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TRA C RONACA E S TORIA LE V ICENDE DEL P ATRIMONIO B OSCHIVO DELLA S ARDEGNA

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  • TRA CRONACA E STORIALE VICENDE

    DEL PATRIMONIO BOSCHIVODELLA SARDEGNA

  • La foresta è un organismo di illimitata gentilezzae benevolenza che non chiede nulla

    per il suo sostentamento ed elargisce generosamentei prodotti della sua attività vitale; essa dà protezione

    a tutti gli esseri, offrendo ombra e riposoanche al boscaiolo che la distrugge.

    Buddha

  • TRA CRONACA E STORIALE VICENDE

    DEL PATRIMONIO BOSCHIVODELLA SARDEGNA

    TRA CRONACA E STORIALE VICENDE

    DEL PATRIMONIO BOSCHIVODELLA SARDEGNA

    Enea Beccu

    Carlo Delfino editore

  • © Copyright 2000 by Carlo Delfino editore, Sassari.

    Grafica e impaginazione:Italo Curzio, Roma

    A mia moglie

  • V

    Se ho potuto portare a termine questo lavoro, lo devo a un’infinità di persone. Sono tanteche sarebbe impossibile poterle ricordare e ringraziare tutte singolarmente.Penso a tutto il personale dell’Archivio di Stato di Cagliari, alla disponibilità del dottor CarloPillai nel suggerirmi nuove tracce per la ricerca, alla cortesia della direttrice Dr.ssa MarinellaFerrai Cocco Ortu e della Dr.ssa Gabriella Olla, alle archiviste, agli affezionati e abituali fre-quentatori dell’Archivio, il prof. Paolo Amat di San Filippo, il Sig. Angelo Randaccio, la Dr.ssaVittoria Del Piano, il prof. Francesco Carboni, il Dott. Paolo Cau. E a quello della Bibliotecacomunale di Cagliari, ed in particolare alla Dott.ssa Ester Gessa.Penso alla entusiastica collaborazione del sig. Cossu dell’Associazione Mineraria Sarda di Igle-sias e dell’ing. Giulio Boi, ex Presidente della Associazione.Chi con notizie preziose, chi mettendomi a disposizione fotogrammi d’altri tempi, chi reinfon-dendomi entusiasmo, chi spronandomi a rendere pubblico il risultato della ricerca.Davvero tante e tante persone cui sono profondamente grato e che desidero accomunare qui inun sentito grazie.Grazie anche a mia moglie e ai miei figli. Senza la loro pazienza e la complice comprensione nonsarei riuscito a concludere il lavoro. Grazie per aver compreso.

    RingraziamentiRingraziamenti

  • Negli stralci documentari trascritti nel libro sono stati riprodotti fedelmente gli errori ortografici, la pun-teggiatura e le particolarità sintattiche e linguistiche dei testi originali.

    L’AUTORE

  • VII

    Ringraziamenti V

    Sommario VII

    Introduzione IX

    Parte Prima L’eredità del passato

    Capitolo I Considerazioni preliminari 3Capitolo II La copertura forestale della Sardegna tra il XVIII ed il XIX secolo.

    Gli ademprivi 7Capitolo III La localizzazione dei boschi.

    La relazione del De Buttet e il documento anonimo del 1800 21Capitolo IV I fattori che hanno inciso sulla regressione quali-quantitativa

    dei soprassuoli forestali 35

    Parte II Il panoramta forestale nella prima metà del XIX secolo

    Capitolo V Depauperamento del patrimonio boschivo ascrivibileal processo di modernizzazione e di industrializzazione dell’isola 71

    Capitolo VI Le utilizzazioni boschive intensive.I tagli degli anni Venti 85

    Capitolo VII I tagli degli anni Trenta 107Capitolo VIII Le innovazioni legislative della prima metà del XIX secolo

    nel comparto forestale 117Capitolo IX La legge sulla sughera.

    Le superfici sughericoleLe prime iniziative industriali per la valorizzazione del sughero 127

    Capitolo X Il regolamento forestale del 1844 141Capitolo XI I tagli boschivi degli anni Quaranta 167Capitolo XII I tagli nelle foreste del Goceano.

    SommarioSommario

  • VIII

    Le prime utilizzazioni boschive in funzione delle Strade FerrateLa Concessione alla Compagnia delle FerrovieLa vendita dei beni forestali demaniali 177

    Capitolo XIII Note sulle foreste sarde 195Capitolo XIV La superficie forestale dell’isola a metà circa del XIX secolo 245

    Parte III La seconda metà del XIX secolo

    Capitolo XV Il problema degli ademprivi.Le utilizzazioni boschive negli anni Cinquanta 263

    Capitolo XVI Altre fonti documentarie sulla estensione delle superfici boscatedella Sardegna nel XIX secolo: gli Atti di scorporo 305

    Capitolo XVII Stima delle superfici boscate isolane nella seconda metà del XIX secolo 323Capitolo XVIII La legge sul vincolo forestale del 1877 333Capitolo XIX I tagli boschivi finalizzati alla produzione di carbone 343Capitolo XX La trasformazione dei boschi in altre qualità di colture

    e i tagli di fine secolo.Ancora sugli incendi 357

    Capitolo XXI Iniziative volte alla estensione ed alla salvaguardiadel patrimonio forestale isolano 379

    Capitolo XXII Considerazioni finali 391

    Appendice 403

    Fonti archivistiche 411

    Fonti bibliografiche 415

  • IX

    Vi è stata presumibilmente un’epoca in cui la Sardegna era ricca di boschi, alla stre-gua di molte terre prima che venissero colonizzate, quando la scarsità di popolazio-ne, e quindi i limitati bisogni, non avevano ancora determinato la necessità di eliminare laforesta per far posto alle colture agrarie e ai pascoli.Poi, via via che si stabilirono i primi insediamenti umani organizzati, il bosco è stato elimi-nato nelle aree attorno ai villaggi, sostituito da colture ortive e cerealicole, da frutteti e vi-gneti e da pascoli.C’è chi sostiene che i primi grossi disboscamenti nell’isola su vaste superfici furono opera-ti dai Cartaginesi per far posto alle colture cerealicole e che addirittura essi comminasserola pena di morte a quanti consentivano al bosco di riguadagnare spazi perduti.Ma c’è anche chi confuta questa tesi.Di fatto si può ritenere che la scomparsa del bosco dalle aree pianeggianti del Sulcis, daiCampidani di Cagliari e di Oristano e dalle colline della Trexenta e della Marmilla, siapotuta avvenire nella fase più antica della colonizzazione e che il disboscamento sia poiproseguito via via che l’incremento della popolazione imponeva la messa a coltura di nuo-ve terre, per il soddisfacimento delle necessità primarie legate al sostentamento delle po-polazioni.Le fluttuazioni demografiche hanno senza dubbio comportato anche la riconquista al boscodi zone in precedenza coltivate, ma la tendenza costante è stata quella di una contrazionedelle aree forestali.In una successione inarrestabile molte aree boscate sono scomparse o sono state ridotte, tra-sformate in superfici ad altra destinazione di coltura.A questo processo, che per certi versi è da considerare naturale e fisiologico, specie per learee di pianura e di bassa collina, si sono aggiunti fattori involutivi repentini e sconvolgen-ti, elementi disarmonici e traumatici determinati da vicissitudini storiche e sociali, da atti-

    IntroduzioneIntroduzione

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    vità antropiche più o meno lecite favorite da normative lacunose e inadeguate, che hannoportato ad un impoverimento qualitativo e quantitativo del manto forestale.Vi è comunque il convincimento diffuso che fino al secolo scorso la Sardegna fosse ancoramolto boscosa e ricca di foreste plurisecolari che si immaginano popolate di maestose pian-te, un vero Eden perdutosi poi a causa di sconsiderati tagli che speculatori senza scrupoli,calatisi famelici sull’Isola, avrebbero compiuto, incuranti delle corrette norme di utilizza-zione boschiva e animati solamente dall’avida sete di guadagno.Ad alimentare questi convincimenti concorrono scritti di vario genere, articoli di stampa, re-lazioni, memorie ecc., che pedissequamente riprendono concetti e immagini pervenutici, dauna parte, attraverso diari di viaggiatori che a vario titolo percorsero l’Isola, e dall’altra,attraverso una letteratura ove si confonde spesso per distruzione il taglio di piante e per di-sboscamento anche la corretta utilizzazione boschiva, o si sostituisce, nel definire una co-pertura boschiva, un giudizio estetico a quello tecnico selvicolturale.In effetti, alcune descrizioni di viaggiatori che visitarono la Sardegna già nel Settecento, tra-dottesi in memorie o in relazioni non sempre disinteressate, hanno consegnato alla leggen-da un’isola felice sotto il profilo forestale.Come non ricordare i «..vari boschi assai grandi della Sardegna...» citati da Francescod’Austria d’Este nel suo manoscritto del 1812 o la reverenda maestà delle foreste di Maco-mer, di Benetutti, di Nuoro, di Bono e di Monte Rasu, formate da querce, roveri, cerri, elci,sugheri di maravigliosa grandezza e di immensa mole, che rivestono i fianchi delle monta-gne... di cui parla padre Antonio Bresciani nella sua opera dedicata all’isola? 1O le querce colossali di sei metri di circonferenza della foresta di Bolotana del Valery? 2 O lesuggestive ed enfatiche note di Honorè de Balzac sulle foreste vergini attraversate in occasio-ne del suo viaggio nell’isola?O questa o quella descrizione lasciataci dal Della Marmora?Questo mitico quadro, costruito forse, più che sulla realtà effettiva, tramite immagini par-ziali di boscosi e ameni siti di sosta arricchiti da fresche acque sorgive, colte da persone ab-bruttite dalle difficoltà del viaggio e mosse da interessi culturali e non, diversi comunque daquelli forestali, o creato estendendo all’intero territorio isolano la preziosità di taluni lembiboscati o la monumentalità di una quercia, di un mirto o di un tasso, o uno scorcio boscosoinusitato, suggestionate forse dall’asprezza e dalla naturalità di un paesaggio inconsueto eda una realtà anche sociale al di fuori del tempo, ha alimentato una letteratura di manierache ha contribuito a inculcare la convinzione che il territorio fosse ricoperto da immense evergini foreste fino al secolo scorso.Le nostre foreste, che all’epoca si pretenderebbero estesissime, favolose e vergini, soprav-vissute quindi, attraverso il tempo, alle più diverse dominazioni, da quella punica a quellaromana, da quella dei Vandali a quella spagnola, sarebbero poi cadute sotto l’impietosa scu-re abilmente maneggiata da impresari boschivi senza scrupoli e alimentata da particolari especulative attenzioni.Fino a farne scempio; fino a ridurre l’isola in deplorevoli condizioni di nudità.Anche i romanzi hanno concorso ad assecondare convincimenti e ad alimentare miti.«Arrivarono all’altipiano dove un tempo era stata l’antica foresta di Escolca di cui non re-stavano che i ruderi: immensi tronchi abbattuti, enormi ceppaie, cataste di rami già segati epronti per il carico».L’ingegnere Antonio Ferraris del Regio Corpo delle Miniere, inviato a Norbio per sollecita-re la consegna forzosa della legna occorrente per le Regie Fonderie, fu uno dei tanti che con-

