione esaminatrice provvederà acomunicare per iscritto le motivazioni della esclusio-ne. Sarà comunque possibile far pervenire per iscrittodelle note a sostegno delle proprie ragioni di eleggibilitàalla Commissione (UCEI-Fondo –Viale Trastevere,60-00153 Roma) entro 60 giorni dalla comunicazionedi esclusione.

Nel caso l’esclusione sia riconfermata, è possibile presentarericorso direttamente al Consiglio dell’Unione delleComunità Ebraiche Italiane (Lungotevere Sanzio, 9-00153 Roma) entro 60 giorni dalla data di ricevimento del-la lettera che conferma la non idoneità all’assegnazionedel contributo.

Documentazione da allegareAl modulo di richiesta dovrà essere allegata la seguentedocumentazione:- fotocopia di documento di identità;- autocertificazione relativa allo stato di famiglia;- eventuale fotocopia del riconoscimento di invalidità;- fotocopia dell’assegno vitalizio per gli ex deportati nei

campi di sterminio legge 791/1980;- fotocopia dell’ assegno vitalizio per i perseguitati raz-

ziali legge 932/22-12-1980; - fotocopia del libretto di pensione ; - fotocopia dell’ultimo cedolino di pagamento della pen-

sione;- fotocopia della dichiarazione dei redditi;- certificato medico attestante lo stato attuale di salute

anche in relazione all’autosufficienza;- fotocopia documentazione di perseguitato politico;- autocertificazione e attestazione di associazione com-

petente per Ebrei, Testimoni di Geova, Rom, Sinti, omo-sessuali, disabili;

- eventuale documentazione personale relativa al perio-do delle persecuzioni naziste.

TempiLe domande saranno raccolte a partire dal 15 aprile 2002fino al 31 agosto 2002.

Centri di raccolta e di sostegno alla compilazioneQui di seguito sono elencati i centri abilitati alla raccol-ta con personale dedicato al sostegno.Si invita gli interessati a telefonare alla sede più vicina efissare un’appuntamento.

Unione Comunità Ebraiche-Roma 06 58 09 799 Viale Trastevere, 60Comunità Ebraica -Milano 02 48 30 28 06 Via Sally Mayer, 2Aned -Roma 06 42 87 07 33 Via Palestro, 3Aned -Milano 02 76 00 64 49 Via Bagutta,12Opera Nomadi -Roma 06 44 70 47 49 Via di Porta Labicana, 59Opera Nomadi -Milano 02 76 00 93 67 Via Archimede, 13

Doverivolgersi

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TESTIMONI DEL ‘900

di Ennio Elena

Non è sempre un luogo co-mune quello secondo il qua-le i sogni muoiono all’al-ba: quasi sessant’anni fasuccesse a Gilberto Sal-moni, ai suoi genitori, alfratello, alla sorella ed alcognato che cercavanoscampo in Svizzera.Salmoni, ha affidato i suoiricordi ad un volumetto si-gnificativamente intitolatoLa gioventù offesa, che hacome sottotitolo Ebrei ge-novesi ricordano e racco-glie una serie di testimo-nianze. Quella che riguar-da la sua vicenda e quelladella sua famiglia è statastesa da lui personalmen-te. Così Salmoni ricordaquel drammatico momento:“Mio nonno, che aveva 77anni, fu lasciato in una ca-sa di riposo di Genova ge-stita dalla Curia. Il restodella famiglia raggiunsecon un lungo viaggioBormio, dove ci aspettava-no le guide. Giusto il tem-po per una cena e poi incammino in una notte buia. Il percorso era lungo; pio-veva. Salendo di quota su-bentrò la neve che diventa-va sempre più fitta.Camminavamo a fatica,affondando ad ogni passo.Iniziò ad albeggiare, il cie-lo si era liberato delle nubi;si preannunciava una gior-nata splendida, La monta-gna era bellissima. La di-scesa ci avrebbe portato inSvizzera. Trovammo un ri-fugio abbandonato e le dueguide decisero che potevamoriposarci un po’. Mentre cer-

DAL LICEO A

GILBERTOSALMONI

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■ Un protagonista della “gioventù offesa”dal razzismo fascista

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cavamo di recuperare un po’di energia sentimmo: ‘Maniin alto. Uscite uno per vol-ta’. Due fucili spianati, bom-be a mano pronte. Erano duemiliziani fascisti.”

La domandaScrive Salmoni ed è una do-manda che ancora ricorrementre si svolge il nostrocolloquio: “Quante voltesono tornato a pensare aquei momenti ed alle al-ternative che avremmo po-tuto scegliere: continuareil cammino senza fermar-ci, prima di tutto, oppureingaggiare una lotta non fa-cile, ma nemmeno impos-sibile, Certo, eravamo sen-za armi, ma c’erano le dueguide, uomini di montagnagiovani e forti, mio fratel-lo e mio cognato, anch’es-si persone energiche e de-cise. I miei genitori, miasorella, che era incinta, edio eravamo stanchi e pro-vati e così…ora eravamoavviati verso la prigionia,ormai rassegnati, ognunocon i suoi pensieri e le suefantasie, ormai vinti.“I due repubblichini, con laloro impresa che avrebbeportato alla morte tre di noi,si erano procurati un belgruzzolo: per ogni ebreoconsegnato o segnalato c’e-ra una taglia considerevo-le. Mia madre, più tardi, sirivolse a loro e, citandoManzoni, disse: ‘I fratelli

hanno ucciso i fratelli,’ Fuzittita con urli, proteste eimproperi.”

Così finisce un mondo

In quel rifugio abbando-nato, mentre si annuncia-va un giorno di sole e di li-bertà, finisce la prima par-te di una delle tante vi-cende che per gli ebrei ita-liani hanno significato ilcrollo di un mondo che erasempre stato.Gilberto Salmoni all’epocadelle leggi razziali, avevadieci anni. Una vita tran-quilla, a Genova, di unatranquilla famiglia: il pa-dre funzionario del mini-stero dell’Agricoltura, ilfratello, più anziano, stu-dente in medicina, la so-rella che aveva ultimato glistudi scolastici e studiavaprivatamente il tedesco edil pianoforte, il nonno cheaveva un’attività commer-ciale di prodotti alimenta-ri ed uno “scagno” ( un uf-ficio).Il piccolo Gilberto la do-menica andava spesso gra-tuitamente allo stadio per-ché era compagno di bancodi Guido De Prà, figlio delleggendario portiere delGenoa, e gli assomigliavaper cui veniva fatto passa-re come suo fratello.Poi arriva l’ondata razzi-sta. Il padre è licenziato, ilfratello si è laureato ma non

può esercitare la profes-sione privatamente e fa ilrappresentante di una casafarmaceutica pur frequen-tando per ottenere la spe-cializzazione in urologial’ospedale di San Martino( dal quale verrà cacciato);Gilberto non può frequen-tare il liceo D’Oria com’e-ra in programma e si iscri-ve ad una scuola svizzera;gli affari del nonno vannoa rotoli.

Il battesimo“Un giorno del 1940” rac-conta Salmoni “mia madremi disse che l’indomaniavrei fatto vacanza perchémi avrebbe portato nellachiesa di San Giovanni diPrè per il battesimo; in quelmodo, forse avrei potutofrequentare, l’anno dopola scuola statale. Io non miopposi. La mia famiglianon era religiosa ed io erogià fondamentalmente noncredente e consideravoquell’operazione come unaquestione formale di pocaimportanza. In quella oc-casione credo di essere sta-to un po’ imbarazzato mapensavo che la decisionepresa dai miei genitori fos-se corretta.”Nel ‘42 Genova viene col-pita da pesanti bombarda-menti aerei e la famigliasfolla a Bogliasco e Gil-berto può infine approda-re al liceo D’Ora “perché

un po’ con carte vere, unpo’ con carte false, risulta-vo ‘accettabile’”

Una prigione dorata

Con l’armistizio dell’8 set-tembre ‘43 e la calata inmassa dei tedeschi in Italiacomincia la caccia serrataall’ebreo. La famiglia Salmoni vieneospitata da amici, gli Isetti,in una villa di loro proprietàsulla collina di Celle Ligure,località turistica dellaRiviera di Ponente. Si sonoriuniti tutti, anche il fratel-lo Renato che a Roma è riu-scito a sfuggire ad un’in-cursione dei nazisti nelSeminario Lombardo, pureprotetto dall’extraterrito-rialità. Saltuariamente arri-va anche il marito della so-rella. L’ospitalità è conces-sa a patto che gli ospiti nonsi facciano mai vedere equindi non escano.Avrebbero pensato a rifor-nire i rifugiati due parentidegli Isetti che, per precau-zione, facevano la spesa indue posti diversi per non farsospettare la presenza di tan-ta gente nella villa.“Vivemmo a Celle”, ricor-da Gilberto Salmoni, “rin-chiusi in una prigione do-rata per circa sei mesi.Nell’aprile del ‘44 si ven-ne a sapere che l’esercitotedesco intendeva requisi-re le ville sulla collina.

BUCH ENWALD

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■ Il battesimo come arma di difesa

I nostri amici pensarono acome farci fuggire per poitentare l’espatrio in Sviz-zera.” Una tappa a Busallae uno ad Orbassano ospitidi coraggiosi amici degliIsetti. in attesa del tentativodrammaticamente fallito invista della libertà.

Un percorso obbligato

Nei racconti dei deportatic’è un percorso obbligato,sia pure con una serie di va-riazioni. Arresto, primo car-cere disponibile, San Vittorea Milano, campo di con-centramento di Fossoli, lo-calità emiliana vicino aCarpi, lager.Anche questo fu l’itinera-rio percorso dalla famigliaSalmoni. Ricorda GilbertoSalmoni: “Fummo condot-ti a Bormio, dove gli uomi-ni furono separati dalle don-ne. Da Bormio ripercor-remmo la Valtellina a ritro-so, incatenati. A Tirano i repubblichini checi avevano catturato ci con-segnarono alla Gendarmeriagermanica. Da lì fummoportati alla prigione diComo, di nuovo incatenati.Tra i nostri compagni di cel-la c’erano persone di valo-re, antifascisti, partigiani.Davano l’impressione di es-sere coraggiosi e determi-nati.” Il tempo di prendereconfidenza con i ritmi e leusanze del carcere e tra-sferimento a San Vittore do-ve “le celle erano ‘accetta-bili’ e spesso restavanoaperte.”

Il diversivoQuando si è in carcere pri-gionieri dei tedeschi, ancheessere destinati ad un com-pito pericoloso come quel-lo di cercare bombe di aereoinesplose può diventare undiversivo che allontana dal-la mente i pensieri sul pre-sente ed il futuro. CosìGilberto Salmoni, il fratel-lo ed alcuni altri giovaniebrei vengono fatti uscire,incatenati, da San Vittore econdotti a Lambrate, dovec’era l’Innocenti, a cercarebombe inesplose scavandocon piccone e pala. “La sen-sazione di essere lavorato-ri in semilibertà ci facevarespirare a pieni polmoni”ricorda Salmoni. Un diver-sivo perché, “a mezzogior-no si mangiava alla mensadella fabbrica, serviti e ri-veriti come personaggi im-portanti: la classe operaia egli ingegneri ci manifesta-vano apertamente la loro so-lidarietà.”Trovata la bomba, ritorno aSan Vittore con interroga-tori accompagnati da vio-lenze al fratello ed al co-gnato e poi partenza per ilcampo di concentramentodi Fossoli. Il cognato, cattolico, restaa San Vittore dal quale eva-derà e combatterà, restan-do ferito, da comandantepartigiano nel Piacentino.

Il fuggiasco massacrato

Nel campo, oltre alle ba-racche dei prigionieri, c’e-rano capannoni adibiti a ca-

serma delle SS e per questoci fu un mitragliamento diaerei americani nel corsodel quale rimase gravementeferita la sorella che vennesalvata ma perse il figlio.“Accadde un giorno”, ri-corda, “che fu catturato unprigioniero che era fuggi-to. Al consueto appello del-la sera erano riunite alcunecentinaia- o migliaia- di per-sone. Il fuggiasco fu portato da-vanti a noi, costretto a cam-minare come se ci passas-se in rivista e, seguito daquattro o cinque SS, pic-chiato selvaggiamente tracadute e lamenti. Era unospettacolo insostenibile. Ilpover’uomo sanguinava ecadeva continuamente econtinuamente era obbli-gato a rialzarsi per offrireun più facile bersaglio. Ledonne cominciarono ad ur-lare ma furono zittite e mi-nacciate: il fuggiasco do-veva continuare il suo cam-mino fino ad essere finito.”

BuchenwaldAi primi di agosto il cam-po di Fossoli viene evacua-to. La famiglia Salmoni sidivide ancora. Il padre, lamadre e la sorella vengonodeportate ad Auschwitz ilcampo di sterminio dal qua-le non faranno ritorno,Gilberto ed il fratello aBuchenwald. Con cinica iro-nia il vice capo del campo diFossoli, Han Haage, dice aiprigionieri: “Finora sietestati in villeggiatura, ora an-drete in campi meglio or-ganizzati.” Nel viaggio i de-portati conoscono uno de-gli episodi di umana soli-

darietà che erano frequentie che rappresentavanosquarci di luce in quel cu-po panorama: a Verona del-la gente sconosciuta gettòdel pane “allora merce ra-ra.”E a Buchenwald inizia la vi-ta del deportato nel campodi sterminio. Numero di ma-tricola: 44.573 quello diGilberto, 44.529 quello delfratello, altri numeri distanti:“come mai? Scoprimmo poiche erano numeri riciclatidi prigionieri morti; più vol-te riciclati: Ci diedero an-che un triangolo rosso conla I per Italia; significavache, come ‘misti’, eravamoconsiderati prigionieri po-litici.”Poi la quarantena la cui as-surdità, rileva Salmoni, “eraresa più evidente da un gros-so cartello:’Ein Laus deinTod’, un pidocchio la tuamorte. In realtà entrammo nel la-ger senza pidocchi e lì liprendemmo. Non avevamomalattie; lì molti si amma-larono e morirono.”

La dura “routineScarsità di cibo, difficoltàa lavarsi, lavoro duro, lun-ghe attese per l’appello, inbalia delle SS, violenze: lasolita, dura routine dei cam-pi di sterminio.Per i fratelli Salmoni un po’mitigata per il loro trasfe-rimento in una baracca difrancesi e belgi dove c’eraun’atmosfera “di forte ca-meratismo: gli antifascisti,la maggior parte dei qualierano stati partigiani, ave-vano stabilito regole di so-lidarietà che mi avevano for-

In cammino verso il lager

TESTIMONI DEL ‘900 GILBERTO SALMONI

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■ La cattura coi familiari ad un passo dalla libertà

temente colpito: i francesied i belgi, anche se di rado,ricevevano pacchi persona-li dalla Croce Rossa. Il destinatario ritirava sa-pone e sigarette e il restoveniva diviso. Trovammocompagni simpatici. Il mo-rale era alto e a me sembravadi vivere in mezzo agli eroi,eroi umani.”

Per sopravvivereCome tutti i prigionieri deicampi di sterminio, Gilbertoed il fratello capiscono ra-pidamente che “il segretodella sopravvivenza era cer-care di lavorare il meno pos-sibile. Il territorio grandeed il numero di guardianiormai esiguo ci permette-vano momenti di sosta.L’arrivo delle SS di sorve-glianza era segnalato in ‘co-dice’ e,al segnale, si ri-prendeva a lavorare.I compagni di prigionia cidicevano che eravamo arri-vati nel momento del ben-godi, che la vita era diven-tata più tollerabile. Il nu-mero dei guardiani era for-temente diminuito e gli at-teggiamenti meno crudeli esadici. Ma si continuava amorire: il crematorio lavo-rava a tempo pieno.”

“Ci ammazzeran-no tutti”

Gilberto Salmoni annotadue sentimenti contrastan-ti nell’animo dei deportati:da un lato il continuo pas-saggio delle “fortezze vo-lanti” americane dava la net-ta sensazione che i nazististessero perdendo la guerra;dall’altro la convinzione chei prigionieri non avrebbero

visto la vittoria perché leSS avrebbero ucciso tuttiprima dell’arrivo degliAlleati.

Un piccolo contributo

Essere definito prigionieropolitico mentre a differen-za della maggior parte deicompagni di prigionia, nonaveva combattuto costitui-va motivo di disagio e co-sì, “dato che come mano-vale, aiutante muratore do-vevo trasportare dei matto-ni su una carriola, se nonvedevo SS nelle vicinanzevuotavo il contenuto dellacarriola in un dirupo dovei mattoni si fracassavano:era la mia piccola azione diguerra, il mio piccolo con-tributo per la vittoria.”

I binaridi Weimar

“Non si era mai in una si-tuazione stabile. Ogni gior-no il destino poteva riserva-re una svolta. Così un mat-tino ci trovammo a partireper Weimar, la città vicina.Lì, nella stazione ferrovia-ria, dovevamo sostituire i bi-nari e sistemare le traversi-ne. La zona di lavoro era de-limitata da SS con cani chenon ci perdevano d’occhioun istante. Il lavoro era pe-santissimo e non si potevafare un attimo di sosta. Pochesettimane ci avrebbero por-tato a non reggerci più in pie-di e a precipitare rapida-mente verso una condizio-ne di scheletri morituri. Miofratello aveva conosciuto unprigioniero che lavorava ne-gli uffici e riuscì a farci as-segnare a lavori meno gra-

BUCHENWALD2001

Faccia a facciacon i ricordidell’orrore

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■ Padre, madre e sorella uccisi ad Auschwitz.

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vosi e al riparo: lui in sarto-ria a rappezzare indumenti,io a scaricare patate”. I duefratelli riescono a restare in-sieme a Buchenwald fino al-la liberazione.

La liberazioneI prigionieri si rendono con-to da molti segni che gli al-leati si stanno avvicinando.Ritorna la domanda: che co-sa succederà? “Il comando” ricorda Sal-moni “ci informò che sa-rebbe iniziata l’evacuazio-ne del campo. Allora uscì al-lo scoperto un’organizza-zione interna clandestina chesi era preparata a fronteg-giare quell’evenienza.L’ordine era: resistenza pas-siva. Se gli internati di unabaracca venivano chiamatiin piazza d’appello per lapartenza bisognava rifiutar-si in ogni modo possibile.Nei primi giorni di aprile ini-ziarono le chiamate per l’e-vacuazione. Si udivano spa-ri e raffiche per uccidere ointimidire chi si ribellava,La nostra baracca non fuchiamata. “Gli avvenimen-ti incalzano. “Le SS eranoormai pochissime e timoro-se. Il crematorio non fuma-va più. Intorno all’undiciaprile vedemmo alcuni in-ternati con i fucili in mano.Poche ore dopo arrivò unajeep con due americani abordo. Eravamo liberi. Ciraccontarono che l’orga-nizzazione interna dei pri-gionieri, nota a pochi, ave-va ordinato l’insurrezionepoche ore o pochi giorni pri-ma dell’arrivo degli ameri-cani- Alcune SS erano sta-te fatte prigioniere. I fucili

che avevamo visto nelle ma-ni degli internati erano sta-ti trafugati dalle fabbriche odai depositi, trasportati incampo e nascosti, duranteun pesante bombardamen-to dell’agosto del ‘44”.

L’orrore“Gli americani furono scon-volti da quello che trovarono”ricorda Gilberto Salmoni:“Anche noi, denutriti ma cheavevamo ancora un po’ diforze andammo ad aiutare inostri compagni più mala-ndati. Quando entrammo inquello che veniva chiamato‘il piccolo campo’ ci ren-demmo conto che era un am-masso di morti e morituri,ancora nelle baracche. Il co-mando americano, pochigiorni dopo la liberazione,obbligò la cittadinanza diWeimar a visitare il campoe a prendere visione di quel-la terribile realtà.Constatammo che la canti-na sotto il crematorio era unagrande sala di tortura. Quantinostri compagni erano fini-ti lì, all’insaputa di tutti.”

Desiderio di vendetta

Naturalmente c’era un co-mune sentimento di vendet-ta nei prigionieri. “Quandovedemmo un gruppo di SSchiuse in un recinto, an-dammo a vedere se c’eraqualche nostra conoscenza.Un internato, che aveva ri-conosciuto un aguzzino, en-trò nel recinto e cominciò amalmenarlo. Ma l’organiz-zazione politica degli inter-nati era bene operante. Unodei responsabili disse:’Noncomportiamoci come loro.

Saranno processati e con-dannati secondo giustizia.’”Amaro il commento. “I mal-trattamenti finirono ma sap-piamo tutti come andaronopoi le cose.”

Il ritornoSarà per un caso o per unperverso destino ma, notaSalmoni, “mentre i prigio-nieri delle altre nazioni par-tirono rapidamente resta-rono solo le nazionalità diseconda categoria, tra lequali la nostra,” Finalmentea metà giugno i fratelliSalmoni riescono a partireospitati da due ex prigio-nieri tedeschi che erano riu-sciti a mettere insieme unaMercedes e ad avere buoni-benzina dagli americani. AMonaco ritrovano la signo-

ra Crovetto, che avevanoconosciuto interprete alcampo di Fossoli, la qualegli dice che il resto della fa-miglia appena arrivato adAuschwitz era stato sele-zionato per la camera a gas.È la terribile conferma diquanto avevano temutoquando i congiunti eranosaliti sul carro bestiame cherecava sul portellone quelnome sinistro.Dopo molte difficoltà tor-nano a Genova dove trova-no le casa occupata da duedonne che spariscono rapi-damente. “Mandammo untelegramma a mio cognatoa firma Renato e Gilberto.Pensavamo che avrebbe ca-pito. Invece quando ci rag-giunse ci chiese subito dinostra sorella. Quando sep-

IN SERVIZIO È “OTTIMO”PECCATO CHE SIA EBREO

Un documento esemplare nella sua rozzezza e bru-talità delle persecuzioni degli ebrei in Italia: licen-ziato perché di “razza ebraica”. Documenti comequesti dovrebbero essere diffusi perché si conosca sem-pre meglio in quale abisso di barbarie ci abbia fattoprecipitare il fascismo, si valuti la pericolosità del-le manifestazioni di antisemitismo e di rivalutazio-ne del ventennio nero.

TESTIMONI DEL ‘900 GILBERTO SALMONI

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■ Ricordare il passato contro le manipolazioni.

