Tra Risorgimento e colera - SEI Editrice · 45 1. Il fuggitivo e il colera...

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Percorso interdisciplinare 43 Nel mondo delle società segrete rivoluzionarie Tra Risorgimento e colera Dal cinema alla storia: L’ussaro sul tetto, di Jean-Paul Rappeneau Attività complementari 1. Il fuggitivo e il colera 2. Il coraggio, contro il panico e l’isteria 3. Nel mondo delle sette: Buonarroti e Blanqui 4. La ragione, contro il panico e l’isteria 1. Comprensione di un testo storiografico: Il colera e la nascita della medicina moderna 2. Avvio al saggio breve: Romanticismo e rivoluzionari a. a. b. b. Tra Risorgimento e colera

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Percorso interdisciplinare

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Nel mondo delle società segreterivoluzionarie

Tra Risorgimentoe colera

Dal cinema alla storia:L’ussaro sul tetto, di Jean-Paul Rappeneau

Attività complementari

1. Il fuggitivo e il colera2. Il coraggio, contro il panico e l’isteria3. Nel mondo delle sette: Buonarroti e Blanqui4. La ragione, contro il panico e l’isteria

1. Comprensione di un testo storiografico:Il colera e la nascita della medicina moderna

2. Avvio al saggio breve:Romanticismo e rivoluzionari

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b.b.

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Premessa

L’obiettivo del presente percorso è, per molti aspetti, ambizioso. In effetti, utilizzandocome strumento il film L’ussaro sul tetto di Jean-Paul Rappeneau (1996, Deltavideo Ent.),ci proponiamo di offrire un rapido quadro sia dell’atteggiamento con cui, all’inizio dell’Ot-tocento, ci si avvicinò al colera, il nuovo morbo che fece la sua comparsa sulla scena inter-nazionale, sia del complesso e misterioso mondo delle società segrete, che nell’ombra lotta-vano contro l’assolutismo e le potenze della Santa Alleanza.

A questo livello, l’attenzione principale sarà concentrata sulla figura di Filippo Buonar-roti, instancabile organizzatore di moti e di cospirazioni, diretti a costruire una società co-munista di uomini liberi ed eguali.

Nello stesso tempo, il comportamento del protagonista del film e, più in generale, l’inte-ra tematica, possono fornire un utile spunto di riflessione sulla mentalità romantica. A que-sto proposito, al centro del nostro interesse saranno allora le concezioni del Manzoni, qualiemergono dalla conclusione dei Promessi sposi.

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1. Il fuggitivo e il colera

Tratto dall’omonimo romanzo di Jean Giono, L’ussaro sul tetto è ambientato in Fran-cia, nel 1831. Protagonista della vicenda è un giovane piemontese, Angelo Pardi, colon-nello di cavalleria, che aveva dovuto fuggire dall’Italia, per il fatto di aver aderito a unasocietà segreta rivoluzionaria. Anzi, anche in Francia il fuggitivo è braccato dalla poliziasegreta austriaca, che per giunta può giovarsi del tradimento di uno degli amici più cari efidati di Angelo.Oltre all’esilio e al tradimento, però, il giovane ussaro dovrà incontrare sulla sua stra-

da un ulteriore pericolo: il colera, che proprio nella torrida estate del 1831 aveva rag-giunto la Francia meridionale.Il colera può essere considerato la prima malattia tipica dell’epoca industriale. Il mor-

bo, in realtà, era presente da secoli nel Bengala e in altre regioni dell’India. Tuttavia, inprecedenza, la scarsa velocità dei mezzi di comunicazione aveva impedito che potessevarcare i confini dei territori all’interno dei quali era diffuso, da tempo immemorabile, informa endemica. Dopo Calcutta (1817), il colera colpì Ceylon, l’Indonesia, la Cina e ilGiappone; verso ovest, la malattia raggiunse il Cairo (nel 1831) e falciò il 13% della po-polazione. Nello stesso 1831, il colera raggiunse l’Europa, toccando infine le sponde delMar Baltico, l’Inghilterra e l’Irlanda. Nel 1832-1833 si registrarono i primi casi negli Sta-ti Uniti e in Messico. In pratica, grazie alle moderne navi a vapore, il colera poté compie-re in pochi anni l’intero giro del mondo.Nell’Impero ottomano, il colera restò una delle malattie più terribili e più frequenti, dif-

fuso soprattutto tra le masse di pellegrini musulmani che si recavano in pellegrinaggio allaMecca, ove si verificarono non meno di quaranta epidemie tra il 1831 e il 1912. A proposi-to di quest’area, cioè del Mediterraneo orientale, occorre poi ricordare che il colera mietémoltissime vittime tra i soldati impegnati nella guerra di Crimea, negli anni 1853-1856.

2. Il coraggio, contro il panico e l’isteria

In Francia, di fronte al nuovo morbo, la reazione della gente fu di tipo isterico, in tut-to e per tutto paragonabile a quella che avevano scatenato, due secoli prima, le epidemiedi peste.È vero che Angelo, al suo primo incontro con la terribile malattia, ha visto un medico

(che lui chiama affettuosamente «il piccolo francese») prodigarsi con ogni mezzo a suadisposizione per curare i malati e alleviare le sofferenze dei moribondi. Quel medico,però, è una misera eccezione, in un panorama complessivo in cui prevalgono invece il pa-nico, la rabbia e la disorganizzazione.Lo stesso Angelo, giunto in un villaggio, deve affrontare le conseguenze dell’isteria

collettiva. La gente infatti accusa il nuovo arrivato (straniero, e quindi sospetto) di essereun avvelenatore, un assassino prezzolato (dal governo, che vuol disfarsi della povera gen-te? da una potenza straniera? Nessuno lo sa con precisione, ma in fondo la cosa non inte-ressa) che ha deliberatamente diffuso il colera in terra di Francia.