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    tribuì, secondo il pregevole romanzo di Giuseppe Dessì, Paese d’ombre, alla spoliazione del-le montagne sarde.L’energico funzionario statale, che ottemperava a un ordine dell’Intendente generale di Sar-degna, concorreva a distruggere parte del patrimonio forestale dell’isola per far fronte allenecessità delle miniere e delle fonderie regie del nuovo possedimento d’oltremare di CasaSavoia.Paese d’ombre, riprendendo concetti espressi da più parti ed in diversi tempi e condensan-do in un arco temporale ristretto eventi che si succedettero in oltre un secolo, ha finito quin-di per alimentare una credenza assai diffusa, quella secondo cui il manto forestale dell’iso-la, quasi incontaminato e vergine e fantasiosamente costituito tutto da boschi secolari dipiante maestose, sia stato distrutto dagli oscuri interessi di una speculazione esasperata esacrificato sotto la spinta dello sviluppo industriale della Sardegna.Quanto di immaginario possa esservi in tutto ciò, o quanto di vero, incuriosisce e stimola.Curiosità e stimoli eccitati dal sospetto che cronache di viaggio o descrizioni di occasiona-li turisti dei giorni nostri, che avessero per avventura l’opportunità di attraversare alcuneforeste del Sulcis-Iglesiente (quella del Marganai per esempio o la foresta demaniale di Pan-taleo o di Is Cannoneris), dell’Ogliastra e della Barbagia (foresta di Montarbu di Seui, fo-resta di Villagrande e Talana, foresta di Gusana, il M. Ortobene) o di visitare diversi sugge-stivi siti boscosi del Montiferru o del Goceano (M. S. Antonio, Badde Salighes, foresta Bur-gos, foreste demaniali di Fiorentini, Anela e M. Pisano o della foresta di Settefratelli), o diaffacciarsi in qualche voragine con maestose piante abbarbicate sulle ripide pareti o di per-correre le aspre montagne del Supramonte di Orgosolo e di Oliena o di soggiornare in qual-che lembo di Gallura, o, infine, di guadare corsi d’acqua dalle sponde inverdite da inestri-cabili lianacee aggrovigliate alle branche di lecci, ontani e salici, tenderebbero probabil-mente a somigliare alle cronache ed alle descrizioni di alcuni autorevoli e blasonati viag-giatori del XVIII e del XIX secolo che hanno fatto testo.Una rivisitazione del quadro ricomposto attraverso fonti archivistiche o bibliografiche del-l’epoca, ed una ricostruzione delle vicende succedutesi nel periodo considerato, può perciòforse contribuire a delineare più compiutamente quale fosse il panorama forestale dell’iso-la, a localizzare i soprassuoli più rappresentativi e a identificarne i parametri selvicoltura-li, a conoscere l’impiego del legname e l’uso dei boschi, a stabilire circostanze e fatti chehanno coinvolto il patrimonio forestale e a definire la misura del suo eventuale depaupera-mento e le relative cause.

    NOTE

    1 Padre Antonio Bresciani: Dei costumi dell’isola di Sardegna comparati con gli antichissimi popoli orientali,Napoli, 1850. -2 A.C.P.Valery: Voyage en Corse, à l’ile d’Elbe et en Sardaigne - , Parigi, 1835.

  • Parte Prima

    L’eredità delpassato

    L’eredità delpassato

  • • Considerazioni preliminari

    I

    3

    Inizialmente è esistito un rapporto ancheintimo tra comunità e bosco, basato tal-volta sulla sacralità attribuita ad alcuni di es-si o sul terrore che le fitte foreste incutevanoaccompagnandosi a miti e leggende popola-ri, ma sempre comunque sul rispetto di unbene che si avvertiva prezioso e misterioso edal quale il villaggio ed il singolo potevanotrarre diverse utilità e vantaggi.I boschi non sfuggivano al regime basatosull’uso comunitario delle terre originatosiab antiquo nell’isola: ciascuno traeva dal bo-sco tutti i benefici che questo poteva dargli,in ragione del proprio fabbisogno e dellespecifiche esigenze.Ed il bosco soddisfaceva a diverse necessitàdi sostentamento: forniva il legname per lacostruzione delle case e degli arredi, la legnaper gli impieghi domestici quotidiani, diver-si frutti commestibili, erbe medicinali, pa-scolo per il bestiame domestico, rifugio eprotezione contro le intemperie, acque sorgi-ve e aria salubre, ed infine, attraverso la fau-na selvatica, un utile complemento di svagoe di reddito.La vastità del territorio e la scarsità della po-polazione non creavano grossi conflitti tra i

    diversi fruitori né incidenze pesanti sullearee boscate.Ogni villaggio disponeva del suo fundamen-tu, dell’insieme cioè del territorio che giuri-dicamente gli apparteneva e che era organiz-zato, fin da tempi antichissimi, in modo datenere ben distinte le aree in cui si svolgeva-no le attività agricole ed il pascolo del be-stiame domestico da quelle destinate inveceal pascolo brado e alla raccolta della legna.Mentre le prime eran situate tutto attorno al vil-laggio e destinate al pascolo del bestiame da la-voro (siddu), alle semine (vidazzone) e, a rota-zione, al pascolo del bestiame domito (paberi-le), le seconde, denominate saltus, erano situa-te lontano dal centro abitato e raggruppavano leterre incolte ed i boschi riservati al pascolo delbestiame rude e alla raccolta della legna.Le superfici dei saltus appartenevano in par-te alla Comunità, in parte al Sovrano (saltusde Rennu), ma tutte erano comunque sog-gette all’uso comune, ai diritti consolidatidelle popolazioni «de llenar y herbar» ed an-che di «haser todos los adimplivos», come sidirà in epoca spagnola.Successivamente, l’estendersi e l’affermarsidel sistema feudale, specie dopo la conqui-

    Capitolo I

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    sta spagnola, alterò, via via, il naturale rap-porto esistente tra mondo rurale e bosco, de-terminando una sorta di frattura di quello daquesto.Andò instaurandosi un regime in cui perma-neva l’uso comunitario dei beni, ma in cui ilsingolo era tenuto alla corresponsione di untributo in funzione dell’utilità che traeva dalbosco e a cooperare agli oneri dei servizi ge-nerali dell’amministrazione del feudo. Un sistema che permase per secoli, fino ametà circa del XIX sec., e che perfezionò l’e-sazione ed estese i balzelli: l’organizzazionefiscale del feudo e gli arrendatori feudali di-vennero implacabili, e la pressione dei tributisul mondo rurale talvolta pesante: feudo, pre-sente, deghino di pecore, deghino di porci, er-baggio delle capre, incarica delle vacche, in-carica delle capre, salto di corte, incarica diporci, sbarbagio, erbaggio delle vacche, er-baggio di pecore, diritti di scrivania, diritti diofficialia, formaggio di peso, ecc. ecc.E ai balzelli imposti dai feudatari si somma-vano gli abusi e le vessazioni perpetrati da-gli ufficiali regi e da quelli baronali.Le infeudazioni, con le quali parti del terri-torio venivano concesse in feudo unitamen-te ai villaggi, prevedevano in genere che iltitolare avesse giurisdizione sugli abitantipresenti e futuri e diritti sui terreni, sui bo-schi, sui pascoli, sulle acque ecc.Nei territori infeudati, oltre ai Capitoli diCorte, alle Prammatiche spagnole e ai Pre-goni sabaudi, si aggiunsero i bandi baronaliche regolavano la vita interna dei feudi e leprestazioni feudali, talvolta in violazionedelle norme consuetudinarie e degli stessiatti di concessione.1

    Ciò che era stato in precedenza un dirittocerto, divenne talvolta un diritto indefinito,incerto e condizionato: la legna per gli usidomestici poteva essere prelevata, ma al pre-lievo doveva corrispondere un compenso; ilpascolo poteva essere esercitato, ma previopagamento di un tributo, anzi di diversi tri-buti: 2 pecore per ogni «segno» (pari a 10

    pecore) e 1 capo suino «mardiedu» ogni cin-que, come deghino di porci, e uno ogni ven-ti come sbarbagio (pascolo per il solo in-grasso dei maiali nel periodo della cadutadelle ghiande). E poiché a questi tributi dovuti dai pastorilocali potevano sommarsi quelli dei pastoridi altre contrade, si manipolavano spesso idati sulle possibilità pabulari del territorio osulla produzione delle selve ghiandifere, co-sì da consentire l’ingresso al pascolo di be-stiame proveniente da altre contrade ed ac-crescere le rendite del feudatario. E ciò generò conflitti, controversie e proble-mi con le comunità viciniori per l’utilizzodei pascoli e dei boschi, e la conflittualitàsfociò talvolta in atti di violenza e in vanda-lismo. I contrasti sorgevano in particolare nellearee di confine tra feudi limitrofi coinvol-gendo i rispettivi feudatari, e a farne le spe-se erano spesso i boschi, distrutti da incendiappiccati per azioni ritorsive di un feudata-rio nei confronti dell’altro.Diversi Parlamenti di epoca spagnola ripor-tano tracce degli attriti per il possesso e lerelative rendite di terreni contestati, così co-me riportano tracce delle proteste contro di-versi feudatari che pretendevano di imporreulteriori balzelli oltre a quelli previsti dal-l’atto di infeudazione.Si poteva produrre carbone, ma occorrevapagare al feudatario un corrispettivo. Si po-tevano prelevare i legnami per le travaturedelle costruzioni o per fabbricare strumentiagricoli, ma occorreva ottenerne la licenza, ecosì via.È vero che talvolta gli abitanti di questo oquel villaggio riuscivano ad ottenere la gra-tuità del legnatico, ma si trattava di eccezioni.Nel Parlamento del 1697-99 per esempio fusancito, per la Barbagia di Belvì, che i vas-salli potessero raccogliere liberamente leghiande necessarie per l’allevamento in casadi un maiale e di tagliare senza speciale au-

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    torizzazione il legname occorrente per la co-struzione delle case e per gli attrezzi agrico-li.2 Anche gli abitanti del Sarrabus godevanodi speciali privilegi per cui erano esentati inperpetuo dal pagamento dei corrispettivi do-vuti per pascolo, legna e seminerio.3

    È pur vero inoltre che i diritti relativi al le-gnatico e alla facoltà di carbonizzare, gra-vanti sui vassalli, erano relativamente mode-sti, se rapportati al totale generale delle ren-dite feudali, in media appena lo 0,73% e lo0,006%4 rispettivamente delle rendite agri-cole percepite dai baroni, ma rappresentava-no tuttavia dei balzelli cui era obbligo sotto-stare in uno al rispetto di norme dettate perl’abbattimento degli alberi, oneri che neifeudi in cui esistevano, rappresentavano co-munque quote non trascurabili per le magrerisorse dei vassalli.Il bosco, da rifugio amico e provvido, da na-turale e illimitato bene che poneva i suoifrutti a disposizione della comunità, diven-ne, poco alla volta, elemento di vincolo e dipeso soprattutto per l’attività pastorale; sicreò un distacco con la foresta, strumento at-traverso il quale veniva avvertito ed eserci-tato il potere feudale; si instaurò un rappor-to quasi conflittuale tra il pastore e quella, eal corretto uso del bene, come conseguenza,si sostituirono gradualmente l’abuso, l’incu-ria e la distruzione.E a quello che era stato inizialmente un in-contrastato diritto feudale, fece seguito, coltempo, un contestato diritto di esazione.Soprattutto sul finire dell’epoca spagnola enel primo periodo di quella sabauda, furonoavvertite sempre maggiori spinte al rifiutodell’autorità baronale e una crescente insof-ferenza verso i tributi.Si contestarono sempre più, da parte deiconsigli comunitativi, i pascoli ai pastori fo-restieri, le utilizzazioni boschive che i feu-datari richiedevano di eseguire, e la stessasovranità su determinati territori.