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pe che era morta cadde aterra svenuto.”È stato difficile il reinse-rimento in quella che sichiama vita normale?“In superficie no. Mi fu dimolto aiuto la circostanzache mio fratello si sposò po-chi mesi dopo il nostro ri-torno, Vissi con loro parec-chi anni nel nostro vecchioappartamento di via Ippolitod’Aste. Il legame affettivocon mio fratello era fortis-simo. Una volta disse:‘Siamo una sola persona’.Questo, la presenza affet-tuosa di mia cognata e poi lanascita di due nipotini miaiutarono a tirare avanti.”Si può dare un futuro al-la memoria, fare in modoche non sia un semplice,anche se doveroso, omag-gio ai caduti, un’utileinformazione ai giovanima poi finisca in una purcommossa ritualità?“Si può a condizione che lamemoria diventi una scuo-la di educazione democra-tica, che la rievocazione diquegli orrori rappresenti unaspecie di ‘vaccinazione’contro le manipolazioni. Enon mi riferisco solo e tan-to a quelle che riguardanol’Olocausto, le persecuzio-ni dei nazisti e dei fascisti.Ogni giorno abbiamo biso-gno di conservare e svilup-pare il nostro spirito criti-co su ciò che leggiamo suigiornali o ascoltiamo allatelevisione. Il torpore del-lo spirito critico, l’accetta-zione indiscriminata delleinformazioni che ci arriva-no in gran copia da più par-ti sono un fertile terreno perla disinformazione e pos-

sono rappresentare la pre-messa per gravi involuzio-ni. Per questo il ricordo nondeve mai essere separatodalla nostra capacità di in-terpretare il presente.”Al suo ritorno ha conse-guito la maturità, ha la-vorato per quasi vent’an-ni all’Italsider, si è lau-reato in ingegneria e inpsicologia, si è sposato, hadue figli e tre nipotini. Unapersona pienamente inte-grata. Eppure nelle righefinali del Suo La gioventùoffesa scrive: “Tutti dice-vano che ero molto bravoperché avevo ripreso a stu-diare senza perdere tem-po e sembravo bene inte-grato. Soltanto parecchianni dopo mi sono resoconto di aver vissuto unlungo periodo da disadat-tato. Forse lo sono anco-ra.” Perché sente questacondizione?“Perché mi rendo conto chenon sono d’accordo né sucerte affermazioni né su cer-ti comportamenti. In queglianni terribili ho conosciutovalori come la solidarietà, lafratellanza, li ho conosciutiin circostanze nelle qualiognuno appariva veramenteper quello che è, senza pos-sibilità di finzioni. Questi va-lori, questi sentimenti cheportano ad aiutarsi, anche adividere il poco pane li ve-do progressivamente spari-re, sostituiti da una gerarchiadi pseudo valori, dove l’es-sere sta nell’avere e nel pa-rere. Per questo mi sento di-sadatto ad un certo tipo disocietà. E per questo dicoche ricordare deve soprat-tutto aiutare a capire.”

Occorre vigilare:il vero pericoloè l’indifferenza

Il discorso di Emanuele Fiano alla commemorazione organizzata

dall’Aned e dalla Comunità ebraica

Il pericolo più grave che corrono le democrazie eu-ropee, a cominciare da quella italiana, è l’indiffe-renza di fronte ai segnali di un risorgente fascismo chesi pensava non dovesse avere più voce né rappresen-tanza. È, questo, il messaggio al centro del discorsotenuto da Emanuele Fiano al Cimitero Monumentalein occasione della tradizionale commemorazione or-ganizzata dall’Aned e dalla Comunità Ebraica.Fiano ha ricordato alcuni degli episodi che dimo-strano il tentativo di inquinare pesantemente, e anchedi capovolgere, il senso della nostra storia recente, diattentare alle istituzioni democratiche.

Il 25 aprile, per la prima volta, in 57 anni, il presidentedel Consiglio invece di rendere omaggio a chi si èsacrificato per la libertà depone una corona pressola tomba di Edgardo Sogno; se si ricorda la Risieradi San Sabba occorre ricordare anche le Foibe; iltesto di Norberto Bobbio vietato nelle scuole aPesaro; le distinzioni tra il ricordo per chi è mortodalla parte giusta e la pietà per chi è morto dalla par-te sbagliata: il Consiglio di zona 7 di Milano checompra e fa distribuire nelle scuole medie testi diuna casa editrice dichiaratamente fascista; l’as-salto a Roma al teatro Vascello dove si replicava ilbellissimo monologo di Renato Sarti sulla X Mas algrido di “Fuori i comunisti dal quartiere!

Di fronte a questi inquietanti fenomeni, ha dettoFiano, ricordare non basta più. “ Onore ai morti, ai compagni partigiani, agli ebreideportati e uccisi, ai civili massacrati, onore a chinon si addormentò in pantofole, e onore a chi non siriaddormenterà oggi di fronte alla televisione ipno-tizzante, di fronte a tutto questo: La nostra coscien-za” ha concluso “non dormirà mai.”

Milano 25 Aprile

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Quanti furono i poliziottioppositori del regimedeportati dai nazisti?

Una ricerca che non è mai stata fatta: la giornata della

Colmareun vuoto

Il 27 gennaio è il “Giorno della memoria”, istituito conlegge 211 del 20 luglio 2000 per ricordare la barbarie con-sumata nel corso dell’ultimo conflitto mondiale con de-portazioni, persecuzioni e stermini perpetrati dalla cri-minale ideologia nazista. È la data della liberazione,nel 1945, del campo di sterminio di Auscwitz, la citta-dina polacca di Oswiecim, luogo simbolo dei circa 900campi di concentramento.

Il ricordo-simbolo è la tra-gedia della “shoah”, l’eli-minazione, con il sistemadelle camere a gas ed i for-ni crematori, degli Ebrei. Maoltre alla shoah vanno ri-cordati quanti, oppositori delregime o etnie considerate“inferiori”, subirono depor-tazioni, prigionia e morte ecoloro che si opposero, a ri-schio della propria vita, sal-vando o proteggendo i per-seguitati. Sarebbe quindi ri-duttivo considerare il “gior-no della memoria” solo co-me l’ennesima persecuzionesubita dalla popolazioneebraica: è tutta la criminalepolitica nazista che va con-siderata allo scopo di scon-giurare nel futuro una suasciagurata e malaugurata rie-dizione. “Ricordare” è quindi un do-vere oltre che morale, giu-ridico, per cui si rivela es-senziale, per il raggiungi-

mento dello scopo che la leg-ge si prefigge, ricostruire,all’interno di ogni organi-smo, la storia delle tragediesubite e individuare quantial progetto criminale si op-posero in modo da formaree tramandare un patrimoniomorale. Non credo che la Polizia ab-bia fatto qualcosa in meri-to. Anzi, credo abbia can-cellato quel passato la-sciando nell’oblio anche que-gli episodi che la morale pri-ma e la legge poi, impongo-no di ricordare. Sarebbe sta-to doveroso fare un censi-mento di quanti, in un climaparticolarmente politicizza-to, in una situazione di as-soluta negazione della di-gnità umana e di privazionedi ogni elementare forma dilibertà, si opposero all’at-tuazione di una politica per-secutoria, sia essa di matri-ce religiosa, politica o etni-

ca, facendo prevalere la vo-ce della coscienza e dellamorale, mettendo a rischio lapropria esistenza. Un esempio emblematico,emerso solo in questi ultimitempi, è il sacrificio del dot-tor Giovanni Palatucci.Questi, in servizio allaQuestura di Fiume, si ado-però per salvare almeno 5000

ebrei dalla sicura e già pre-disposta deportazione fi-nendo la sua nobile esisten-za nel famigerato campo disterminio di Dachau inBaviera. Con lui vanno individuati al-tri casi dei quali in Polizianon si è mai parlato e chepossono rappresentare esem-pi di cui essere fieri.

di Giuseppe Vollono*

Quando lo scorso anno si rie-vocò per la prima volta il“giorno della memoria” sirisvegliò in me il ricordo del-la mia prima sede di servizio,la Questura di Udine.Ebbene, nel 1959, a soli 15anni di distanza dai fatti, giànon si parlava più dei poli-ziotti deportati nel 1944.Venni a conoscere, solo per-ché addetto all’Ufficio di ga-binetto, di due funzionari,che non tornarono più, per iquali trattai i relativi fascicoliper ragioni di assistenza fa-miliare. Li ritenni casi isolati.In occasione della secondarievocazione, quella di que-st’anno, sono riuscito a co-noscere i nomi di tutti i de-portati, che furono ben 8, deiquali uno solo riuscì a so-pravvivere.

Con l’occasione ricordo an-che l’azione altamente me-ritoria svolta dal dottorGuido Lospinoso, questoredi Udine fra il 1949 e il 1954,che svolse azione analoga aquella del dottor Palatucci.Appresi le sue gesta da ungiornale che illustrò l’atti-vità svolta in favore degliebrei francesi solo dopo ilsuo pensionamento e quan-do avevo lasciato da anni laQuestura di Udine.Mi permetto a questo puntodi sostituirmi all’Istituzionenel ricordare, sommaria-mente e sulla base di ricor-di personali - che certamen-te vanno integrati - il dottorGuido Lospinoso, entrato inPolizia nel 1915. Nominato Ispettore genera-le, sul finire del 1942 fu in-

Da Udine otto deportati:solo uno sopravvisse

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memoria deve ricordare il loro eroico sacrificio

viato dal ministero del-l’Interno a Nizza, capoluo-go della parte della Franciaoccupata dalle truppe italia-ne, dove si erano rifugiati cir-ca 40.000 ebrei dopo l’iniziodelle deportazioni in massa. Il dottor Lospinoso, in atte-sa di risolvere il “caso” conle autorità tedesche, aveva ilcompito di organizzare cam-pi di concentramento sullacosta. Esclusa questa possibilità,per esigenze connesse alladifesa costiera, i rifugiati fu-rono raccolti nella Savoia, aridosso del confine italiano,in alberghi appositamenterequisiti. Quando nella pri-mavera del 1943 il Governodiede ordine di passare allafase della consegna degliebrei rifugiati ai Tedeschi,l’alto funzionario di Poliziaadottò un’ intelligente tatti-ca dilatoria per differire l’or-

dine adducendodifficoltà di ognigenere per orga-nizzarne il tra-sporto. Nel frat-tempo, con di-screzione, age-volò l’allontana-mento gradualedegli ebrei versoil territorio ita-liano per cui, al-l’atto dell’armistizio, benpochi erano quelli ancora ri-masti e che si dispersero conla ritirata del nostro Esercito.Rientrato a Roma, il dottorLospinoso fu costretto a na-scondersi perché la Poliziapolitica tedesca voleva far-gli pagare lo smacco subito.Collocato a riposo nel 1954,morì, eroe sconosciuto, sen-za riconoscimenti ufficiali,con la sola gratitudine delleComunità ebraiche france-si, nel 1972.

L’occasione po-trebbe essere ap-punto il prossi-mo anno, in oc-casione del ses-santesimo anni-versario dell’ini-zio delle perse-cuzioni tedeschenella parte d’Ita-lia occupata. La Polizia deve

andare orgogliosa di loro efar sì che il loro esempio pos-sa essere un punto di riferi-mento per le giovani gene-razioni ed affermare il prin-cipio che, al di là della leg-ge e delle disposizioni, c’è uncodice etico che la coscien-za deve seguire. Le leggi raz-ziali, vergogna della legi-slazione italiana nel 1938,non rispondevano alle esi-genze morali e, specie nellasuccessiva fase della depor-tazione per la conseguenteeliminazione, andavano “ci-vilmente” disattese. C’è chilo fece in modo eclatante echi in silenzio ma tutti ani-mati dalla stessa fede neiprincipi dei diritti dell’uo-mo, quei diritti ora sacra-mentati nell’articolo 3 dellaCostituzione.Il ricordo non può essere ge-nerico come tante targhe elapidi che ricordano global-mente i Caduti. I poliziottideportati e quelli che mise-

Dalla questura di Udine ai campi di sterminio

Vice Commissario dr Filippo Accorniti, Tropea (CS) 1916-Mauthausen, morto presunto

Vice Brigadiere Bruno Bodini, Pontebba (UD) 1909-Buchenwald 14.3.1945

Impiegato di P.S. Giuseppe Cascio, Messina 1908-Mauthausen 12.2.1945

Commissario dr Antonino D’Angelo, Catania 1912-Mauthausen 12.4.1945

Agente Angelo Pisani, Brescia 1912-Mauthausen 2.1.1945

Vice Commissario dr Mario Savino, Pozzuoli (NA) 1914-Mauthausen 15.3.1945

Commissario dr Giuseppe Sgroi, Catania 1910-Mauthausen 16.4.1945

Maresciallo Spartaco Toschi, nato a Udine, unico sopravvissuto da Mauthausen

Mi sono già fatto promoto-re, presso l’ANPS di Udine,perché attivino le necessa-rie procedure affinché, in oc-casione del “giorno della me-moria” del prossimo anno,vengano adeguatamente ri-cordati, con una lapide, sia il

questore Lospinoso che i de-portati del 1944. Ma èl’Istituzione Polizia che de-ve dare un impulso al pro-blema a livello nazionale nelricercare e ricordare i pro-pri martiri sconosciuti e ipropri eroi.

ro a repentaglio la propria vi-ta erano uomini con tanto distoria personale e professio-nale per cui vanno ricordati edesaltati con i loro nomi e le lo-ro qualifiche. Nel “Libro del-le memorie ai caduti dellaPolizia”, edito nel 1989, deiCaduti in seguito a deporta-zione non vè menzione al-cuna. Essi non apparteneva-no alla “Polizia fascista” masolo alla “Polizia” e nell’adempimento del loro dove-re dimostrarono non di se-guire un’ideologia ma la leg-ge della civiltà e dell’etica. Va colmato il vuoto della“nostra memoria” prima chesi perda definitivamente. Perquanti, a rischio della pro-pria vita, salvarono quelladegli altri, va proposto un ri-conoscimento non solodell’Amministrazione madella Patria. Intanto mi pare doveroso ci-tare (nell’elenco qui sopra) i nostri colleghi della Que-stura di Udine che nel 1944furono deportati nei campidi sterminio nazisti: ad es-si, ed agli altri poliziotti an-cora ignoti, ed a quanti si op-posero e diedero protezioneai perseguitati, vada il ri-cordo commosso ed il ri-spetto della Polizia italiana.

*dirigente superiore di Polizia a riposo

Non era “polizia-fascista”ma soltanto “polizia”

Dimostrarono non di seguireun’ideologia ma la legge della civiltà e dell’etica.

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Il console svedese rischiò la vita per salvare una famiglia di ebrei

L’attestato di benemerenza gli è stato consegnato dallo Yad Vashem dopo chemolti anni più tardi è stato ritrovata unalettera del 2 luglio 1945 in cui uno dei salvati racconta al diplomatico svedese in Italia come si svolsero i fatti.

Nel 1944 Elow Kihlgren, unimprenditore svedese di 57anni, viveva a Genova conl’incarico di console onora-rio di Svezia. A Genova, do-ve era capitato giovane lau-reato, dopo un giro con bor-se di studio in diverse cittàeuropee, si era poi fermato,aveva costruito la sua nu-merosa famiglia e per le suerelazioni industriali e per lafiducia di cui godeva avevafondato con successo le filialiitaliane di alcune delle pióimportanti imprese indu-striali svedesi, fra le quali la

telefonica Ericsson. Dopomolti anni dalla fine dellaguerra e dalla Liberazione,qualche mese fa, esattamenteil 20 settembre 2001, la“Commissione per la desi-gnazione dei giusti” istitui-ta a Gerusalemme dallo YadVashem, l’ente preposto al-la “Memoria degli eroi e deimartiri dell’Olocausto”, ave-va deliberato di onorare lamemoria di Elow Kihlgrenconferendogli il titolo e larelativa medaglia dei “”giu-sti fra le nazioni”, perché“Kihlgren, durante il perio-

do dell’Olocausto in Europaha messo a rischio la propriavita per salvare ebrei perse-guitati”. La pratica per arrivare allaconclusione della ricostru-zione storica dei fatti erastata lunga per la necessariaverifica della documenta-zione. L’attestato di questa bene-merenza venne poi conse-gnato ai figli di Kihlgren al-l’inizio di quest’anno, nelcorso di una cerimonia pri-vata, e per questa ragione lanotizia era poi rimasta ri-servata. Si tratta però di una di quel-le notizie alle quali è giustodare risonanza, perché è giu-

sto ricordare quello che al-cuni hanno fatto nei con-fronti della persecuzione raz-zista degli ebrei in Europa,e in questo caso in Italia, co-me si sta facendo in questiultimi anni, distinguendo chiha fatto qualcosa per salva-re qualcuno perseguitato, an-che se questo era avvenuto arischio della propria vita, dachi invece ha visto sparire ipropri vicini di casa senzastupirsi e senza fare nullaper loro.Il nome di Elow Kihlgrensarà dunque inciso per sem-pre sulla Stele d’onore nelGiardino dei Giusti pressolo Yad Vashem a Geru-salemme.

di Enrica Basevi

Un documento getta una nuova luce sull’aiuto decisivo a nove persone

salvato una famiglia ebrea,la sua.Il documento racconta chela famiglia Stamfeld, di ori-gine polacca, ma al momentoproveniente dalla zona sud-orientale della Francia, oc-cupata allora da forze mili-tari italiane, era compostada nove persone. E che fu-rono proprio alcuni soldatiitaliani ad aiutare gliStamfeld a raggiungerel’Italia, e precisamenteGenova. A Genova fu un sacerdote,

La pratica per onorarlo haricevuto una svolta decisivaquando, poco tempo primadella conclusione della pra-tica, fu ritrovato dai soprav-vissuti della famiglia salva-ta da Kihlgren, Gianni, Maxe Bella Sterngold, un im-portante documento datato2 luglio 1945. Si tratta del-la lettera che AvrahamStamfeld scrisse all’Amba-sciata di Svezia in Roma, ap-punto subito dopo laLiberazione, per raccontarecome Elow Kihlgren aveva

quello svizzero, stabilendopersonalmente il contatto. Kihlgren raggiunse il con-vento, prelevò la famigliaStamfeld e provvide a col-locarla in un appartamentoche riteneva sicuro, aven-dolo egli stesso allestito perquesta necessità. Provvideanche a fornire gli alimentiai nove profughi. E dopo una settimana si-stemò una delle signoreStamfeld e due bambini inuna villa fuori città, in mo-do che i bambini non aves-

don Francesco Repetto (giàproclamato “Giusto fra lenazioni”) “a trovare per lo-ro un ricovero presso un con-vento. Tuttavia dopo solo tresettimane don Repetto co-municò ai profughi di esse-re egli stesso ricercato daitedeschi per l’aiuto fornitoagli ebrei, aiuto che egli sem-pre negò ai tedeschi di averdato. Ma don Repetto con-sigliò agli Stamfeld di la-sciare il convento, divenutopericoloso, e di chiedere aiu-to al console svedese e a

Elow Kihlgren “Giusto fra i giusti” dal settembre scorso, per la sua “attività

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sero troppo a soffrire per ibombardamenti aerei checolpivano Genova e per lostare rinchiusi in un appar-tamento: la casa era del con-sole finlandese e quindi an-ch’essa relativamente si-cura. Passarono però solo tre set-timane: quando all’ im-provviso nella villa feceroirruzione i tedeschi alla ri-cerca dei piloti di alcuni ae-rei alleati abbattuti, mentresi diceva si fossero salvatigli aviatori. Così i bambini Stamfeld tor-narono nell’appartamentoin città.Intanto la situazione aGenova diventava semprepió tesa: nell’aprile del 1944Kihlgren fu arrestato dallaGestapo, con l’accusa di averaiutato i piloti alleati, e unebreo, che in effetti si era ri-fugiato anch’egli nell’ap-partamento dove si nascon-devano gli Stamfeld. Ma Kihlgren fu poi rila-sciato: secondo una versio-ne per l’intervento del con-sole del Vaticano a Genova,secondo un’altra versione,la testimonianza del figliomaggiore di Kihlgren, Gé-rard, che allora aveva ven-t’anni, e che con i fratelli erastato messo al sicuro dal pa-dre in Svezia, ma che suc-cessivamente ricostruì colpadre gli avvenimenti. Elowfu liberato grazie all’inter-vento del Ministero degliEsteri svedese. Appena tor-nato libero Kihlgren deciseche era necessario far scap-pare gli Stamfeld in Svizzera. Ciò che non era facile, mache egli riuscì a fare conl’aiuto di alcuni contrab-bandieri.

E così per primi partironogli adulti, mentre i bambinifurono ospitati da un istitu-to per l’infanzia, finché die-ci mesi dopo fu possibile or-ganizzare anche il loro pas-saggio in Svizzera e unifi-care così la famiglia. Nelsettembre del‘44 Kihlgren fuespulso dall’Italia per ordine deitedeschi e fu ri-chiamato inSvezia. Solo aguerra finitatornò in Italia, aGenova, al suoposto di conso-le, e vi rimase si-

no alla fine dei suoi giorni,nel 1974.La ragione per la quale lapratica per annoverare ElowKihlgren Giusto fra i Giustiimpiegò qualche mese peressere approvata stava nelfatto che non era stato do-

cumentato unnesso diretto fral’arresto diKihlgren con il ri-schio di una con-danna a morte daparte dei tedeschi,e la sua attività afavore degli ebrei.Con la lettera so-pra citata ritrova-ta dai discenden-

Un’immaginedi ElowKihlgren,scomparsonel 1974

ti Stamfeld la pratica potèavviarsi a conclusione. Ma a noi, oggi, in questo mo-mento in cui il totalitarismosembra essere in qualchemodo di nuovo una minacciaconcreta, ed è dunque ne-cessario capire il sottofon-do dal quale esso può na-scere o viceversa essere im-pedito, a noi dunque oggi in-teressa domandarci anchenel caso di Kihlgren che co-sa poteva aver spinto questocittadino svedese, nel fioredell’età e del successo pro-fessionale, gioviale e gioio-so, come noi lo ricordiamo,a rischiare la vita per salva-re una famiglia ebrea. Forse giocò un ruolo fonda-mentale l’essere figlio di unpastore protestante, e averricevuto dunque una educa-zione intransigente verso ildiritto di tutti alla vita, fuo-ri da ogni razzismo, e anche,forse, l’aver vissuto la pro-pria formazione in un pae-se come la Svezia, di gran-de tradizione democratica,cittadino fra cittadini. O forse l’aver goduto dellasimpatia di numerosi amiciebrei. Anche, si può ag-giungere, aver provato per-sonalmente, con la propriamoglie Sigrid, il grande do-lore di perdere i tre figlimaggiori: i primi due in po-chi giorni l’uno dall’altronel 1923, e il terzo due an-ni dopo. Ma questi sono solo spunti diriflessione. Ed è possibile che le vere ra-gioni siano da ricercare nel-le tradizioni culturali, terre-no nel quale un giovane sve-dese nato alla fine del seco-lo XIX aveva potuto essereeducato.

