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Teoria & Prassi luglio 2011 n. 22 rivista teorica di Piattaforma Comunista “L’unità è una grande “L’unità è una grande cosa e una grande cosa e una grande parola d’ordine! Ma la parola d’ordine! Ma la causa operaia ha causa operaia ha bisogno dell’unità dei bisogno dell’unità dei marxisti, e non marxisti, e non dell’unità tra i marxisti dell’unità tra i marxisti e i nemici e travisatori e i nemici e travisatori del marxismo. del marxismo. E a chiunque parli di E a chiunque parli di unità dobbiamo unità dobbiamo chiedere: unità con i chiedere: unità con i chi? con i liquidatori? – chi? con i liquidatori? – In tal caso non abbiamo In tal caso non abbiamo niente in comune.” niente in comune.” LENIN, Unità (1914) LENIN, Unità (1914)

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Teoria & Prassi

luglio 2011 n. 22

rivista teorica di Piattaforma Comunista

“L’unità è una grande“L’unità è una grandecosa e una grandecosa e una grandeparola d’ordine! Ma laparola d’ordine! Ma lacausa operaia hacausa operaia habisogno dell’unità deibisogno dell’unità deimarxisti, e nonmarxisti, e nondell’unità tra i marxistidell’unità tra i marxistie i nemici e travisatorie i nemici e travisatoridel marxismo.del marxismo.E a chiunque parli diE a chiunque parli diunità dobbiamounità dobbiamochiedere: unità con ichiedere: unità con ichi? con i liquidatori? –chi? con i liquidatori? –In tal caso non abbiamoIn tal caso non abbiamoniente in comune.”niente in comune.”

LENIN, Unità (1914)LENIN, Unità (1914)

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Teoria & Prassi, n. 22 - luglio 2011rivista teorica di Piattaforma Comunista

- aderente alla Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti -

Indice

3 Editoriale: All’ordine del giorno il cambiamento dell’ordine sociale 7 Il significato storico della Comune e i suoi insegnamenti

12 Oggi come ieri è necessaria una rottura completa e definitiva con il riformismo 17 Nulla da celebrare, una Repubblica socialista da conquistare 22 Marx e Engels sul Risorgimento italiano 25 Il feticcio ideologico borghese della “divisione del poteri” 28 Vecchie deviazioni e nuove illusioni 33 Replica al partito operaio informale 42 Lotta politica e ideologica al neocorporativismo 48 L’importanza della concezione materialistica e dialettica del mondo 55 Riunione europea dei partiti marxisti-leninisti 60 La lezione dei referendum

La redazione di Teoria & Prassi invita i lettori ad esprimere la propria opinione sulcontenuto della rivista. Invita altresì a segnalare indirizzi email individuali o collettivi dipossibili interessati a ricevere le nostre pubblicazioni.La redazione ringrazia la giornalista E. Massimino la quale, dando prova di grandesensibilità democratica, ha assunto la direzione responsabile di questa rivistapermettendoci di adempiere alle formalità richieste dalla legge sulla stampa. Ribadisce, comunque, che la responsabilità politica degli articoli pubblicati è solo edesclusivamente redazionale.Per contatti, domande, etc. scrivere a: [email protected] il sito web: www.piattaformacomunista.com

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Direttrice responsabile: E. Massimino.

Redazione: via di Casal Bruciato 15, Roma.

La presente edizione, chiusa il 30.6.2011, è

stampata in proprio e pubblicata on-line.

Si autorizza la copia e la diffusione totale o

parziale, non a fini commerciali, citando la

fonte.

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All’ordine del giorno il cambiamentodell’ordine sociale

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Quattro anni sono passati da quando si èmanifestata la crisi economica mondiale del

capitalismo. Quattro anni in cui si è profondamentetrasformato l’aspetto del mondo, in cui sono cadutemolte presunzioni e molte illusioni sulla possibilitàdi uno sviluppo illimitato e pacifico nel quadro diquesto sistema, sulle caratteristiche dellademocrazia borghese, ipocrita e ristretta. Mai come in questo periodo di tempo lacontraddizione fra le forze produttive e i rapporti diproduzione è emersa così chiaramente, mostrandoche l’emancipazione della società umana, la suastessa esistenza, dipendono dal rovesciamento dellasocietà basata sulla proprietà privata.La crisi ciclica – generata dalle leggi fondamentalidel capitalismo - ha prodotto uno sconquassoglobale nell’economia e portato ad uno stadio piùelevato la crisi generale del capitalismo. Ad oggi il capitalismo non è in grado di dare unreale slancio all’economia. La cosiddetta ripresa èdebole e diseguale, a più velocità, incapace di fareuscire il sistema dalla crisi. La sovrapproduzione relativa persiste in tutti i suoiaspetti: di capitali, di mezzi di produzione, di merci(tra cui la merce forza-lavoro). Esaurito il ciclo dellescorte e degli aiuti statali, il PIL dei principali paesiimperialisti perde slancio. L’occupazione nonriparte, la disoccupazione si allunga. I salaridiminuiscono mentre aumentano i prezzi dei generidi prima necessità. La povertà dilaga. Diconseguenza, la capacità di consumo delle massediminuisce, aggravando le contraddizioni nella baseeconomica.L’economia degli USA cammina sul filo del rasoio.Il suo debito è insostenibile e non c’è una strategiaper ridurlo. Gli States da locomotiva si sonotrasformati in zavorra del capitalismo. L’Unione Europea (UE) ha stanziato 750 miliardi dieuro per il proprio salvataggio. Crescono il deficitstatale e le operazioni speculative, che vengono fattepagare alla classe operaia e ai popoli a forza didiktat.Le misure statali non hanno risolto la crisi, l’hannosolo prolungata. Ci vorranno anni per risalire ailivelli produttivi ed occupazionali precedenti lacrisi. Ma nel frattempo sono possibili nuovi collassifinanziari, specie nell’UE.In quattro anni di crisi la borghesia ha dimostrato dinon voler applicare nessuna misura a beneficio dei