    I pastori finirono per divenire i veri incon-trastati signori delle aree forestali, con tuttele conseguenze del caso.Si assistè in alcune contrade a fenomeni dirivolta vera e propria, come nella Gallura, incui il banditismo si innestò nel mondo pa-storale e divenne problematico anche per ilpotere costituito far rispettare le norme, ocome nel Nuorese e nel Goceano, a seguitodell’Editto sulle chiudende che segnò, insie-me ad altri atti normativi, il trapasso tra laplurisecolare sonnolenta dominazione spa-gnola e la più moderna e attiva dominazionesabauda.La prudente politica dei primi anni successi-vi alla presa di possesso dell’isola da partedel vicerè barone di Saint Remy (anno 1720)in nome di Vittorio Amedeo II, giustificatadalla necessità di consolidamento della dina-stia dei Savoia nel nuovo possedimento, edal rispetto delle clausole degli accordi diVienna del 1718 che imponevano di conser-vare leggi, regolamenti, statuti e privilegiesistenti nel Regno di Sardegna, aveva la-sciato inizialmente immutato l’assetto delmondo rurale ancorato saldamente agli usi ealle norme consolidatesi durante il dominiospagnolo.Poi la ventata innovatrice voluta da CarloEmanuele III e avviata dal suo Ministro Bo-gino richiese che in nome del progresso, del-la industrializzazione dell’isola, della moder-nizzazione della sua agricoltura e dello sfrut-tamento delle sue ricchezze minerarie, attra-verso l’impiego razionale delle risorse locali,si utilizzassero anche le foreste dell’isola.Una copertura boschiva che ancora nella se-conda metà del ‘700 ricopriva le montagnedel Sulcis, dell’Iglesiente e del Sarrabus asud; che vedeva al centro dell’isola le fore-ste del Goceano spingersi verso sud ovest,senza soluzioni di continuità, attraverso lealture di Bolotana e Silanus ed i monti diMacomer, fino ai boschi della Commenda diS. Leonardo e di Scano Montiferro e a Sene-ghe, e congiungersi, tramite le selve di Pat-

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    tada, di Buddusò, di Alà dei Sardi e di Mon-ti, ai boschi della Gallura a nord, ed unirsiinfine, ad oriente, alle foreste della Barba-gia, dell’Ogliastra e del Gerrei.Ancora in parte boscosa era all’epoca laNurra, e le montagne che sovrastano Bosaerano ricoperte di un unico manto forestalefino a Montresta e Villanova, manto che siestendeva a nord verso Putifigari e a nord-est verso Uri.Boschi cedui, alcuni dei quali ricchi di prov-vigione legnosa o fustaie dense e plurisecola-ri di leccio e di roverella; soprassuoli di lecciomisto ad annosi olivastri o querceti infram-mezzati da maestosi tassi e millenari ginepri.Ma anche boschi talvolta radi o molto radi;fustaie spesso stramature e decrepite, privedi rinnovazione, con piante bitorzolute, con-torte e deformi, tronchi spezzati e marce-scenti, rami monchi e fusti cavi, anneriti dalfuoco e minati da carie.

    Foreste qualitativamente appetibili per la«bontà impareggiabile del legname superio-re a quello d’Italia ed equivalente a quello diBorgogna, qualità primaria dell’Europa»,come ebbe a relazionare nel 1824 il capitanodi vascello Albini a proposito dei boschi diS. Leonardo, ma soprattutto foreste idonee afornire per la maggior parte solo legna da ar-dere e carbone.E fitte boscaglie e dense macchie che siestendevano sulle colline fino al piano, ric-che di filliree, di corbezzoli, di grossi lenti-schi e di olivastri.Ma anche meno fitte boscaglie e macchie ra-de e cisteti e soprassuoli forestali con inci-pienti segni di degradazione ed evidenti gua-sti da incendio occupavano vastissime su-perfici e completavano il panorama foresta-le della Sardegna, all’epoca in cui il governoSabaudo cominciò a mostrare interesse perla risorsa forestale isolana.

    NOTE

    1 Su quanto fossero arbitrari e spesso bizzarri talunibalzelli che gravavano sul mondo rurale, G. Toniolo(in Storia del Banco di Sardegna, Laterza, 1995, pag.51) ricorda che al marchese dell’Asinara spettavanogli uppeddus de sos sorighes, corrisposti a compensodei danni provocati dai topi nel granaio, e che al ba-rone di Ossi i vassalli dovevano corrispondere an-nualmente una carretta di grano quale segno di grati-tudine per essersi trasferito da Alghero a Sassari, equindi più vicino ai suoi sudditti.

    2 G. Sorgia: «Dal momento spagnolo alla presenza sa-bauda » da «Meana, radici e tradizioni», 1989.3 ASC, Regio demanio, V.157. Comune di S. Vito. Laspeciale concessione fu accordata ai Sarrabesi dal Ca-pitolo di Grazia di Donna Violanta Carroz datato 8maggio 1480.4 F. Carboni.Annali Fac. Magistero Univ. di Cagliari.Nuova serie Vol.X, 1986. «Per una geografia dei di-ritti feudali» pagg.178-179-232.

  • • La copertura forestale della Sardegnatra il XVIII ed il XIX secolo

    • Gli ademprivi

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    Per tentare di delineare un quadrosufficientemente approssimato del-la situazione forestale isolana all’inizio delXVIII secolo, è opportuno fare preliminar-mente alcune considerazioni e tener presen-ti i diversi elementi che in un dato territoriocondizionano il tipo, la distribuzione e le ca-ratteristiche strutturali e fisionomiche dellavegetazione in genere e della copertura fore-stale in particolare.Elementi, alcuni di carattere generale, altridi natura specifica.Tra i primi, le vicende paleogeografiche, ifattori climatici, quelli morfologici e quelligeopedologici; tra i secondi quelli biotici.La posizione geografica della Sardegna col-loca l’isola in piena area climatica mediter-ranea caratterizzata fondamentalmente dauna stagione calda e arida e da una fredda eumida.In funzione poi della esposizione, della di-stanza dal mare e dei rilievi, si hanno dif-ferenziazioni termometriche e pluviome-triche tali da poter identificare diversi tipiclimatici, da quello subtropicale a quellotemperato-caldo, a quello subumido e, inaree limitate alle zone più alte dei rilievi

    del Gennargentu e del Limbara, a quelloumido.Per la stretta correlazione esistente tra vege-tazione e clima, le formazioni forestali arbo-ree, rappresentate nell’Isola essenzialmenteda boschi di leccio, di roverella e di sughera,sono localizzate nelle zone a clima umido esubumido.In quelle a clima temperato-caldo, che rap-presentano la gran parte del territorio, si svi-luppano invece sia le formazioni arboree aleccio e sughera che le boscaglie arbustivedi sclerofille sempreverdi più evolute (a pre-dominanza di corbezzolo, erica e fillirea) –in condizioni di altitudine medio alta e nelleesposizioni più fresche –, sia le formazioniarbustive della macchia mediterranea piùtermofila e xerofila, ad altitudini medio bas-se e nelle esposizioni più calde.Perciò, in una certa misura, salvo ove la de-gradazione e l’impoverimento del substratopedologico particolarmente incidenti aveva-no nel tempo innescata una regressione del-la composizione floristica, possiamo ritene-re che la copertura vegetale naturale dell’i-sola, all’inizio del XVIII secolo, fosse, percomposizione e distribuzione, quella deter-

    IICapitolo II

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    minata appunto dai fattori climatici ed edafi-ci, e soprattutto – a parità di altre condizioni– quella che l’incidenza e la frequenza e lacasualità dei fattori di alterazione degli equi-libri naturali avevano determinato.

    Che perciò le aree litoranee e costiere spazzatedai venti fossero caratterizzate dalle associazio-ni vegetali più termoxerofile, spesso a porta-mento prostrato, in cui raramente si inserivanoelementi arbustivi o arborei di un certo rilievo,tranne che in alcune situazioni particolari.Associazioni che interessavano, in particola-ri situazioni, anche aree interne, ovunqueesistessero condizioni pedoclimatiche chenon potevano consentire l’insediamento e losviluppo di specie più esigenti.Che nelle aree montane, al disopra dei 1100metri circa d’altitudine, il freddo e la vento-sità, o talvolta la superficialità del substratopedologico, non consentissero che la presen-za di garighe ad arbusti nani e prostrati o dipiccoli spinosi cespugli. Che i boschi propriamente detti, le forma-zioni vegetali più evolute, le leccete in parti-colare, ma anche i boschi misti di leccio eroverella o i querceti puri, vegetassero nellearee più interne dell’isola, a quote medio al-te, sugli altopiani o sui versanti più freschicon suoli più evoluti, o nei valloni, lungo lacatena del Marghine ed in parte del Gocea-no, sul Gennargentu, nei supramonti delleBarbagie e sulle alture dell’Ogliastra, delSalto di Quirra, del Sarrabus e dell’Iglesien-te, ove le condizioni climatiche erano piùconfacenti alle loro specifiche esigenze, eche in tali localizzazioni raggiungessero an-che dimensioni considerevoli.Che le boscaglie arbustive, quelle più termo-file a olivastri, lentischi, alaterno, cisti, mirtoe ginepro fenicio, e quelle più mesofile a cor-bezzolo, eriche, filliree e ginepro rosso, fos-sero le formazioni vegetali più diffuse e oc-cupassero ampi spazi dell’isola, con la lororicca varietà di specie e la non comune esu-beranza, frammiste spesso ad alberi di leccioe sughera; e che questa macchia mediterra-nea manifestasse, in particolari favorevoli si-tuazioni stazionali, tutto il suo prorompenterigoglio vegetativo, differenziando elementiparticolarmente sviluppati, più somiglianti averi e propri alberi che ad arbusti. Carta fitoclimatica della Sardegna (da P.V. Arrigoni).

    Orizzonte mesofilo della foresta di leccio

    Orizzonte delle foreste miste sempreverditermoxerofile

    Orizzonte freddo umido della foresta mon-tana del climax del leccio

    Climax degli arbusti montani prostrati edelle steppe montane mediterranee

    Orizzonte delle boscaglie e delle macchielitoranee

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    D’altra parte però occorre considerare che lesuperfici forestali all’epoca non potevanonon essere state condizionate, nella compo-sizione e nella distribuzione, dalla secolareutilizzazione fattane dagli abitanti dell’isolae non essere state alterate, nella loro struttu-ra, dall’esercizio del pascolo, dagli incendifrequenti e dalle altre attività antropiche.

    Tenuto perciò conto dei limiti oggettivi checondizionano l’evoluzione e la composizio-ne specifica del paesaggio vegetale, si puòritenere che l’estensione, la struttura, lo sta-to generale ed in parte la localizzazione delpatrimonio forestale isolano, all’inizio delXVIII secolo, fossero la risultante delle vi-cissitudini da esso subìte nei secoli prece-denti ed in particolare la conseguenza di unrapporto con l’uomo e le sue attività econo-miche spesso incuranti delle esigenze postedal buon governo delle foreste.

    Monte Linas (Sardegna centro meridionale). L’assenzadi vegetazione arborea nelle aree cacuminali è ascrivi-bile in larga misura al limitato spessore dei suoli.