Dal cinema alla storia:L’ussaro sul tetto, di Jean-Paul Rappeneau

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Per sfuggire al linciaggio popolare, Angelo si rifugia sul tetto di una casa. Nel tenta-tivo di riguadagnare il suolo e di allontanarsi dal paese, Angelo entra poi all’internodell’edificio e incontra una giovane bellissima donna, che l’ussaro deciderà di portarein salvo, lontano dall’epidemia.Con intelligenza e coraggio, i due affronteranno pericoli di ogni genere: ad esempio,

dovranno evadere da un luogo di quarantena e poi forzare insieme il blocco dei soldati,inviati per impedire a chiunque di uscire dalle regioni investite dal morbo e diffonderlonel territorio circostante. Infine, la giovane stessa verrà colpita dal colera: ma Angelo, in-vece di abbandonarla, riuscirà a curarla seguendo gli insegnamenti che aveva ricevutodal «piccolo francese», il giovane eroico medico incontrato all’inizio della storia.Portata a termine la sua missione, Angelo deciderà di tornare in Italia per combatte-

re contro l’assolutismo e lo straniero. Temperamento romantico e appassionato, è dinuovo pronto per ulteriori avventure: «La mattina della partenza, Angelo lasciò subitobriglia sciolta al cavallo che egli stesso, ogni giorno, aveva nutrito d’avena. Poteva esserfiero di quella andatura. Si vedeva venire incontro al galoppo le montagne rosee, così vi-cine che distingueva, alle loro falde, l’ascesa dei larici e degli abeti. “L’Italia è là dietro” sidiceva. Ed era colmo di felicità».

Documenti CACCIA ALL’AVVELENATORE

Era effettivamente un piccolo spaccio di vino, con una lam-pada accesa all’interno. Attraverso i vetri si vedevano quat-tro o cinque uomini in piedi, che stavano bevendo. Angelospinse la porta. Gli diedero del vino, ma dopo aver fattomolte storie. Il padrone lo guardava con degli occhi da gat-to che fa i suoi bisogni sulla brace. Gli uomini che bevevanodovevano essere dei fornai, a giudicare dai loro berretti co-sparsi di crusca. Anch’essi sgranarono gli occhi quando vi-dero che Angelo si attaccava avidamente alla bottiglia. An-gelo non si rendeva conto che quegli uomini e il padrone –che, quand’era entrato, se ne stavano zitti a bere tutti insie-me – si sforzavano di calmare la paura con dei gesti con-sueti: una piccola riunione come se ne facevano prima del-l’epidemia, e il gusto del vino che, di solito, preludeva all’o-blio di ogni preoccupazione. Questo nuovo personaggiointroduceva bruscamente aria cattiva. (...) Lo esaminaronodall’alto in basso, e uno dei fornai ebbe abbastanza sanguefreddo per notare i begli stivali di Angelo. Posò subito il bic-chiere e uscì. Lo si udì correre, in strada.

Angelo (...) chiese molto seccamente quanto dovesse, epagò con mezzo scudo che ebbe l’abilità di far rotolare sultavolo. In due passi fu fuori, mentre gli altri guardavanoistintivamente la moneta. Era stato troppo allarmato daglisguardi ipocriti e dai sorrisi per non balzare subito in un vi-colo buio. Tuttavia una mano, afferrandolo al passaggio, gliscivolò lungo il braccio facendogli uno strappo alla camicia,e una voce sorda nella quale risuonava dell’odio disse: «Èl’avvelenatore».

Angelo si mise a correre. (...) Gli stavano alle calcagna. Insandali, e conoscendo bene i luoghi, se la cavavano meglio

di lui, nonostante l’oscurità, e correvano più svelti. Più diuna volta delle mani afferrarono ancora la camicia di Ange-lo e la lacerarono. Egli diede anche, nel buio, una pedata,che colpì in pieno e di punta in un ventre. L’uomo mandòun bel grido da cavallo e cadde a terra. Angelo poté pren-dere un po’ di vantaggio, saltare in una strada a destra, epoi subito in un’altra che scendeva sotto una volta. (...)Stette immobile. Presto udì i sandali che, a passo a passo,scendevano cautamente la strada. I suoi inseguitori gli pas-sarono accanto, a portata di mano. Erano una decina. «È ilGoverno che gli paga gli stivali?». «Eh, chi vuoi che sia?» ri-spose un altro. (...) Gli uomini in sandali erano andati fino infondo alla strada e, non udendo più alcun rumore, stetteroun momento a consultarsi, poi chiamarono, e altri risposerodalle strade laterali. A poco a poco parlarono a voce alta, eAngelo s’accorse che s’erano messi in modo da sorvegliaretutte le uscite del quartiere.«È certo rimasto in questa strada» disse una voce dal tonodi comando. «Non vorrete lasciarvi avvelenare come cani daun Governo che vuole la morte degli operai. Risalite e cer-cate meglio: dobbiamo prenderlo.»«Ebbene, tanto peggio, bisogna ammazzarne» si disse An-gelo. (..) Sentì allora che appoggiava la schiena su delle assiche cedevano. Era una porta che oscillava battendo sul sali-scendi. Continuando a sorvegliare attentamente lo scalpic-cio dei sandali che risalivano la strada, Angelo mise la pisto-la sotto il braccio, e cercò di girare la maniglia di legno. Laporta s’aprì. Entrò, rinchiuse e restò immobile al buio, trat-tenendo il respiro.

(J. GIONO, L’ussaro sul tetto, Milano, TEA, 1998, pp. 120-123.

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a Dal cinema alla storia

3. Nel mondo delle sette: Buonarroti e Blanqui

La prima suggestione storica suscitata da L’ussaro sul tetto riguarda, chiaramente, ilmondo delle società segrete. Si tratta di una complessa galassia rivoluzionaria che ha vistonumerose realtà diverse, contraddittorie e complementari. In questa sede, limiteremo l’a-nalisi a due figure di instancabili tessitori di congiure e di complotti: Filippo Buonarroti(1761-1837) e Louis Auguste Blanqui (1805-1881).Di origini italiane, Buonarroti restò affascinato dalla Rivoluzione francese e si trasferì in

Francia per viverla da protagonista. Nel 1795-1796, fu insieme a Gracco Babeuf uno deglianimatori della Congiura degli Eguali, che aveva finalità dichiaratamente comuniste. Arre-stato, venne condannato all’esilio, ma poté infine stabilirsi a Ginevra, da cui iniziò a tessere(soprattutto a partire dal 1815) una complessa e capillare rete di società segrete rivoluzio-narie (tra cui ricordiamo quella dei Sublimi Maestri Perfetti e quella denominata Il Mondo ).Il tratto più tipico delle società segrete dirette da Buonarroti era la loro struttura stra-

tificata. Ogni setta, infatti, prevedeva diversi livelli di iniziazione, cioè si articolava su al-meno tre piani distinti. Ciascun piano perseguiva determinati obiettivi politici e sociali: ementre quelli più esterni avevano mete abbastanza moderate e specifiche, capaci di at-trarre un numero abbastanza elevato di simpatizzanti, quelli più profondi tendevano a fi-ni radicali ed estremi, al limite dell’utopico.In effetti, tra gli obiettivi di un gruppo di primo grado figuravano la lotta per l’indi-

pendenza nazionale e contro l’assolutismo; a un secondo livello, si proponeva la repubbli-ca democratica, affine a quella attuata in Francia da Robespierre e dai giacobini, mentreal terzo e ultimo grado si professava l’obiettivo dell’abolizione della proprietà privata edell’instaurazione di una società comunista.