lavoratori. Allo stesso tempo enormi quantità didenaro pubblico sono finite nelle casse deimonopoli, per salvarli dalla svalorizzazione dei titoli“tossici”. Durante la crisi l’oligarchia finanziarianon ha smesso di arraffare lauti profitti, mentre lecondizioni di vita e di lavoro delle masse sonopeggiorate. Ora prepara un ulteriore drenaggio diricchezza (leggi massacro sociale) per ripianare ildebito pubblico e pagare gli interessi ai parassiti(banche, assicurazioni, fondi pensione, societàfinanziarie) che detengono i Titoli di stato.Le potenze imperialiste cercano di mantenere le loroposizioni a forza di “piani di aggiustamento”,distruzione delle conquiste operaie e aggressioni“umanitarie”. Manovrano, minacciano, divengonosempre più aggressive, tanto sul piano esterno chesu quello interno.Ma i loro squilibri sono più marcati. Devonoaffrontare problemi più gravi avendo meno marginidi manovra a disposizione per le politicheeconomiche. Permane un surplus enorme di capitaleda distruggere per far ripartire l’accumulazione. Laripresa dipende inoltre dai rifornimenti energetici abasso costo, dai mercati di sbocco. Di quil’acutizzazione della rivalità fra le grandi potenze ei monopoli, la tendenza marcata alla guerra.

La lotta di classe diviene più aspra

Il prolungamento della crisi capitalistica mondiale -e le sue drammatiche conseguenze sociali -costituiscono la base oggettiva dell’inasprimentodella lotta di classe fra proletariato e borghesia, dellerivolte giovanili e popolari, originate da condizioniobiettive di spoliazione e di oppressione, delleproteste che si levano in più parti del mondo control’insostenibilità delle condizioni di vita, contro leenormi disparità economiche, la devastazioneambientale, etc. Gli operai e gli altri lavoratoriresistono, scioperano, occupano fabbriche e piazze,si mobilitano contro l’offensiva dei padroni, lestridenti ingiustizie, la politica reazionaria eguerrafondaia dei governi borghesi. Mettono indiscussione non solo le politiche antipopolari, ma lestesse istituzioni imperialiste che le impongono.I popoli oppressi non accettano più le imposizioni diun pugno di parassiti e di despoti che scaricano sulleloro spalle il peso della crisi e dei debiti, cancellandoposti di lavoro e diritti.

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Le rivolte in Nordafrica – che hanno scosso paesidipendenti dall’imperialismo - costituiscono, ingenerale, un buon propellente per l’ulterioreavanzata della lotta di classe. L’imperialismo tentadi soffocarle, noi dobbiamo appoggiarlerisolutamente.

La crisi italiana non è congiunturale

In Italia la crisi assume caratteristiche più gravi chenegli altri paesi imperialisti. La borghesia ha gettatola società in una grave situazione economica epolitica, che si trascina e si aggrava da anni, senzatrovare soluzioni sotto il dominio del capitale. Dal declino produttivo alla corruzione dilagante,dall’impoverimento alla precarietà di massa, daltracollo del Meridione alla crescente oppressionefemminile e giovanile, dai conflitti istituzionali aldisastro territoriale, le sue manifestazioni sonosempre più evidenti.Il processo della crisi coinvolge l’insieme della vitasociale, senza poter essere ridotto a nessuno dei suoiaspetti specifici. E' crisi dell'economia e crisiambientale, crisi energetica e morale, della scuola ,della cultura e delle istituzioni. E' crisi di autorità edi consenso, trovando la borghesia sempre piùdifficoltà ad includere le masse nei propri ranghi. E'crisi nei rapporti internazionali, in cui la mancanzadi peso e la debolezza politica si traducono inmaggiore subordinazione alle potenze imperialistepiù forti. Sul terreno politico la regressione economica sitrasforma in strisciante liquidazione delparlamentarismo, in autoritarismo e reazione a tuttocampo. Ciò corrisponde alle esigenze dei monopoli

finanziari, che puntano a “recuperare competitività” abbassando i salari e sopprimendo le conquiste dellaclasse operaia. Sul piano istituzionale i conflitti fra i poteri(esecutivo, legislativo, magistratura, Presidenzadella Repubblica, Corte costituzionale, etc.) sonolaceranti: il berlusconismo ha portato alla paralisiistituzionale, al conflitto permanente fra gli apparatistatali. Siamo alla “diarchia” fra palazzo Chigi e ilColle.La situazione è aggravata dal vassallaggio neiconfronti degli USA, dalle ingerenze continue delVaticano, dal ruolo pervasivo delle Mafi, cheimpediscono ogni progresso sociale, economico,culturale e condizionano l'intera vita politica. Maanche dall’inclusione nei ranghi della UEimperialista, cappio che si stringe al collo dei popoli.Si tratta dunque di una crisi non congiunturale, madi portata storica. La borghesia non può offrireprospettive di progresso, non ha risposte per iproblemi che investono l'intera società. Vuole solofarci regredire di un secolo.Negli ultimi quindici anni Berlusconi ha incarnato ildeclino irreversibile dell'imperialismo italiano, ilparassitismo e la delinquenza delle classiproprietarie. Le destre neoliberiste sono allabancarotta. Non riescono più a nascondersi dietro la