Che cosa poteva

aver spinto questo cittadino

svedese a correreun rischiomortale

à” a Genova dal 1944

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Morirono subito dopola liberazione dai lagerCome recuperare le salme?

Una storia

Molti ebrei, caduti dopo l’arrivo dei liberatori, vennero

A Monaco era sepolto mio nonnoDa molti anni è impegnato a re-cuperare le salme dei deportatiebrei morti subito dopo la libe-razione dei campi di concen-tramento e sepolti nei cimiteri.Si chiama – scrive in una lette-ra all’Aned – “Attilio Di Verolinato a Roma nel 1950 e qui re-sidente in via dei Giubbonari70, tel. 06 68 68 834. Sono interessato al campo diconcentramento di Natzweilere sottocampi, inparticolare diEchterdingen, do-ve era deportatomio nonnoGiacomo Funaro.Sono anche inte-ressato aggiunge“al sottocampo diVaihingen (adibito ad ospeda-le) e al vicino cimitero diEnsingen. “Da mie ricerchedesumo che le fosse comunifossero due o più, avendo ri-trovato mio nonno, GiacomoFunaro e Mario Volterra,Donato Piazza e Sergio Anticolia Monaco di Baviera al cimiteromilitare di Waldfriedhof Muen-chen in fossa singola. MentreSergio Di Cori e GiorgioMoresco, risultano sepolti alcimitero di Ensingen in fossa

comune. «Sono interessato alritrovamento di altri deportatidi religione ebraica seppellitiin fossa singola, per poter co-municare ai parenti il luogo e,possibilmente,riportarli in Italiain base alla nuova normativa».Per il ritrovamento delle sal-me,Attilio Di Veroli suggeriscealcune iniziative:1) ricercare nel “Libro dellamemoria”di Liliana Picciotto

Fargion il nome deipropri cari e con-statare se sonomorti dopo la libe-razione (probabil-mente erano statiricoverati in ospe-dale, identificati einfine, dopo il de-

cesso, seppelliti in una fossacomune con militari e deportatidi varie nazionalità); 2) verificare in famiglia se trail 1950 e il 1960 i carabinierihanno chiesto informazioni suiloro cari deportati;3) nel caso di risposte positi-ve,si possono compiere ulterioriricerche presso il ministero del-la Difesa (Commissariato ge-nerale onoranze caduti in guer-ra sezione esteri,piazzale LuigiSturzo 23, 00144 Roma). La liberazione è arrivata ma per qualcuno è troppo tardi.

““

Conoscere il luogoesatto di sepoltura

consentirebbe una preghiera

e deporre un fiore

A Monaco era sepolto mio nonno

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tumulati nei cimiteri militari in Germania

La storia di questa ricercaper individuare i luoghi do-ve vennero sepolti i depor-tati ebrei morti dopo la libe-razione, è cominciata oltretrent’anni fa, nel 1970 quan-do Michele Di Veroli si recaa Monaco per visitare la tom-ba di un parente, situata nelcimitero militare di Wald-friendhof; insieme a questatrova altre due tombe, quel-la di Giacomo Funaro (chesvolgeva varie mansioni davolontario al Tempio spa-gnolo di Roma dove è stataposta una lapide per ricor-darlo) e quella di MarioVolterra. L’anno successivo,l’Unione della comunitàebraiche italianerichiede il rimpa-trio delle salme alCommissario ge-nerale per le ono-ranze ai caduti inguerra ma la ri-sposta è negativaperché una leggedell’1951 vieta larimozione e il tra-sporto di salme diitaliani caduti inguerra e sepolti al-l’estero.

le sollecitudine, “passa” nelcorso dello stesso anno. Lalegge del 1951 viene final-mente abolita e le famigliedi Giacomo Fu-maro e Mario Vol-terra ottengono ildiritto di “tornarea casa”. Il 26 no-vembre 2000 i pa-renti, grazie allacollaborazione delministro della Di-fesa, del Conso-lato di Monaco edel capitano dicorvettaMincado, sono an-dati a Monaco a ri-prendersi i loro ca-ri, che, riportati a Roma, so-no stati seppelliti nel cimi-tero ebraico. Grazie adAttilio Di Veroli ed alla suafamiglia, che hanno inqualche modo spianato unastrada quasi impossibileda percorrere, esiste unavera e propria proceduraburocratica per operazionidi questo tipo. Si riapre co-sì un capitolo della storiache potrebbe diventare at-tualità: se alcuni ebrei ro-mani sono stati ritrovati inun cimitero militare diMonaco, potrebbero esser-vene ancora altri. Pur senzaalimentare false speranze,le famiglie dei deportati de-ceduti dopo la liberazione

hanno la possibilità di veri-ficare quale sia l’ultima de-stinazione dei loro cari e,successivamente riportarli

a casa. AttilioDi Veroli, che èa disposizioneper aiutare ch-iunque ad av-viare la praticadi rimpatriodelle salme.Non è quindiesagerato par-lare di un pic-colo evento sto-rico. Ecco comericorda quelgiorno della ce-rimonia nei

giardini del tempio Maggiore.«È stata molto commoven-te. Io non ho potuto trattene-re le lacrime all’arrivo dellasorella di mio nonno, ziaSterina, 92 anni, in carroz-zella, scortata da tutti i figlie tanti nipoti. Mi sono fattoavanti e le ho detto “Guardachi ti ho riportato”. Poi al ci-mitero del Verano le salmesono state seppellite. Miononno riposa in pace eternanel campo riservato ai rab-bini. Per me è stato un mo-mento di immensa gioia inmemoria di mia madre EsterFunaro, che ha fatto cresce-re i suoi figli nel ricordo delpadre che lei tanto amava.

Attilio Di Veroli

L’unica “concessione” cheottiene l’Unione riguarda ladicitura sulle lapidi (da “la-voratore civile” viene modi-ficata in “deportato civile”).Per quasi trent’anni la si-tuazione non cambia, fino al1997 quando Attilio Di Veroliinsieme ai suoi cugini deci-de di tentare nuovamente diriportare il nonno a Ro-ma.Contatta Riccardo Paci-fici e l’allora presidente del-la Cer Sandro di Castro ilquale, insieme all’avv. Ales-sandro Ruben chiama L’al-lora ministro della Difesa,Scognamiglio, il suo sotto-segretario Massimo Bruttie, successivamente, il presi-

dente della Ca-mera dei deputati,Luciano Violante.Si viene così a co-noscenza di unalegge ferma alSenato riguarda-nte le “Disposi-zione per la resti-tuzione delle sal-me dei caduti inguerra”: la leggequindi viene ri-presentata nel ‘99e, con encomiabi-

Quel “ritorno a casa”dopo oltre mezzo secolo

Di Veroli e famiglia hanno in qualche modo

spianato una strada quasi

impossibile da percorrere

Dopoi primi

ritrovamentice ne

potrebberoessere altri

Al ministero della Difesa (Onorcaduti, ufficio esteri) Di Veroli ha chiesto intanto informazioni su un gruppo dideportati per “rintracciare i luoghi dove sono sepolti”:

Anticoli Sergio, nato a Roma il 23-12-1921 figlio di Giuseppe, morto il 12-01-1945 (Natzweiler)Anticoli Attilio, nato a Milano il 04-07-1923 figlio di Settimio, morto libero il 10-5-1945 Anticoli Letizia, nata a Viterbo il 30-8-1914 figlia di Emanuele, morta il 12-5-1945 (Neustadt)Anticoli Manrico, nato a Roma il 29-1-1925 figlio di Giuseppe, morto il 25-1-1945 (Natzweiler)Caviglia Elia, nato a Roma il 15-11-1919 figlio di Sabato, morto il nel gennaio1945 (Natzweiler)Di Cori Amedeo, nato a Roma il 13-12-1927 figlio di Mario, morto il 20-1-1945 (Natzweiler)Di Veroli Donato, nato a Roma il 7-2-1914 figlio di Michele, morto il 12-1-1945 (Natzweiler)Di Veroli Giacomo, nato a Roma il 9-3-1906 figlio di Mosè, morto in luogo ignotoEfrati Alberto, nato a Roma il 6-11-1901 figlio di Graziano, morto l’8-1-1945 (Natzweiler)Di Veroli Samuele, nato a Velletri il 2-1-1915 figlio di Mosè, morto il 27-02-1945 (Natzweiler)Fiorentino Alberto, nato a Roma il 30-10-1909 figlio di Leone, morto libero dopo il 22-01-1945Funaro Abramo (Lamberto-Alberto), nato a Roma il 24-6-1927, figlio di Giacomo, morto liberoJona Enrichetta, nata a Vercelli il 9-10-1919 figlia di Felice, morta libera il 9-5-1945Moresco Giorgio, nato a Roma il 4-11-1927 figlio di Romolo, morto il 20-1-1945 (Natzweiler)Spizzichino Umberto nato a Roma il 23-7-1910 figlio di Giacobbe, morto l’8-12-1944 (Natzweiler)

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La testimonianza di una sopravvissuta allo sterminio

I disegni del ghettoCarta e pastello mentrese ne andava l’infanzia

Terezin

Theresienstadt (in ceco,Terezin) nella RepubblicaCeca, è a poco più di 60 chi-lometri a nord di Praga. Lacittà fu trasformata nel 1780in una fortificazione mili-tare, chiamata con il nomedell’imperatrice d’AustriaMaria Teresa d’Asburgo.Theresienstadt era costitui-ta dalla Fortezza Grande do-ve erano alloggiati i solda-ti, dalla Fortezza Piccola de-stinata a prigione di avver-sari politici o prigionieri diguerra e da un certo nume-ro di case civili e negozi.Con lo scoppio della guer-ra, la Germania occupò que-sta parte della Cecoslo-vacchia; e dal giugno 1940i nazisti usarono la FortezzaPiccola per torturare ed uc-cidere ebrei e oppositori.Nel novembre 1941, fece-ro della fortezza Grande una“Colonia ufficiale ebrea”,in realtà un campo di con-centramento, prima per gliebrei di Boemia e Moravia,in seguito per quelli di mez-za Europa.Compresi dei vecchi ebreitedeschi, cui i nazisti ave-vano promesso una “casa diritiro di stato” quando aves-sero terminato il periodo di

deportazione. Dal ‘41 al ‘45,furono deportati a Terezincirca 140.000 ebrei, 35.000vi morirono per le inumanecondizioni di vita – fame,malattie e terrore.Con il tempo, Terezin di-venne una specie di campodi raduno, un’orribile sta-zione di trasferimento adAuschwitz ed ai vari lager disterminio dell’Europa del-l’Est, dove morirono in ot-tantamila.La disumanaesperienza nonfu risparmiata aibambini ebrei diogni età. Subitodopo il loro ar-rivo nel campo,venivano lorovietati scuola,trasporti pub-blici, piscinepubbliche, cam-pi sportivi. Portando la stel-la gialla di Davide essi do-vevano immediatamente ca-pire di essere degli esclusi.Terezin fu la stazione di tra-sferimento di 15.000 bam-bini sotto i 15 anni. Il registro ufficiale del cam-po mostra una media di cir-ca 3.000 sempre presenti. Il numero variò da 2.700(luglio ‘42, maggio ‘44), a3.900 nel luglio ‘43.Considerando il numero di1.600 prima della fine del-

la guerra nell’aprile 1945,la popolazione di 800 bam-bini nell’ottobre 1944, sem-bra eccezionalmente bas-sa. Dietro questo numero c’è laprobabilità che a settembreed ottobre di quell’anno cisia stata una deportazionemassiccia ad Auschwitz.Novemila bambini, soprat-tutto verso la fine della guer-ra, furono infatti trasferitida Terezin ai campi della

morte. Tra questi 1.200quasi tutti orfanida Bialystok, (Po-lonia), arrivatinell’agosto 1943,per i quali era sta-to detto che sa-rebbero serviti co-me ostaggi ineventuali nego-ziati con gli al-

leati. Nonostante la situa-zione senza speranza – oproprio a causa di questa –i maggiorenti ebrei inTerezin riservavano specia-li attenzioni ai bambini e aigiovani. Secondo le stati-stiche dal dicembre 1942,circa 2.000 dei 3.500 bam-bini vissero in “case” den-tro al campo, mentre altrirestarono con i genitori odaltri parenti. Dei 15.000 bambini porta-ti a Terezin e più tardi de-

portati ad Auschwitz, solo100 sopravvissero. Tra diessi Helga Weissova. Eranata il 10 novembre 1929,a Praga, dove suo padre OttoWeiss, lavorava come im-piegato alla banca di statoe la madre, Irena Fuchsova,era sarta. Un mese dopo il suo tredi-cesimo compleanno, il 10dicembre 1941, fu deporta-ta insieme ai genitori nelghetto di Terezin con unodei primi trasporti e vi ri-mase per circa tre anni. Inseguito fu trasferita adAuschwitz, Freiberg eMauthausen, dove fu libe-rata nel maggio 1945 dagliamericani. Il padre era morto e lei ri-tornò a Praga con la madre.Ha studiato all’Accademiadelle Belle Arti ed è un ar-tista professionista. I suoilavori sono apprezzati in tut-to il mondo. Nel 1954 ha sposato il mu-sicista Jirì Hosek e dalla lo-ro unione sono nati due fi-gli. Ora ha tre nipotini. I lavori artistici su Terezinsono una testimonianza del-la sua crudele e soffertaesperienza. Guerra e deportazione rap-presentano infatti un temache ha accompagnato unavita intera influenzando lasua creatività.

di Pietro Ramella

Avevo la sensazione che da quel

momento finiva la mia infanzia.

Io disegnai moltonella “casa

delle ragazze”

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L’artista spiega nel libro“Zeichne, was du sieshst”(“Disegna ciò che vedi” –Wallstein Verlag, Gottingen,1998, pp. 168), l’origine delsuo impegno artistico.“Disegna, ciò che vedi”, fuil consiglio di mio padrequando io gli mostrai di na-scosto, nella baracca degliuomini, il disegno dei bam-bini che facevano un pu-pazzo di neve. Quel pupaz-

zo di neve fu, in effetti il mioultimo genuino disegno co-me bambina. A causa dellafrase di mio padre e per unamia motivazione interna,sentii il dovere da allora dicatturare nei miei disegni lavita di ogni giorno nel ghet-to. Avevo la sensazione cheda quel momento finiva lamia infanzia. Io disegnaimolto nella “casa delle ra-gazze” L410, dove il mio

posto era a mezzo di tre pia-ni di cuccette alla finestracon una vista sulla strada.Con il blocco sulle ginoc-chia disegnai da questa cuc-cetta ogni cosa che vidi. Fecisolo alcuni piccoli disegnifuori, disegni a matita, al-cuni delle strade e dei cor-tili delle baracche.“Un blocco, una scatola diacquerelli, colori e matite”,ricorda Helga,” “erano nel

mio bagaglio nel viaggio aTheresienstadt. I colori midurarono per circa tre anni.I primi disegni sono fatti sucarta di buona qualità, cheavevo portata da casa, piùtardi usai qualsiasi carta so-no riuscita a trovare. Ho fat-to circa 100 disegni. Gli ar-tisti adulti lavoravano nelcosiddetto “Zeichenstube”(studio), dove erano impe-gnati in diversi disegni tec-

Un libro racconta... “Descrivi ciò che vedi”

Uomodi neve

“Il mio primo disegno a Theresienstadt. Io mostrai segretamentequesto disegno a mio padrenella baracca dove eranoalloggiati gli uomini. Egli disse Disegna ciò che vedi”.Dicembre 1941. (Disegno a penna e inchiostro e acquerelli).

A migliaia i bambini ebreivenivano trasferiti nel campo della morte. “Descrivi quello che vedi”,disse a HelgaWeissova il padre,che non fece più ritorno alla sua Praga

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nici, grafici, piantine, ma-nifesti, ecc. Così essi ave-vano accesso al materialeartistico di cui avevo biso-gno. Mio padre me ne portòdi lì occasionalmente. In se-greto essi facevano dei la-vori d’arte. Nascosero questi dipinti invari posti (un certo numeroè stato salvato) e alcuni so-no usciti di nascosto dalghetto. Se i disegni veniva-no scoperti, gli artisti con iloro familiari erano man-dati alla Fortezza Piccola.Qui venivano uccisi o man-dati in altri campi di con-

centramento. Io fui fortu-nata che nessuno cercò imiei disegni nella casa del-le ragazze. Nello stesso tem-po in cui facevo i disegniche documentavano la vitadi ogni giorno nel ghetto,scrivevo le mie esperienze.Quando nel 1944 fui de-portata ad Auschwitz conmia madre, tre giorni dopomio padre, lasciai i disegnie il diario a mio zio, che linascoste e li salvò”. “Immediatamente dopo laliberazione, nell’estate del1945”, scrive ancora HelgaWeissola “mentre tutto era

ancora fresco nella mia me-moria completai le mie no-te su Theresienstadt con iricordi delle esperienze vis-sute negli altri campi, dovenon avevo avuto la possibi-lità di scrivere o disegnare.Poiché non ci sono foto-grafie di quei tempi, i dise-gni sono la sola testimo-nianza visuale. Io spero diaver creato una grafica, con-vincente e permanente te-stimonianza di quei tempi,in modo che il passato nonvenga dimenticato e che co-se simili non accadano piùin futuro.”

Nel libro sono riportati 46dei 100 disegni che laWeissova concepì duranteil suo internamento e 6 inchiusura eseguiti dopo lasua liberazione dal campodi sterminio di Mauthausen.Ogni disegno è corredato daun breve commento che de-scrive la situazione vissutain quel momento. Si va dalla “Lista di pro-prietà”, in cui i genitori so-no impegnati nella compi-lazione di un inventario deiloro beni, all’arrivo alla for-tezza, alla descrizione del-le baracche con i dormitori.

Terezin

Nelgabinetto

“La mancanza di igiene ela gente che costantemen-te soffriva di dissenteriacomportavano dei gabi-netti zozzi. Le porte nonpotevano essere chiuse edall’esterno c’era sempregente che tentava di for-zarle. Il disegno catturaquesta situazione con unnero humour. (1942 –Disegno a penna, inchio-stro e pennarello).”

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Poi scene di vita quotidia-na quali la cottura e la di-stribuzione dello scarso ci-bo (Helga ci trasmette an-che il “menù”; al mattinosurrogato di caffè, a mez-zogiorno patate con salsa,alla sera caffè o zuppa, 20grammi di margarina o uncucchiaino di marmellata),la pulizia delle baracche edei cortili, fino alla prepa-razione dei trasporti per iltrasferimento dei prigionieriai campi di concentramen-to. Ogni commento rivivela drammaticità della situa-zione, fame, malattie, umi-

liazioni, morte, compresol’inutile arrivo della Com-missione della Croce rossainternazionale, a cui i nazi-sti permettevano di vederesolo quello che volevano.Toccanti i disegni di fanta-sia: Helga sogna per il suo14° compleanno una terradi latte e miele, o di potertornare a Praga, oppure cheuna enorme torta arrivi daPraga sui carri funebri, chenel ghetto servivano per tra-sportare tutto: dal cibo aimorti.Anche quest’opera, che siaffianca alla più famosa

“Poesie e disegni dei bam-bini di Terezin 1942/1944”,pubblicata nel 1959 dalMuseo ebraico di Stato diPraga e proposta in Italiadalla Lerici Editori diMilano nel 1963, contri-buisce a mantenere viva lamemoria contro i “nega-zionisti” e quanti si sono im-posti il “compito” di riscri-vere la storia, forti anche delconsenso concesso ad unuomo della destra post-fa-scista che, non ha esitato arivalutare Benito Mussolini,definendolo il “più grandestatista italiano del secolo

XX”. È bene non dimenti-carlo, come è bene ricorda-re che il fascismo privò perlunghi anni della libertà ilpopolo italiano, quello li-bico e quello etiope; impri-gionò, uccise, torturò gli op-positori politici, scatenò afianco del nazismo una guer-ra sanguinosa come mai eraaccaduto prima. E collaborò servilmente coni nazisti per avviare allo ster-minio avversari politici e in-difesi concittadini. Tragica e orribile conclu-sione di una aberrante teo-ria razzista.

La selezionedelle prigioniere

“Le prigioniere erano im-mediatamente seleziona-te all’arrivo ad Auschwitz ed in seguito ogni tanto. Ciò determinava che quel-le giovani e robuste dove-vano lavorare, mentre levecchie, le deboli, le bam-bine erano inviate alle ca-mere a gas.” Le bambinesotto i 15 anni non aveva-no speranza di sopravvi-vere. (1945/46 – Disegno a pen-na ed inchiostro di china).

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Sette tedeschi,sette esseri umani che ci aiutarono a vivere

Il ricordo

La testimonianza di un deportato italiano a Kahla, dove

Mi ha davvero aiutato, Dio. Anche a tener lontano quelpassato che quando ritorna menoma il cervello e la psiche.Dura un momento ma è terribile: rivedo mio padre mo-rente di fame su un pagliericcio pieno di pidocchi, nellabaracca dei lager E. Accanto a lui altri morenti di fame,chi scheletrito chi gonfio di nefrite. Io devo lasciarlo in ba-racca ogni mattina, devo andare a lavorare sulla collina diWalpersberg. Picco e pala per dieci ore, pioggia, vento,neve. Sì, perché io sto ancora in piedi anche se peso tren-tanove chili alla bilancia dell’infermeria del campo diGrosseutersdorf. Il dottore mi dice che mio padre ed io sia-mo due lavativi, è già molto che lui permetta a mio padredi restare in baracca. A sera quando rientro non so se è an-cora vivo. C’è un fossa comune con calce viva vicino allabaracca, quelli come lui sono tanti. Speriamo che qualcu-no mi aiuti a portacelo se è morto. Da solo non ce la farei. Ho diciassette anni. È un dicembrenero e nevoso. A Natale mio padre, gonfio, livido, irrico-noscibile, non ha più la forza d’alzarsi. Il dieci gennaiomuore. È dal quel giorno del 1945 che mi sforzo di tenerlontano quel passato. Per attenuare il trauma. Per restare nor-male. Ormai ho settant’anni, ci sono quasi riuscito… Diomi ha dato una mano.