Documenti L’OBIETTIVO ULTIMO DELLE SOCIETÀ SEGRETE PROMOSSE DA BUONARROTI

Il testo che riportiamo fu steso in latino da Buonarroti, all’inizio dell’Ottocento, e riguarda il terzogrado della setta dei Sublimi Maestri Perfetti. La causa di tutte le ingiustizie è individuata nellaproprietà privata delle terre: la soluzione di tutti i problemi dell’umanità, dunque, verrà solo colcomunismo.

Professione del terzo grado. Dalla imprudente divisione deicampi derivarono gli infortuni, i vizi e i crimini. Subito scom-parve l’innocente eguaglianza e spuntò la fame dell’impe-ro1 e dell’oro. Da qui la vanità, l’odio, l’invidia e il furore, ilsaccheggio, gli assassini, le vendette, l’ipocrisia, la guerra, illusso, l’indigenza, la tirannide e la schiavitù. I corpi perserovigore e gli animi la celeste libertà. I godimenti e gli onorifurono il retaggio dell’ozio, la miseria e il disprezzo quellodel lavoro. Da qui vennero pure i re senza freno, i nobiliscellerati e i vili pubblicani. Il popolo compresso dalla pauradei delatori,2 dei supplizi e dell’inferno inventato da sacer-doti impostori, divenuto indolente, invano si agita e semprepiù lavora alla propria servitù.

Si strappino i confini, tutti i beni si riducano ad un solo co-mune patrimonio e la patria sia l’unica padrona e, madredolcissima, somministri a tutti i diletti e liberi figli suoiegualmente i mezzi di sussistenza, l’educazione e il lavoro.Questa è la redenzione invocata dai saggi, questa è la verarestaurazione gerosolimitana3 questo è il palese e fatale de-creto della mente suprema.

(A. SAITTA, Buonarroti, Roma-Milano, CEI, 1967, p. 60)

1. Del potere.2. Traditori che, al servizio dei potenti, denunciano i compagni.3. Redenzione, come quella promessa dalla Bibbia alla città di Ge-rusalemme, nei tempi messianici.

Buonarroti condivideva l’idea di Rousseau secondo cui tutti i mali dell’umanità deri-vavano dalla proprietà privata. In modo ancora più coerente del filosofo ginevrino, però,Buonarroti giunse ad auspicarne la completa abolizione, come primo passo per la restau-razione dell’eguaglianza naturale e originaria.

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Il leader rivoluzionario sapeva benissimo che questa affermazione era quanto mai ar-dita: pertanto, teneva ben nascosto il suo obiettivo finale, e cercava intanto di organizza-re sette e società segrete che, nell’immediato, colpissero l’assolutismo e le grandi potenzeche avevano provocato la sconfitta della Rivoluzione francese.Tra le numerose società segrete operanti in Italia e in Europa, la più ramificata era

senz’altro, negli anni Venti, la Carboneria, che in certi casi agiva autonomamente, maspesso era subordinata a una società di grado superiore, diretta da Buonarroti. A Milano,ad esempio, la maggior parte dei gruppi carbonari che all’inizio degli anni Venti cospira-vano nell’ombra, o tentarono insurrezioni per ottenere l’indipendenza dall’Austria, inrealtà (senza saperlo né esserne minimamente consapevoli) erano diretti e manovrati daBuonarroti.La segretezza degli obiettivi ultimi fu uno degli aspetti della tattica buonarrotiana che

più accesamente vennero criticati da Mazzini, che si distinse dal vecchio leader proprioper la trasparenza con cui, fin dall’inizio, laGiovine Italia esponeva la sua meta di un’Ita-lia unita, democratica e repubblicana. Mazzini, inoltre, guardò sempre con sospetto al co-munismo di Babeuf, di Buonarroti e poi, più tardi, di Marx: «La mia repubblica» scrisseMazzini nel luglio 1833 «non istà nell’innalzare una classe – e sia qualunque –[di]struggendone un’altra. La mia Repubblica basa sul Popolo – per Popolo intendo l’ag-gregato di tutte le classi».

Documenti L’ESAME DI UN CANDIDATO DESIDEROSO DI AGGREGARSI ALLA SOCIETÀ

DELLE FAMIGLIE

1. Che cosa pensi del governo attuale?– Che tradisce il popolo e il paese.

2. In nome di quale interesse agisce?– Quello di un piccolo numero di privilegiati.

3. Chi sono oggi gli aristocratici?– Sono i finanzieri, i banchieri, i fornitori, i monopolisti,i grandi proprietari, gli aggiotatori1 che si arricchisco-no a spese del popolo.

4. Qual è il diritto in virtù del quale governa?– La forza.

5. Qual è il vizio dominante nella società?– L’egoismo.

6. Che cosa ha preso il posto dell’onore, della probità, del-la virtù?– Il denaro.

7. Qual è l’uomo stimato nel mondo?– Il ricco e il potente.

8. Qual è quello perseguitato, disprezzato, messo fuorilegge?– Il povero e il debole.

9. Che cosa pensi del diritto di concessione, delle impostesul sale e sulle bevande?– Che sono imposte odiose, destinate a spremere il po-polo risparmiando i ricchi.

10. Che cos’è il popolo?– Il popolo è l’insieme dei cittadini che lavorano.

11. Com’è trattato dalle leggi?

– È trattato come uno schiavo.12. Qual è la sorte dei proletari sotto il governo dei ricchi?– La sorte del proletario è simile a quella del servo e delnegro, la sua vita non è altro che un seguito di mise-rie, fatiche e sofferenze.

13. Qual è il principio che deve servire di base a una societàgiusta?– L’uguaglianza.

14. Quali devono essere i diritti di un cittadino in un paeseben ordinato?– Il diritto di esistenza, il diritto all’istruzione gratuita, ildiritto di partecipare al governo; i suoi doveri sono ladedizione verso la società e la fraternità nei confrontidei suoi concittadini.