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pubblicità e le false promesse, a scaricare le colpesui migranti. Ma la loro capacità di tenuta, a benvedere, dipende dal balbettio politico di riformisti esocialdemocratici, che non hanno alternative realida proporre e non sono nemmeno capaci dirispondere come si deve ai progetti reazionari e airicatti politici. Sul piano sociale si consuma il divorzio fra questeforze e la classe operaia; il referente degliopportunisti sono ormai le figure “intellettuali”, i“garantiti”. Riformisti e socialdemocratici non possono, per laloro natura, mettersi di fronte ai compiti autonomidel proletariato e nemmeno chiamare la classeoperaia alla difesa fino in fondo dei suoi interessi.Perciò, continuano a ingannare gli sfruttati con leillusioni costituzionali ed elettorali, a peggiorare leloro condizioni con accordi ricattatori epeggiorativi.Più la situazione diviene critica, più aumenta ilmalcontento, e più costoro predicano ai proletari lapassività, l’attesa, i continui cedimenti, lasubalternità alle forze neoliberiste e reazionarie. Questa politica è parte integrante dellacollaborazione con la borghesia e serve al sostegnodel capitalismo in crisi, all’indebolimento e alladivisione della classe operaia.

Un solo partito del capitale

Le varie fazioni borghesi si combattono senzariuscire a trovare una via di uscita ai problemiesistenti, anzi aggravandoli. Tutti i partitiparlamentari si presentano come frazioni di un sologrande partito: quello delle classi sfruttatrici eparassitarie. Che le cose stiano così lo vediamo nelle questionidecisive, come la questione della guerra, su cui ilParlamento borghese vota all’unanimità, laquestione della proprietà privata dei mezzi diproduzione, o la questione del debito “pubblico”,rispetto al quale tutti i partiti borghesi, siano essireazionari o riformisti, convergono sul fatto chedeve essere pagato dai lavoratori.Questi partiti sono i partiti di quel 10% che detienepiù della metà della ricchezza nazionale, che èresponsabile del marciume, della stagnazione, delladecadenza tipici del capitale monopolisticofinanziario, che non ha alcun interesse alla soluzionedei più importanti problemi sociali.La crisi italiana non può dunque risolversi con unsemplice ricambio fra centrodestra e centrosinistra,fra amministratori collusi ed “efficienti”, dalmomento che ne è responsabile l'intera classe

dominante, al di là delle caratteristiche deirappresentanti delle diverse frazioni borghesi.La durata e la profondità della crisi dimostrano chestanno venendo a maturità contraddizioni insanabili,insite nella base economica, nonostante le forzepolitiche che difendono il sistema capitalistico sisforzino di negarle o di tamponarleprovvisoriamente.

La chiave della situazione

La situazione oggi è tale che una svolta politica, unreale cambiamento possono venire solo da unmovimento di massa rivoluzionario che abbia lecaratteristiche di una vasta, decisa e prolungatasollevazione.Esistono forze borghesi o piccolo-borghesi in gradodi prendere l'iniziativa e di scatenare talemovimento? No, perché seguono interessiparticolari e hanno paura di perdere i loro meschiniprivilegi.Solo la classe operaia – la classe più rivoluzionariadella società - può farlo, rompendo con le posizioniopportuniste, con il riformismo e lasocialdemocrazia. Dobbiamo perciò chiamare alla lotta e all'unità iproletari, incitandoli a rifiutarsi di seguire laborghesia e la piccola-borghesia, a partecipare agliavvenimenti politici come classe indipendente, con ipropri obiettivi immediati e storici, con i propri

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strumenti organizzativi. Dobbiamo continuare adare impulso all’organizzazione delle forze diclasse in un fronte unico di lotta anticapitalista,basato su propri organismi, come i Comitati operai.Su questa base va costruito un ampio frontepopolare, per stringere attorno alla classe operaia, suun programma anticapitalista e rivoluzionario, classie strati oppressi dall’oligarchia finanziaria, forzepolitiche e sociali militanti, progressiste. L’unità delle organizzazioni operaie e popolari, delleforze di sinistra anticapitaliste, è indispensabile peraffrontare governi neoliberisti, antipopolari e persconfiggere il dominio della borghesia. Lepossibilità di costruire un blocco antagonista sonooggi più cospicue di ieri, perché l’oligarchiafinanziaria è entrata in un processo di perdita dellesue riserve e le masse lavoratrici hanno come solaalternativa al massacro la fuoriuscita dal sistemacapitalista.Negli avvenimenti odierni si fa strada la necessità diuna rottura politica radicale, di un cambio di classeal potere. I pre-requisiti di una crisi rivoluzionariaesistono. Sono le condizioni soggettive ad essere inforte ritardo.In Italia, la lotta potrà essere portata alle suanecessaria conclusione solo se il proletariatoacquisirà una coscienza di classe rivoluzionaria,facendo sua la parola d’ordine della conquista di unGoverno operaio e degli altri lavoratori sfruttati.Con ciò indichiamo lo sbocco del fronte unico dilotta: un radicale rivolgimento per realizzareun’alternativa al regime capitalista. Non si trattadunque dell’ennesima formula parlamentare, ma delpotere politico del proletariato, della rotturadell’apparato di oppressione sulle grandi masse