Fummo presi nell’agostodel 1944 a Massarosa, pres-so Lucca (Italia), con pochipanni addosso. Venti gior-ni più tardi, dopo una sostaa Dachau, eravamo a Kahla,nel lager E, presso il vil-laggio di Grosseutersdorf.Subito a lavorare sulla col-lina di Walpersberg. Il clima era mite, avevamouna zuppa a Mittagessen(pranzo) e 300 grammi dipane all’Abendessen (ce-na), con salame, o margari-

na o marmellata, qualchevolta burro. Tutti eravamosicuri di sopravvivere, masbagliavamo. Già a fine settembre il fred-do e i pidocchi comincia-vano a mordere. Mancavail tempo di lavarci, e in ognicaso non avevamo né sapo-ne né asciugamano né pan-ni di ricambio. Le docce restavano utiliz-zate solo dai cucinieri, gliinfermieri e i guardiani delcampo.

di Furio Gabbrielli

Agosto 1944 …

…ottobre...A ottobre la buona zuppa diMittagessen fu abolita, cene davamo una alle sei delmattino, acqua e rape, unazuppa miserabile che ci da-va un terribile Durchfall(diarrea). Con quelle pochecalorie in corpo marciava-mo per sei chilometri sotto lasorveglianza di uomini ar-mati per andare a lavoraresul cantiere di Walpersberg;per dieci ore, con una sostadi mezz’ora a mezzogiornoper permettere ai guardianidi mangiare qualcosa.A sera sul cantiere ci resti-tuivano l’Ausweis (tesseri-no) e ci davano l’Abende-ssen Karte (il tagliando per

la cena). Con quel cartellinomiracoloso in tasca ritorna-vamo nal lager E senza al-cuna sorveglianza. I guar-diani erano sicurissimi chesaremmo andati di buon pas-so alla cucina del lager peraver la cosa che più deside-ravamo al mondo : una zup-pa un po’ sostanziosa, conqualche bella patata. A vol-te al posto della zuppa c’e-ra un bel pezzo di pane di300 grammi con un po’mar-garina o di burro. Ma a metàottobre la razione di panepassò da 300 a 150 grammi.Mio padre ed io non avem-mo mai la fortuna di lavora-re negli Stollen (sotterranei)

“Avevo 17 anni e vidi mio padre morire di stenti”. La costituzione di una pista d’aereiche avrebbe dovuto far vincere la guerra a Hitler. Una zuppa miserabile per dieci oredi fatica bestiale nel gelo. Poi … apparvero Karl, Anna Bechmann e gli altri

“Davanti agli abitanti di Massarosa,il 16 aprile del ‘44, vengono fucilati due giovaniragazzi renitenti alla leva, Domenico Randazzo di Agrigento e Vittorio Monti di Camaiore. In risposta a questo infame gesto, i partigiani Taddei e Bertini prendono d’assalto la caserma dei carabinieri e rapiscono il maresciallo,azione della quale vengono ritenuti responsabili tutti gli abitanti di Massarosa che vengono così rastrellati e deportati in massa.”Tra questi c’era l’autore di questa testimonianza.

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gli schiavi cadevano distrutti dalla fatica e dalla fame

...novembre...

...dicembre, gennaio...

al riparo dal maltempo.Durante le dodici ore di vi-ta all’aperto prendevamo tut-

to quello che cadeva dal cie-lo. L’indomani mattina in-dossavamo i panni bagnati.

A novembre il freddo di-venne intenso, ci detteroguanti e mutande lunghe,ma molti di noi comincia-rono ad ammalarsi. Il dot-tore dell’infermeria dava almassimo due giorni di ri-poso per i più gravi. E daparte sua, il Lagerführer (ca-pocampo) intervenne subi-to contro i Drückeberger (si-mulatori, lavativi); chi sidava per malato e restavanel campo avrebbe presosoltanto Halb Portion (mez-za razione) del cibo. E fe-ce scrivere sulle baracchein molte lingue «Chi non la-vora non mangia». Tra i malati c’era chi anda-va a lavorare per non mori-re di fame, spesso qualcunodi loro cadeva di sfinimen-to durante le ore di lavoro.

Nei mesi di dicembre, gen-naio e febbraio i morti au-mentavano. Chi non riusci-va più ad alzarsi la mattinaper andare a lavorare era pra-ticamente alla fine dei suoi

giorni. Avveniva che qual-che guardiano facesse dellozelo: quando uno di noi ca-deva sul cantiere, si prende-va subito una scarica di le-gnate. Il guardiano voleva

Solo se moriva sotto gli oc-chi dei guardiani la sua mor-te veniva registrata perché ilguardiano aveva l’Ausweissdel morto, con nome e fo-to.Quando invece cadeva emoriva dopo il lavoro, sulsentiero che riconduceva allager, la sua morte restavaspesso sconosciuta, qualcu-no infatti si precipitava sulmorto o sul moribondo perimpossessarsi del suoAusweis e soprattutto delsuo Abendessen Karte peravere due zuppe. Quando ilgiorno dopo passava la squa-dra che raccoglieva i cadaveriessa raccoglieva un mortosenza nome.Eravamo più d’un migliaionel solo lager E di Gros-seutersdorf.

assicurarsi che non si trat-tava di un simulatore.I nostri guardiani erano qua-si tutti civili sui sessant’an-ni e oltre. Ben pasciuti, benvestiti, ben rasati, con bafficurati, talvolta anche d’a-spetto signorile. Ma questonon impediva loro di basto-narci quando lavoravamofiaccamente. Il più forte picchiatore di tut-ti era il gran capo, l’inge-gnere, un uomo d’una qua-rantina d’anni, coi denti in-cisivi prominenti, semprevestito di nero. Lui volevamostrare ai guardiani comesi trattavano gli Untermen-schen (i sottouomini, gli es-seri inferiori). Tali infatti era-vamo per sporcizia e debo-lezza fisica.Mi sono domandato tantevolte come avveniva che gliuomini d’aspetto così civilepotessero mettere tanto ze-lo in un lavoro che richie-deva di essere tanto bestia-le. L’unica spiegazione chemi davo era che questi uo-mini si erano lasciati robo-tizzare dalla propaganda per-ché non avevano avuto il co-raggio di reagire alla propa-ganda stessa. Insomma, era-no dei codardi. Ed estende-vo questo giudizio a tutti itedeschi.Dovetti ricredermi quandoincontrai Karl e Anna Bech-mann, di Kahla.Una mattina la mia squadra

fu mandata alla stazione fer-roviaria di Kahla per scari-care longarine di ferro daivagoni e ricaricarle su ca-mion. Dieci ore di questo la-voro senza mangiare sottouna pioggerella freddissimadi dicembre. A sera, quando attraversa-vamo Kahla per rientrare allager con il nostro miraco-loso Abendessen Karte misentii mancare le forze. Miappoggiai a una stacciona-ta di legno presso il cimite-ro, non so per quanti minu-ti. I miei compagni mi ab-bandonarono, avevano trop-pa fame per occuparsi di me.D’un tratto comparvero da-vanti a me un uomo e unadonna lei un po’più alta, conuna grande capigliatura bian-ca. C’era un po’di luna, ve-devo che mi stavano guar-dando. Mi avvicinarono, perguardami meglio.«Oh… so jung…» (oh, cosìgiovane) disse lei. La voceera piena di pietà. «Wie altbis du?» (quanti anni hai?)chiese lui. «Siebzehn», (di-ciassette) risposi.Mi sembrava un miracolo.Era la prima volta che ve-devo dei tedeschi provarepietà. Ciò mi dava forza elucidità, il mio tedesco di-ventava efficace, rispondevoa tutto, dicevo chi ero, che imiei compagni mi avevanoabbandonato che avevo ilmio Abendessen Karte in ta-

Furio Gabbrielli e la sorella nel settembre2000, a Kahla,quando portarono fiorialla fossa comune dove si trovano i resti del loro padre.

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L’orrore del campo nel libro

di un giovane storicoA Kahla, in mezzo ai bo-schi della Turingia, nel1944-45 i tedeschi co-struivano una pista di lan-cio per aerei tanto “spe-ciali” che avrebbero dovu-to far vincere la guerra aHitler. Nei boschi c’eranoun centinaio di campi diconcentramento e in essivarie migliaia di deporta-ti, riserva inesauribile dischiavi.Un giovane professore te-desco di storia, WillySchilling, nel corso di una ricerca d’archivio scoprì do-cumenti che provavano che quei campi detti «di lavo-ro» erano, in verità, campi di sterminio: infatti il 63%della mano d’opera vi figurava morta di fame.Un suo libro intitolato “Kahla”, sulla storia della cittàdel 1919 al 1949, Geiger editori, stampato a Horb sulNecker, ha avuto successo fin dalla prima edizione.Successivamente l’autore venne informato che un so-pravvissuto italiano, Furio Gabbrielli, poteva testimo-niare la condizione disumana cui erano costretti i de-portati. Willy Schilling gli chiese - qualche anno fa -una testimonianza “diretta e soggettiva”. Testimonianzache è apparsa nella terza edizione del libro, tradotta intedesco alle pagine 141-145, che pubblichiamo nel te-sto originale in italiano.

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Sette tedeschi,sette esseriumani che ci aiutarono a sopravvivere

sca, che in baracca mi aspet-tava la zuppa, che pure miopadre mi aspettava… se eraancora vivo.La signora dai capelli bian-chi mi disse allora che il suonome era Bechmann che abi-tava a Rollestrasse 15, chevoleva darmi da mangiare…«Bitte komme. vergiss ni-cht…» (vieni, non dimenti-care) anche domani… Il ma-rito annuiva. Raggiunsi il la-ger in un baleno, mangiai lamia zuppa, andai alle doc-ce, mi grattai un po’di spor-cizia dalla faccia e dal collo.L’indomani sera da Walper-sberg mi precipitai a Kahla,Rollestrasse 15. Frau Bech-mann e suo marito mi ac-colsero con un amorevolesorriso. Mangiai.Due giorni dopo stessa ope-razione… e poi di nuovo.Mio padre morì il dieci gen-naio, ma prima di morire eb-be la certezza che almenoper il momento io non sareimorto di fame. Fu, credo, lapiù grande gioia della sua

vita. Gliela avevano dataKarl e Anna Bechmann. Loro non si erano lasciati ro-botizzare. Avevano conser-vato il coraggio di avere pietàe di disubbidire a un regimeche li voleva crudeli.I Bechmann stavano ri-schiando ma erano decisi afare di tutto per salvarmi. Ungiorno mi dissero « I vicinisi sono accorti che vienispesso qui… è pericoloso…per un paio di settimane nonfarti più vedere… vai da FrauFanny Herzer, ti spetta, hogià parlato con sua figliaRosemarie… ti daranno damangiare loro… poi torna atrovarci…»Frau Herzer abitava a BibraerStrasse con figlia e genitori.A due passi da Walpersberg,facile raggiungerla.Sapevano già tutto di me. Aloro si unì frau Hannemann,vicina di casa e parente.Mangiavo da loro anche trevolte la settimana. Poi pre-si a fare la spola tra loro e iBechmann. Il miracolo con-

tinuava e io stavo fiorendo.Quando arrivarono gli ame-ricani ero un diciottenne dal-l’aspetto quasi normale.Nella baracca del lager, imiei compagni sopravvis-suti erano meno della metà,sembravano larve.Karl e Anna Bechmann, frauHannemann, frau Herzer coigenitori e la figlia Rosemarie.Sette esseri umani che con-servarono il coraggio di re-stare umani in un periodo incui ai tedeschi si chiedevadi essere inumani.Il mio giudizio su tutti i te-deschi è sempre stato con-dizionato da queste sole set-te persone.

Il ricordo

Il propulsore di una bomba a razzo V2 per cui veniva costruita la rampa di lancio dai detenuti a Kahla.

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A Mauthausen per raccogliere il giuramento dei deportati

Nell’anniversario della liberazione del campo

La commemorazione al Memorial italiano.

1500 partecipanti, di cui 500 dalla Toscana.

Più di 50 gonfaloni dei Comuni italiani.

Mauthausen, 5 maggio 2002,57° anniversario della libe-razione. Davanti al Memorialitaliano, oltre 1500 nostriconcittadini commemoranogli oltre 7000 caduti in que-sto lager, e tutte le vittimedei campi di concentramen-to. Sono superstiti e i lorofamigliari, studenti, ammi-nistratori locali. Molti, cinquecento, i tosca-ni guidati dal presidente del-la loro Regione, On. Martini. Più di 50 i gonfaloni deiComuni. L’incontro “dellaMemoria” è aperto da ItaloTibaldi che con poche, com-mosse parole ricorda la pri-gionia e le ore della libera-zione di Mauthausen eEbensee.Subito dopo l’intervanto del-l’ambasciatore d’Italia aVienna, Pierluigi Rachele,un discorso chiaro e corag-gioso, di totale solidarietà epartecipazione. L’addetto militare e il Con-sole depongono una coronaai piedi del Memorial.Poi le parole del presidentedel liceo Gramsci di Ivrea, asollecitare ancor più l’im-pegno delle istituzioni sco-lastiche e delle famiglie nel-la costruzione e nel raffor-zamento della Memoria, co-me diga a difesa delle gio-vani generazioni di fronte alpericolo del ripetersi di im-mani tragedie.Un famigliare dei deportatirichiamandosi alle parole diuna preghiera ebraica, con-

ferma l’impegno, laico o re-ligioso che sia, a credere “no-nostante”. Credere nell’uomo, nella suaforza, nella sua capicità dilibertà.Luisa Laurelli, consiglierecomunale romana, e a lun-go presidente del Consigliocapitolino, a nome deiComuni italiani pronunciaparole che ribadiscono i le-gami con la storia della de-portazione e con la scelta ir-reversibile dell’antifascimo.La lettura della storia, ha det-to tra l’altro - “con il passa-re dei decenni deve esserelimpida a cominciare dal ri-conoscimento delle respon-sabilità che nessuno potràmai cancellare. La pietà per i morti non puòannebbiare la verità. Perchéla morte rende tutti ugualima non può negare le re-sponsabilità e le scelte indi-viduali e collettive.Si dice che il secolo appenapassato sia stato il più buio,quello di due guerre mon-diali con milioni di morti.Questo nuovo secolo si èaperto all’insegna delle guer-re, delle sopraffazioni, dinuove forme terribili di ter-rorismo, di istituzioni mon-diali insufficienti, con Paesiche sempre più si arricchi-scono a spese di quelli po-veri.Nella nostra civile Europa -ha ricordato - si affermanopolitiche di esclusione, po-litiche razziste, la negazione

dei diritti delle persone.Fenomeni di regressione cul-turale che giustificano leguerre e cancellano dirittifondamentali (il diritto al la-voro, all’autodeterminazio-ne, il diritto alla vita), chedanno dignità alla persona.Troppo spesso culture su-perficiali e qualunquisticheod oppressistiche tendono amettere sullo stesso pianovincitori e vinti, carnefici evittime. Non dobbiamo dimenticaremai, qui come nelle nostrecittà, quello che è stato: nondobbiamo consentire la di-storsione dei fatti della sto-ria”. Luisa Laurelli ha citatoPrimo Levi: “Ogni stranieroè nemico. Per lo più questaconvinzione giace in fondoagli animi come una latenteinfezione; si manifesta in at-ti saltuari e scoordinati e nonsta all’origine di una situa-

zione di pensiero. Ma quan-do questo avviene allora, altermine della catena, sta illager.”“Cari anziani sopravvisuti atanto orrore”, ha conclusol’oratrice, “Siamo qui perprendere il testimone da voi.Ai giovani e a tutti, chiedia-mo di condividere e di ac-cettare il giuramento che ideportati scrissero e appro-varono alla liberazione diMauthausen. Esso si chiude così: Nel ri-cordo del sangue versato datutti i popoli, nel ricordo deimilioni di fratelli assassina-ti dal nazionalsocialismo,giuriamo di non abbando-nare mai questa strada. Vogliamo erigere il più belmonumento che si possa de-dicare ai soldati caduti perla libertà sulle basi sicuredella comunità internazio-nale: il mondo degli uominiliberi”.

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Le iniziative per una intera settimana. L’incontro degli

Giornatadella

memoria

Nel nuovo millennio - hanno scritto i ragazzi della scuola elementaredi Spezzano Albanese presentando le loro iniziative - si festeggia la 2°giornata della Memoria, in ricordo dello sterminio e delle persecu-zioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani neicampi nazisti. Gli alunni della scuola elementare di Spezzano Albanese voglionocontribuire affinché il ricordo delle pagine più tristi della nostra sto-ria di uomini non si cancellino nella nostra memoria.

Ecco come l’ha vissuta la scuolaUn gruppo di ragazzial convegno nella sala consiliare.

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alunni con gli insegnanti. Dai film sulla Shoah un contributo alla riflessione

IL NOSTRO PAESE, TERRA DI IMMIGRATI

elementare di Spezzano Albanese

Rappresentiamo la scuola elementare di Spezzano Albanese,un paese di origine Arbëreshe, fondato nella metà del se-colo XV dai profughi fuggiti dall’Albania, in seguito al-l’invasione dei turchi. La lingua parlata oggi da noi Arbëreshe è il “tosco”, undialetto del sud dell’Albania, ma che purtroppo va manmano scomparendo perché i ragazzi sono abituati dai lorogiovani genitori, più intellettualizzati rispetto alle genera-zioni passate, a parlare la lingua iataliana. Però nel cuore di noi ragazzi ci sono dei valori e delle tra-dizioni che i nostri genitori ci hanno tramandato e che ci por-tano a pensare alle sofferenze e alle miserie che i nostri an-tenati hanno affrontato nel venire qui.

Ed è per questo che tutti noi siamo disponibili ad acco-gliere i profughi albanesi, che lasciano la loro patria perun avvenire migliore, per cercare quella libertà che è la“molla” del vivere umano.Accogliendo l’invito del nostro dirigente scolastico a ce-lebrare la “Giornata della Memoria” ci siamo prodigati,aiutati e guidati dai nostri docenti, a ricordare, analizzaree meditare i fatti terribili della Shoah. Che il loro sacrifi-cio rappresenti per noi la fine del terrore e l’inizio di unmondo di pace.

Gli alunni della scuola elementare di Spezzano Albanese(Cosenza)

I NOSTRI

RAGAZZI

Le iniziative per dare un “fu-turo” alla Memoria si sonosviluppate nell’arco di unasettimana.Gli alunni, dalla prima ele-mentare alla quinta e i do-centi, hanno assistito allaproiezione dei film sull’Olocausto: La vita è bellaregia di Roberto Benigni,Jona che visse nella balena,di Roberto Faenza, Il diariodi Anna Frank, di GorgeStevens; Un ebreo in fuga(18000 giorni fa) diGabriella Gabrielli, che han-no contribuito a far riflette-re sulle problematiche del-la Shoah.Le loro scene ci hanno mes-so di fronte a terribili even-ti che non potevano emer-gere da uno studio cartaceo.L’attività è proseguita convarie riflessioni sugli even-ti storici e si sono concre-

blica istruzione. Durante l’incontro gli alunni hannopresentato poesie, canzonied elaborati dedicati agliinternati di Ferramonti, luo-go di sofferenza e di isola-mento dai propri affetti edalle proprie abitudini divita. Tutto ciò ha rappresentatoun momento di straordina-ria ricchezza. La manife-stazione è stata organizzatada una commissione desi-gnata dal Collegio dei do-centi, composta dalle inse-gnanti:

Vincenzina Bevacqua Emilia Oriolo

Giuseppina Sirangelo Anna Maria Squillace

Coordinata dal collaboratore

vicario Antonio Bosco

Una mostra “racconta”le emozionitizzati con la realizzazionedi numerosi pannelli.La manifestazione si è con-clusa con un convegno nel-la sala consiliare del Comu-ne, nella quale per l’ occa-sione, è stata allestita unamostra di lavori realizzatidagli alunni, con grande im-pegno e fervore. Al conve-gno, dopo il saluto del pre-sidente del Consiglio di cir-colo, Damiano Libonati el’introduzione del sindaco,

Marcello Corsina, hanno pre-sentato relazioni il dirigen-te scolastico GiuseppeMontone e l’ ispettore tec-nico del MIUR FrancescoFusca.Hanno portato una testimo-nianza diretta sul tema del-la “Memoria” l’editoreWalter Brenner e IsaccoNuna, figli di ex deportari.Hanno concluso i lavoriDonatella Laudadio, asses-sore provinciale della pub-

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In visita al campo di internamento a Ferramonti, i ragazzi delle scuole sono

Oggi è stato un giorno in-dimenticabile.Come ogni giorno sono an-data a scuola. Da lì alle no-ve siamo andati a visitare“Ferramonti di Tarsia”, ilcampo di concentramentodella Calabria, noto ancheper la solidarietà tra gli in-ternati e gli abitanti del luo-go. Ci siamo messi in viag-gio con quattro pulmini esiamo partiti.Durante il percorso io eRosita ammiravamo il me-raviglioso paesaggio che ciaccompagnava, mentre pen-savamo che tra pochi mi-nuti saremmo giunte al cam-po di concentramento.Che impazienza! Che ten-sione! Tutti non vedevamol’ora di arrivare, e final-mente questo momentogiunge. Era incredibile, ve-dere quello scenario di ba-racche rotte che mi porta-va alla mente il ricordo digente costretta a morire.Tutto mi sembrava un so-gno! Scendiamo dai pul-mini ed entriamo nel cam-po, dove ad attenderci c’e-rano il vice sindaco diTarsia, che ci ha parlatodella storia del campo, e ilsindaco che ci ha raccon-tato la vita che gli ebrei do-vevano affrontare ognigiorno con la paura di es-sere uccisi. Il vice sinda-co ci ha ricordato che ilcampo sorse nel 1940 nelcomune di Tarsia, che lebaracche erano 92 e che gliinternati oltre 2000. Inoltre,facendoci visitare varieparti del campo, ci ha nar-rato che per lavarsi gli ebreivenivano portati al fiume

Crati dal loro comandante.Un uomo con un gran cuo-re, che “considerava” il suoprossimo e che non facevamancare niente ai suoi in-ternati, che aumentavanoogni giorno di più.Visitando il campo, osser-vando che ormai delle nu-merose baracche ne era ri-masta alcuna, pensavo aquanta storia, a quanto do-lore e a quanta sofferenza

si nascondeva dentro di lo-ro. Ero tanto felice e tantoemozionata di visitareFerramonti, che rimasi zit-ta ad osservare ed ascolta-re quasi tutto il tempo. Dico quasi, perché ad uncerto punto della giornatala mia maestra di italianoPina Melicchio, mi di-ce:”Angela, l’hai portata lapoesia?” “si” le risposi, “eallora tra pochi minuti an-

drai a recitarla”. Ed è pro-prio in questo momento cheho sentito la mia tranquil-lità andarsene e lasciare po-sto ad una tremenda agita-zione. Mi sentivo tanto nervosache ad un certo punto non hopiù capito nulla. Ho sentitosoltanto il mio nome e misono ritrovata a recitare lamia poesia. Immaginatequesto momento! Il mio cuore si “sentiva” piùdella mia voce. Mi miserovicino al monumento dedi-cato agli eroi, cioè gli ebrei,accanto al sindaco; mi fecicoraggio e cominciai la miapoesia. Ah! che sollievo, finalmentel’ansia era finita insieme al-la poesia; e con grande or-goglio ho sentito un enor-me applauso, sentendomiuna star! che bello! ce l’a-vevo fatta! A seguirmi c’er-ano Di Sanzo e Di Novi, duemiei compagni di classe chehanno recitato con me le lo-ro poesie, anch’esse moltobelle. Ed ecco che giunge il mo-mento del rientro, con unpo’di malinconia risaliamosui pulmini. Io e Rosita, come all’anda-ta, ci siamo messe vicino alfinestrino riprendendo aguardare il paesaggio cheprima ci aveva visto arriva-re al campo; però al con-trario dell’ andata, guarda-vamo tutto con aria più tri-ste, perché stavamo per la-sciare un posto da non di-menticare.