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    Ripercorrendo brevemente il sistema comu-nitario di utilizzo delle terre, praticato inSardegna fin dai tempi più remoti, e rimastoin auge fin oltre la metà del XIX secolo, ve-diamo che le aree forestali erano relegate neisaltus ed erano costituite da cespugliati, bo-scaglie e boschi.Esse erano le più lontane dal villaggio e veni-vano destinate soprattutto al pascolo brado, alpascolo del bestiame «rude», cioè alle man-drie e alle greggi appartenenti in genere agliabitanti dello stesso villaggio, ma talvolta an-che a pastori di villaggi diversi.Le norme in uso fin dal XIV sec., prescrive-vano l’obbligo di tenere questo bestiame lon-tano dal centro abitato e quindi dalle aree de-stinate all’agricoltura ed al pascolo del bestia-me «domito» , adibito al lavoro dei campi. Secondo il sistema antico e consuetudinariodella Sardegna, ogni villaggio aveva duequalità principali di territorio: una prima de-stinata ai seminativi, ai vigneti ed agli orti,oltre che al pascolo del bestiame domito, zo-na interdetta severamente ai pastori (Cartade Logu, capitoli CXXXV, CXXXVI,CXXXVII, CLI, CLIV, CLV, CLVI, CLX-VII) già denominata habitacione, perchéformava quasi un tutt’uno con lo stesso cen-tro abitato; una seconda parte comprendentele montagne, le foreste, le selve ghiandiferee i cespugliati, tutti terreni riservati al pasco-lo del bestiame «rude» tenuto in branchi, de-finita brevemente come saltus (salto). I soprassuoli forestali venivano distinti indue categorie: le selve ghiandifere, costitui-te in genere da pascoli arborati o da fustaie adensità varia, ma anche da cedui invecchiatio da formazioni miste, e i boschi cedui, ingenere formati da boscaglie di essenze arbu-stive e/o arboree, utilizzati periodicamenteper ricavarne carbone e legna da ardere.Le selve ghiandifere, o più semplicemente ighiandiferi, ospitavano di preferenza bestia-me suino, i porci rudi: il pascolo era loro ri-servato da Ottobre a tutto Gennaio, periododi maturazione e di caduta delle ghiande ed

    in cui era prescritto che ogni altra specie dibestiame venisse allontanata dal bosco, sal-vo gli equini, che godevano di particolari at-tenzioni e premure.I cedui venivano invece pascolati da tutte lespecie di bestiame, vacche, pecore, capre emaiali.Sui boschi le popolazioni avevano sempreesercitato, ab antiquo, oltre al pascolo, ancheil diritto di legnatico,1 diritto riconosciutodal codice arborense, consolidatosi durantela dominazione aragonese e spagnola e ri-preso anche in epoca sabauda: «... in qualunque dei suddivisati boschi e sel-ve, chiunque dei vassalli per gli usi propri ocasaleschi, per fabbriche per istrumenti ara-tori, per abbrucciare e qualsivoglia altro uso,può tagliare il bosco che gli abbisogna, pur-ché non tagli la pianta dalla caspa».2

    Diritto che coinvolgeva tutte le aree boscateindipendentemente dal titolo di proprietà;veniva perciò esercitato sia sui boschi pub-blici, demaniali e comunali, sia su quelli pri-vati.Diritto quindi di prelevare il legname occor-rente per il fabbisogno familiare, ma con di-vieto di abbattere le piante alla base del fu-sto, salvo che non si trattasse di soggetti sec-chi.Le scale per i carri, i pezzi per gli aratri, letravi e i travicelli per le costruzioni, ed il ta-volame per gli assiti, dovevano perciò esse-re ricavati unicamente dalle branche e dairami degli alberi vitali.Non era questa una norma tesa alla salva-guardia del bosco e ad impedire un eccessi-vo diradamento dei soprassuoli arborei: ten-deva piuttosto a salvaguardare la pianta co-me produttrice di ghiande e quindi comefonte alimentare per il bestiame, fonte reddi-tualmente più remunerativa. In realtà poi le cose erano andate e andava-no diversamente da quanto prescritto, sia inmerito a questo dettato, sia in relazione allenorme che prescrivevano le cautele da adot-tarsi nell’uso del fuoco per scongiurare gli

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    incendi, o che lo vietavano come pratica col-turale nelle aree forestali.I pastori in particolare, incontrastati e quasiunici fruitori dei boschi, esercitavano infattiabitualmente e frequentemente ogni sorta diutilizzo e di abuso sui soprassuoli boschivi:dall’abbattimento di piante d’alto fusto, alpascolo indiscriminato, al taglio dei rami perforaggiare il bestiame, all’atterramento di al-beri avviluppati dall’edera (per utilizzarequest’ultima come alimento per il bestiame),al disboscamento di aree da destinare a col-tivazione di cereali e via dicendo; un uso delbosco, insomma, finalizzato alle prioritarie epreminenti esigenze di sopravvivenza delbestiame e che, incurante di ogni correttanorma selvicolturale, sconfinava spessissi-mo in abuso.E gli abusi, protrattisi per secoli, avevanodeterminato, in talune contrade, un gradualedeterioramento della copertura boschiva.«L’attuale stato, in cui abbiamo ritrovato leselve, e boschi minacciante una non lontanadecrescenza per la poca cura nel conservar-gli...» recitava il Pregone viceregio del 2aprile 1771, n.66, 3 a sottolineare che le mi-sure e i divieti che esso dettava, traevanomotivo dal deprecabile stato generale dei so-prassuoli boschivi.Foreste in cui al legittimo diritto d’uso per le-gnatico, ghiandatico e pascolo, si erano sosti-tuiti nel tempo gli abusi incontrastati di abbat-tere piante; di capitozzarle e di sramarle; di di-radare e di eliminare i soprassuoli arborei e ar-bustivi; di pascolare ovunque, senza tenerconto del carico di bestiame né dei danni pro-vocabili al novellame; di incendiare la vegeta-zione boschiva per far posto alle colture ce-realicole o per favorire il ricaccio dei polloni oancora per anticipare la crescita dell’erba.In talune aree si erano originati inevitabil-mente soprassuoli meno densi, in altre sierano trasformati quelli già meno densi inboschi sempre più radi, fino a far loro assu-mere la connotazione di pascoli arborati o fi-no a determinarne la scomparsa.

    Alla conseguente graduale contrazione dellasuperficie boscata si associavano un preca-rio stato fitosanitario e un’alterazione strut-turale dei soprassuoli: per i danni provocatidagli incendi; per la mancanza di rinnova-zione a causa del pascolamento continuo odella perdita della facoltà pollonifera delleceppaie; per l’eccessivo invecchiamentodella copertura ascrivibile al divieto di ab-battimento degli alberi ad alto fusto; per lecondizioni delle piante, compromesse spes-so dal marciume del legno favorito dai taglidi capitozzatura, dalle sramature e daglisbrancamenti operati maldestramente.E che questa fosse sostanzialmente la realtàforestale isolana tra la fine del XVIII e l’ini-

    Albero monumentale facente parte della fustaia stra-matura di leccio del Supramonte di Orgosolo. La lec-ceta, sfuggita ai tagli operati nel secolo scorso, rap-presenta, con attendibile fedeltà, lo stato di alcuni so-prassuoli forestali presenti in Sardegna fino alla se-conda metà del XIX secolo.

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    zio del XIX sec., ce lo testimoniano pun-tualmente e costantemente diverse fonti.Già il De Buttet 4 nella sua documentata re-lazione risalente al 1768, e di cui diremoampiamente più appresso, riferì che la gran-de foresta di lecci esistente nelle montagnetra Orosei e Siniscola, aveva le piante piùgrandi «gatées», deteriorate, e che eranopertanto inutilizzabili per gli impieghi con-nessi alle necessità dell’Artiglieria Reale.In quella grande foresta le sole piante utiliz-zabili erano quelle di diametro assai mode-sto, compreso tra i 20 e i 25 centimetri. Non sappiamo, perché il De Buttet non nefece cenno, per quali cause le piante fosserocariate; è presumibile però che il loro statoprecario fosse dovuto alla stramaturità, atte-so il plurisecolare divieto di abbattimentodelle piante «ghiandifere», od anche ai gua-sti conseguenti agli incendi, od ancora allacarie insediatasi sulle ferite slabbrate di taglimal eseguiti, o a tutte queste cause insieme.Di incuria dei boschi fa cenno il Pregone del2 aprile 1771, citato più sopra, ed il «Di-scorso istorico politico legale dei boschi eselve del Regno di Sardegna» 5 datato 15marzo 1800: «s’abbrucciano tuttodì e s’in-cendiano i boschi, e le tenute di terreno im-boschito, e non di rado anche selve intiere; sitagliano fuor di regola, e fuor di tempo glialberi, e non si sostituisce mai; si sradicanoe si svellono le piante a capriccio, e senz’al-cun ritegno, badando soltanto a godered’un’utilità presente, e non pensando allaposterità, ed ai bisogni futuri...». E sull’eccessivo invecchiamento dei boschi,causa anch’esso di una non ottimale situazio-ne, ci riferisce anche uno scritto anonimo da-tabile verso la fine del ‘700, che così recita:«...valloni, e coste di Montagne, che senzanumero in Sardegna ritrovansi ripieni d’al-tissimi, e grossi alberi d’elce, oltre a unaquantità di Alni, soveri, oleastri, Ginepri,Arbuti, Lentischi, Pini, quercie...quali con-sumansi dal tempo, e vi marciscono senzac-ché se ne ricavi profitto veruno...». 6 La si-

    tuazione non era minimamente mutata qual-che anno dopo, se nel 1808, in una lettera del30 giugno diretta alla Segreteria di Stato, ilConservatore generale dei boschi e selvedella Sardegna, facendo proprie alcune os-servazioni del capitano comandante la RegiaMarina, Cav. Demai, si esprimeva in terminiinequivocabili circa lo stato delle forestedell’isola e le cause che ne erano all’origi-ne: 7

    «È noto a ognuno che le selve di Sardegna in-vece di mantenersi vanno scemando ogni annoin seguito agli abusi d’ogni sorta praticati da’pastori e coltivatori delle terre vicine».«... moltiplicati gli abusi, non è maravigliache in tutta l’estensione del Regno non sitrovi una sola selva ben conservata che dianel vederla lo stesso piacere che si provaquando si trovan quelle ben custodite delPiemonte, della Savoia, della Francia, dellaSvizzera, e della Germania.Nelle nostre su cento fusti appena se ne ri-trovan due o tre che posson servir alla co-struzione ed alla Marina».«....quando si traversano le selve esistentinon si può senza ribrezzo veder le piante.Quasi tutte sono storte, di poca elevazione ediametro, nodose, marcite nell’interno e dipessimo aspetto. Così le ha vedute il Con-servatore nelle immense selve del Sulcis, diFlumini maggiore, di Sinnai, Burcei, Mara,e Muravera dell’incontrada tutta di Sarra-bus, di Tertenia, Villagrande, Talana, Fonni,Orgosolo, e Mamoiada, di S.tu Lussurgiu eCuglieri, selve che se fossero tenute a dove-re, basterebber sole per tutti i bisogni di treisole come la Sardegna». Analogo a questi ultimi è il giudizio di Fran-cesco D’Austria-D’Este: 8 «Vi sono vari bo-schi assai grandi, dai quali non se ne tiraquasi nessun profitto, poiché per mancanzadi strade e comunicazioni, e perché non visono fabbriche e non vi è industria e che ilsardo in generale è piuttosto pigro, non si ti-ra alcun profitto dei legni dei boschi e si de-teriorano i boschi stessi. Poiché in tutti i bo-