lavoratrici, dell’espropriazione dell’oligarchiasfruttatrice all’interno di un contesto, come quelloitaliano, in cui l'unica rivoluzione necessaria epossibile è quella socialista.“Il problema è il sistema” gridano i giovani senzafuturo. Hanno ragione. La rivoluzione sociale delproletariato è una necessità storica, ed i suoiprotagonisti sono milioni e milioni di operai elavoratori sfruttati, di giovani e donne del popolo.Ma essa non si produce spontaneamente, deveessere organizzata, deve essere guidata. Questo compito spetta al partito rivoluzionario delproletariato, al partito comunista marxista-leninistache vogliamo ricostruire. Una forza completamenteindipendente dalla borghesia, principalmenteformata dai migliori elementi del proletariato, conuna disciplina d’acciaio, fedeleall’internazionalismo proletario.Un partito di avanguardia del proletariato che leghiin maniera inscindibile la lotta rivoluzionaria per unpiù elevato livello di produzione sociale alla lottaquotidiana per la difesa degli interessi, dei diritti,delle libertà dei lavoratori. Ricostruire un partito in cui l’ideologia, ilprogramma e l'organizzazione siano garanzia dellacapacità di guidare una lotta rivoluzionaria è ilcompito prioritario che spetta in primo luogo aglioperai più coscienti, più preparati e sperimentati,pronti ad accogliere favorevolmente i suoi scopi, ilsuo programma politico, la sua centralizzazione. A loro ci rivolgiamo principalmente, esortandoli adunirsi al nostro lavoro.

La redazione.

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Ricorre quest’anno il 140° anniversario (1871-2011) della Comune di Parigi, quel grande

avvenimento rivoluzionario che vide i proletariparigini “dare l’assalto al cielo” e istituire, per laprima volta nella storia, la loro dittatura di classe. Unavvenimento che, pur breve nella sua durata (72giorni, dal 18 marzo al 28 maggio 1871), fustraordinariamente carico di avvenire per ilmovimento operaio internazionale.Questo breve contributo non vuol essere unacelebrazione retorica di quegli eventi, ma si proponedi analizzare alcuni aspetti e momenti fondamentalidi quella grande esperienza politica, cercando dimetterne in evidenza gli insegnamenti ancora attuali.Qualche brevissimo cenno storico è, tuttavia,necessario per inquadrare gli avvenimenti. Dopo lasconfitta subita a Sedan dalle truppe di Napoleone IIIad opera delle truppe prussiane, il 4 settembre 1870viene proclamata a Parigi la repubblica: è il crollo delII Impero. La capitale francese viene cinta d’assediodai soldati prussiani e il 28 gennaio 1871 Parigi,sfinita dalla fame capitola. Viene elettaun’Assemblea Nazionale, composta quasiesclusivamente da rappresentanti della borghesia, ecapo del governo diventa Adolfo Thiers (quel “nanomostruoso”, come lo chiamerà Marx).Il 3 marzo avviene un fatto che avrà importanzadecisiva nel seguito degli avvenimenti: vienecostituitala Federazione repubblicana della GuardiaNazionale, una milizia popolare armata, elettadirettamente dalle masse. Per la borghesia francese sipone un imperativo immediato: disarmare quellamilizia operaia e popolare. Il Governo chiede allaGuardia Nazionale la consegna dei pezzi diartiglieria: è una vera provocazione, perché queicannoni erano stati acquistati dalle guardie nazionalicon una sottoscrizione popolare.La Guardia Nazionale reagisce con la massimarisolutezza: forte del suo buon diritto, non si fadisarmare, rifiuta di consegnare i cannoni. Il 18marzo, in uno scontro a Montmartre fra guardienazionali e truppe regolari, due generali vengonogiustiziati dai loro stessi soldati, il governo borgheseabbandona Parigi, fugge a Versailles, e l’Hotel deVille viene occupato dal Comitato Centrale dellaGuardia Nazionale, che innalza sul municipio

parigino non il tricolore francese, ma la bandierarossa.Dopo l’elezione del Consiglio della Comune con ilvoto favorevole di 230.000 elettori, il 28 marzo 1871viene proclamata la Comune di Parigi.

1. Il primo elemento da mettere in luce è illegame tra la Comune di Parigi e la guerra francoprussiana del 1870: la Comune nacque da una guerra,e dovette affrontare i problemi di natura militare e dipolitica internazionale. Sarebbe estremamente interessante analizzare ediscutere la politica militare della Comune. Per lequestioni di politica estera, invece, ci riferiamo ai dueprimi “Indirizzi” dell’Associazione Internazionaledegli Operai (redatti da Marx nel luglio e nelsettembre 1870, prima della proclamazione dellaComune). Se ne ricava un primo insegnamento fondamentale:non esiste solo la politica estera della borghesia,esiste anche una politica estera della classe operaia,non soltanto quando la classe è in grado di esercitarla– dopo la conquista del potere – attraverso il suo statodi dittatura proletaria, ma anche prima dellaconquista del potere, ispirandosi ai principi essenzialidell’internazionalismo proletario. Le indicazioni dei due “Indirizzi” sono chiarissime:no alle guerre di conquista, no alle annessioni diterritori di altre nazioni, no ai due pretesti con i qualii nazionalismi di ogni tipo hanno sempre volutogiustificare le annessioni: l’antico insediamentostorico (il pretesto con cui, ad esempio, l’imperofrancese di Napoleone III voleva giustificarel’annessione dell’Alsazia e della Lorena, o, per fareun esempio più moderno, quello in cui i sionistihanno sempre cercato di giustificare l’occupazionedel territorio palestinese) e le presunte “necessità”della difesa militare, al fine di garantirsi confini “piùsicuri” (così come per fare un altro esempio, l’Italiapretese di legittimare l’occupazione dell’Alto Adigedi lingua tedesca dopo la prima guerra mondiale).Infine un’indicazione di estrema attualità: nelcombattere una giusta guerra di liberazione nazionale(come quella della Comune contro l’occupanteprussiano), non mettersi mai sotto la tutela dellapotenza che rappresenta, in un determinato momento