Angela Toma(Scuola elementare VD)

“Quante sofferenze in quelle baracche”

Campo Ferramonti: i ragazzi alla deposizione di una corona alla lapide che ricorda gli internati

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stati accolti dal sindaco e dal vice sindaco di Tarsia

I NOSTRI

RAGAZZI

“Vogliamo ricordare per dire mai più”

“ Ghetto novo “, questa è lascritta che appare quandosi entra nel Ghetto degliebrei, dove ancora oggi vi-ve la piccola comunità ebrai-ca di Venezia. Di tutte le co-se che ci sono nel quartiereebraico ce n’è uno in parti-colare, che rimane impres-sa nel ricordo: una sempli-ce lapide di commemora-zione dell’ Olocausto chechiude con queste parole:“… nell’ora dell’ inumanaviolenza “.Una frase tremendamentevera che ci fa capire la cru-deltà di cui l’uomo può es-sere capace. Non pensiamosolo alla follia nazista, ma atutte le volte in cui, anchein tempi recenti, l’odio e lastoltezza della violenza han-no avuto ragione dei vinti edei vincitori. Noi, comescuola, vogliamo ricordaretutti coloro che sono statistraziati nel fisico e nell’animo fino ad essere nonpersone. Vogliamo ricordare per di-re mai più. In Europa ci fu-rono molti campi di con-centramento nazisti, tra i piùimportanti, ai tempi della

seconda guerra mondiale,ricordiamo:Austria (Hartheim-Mauthausen);Polonia(Auschwitz-Treblinka-Majdanek-Sobibor);Germania(Flossenburg-Buchenwald-Dachau-RavensbruckSachsenhausen);Francia(Natzweilzer-Struthof).In Italia ricordiamo i cam-pi di Fossoli e Bolzano. La Risiera di San Sabba aTrieste, fu uno dei lager piùspietati. Nel sud d’Italia trai più importanti campi di in-ternamento, ricordiamo“Ferramonti di Tarsia” inprovincia di Cosenza, cheè stato il più grande ma an-che il più umano. Ferramonti è molto vicinoall’ubicazione della nostrascuola e anche per questomotivo il dirigente, gli alun-ni e i docenti hanno volutovisitarlo un occasione del-la giornata della Memoria,con la deposizione di unacorona di alloro al monu-mento dedicato agli inter-nati.

La lapide eretta il 25 aprile 1990 a monumento nel campoFerramonti. Ancora oggi ilricordo degli internati è vivo tra le persone che li hanno conosciuti

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Quanti pianti,quanta tristezzaquante urla, c’erano in quel luogo;lì nessun uccello si avvicinava con il suo meraviglioso canto,dove neppure l’erba cresceva.Tutto cessava di vivere,la vita si spegneva in quei luoghibui e paurosi.Ognuno cercava di evitare;ma era tutto inutile.In quei campi di concentramento La libertà negata Uccideva ogni creaturaChe contro di questi non poteva nulla.

Teresa di Novi / classe V C

Neppure l’erba cresceva

Il ricordo e il dolore

I campi di concentramento, la guerra, lo sterminio, lepersecuzioni nazifasciste (in particolare contro gli ebrei),sono stati “il filo” che lega le poesie scritte da alunni del-la scuola elementare di Spezzano Albanese.I N

OSTRI

RAGAZZI

Uno tra i dolori che pesano sulla memoriaÈ legato al tragico destino degli ebrei nella storia.Di quel periodo, per me abbastanza lontano,ancora oggi non si parla mai invano.Non vi era gioia, amore e altruismoMa solo un tenace e perfido razzismo.La guerra, la fame e la sofferenza,portata sino ai giorni miei,ricordano il pianto straziante dei poveri ebrei.Il sogno per essi di una vita colorata,persa nella realtà di una esistenza spezzata.L’indescrivibile sofferenza che avvolse Ferramonti,distrusse ad ogni bimbo rosei orizzontidi un futuro nuovo, senza volti ostili,senza immagini aberranti e spari di fucili.Il marciare prepotente di stivali minacciosi,pronti a spezzare pochi momenti di speranza gioiosi.… bambini!!! Venite a giocare!!!Ma era solo un pretesto … “TI DEVO AMMAZZARE”.Ma il cuore innocente di ogni bambino,pulsava nuove speranze dal più grande al più piccino.“non riesco immaginare un mondo,con miseria e morte,anche se a volte ogni speranza sembra averchiuso le porte”.“Nonostante tutto, in fondo al cuore,voglio ancora credere che l’uomo abbia amore”!

Angela Toma / classe V D

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Guerra, guerra, guerraNon è:nient’altro che odio,nient’altro che distruzione,nient’altro che morte tra i popoli.Nei campi di concentramentoGli uomini spogliati della loro DIGNITA’,trattati come schiavi,trattati come bestie fino alla morte.Nessuna pietà,nessuna umanità per quei bimbi innocenti impauriti e sfiniti.Guerra, la più grande macchia di morte,che noi ragazzi del 2000 la cancelleremo con pace, pace, pace.

Pettinato Simona / classe IV A

Spogliati della dignità

La vita

Eccoli, tutti in fila con le loro giacche a righee le stelle sul petto,marchiati, come bestie.I loro occhi spiritati,pieni di tante storieche ormai non servono più a nulla.Donne, uomini, bambiniChe non hanno più futuroE che finiscono In una nuvola di fumo.

Rossella Ferrari / classe IV C

Con gli occhi pieni di storie

La vita così preziosa,così bella,così fragile,nessuno ha il diritto,in qualunque momento,per inutili motivi,di spezzarla o di rubarla.Nessuno è padrone Della vita Degli altri.In un attimo di Crudele stupiditàFinirla, distruggerla.Allora cos’è la vita?È solo un soffio,è come la fiamma di una candela spenta dal vento dell’odioe dalla cieca follia.

R. Gerardi / classe IV C

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Il più grande campo di concentramento del fascismo

Il 20 giugno 1940 il campodi Ferramonti di Tarsia entraufficialmente in funzione mala sua struttura sarà com-pletata solo col tempo. Il ser-vizio di vigilanza era affi-dato per la guardia esternaa militi fascisti mentre perla guardia interna c’eranoagenti di pubblica sicurez-za comandati dal marescialloGaetano Marrari. Nel luglio 1940 il campocontava circa un centinaiodi internati, per il momentosolo uomini, tutti ebrei stra-nieri arrestati nelle maggio-ri città del nord Italia. Nelmese di settembre giungo-no a Ferramonti duecentoebrei provenienti da Bengasi.È il primo gruppo compostoanche da bambini e da don-ne. Essi vengono dalla Libiae da altri Paesi dell’Europacentro-orientale: volevanoproseguire clandestinamen-te per la terra promessa.Ferramonti con il loro arri-vo tocca le 700 presenze. Nell’inverno del 1940-1941le baracche ultimate sono 92ed il campo viene delimita-to dal filo spinato. Il 22 mag-gio 1941 monsignor Fran-cesco Borgoncini Duca, nun-zio apostolico presso il go-verno italiano, visita per con-to del Papa il campo. Il risultato è che a Ferramonti

di Tarsia viene ospitato uncappellano, padre CallistoLopinot, un cappuccino diorigine alsaziana. Nell’autunno-inverno 1941Ferramonti ospita i primi in-ternati non ebrei, cittadinicontrari al regime diMussolini ritenuti dunquepericolosi: sono sloveni ecroati catturati in Jugoslavia.A questi si aggiungono ungruppo di internati cinesicatturati in Italia o trasferi-ti da altri luoghi di interna-mento. Gli ospiti sono circa 800.Nell’autunno-inverno 1942da Rodi, isola che appartie-ne all’Italia fascista giun-gono a Ferramonti i cosid-detti “profughi di Pentcho”.Si tratta di 500 ebrei per lopiù slovacchi i quali nellaprimavera del 1940 a bordodi una “carcassa del mare”,appunto il piroscafo “Pen-tcho”, avevano tentato di rag-giungere la Palestina per-correndo il Danubio fino alMar Nero. Naufragati nelle acquedell’Egeo e tratti in salvo dauna nave italiana, furono in-ternati a Rodi per più di unanno e poi trasferiti aFerramonti. Il 24 marzo 1942il rabbino capo di GenovaRiccardo Pacifici visita ilcampo, confortando i reclu-

Il 4 giugno 1940 il comune di Tarsia delibera la conces-sione di un lotto di terreno demaniale destinato alla co-struzione di un campo di concentramento per “inter-nati civili di guerra”.

In breve tempo diventerà il più grande campo sorto inItalia a questo scopo. Esso ospiterà gli ebrei e gli apoli-di presenti in Italia nel periodo della seconda guerramondiale.

La Sinagoga (sopra) e alcune baracche del campoFerramonti.

Una scheda su Ferramonti di Tarsia, in Calabria

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Sicilia: la memoria in decine di scuole

Catania Due incontri alla scuola me-dia “Giacomo Leopardi”(dibattito con studenti e do-centi e la partecipazione delpreside) e al Liceo classicoMario Cutelli, dove l’aulamagna ha ospitato un con-vegno di studenti a conclu-sione di un seminario di ri-cerca in occasione del 25Aprile e della riccorenzadella seconda guerra mon-diale. Hanno partecipato anche fa-migliari dei ragazzi, insiemeal preside e agli insegnanti.Nunzio Di Francesco haconcluso ricordando il prof.Carmelo Salanitro, docen-te dello stesso Istituto, mor-to a Mauthausen il 24 apri-le 1945. Una corona d’alloro è statadeposta accanto alla lapideche ricorda il 57° anniver-sario della sua scomparsa.

Randazzo “Saltano” gli orari - allascuola media “De Amicis”,per l’incontro del rappre-sentante dell’Aned con stu-denti, docenti e il presidesulla Resistenza e la depor-tazione. Sono stati necessari due tur-ni per far fronte alla vastapartecipazione al dibattito.Sempre a Randazzo, per ini-ziativa del prof. NunzioRaineri, docente delle scuo-le superiori, incontro congli studenti degli istitutiCommerciale, Agrario ecc.nell’aula magna.

I giovani avevano già com-piuto numerose ricerche uti-lizzando l’archivio storico diBolzano, in particolare suMauthausen, dove molti diloro si erano recati in visi-ta di studio. All’introduzione di NunzioDi Francesco, sono seguitimolti interventi, suscitan-do un interesse che ha fatto“saltare” anche gli orari difine lezione.

AcirealeDiverse classi di studenti(con la partecipazione deidocenti) dell’istituto tecni-co industriale “G. Ferrari”hanno accolto Di Francescoe il prof. Rosario Man-giameli, storico, che ha con-cluso il dibattito ricco di in-terventi.

GiarreIl sindaco prof. GiuseppeToscano e il presidente del-la società “Storia patria ecultura” Girolamo Barletta,hanno organizzato un in-contro, con relatore DiFrancesco. È seguito un in-tenso dibattito. Nell’occasione è stata alle-stita una mostra fotografi-ca su Mauthausen, a curadegli studenti del liceo clas-sico “Michele Amari”. Molti i giovani presenti coni loro famigliari, insieme aidocenti e a numerosi citta-dini. Presenti anche alcuni par-lamentari e giornalisti in unasala affollata.

Numerose le iniziative anche in Sicilia per dare un “fu-turo alla Memoria”. Ad esse ha partecipato, in rap-presentanza dell’Aned, Nunzio Di Francesco, già de-portato a Mauthausen.

si. Morirà ad Auschwitz il12 dicembre 1943.Nell’autunno del 1942 giun-gono al campo 300 cittadinigreci deportati dal loro Paesee dalla Libia. Nello stesso periodo arriva-no a Ferramonti tre giovaniebrei polacchi catturati alBrennero, i primi a raccon-tare delle deportazioni na-ziste e dell’esistenza delcampo di sterminio diTreblinka e della loro fugada un campo di lavoro. Nel gennaio 1943 il diretto-re del campo Paolo Salvatoresarà rimosso dall’incaricoperché accusato di atteggia-menti benevoli verso gli in-ternati. Nel marzo del 1943giunge come direttore ilcommissario di poliziaMario Fraticelli che rispet-terà tutte le “anomalie” viavia costituitesi nel campocompreso il “tribunale spe-ciale” o “l’assemblea dei ca-po baracca” o “la scuola”nello spirito di autonomia edi gestione dell’organizza-zione che gli internati si era-no dati. Nello stesso periodo giun-gono da Viterbo,Asti,Aosta,un centinaio di internati fran-cesi provenienti dalla Corsicacon altri 200 jugoslavi e 50antifascisti italiani. I 27 agosto 1943 alcuni ae-rei alleati che probabilmen-te scambiarono il campo peruna base militare mitraglia-no una baracca uccidendoquattro internati e ferendo-

ne undici. Ferramonti il 29agosto 1943 raggiunge la ca-pienza record di 2019 inter-nati. Il Ministero dell’Interno ave-va disposto lo sgombero ela chiusura del campo, tut-tavia, a causa dell’interru-zione delle linee telefonichecalabresi, l’ordine non giun-ge a destinazione. Il 7 set-tembre 1943 il direttoreFraticelli va a Roma persbloccare la situazione manel frattempo molti interna-ti, nel timore dell’arrivo deitedeschi, scappano sulle col-line circostanti. Sette gior-ni dopo il campo viene li-berato dalla 8a ArmataBritannica. Ferramonti fu ilprimo campo europeo libe-rato dagli alleati e diventaun campo profughi sotto ilcontrollo militare alleato.Molti dei fuggiaschi torna-no dalle montagne. Fra ilsettembre 1943 e il gennaio1944 numerose sono le par-tenze e i trasferimenti di ex-internati verso Cosenza, Barie altre città del sud. Altri vanno in Egitto,Palestina, gli Stati Uniti.Nell’aprile 1944 a Fer-ramonti ci sono 930 persone,in agosto 300. Nel dicembre1945 il campo viene chiusoper sempre.

(ndr: la scheda è stata com-pilata sulla traccia di unaricerca compiuta dalla ProLoco e dall’AmministrazioneComunale di Tarsia)

I NOSTRI

RAGAZZI

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Viaggio – studio degli studenti di Orbassano nel lager

Il significato di una visitanel lager tedesco con gli stu-denti mi pare che sia prin-cipalmente in queste paro-le: un pellegrinaggio in luo-ghi sacri della sofferenzaumana come percorso di co-noscenza per preservare lamemoria e la vigilanza de-mocratica dei giovani.Ma l’esperienza è resa uni-ca dall’emozione suscita dalracconto dei reduci: sonostati gli ex deportati BeppeBerruto e Giorgio Ferreroad accompagnare gli stu-denti, noi insegnanti e il pre-side del liceo “Amaldi” diOrbassano (Torino) nel viag-gio a dachau, Monaco eUlm.Ciò che colpisce sempre iragazzi che ascoltano le te-stimonianze della deporta-zione è l’amore per la vitache traspare dai racconti diviolenza e di morte degli ex– prigionieri. Il viaggio a Dachau o a

Mauthausen, Ebensee e al-tri campi di sterminio nonè un viaggio triste.L’angoscia, lo stupore, leforti emozioni di fronte alpiazzale dell’ appello, allebaracche, ai forni cremato-ri, sono compensati dallaforte vitalità umana degliaccompagnatori. Viviamo insieme per cin-que giorni, viaggiamo inpullman tutte le ore di unlungo percorso, ci sediamoa pranzo o davanti a una bir-ra insieme, condividiamoogni fatica.Fin dal primo incontro i ra-gazzi parlano con questi an-ziani signori, che potreb-bero ispirare un reverenzialeimbarazzo, con la stessa fa-miliarità che usano con icoetanei. Si danno del “tu”,conversano, ascoltano mu-sica, si commuovono, bal-lano insieme.“Beppe Berruto è straordi-nario, vorrei adottarlo co-

“Il revisionismo storico ha la possibilità di espandersiquando la gioventù democratica non ha abbastan-za conoscenze. Esso gioca sull’ignoranza”.(Emma Alborghetti, guida a Dachau)

Angoscia,emozione,impegno:lezione di storiaa Dachau

I NOSTRI

RAGAZZI

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me nonno”, mi ha detto unostudente del gruppo.Così, nel modo più naturale,alla narrazione della morte siassocia una concreta certez-za di vita, e noi tutti consta-tiamo con meraviglia che sipuò dare un senso anche all’esperienza più estrema: sce-gliendo di ispirare la propriaesistenza, anche da anziano,ad un’energia vitale che vin-ce ogni disperazione.A Ulm abbiamo visitato lafortezza di Kuhber, uno deiprimi campi di concentra-mento nazisti, e la morte del-la resistenza al nazismo delmovimento della “Rosa bian-ca “, i cui due ispiratori, ifratelli Scholls, furono uc-cisi a poco più di vent’anni.Un piccolo e oscuro monu-mento ricorda questi giova-ni su una strada della città euna targhetta riporta le loroparole di sfida ai nazistitrionfanti:“Wir schweigen nicht.Wir

sind Euer schlechtesGewissen. Die weiesse Roselassat Euch keine Ruhe”(Noi non stiamo zitti. Noisiamo la vostra cattiva co-scienza. La “Rosa bianca”non vi lascerà in pace).Eppure Sophie Scholls, de-capitata a 21 anni per la suaresistenza civile al nazismo,nella bufera della persecu-zione scriveva ad un’amica:“Cara Lisa, nonostante tut-to questo, considero la vitacosì ricca e buona. Forsedobbiamo scoprire che ab-biamo un cuore e farlo par-lare”.Per far parlare tra loro i gio-vani in un comune spirito dipace, abbiamo organizzatol’incontro dei nostri studenticon i giovani allievi delGymnasium di Blaubeuren,vicino ad Ulm.

Alessandra Terrile insegnante

ed accompagnatrice del viaggio a Dachau

“LA MIA AMMIRAZIONE

PER GLI EX DEPORTATI”

“Tutto mi sarei aspettata da un ex – deportato, fuor-ché l’allegria e la gioia di vivere, che in alcuni mo-menti sono davvero tangibili, e l’entusiasmo e lapassione che Beppe mette in tutto ciò che fa… un en-tusiasmo genuino e trascinante che supera di granlungo il mio… un entusiasmo che è la conseguenzadi un dolore immenso che posso solo provare adimmaginare e che mi lascia sgomenta. Anziché rifugiarsi nella sofferenza, il signor Berrutoe il signor Ferrero lo gridano il loro dolore, ma lo fan-no senza rabbia ne odio, solo con la consapevole ac-cettazione di chi non ha potuto scegliere, ma si ètrovato a vivere una vita che certo tanto giusta nonlo è stata!.A loro va tutta la mia ammirazione. Grazie per lavostra testimonianza! (da una riflessione di una studentessa di quinta del Liceoscientifico “Amaldi”, al ritorno dal viaggio a Dachau)

Due momenti del viaggio dei giovani di Orbassano. Sotto, durante la visita al campo di Dachau e, a sinistra,mentre ascoltano, a Ulm, una testimonianza sul movimentoantinazista “Rosa Bianca”.

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Wilhelm Furtwängler innocente o colpevole?

di Ibio Paolucci

“Ascoltate Beethoven eWagner e sterminate gliebrei. Ma che razza di uo-mini siete? E anche lei, ca-ro maestro, sommo inter-prete di Beethoven, non siè mai guardato allo spec-chio, non le è mai venuto ilsospetto di essere una caro-gna?”.Ci va duro l’ufficiale inqui-rente americano, non ba-dando a scegliere le parole.Furtwangler si difende di-cendo di essersi adoperatoper salvare qualche ebreo edi non avere mai avuto latessera del partito nazista.Vero. Ma ai nazisti interes-sava che lui restasse inGermania per potersene glo-

riare, che continuasse a ri-manere alla testa dellaFilarmonica di Berlino, cheseguitasse a dirigere con-certi e a farsi applaudire daGoebels e da Hitler. “Lei ha anche diretto un con-certo per il compleanno delFuhrer”, accusa l’ufficialeamericano.“Non è vero, io l’ho direttola sera prima” è la debole di-fesa del maestro. Il film, naturalmente, è ric-co delle musiche dei grandicompositori: Beethoven,Schubert, Bruckner.Nell’annunciare con cupasolennità il suicidio di AdolfHitler nel bunker di Berlino,la radio tedesca trasmise il

Requiem di Bruckner pro-prio nell’edizione diretta daFurtwängler, e anche di que-sto il maggiore americanorimprovera il direttore d’or-chestra. “Perché è rimasto inGermania coi nazisti?Poteva andarsene, molti suoicolleghi l’hanno fatto. BrunoWalter l’ha fatto. CertoWalter era anche ebreo e sefosse rimasto, per lui non cisarebbe stato scampo. Lo sa che altri musicisti so-no finiti nei campi di ster-minio?”. Vero, proprio inquesto stesso numero del“Triangolo rosso”, GabrieleManca ci ricorda come ven-nero trattati sotto il nazismo

alcuni musicisti, conside-rati autori di “musica dege-nerata”. Li conosceva Furtwängler?Ha avuto notizie del lorobarbaro trattamento? Sapevache milioni di ebrei veniva-no gasati mentre pensava-no di fare la doccia? Fur-twängler dice che ignoravala tragedia della Shoah. Macome credergli? È anche possibile che nonsapesse dei crematori e del-le camere a gas. Ma della caccia agli ebreisapeva, eccome, come, delresto, sapevano tutti i tede-schi. Mica la nascondevano que-sta caccia spietata i nazisti.