15. Bisogna fare una rivoluzione politica o sociale?– Bisogna fare una rivoluzione sociale. (...)

Più tardi, quando l’ora sarà suonata, prenderemo le armiper rovesciare un governo traditore della patria. Sarai connoi quel giorno? Ti senti la forza di sfidare il pericolo? Ri-fletti bene, è un impresa rischiosa. Quando sarà dato il se-gnale della battaglia, sei risoluto a morire con le armi in pu-gno per la causa dell’umanità? (...)Giuro di non rivelare ad alcuno, nemmeno ai miei parenti piùprossimi, ciò che sarà detto o fatto tra noi; giuro di obbedirealle leggi dell’associazione, di perseguitare con il mio odio ela mia vendetta i traditori che dovessero introdursi nelle no-stre file, di amare e soccorrere i miei fratelli e di sacrificare lavita e la libertà per il trionfo della nostra santa causa.

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a Dal cinema alla storia

Negli anni Trenta, in Italia la Carboneria venne in larga misura soppiantata dallamazziniana Giovine Italia, del tutto avversa alle «usurpazioni di proprietà», cioè al co-munismo. In Francia, invece, l’erede di Buonarroti nella guida del movimento rivolu-zionario clandestino fu un altro comunista, Louis Auguste Blanqui, che dapprima die-de vita alla Società degli amici del popolo (luglio 1830) e poi alla Società delle famiglie(1834). I cerimoniali di queste società erano ancora abbastanza simili a quelli della Car-boneria, che a sua volta li aveva derivati dalla Massoneria. Dunque, ogni nuovo mem-bro doveva sottostare a un preciso rituale di affiliazione alla setta, rispondere alle do-mande di un catechismo rivoluzionario e impegnarsi con un giuramento solenne a nontradire la setta.Col passar del tempo, nelle domande, nelle risposte e nei simboli, l’accento cadde sul

sacrificio di sé (dei propri beni e della vita stessa, se necessario) che il candidato si impe-gnava a compiere, a tutto vantaggio della causa per cui la società combatteva.Dunque, anche nelle sette di Blanqui, orientate in direzione del comunismo, si fece

strada la nuova mentalità romantica, tutta centrata sullo slancio appassionato, sull’entu-siasmo, sull’eroismo individuale fino alla morte. Del resto, nel linguaggio delle sette co-muniste, il Romanticismo poteva facilmente sposarsi col disprezzo del borghese, che oltrea sfruttare i poveri e i proletari, incarnava un tipo umano squallido e meschino, domina-to dall’egoismo e dedito solo all’accumulo del denaro.

4. La ragione, contro il panico e l’isteria

Angelo Pardi, protagonista dell’Ussaro sul tetto, appare un tipico esponente di questafusione di passione politica e Romanticismo. Pur essendo un aristocratico, si è tuffato nel-la lotta contro l’assolutismo e contro l’Austria; e in Francia, di fronte al colera, dopo avervisto all’opera il generoso medico che cura i malati a rischio della vita, cerca di imitarnel’esempio e di assumerlo come modello di comportamento eroico.L’isterica risposta dei contadini francesi che vorrebbero uccidere gli avvelenatori, in-

vece, richiama il ben noto dramma degli untorimilanesi descritti da Manzoni nei Promes-

La maggior parte dei rituali adottati dalle società segrete, come la Carboneria (a sinistra la tessera di un affiliato), siispirò alla simbologia della Massoneria (a destra), nata per diffondere in tutta Europa gli ideali dell’Illumismo.

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si sposi, ovvero ci ricorda che il tema del Male fu al centro di un grande dibattito filosofi-co e intellettuale, svoltosi nel periodo compreso tra il 1759 (pubblicazione di Candido, diVoltaire) e il 1827 (pubblicazione dei Promessi sposi).Pur essendo molto diversi nell’impianto narrativo e nelle loro finalità, i due romanzi

hanno in comune il tipo di conclusione che i rispettivi autori hanno posto al termine del-la vicenda. Candido, dopo aver girato per tutta la terra e aver appreso a sue spese chel’uomo non vive nel migliore dei mondi possibili, giunto a Istanbul impara da alcuni saggimusulmani l’ultima decisiva lezione. Innanzi tutto, si conferma nell’idea secondo cui l’uo-mo non può conoscere il senso di ciò che accade sulla terra: agli esseri umani non è asso-lutamente concesso di comprendere il senso della sofferenza di cui sono vittime. Anzi, gliuomini possono essere paragonati a topi, che si trovino per caso nella stiva di una nave:come quelli non sanno perché è partito e dov’è diretto il vascello su cui sono imbarcati (econ il quale, forse, affonderanno), così gli uomini sono incapaci di cogliere, con la loro ra-gione, il senso complessivo dell’esistenza e dell’universo.In sintesi il male, quando si verifica, pone la ragione umana in condizione di scacco to-

tale, obbligando l’uomo al silenzio assoluto. D’altra parte, Candido scopre anche il valo-re e l’importanza dei momenti di tregua che il male concede agli esseri umani. La formu-la con cui il romanzo si conclude («Dobbiamo coltivare il nostro giardino»), mentre daun lato esprime una rassegnata impotenza di fronte alle grandi domande dell’esistenzaumana, dall’altro appare un invito a godere dei piccoli momenti di serenità che la vita of-fre agli individui, nell’intervallo tra un dolore e un altro.

Documenti «DOBBIAMO COLTIVARE IL NOSTRO GIARDINO»

Viveva in quei pressi un derviscio1 famosissimo, che avevafama d’essere il maggior filosofo di Turchia. Andarono aconsultarlo. Pangloss2 prese la parola, e disse: «Maestro,siam venuti a pregarvi che ci spieghiate perché sia statocreato un animale così bizzarro com’è l’uomo.»«Ma di che ti vai a impicciare?» disse il derviscio; «che te neimporta?»«Ma, padre mio reverendo,» osservò Candido, «v’è pur nelmondo una quantità spaventosa di mali.»«E che diavolo importano,» rispose il derviscio, «i mali ed ibeni? Quando Sua Altezza spedisce una nave in Egitto, si dàella forse pensiero se i topi che sono nella stiva stanno co-modi o no?»«E allora, che dobbiamo fare?» domandò Pangloss.«Tacere,» rispose il derviscio.«Io m’ero illuso,» riprese Pangloss, «di poter ragionare unpochino con voi delle cause e degli effetti, del migliore deimondi possibili, dell’origine del male, della natura dell’ani-ma e dell’armonia prestabilita.»A questo il derviscio sbatté loro l’uscio in faccia. (...)Pangloss, Candido e Martino3 nel tornare alla fattoria, vide-ro un buon vecchio seduto dinanzi all’uscio di casa sua, al-l’ombra d’un boschetto d’aranci. (...) Dopo aver parlato, in-vitò gli stranieri a favorire in casa. Le due figlie e i due fi-gliuoli del vecchio offrirono diverse qualità di sorbetti fattida loro stessi, del caimacco4 insaporato di scorze di cedro