Nel 140° anniversario della Comune di Parigi, primo governo rivoluzionario dellaclasse operaia

Il significato storico della Comune e i suoi insegnamenti

per i proletari e i comunisti del nostro tempo

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storico, il baluardo della reazione mondiale (in quelmomento “l’aiuto del cosacco”, come Marx lochiamò).

2. La Comune nasce da un’insurrezione operaiae si struttura come uno Stato operaio. Quali operaifurono i protagonisti di quei gloriosi 72 giorni?Raramente questo aspetto viene adeguatamenteconsiderato. Si trattò della classe operaia parigina quale si eravenuta formando dopo la rivoluzione industriale delSecondo Impero. Prevalevano ancora, nella capitale,gli operai-artigiani: non si poteva ancora parlaredell’esistenza di un proletariato industriale moderno,come quello che fu protagonista, ad esempio,dell’Ottobre Rosso a Pietroburgo e a Mosca. Ma, accanto alle produzioni tradizionali (tessile,abbigliamento, calzature, libro) erano sorte a Parigi leindustrie nuove (metallurgia, edilizia), con unamanodopera poco qualificata, costituita, in granparte, da giornalieri che lavoravano in quei nuovicomparti industriali. Ed è interessante osservare che tra gli insortiprevalevano gli operai delle nuove industrie (43%),mentre erano gli operai-artigiani delle produzionitradizionali quelli che fornivano l’elemento didirezione (essi costituivano il 75% degli ufficiali esottufficiali della Guardia Nazionale).Queste osservazioni ci aiutano a ricordare che classeoperaia non è qualcosa di immobile: essa varia e sitrasforma continuamente nel corso della storia, instretta relazione con le trasformazioni tecniche ed

organizzative del modo di produzione capitalistico;ma, contrariamente a quanto vogliono far credere iborghesi, il suo rapporto con il capitale è sempre lostesso: in qualsiasi forma (manifatturiera, prefordista,fordista, toyotista) avvenga lo sfruttamento dellaclasse operaia, è questa la sua natura di classesfruttata attraverso il prelievo del plusvalore chefonda, oggi come ieri, la sua natura di classerivoluzionaria.

3. Per quanto riguarda i rapporti con classisociali in Parigi, durante la Comune, il punto damettere in rilievo è il seguente: la Comunerappresenta il primo esempio storico di egemoniadella classe operaia (dopo la presa del potere) su altreclassi lavoratrici (contadini, artigiani e piccolinegozianti, alcuni professionisti). Queste classi e questi strati sociali riconobbero lacapacità di direzione politica dei proletari parigini esi schierarono al loro fianco, vedendo in loro i piùdecisi difensori anche degli interessi di altrilavoratori contro la rapacità della borghesiareazionaria. Più tardi, la questione dell’egemonia delproletariato diventerà centrale, come sappiamo, nelpensiero e nella pratica di Lenin.

4. La Comune fu uno Stato di tipo nuovo (la“forma finalmente scoperta” dell’emancipazione dellavoro, come diranno Marx e Engels). Quali furono lestrutture di potere?Il Comitato Centrale della Guardia Nazionaleformato da 40 membri, eletti dai 270 battaglioni dellaGuardia). Esso svolse funzioni di governoprovvisorio, dopo la vittoriosa insurrezione di Parigi.Il Consiglio della Comune (di 90 membri). Esso nonfu un organismo parlamentare, ma di lavoro, che

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rompeva decisamente con la tradizionale “divisionedei poteri” del costituzionalismo borghese. Era un organo legislativo ed esecutivo al tempostesso, diviso in 9 commissioni: guerra; relazioniinternazionali; sicurezza generale; giustizia; finanze;sussistenza; lavoro; commercio; servizi pubblici. I 90 consiglieri erano soggetti al mandato imperativodei loro elettori proletari, erano revocabili inqualsiasi momento e retribuiti con un salario daoperaio, per eliminare in radice ogni privilegio legatoalla loro funzione. Anche gli organi giudiziari eranoeletti direttamente dal popolo.Il Comitato di Salute Pubblica (di 5 membri), il cuiruolo politico fu oggetto di aspri contrasti fra latendenza più rivoluzionaria in seno ai comunardi e letendenze più conciliatrici.Grande importanza ebbero anche le organizzazioni dibase: i Comitati di vigilanza dei rioni (gli“arrondissements” parigini), che, con le lorodelegazioni, avevano continui contatti col Consigliodella Comune ed esercitavano il controllo popolaresul suo operato, e i club dei proletari, centri didibattito ed iniziativa politica, sul modello dei clubdella Rivoluzione francese.