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    schi... vi si lascia entrare tutto il bestiame apascolare, non vi sono boschi né misurati néregolati, non si tagliano mai regolarmente...perché non vi è nessuno che sappia e che ab-bia solo un’idea di cosa è la coltura di un bo-sco né che conosca il prezzo della legna» .Né molto diversa era la situazione anche neiboschi più pregiati come quello di S. Leo-nardo di Siete Fuentes, malgrado gli apprez-zamenti dello stesso Francesco D’AustriaD’Este che aveva annotato che vi vegetava-no alberi grossi e dritti: bellissimo bosco fol-to, ha bei alberi dritti alti, con legna da co-struzione.Nel 1824 infatti la foresta, come molto pun-tualmente riferì il Capitano di vascello Albi-ni in una nota del 9 febbraio 1824, 9 eraun’«Aggregata di 22.000 piante di quercia,4.000 di elice, 1.000 circa di sovero, la mag-gior parte delle quali sono d’una estremavecchiezza, rovinate da varie cause...»; edancora «...di figura molto tortuose...», anchese idonee in buona parte per gli impieghiusuali della Real Marina e della Artiglieria.Il quadro generale sullo stato della copertu-ra arborea offertoci dall’ufficiale sabaudo at-traverso i rapporti presentati sull’argomentoalla Segreteria di Stato è quanto mai emble-matico.Dice l’Albini che i boschi della Commendafacevano parte di una vasta foresta che siuniva a quelle di Cuglieri e di Scano Monti-ferro. Essi erano stati oggetto di consistentiprelievi di legnami nel 1750 ed anche in an-ni successivi.Da S. Leonardo, nel 1794, erano state prele-vate per esempio 3331 piante, di cui 500 perla Real Marina e 2831 «..a conto dell’Impre-sa...». E certamente doveva trattarsi del ma-teriale migliore, di piante quindi con legna-me tecnologicamente pregevole, fatto chepoteva essere valutato spesso solo dopol’abbattimento. L’Albini si mostra più attento di altri nelladescrizione di caratteri selvicolturali del bo-sco lussurgese che giudica in condizioni non

    ottimali: manca la rinnovazione, distrutta dalcontinuo pascolamento delle vacche, e la co-pertura boschiva è discontinua: ampi spazisono stati disboscati qua e là, in corrispon-denza delle superfici più fertili, per destinar-li alla coltivazione dell’orzo (orzaline); mol-te piante vengono capitozzate o malamentesramate per alimentare il bestiame; altre, av-viluppate dall’edera, vengono addirittura ab-battute per ricuperare l’edera come alimentoper i vaccini; altre ancora atterrate per rica-vare legna da ardere.Questo il quadro sconfortante che l’Albinifornisce su uno dei boschi più preziosi allo-ra presenti nell’isola. Ma la situazione era altrettanto preoccupan-te nel resto della Sardegna, come afferma lostesso Albini: «...essere quasi tutte le forestedi quest’isola ugualmente distrutte..» ed es-sersi «... la fatale distruzione protratta peruna immensa quantità d’anni». Che questo precario stato fosse generalizza-to e perdurasse ancora anni dopo e malgradole diverse denunce, lo si evince inoltre dairapporti che i diversi Intendenti provincialidell’Isola inoltrarono, agli inizi del 1830, inrisposta ad un’esplicita richiesta del f.f. diVicerè, Roberti, 10 circa lo stato generale del-le foreste dell’isola.La richiesta traeva spunto dalla necessitàcontingente di conoscere i danni causati dalrigido inverno 1829-30 alla copertura fore-stale, sia direttamente dalle nevicate e daitemporali abbattutisi nell’isola, sia indiretta-mente dallo sfrondamento delle chiome del-le piante operato dai pastori per alimentare ilbestiame affamato.Il preambolo della nota Roberti è quanto maisignificativo delle condizioni della copertu-ra boschiva che si è visto non essere statedelle più soddisfacenti, e delle relative cau-se compromissorie che preoccupavano chiera preposto al governo dell’Isola e che cosìle stigmatizzava: «La conservazione ed il miglioramento deiboschi e delle selve è stata sempre oggetto di

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    grande importanza nella pubblica econo-mia....come apparisce dalle analoghe dispo-sizioni della Regia Prammatica tit. 42 cap. 3delle Carte Reali 12.4.1775 e 29.8.1756, delPregone 2.44.1771...». «...le cure dello stesso Governo e dei rispet-tivi dicasteri subalterni vi sono maggior-mente chiamate ora, che il distruggimentodelle boscaglie e dei ghiandiferi cresce a di-smisura collo svellimento delle radiche, edestirpazioni delle piante per l’uso del fuocoo per ridurre a coltura i terreni; cogli incen-di all’oggetto di accrescere il pascolo pel be-stiame minuto; coll’irregolare taglio dei mi-gliori alberi onde farne quel legname chepotrebbe ugualmente aversi regolandogli iltaglio per via di diradazione ed applicando-lo preferibilmente alle piante infruttifere oprossime a deperire; si guastano le selve fi-nalmente collo scapezzamento degli alberipiù prosperi tagliandosene i rami frondosi eferaci di frutti per nutrire il bestiame ne’tempi freddi e nevosi, di modo che per unamalregolata economia di pastura si distruggequesta istessa...» .Il Vicerè, nel dare incarico di «... vegliaresulla esatta osservanza delle precitate leg-gi... », richiese un esatto rapporto «...accom-pagnandolo anche colle... osservazioni eproposizioni analoghe alla conservazione eristabilimento di esse per gli ulteriori prov-vedimenti del Governo». E lo spaccato della situazione della copertu-ra forestale che si desume da ciò che riferi-rono i funzionari governativi e i Sindaci èassai eloquente: emergono condizioni di ab-bandono e di degrado dei boschi, gli abusiche si commettevano, i tagli indiscriminatiche subivano, ed i danni provocati dagli in-cendi, ma anche da talune radicate consuetu-dini pastorali, sfrondamenti delle chiome so-prattutto.Scrivevano ad esempio da Ossi: 11

    «...ne risultò che nei territori delle narratedue curie (del Contado di S. Giorgio) esistesoltanto in quelli della Baronia di Ossi, il

    salto ghiandifero denominato Littu oro ossiaBore quale da lungo tempo... andò già in de-cadenza dal taglio della legna che alla rinfu-sa vi si facea». «...e siccome... vennero aggiornati (all’ini-zio del 1829) i vassalli di questo detto vil-laggio che non incorreva pena quegli che sicoglierebbero con ramatura di legna fruttife-ra... gli alberi fruttiferi di sovero ed erce chetrovavansi con le fronde in pochi giorni edin breve spazio di tempo vennero spogliatidelle pertiche e novelli rami che vi esisteva-no, e per nutrire i buoi domiti con le dette fo-glie e per l’avidità di provvedersi di legna ri-manendo in quell’epoca libere le alberi diquercia per trovarsi senza fronde sarebbe ne-cessario che per tre o quattro anni si vietas-se... di recidere dalle alberi fruttiferi il ben-ché menomo ramiscello...» .L’Intendente provinciale di Ozieri riferivainvece in data 27.3.1830: «...fra le altre cau-se di distruggimento delle selve...taglio deirami..» ed ancora «..si annovera specialmen-te gl’incendi provenienti, massimo in Gallu-ra dallo spirito di vendetta verso i proprieta-ri feudatari..» .12

    E il Consiglio comunitativo di Fonni a suavolta, in una nota databile nello stesso perio-do: 13

    «...non esservi forse montagne ghiandiferetalmente rovinate come queste di Fonni, es-sendo ridotte a tale stato che non potendosifar più tagli di legna da fuoco fuorché nellemontagne più lontane, scoscese ed elevateove gli alberi sono guasti, ma non affattosfrondati, si scarseggia non solo, ma è desi-derabile un carro di buona legna ed appenabasta una giornata per trasportarlo e tirarlodai luoghi molto pericolosi» .Una delle cause della scarsità delle piante,secondo quanto riferivano gli amministrato-ri locali, «....è stato fin qua l’uso della legnaper coprire i tetti, non volendosi decidere gliabitanti a fabbricar le tegole» .«La seconda causa provviene appunto dalmal inteso sistema di pasturia. Si taglia male

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    da tutti i pastori vaccai e caprai ma il mag-gior guasto si suol fare dai pecorai i quali ap-pena consumata la stagia ed il pascolo dellevidazzoni, si provvedono della scure e sidanno al taglio delle quercie senza riservanon solo pei vaccai ma anche per le pecore,senza badare al frutto delle ghiande...».«Per ogni greggia di pecore si mutilanogiornalmente 4 - 6 ed 8 alberi di quercia...» «...si aveva qualche consolazione nel ghian-difero del così detto Monte Nou...ma questapure va deteriorando sensibilmente per lostesso abuso del taglio che si fa dai pastori.Si dice che vi siano alberi a migliaia o tron-cati dal fondo o recisi nelle chiome, insom-ma se non rovinati almeno guasti». Da Nuoro l’Intendente provinciale lamentavaanch’egli la consuetudine dell’assidare, delrecidere cioè i rami delle piante per alimenta-re il bestiame: «...non trovo alcun mezzo diprevenire il devasto delle selve ed alberighiandiferi nell’anni sterili di pascolo...».Anche ad Orani i boschi venivano trattati al-lo stesso modo: 1200 sughere tagliate dallefondamenta, e nelle cussorge di litus e oro-gulu 22 sughere recise e 1000 tra sughere,roverelle e lecci spogliati totalmente di tuttele loro fronde. 15

    Ed il Giudice mandamentale segnalava idanni provocati dai locali alle piante col ta-glio dei rami. 16

    Nel centro sud dell’isola la situazione nonera diversa: l’Intendente provinciale di Isilidenunciava infatti, in una nota del 26 aprile1830: «...essere...costante l’abuso di rappez-zare e atterrare anche i migliori alberi ghian-diferi....essere necessarie delle disposizionionde farsi eseguire in regola ed in via legit-tima il taglio di legname...». 17

    Lo sfrondamento non era vietato da alcunanorma; di conseguenza veniva abitualmentepraticato in periodi di scarsità alimentare perforaggiare il bestiame, sia durante le nevica-te – a carico delle piante di leccio e di su-ghera – che nei lunghi periodi di siccità esti-

    va – in danno, oltre che delle citate specie,anche della roverella –.Per quanto esso fosse la causa prima dellacarie che attraverso tagli grossolanamenteeseguiti nei rami invadeva il fusto, pregiudi-cando lo stato sanitario e l’utilizzazione dellegname, non vi è traccia di norme, né neiprimi provvedimenti sabaudi, né in quelliprecedenti, che vietassero questa deprecabi-le e compromissoria consuetudine.Solo col Regolamento forestale del 1844 fuinfine introdotto il divieto di «..tagliar pian-te grosse o piccole nel pedale o nei rami...»(art. 27).Ma anch’esso ebbe solo parziale applicazione.Da Bosa 18 comunicarono che per la stima deidanni erano stati nominati 20 periti pastoriche, previo giuramento, avevano riferito:«...numero di alberi 1490 totalmente deperi-ti, che porterebbero l’ingrassamento di 1590porci; quello causato dagli incendi ammonte-rebbe al numero d’alberi 6381, che ingrasse-rebbero 115 animali; e quell’altro cagionatodall’irregolare e abusivo taglio fatto dagliagricoltori montrestini nei salti di Cugumerae Silvamanna, ed altresì dagli agricoltori Bo-sinchi nei salti di Teulas mannu, e Benas ar-riverebbe al numero d’alberi 4893, che han-no privato il pascolo ad animali 5449». In totale si lamentava il deperimento o laperdita di 12.764 piante e la poca operositàdel personale preposto alla sorveglianza, iministri di giustizia, che consentiva «... loslargamento del seminerio dentro ai boschi eselve...», lo sgherbimento, e lo scapezza-mento delle piante migliori.Sempre in merito alle foreste del bosano,l’Intendente provinciale di Cuglieri nella no-ta del 22 giugno 1830 diretta alla Segreteriadi Stato 19, lamentò che sulle piante si face-vano delle «... incisioni... per distaccare l’e-dera, essendo la medesima molto amica del-le piante più alte e rigogliose... ed il taglio siesegue senza la minima cautela...».Tuttavia, aggiungeva la nota, «...la praticanon va vietata perché l’edera...è il solo nu-

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    trimento del bestiame vaccino, allorché sonocadute le foglie degli alberi» .Suggeriva quindi l’opportunità che venisseadeguatamente regolamentata.Ed a proposito di Macomer lo stesso funzio-nario riferì:«La montagna di S. Antonio de sas coas, ildi cui dominio si disputa tra il Barone e ilComune di Macomer e tra questo e quello diBorori seguita la sorte delle cose litigiose;tutti vi concorrono come ad una preda, ognianno soffre il taglio di 600 e più piante...». Secondo l’Intendente la causa del degradoera da ascriversi alla poca solerzia dei mini-stri di giustizia, i quali, a loro dire, venivanoimpediti nell’azione di sorveglianza dal Ma-gistrato della Reale Udienza, che ritenevanon doversi procedere ad alcuna innovazio-ne fino a che non venisse definita la lite...«...in modo da non fomentare i pregiudizi ei disordini...». In questo monocorde lamento sembrò fareun’eccezione la sola provincia di Oristano,ma non in tutto il suo territorio. Asseriva infatti l’Intendente provinciale ori-stanese: 20 «... in generale poco e di pochi al-beri ghiandiferi schiantati dal temporale oscapezzati per la sussistenza del bestia-me...»; ma aggiungeva: «Più consistente es-sere stato siffatto guasto nei mandamenti diMasullas, Samugheo ed Assol e di Neoneliin particolare il cui delegato lo fa ascenderea circa 8.000 alberi di quercia... che da 10anni a questa parte vanno via via consuman-dosi dagli incendi provenienti dalla parte delvicino villaggio di Ortueri».