candite, aranci, limoni, cedri, ananassi, datteri, pistacchi, edel caffè di Moca schietto, non già mescolato con quellocattivo di Batavia e delle isole; dopo di che le figlie del buonmusulmano profumarono le barbe degli ospiti.«Voi dovete esser padrone d’un podere magnifico, e anchemolto vasto,» disse Candido al turco.«Non ho che venti jugeri, e li coltivo io stesso con questimiei figliuoli. Il lavoro ci salva da tre mali grandissimi: noia,vizio e bisogno.»Nel tornare alla fattoria, Candido rivolgeva dentro di sé leparole udite dal turco, e vi faceva sopra grandi riflessioni.«Mi pare che quel buon vecchio,» diss’egli a Pangloss e aMartino, «abbia organizzato la sua vita meglio di quei seire con i quali abbiamo avuto l’onor di cenare.» (...) «So an-che» disse Candido, «che dobbiamo coltivare il nostrogiardino.»

(VOLTAIRE, Candido, Milano, Garzanti, 1973, pp. 92-94.Traduzione di M. Moneti)

1. Un saggio musulmano.2. Pangloss è il precettore di Candido e incarna l’Illuminismo nellasua versione più ingenua.

3. Martino è un compagno d’avventura di Candido e incarna latentazione di spiegare il Male ricorrendo a un principio metafisi-co parallelo a Dio (manicheismo).

4. Una specie di sorbetto a base di latte.

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Il finale dei Promessi sposi è, per molti aspetti, affine a quello del Candido. Innanzi tut-to ricordiamo che non era affatto scontato che la vicenda di Renzo e Lucia avesse unaconclusione positiva. Fino a quel momento, Manzoni aveva scritto soprattutto delle tra-gedie, nelle quali aveva lasciato intendere che, nel mondo, la violenza e la prepotenzaavrebbero trionfato a danno della bontà e della moralità: solo nell’aldilà la giustizia divi-na avrebbe ricompensato le vittime innocenti e punito i colpevoli.D’altra parte, va subito precisato che il finale positivo dei Promessi sposi (come quello

del Candido ) si distacca nettamente dal tipico lieto fine delle fiabe; in queste, la formula«... e vissero a lungo, felici e contenti» denota infatti che i protagonisti della vicenda (do-po aver vissuto avventure e disgrazie di ogni genere) sono proiettati fuori dalla storia, inun mondo radicalmente diverso da quello in cui hanno vissuto la prima parte della lorovita: un mondo privo di malvagità, di pericoli e di violenze. In pratica, giunti al terminedelle loro peripezie, i personaggi delle fiabe sperimentano una specie di anticipazione ter-rena del paradiso, del Regno di Dio, del millennio escatologico sognato dai poveri lungotutta la storia europea, dai primi secoli cristiani fino al Novecento inoltrato.Renzo e Lucia invece (come Candido) non sono proiettati fuori dalla storia: quella in

cui vivono è soltanto una condizione di temporanea tregua, che pur essendo caratterizza-ta dalla cessazione dei problemi che hanno dovuto affrontare in passato, non esclude af-fatto, né per loro né per i loro figli, la comparsa all’orizzonte di nuovi pericoli e di nuoviguai.Dunque, per i due sposi è importantissimo trarre un insegnamento, una lezione dal-le disavventure che hanno subito; ed è a questo livello, nell’ultima pagina dei Promessisposi, che Manzoni comunica al lettore il proprio messaggio morale (chiamato, ironica-mente, «il sugo di tutta la storia»).

a Dal cinema alla storia

Documenti IL «SUGO» DEI PROMESSI SPOSI

Il bello era sentirlo1 raccontare le sue avventure: e finivasempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per go-vernarsi meglio in avvenire. «Ho imparato,» diceva, «a nonmettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piaz-za: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato anon tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lìd’intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non at-taccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quelche possa nascere.» E cent’altre cose.Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma nonn’era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancas-se qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e dipensarci sopra ogni volta, «e io,» disse un giorno al suomoralista, «cosa volete che abbia imparato? Io non sonoandata a cercare i guai: son loro che son venuti a cercar me.

Quando non voleste dire,» aggiunse, soavemente sorriden-do, «che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, edi promettermi a voi.»Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibat-tere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensìspesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta piùcauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e chequando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia inDio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Que-sta conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsacosì giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il su-go di tutta la storia.

(A. MANZONI, I promessi sposi, Milano, Principato, 1988, pp. 889-891.A cura di E. Raimondi e L. Bottoni)

1. Renzo.

Al di là del tono volutamente dimesso, l’importanza storico-culturale della paginaconclusiva del romanzo manzoniano è veramente notevole. In poche battute, l’autore rie-sce a condensare il nocciolo di un vasto dibattito e a esprimere la propria posizione intel-lettuale e religiosa.Osserviamo che il primo a prendere la parola è Renzo: dalle sue parole, emerge che

l’uomo incontra il Male (i «guai») solo per causa propria; per certi versi, sembra di udire

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di nuovo l’ingenuo Illuminismo del precettore di Candido, Pangloss, convinto del fattoche viviamo nel «migliore dei mondi possibili». Lucia, da parte sua, incarna invece la po-sizione (tipica sia del Voltaire del Candido sia della maggioranza dei romantici) di chi hascoperto che il Male è, della realtà mondana, una componente potente ed ineliminabile;inoltre, e soprattutto, Lucia ha scoperto che il Male si riversa anche sulle persone inno-centi, ovvero che i «guai», spesso, non sono altro che una violenza esercitata dai potenti,a danno dei deboli.La differenza non è importante solo sotto il profilo teorico. Al contrario, la differente

valutazione dell’origine dei «guai» (per colpa propria, oppure per violenza altrui) suscitareazioni opposte nei confronti delle persone inguaiate, in coloro che osservano dall’ester-no la situazione: e nel primo caso, poiché si ritiene che la persona in difficoltà sia cadutain disgrazia solo per propria colpa, non scatta nei suoi confronti alcun tipo di soccorso edi solidarietà; a prevalere, piuttosto, è la sensazione che l’individuo subisca la giusta pu-nizione per i suoi errori.Si noti che in questa occasione (come nel resto della sua produzione letteraria) Man-