5. Come in tutte esperienze rivoluzionarie,anche in seno alla Comune si sviluppò la lotta delletendenze politiche. Nel suo seno erano presentineogiacobini come Delescluze, che si rifacevano almodello robespierrista della Rivoluzione francese;blanquisti come Eudes e Rigault; proudhoniani comeMalon e Varlin. I blanquisti erano socialisti per puroistinto rivoluzionario; i proudhoniani furono i piùattivi nel promuovere le misure economiche e socialiadottate dalla Comune a favore dei lavoratori. I marxisti erano in nettissima minoranza (Frankel eSerraillier). La Prima Internazionale operaia, sempresalvaguardando nettamente la sua autonomia, svolseun ruolo di notevole rilievo nei 72 giorni della

Comune: attraverso i tre “Indirizzi” elaborati daMarx; attraverso i membri dell’Internazionale (inprevalenza seguaci di Proudhon) presenti nelConsiglio della Comune; e attraverso il lavoro delle“sezioni parigine” dell’Internazionale, molto attive inquello che oggi chiameremmo il “lavoro di massa”.

6. Su una questione oggi così attuale comequella del rapporto tra federalismo e centralismo, ènecessari avere ben chiaro che la Comune di Pariginon fu un tentativo di fare della Francia unafederazione di piccoli Stati. Il vecchio governo avrebbe dovuto cedere il posto,anche nelle province, all’autogoverno dei produttori,ma l’unità della nazione non doveva essere spezzata.Le funzioni centrali non scomparvero: al vecchiocentralismo autoritario e burocratico che per secoliaveva dominato la Francia, la Comune vollesostituire un centralismo volontario e democratico,realizzato dal proletariato stesso. Per quanto riguardai rapporti con la Chiesa cattolica, i comunardiattuarono la netta separazione fra Stato e Chiesa,trasformando tutti i beni ecclesiastici in patrimonionazionale, facendo cessare tutti i versamenti statali alclero e laicizzando l’insegnamento nelle scuole, dallequali furono banditi tutti i simboli religiosi.Sul piano economico e sociale, la Comune abolì illavoro notturno, condonò il pagamento degli affitti,soppresse i Monti di Pegno, ma soprattutto incameròtutte le fabbriche lasciate inoperose dagli industrialifuggiti a Versailles, affidandone l’esercizio aglioperai che, riuniti in cooperative, avrebbero dovutolavorare secondo un piano comune.

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Come osservò Marx, essa “doveva servire da leva persvellere le basi le basi economiche su cui riposal’esistenza delle classi”.

7. Marx ed Engels (il primo nell’ “Indirizzo”sulla guerra civile in Francia”, da lui ultimato il 30maggio 1871, il secondo nella successiva“Introduzione” del 1891) oltre ad esaltare lagrandezza della Comune, misero in luce anche i suoilimiti ed errori: la mentalità legalitaria e ildemocraticismo del Comitato Centrale della GuardiaNazionale, che – in un momento decisivo per le sortidella Comune – ritenne che il suo compito principalefosse quello di indire le elezioni e si spogliò troppopresto dei suoi poteri di governo provvisorio percederli al Consiglio; la mancata espropriazione dellaBanca di Francia (dinanzi alle cui soglie i comunardidi soffermarono “reverenti”, come osservò con amaraironia Marx); l’eccessiva indulgenza popolare verso itraditori e gli agenti di Thiers infiltrati nella capitale;la mancata marcia su Versailles. Il Comitato Centrale della Guardia Nazionaledisponeva di un esercito di 100.000 uomini contro25.000 versagliesi; anziché proseguire l’offensiva,esso assunse un atteggiamento di difesa passiva, chesi rivelò fatale.Ma, nonostante queste giuste critiche, quale ful’atteggiamento generale di Marx nei confronti dellaComune? Egli non ebbe mai illusioni sulle possibilitàdi vittoria definitiva dei comunardi. Sei mesi prima,nel settembre 1870, Marx aveva detto cheun’insurrezione degli operai parigini sarebbe stata“una follia”. Ma quando i comunardi dettero l’“assalto al cielo”, egli pose “l’iniziativa storica dellemasse al di sopra di tutto” (Lenin) e partecipò conardente animo di rivoluzionario alla loro esperienza.

E’ un insegnamento fondamentale che comecomunisti, non dovremmo mai dimenticare.

8. Di straordinario interesse sono le riflessionidedicate da Lenin alla Comune di Parigi, che varianonel corso del tempo, si modificano e si arricchiscononel passaggio dal periodo 1905-1911 (gli anni dellaprima rivoluzione russa) al periodo 1917-1919 (glianni della Rivoluzione d’Ottobre e dell’inizio delledittatura proletaria in Russia). Al periodo della rivoluzione del 1905 appartiene unprimo gruppo di cinque scritti sulla Comune (1905,1906, 1907, 1011); al periodo della Rivoluzioned’Ottobre un secondo gruppo di sei scritti (1917,1918, 1919). L’evoluzione del pensiero di Lenin sull’esperienzadella Comune è un esempio mirabile di come ilmarxismo si sviluppa teoricamente in stretto legamecon la pratica dei grandi movimenti della classeoperaia e delle masse popolari.Nelle sue prime riflessioni sulla Comune, Leninsottolinea due aspetti: 1) La Comune dimostrò ilnecessario passaggio della lotta di classe delproletariato alla fase della guerra civile contro laborghesia; 2) pur nella sua breve esistenza “haprofondamente lievitato in tutta Europa il movimentosocialista”. Lenin osserva, tuttavia, che i comunardi non sepperodistinguere la rivoluzione democratica dallarivoluzione socialista.