Arte edittatura

Un film ripropone il problema complesso del rapporto tra artisti e potere:

“A torto o a ragione” Ë un magnifico film di IstvanSzabo, che ripropone il problema spinoso e sicuramen-te complesso del rapporto fra arte e politica o, per me-glio dire, fra arte e dittatura. Nella fattispecie la questione trattata è quella del mae-stro Wilhelm Furtwängler, ritenuto uno dei maggiori di-rettori d’orchestra del tempo, se non addirittura il piùgrande. Rimasto in Germania alla direzione dellaFilarmonica di Berlino, Furtwängler fu lodato e cocco-lato dai notabili nazisti, in particolare da Goebels.Principali interpreti del film Harvey Keitel (il maggio-re americano incaricato dell’inchiesta) e Stellan Ska-rsgard (Furtwängler), bravissimi entrambi.

Un concerto di Furtwängler a Roma nel 1947. Nell’altra foto un momento di riflessione del maestro.

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Tutto il contrario. Ne face-vano, anzi, l’asse della lo-ro politica. Sapeva, dunque. E tuttaviacontinuava a dirigere Mozarte Beethoven, Wagner eBrahms. Non Mendelsohn,però, perché Mendelsohn,grandissimo musicista, eraebreo e la sua musica eraproibita nel Terzo Reich.Furtwängler, come si sa,venne sostanzialmente as-solto e poté continuare a di-rigere vari com-plessi orche-strali importan-ti d’Europa ed’America finoal 1954, annodella sua morte.Il maggioreamericano, rap-presentante del-la giustizia mi-litare degli StatiUniti, l’obbligò,però, a guardar-si dentro, a immergere lesue mani delicate con la suamagica bacchetta nell’or-rendo marciume (il mag-giore più crudamente dicemerda) della barbarie nazi-sta.Certo, Furtwängler non

strozzò, non torturò, ne stu-prò nessuno, come, peresempio, tanto per fare unnome che è tornato al diso-

nore della cronaca, fece ilcriminale Michael Seifert,detto Misha, 78 anni, arre-stato il 30 aprile scorso dal-la polizia canadese, ma ri-lasciato pochi giorni dopoperché ormai quei fatti peri quali un tribunale italianol’ha condannato all’erga-stolo sarebbero lontanissiminel tempo e l’imputato, inol-tre, avrebbe ormai un’etàavanzata, tale da meritarepietà. No, noi non ci stia-

mo. Ci manche-rebbe che il tem-po, cinquanta ocent’anni o ancheduecento, avesseil potere di can-cellare l’infamiadell’Olocausto. Questo per Sei-fert e per tutti glialtri boia ancoraviventi, sfuggitialla giustizia. PerFurtwängler il di-

scorso è sicuramente piùcomplesso, ma noi, franca-mente, dovendo sceglierefra le solide accuse dell’uf-ficiale inquirente e le fragi-li difese del maestro impu-tato, ci metteremmo accan-to al maggiore americano.

Ci piacerebbe sapere, però,che cosa ne pensano i no-stri lettori.

il caso di uno dei più grandi direttori d’orchestra nella Germania nazista

Il film: A torto o a ragione L’autore di Mephisto torna, con il film A torto o a ra-gione, sul luogo del delitto: i rapporti tra intellettuali epotere, argomento sempre d’attualità. Vi si ricostrui-sce la vicenda inquisitoria di Wilhelm Furtwängler, ilcelebre direttore d’orchestra che fu messo sotto in-chiesta, e assolto, dalla commissione Alleata per la de-nazificazione della cultura tedesca. [...]La trama propone un aneddoto: Furtwängler dirige peril compleanno di Hitler. Dimostrazione della sua ade-sione ideologica secondo l’accusa, atto di coraggio perla ‘difesa’, poiché il maestro non fece il saluto nazistacon un pretesto: impugnava ancora la bacchetta. Mauno spezzone d’archivio inserito nel finale mostraFurtwängler stringere solo un fazzoletto. Lasciamo al-lo spettatore l’interpretazione di questo ‘segno’. Il do-cumento, però, è un interessante tributo alla potenzadelle immagini, testimoni inoppugnabili e ambigue altempo stesso di un evento.

(Da Drammaturgia.it)

La scheda del film

A torto o a ragione

RegiaIstván Szabó

Titolo originaleTaking Sides

Dall’omonimo testo teatrale di Ronald Harwood

SceneggiaturaRonald Harwood

FotografiaLajos KoltaiMontaggioSylvie Landra

InterpretiHarvey Keitel, StellanSkarsgård, MoritzBleibtreu,Oleg Tabakov,Ulrich Tukur, BirgitMinichmayr, HannsZischler, August Zirner,Robin Renucci, FrankLeboeuf

Sapeva che milioni

di ebrei venivanogasati mentre

pensavano di fare

la doccia?

Harvey Keitel (il maggiore americano incaricato dell’inchiesta)e Stellan Skarsgard (Furtwängler), bravissimi interpreti.

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Arte edittatura

Il tradimento dei suoni nei lager nazisti

Che la musica sia ordine su-premo del caos sono in mol-ti ad averlo detto, del restol’armonia, come ci ricordail musicologo Van Vlasselaer,non è forse violenza addo-mesticata? Non è forse unasimultaneità di ordine e con-flitto? Non è il dominio delsoggetto sull’ordine delmondo? Nell’inferno concentrazio-nario la musica ha espressola dualità che le è implicita,tragicamente.Nella affermazione del con-cetto di musica elevata e spi-rituale, contrapposta alla mu-sica degenerata (EntarteteMusik), voce disarticolatadi una umanità depravata esubumana, i nazisti sottoli-neano proprio questo carat-tere “tirannico”di afferma-zione dell’ordine superioresull’informe e belluinodell’”altra musica”. Ma il nazismo fa di più: lamusica non è più solo stru-mento di propaganda nel-l’ascesa della razza supe-

riore; la musica diventa ar-nese di annientamento, at-trezzo insanguinato di ster-minio. Musica e crimine, co-me ricorda Paul Celan nellasua Fuga della morte, sonoindissolubilmente abbrac-ciati. L’”armonia”, il “bello”, il“sublime” esistono neiCampi in quanto marcatoridi differenza, di discrimi-nazione, contro quella uma-nità azzerata descritta daPrimo Levi. La musica scandisce il rit-mo della vita dei Lager, ac-compagna gli internati allecamere a gas, giustifica leatrocità proprio rappresen-tando la superiorità dello spi-rito sull’animale, del subli-me sull’abbietto, del nobilesul degradato.Per contro, gli stessi nazisti,usano canzoni popolari, me-lodie ebraiche o canzoni dacabaret come ironica musi-ca di accompagnamento al-la ferocia e alla violenza quo-tidiane.

Fania Fenelon racconta del-la sua esperienza di compo-nente dell’orchestra fem-minile di Auschwitz, com-pagine ideata proprio per ac-compagnare,”rasserenan-

doli”, i condannati alle ca-mere a gas, con una funzio-ne in parte rituale in parte“anti panico”. La grande importanza datadai nazisti a questo genere

di Gabriele Manca

La musica sfruttataper legittimare l’orrore

Nel Trionfo della morte di Pieter Brueghel il Vecchio,uno scheletro timpanista scandisce e ritma, con entu-siastica partecipazione, l’avanzata dell’orrida, miseraschiera di esseri nudi e inermi, sicure vittime di un ine-vitabile sterminio. La musica è qui strumento di dolore, espressione di unferreo rituale, elemento di terrore e insieme di marzia-le disciplina, di inesorabile ordine.

Usata anche comestrumento “anti-panico”

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di formazioni è dimostrataproprio dal ruolo privilegiatoriconosciuto ai membri chene facevano parte. Essi go-devano infatti di diritti im-pensabili in quei luoghi, co-me biancheria e abiti puliti,doccia giornaliera e cibo ac-cettabile, per suonare “...mu-sica allegra e leggera per ore,

senza interruzione, mentrei nostri occhi seguivano lamarcia di migliaia di perso-ne verso le camere a gas e iforni crematori.”Una fotografia scattata aMauthausen fissa un grotte-sco e tragico corteo di mu-sicanti, in tenuta a righe ver-ticali e zoccoli di legno, che

precede un carretto trainatoda due internati sul qualeviene trasportato un evasodal campo, condannato allaforca. L’orchestrina del cam-po suonava continuamentela canzone J’attendrai tonretour.La messa in scena grottescaaveva in questo caso l’unica

funzione di deridere e an-nientare la dignità del con-dannato e dei partecipantialla assurda processione.Molto veniva chiesto a que-sti musicisti. Dovevano suo-nare per ore durante gli ap-pelli, indipendentemente dal-le condizioni atmosferiche.E dopo l’appello gli altri in-ternati dovevano raggiun-gere i lavori loro assegnati,camminando a tempo di mar-cia; alla sera, poi, tornava-no alle baracche, esausti, ac-colti ancora dall’orchestri-na, che, ancora, scandiva ilritmo dei loro passi. La musica era d’obbligo pertutti gli eventi ufficiali, co-me gli annunci del Lager-führer, o per l’accoglienzagiornaliera ai carichi uma-ni di nuova carne da macel-lo. Si doveva dare ai nuovi ar-rivati l’impressione di esse-re in un luogo non troppo or-ribile, nella loro “nuova ca-sa”. E l’orchestra suonavaquando le nuove vittime ve-nivano scelte per essere spe-dite direttamente nelle ca-mere a gas. Si doveva suo-nare per le temuteSelectionen di sani e mala-ti, questi ultimi separati dachi poteva lavorare ancorail giorno successivo. Inoltre,i musicisti dovevano far mu-sica per lo svago e il diver-timento dei loro stessi car-nefici. Il numero di suicidi tra i mu-sicisti delle orchestre eramolto elevato.

■ Scandiva il ritmo della vi-ta nei campi, dagli appelli

al ritorno nelle baracche, dall’ar-rivo dei prigionieri fino all’ultimo“viaggio”: la camera a gas.La testimonianza di Fania, musi-cista dell’orchestra femminile adAuschwitz.

■ La tragica fine di una gio-vane ebrea: cantava per le

SS ma la sua voce confortava i de-tenuti. Quando i nazisti se ne ac-corsero la gettarono ai cani.Terezin, tappa verso l’annienta-mento ma anche straordinario pun-to di incontro per artisti di diversaestrazione, che i tedeschi sfrutta-rono cinicamente.

■ Le vicende drammatiche dimusicisti, registi, scrittori,

poeti utilizzati e mandati poi allosterminio.Ma l’arte (e in particolare la musi-ca) divenne anche una fonte for-midabile di resistenza.

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La musica diventa così ac-compagnamento e forse le-gittimazione rituale di atro-cità incomprensibili anchealle menti più perverse, com-ponente di una scenografia,di una folle messa in scena.La ritualità era un aspettoessenziale nella gestione deiLager e la musica è di sicu-ro una componente essen-ziale ad ogni forma di ritua-lizzazione. La ritualizza-zione ha reso possibili leatrocità nei Campi di con-centramento.Ma la musica assume anche,nei campi nazisti, un ruolo di“ormeggio della memoria”,un luogo di ricostituzionedella dignità perduta, unmezzo per ritrovare una so-cialità calpestata dall’ango-

scia della sopravvivenza. Lamusica ristabilisce la coo-perazione, il rapporto tra idiversi ruoli; ricrea il tessu-to intellettuale in personeche hanno come unico sco-po la pura esistenza in vita.La musica è il contatto conla normalità, con la vita ci-vile e religiosa, con le pas-sioni, le competenze, le spe-cializzazioni, lo studio, leidee.La musica può esistere anchein assenza di mezzi e di stru-menti. Le melodie ebraiche,le canzoni popolari, i moti-vi più o meno celebri del re-pertorio classico, aleggia-vano di continuo prima neighetti, poi nei campi di con-centramento e infine neicampi di sterminio. La mu-

sica è tempo vissuto e ri-creato nel momento dell’a-scolto. La musica rinasce, osopravvive, quasi per auto-combustione e diventa pre-sto “l’arte della resistenzaspirituale”. Una giovane ebrea greca,che lavorava nella area agri-cola di Auschwitz, aveva unsplendida voce e ogni gior-no cantava per i soldati SS.Quando cantava i prigionierisospendevano il lavoro e perqualche istante entravano inun mondo di serena bellez-za. Quando realizzarono che ilsuo canto sollevava lo spiri-to degli internati, i nazistigettarono la ragazza ai ca-ni.Terezin, Theresienstadt in

tedesco, località a nord diPraga, fu mostrato nel 1944a una delegazione dellaCroce Rossa Internazionalecome Campo modello. I pri-gionieri apparivano in buo-ne condizioni fisiche e bennutriti, la vita quotidiana benorganizzata, continuamen-te impegnati in varie occu-pazioni, intenti a vendere ecomprare con una specialemoneta ad uso interno delcampo. La vita culturale risultavaparticolarmente ricca confrequenti concerti di musi-ca classica, spettacoli di ca-baret, esecuzioni di musicajazz. Al centro dello spiazzoprincipale di Terezin era sta-to allestito un palco per i con-certi della banda.

Questo simulacro di cittàaveva lo scopo di persuade-re gli osservatori della infon-datezza delle voci sulle atro-cità nei campi nazisti. Hitlervolle cosÏ consegnare almondo una immagine di cittàideale, affidata soprattuttoai prigionieri ebrei, in cui lavita comunitaria, le arti, lacultura e la musica fosserocoltivate senza restrizioni nécondizionamenti. Ma nono-stante non fosse un campodi sterminio come Au-schwitz, Terezin, “il ghetto-paradiso”, non offriva con-dizioni sopportabili.

Sovraffollamento, denutri-zione situazione igienico-sanitaria infima, rendevanola vita nel Campo insoppor-tabile: dei 140 000 interna-ti, 33 000 morirono di sten-ti e malattie e 87 000 furonotrasportati nei campi di ster-minio. A sottolineare la tra-gica ironia di questa orribi-le messa in scena, fu propriola grande libertà culturale edi espressione accordata agliartisti che vi erano interna-ti. Spesso si trattava di mu-sicisti, esecutori, solisti, at-tori di grande notorietà e li-vello che avevano la possi-

bilità di esibirsi anche in quelrepertorio che “fuori” eraconsiderato degenerato e,perciò, proibito. Pur essendo una tappa delviaggio dei deportati versol’annientamento, Terezin di-venta uno straordinario pun-to di incontro di artisti di di-versa estrazione. L’assolutainaccessibilità del Campo,la decisione comunque disterminio presa dai nazisti,l’origine rigorosamente se-lezionata dei reclusi, fecerodi questo luogo un isola nel-la quale soprattutto la mu-sica poteva riprendere il suo

corso interrotto. Grazie al-l’ingegno e alla passione de-gli artisti internati, si potéricominciare a scrivere mu-sica, a eseguirla, magari construmenti costruiti con ma-teriali di recupero, e ad ascol-tarla. Dopo la lunga giorna-ta di lavoro ci si poteva de-dicare alle attività artistichenella totale libertà: venivanoscritti lavori su temi ebrai-ci, composizioni jazz, pie-ces di cabaret, opere di“Entartete Musik”: i nazistiappoggiavano e sfruttavanoquesto rifiorire delle espres-sioni artistiche, con cinica

Le melodie,uno dei “rituali” del lager

La tragica ironia della messa in scena: a Terezin,prima dello sterminio una grande libertà espressiva

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sapienza, a fini, come si ègià detto, puramente propa-gandistici. Venne girato an-che un documentario sullemagnifiche condizioni di vi-ta di questa “cittadella del-le arti”. Una delle scene piùagghiaccianti di questo filmintitolato “Der Fuhrerschenkt den Juden eineStadt” (Il Furer dona unacittà agli ebrei) è l’esecu-zione dello Studio per or-chestra d’archi di Pavel Haas,seguita da entusiastici ap-plausi del pubblico. La composizione, breve, in-tensamente contrappunti-stica fu composta da questoimportante compositore cé-co, allievo di Janàcek, perl’orchestra d’archi che KarelAncerl, famoso direttored’orchestra miracolosamentesopravvissuto, era riuscito aorganizzare a Terezin. PavelHaas morirà ad Auschwitzsolo due mesi dopo la rea-lizzazione del film.A Theresienstadt era nata lafolle illusione di una vita nor-male. Altri grandi composi-tori ripresero a scrivere ope-re di grande importanza equalità; stupisce davvero lafuriosa vena creativa in unasituazione assurda e violen-ta quale era, nonostante tut-to, quella del “ghetto-para-diso”. Oltre al già citato Haas, mu-sicisti di solida carriera, quan-do non di vero e proprio suc-cesso, lavorarono intensa-mente nei tre anni di vita “ar-tistica” del Campo di Terezin.Victor Ullmann era sicura-mete il più famoso. Già al-lievo di Arnold Schônberg,Ullmann, anche egli céco,scrisse in quegli anni la sua

opera più importante,“L’Imperatore di Atlantide”,che sarà però rappresentatasolo nel 1975 ad Amsterdam. Nell’opera viene inscenato ilcombattimento tra l’Impe-ratore (con ogni probabilitàHitler) e la Morte, protettri-ce della vita. Anche grazieal bel testo espressionista,scritto dal giovane poetaPeter Kien proprio a Terezin,Ullmann riesce a denuncia-re l’assurda realtà delCampo, della Germania edel mondo tutto. VictorUllmann morirà ad Ausch-witz nell’ottobre del 1944;dell’agosto dello stesso an-no è il suo saggio intitolatoGoethe e il Ghetto, scrive tral’altro: “Theresienstadt è sta-ta, e ancora lo é, maestra diForma. Prima, quando non sentiva-mo né l’impatto né il fardellodella vita materiale perchéattutiti dal benessere, que-sta magica conquista dellaCiviltà, ci era facile conce-pire forme artistiche di unagrande bellezza. Ma è qui, a Terezin, dovenella quotiidianità ci toccavincere la materia facendoappello al potere della for-ma, dove tutto ciòche ha rap-porto con le Muse contrastacosì straordinariamente conl’ambiente in cui viviamo,che si trova il vero insegna-mento dei Maestri. E più avanti dice: “...in nes-sun modo ci siamo sedutia piangere sulle rive dei fiu-mi di Babilonia; e che il no-stro sforzo per servire ri-spettosamente le arti è sta-to proporzionale alla no-stra volontà di vivere mal-grado tutto.”

Attenzione a parte richie-dono le esecuzioni della mu-sica di repertorio nel campodi Terezin. Ricorderemo alcune rap-presentazioni di opere nel-la riduzione per pianoforte,con tanto di coro e solisti vo-cali, come La serva padro-na di Pergolesi, Il flauto ma-gico di Mozart, La sposavenduta di Smetana, IlRigoletto e La Tosca. L’opera per l’infanziaBrundibar, scritta nel 1939 daHans Krasa, anche egli in-ternato a Terezin, e mortoad Auschwitz nel 1944, furappresentata per ben 55 vol-te dai bambini del Campo.Una scena di questa operafa parte del già citato docu-mentario “Der Fuhrerschenkt den Juden eineStadt”.

Il direttore d’orchestra RafaelSchöchter riuscì a eseguiretre volte una versione per so-li, coro, harmonium e duepianoforti del Requiem diVerdi. Le repliche dovetteroessere interrotte perché lamaggior parte dei coristi fudeportata nei campi di ster-minio dell’est.I nazisti ebbero certo l’abi-lità di sfruttare la necessitàvitale del fare musica di mu-sicisti professionisti (in unprimo momento la musicaera rigorosamente proibitae il possesso di uno stru-mento era punito con la mor-te anche a Terezin; i primiconcerti nel Campo eranoperciò clandestini.); tutta-via, probabilmente, non siresero conto di aver inne-scato una macchina formi-dabile di resistenza.

Un ritratto del compositore cekoPavel Haas. A Terezin venne eseguitoun suo studio per orchestra d’archi.Nella foto qui sotto il pubblico tuttodi bambini deportati e nell’altrapagina un murale che “ricorda”la musica nel campo.

I coristi deportati,le repliche interrotte

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Una mostra e uno spettacolo ricordano le lotte e il sacrificio di una

Anpi - Aned - Anppia - Cgil - Camera del Lavoro di Milano

Carlo MauroPierino Guido

Idee e passioni del Novecento

Una serataper ricordareCon Moni Ovadia

Piccolo Teatrodi Milano.Via Rovello, 220 maggio 2002 - ore 21

Mostradocumentaria

Camera del Lavorodi Milano.Corso di PortaVittoria, 4317 - 25 maggio2002

Venegoni

Quattro uomini

liberi

L’Aned, l’Anpi, l’Anppia, la Cgil, le Camere del lavorodi Milano e di Legnano e la famiglia Venegoni, hanno or-ganizzato una serie di manifestazioni in ricordo dei fra-telli Carlo, Mauro, Pierino e Guido Venegoni, nel cen-tesimo anniversario della nascita di Carlo. I quattrofratelli furono dirigenti politici e sindacali antifascisti,partigiani e deportati. Mauro fu ucciso dalle camicienere nel 1944, e per questo ha ricevuto la Medaglia d’Oroal Valor Militare alla memoria.Il ciclo di manifestazioni ha avuto inizio il 13 aprile conuna celebrazione presso il Consiglio comunale di Legnano.Dal 17 maggio al 1° giugno è stata esposta alla Cameradel lavoro di Milano una mostra di oltre 200 fotografiee documenti inediti curata da Marina e Dario Venegoni.Il 20 maggio, infine, c’è stata una serata straordinariaal Piccolo Teatro di Milano con la partecipazione diSergio Cofferati, Moni Ovadia, Paola Cereda (autricedel testo) e del fisarmonicista Giampiero Marazza. La mostra sui fratelli Venegoni (dal titolo "Quattro uo-mini liberi") sarà esposta a settembre presso la libreriadella Festa dell’Unità di Milano. Sono ancora disponi-bili presso l’Aned nazionale alcune copie del catalogo.

che racconta la loro straor-dinaria avventura umana epolitica. Tutti e quattro ope-rai giovanissimi nelle fab-briche della loro Legnano:«La felicità - è scritto in unodei ricordi di Carlo - entravadi rado nelle famiglie ope-raie. Si viveva sotto l’assillodei debiti, con la paura diperdere il lavoro, di amma-larsi e di invecchiare senzaassistenza né pensione" . Quindi la scoperta che un al-tro mondo è possibile la mat-tiuna del 1° maggio 1917.Carlo e Mauro (che hannoappena 15 e 14 anni) assi-stono a Legnano al loro pri-mo comizio politico. Lo tiene un attivista sociali-sta di Milano, che parla diquello che sta avvenendo inRussia e dell’esigenza dellapace e invita i lavoratori acostruire il sindacato per ilproprio riscatto».Parte da qui la loro avventu-

Il ricordo dei fratelli

di Bruno Cavagnola

Carlo, Mauro, Pierino,Guido. Quattro fratelli, i fra-telli Venegoni, ma soprat-tutto quattro uomini liberiche hanno attraversato il se-colo senza mai piegare la te-sta: prima per riscattare, neiprimisimi decenni del ‘900,i lavoratori da una condizio-ne di vita disumana, poi percombattere la dittatura fa-scista, e infine, una volta ri-conquistata la libertà, per di-fendere ancora la dignità e idiritti dei lavoratori. E ri-schiando e pagando semprein prima persona. Uno di loro, Mauro, in realtànon ce l’ha fatta ad attraver-sare il secolo: catturato daifascisti, fu torturato e poi as-sassinato il 31 ottobre 1944,guadagnandosi la medagliad’oro della Resistenza. Aifratelli Venegoni è stata de-dicata una mostra docu-mentaria, ospitata nellaCamera del lavoro di Milano,

■ Al centro della prima fila della sfilata della Liberazione, a Legnano,da sinistra Guido, Carlo e Pierino Venegoni.