zoni cerca di fondere insieme Illuminismo e Romanticismo. La dottrina di Renzo non èaffatto giudicata “falsa in sé”: Manzoni, da buon illuminista, non ha mai messo in discus-sione l’idea secondo cui l’uomo deve porre la ragione alla base di tutte le proprie azioni(«i guai vengono spesso, perché ci si è dato cagione», cioè “per colpa”). Tuttavia, lo scrit-tore lombardo ha ormai capito che a quella dottrina “manca qualcosa”: la scoperta vol-tairiana (e romantica) della potenza del Male.Quanto alla lezione che è possibile trarre da questa consapevolezza, Manzoni va sicu-

ramente al di là del «dobbiamo coltivare il nostro orto» di Voltaire; egli, infatti, ci additacome modello morale il comportamento cristiano di fra Cristoforo, che a rischio della vi-ta si dimostra subito solidale con tutti coloro che vengono colpiti dalla violenza del Malee ne diventano le vittime innocenti. Del resto lo stesso fra Cristoforo, in giovinezza, hascoperto che non serve assolutamente a nulla tentare di rispondere al Male con la violen-za: semplicemente si aggiunge nel mondo un’ulteriore quantità di dolore.Per tutto il romanzo, Manzoni attacca un solo tipo di comportamento: quello (roman-

tico) dettato dall’impulso, dalla passione, dall’impeto irrazionale. Il giovane Ludovico,che in preda all’odio ha ucciso un nobile, e poi ha scontato il resto della vita come peni-tenza sotto il nome di padre Cristoforo; Renzo, che vorrebbe farsi giustizia da solo e uc-cidere don Rodrigo; i milanesi, al tempo della carestia, quando assaltano i forni, e al tem-po della peste, quando si mostrano zelanti nella caccia all’untore: per Manzoni sono al-trettanti esempi del comportamento errato di chi si lascia trascinare dalla rabbia e dallasete di vendetta, nel momento in cui non può affrontare le vere cause di una situazionedrammatica.In questo senso, la «fiducia in Dio» di cui parla «il sugo» del romanzo è singolarmen-

te laica e razionalistica. Essa è, prima di tutto, rifiuto del panico, dell’isteria, cui l’uomodovrebbe opporre simultaneamente, secondoManzoni, il freddo razionalismo illuministae la cristiana solidarietà nei confronti del prossimo: elemento, quest’ultimo, tipicamenteromantico, o per lo meno caratteristico di un pensiero che non presta più fede all’ottimi-smo illuminista, nelle sue forme più ingenue e più grossolane.

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Attività complementarib.b.

1. Comprensione di un testo storiografico

Il colera e la nascita della medicina moderna

La prima e sotto molti aspetti la più rilevante manifestazione dei diversi rapporti di malattia creati dal-l’industrializzazione, fu la diffusione mondiale del colera. Questa malattia era stata a lungo endemicanel Bengala; di là si era diffusa in forma epidemica in altre parti dell’India e, di volta in volta, nelle regio-ni circostanti. Era causato da un bacillo in grado di vivere come organismo indipendente nell’acqua perlunghi periodi di tempo. Quando sia stato ingerito, se il bacillo del colera riesce a sopravvivere ai succhigastrici, è in grado di moltiplicarsi rapidamente entro l’apparato digerente umano, dando luogo a sin-tomi violenti e vistosi – diarrea, vomito, febbre – cui segue la morte, spesso dopo poche ore dai primi se-gni della malattia. La velocità con cui il colera uccideva era fortemente preoccupante giacché, quandol’infezione era nei paraggi, nemmeno le persone in ottima salute potevano sentirsi al sicuro. I sintomi,inoltre, erano particolarmente orripilanti: in seguito alla totale disidratazione la vittima, nel volgere dipoche ore, si raggrinziva fino a diventare la caricatura di se stessa, mentre la rottura dei capillari toglie-va alla pelle la sua tinta naturale, colorandola di nero e di blu. Il risultato era quello di rendere la morteper colera particolarmente impressionante: il decadimento fisico era aggravato e affrettato come in unfilm proiettato in accelerazione, per ricordare l’orrore e l’assoluta ineluttabilità della morte a coloroche vi assistevano.La rilevanza statistica del colera fu talvolta notevole: al Cairo, nel 1831, quando la malattia colpì per laprima volta la città, morì il 13 per cento della popolazione totale. Ciò tuttavia era inconsueto, e nellecittà europee la mortalità non fu mai così alta. Ciononostante, l’effetto psicologico pressoché unico pro-dotto dall’approccio con questa malattia letale non diminuì. Il colera sembrava capace di superare qual-siasi quarantena o di aggirare qualunque ostacolo posto dall’uomo: esso sceglieva le proprie vittimequa e là, prevalentemente ma non esclusivamente fra i ceti bassi delle città europee. In breve, esso erain sé del tutto temibile, e inoltre era unico nel panorama delle recenti esperienze europee. La reazione,parallelamente, fu frenetica e di grande portata. (...)La gente doveva improvvisare, ragionare e fuggire, oltre a supplicare, minacciare e pregare. In altri ter-mini, c’era un’ampia gamma di comportamenti entro la quale scegliere il mezzo più efficace per affron-tare ciò che tutti concordavano nel considerare una reale ed effettiva minaccia alla vita e alla società. Daquesti squilibri, che si ripeterono a intervalli frequenti durante il resto del XIX secolo, scaturì il maggiorimpulso verso il miglioramento delle condizioni igieniche urbane e delle norme di sanità pubbliche.Per incominciare, il colera rese ancora più pressante la soluzione dell’annoso dibattito sulle epidemie incorso fra contrastanti scuole di pensiero. Dai tempi di Ippocrate,1 alcuni medici europei sostenevano chele improvvise manifestazioni della malattia erano causate da un miasma, forse originato dai cadaveridei defunti o da altra materia che imputridiva sottoterra. Quando il miasma si imbatteva in persone dicostituzione convenientemente debole – ritenevano i sostenitori di questa teoria – scoppiava la malattia.(...) La teoria rivale, quella del contagio attraverso i germi, era stata formulata con chiarezza sin dal 1546da Girolamo Fracastoro. Essa forniva la spiegazione teorica di quelle norme sulla quarantena che veni-vano applicate in tutto il Mediterraneo contro la peste. Ma all’inizio del XIX secolo la teoria batterica do-vette porsi sulle difensive. (...)Nei cinquant’anni successivi, i riformatori della medicina iniziarono la demolizione delle antichissimenorme sulla quarantena vigenti nei porti del Mediterraneo, affermando che si trattava di mere vestigia2

di un’epoca dominata dalla superstizione. In mancanza di una qualsiasi base empirica3 (...) la teoria bat-terica sembrava destinata a finire fra i rifiuti della storia. I liberali britannici, in particolare, considerava-no le norme sulla quarantena come una violazione irrazionale del principio del libero commercio, e ri-volsero ogni sforzo all’estirpazione di quei resti della tirannia e della follia della chiesa cattolica romana.