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La breve esperienza della Comune “democratizzò” larepubblica, ma ebbe solo una colorazione socialista.Il compito reale che essa dovette assolvere fu quellodi realizzare la dittatura democratica, non quellasocialista, cioè il nostro ‘programma minimo’. Per quale ragione? Perché “la Comune nacquespontaneamente: Nessuno l’aveva preparatacoscientemente e metodicamente. (....) Non esistevaun partito operaio, la classe operaia non era népreparata, né lungamente addestrata. Non esisteva“una buona organizzazione politica del proletariato”che sapesse guidare la classe verso unatrasformazione radicale dei rapporti di produzione insenso socialista.Lenin vede lucidamente tutto questo, ma solo neglianni dell’Ottobre rosso – in legame strettissimo conla sua pratica di dirigente rivoluzionario – egliapprofondisce la sua riflessione su altri fondamentaliinsegnamenti dell’esperienza dei comunardi parigini. Riprendendo l’analisi di Marx e di Engels, e in asprapolemica con i menscevichi e gli opportunisti della IIInternazionale, Lenin giunge a nuove conclusionipolitiche: la Comune ha dimostrato che ilproletariato, se vuole esercitare realmente la suadittatura, non può impadronirsi semplicemente dellestrutture istituzionali dello Stato borghese, ma devespezzare, distruggere la macchina dello Statoborghese. La Comune ha dimostrato che la classe operaia puòcostruire e sa costruire una nuova macchina statale:lo Stato di dittatura proletaria (un “semi-stato”, untipo superiore di Stato democratico), attraverso ladistruzione dell’esercito e della polizia e la lorosostituzione col popolo armato, attraverso ladistruzione dell’apparato burocratico e giudiziario ela sua sostituzione con organismi democraticamente eletti dalle masse popolari.Lenin, insomma, intuisce che la Comune di Parigi erastata l’antecedente storico del soviet, avevarappresentato l’ “embrione del potere sovietico”.

Il 28 maggio 1871 cadono le ultime barricate difesedagli operai parigini contro l’attacco dei versagliesi.Comincia la “settimana di sangue”, l’orrendomassacro perpetrato dalla borghesia francese contro icomunardi, che la borghesia considera soltanto “unpugno di criminali”, in modo non diverso da comeoggi noi comunisti siamo considerati da vari “librineri” in circolazione. Trentamila sono le vittime uccise dai versagliesi, iquali danno loro spietatamente la caccia per le stradee le piazze di Parigi. Nascosto in una cantina dellacapitale per sfuggire al massacro, il comunardoEugène Pottier scrive nel giugno 1871 il testo diquello che diventerà l’inno glorioso di noi comunisti:l’Internazionale.A conclusione di questo piccolo contributo ci piaceriportare le parole bellissime, con cui Marx chiude ilsuo “Indirizzo” del maggio 1871:“Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebratain eterno come l’araldo glorioso di una nuovasocietà. I suoi martiri hanno per urna il grande cuoredella classe operaia. I suoi sterminatori, la storia liha già inchiodati a quella gogna eterna dalla qualenon riusciranno a riscattarli tutte le preghiere deiloro preti”.

Lenin giunge a nuove conclusionipolitiche: la Comune ha

dimostrato che il proletariato, sevuole esercitare realmente la sua

dittatura, non può impadronirsisemplicemente delle strutture

istituzionali dello Stato borghese,ma deve spezzare, distruggere lamacchina dello Stato borghese.

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A novanta anni dalla costituzione del Partito Comunista d'Italia - Sezione della III Internazionale Comunista

Oggi come ieri è necessaria una rottura completa e definitiva con il riformismo e l'opportunismo

per fondare un vero partito comunista Ai sinceri comunisti, ai proletari e ai giovanirivoluzionari d’Italia!

Novanta anni fa, a Livorno, fu costituito il PartitoComunista d’Italia (P.C.d'I.). Questo evento siprodusse sulla base di grandi avvenimenti storici,grazie alla lotta condotta dalle componenti diispirazione comunista, riunite in frazione all'internodel PSI, e sotto la spinta dell’InternazionaleComunista, che formulò le condizioni necessarie perl'ammissione dei partiti nazionali.Con la formazione del proprio partito indipendente erivoluzionario, il movimento operaio italiano uscìdalla “preistoria” ed entrò in una nuova fase, nellaquale l’obiettivo divenne la preparazione ideale emateriale alla lotta rivoluzionaria per la conquista delpotere, l’instaurazione della dittatura del proletariatoe la costruzione del socialismo.Il P.C.d’I. nacque in un momento critico, separandola parte più avanzata e cosciente del proletariato dalriformismo e dal massimalismo (l'opportunismo diallora). Il partito fu subito aggredito da tutti i lati. L'adesioneai principi del marxismo, del leninismo edell’internazionalismo proletario, la ferrea disciplina,costituirono la garanzia indispensabile nella duralotta contro la borghesia e i suoi servi. Con la direzione di Antonio Gramsci e la guidadell'Internazionale, il bolscevismo si fece strada nellalinea e nell'organizzazione del partito, furonoelaborate la strategia e le tattiche necessarie per laconquista del potere da parte della classe operaia edei suoi alleati, crebbe la capacità di analisi, diiniziativa politica, l'influenza in ampi strati delproletariato e delle masse popolari. Le gloriose lotte contro il fascismo, nella guerracivile di Spagna, durante la Resistenza, feceroacquisire al partito forza e solidi legami con le masse,fornendo per contro alle masse sfruttate ed oppresseuna guida ideologica, politica ed organizzativa nellalotta per la nuova società.