    Il commerciante inglese Larking, di cui sidirà in seguito, così si espresse sullo stato del-le foreste sarde in una lettera inviata alla Se-greteria di Stato 21 «...La description d’uneforêt est celle de toutes, partout même depe-rissement par le mêmes causes, le même re-mede pourra égalment s’appliquer a toutes.Toutes le forêts sont peuplées d’arbres pa-raissant avoir à peu près la même age, ils

    sont tous vieux, et parvenus à peu d’excep-tion, à leur plus grande maturité; dans aucu-ne forêt il ne se trouve ni taillis, ni baliauxpour remplacer les arbres qui tombent, soitsous la hâche destructrice du pasteur ou au-tre, soit pour l’age...» .22

    Egli attribuiva grande responsabilità dellostato di deperimento dei soprassuoli allaconsiderevole quantità di bestiame di tutte lespecie che gravitavano sui boschi: le plantu-le nate dalle poche ghiande sfuggite ai maia-li erano preda del morso di vacche e pecore;ed anche agli incendi appiccati dai pastori:«...le feu qu’ils font partout dans les bois quise communiquent aux broussailles et desbroussailles aux arbres, change dans uneseule nuit, une belle forêt dans une vaste de-sert, ou ne se voit plus que quelques troncsnoir et sans vie....» .23

    Tale è il quadro della qualità del manto fore-stale che emerge da queste ed altre significa-tive note, quadro che conferma i guasti, l’in-curia e lo stato di degradazione di larga par-te della copertura forestale dell’isola.Sotto il profilo sanitario e strutturale, in de-finitiva, i boschi sardi lasciavano molto a de-siderare: la loro densità era spesso bassa, lacopertura discontinua ed un consistente nu-mero di soggetti erano decrepiti e stramaturie tecnologicamente inutilizzabili.Un’alta percentuale delle piante apparente-mente integre, inoltre, era in realtà costituitada soggetti minati da carie diffuse del tron-co, ed una volta abbattute si rivelavano ini-donee agli impieghi più nobili del legname evenivano abbandonate sul letto di caduta o,in talune favorevoli condizioni di trasporto,destinate a legna da ardere.Su ciò concordano, oltre a quelle già viste,diverse altre testimonianze documentali: la-gnanze dei commercianti acquirenti, relazio-ni di funzionari governativi, verbali di col-laudo di tagliate ecc.Come ad esempio il verbale di collaudo del-la tagliata eseguita nel 1846 24 da Giovanni

  • 17

    Bianchi nelle foreste del Marghine, forse lemigliori in assoluto che potesse vantare laSardegna: su un totale di 2.322 piante di ro-verella abbattute, ben 913 risultarono inser-vibili, nel senso che «...non se ne potea rica-vare niente», com’è detto nel verbale.Né del tutto soddisfacente doveva essere lostato delle 1.409 piante non scartate dai ver-balizzanti: esse vennero giudicate buone so-lo in quanto potevano fornire «... un pezzoqualunque di legname...», segno che, alme-no in parte, anche alcune di queste non do-vevano essere immuni da carie.Quindi, in una delle foreste più preziose edappetite del Regno di Sardegna, oltre il 39%delle piante non era utilizzabile come legna-me da opera.

    Ma la percentuale delle piante difettose do-veva essere ancora superiore, ove si consi-deri che per contratto il Bianchi aveva il di-ritto di scegliersi personalmente ad uno aduno i soggetti da abbattere e che perciò lepiante martellate erano individuate tra i sog-getti che apparentemente si presentavano in-tegri.Per l’interesse che il documento può rivesti-re, si ritiene di doverne riportare i dati piùsalienti (Tab. 1).

    Quando, a partire dal 1820, si dette inizio al-l’utilizzo industriale dei boschi della Sarde-gna, l’alta percentuale di piante inservibili edifettose ed utilizzabili solo come legna daardere fu spesso motivo di controversie, di

    REGIONE INTERESSATA DAL TAGLIO

    Pauli rangiu, Funt.na su suerzuMuranarba-EstremaduSu trau de Giuanni Marras,Su muru de sa pudda, Fun.na de luduSu ludrau de sa cambaAutunnalesSa moscherda, Abba arzolaSu idarzu, M. stidduS’abba lughia, Costa de sa Moscherda, Kentu trazusBadde salighes, Piano d’ortachisPrunasChilò, S. Maria de Sauccu, Sa cambula tunda, Serra des BattiasPascale, Sa spina moriga,Sa pala de su casteddu,Sedda melaPerdu aghedu, coddu de sa figu, cantaru de sa pettorinaCrastu turbidu, Mura urasSa striua, Buiordiddos, sa pala de sa castanzaSa ucca de sa MoscherdaMara piga

    Totali

    7674

    951251916135

    135

    110

    124

    77

    10560

    1247

    11

    1.409

    6158

    4391

    1352723

    111

    95

    78

    54

    3433

    646–

    913

    137132

    1382163268858

    246

    205

    202

    131

    13993

    1881310

    2.322

    NUMERO DI PIANTE

    IDONEE INSERVIBILI TOTALE

    Tab. 1 Verbale di collaudo della tagliata eseguita da Giovanni Bianchi nel 1846 nei boschi del Mar-ghine.

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    liti e di mancati o ritardati pagamenti, tra gliappaltatori del taglio e lo Stato.Anche nelle selve di Bonorva, che vantavapregiate foreste di roverella, le piante inuti-lizzabili venivano calcolate intorno al25% 25, piante che, dopo essere state segatein parte, venivano abbandonate non appenail taglio consentiva di accertarne i difetti.Se pure si può avere qualche prudente riser-va quando segnalazioni di questo tipo pro-venivano dagli appaltatori o dai loro delega-ti, non si può non prestar fede alle denuncedi funzionari statali esperti e incaricati delleverifiche o delle martellate.Lo stesso Tiscornia, Conservatore generaledei boschi e selve, in una nota del21.3.1846 26, segnalava all’Intendente gene-rale del Regno, condividendo quanto l’im-prenditore Bianchi lamentava, che le piantedell’area del taglio, situata nel Marghine interritorio dei Comuni di Macomer, Bolotanae Bonorva, erano in gran parte inservibili:«... trovandomi sul posto... due cose mi sisono fatte osservare: l’una che il Bianchiavendo libera scelta, aveva ragione di pren-dere quelle piante che più gli tornassero aconto, (a dir vero, in questo taglio, quasi tut-te guaste)...».Il luogotenente di vascello Marchese Ricci,incaricato nel 1847 di sovrintendere allamartellata di 1998 piante di roverella e di170 lecci nelle montagne del Goceano, pre-ferì eseguire personalmente la scelta dellepiante, per evitare di martellare piante difet-tose e guaste 27, che evidentemente il Ricci,che aveva avuto modo di fare diverse altreesperienze in Sardegna, riteneva vi fossero.Nel meridione dell’isola la situazione nonera dissimile.Dal carteggio intercorso in merito ad un ri-chiesto taglio di 400 lecci, «atti ad opera»,da un certo Salvani, nella foresta di Monte-nieddu, a Sarroch 28, il Brig. For.le Diana,così riferiva al Conservatore dei Boschi eSelve Tiscornia:

    «..non sonosi potute trovare in alcun sitoquelle qualità e grossezza di piante sane everamente buone ed atte a costruzione» cosìcome le voleva il richiedente.Le piante erano cave e difettose, inidoneeper costruzione e solo utilizzabili per legnada ardere e per ricavarne corteccia.«...Ne misurai di dette piante una quantità,che sono parte d’esse della circonferenza dimetri 1, 80, parte 1, 65, parte 1, 60 e parte 1,50...» L’altezza variava da un massimo di m.3, 50- 4, 00 a m. 2, 75-2, 80. E se questa era la situazione sui boschi delversante sud occidentale dell’isola, non mi-gliore era quella del settore sud orientale, neiboschi situati sul massiccio montuoso deiSettefratelli. Qui la causa del degrado delle foreste avevaun’origine diversa: era in parte da imputarsialle utilizzazioni smodate e superiori agli in-crementi legnosi dei soprassuoli, ma concor-reva ai guasti, con un’incidenza non trascu-rabile, anche l’invalso scorzamento dei fustiper produrre la cosiddetta «rusca», la scorzada tannino richiesta dall’industria conciariadella capitale e che alimentava anche un cer-to commercio con la Francia.«...nei ghiandiferi di queste montagne» – ri-feriva il pubblico ufficiale Cao all’Intenden-za generale 29 – «si sta ormai facendo una di-struzione degli alberi di ghianda, non tantoda quelli che ne tagliano per legnami quantoda molti altri che vanno a farne lo scorza-mento per praticare quasi un pubblico com-mercio della scorza delle elci di queste mon-tagne, trafficandola per Cagliari e vendendo-la ai negozianti della medesima».E lo scorzamento dei fusti portava a morte lepiante. E poiché era ormai praticato da di-versi anni, aveva finito per incidere pesante-mente sui boschi del Sarrabus e su quelli diQuartu, Sinnai e Maracalagonis, prima chene venisse regolamentato il prelievo ed ilcommercio col Pregone del Conte Don Gia-como de Asarta del 7.12.1841. 30

  • 19

    Circa la densità dei boschi, dallo Stato deibeni demaniali dell’isola, datato 7 agosto1842, si possono desumere interessanti da-

    ti sulla densità di alcune montagne ghiandi-fere di diverse parti del territorio sardo(Tab. 2).

    NOTE

    1 I diritti d’uso, di pascolo, di legnatico, di raccoglie-re ghiande e frutti di bosco ecc. erano denominati, contermine spagnolo, adimplivos, ademprivi, e venivanoprevisti negli atti di infeudazione quali diritti, per lapopolazione del feudo, «..en quieta y pacifica posses-sio de llenar y herbar...en los saltos...».2 ACC, Fondo Ballero - Manoscritti -: «Discorso isto-rico politico legale dei boschi e selve nel Regno diSardegna».3 ASC, Atti governativi e amministrativi, n. 309, V. 64 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280: «Relationsur la qualité, et quantité del bois, qui sont sur les co-tes du Royaume de Sardaigne, faite par M. Le Sou-slieutenant d’Artillerie De Buttet, envoyée à la Courle 6 Avril 1768».5 ACC, Fondo Ballero, Manoscritti, 2.6 ACC, Fondo manoscritti, F. municipale I, n. 9: «Ri-flessioni intorno all’Isola di Sardegna», Cap. decimoquinto, De Boschi.

    7 ASC, Intendenza generale, Vol. 828.8 D’Austria-D’Este F.: «Descrizione della Sardegna,1812».9 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280: «Relazionesulla foresta di S. Leonardo di Sette Fontane, sua si-tuazione e qualità di terreno, quantità e qualità dipiante, cause che la distruggono, ed i mezzi da ripro-durla, del 9.2.1824».10 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280: Circolaredel 6 febbraio 1830 dell’incaricato delle funzioni diViceré diretta ai Sig.ri Intendenti delle Province.11 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280 il 2 marzo1830.12 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 128013 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280, nota privadi data.14 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280, nota del 20aprile 1830.