1. Il più famoso degliantichi medici greci,vissuto tra il 460 e il370 circa a.C.

2. Di un comportamen-to assai inutile, tipicodel tempo in cui in-fieriva la peste.

3. Verifica sperimenta-le, che venne soloquando i microrgani-smi furono effettiva-mente osservati gra-zie al microscopio.

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4. Dell’Ottocento.

Regione d’origine del colera

Motivi per cui la diffusione del colera destòparticolare paura

Misure sanitarie prese per prevenire il colera

Discussione scientifica sorta a propositodelle cause del colera

(...) Poi, negli anni ottanta del secolo scorso,4 il microscopio sovvertì improvvisamente l’equilibrio dell’o-pinione dei medici con la clamorosa scoperta dei “germi” patogeni.I primi a venire isolati furono il bacillo dell’antrace e quello della tubercolosi, rispettivamente da Louis Pa-steur fra il 1877 e il 1879 e da Robert Koch nel 1882. Poiché nessuna di queste due infezioni si diffon-deva con vistose manifestazioni epidemiche, la loro identificazione non scosse la teoria dei miasmi, cheera stata formulata per spiegare il verificarsi delle epidemie. Ciò avvenne invece nel 1883, quando Ro-bert Koch affermò di aver isolato un nuovo bacillo ritenuto responsabile del colera, poiché se Koch ave-va ragione, allora la teoria dei miasmi era errata – almeno per quanto concerneva questa malattia.

(W.H. MCNEILL, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità all’età contemporanea,Torino, Einaudi, 1981, pp. 240-245. Traduzione di L. Comoglio)

Proposte di lavoroInnanzi tutto, assicuratevi di aver compreso il significato delle seguenti espressioni:– endemica; – quarantena;– orripilanti; – miasma;– ineluttabilità; – “germi” patogeni.

In secondo luogo, completate la seguente tabella, che raccoglie le principali informazionifornite dal testo:

2. Avvio al saggio breve:

Romanticismo e rivoluzionari

ConsegneRiportiamo due testi, rispettivamente di Bronislaw Baczko e di Isaiah Berlin. Il primo hastudiato sia la crisi dell’Illuminismo, sia la mentalità dei rivoluzionari dei primi decennidell’Ottocento. L’altro ha dedicato la sua esistenza di studioso al Romanticismo, che a suogiudizio rappresenta «la massima trasformazione della coscienza occidentale, quanto me-no nel nostro tempo».

Testo 1Chi sono i rivoluzionari?Cosa vuol dire essere rivoluzionari in quest’epoca di società segrete? Essere un rivoluzionario è un’espe-rienza collettiva che si fa con gli uni e contro gli altri. (...) I semplici aderenti di base dedicavano alla so-cietà solo una parte del loro tempo: dovevano anche guadagnarsi da vivere e pensare alla famiglia. D’al-tronde molti di loro restavano nella società per un periodo limitato. Di regola, erano rivoluzionari sol-tanto per pochi anni, e ciò per diversi motivi: l’esaurimento dell’entusiasmo iniziale, la stanchezzadell’attesa del “gran giorno”, lo scioglimento della società da parte dell’autorità, e via dicendo. In com-

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b Attività complementari

1. Apprendisti e gar-zoni.

penso, dirigere una società segreta, nascondersi, confondere le piste, contattare gli emissari, prepararei piani dell’insurrezione, rispettare le regole di segretezza sempre più sofisticate, tutto ciò richiedevasempre più tempo. Cominciò perciò a delinearsi il fenomeno della professionalizzazione del rivoluziona-rio, di cui Blanqui costituisce la figura emblematica. Egli non fa altro: la sua vita si divide fra la prigionee le attività rivoluzionarie. Infaticabile, non appena rimesso in libertà, ricomincia, spesso da zero. Sacrifi-ca la propria vita privata, vive per la rivoluzione. Cionondimeno, è impensabile che venga pagato per ilsuo lavoro organizzativo. Mescolare denaro e rivoluzione sarebbe inaccettabile, perché contrario all’o-nore del rivoluzionario. Blanqui vive più che modestamente. Da giovane è stato giornalista; in seguito,assorbito dalle attività clandestine, vive delle risorse della sua famiglia e alloggia in casa dei compagni.All’onore e alla fedeltà spettava un posto eminente nel codice morale e nell’immaginario dei rivoluzio-nari. Onore significava rispettare gli impegni solennemente assunti al momento dell’iniziazione. Signifi-cava soprattutto il dovere di mantenere il segreto e non tradire mai la società e la sua causa, in partico-lare durante gli interrogatori che facevano seguito a un arresto. (...)Quanti erano i rivoluzionari? Qualsiasi risposta è ipotetica e poco attendibile, e ciò per più di un motivo.(...) I dirigenti tendevano facilmente a vedere le cose in grande, a sovrastimare il numero degli adepti.Ma la stessa tendenza si manifestava anche da parte dei governanti: per esempio, nel 1822, il governa-tore militare di Metz ipotizzava l’esistenza di... 800 000 carbonari. In realtà si trattava solo di una fanta-sia, che dava la misura del panico delle autorità.Una volta espresse queste riserve, diamo comunque alcune cifre. I più numerosi sarebbero stati i carbo-nari: si calcola che fossero 30 000, e persino 60 000 al culmine della loro attività. (...) Quanto agli am-bienti in cui venivano reclutati questi rivoluzionari, rileviamo, in modo piuttosto schematico, alcune ten-denze. Fra i carbonari si trovano soprattutto studenti, giovani di studio,1 ufficiali a mezza paga e milita-ri in servizio. (...)Si diventa rivoluzionari per molte ragioni che appartengono al contesto di questa o quella biografia e ilpeso delle scelte politiche e ideologiche varia da un individuo all’altro. (...) È certo che le motivazioni ne-gative hanno il sopravvento sulle scelte positive: si diventa rivoluzionari in primo luogo e soprattutto con-tro un potere e un regime. Il per è spesso soltanto secondario e complementare: il sogno sociale ha le sueradici nel rifiuto dell’ordine esistente. Così, nella Carboneria domina il rifiuto della Restaurazione in quan-to rifiuto di una dinastia imposta dall’esterno; rifiuto dei tentativi di far tornare l’Ancien Régime, i suoi pri-vilegi e le sue gerarchie; rifiuto dell’umiliazione della Francia e, in particolare, del suo esercito. (...)(È) la volontà di agire, di avere la meglio sul potere, ad affermarsi tra i rivoluzionari come motivazione es-senziale. I fallimenti accumulati erano, certo, un fattore di scoraggiamento, ma anche un incitamentoalla rivincita, a fare l’impossibile perché giungesse, infine, quel momento sublime in cui tutto sarebbestato sovvertito. Da qui la propensione sempre più forte all’azione: l’avvento del “gran giorno” diventadi per sé uno scopo. I tentativi insurrezionali delle società segrete di cui sono costellati gli anni Venti eTrenta, si spiegano, fra l’altro, con le pressioni di una base impaziente. La cospirazione ha, sicuramente,il sapore del mistero e dell’avventura, ma impone anche degli obblighi quotidiani a cui si aggiunge la co-scienza permanente dei pericoli e dei rischi che si corrono. Da ciò l’impazienza, alimentata inoltre dallaconvinzione che l’intero paese, o meglio le grandi città, in una parola il popolo, non aspetti altro che unsegnale per seguire spontaneamente i rivoluzionari.