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grande famiglia di combattenti per la libertà contro il fascismo

A sinistra il manifesto che annunciavala mostra e lo spettacoloal PiccoloTeatro di Milano.A fianco,sul palco da sinistra,SergioCofferati, MoniOvadia e PaolaCereda, autricedel testo lettoad un pubblicocommosso e partecipe.La fisarmonicadi GiampieroMarazza haaccompagnatocon unastruggentecolonna sonora.

ra nel secolo: l’adesione alcircolo giovanile socialista,l’organizzazione delle lottenel 1920, l’anno dell’occu-pazione delle fabbriche, ilprimo prezzo pagato alla rea-zione del padronato: Carlo,insieme ad altre migliaia dilavoratori, viene licenziatoin tronco dalla Franco Tosi.E i giovani Venegoni impa-rano sulla propria pelle chela coerenza si paga, senzasconti Poi nel 1921 l’adesione alPartito comunista d’Italia,con Carlo e Mauro che in-sieme costituiranno per ol-tre due decenni il nucleo for-te dell’opposizione antifa-scista nella zona, fino al ‘45.E già il 7 giugno di quel-l’anno, quando il fascismo

non è ancora andato al pote-re, arriva dalla prefettura alcomando di polizia diLegnano un telegramma ci-frato. Il viceprefetto chiedenotizie di Carlo Venegoni,allora 19enne. Il telegram-ma è cifrato: non si vuole fa-re sapere che si tiene sottocontrollo quel ragazzo. È l’i-nizio di una persecuzione chenon finirà che con la cadutadel regime.Ma il 25 Aprile è ancora lon-tano. Si aprono per i fratelliVenegoni gli anni dei sacri-fici più duri, dei prezzi piùalti da pagare. Carlo è con-dannato nel 1927 dal Tri-bunale speciale a dieci annidi reclusione.Nella stessa occasione an-che anche Mauro e Pierino

vengono portati davanti alTribunale speciale, ma sonoassolti per insufficienza diprove, non prima di averscontato 15 mesi di carcere.Quindi le vicende dei quat-tro fratelli si dipanano perstrade diverse, ma che allafine raccolgono, quasi sim-bolicamente, tutte le espe-rienze di vita di quanti, uo-mini e donne, non si arrese-ro mai al fascismo. La rior-ganizzazione, dopo il 25 lu-glio 1943, del movimentocomunista e la lotta nellaResistenza; gli arresti (nel1932 Mauro viene dallaFrancia in «missione» inItalia, viene catturato e con-dannato a cinque anni); ledeportazioni (Carlo finì il 28agosto 1944 nel lager diBolzano); le torture (Pierinonell’agosto del 1944 è pri-gioniero per dieci giorni de-gli squadristi della Muti chelo sottopongono a pesantis-simi interrogatori, senza peròriuscire a strappargli alcunaconfessione); le condanne amorte (Guido catturato l’11settembre 1944 e portato a

Legnano per esservi pubbli-camente fucilato, si salva gra-zie all’indignazione popo-lare suscitata dall’assassiniodi Mauro avvenuto pochigiorni prima). Caduto il fascismo, i fratel-li Venegoni restano in cam-po: c’è da dare solide radicialla libertà appena conqui-stata, difendere i diritti e la di-gnità dei lavoratori, com-battere nuove ingiustizie,riaffermare quotidianamen-te quei valori per cui si eracombattuto. Carlo sarà segretario delleCamere del lavoro di Milano,Genova e Torino, quindi de-putato nelle file del Pci dal1948 al 1963. Guido sarà segretario dellaCamera del lavoro di Milanonell’autunno caldo del 1969e dal 1972 al 1980 parla-mentare comunista. Pierinotornerà a fare l’operaioall’Unione Manifatture diLegnano e dal 1945 sino al-la morte sarà presidente del-la locale sezione dell’Anpi,intitolata alla memoria delfratello Mauro.

Venegoni

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(f.g.). Sono pagine impor-tanti, quelle di un ragazzodel Sud, il ventunenneNunzio Di Francesco che,sorpreso in servizio milita-re nelle valli piemontesi dal-le drammatiche ore dell’8settembre, sale in montagna,fa il partigiano garibaldinonelle fila delle brigate gari-baldine comandate da un al-tro siciliano PompeoColajanni “Barbato”, com-batte valorosamente, viene

fatto prigioniero in un ag-guato dai nazisti nell’otto-bre 1944 e dopo un inenar-rabile odissea finisce primaa Bolzano-Gries e poi dalgennaio del ‘45 nei campidi sterminio di Mauthausene di Gusen. Ma se il raccon-to del giovane artigliere diLinguaglossa presso Cataniaoffre spunti di riflessione suldramma di un ragazzo chepaga il duro prezzo dellascelta per la libertà, ancor

più rilevante è l’impatto chevive con pena e con sgo-mento quando si trova a fa-re i conti con una realtà, quel-la della sua Sicilia, al rientrodalla prigionia e dalla esal-tante esperienza della lottadi Liberazione. Incredulitàe stupore. Nel faticoso percorso per es-sere accettato con il caricodel suo passato che è servitoa liberare il Paese e anche lasua terra, in preda al separa-

tismo e all’affermarsi di unalogica criminale al serviziodella restaurazione politica,sta il valore di una testimo-nianza offerta con linguag-gio semplice e efficace.

Nunzio Di Francesco,“Il costo della libertà”

TipolitografiaManganaro,Furci Siculo,

pagine 190,euro 92.

Il no a Mussolinidell’inferno dei lager(f.g.)- L’armistizio, la di-sfatta di un esercito lasciatoa sé stesso, la cattura da par-te dei tedeschi schierati inItalia da tempo con le lorodivisioni corazzate, la penadel viaggio in Germania, lavia crucis da un campo al-l’altro con la speranza ungiorno di poter tornare. Masoprattutto la disperata for-za ideale di resistere, di man-tenere il vecchio giuramen-to di ufficiali e di soldati, ilno alto e solenne alle pro-poste collaboratrici di Salò,la Resistenza silenziosa ederoica come quella vissutasulle montagne della patrialontana. Claudio Som-maruga, straordinario e lu-cido vecchio, testimone diquella tragedia, nel suo “No!Anatomia di una Resisten-za”, rievoca con la cadenzaquotidiana del diario, conpreziose annotazioni, il per-corso di quella decisione che

contraddistinse la maggio-ranza degli IMI, gli interna-ti militari italiani, tenaci nel-la solitudine eppure capaci diorganizzare con il baluardodelle loro coscienze una bar-riera contro chi avrebbe vo-luto renderli collaboratoridella nuova feroce espe-rienza neo-fascista. Il 9 set-tembre Sommaruga è pri-gioniero ad Alessandria, dapochi giorni ufficiale. Perchi non accetta l’appello delReich il destino è segnato.Sommaruga va in Germania,riesce a inviare estremi mes-saggi alla famiglia, inizia ilcammino di dolore scanditodai campi polacchi e tede-schi.Il diario fissa giorno dopogiorno il drammatico itine-rario, i no reiterati ai fascistisalotini, la fame, le soffe-renze, il filo di speranza chenon cessa mai. Il 13 aprile1945 è il giorno della libertà.

Il ritorno a casa non cancel-lerà mai le ferite di questogiovane e di questa genera-zione. Semmai paradossal-mente le acuirà quando perloro, gli Imi, gli eroici in-ternati che seppero sempreresistere, non verrà mai il ri-conoscimento di prigionie-ri di guerra. Sempre Claudio Sommarugain un altro libro, “Per nondimenticare”, un monu-mento fondamentale per lanostra memoria storica, haraccolto la bibliografia ra-gionata della deportazionee dell’internamento dei mi-litari italiani nel Terzo Reich,arricchita da un’introduzio-ne di Giorgio Rochat.Un’opera (775 i titoli re-censiti) che rompe l’obliocaduto sui 650 mila soldatiitaliani finiti nell’inferno deilager, attraverso l’esame ana-litico gli archivi istituzionaliitaliani, quelli privati, i fon-

di presso gli Istituti Storicidella Resistenza, gli archi-vi dell’Aned, le bibliotechenazionali, comunali.Un libro di straordinaria uti-lità che dovrebbe essere inogni scuola, un itinerario percapire fino in fondo, so-prattutto oggi con l’aria chetira, quale fu il prezzo fattopagare dal fascismo al po-polo italiano.

Claudio Sommaruga,“No! Anatomia di una

Resistenza”-Testimonianza -

confessione di un ottuagenario

prima, durante e dopo il Lager nazista,

Edizioni ANPR, 2001,pp. 272, sip;

Claudio Sommaruga,“Per non dimenticare”,

Edizioni ANEI Brescia, 2001,

pagine 155, 10,33 euro.

Dalla Sicilia a Mauthausenpassando per la Resistenza

BIBLIOTECA

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La guerra di Spagna nel diario di un protagonista

La guerra di Spagna si arricchisce costantemente di nuovedocumentazioni. L’editore Mursia ha pubblicato recente-mente il diario di un protagonista, Aldo Morandi. L’autoreha aderito al PCI nel 1921, arrestato e condannato più vol-te dal regime fascista, si trasferì dapprima in Unione Sovieticae quindi in Spagna dove partecipò alle operazioni militari alcomando di varie unità delle forze governative.Dopo la vittoria dei franchisti fu internato in Francia quin-di raggiunse la Svizzera. Rientrò in Italia nel 1945 e prose-guì la sua azione politica nel Movimento Federalista Europeo.Pubblichiamo qui una nota del curatore Pietro Ramella.

Francia nel febbraio 1939,mi consegnò il diario per unavalutazione. Al termine diun’attenta analisi, mi con-vinsi di avere di fronte la si-gnificativa testimonianza diun italiano designato a co-mandare unità internazio-nali e spagnole, tanto da po-ter essere considerato allapari di Fernando De Rosa,Nino Nanetti e FrancescoFausto Nitti, rispettivamen-te comandanti del battaglione «Octubre», della 12° divi-sione e del battaglione «de-la Muerte».Formica / Morandi, anchese impegnato su fronti diguerra da lui stesso definitisecondari, fornisce notizie,giudizi, impressioni sul-

l’organizzazione delle bri-gate internazionali e dell’e-sercito governativo spagno-lo ed evidenzia molte dellecontraddizioni che caratte-rizzarono l’ambiente politi-co, militare e sociale - com-plice il disimpegno di tutte legrandi democrazie - e cheportarono alla sconfitta del-la Repubblica spagnola. Misono limitato a riordinare eripulire il testo avendo curadi controllare l’esatta collo-cazione di date, personaggie avvenimenti, comparan-doli con opere di storici chehanno affrontato l’argo-mento, documenti d’archi-vio e materiale raccolto inSpagna.

Pietro Ramella

“In nome della libertà” -Diario della guerra di Spagna 1936-1939.Mursia, pagine 248,Euro 16

Il tenentecolonnelloMorandi,a destra,

con ilmaggiore

Gallo nel 1937

sul fronte di Blazgues

Un’immagine del posto comando dell’86a brigata mistadurante i combattimenti nel settore di Cuenga e Azuaga.Morandi è l’ufficiale senza berretto che,osserva con il binocolo le posizioni avversarie.

Nel novembre 1996 i vete-rani delle brigate interna-zionali ritornarono in Spagnain occasione del sessantesi-mo anniversario della loroformazione e fecero rivive-re la leggenda dei volontaridella Libertà accorsi da cin-quantatre Paesi di cinquecontinenti a difendere la de-mocrazia repubblicana, chesuccessivi avvenimenti sto-rici avevano relegato nel-l’oblio. Sull’onda di questariscoperta, Miuccia GiganteBoldi si ricordò del diario

scritto dallo zio RiccardoFormica, alias Aldo Mo-randi, che di quegli eventiera stato uno dei protagoni-sti, e per onorarne la me-moria pensò di darlo allestampe. Venuta a conoscen-za, tramite comuni amici,del mio interesse per le com-plesse vicende della guerraCivile Spagnola, originato-dalla seconda esperienza uni-versitaria conclusa con la te-si su un avvenimento pococonosciuto del conflitto, l’e-sodo dei repubblicani in

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La Svizzera. Il nazionalsocialismo e la secon-da guerra mondiale (Rapporto finale dellaCommissione d’Esperti Svizzera-SecondaGuerra mondiale”.Pendo, Armando Dadò Editore, Zurigo, Locarno 2002,pp. 587, Euro 55.

AA.VV.

Come si comportò la Svizzera nel corso della seconda guerramondiale? Aiutò o danneggiò gli ebrei che s’affollarono amigliaia alle sue frontiere? Trasse indebiti interessi, maneg-giando denaro del Reich? E adesso il piccolo Stato neutraleha restituito quanto aveva incamerato nei forzieri delle suepotentissime banche? Per tutti questo motivi si scatenò nel 1996 una drammaticapolemica che coinvolse tutti i cittadini della Confederazione.In tre anni la Commissione Bergier voluta dal Parlamento edal Governo elvetico ha lavorato fra migliaia di documenti eha presentato le sue conclusioni non tutte assolutorie.Sicurezza interna ed interessi commerciali non sempre furo-no al servizio di libertà e di giustizia.

Raffaele Mattioli e il filosofo domatoEinaudi, Gli Struzzi 547, Torino, pp. 230, Euro 17.

Sandro Gerbi

Utilizzando documenti inediti e carteggi familiari, SandroGerbi, racconta la storia dello straordinario rapporto d’amici-zia fra l’americanista Antonello Gerbi (suo padre), capodell’Ufficio studi della Banca Commerciale Italiana eRaffaele Mattioli il “banchiere-letterato” attraverso la formuladella biografia-parallela con molti protagonisti di grandeimportanza come Toeplitz, Luigi Einaudi, Croce, Malagodi,La Malfa, Bacchelli, Togliatti. Dei due personaggi centraliemerge la loro “fronda” durante il fascismo, il viaggio diGerbi in Perù per sfuggire alle leggi razziali, la missione eco-nomica di Mattioli negli Usa, l’estromissione del grande ban-chiere dalla Comit da parte della Dc di Andreotti e Colombo.Un impegno etico-civile di due grandi uomini pubblici.

Gaetano Salvemini. Dai ricordi di un fuoruscito 1922-1933.Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp. 210, Euro 20.

Mimmo Franzinelli (a cura di)

Una rigorosa introduzione di Mimmo Franzinelli, infatica-bile nella sua attività storiografica, accompagna il lettorefra le pagine che Gaetano Salvemini redasse negli ultimianni di vita e che raccolgono il periodo fondamentale dellastoria d’Italia fra la marcia su Roma e l’affermarsi del regi-me fascista. La testimonianza autobiografica dalla lotta clandestinaall’espatrio, illustra con estrema efficacia il percorso esi-stenziale di questo intellettuale controcorrente e gli aspriscontri che lo contrapposero ai propagandisti fascisti e aglispioni dell’Ovra. Fra la tensione dello scritto si coglie il filo di una politicaspregiudicata e violenta che ha preoccupanti analogie congli anni correnti.

BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

Guido Morselli: immagini di una vita.Rizzoli, 2001, pp. 143, Euro 24,79

Valentina Fortichiari (a cura di)

Poco si sapeva dei risvolti personali dello scrittore varesi-no, emblema dell’incomprensione e del rifiuto in vita daparte dell’editoria e poi diventato uno degli scrittori piùoriginali del nostro Novecento. Il libro favorisce il contattocon fotografie, documenti, testimonianze inedite.Attraverso le immagini si ripercorre la vita di Morselli. Illungo testamento rivela l’animo di un uomo incredibil-mente rifiutato, addolorato, solo, sino alla svolta suicidadel 1973. Luminose le pagine del rifugio a Santa Trinita,nella casetta rosa a Gavirate, sopra il lago di Varese, persfuggire ai rumori della città, immerso nella natura selvag-gia della montagna prealpina e anche da lì vergognosa-mente cacciato per i rodei dei motocrossisti.

La guerra dei codici - Spie e linguaggi cifratinella 2a guerra mondialeGarzanti, 2002, pp. 633, Euro 27.

Stephen Budiansky

Laureato in matematica-applicata ad Harvard, operatore delCongresso Usa sui documenti segreti militari, Budianskyoffre la più completa ricostruzione dell’attività dei servizisegreti di spionaggio e contro-spionaggio nella guerramondiale. Le rivelazioni più importanti riguardano Enigma, la com-plessa macchina messa a punto dai tedeschi per criptare leproprie comunicazioni. Dalle pagine esce anche la feroce rivalità fra americani edinglesi nel tentativo di monopolizzare il controspionaggioalleato. Emergono a tutto tondo figure storiche come quelladi Joseph Rochefort, l’oscuro eroe Usa che con la sua abi-lità riuscì a creare le condizioni per conseguire numerosevittorie sul fronte orientale.

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Giorgio CavalleriLa Villa della Salaria - Luchino Visconti e la ResistenzaPresentazione di Carlo LizzaniEdizioni Nuoveparole, Como, pp. 112, Euro 13.

Giorgio Cavalleri

Dentro la storia di Luchino Visconti, gli anni dell’occupa-zione nazista erano rimasti sempre in una sorta di penom-bra. Il libro li riporta alla luce con l’abile recupero dellamemoria di Giorgio Cavalleri, partendo da quella villa divia Salaria, al numero 366, della famiglia dei Visconti diModrone (altra è quella sul lago di Como) che sin dal ‘42era diventata, e ancor più negli anni fatali della violenza delReich, luogo di incontri, di progetti, di speranze. ConVisconti, i volti persi nel tempo di Maria Denis stella cine-matografica dell’epoca, Massimo Girotti, i fratelli Puccini,Rinaldo Ricci, e ignoti combattenti della libertà e loschiservitori del fascismo repubblichino. Amori e passioni,misteri non ancora svelati.

Abolire (introduzione e cura di Paolo Sylos Labini)Laterza Editori, pp. 239, Euro 15

Ernesto Rossi

Per eliminare la miseria che predomina ancora in una largafetta del mondo e che produce come una malattia infettivamendicità, alcolismo, prostituzione, crimine, occorre un com-plesso di interventi che rientra nello stato del benessere e cheè tuttora oggetto di dibattito. Ernesto Rossi fra i fondatori di“Giustizia e Libertà” e del Partito d’Azione, sottosegretarioalla Ricostruzione del governo di Ferruccio Parri, aveva scrit-to questo libro al confino fascista. Da allora ben poco è cam-biato. Contrario agli aiuti in denaro, fonte di sprechi e diparassitismo, Ernesto Rossi aveva intravisto nell’offerta dibeni e di servizi, attraverso una sorta di servizio civile la stra-da, per avviare la soluzione del problema. Importante unariforma rivoluzionaria della scuola che rompesse il predomi-nio della logica dello studio per il più ricco. Ai giorni nostriquesto è diventato un dramma.

Lasciami andare, madre.Adelphi, pp. 130, Euro 19.

Helga Schneider

Nell’ottobre 1998 in una stanza d’albergo di Vienna, l’au-trice, polacca che vive in Italia, incontra la madre che, nel1941 l’aveva lasciata, per andare a servire il Reich comeguardiana nei campi di sterminio. Le due donne si eranogià incontrate trent’anni prima quando Helga aveva mostra-to alla madre il suo primo figlio. Era stato un incontro tre-mendo. La madre le aveva mostrato, fiera, la divisa di SS e le avevaofferto manciate di oro razziate a “quegli sporchi di ebrei”.Helga era fuggita sconvolta.Dopo tanti anni Helga aveva trovato la forza di ripresentarsialla madre per sapere la definitiva e taciuta verità nella spe-ranza che fosse giunto un pentimento. Quello che accaddefu in termini molto diversi da quelli previsti.

Lettere 1940-1962 (a cura di Luca Bufano)Einaudi, Torino, 2002, pp. 208, Euro 14.

Beppe Fenoglio

Sono novantuno lettere recuperate dopo faticose ricerchedurate alcuni anni, un epistolario che parte dagli anni delliceo e si conclude con le ultime ore di vita, rivelando gliaspetti più intimi di Beppe Fenoglio, la complessa persona-lità, il suo humour, la sua attività intensa di scrittura. Sonolettere agli amici (Calvino), agli editori (Einaudi eGarzanti), ai familiari. Commuoventi i brevi messaggiscritti in ospedale fra il 15 ed il 17 febbraio 1963 quando loscrittore non poteva più parlare, prima della morte, a partireda quello all’amatissima figlia.

Roma nazista 1937-1943Rizzoli, Bur, Milano, pp. 365, Euro 9,90.

Eugen Dollmann

Scritto nel 1948, un anno dopo essere tornato libero citta-dino, il libro è il documento più completo dell’occupa-zione nazista nella città di Roma proposto da un ufficialepromosso sul campo per simpatia senza che avesse fattoun solo giorno da militare. Colto, elegante, mondano,Dollmann ha potuto entrare nei segreti più inviolabili delcomando del Reich grazie alle porte sempre aperte del-l’ambasciata di von Mackensen, del comando supremo diKesselring, della villa sul Garda di Wolff. Un libro datatoma che suscita ancora l’orrore di allora.

L’eccidio della Benedicta e la strage del Turchino fra storia e diritto.Giappichelli Editore, Torino, pp. 216, Euro 17,60.

Pier Paolo Rivello

Nella feroce stagione dell’occupazione del Reich in Italia e,in modo più specifico, nel territorio della Repubblica socialeitaliana, la pagina delle stragi compiute contro inermi cittadi-ni rappresentò una tappa significativa del programma dipotere. La cinica rappresaglia si manifestò soprattutto controi giovani che, ribellandosi ai bandi di Salò, erano saliti inmontagna nel tentativo di costituire le prime bande partigia-ne. Il massacro del colle della Benedicta e quello delTurchino rappresentarono momenti di violenza inaudita. Neiconfronti dei responsabili i processi penali sono giunti oltremezzo secolo dopo quando la sentenza di condanna contro iboia di Hitler non può più avere alcun significato se nonquello di un tributo alla memoria di tante vittime innocenti.