    COMUNEDENOMINAZIONE MONTAGNE

    GHIANDIFERE

    LORO ESTENSIONE NUMERO DENSITÀ

    STARELLI HA PIANTE PIANTE/HA

    Laconi

    NurallaoFlorinasPloagheGoniVillanova M.

    RomanaSiliqua

    StunuLeonesuTra Stunu e SarcidanoSarcidanoGiunchiGiunchi–Pala PassinuBadde augialeBadde pessighesLittu pizzinnu e piùFilighedduArcosuGutturu su nairiSedda is olionisFenugusMeurreddaTruba mannaCamboni mannuCambonedduZinnigas-Baccu de moi

    7.9503.4721.425

    91863070254040

    17560

    19060

    2001002007550

    1006560

    3.1801.388

    57036725228101616702476248040803020402624

    148.00060.00019.00018.30012.0003.0001.0002.5002.5003.0002.0001.4001.0003.0001.5002.5001.500

    8002.0001.4001.200

    4643135047

    107100156156438318423737315040505450

    Tab. 2 «Stato dei beni demaniali dell’isola» (7 agosto 1842).

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    15 ASC, Segr. di Stato, serie II, Vol. 1280. Nota del 27marzo del 1830.16 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280.17 ASC, Segr. di Stato, Serie II, Vol. 1280.18 ASC, Segr. di Stato V. 1280, nota del 3 marzo 183019 ASC, Segr. Stato. Serie II, V. 1280.20 ASC, Segr. di Stato, Serie II, V. 128021 ASC, Demanio feudi, Boschi e selve, V. 14. Notadel luglio 1836.22 «..La descrizione di una foresta può estendersi a tuttele altre, dappertutto lo stesso deperimento e per le stes-se cause, a tutte potrà applicarsi un identico rimedio.

    Tutte le foreste sono popolate d’alberi che sembranoavere la stessa età, sono tutti vecchi, e giunti, salvopoche eccezioni, a un’età stramatura; in nessuna fore-sta si trova rinnovazione agamica o da seme per sosti-tuire le piante che cadono, sia sotto la scure distruttri-ce del pastore, sia a causa dell’età...».23 «...il fuoco che essi fanno dappertutto nei boschiche si propaga ai cespugli e dai cespugli agli alberi,

    cambia in una sola notte una bella foresta in un vastodeserto, ove non si vedono più che alcuni tronchi an-neriti e senza vita...».24 ASC, Intendenza generale, V. 831- Verbale di col-laudo del 21.8.1846, firmato da Giovanni Bianchi, dalBrigadiere forestale Nori e dal guardiaboschi EnricoMelis.25 ASC, Intendenza generale, V. 829. Nota del12.3.1842 dell’Avv. Carlo Balladore, Vice Intendentegenerale, diretta al Vicerè.26 Segreteria di Stato, Serie II, V.1282.27 ASC, Int. generale, V. 831, anno 1847.28 ASC, Intendenza generale, V. 831. Nota del 28 apri-le 1846.29 ASC, Segr. di Stato, V. 1281. Nota del 29.4.1839.30 ASC, Atti Governativi e amministrativi, n. 1459 bis,Vol. 19.31 In ASC, Regio demanio V. 15632 ASC, Regio demanio, V. 156

  • • La localizzazione dei boschi

    • La relazione del De Buttete il documento anonimo del 1800

    21

    Definire con esattezza localizzazio-ne, caratteristiche e confini dellearee boscate nel periodo antecedente l’epocaconsiderata, è questione impossibile.

    Le fonti documentarie sono spesso impreci-se e avare e gli scarsi e frammentari cenniche viaggiatori occasionali o funzionari go-vernativi o Reggitori di feudatari o storici, ogeografi o naturalisti, che hanno avuto occa-sione di visitare od anche di percorrere laSardegna in lungo e in largo, hanno dedica-to all’aspetto forestale dell’isola, non ci con-sentono di avere un panorama sufficiente-mente attendibile sulla boscosità dei singoliterritori nelle diverse epoche, almeno finoalla 2ª metà del XVIII sec. Gli scritti del lontano passato quando nonhanno del tutto ignorato l’argomento, si so-no limitati ad accenni vaghi e sommari, sen-za soffermarsi in note puntuali che consenta-no di localizzare i diversi compendi boscatie i relativi aspetti selvicolturali. Rivestonotuttavia un certo interesse che rende possibi-le approssimarsi alla definizione del panora-ma forestale dell’isola agli albori del XIXsecolo.

    Lo storico sardo Giovanni Francesco Fara 1

    per esempio, nel descrivere la Sardegna allasua epoca (intorno al 1580), fa spesso riferi-mento alla boscosità dell’isola, ricca, com’e-gli dice, di ghiandiferi e selve. Ne parla aproposito della Nurra, in cui abbondavano...glandiferis, silvis et venatione aprorum...,della Gallura, definita silvestre, della Barba-gia di Belvì, circondata da montagne ricchedi castagneti e di specie quercine, castaneiset inglandibus refertis, della Barbagia di Ol-lolai, i cui monti erano ricoperti da dense fo-reste, condensisque sylvis obtegitur, e dellaBarbagia di Seùlo, dalle fitte e maestose fo-reste,.. altis et condensis sylvis.. e di altrearee ancora, ma non emerge dal suo mano-scritto altro che una generica descrizionesull’argomento e una delimitazione pergrandi aree territoriali.In un altro interessante manoscritto del1581-82 redatto da un certo Giovan BatistaDe Lecca, su incarico del vicerè, vengonodescritti i 114 feudi in cui allora era ripartitala Sardegna.Il De Lecca tratteggia le principali destina-zioni d’uso del territorio e le sue potenzialitàche sono connesse, da una parte, alla bonifi-

    IIICapitolo III

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    ca delle aree paludose, all’adozione di tecni-che agricole più appropriate ed alla sicurez-za delle campagne nei confronti delle incur-sioni barbaresche, e dall’altra, all’espansio-ne delle superfici agricole attraverso l’elimi-nazione del bosco.Alla sua epoca questo tipo di intervento eragia stato attuato su parte dei feudi (nove),ma il de Lecca lo auspica per circa quarantadi essi.Nel documento gli accenni all’aspetto fore-stale sono, per questa ragione, più frequentie consentono di individuare le principali for-mazioni boschive che caratterizzavano i sin-goli territori e, con una certa approssimazio-ne, di localizzarle.I soprassuoli vengono distinti in due grandicategorie : boschi di gianda detti anche bo-schi grandi, in cui sono ravvisabili le fustaiedi leccio, sughera e roverella, e il bosco rasodi lentischi o genericamente di matte (piantein vernacolo) o di ogliastrj (olivastri).Complessivamente sono 23 i feudi in cuierano presenti i boschi di ghianda e 59 quel-li in cui l’estensore accenna a presenze di ar-busti, e soprattutto di olivastri.Nell’insieme i tre quarti del territorio isola-no era ricoperto da soprassuoli forestali, dicui i boschi d’alto fusto rappresentavano po-co più di un terzo.Questi ultimi erano localizzati in prevalenzanella parte centro settentrionale del territorio, tuttavia non mancavano nella parte sud oc-cidentale dell’isola, in corrispondenza delSulcis Iglesiente (montagne di Pula e Capo-terra, compendio di Iglesias e Fluminimag-giore). Erano presenti nel Gerrei, in Oglia-stra, nel Mandrolisai e nel Montiferro, da cuisi spingevano, attraverso la catena del Mar-ghine-Goceano, da una parte fino alla Gallu-ra e dall’altra fino alla Barbagia e al Sarci-dano, e, attraverso le alture di Villanova ePutifigari, verso la Nurra. Anche Martin Carillo, nella relazione pre-sentata a Filippo III d’Aragona (anno 1612),sulle condizioni della Sardegna, parla di

    «montes... muy fertiles y delitosos...», dimonti in cui «en los mas levantados y altosay arboledas, fuentes, rios...» e fa un cennoalla «..espessuras de los bosques...», facendointendere che la copertura boschiva dell’iso-la era folta 2 ed aggiungendo che questi mon-ti ricoperti di arboledas, fornivano abbon-dante pascolo ad ogni sorta di bestiame,«...dan pastos en abundancia a todo generode ganado...».Non di più si apprende da altri scritti relati-vi alla Sardegna comparsi nel 1714 3 o nel1717 4 tutti volti a fornire un quadro sulleistituzioni politiche e militari che governa-vano l’isola e sui donativi, sui sussidi, sullegabelle e sulle altre rendite che da essa pote-vano ritrarsi. Neppure dalla Relazione del 1701 di Gero-nimo de Zabarayn, Reggitore e Amministra-tore generale dello Stato di Oliva in Sarde-gna, che tratta delle rendite feudali del Mon-teacuto, del Marghine e dell’Anglona, terri-tori in parte presumibilmente ricchi all’epo-ca di boschi e foreste, possiamo trarre pun-tuali e circostanziate indicazioni.Le aree forestali erano evidentemente discarso rilievo sotto il profilo reddituale con-nesso al legname ritraibile e perciò su di es-se non ci si soffermava più di tanto a descri-verne gli aspetti selvicolturali; tutt’al più unaccenno al pascolo, soprattutto suino, ch’e-rano in grado di garantire.Compaiono solo due interessanti note: l’unarelativa al bosco della Incontrada del Mar-ghine (verosimilmente quello in regione SuSauccu, di cui avremo occasione di parlareampiamente), che aveva un perimetro di seimiglia; l’altra relativa al territorio delle tre In-contrade (M. Acuto, Marghine, Anglona) edelle tre Baronie (Osilo, Coghinas, Silva deIntros), che descrive come vastissimo e che«abbonda di ogni genere di selvaggina» maparticolarmente di cinghiali, cervi e daini. Il che indirettamente, in qualche misura, ciconsente di desumere che doveva essere, al-meno in parte, ricoperto da formazioni fore-

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    stali, macchie e soprassuoli arborei. 5 Alcunefonti documentarie poi, oltre che generichesull’argomento, sono anche sospette e mani-festamente inattendibili, tutte volte a deli-neare un’isola felice, ad esaltare le sue risor-se naturali e a tracciare strumentalmente unasituazione artatamente allettante..Nello scritto anonimo Description geografi-que, historique et politique du Royaume deSardaigne (Cologne, 1718), ad esempio, siafferma che l’isola è ricoperta di verde e difiori in tutte le stagioni; che è così fertile chei frutti e i prodotti della terra non hannouguali in nessun’altra parte, sia qualitativa-mente che quantitativamente, a causa so-prattutto della purezza delle acque che irri-gano le campagne; che il toponimo Logudo-ro deriva da ricche miniere d’oro; che il cli-ma è tale che gli abitanti hanno una salute diferro e muoiono tutti in età avanzata, e via diquesto passo.In termini generici sul tema forestale siesprimeva anche l’anonimo piemontese chein un manoscritto del 1759 6 relazionò sullegenti sarde e sulle caratteristiche del nuovopossedimento di Casa Savoia. Scriveva infatti che «...incontransi...folti bo-schi d’alberi atti al lavoro e ad altri usi ne-cessari nei quali fanno dimora li cervi, ca-prioli ed altri animali selvatici..» e dai qualiil pastore ritraeva pascolo per il suo gregge.Neppure dalla Relazione della visita che ilvicerè D’Hallot des Hayes compì nel Regnodi Sardegna 7 nel 1770, si riesce ad avere ele-menti di conoscenza sulla distribuzione esull’estensione dei boschi nell’isola, anchese non sfuggirono all’attenzione del Vicerèalcuni degli aspetti e dei problemi forestaliche furono poi oggetto del già citato Prego-ne del 2 aprile 1771 8, documento che segnòun’importante tappa nella regolamentazionesui tagli, sul disboscamento, sulla conserva-zione delle aree boscate e sugli incendi.