(B. BACZKO, «Il rivoluzionario», in F. FURET, L’uomo romantico, Roma-Bari,Laterza, 1995, pp. 295-308. Traduzione di C. Patanè)

Testo 2La mentalità romanticaImmaginate di star viaggiando per l’Europa occidentale, diciamo negli anni tra il 1820 e il 1830, e diparlare, in Francia, con quei giovani1 dell’avanguardia che erano amici di Victor Hugo, gli Hugolatres.Immaginate quindi di passare in Germania, e di parlare qui con le persone cui un tempo aveva fatto vi-sita Madame de Staël, la quale aveva spiegato ai francesi l’anima tedesca. Immaginate di aver incontra-to i fratelli Schlegel, i grandi teorici del Romanticismo, o un paio di amici weimeriani2 di Goethe (...). Im-maginate di aver parlato in Inghilterra con qualcuno che aveva subìto in profondità l’influenza, ponia-mo, di Coleridge, e soprattutto di Byron – con chiunque fosse stato influenzato da Byron, non importase in Inghilterra o in Francia o in Italia, o al di là del Reno, o al di là dell’Elba.Immaginate di aver parlato con queste persone. Avreste trovato che il loro ideale di vita era più o menoil seguente: i valori cui attribuivano la massima importanza erano valori come l’integrità, la sincerità, la

1. Rapidamente l’au-tore menziona tuttii principali espo-nenti del Romanti-cismo europeo.

2. Che vivono, comeGoethe, a Weimar.

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disponibilità a sacrificare la vita a una qualche luce interiore, la dedizione a un ideale per cui vale la pe-na di sacrificare tutto ciò che si è, per cui vale la pena di vivere e di morire. Avreste trovato che il loro in-teresse prioritario non andava alla conoscenza, o al progresso della scienza, che non gl’importava il po-tere politico, e neppure la felicità, e soprattutto non gl’importava adattarsi alla vita, trovare il loro postonella società, vivere in pace con il loro governo, e nemmeno la fedeltà al loro re o alla loro repubblica.Avreste trovato che il senso comune e la moderazione erano lontanissimi dai loro pensieri. Avreste tro-vato che credevano nella necessità di battersi fino all’ultimo respiro per le proprie convinzioni, e avrestetrovato che credevano nel valore del martirio in quanto tale, indipendentemente da ciò per cui lo si af-frontava. Avreste trovato che credevano che le minoranze fossero più sante delle maggioranze, che ilfallimento fosse più nobile del successo, il quale aveva qualcosa di meschino, qualcosa di volgare. La no-zione stessa di idealismo, non nel senso filosofico del termine, ma nel senso in cui lo usiamo solitamen-te, ossia per designare lo stato mentale di un uomo che è pronto a sacrificare molte cose ai princìpi, o auna sua convinzione, che non è disposto a vendersi, ma è pronto a salire sul rogo per qualcosa in cuicrede, per la sola ragione che ci crede: tale atteggiamento era relativamente nuovo. Ciò che gli uominiammiravano era la dedizione incondizionata, la sincerità, la purezza dell’anima, la capacità e la disponi-bilità a dedicarsi al proprio ideale, qualunque esso fosse. (...)Naturalmente il martirio è stato sempre ammirato; ma si trattava del martirio per la verità. I cristiani am-miravano i martiri perché erano i testimoni della verità. Se avessero testimoniato la falsità, non ci sareb-be stato in loro niente di ammirevole: forse qualcosa di cui avere pietà, ma sicuramente niente da am-mirare. Negli anni Venti dell’Ottocento, troviamo ormai un orizzonte mentale in cui lo stato d’animo, ilmotivo, è più importante delle conseguenze, l’intenzione più importante dell’effetto. La purezza delcuore, l’integrità, la devozione, la dedizione – tutte cose che noi stessi ammiriamo senza troppa diffi-coltà, che sono parte integrante dei nostri ordinari atteggiamenti morali – divennero sostanzialmentedei luoghi comuni, innanzitutto tra le minoranze, da cui si diffusero poi verso l’esterno. (...)Si tratta di un atteggiamento che non dirò nuovo di zecca (un’affermazione del genere sarebbe azzar-data), ma quanto meno abbastanza nuovo da essere degno di attenzione; e qualunque ne sia stata lacausa, esso emerse secondo me in qualche punto tra il 1760 e il 1830.

(I. BERLIN, Le radici del Romanticismo, Milano, Adelphi, 2001, pp. 33-37.Traduzione di G. Ferrara degli Uberti)

Ragioni che hanno provocato la nascita dellafigura del rivoluzionario professionista

Conseguenze sulla sua vita privata

Rapporto col denaro

2. Individuate ed evidenziate, nei due testi citati, le espressioni che denotano lo strettocollegamento tra la sensibilità romantica e la mentalità e il comportamento dei rivolu-zionari che aderivano alle società segrete.

3. A questo punto, stendete un saggio breve, che non superi le tre colonne di foglio pro-tocollo e nel quale vengano messi in risalto sia i tratti più tipici della sensibilità roman-tica, sia la mentalità e il comportamento dei rivoluzionari che aderivano alle società se-grete.

Indicazioni operative1. Con l’aiuto della seguente tabella, delineate la figura del rivoluzionario professionista:

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