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I NOSTRI LUTTI

L’Aned di Parma annuncia lascomparsa di:

Calzetti Adrianoclasse 19926, deportato a Bolzano.

Galli Armando classe 1924, deportato a Bolzano (Matr.11005).

Leoni Ricci Marino,classe 1904, deportato a Bolzano.

Padovani Otello classe 1923, deportato a Bolzano (Matr.9432).

La sezione di Milano annun-cia la scomparsa di

Vito Arbore dall’ottobre del ‘44 detenutoa Zwicrau e Flosemburg

Lo scorso 24 aprile ci ha la-sciato

Arminio WachsbergerSopravvissuto miracolosa-mente all’inferno dei cam-pi di sterminio grazie allasua fede e alla sua indomitaforza morale.Lo piangono con immensodolore la moglie Olga, le figlieClara e Silvia, i generi e nipotie i parenti Casana e Foà.

È deceduto a Piove di Sacco(Padova)

Luigi QuagliaOperaio di 77 anniFu deportato dapprima aDachau e quindi ad Alloch

L’ANED di Ronchi deiLegionari anuncia con dolo-re la scomparsa di

Nereo Cosoloavvenuta nell’aprile scorso,deportato a Dachau

e diFederico Germinan

Deportato a BuchenwaldLa sezione di Ronchi deiLegionari e tutti gli associa-ti li ricordano con affetto erimpianto.

È deceduta a Marchirolo(Varese)

Ester Hammerdi 96 anniProfessoressa di pianofortevenne arrestata nel 1944 e do-po un periodo trascorso nelcarcere di Padova fu depor-tata ad Auschwitz e quindi aDachau.

È scomparso a Torino

Michele Faldelladi 82 anniÈ stato deportato a Bolzanodal dicembre del 1944 allaLiberazione.

La scomparsa di Romolo PavarottiIl presidente Nazionale dell’Aned Gianfranco Maris,ha inviato alla moglie del compagno Pavarotti,Evelina, il seguente telegramma:

“La morte di Romolo mi addolora profondamente per-ché antico e profondo è stato il nostro legame di ami-cizia, la nostra comune fede politica ed il nostro impe-gno nella Resistenza.

Tutti i compagni dell’Aned sono vicini a te, alla tua fa-miglia, ai tuoi nipoti e a tutti i familiari di Romolo inquesto momento che li coinvolge per una morte che la-scia un vuoto profondo nella nostra grande famiglia.

Tutti siamo vicini con grande affetto, i compagnidell’Aned, mia moglie, i miei figli ed io stesso”

È deceduto

Arminio Wachsbergerdi 91 anniArrestato a Roma il 16 set-tembre 1943 fu deportato dap-prima ad Auschwitz, quinditrasferito a Varsavia e suc-cessivamente a Dachau –Muldorf.

Ai famigliari le condoglianzedell’Aned

È scomparso

Vincenzo della Rodolfa di Grosseto di anni 77, depor-tato a Mauthausen Gusen.

È morta a Milano

Rosa Levi a 76 anni che fu deportata adAuschwitz, Villichstadt eTeresinstadt

È deceduto a Sanremo

Romolo Pavarotti di 77 anni

imprigionato a San Vittore nel1444 è stato deportato aRechenau e poi a Mauthausen.

Ai famigliari giungono le piùsentite condoglianze dal-l’Aned nazionale.

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A Franija,tra le baracchedell’ospedaledei partigianiIl consigliere nazionaledell’Aned, Beppe Berrutoha accompagnato (insiemea Giorgio Ferrero, anch’eglisupestite di un lager nazi-sta e al sindaco di Or-bassano), i ragazzi del LiceoAmaldi e dell’Istituto Sraffa,di Orbassano alla Risiera diS. Sabba (Trieste) a Goriziae in Slovenia, a Franija, do-ve in un ospedale partigia-

no venivano assistiti a e cu-rati i combattenti antifasci-sti italiani e jugoslavi.L’ospedale era così ben na-scosto tra le montagne dasfuggire alle ricerche e allerappresaglie naziste.

A Gorizia si è svolto un in-contro con numerosi stu-denti dell’Istituto Fermi egli assessori all’istruzione

e alla pace. Beppe Berrutoha portato il salutodell’Aned ed ha illustratole finalità delle iniziativenel quadro del progetto“Storia, memoria, culturaeuropea in rete”, promossocon il Comitato resisten-ziale Colle del Lys, doveogni anno vengono ricor-dati i caduti partigiani nel-le Valli piemontesi.

Da Gorizia una informa-zione di particolare inte-resse; gruppi di scuole si oc-cupano del progetto “Palioteatrale transfrontaliero”.È stata l’occasione per inse-rirvi (sia pure fuori concor-so) lo spettacolo “La vita of-fesa”, allestito dall’IstitutoSfraffa di Orbassano, già pre-sentando più volte con no-tevole successo.

Una vedutadell’ospedalepartigiano di Franja,con lebaraccheperfettamenteconservate.Qui accantol’ex deportato Berruto,che haaccompagnatoi ragazzi in Slovenia.

Dal Piemonte alla Slovenia Nella gola, tra le rupiPer far perdere le tracce anche ai cani, per non la-sciare orme e scie di sangue i partigiani feriti veni-vano portati fin lassù a spalla camminando tra i mas-si nel greto del torrente. Così, anche i viveri, i me-dicinali e il carburante per il gruppo elettrogeno. Hafunzionato così, per più di tre anni, l’ospedale par-tigiano di Franja, in Slovenia, una cinquantina dichilometi oltre l’attuale confine italiano. Vi sono sta-ti curati circa ottocento combattenti e un piccolo ci-mitero ricorda i valorosi che non ce l’hanno fatta.Oggi, alle baracche perfettamente conservate, sal-gono visitatori a rivivere in quella gola tra i monti,mai espugnata dai tedeschi, la tenacia di chi volevatornare a combattere per la libertà.

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Avevano scagliato in segno di di-sprezzo dalla finestra alcuni qua-dretti della Shoah, della guerra diSpagna e della Resistenza italianache erano appesi sulle pareti deicorridoi del Liceo Scientifico“Galileo Ferraris” di Varese e, perfinire la loro opera, i soliti nazi-stelli, presenti da tempo in quellascuola superiore, avevano lordatouna parete esterna con una gigan-tesca svastica del Terzo Reich e lascritta “Ebrei al rogo”. La notizia del raid, avvenuto in unpomeriggio, apparentemente sen-za testimoni, era stata tenuta ini-zialmente coperta dai dirigenti sco-lastici per non turbare eccessiva-mente le coscienze. Solo un paio digiorni dopo, con un comunicato ri-gorosamente “interno” firmato dal-la preside era stato “denunciato ilgravissimo fatto” invitando gli stu-denti a una riflessione. Pubblicata su alcuni giornali, lanotizia ha provocato, a quel punto,sorpresa e sconcerto, tanto che,questa volta un alto dirigente del li-ceo, ha sostenuto in una dichiara-zione giornalistica, nel tentativodi limitare i danni, che l’attaccoantisemita “fosse da mettere in re-lazione ai fatti palestinesi”. La realtà nota a tutti era che un me-se prima, alla presenza di GiovanniPesce, il leggendario comandantedel 3° Gap di Milano, medagliad’oro della Resistenza italiana ecombattente di Spagna, il Dipar-timento di storia e di filosofia del

“Ferraris” era stato intitolato, conuna bella targa in ottone, alla me-moria di un’altra medaglia d’oropartigiana, il ventiduenne DanteDi Nanni, compagno di Pesce nelgappismo torinese, caduto in bat-taglia. L’iniziativa aveva dimostrato co-me, sotto la spinta di insegnanti im-pegnati a insegnare la storia comesi deve e si dovrebbe (in questo ca-so Fabio Minazzi, ora cattedrati-co di filosofia all’Università diLecce, apertamente preso di miradai fascisti), la difesa della memo-ria fosse possibile. Il raid aveva avuto dunque il sa-pore di una rappresaglia o di unalosca vendetta, come chiamar sivoglia, portata a termine da un ma-nipolo di prodi. Se ne sentiva pro-prio il bisogno. Non bastava la Legacon le sue leggi razziste contro lamoschea, gli immigrati e i loro fi-gli esclusi con regolamenti cervel-lotici dagli asili cittadini. Ora hanno ripreso tono anche gliepigoni di Himmler che, dopo averaggredito un mese fa tre giocatoridella squadra di calcio del Varesetutti “coloured”, hanno concessoil tris: con un’operazione-lampohanno aggredito davanti alla basi-lica di San Vittore, in pieno centrocittà, alcuni ragazzini picchiando-li e derubandoli dei loro pochi sol-di. Per il giornale locale non si trat-tava di naziskin ma di “teste rasa-te”. Come si capisce è una diffe-renza sostanziale.

Raid nazista nel liceo di Varese:la parola d’ordine

è tacere

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Giornoper

giorno

Caccia aperta in tutto il trivenetocontro extracomunitari e comunisti

“Le regioni italiane comunicanol’avvio della caccia, per tutto l’an-no, per la seguente cacciagione mi-gratoria: afgani, albanesi, kosso-vari, talebani, zingari ed extraco-munitari in genere”. Il foglio, anonimo, simile ad unacircolare amministrativa di quelleche si vedono negli uffici pubblici,dal titolo “Regioni del Triveneto-Calendario venatorio 2001-2002”,è stato trovato affisso qualche tem-po fa alla bacheca sindacale degliinsegnanti dell’Itis “G. Natta” diPadova, un istituto tecnico con in-dirizzo aeronautico.Il testo era in circolazione da mesinel Veneto in una sorta di catena diSant’Antonio ad opera di razzistimai individuati. Secondo fonti locali,risalire se non al colpevole ma alprobabile ispiratore non sarebbe

molto difficile sol se si richiamas-se alla mente la celebre afferma-zione del sindaco leghista di TrevisoGiancarlo Gentilini: “Travestiamoda leprotti gli extracomunitari efacciamo esercitare i nostri cac-ciatori”. Allora il sindaco per quella frasefu processato ed assolto perché lagiustificazione fu lapalissiana: “erasolo uno scherzo”! Esattamentequello che ha ripetuto la vice pre-side del “G. Natta”. Uno scherzo, frutto di estraneiall’Istituto. Ma mesi fa, forse stu-denti d’estrema destra di scuole vi-cine, quel manifestino, finito sullabacheca dei professori, l’avevano di-stribuito alla porta d’ingresso. Unabacheca da cui vengono regolar-mente strappati i comunicati dellaCgil. Sempre mesi fa quel volanti-

no era circolato in provincia diTreviso e i cacciatori avevano pre-so le distanze. Il testo non aveva mancato di pren-dere a bersaglio anche la sinistra“con la caccia ai comunisti da que-sto momento sospesa in quanto en-trati a far parte della specie in viad’estinzione”. Vinte le recenti elezioni ammini-strative, occorrerebbe prendere del-le precauzioni! Una precisazionealla fine, tanto per gradire: vista lapelle coriacea della selvaggina ci-tata è permesso usare fucili di ognicalibro ma anche bombe a mano,obici, mitragliatori e gas veneficicome in Etiopia. Non manca il premio per mille edue mila capi abbattuti: un viag-gio-premio in Austria offerto daHaider e la cittadinanza onoraria.

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Percorsi di studio tra i segni del tempo

Dall’8 settembre 1943al 1945 (prima del25 aprile) sono state

deportate dall’Italia,secondo dati purtroppoincerti, circa 40.000 personedonne, tra uomini ebambini, di cui circa 10.000per motivi razziali (in baseai dati della ricercatrice delCedec di Milano PicciottoFargion che appaiono nellapubblicazione del titolo “IlLibro della Memoria”.

Dunque, una rilevanterimanenza (30.000)subì la deportazione

per motivi politici, motiviin cui rientrano diversecategorie di persone:antifascisti, partigianiarmati, partecipanti ascioperi, dissidenti rispettoal sistema vigente, ostaggie persone catturati duranteun rastrellamento, cheanche attualmente nonconoscono le motivazionidell’arresto. Dai raccontirisulta chiaramente laconnivenza e lacollaborazione della Guar-dia nazionale repubblichinacon il nazifascismo (aspettiricavabili da fontiprimarie).

Quindi dalletestimonianze siricavano diversi

elementi utili al fine dellaricostruzione storica, cometutta quella gamma disentimenti e di stati d’animocollegati alla separazionedal proprio territorio, dalnucleo familiare, dalla

di Laura Tussi

cerchia dei compagni. Sirisale al “transport” in carrimerci dove i deportati eranostipati e condotti a Fossoli, aBolzano e nei lagerd’oltralpe, come Dachau,Flossemburg, Ravensbruck,Mauthausen e, da questicampi principali, neisottocampi come Gusen 1,Gusen 2, Ebensee, dove ideportati schiavi morivanoper le condizioni precarie, lamancanza d’igiene, lascarsissima alimentazione ele vessazioni a cui eranosottoposti.

Il 5 maggio 1945, con laliberazione di Mauthau-sen, gli italiani reduci am-

montavano a 4500 circa.Dalle testimonianze si evincela mappatura dei sottocampi,le tipologie di lavoro, i nomidelle ditte che locommissionavano, il tipo diproduzione, prevalentementea carico bellico, i percorsi disopravvivenza (in che modo

i testimoni sono riusciti asalvarsi). Da un censimentodella Gazzetta ufficialetedesca risulta che più di1600 erano i campi disterminio installati inEuropa. In Italia erano quellidi Fossoli, di Bolzano, dellaRisiera di San Sabba aTrieste e di Borgo SanDalmazzo a Cuneo.

Il fenomenoconcentrazionario èconsiderato uno dei punti

di rottura, di crisi nella storiadell’umanità: dopo “il lager“l’evoluzione, la storiadell’uomo è cambiata, per ilfantasma di una prospettivastorica di regressionedegradante. Gli italiani sonostati gli ultimi a rientrare inpatria, anche con mezzi difortuna, dopo mesi di attesaestenuante nei lager. Da talesituazione si ricava una fortedenuncia nei confronti delleistituzioni sociali e politichedel tempo, eccetto l’Opera

Pontificia che ha organizzatola fase difficoltosa delrientro di fronte al drammadell’accoglienza, dellareintegrazione e delreinserimento della società(ricostruirsi una famiglia,ritrovare il lavoro…). Moltocarente risultava anchel’assistenza sanitaria(soprattutto per lariabilitazione da malattieinfettive e dell’apparatorespiratorio). Lo Statoitaliano ha riconosciuto unvitalizio, per giunta esiguo,agli ex deportati solo neglianni ‘80.

L’Aned ha coniato unmotto, “diamo unfuturo alla memoria”

attraverso un percorso diresponsabilizzazione e ditrasmissione dellaconoscenza rivolto aigiovani. Attualmente deiquadri campi nazifascistiinstallati in Italia (Fossoli,Bolzano, Trieste Cuneo) èrimasto ben poco: sololapici, baracche manomessee fatiscenti, muri direcinzione, brandelli di binaricostituiscono i repartisuperstiti, sopravvissutiall’incuria, al degrado deltempo. E oltre a questacondizione degradatadell’esistente, il relativoabuso della speculazioneedilizia.

Non esisteresponsabilità per laconservazione e la

valorizzazione del benestorico, del repertotestimoniante il passato,l’accaduto. I sopravvissutisono ormai anziani e moltinon hanno mai confidato ad

dalla clandestinità...

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Perché occorre conservare i reperti che testimoniano la deportazione. Una proposta didattica per le scuole, anche per battere il revisionismo o la pretesa di negare lo sterminio

La vita dei partigianie di tutti i deportatinei lager è stata resa

sacra, “sacrificata” perideali di libertà, diuguaglianza, per realizzarela possibilità di vivere inuno stato in cui i dirittiinviolabili della personanon vengono calpestatidall’istituzione, dal regimedittatoriale che si ponecome giudice censoredella libertà opinione del-l’”altro”, del pensierodell’individuo.

L’Aned sottolineache il richiamoall’antifascismo di

tali iniziative non presentanulla di retorico. Talerichiamo, “…per nondimenticare”, cesserà dicostituire un’esigenzaprimaria solo quando tuttele forze politiche darannoprova di conveniresull’attuazione di un’unicae vera concezione dellademocrazia, priva disubdole preteserevisioniste e, addirittura,negazioniste.

Il mondocontemporaneo, in cuisi moltiplicano i focolai

del conflitto, dimostra unaassoluta esigenza dimovimenti antifascisti,motivo di disapprovazionecontro guerre e varieforme di discriminazionerazziale, politica ereligiosa.

altri la propria esperienza,anche perché dopo il ‘45,pochi credevano agli eventiaccaduti prima dellaliberazione.

Itestimoni vannoscomparendo ed i segnidel passato non risultano

sufficientemente tutelati:occorre recuperare lamemoria, per ricostruire ilrapporto tra gli eventi, perdare voci alla storia. “Isegni del tempo” all’internodi un percorso didattico,possono fornire alle scuoleuna serie di elementi al finedi conoscere e valorizzare ilterritorio in cui vivono, dacui recuperare letestimonianze del passato,per riconoscersi edidentificarsi in esso. Aldecreto Berlinguer relativoalla storia del ‘900 non èseguito un movimento diricerca, soprattutto a livelloscolastico ed il conseguentee naturale riscontro da partedella società civile.

All’interno del mondodella scuola non sipresta sufficiente

attenzione al ‘900 ed allemodalità tramite cuicomunicare gli eventistorici. In Italia è difficiletrovare materiale storico, diguida per i viaggi-studio neilager. Non si è fatto nullaper fornire strumentioperativi e materiale distudio al docente. L’Irrsaepotrebbe proporre agliinsegnanti una serie dimomenti di informazionefinalizzati alla realizzazionedi unità didattiche, toccandoi seguenti punti e argomentielencati qui accanto:

...alla lotta

• L’uso didattico delle fonti orali nelle scuole (doveil testimone è fonte diretta)

• La cultura materiale (come visitare dal punto divista educativo e didattico uno “spazio lager”, co-me è organizzato, finalità della collocazione geo-grafica ecc…)

• La didattica museale (nelle nuove architetture,sorte sul preesistente, si riscontra la presenza dimusei relativi alla deportazione)

• Un progetto per costruire un percorso di visitaguidata

• Un progetto per l’elaborazione di percorsi urba-ni, in ambito territoriale locale finalizzati al rico-noscimento, all’individuazione dei “segni del tem-po”, della storia, per analizzare e interpretare iluoghi che testimoniano un passato gravido di si-gnificati

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Memoria e ricerca sul ruolo del Sudnella liberazione

Gli incontri con l’Aned a Bisceglie

L’università delle tre età - UNITRE - rappresentato dal-la presidente professoressa Pasqua Di Pierro, in accor-do con l’Assesore alla Cultura della Città di Bisceglie (Ba),ha voluto ricordare la giornata della Memoria invitan-do rappresentanti dell’Aned ad incontri con la cittadi-nanza e con studenti delle scuole superiori.

La partecipazione del con-sigliere nazionale dell’AnedBeppe Berruto è stata pre-ceduta da una proposta in-tensa a valorizzare la me-moria della deportazione,attraverso una ricerca di no-tizie presso le numerose fa-miglie della provincia diBari che ebbero congiuntideportati nei lager. A questo scopo è stato tra-smesso un elenco riportan-te il nominativo dei dece-duti nei vari campi europeie dei sopravissuti di Dachaualla data della liberazione(29 aprile 1945).Nel corso degli incontri èintervenuto Savino Morra(82 anni) di Canosa diPuglia, superstite di Dac-hau, “ritrovato” proprio aseguito di una prima rapidaindagine effettuata sui no-minativi trasmessi.L’abbraccio tra i due su-perstiti Beppe Berruto e

Savino Morra, ha contri-buito a creare un clima dicommozione generale e su-scitare un interesse ancorapiù coinvolgente nei con-fronti delle testimonianzerilasciate e delle immaginiproposte, attraverso la vi-sione del filmato “La libe-razione di Dachau” inseri-to nel programma.L’intensificarsi di questi in-contri promossi da scuolee pubbliche istituzioni delSud dell’Italia a distanza dioltre cinquant’anni dalla li-berazione dei lager, richie-dono una riflessione inquanto evidenziano caren-ze di una formazione sul-l’importante ruolo svoltoda personaggi del nostroMeridione nella lotta di li-berazione. Ne sono un esempio anchele centinaia di partigiani edeportati ricordati nei varielenchi dei caduti.

Medaglia d’orodel Quirinaleall’architettoBelgioioso

Per i suoi meriti in campo culturale

Il Presidente della Repubblica, nel cor-so di una manifestazione al Quirinale,ha conferito all’architetto. LudovicoBarbiano di Belgioioso la Medagliad’oro per la sua attività culturale conla seguente motivazione:

“Architetto, è stato uno dei fondatori del Gruppo BBPR nel-l’ormai lontano 1932. Attraverso una proficua collaborazio-ne con i membri del Gruppo, inizia la sua opera di innovazio-ne nei confronti del pensiero dell’epoca, con una brusca in-terruzione a causa degli eventi bellici. Dopo la fine del se-condo conflitto mondiale, sempre in collaborazione con ilGruppo BBPR, si dedica con passione ed impegno allo svi-luppo dell’architettura moderna, alla pianificazione urbanisticae all’insegnamento universitario”.

Quella che nella motivazione è definita sbrigativamente“brusca interruzione a causa degli eventi bellici” costitui-sce – assieme alla sua attività culturale – uno dei tratti piùsignificativi della esemplare personalità dell’architettoBelgioioso. Di sentimenti antifascisti, Belgioioso ha mili-tato durante la Resistenza nel Partito d’Azione. Arrestato dai nazi-fascisti nel 1944 assieme all’amico ecollega Gianluigi Banfi (che morirà nel campo di concen-tramento) è stato deportato prima a Fossoli e quindi aMauthausen. Tornato in Italia si è costantemente impegnatoin conferenze e dibattiti sulla tragedia della deportazione.Belgioioso è anche l’autore di diversi monumenti soprat-tutto nei campi di concentramento nazisti, tra i quali ricor-diamo il Memorial italiano ad Auschwitz voluto dall’Anede dedicato agli italiani caduti nei campi di concentramen-to e di sterminio e che rievoca la spirale di violenza nellaquali essi furono travolti dal fanatismo nazista.Nella foto Belgioioso poco dopo la liberazione.

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