    Appena uno squarcio, ma ancora molto gene-rico, si apre con Andrea Manca dell’Arca: 9

    «Tanta quantità di monti e piani deserti percarestia di gente, son cagione che la Sarde-gna abbonda di boscaglie, le di cui macchie,alberi ed arbusti nascono da sé col beneficiosolo della natura senza piantarli, né industriadi coltivazione, e divengono adulti confor-me lo richiede la sua specie, malgrado ilcontinuo danneggiamento degli armenti, chegirano per tutto..».

    Poi, man mano che la monarchia Sabaudaconsolida la sua presenza nell’isola e si atti-va il processo di graduale modernizzazioneattraverso lo sviluppo delle attività e l’utiliz-zo delle risorse locali, si accentua via vial’interesse anche verso il settore forestaleisolano e fanno la loro comparsa atti e docu-menti di varia natura e relazioni specifiche,attraverso i quali è possibile delineare unquadro sufficientemente approssimato sullaboscosità dell’isola, sulla dislocazione e sul-la struttura dei soprassuoli forestali, sulleutilizzazioni e sulla qualità del legname ri-traibile. Preziose sono a questo riguardo le relazioniinformative redatte al fine di acquisire ele-menti di valutazione sui diversi progetti dicolonizzazione che furono intrapresi per losviluppo della spopolata isola di Sardegna ealtri documenti inerenti richieste di licenzeper l’impianto di questa o quella attività in-dustriale che presupponeva la disponibiltà diprodotti legnosi, unica fonte di energiaSi apprendono così le prime notizie non so-lo sui tagli di legname che vengono eseguitiin Sardegna, sul consumo di legna e carboneper l’attività mineraria, per quella conciaria,per quella cartaria ecc., ma anche sulla di-slocazione e sulla composizione specifica dialcuni soprassuoli forestali.Emergono anche alcuni dati sulle quantità dilegname ricavato da tagli eseguiti nelle fore-ste di Esiano (Scano Montiferro) e di Cu-glieri negli anni 1750 e 1751, 10 tagli ordina-ti dallo Stato per ricavarne assortimenti divaria grandezza da destinare alla costruzione

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    di infrastrutture marittime del porto di Nizzae ad altre necessità della Marina Reale. E si apprende di altre utilizzazioni eseguitenella Nurra, ancora sulle montagne di Sca-no, e in quelle di Fluminimaggiore per con-to dello Stato. 11

    Il rinato interesse per l’attività mineraria,(concessioni generali alla società Nieddu eDurante, poi al console svedese Mandel, edinfine utilizzo in parte diretto dello Stato), adatare dal 1721, attraverso le localizzazionidelle miniere e delle fonderie, ci consente diaggiungere ulteriori tasselli conoscitivi dellearee boscate ed in parte della relativa lororicchezza in massa legnosa.Le ricerche e la coltivazione delle miniere diargento, piombo, zinco, ferro e rame, che inte-ressavano le zone di Malaropa, di Monteponi,di Spirito Santo, di Fluminimaggiore, di Do-musnovas, e di Montevecchio nella Sardegnasud occidentale, quelle dell’Acqua Cotta pres-so Villacidro, e di Monte Narba nel Sarra-bus, quelle di Arzana e Ierzu nell’Ogliastra equella di Funtana raminosa presso Gadoni,ci forniscono infatti direttamente o indiretta-mente notizie sulla presenza di boschi, tal-volta sulla loro composizione specifica, ta-laltra anche sulla consistenza del prodottolegnoso ricavabile.Possiamo annotare per esempio che la fon-deria di Arzana sorgeva in regione Pira in-sirìa, lontano dalle zone boscate; che quelledi Sa corti de is eguas e di Sa Tellura, pres-so Fluminimaggiore, erano circondate inve-ce da fitte boscaglie. Così come può aiutarci nella ricostruzionedel panorama forestale il conoscere i quanti-tativi di legname che venivano conferiti allerispettive miniere e fonderie per assicurare illoro funzionamento. Anche altri rami della nascente industria iso-lana dovevano necessariamente ricorrere allegno come fonte energetica: tonnare, fab-briche di vetro, distillerie, industrie concia-rie, industrie cartarie ecc. ecc.

    Talvolta perciò, attraverso il carteggio relati-vo a queste concessioni, è possibile acquisi-re utili elementi di conoscenza sulla coper-tura forestale di un dato territorio e sullacomposizione floristica della vegetazione.In un promemoria del 6 luglio 1782, peresempio, redatto in merito alla fattibilità diun progetto di una fabbrica di vetro nel ter-ritorio di Sassari, 12 dopo aver elencato tuttele materie prime di cui si può disporre in lo-co, dall’argilla, ai sali alcalini, alla potassa,ai sali di soda, al quarzo, alla sabbia, all’ac-qua per i molini ecc. si dice testualmente:«Ciò non basta, che vi vuol fuoco, e per ilfuoco vi vuol mezzo per sostenerlo».«La Sardegna in generale ha pochi boschi,ed i pochi suoi boschi sono assai limitati.All’incontro vi sono tenute amplissime in-colte, e ricoperte per la maggior parte di len-tisco le di cui radici sono buonissime per farfuoco, e di grandissimo uso per i camini.L’estrazione di queste piante potrebbe nellostesso tempo servire di vantaggio all’Isolacon rendere così il terreno lavorabile, e diservizio per l’agricoltura».D’altra parte, si aggiunge, facilmente ci sipuò provvedere delle radici del lentisco sianel capo di Sassari che in quello di Cagliari.«Potrebbe fare una difficoltà la piccolezzadella legna... ed il timore della consumazio-ne a danno del necessario uso dei regnicoli,se non vi fosse altro boscame...».La località prescelta per la costruzione dellafabbrica è San Giorgio, al di là di FiumeSanto, nella Sardegna Nord occidentale.«Presso il luogo indicato, anzi nel luogostesso v’è legna piccola di lentisco e cisto...:consumata questa v’è Monte Claro ricco dilegna, distante meno d’un ora: ed in egualdistanza Don Michele: alla distanza d’un’o-ra e mezzo vi è Zamburra ove è assai legna,ed alberi ancora d’alto fusto. Rimane ancorail gran magazzino di legna in Campo Calva-giu,... abbondantissimo di legna grossa, diestensione immensa che occupa valli, pianu-

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    re colline e monti senza che vi siano pastorie tanche».«Da questo fondo grandissimo, lasciando iltaglio di lecci ed altre piante ghiandifere ri-sulta un nutrimento per la fabbrica di som-mo riguardo».Se nella piana di Porto Torres abbondava lamacchia a lentisco, nei dintorni di Algheronon mancava il mirto, materia prima occor-rente per l’industria conciaria sarda almenofino ai primi decenni del XIX secolo.Un tale «...acconciatore algherese LorenzoAllivesi, acconciando li cuoi alla manieradel Paese, mi dice non servirsi della cortec-cia di Rovere, bensì di quella di Mourta,quale esso stesso va cercarsi con poco trava-glio, ritrovandosene in queste vicinanze ab-bondantemente...». 13

    Un panorama sufficientemente attendibile –anche se parziale – della realtà forestale iso-lana, tra la fine del ‘700 e i primi anni del1800, ci è offerto attraverso due relazionispecifiche compilate, l’una, da un ufficialesabaudo, il De Butet nel 1768, e l’altra, daun autore anonimo, nel 1800 e intitolata«Discorso istorico politico legale dei boschie selve nel Regno di Sardegna».

    La relazione del De Buttet

    L’accresciuta attenzione del Governo sa-baudo verso le risorse isolane, ma anche lanecessità di ridurre la dipendenza dall’este-ro quanto a importazioni di legname utiliz-zabile per le necessità della R. Marina e del-la R. Artiglieria, 14 indusse a promuovereun’indagine conoscitiva specifica, che fu af-fidata ad un certo De Buttet, luogotenented’artiglieria.La sua relazione, datata 6 aprile 1768, pur li-mitata territorialmente alle aree costiere ocomunque facilmente raggiungibili dalla co-sta, 15 ci fornisce un prezioso quadro di rife-rimento e ci consente di localizzare alcuni

    complessi forestali e di avere indicazionisulla qualità e sulla quantità delle piante pre-senti.Trattandosi di una testimonianza forse unicasull’argomento, si ritiene utile riportarne ipunti salienti che concernono le due speciepiù significative prese in considerazione dalDe Buttet: leccio e roverella.Riferisce l’ufficiale che i boschi di leccio so-no i più diffusi nell’isola e che il taglio del-le piante non è consentito se non per strettiusi domestici e che la specie è consideratapreziosa sia perché fornisce una ricercatapastura per i maiali, sia perché, in annate dicarestia o di scarsa produzione di grano, leghiande vengono utilizzate come alimentodi sussistenza dalle popolazioni rurali in di-verse zone dell’Ogliastra. 16

    Le zone prossime alla costa, 17 ove il relato-re individua foreste idonee al taglio sono leseguenti:a) le montagne del Sarrabus, ed in partico-

    lare la località denominata Buddui, ovevegetano considerevoli foreste di lecciocon piante per la maggior parte di buonataglia, utilizzabili sia per costruzioni cheper impieghi dell’Artiglieria.Il loro trasporto, nota il De Buttet, può ef-fettuarsi o attraverso la piana che dominail golfo di Cagliari, previa apertura di unastrada, o lungo la pianura di Camisa, so-luzione che comporta un viaggio di tregiornate di carro.

    b) la montagna, denominata Quadazone,compresa tra Barisardo e Tertenia, con al-beri di leccio di buona qualità. Il traspor-to del materiale potrebbe effettuarsi inuna giornata di carro, previa apertura diapposita strada.

    c) le montagne tra Orosei e Siniscola ove èlocalizzata una grande foresta di lecci. Diquesta, gli esemplari più grossi sono perla maggior parte rovinati, per cui si pos-sono utilizzare per gli impieghi dell’Arti-glieria 18 e per altri usi, solo quelli con

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    diametro intorno a 20-25 cm, dai quali èpossibile ricavare pezzi squadrati di 4-5once di lato. 19

    Il trasporto del materiale verso la costa èfacilitato dalla presenza di una pista chesi diparte dal piede della montagna egiunge fino al mare; il trasporto compor-ta poco meno di una giornata di carro.

    d) la vallata del fiume Liscia, in Gallura,ove è possibile rinvenire buoni boschi dileccio ma di taglia mediocre. I lecci sonogeneralmente frammisti ad olivastri, tran-ne che nella località Candela ove il boscoè di solo leccio.Il trasporto del legname non sarebbe dif-ficoltoso e potrebbe effettuarsi con una odue giornate di carro.

    e) lecci di buona taglia si trovano ancoralungo il Rio Vighedo, nel tragitto com-preso tra Candela e Longosardo (S.Tere-sa di Gallura), le cui montagne sono inte-ramente boscate di lecci di diversa taglia.La preventiva sistemazione di una stradaatta a valicare il Monte Candela consen-tirebbe di effettuare il trasporto del mate-riale legnoso in due giorni.

    f) oltre Longosardo e fino alla Nurra, nonsi trovano più boschi di leccio lungo lacosta.La Nurra è una distesa di terreno di circa30 miglia, dalla torre della Pelaga fino aPorto Conte, e vi si trova un bosco mistodi leccio ed olivastro, ma con predomi-nanza del leccio. Le piante migliori si tro-vano lungo la vallata del Conno ed in di-verse altre località.Il materiale può essere trasportato o ver-so Sassari o verso Alghero, località se