Insegnamenti per l'oggiLa borghesia, i rinnegati del comunismo, coloro che

hanno abbandonato la causa del proletariato, sisforzano di condannare, di denigrare, di fardimenticare alle masse sfruttate l’importanza storicadella fondazione del P.C.d’I. Lo “strappo” dall’opportunismo e dal gradualismoriformista, l'adozione del marxismo, del leninismo,del loro metodo rivoluzionario, mantengono inveceper intero il loro significato e la loro validità. Qualisono i tratti essenziali di quella esperienza che oggiponiamo all'attenzione di tutti i proletari e irivoluzionari del nostro paese?

a) Alla base della costituzione del P.C.d'I. ci fu lalotta di principio contro i Turati, i Treves, iModigliani, i D’Aragona, che non furono mai deirivoluzionari, ma degli esponenti del riformismo, delpacifismo borghese e del socialpatriottismo; e fu unalotta di principio anche contro l'operaismomassimalista di Lazzari e il centrismo opportunista diSerrati. Quali che fossero le loro posizioni di destra odi sinistra, quegli uomini difendevano -soggettivamente od oggettivamente - gli interessidella borghesia “meglio degli stessi borghesi”(Lenin). La prima condizione della costituzione delpartito fu dunque la separazione su tutta la linea daogni forma di opportunismo. La fondazione del P.C.d'I. dimostra che finché sihanno nelle proprie file i rappresentanti delriformismo, della socialdemocrazia edell'opportunismo di destra e di “sinistra”, non si puòavere nessuna prospettiva di abbattimentorivoluzionario del dominio borghese.Oggi in Italia i riformisti, gli opportunisti, sono iBersani, i D'Alema, i Vendola, i Ferrero, i Diliberto, iSalvi, i Rizzo, sono i vertici sindacali; sono i trozkistie gli estremisti che ripetono frasi rivoluzionarieavulse dalla situazione concreta, sono gli intellettualipiccoli-borghesi che negano la concezione del mondoproletaria e non sanno uscire dalla dimensionemorale della lotta contro il capitalismo. Senza una definitiva rottura, politica, ideologica eorganizzativa con costoro, senza distanziarsi da tutti itentativi di resuscitare i cadaveri dell'opportunismo,con il loro guazzabuglio di posizioni ideologiche e

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politiche che nulla hanno a che vedere col marxismorivoluzionario e col leninismo, non è possibile creareun vero partito comunista, non è possibile dar vita auna coerente politica comunista, che concepisce leriforme come un prodotto collaterale della lottarivoluzionaria di classe. “Prima dividersi, ossiadividere l'ideologia rivoluzionaria dalle ideologieborghesi (socialdemocrazia di ogni gradazione); poiunirsi, ossia unificare la classe operaia intornoall'ideologia rivoluzionaria”, scriveva Gramsci.

b) Il P.C.d'I. fu il distaccamento organizzato diuna sola classe, la classe operaia, l’unica classeveramente rivoluzionaria della società per il ruoloche occupa nella produzione sociale. Finché rimasesu posizioni rivoluzionarie il partito non perse mai divista il suo obiettivo fondamentale, la ragione stessadella sua esistenza: dirigere la classe operaia allaconquista del potere politico, per abolire la schiavitùsalariata e costruire un nuovo modo di produzionefondato sulla proprietà sociale dei mezzi diproduzione e di scambioOggi invece vediamo che gran parte delle forze e deipartiti che si definiscono comunisti hanno sostituito igenerici “movimenti” al proletariato come lororeferente sociale e non sanno andare oltre il più tritoriformismo. Nei loro programmi è assentel'abolizione del capitalismo, la dittatura delproletariato, la demolizione rivoluzionaria delsistema borghese, che anzi – liberato dai suoi aspettinegativi più macroscopici – è accettato come ilterreno stesso su cui deve compiersi il progressosociale. Si tratta di un vero e proprio asservimentoalla borghesia, spacciato per marxismo.

c) Il partito, fin dalla sua nascita, si caratterizzòper la lotta teorica e politica contro le deviazioni dalmarxismo e dal leninismo, per conquistare lamassima omogeneità ideologica dei suoi dirigenti emilitanti. Sotto la guida della III Internazionale eattraverso la “bolscevizzazione”, fu raggiunta l’unitàideologico-politica, lottando in particolare control’opportunismo e l'estremismo. Questa unità fu, comelo è per tutti i partiti comunisti, la principalecondizione per lo sviluppo e i successi del partito. E’ necessario sottolinearlo con la massima decisione,poiché esistono forze che dicono di volere il partitonegando o sottovalutando la necessità dellacompattezza e della saldezza teorica, politica edorganizzativa marxista-leninista, della disciplina e diuna direzione centralizzata e coesa. In tal modo sicerca di attenuare e di negare la differenza diprincipio fra comunismo e riformismo, di indebolire

la critica alla socialdemocrazia in quanto ideologia epratica della collaborazione di classe con laborghesia, la critica allo spontaneismo eall'economicismo che svalutano la funzione decisivadel partito. Senza una salda base ideologica, senzaunità sui principi e nella pratica non vi può esserepartito comunista.

d) Fin dai suoi primi anni di vita il P.C.d'I. si poseil problema del costante legame con le masse, dellaconquista della maggioranza della classe operaia,della necessità di mantenersi alla sua testa in ognicircostanza e situazione. Ciò implicò la lotta nelle associazioni di massa, neisindacati confederali, la partecipazione e l’impegnonelle lotte a carattere parziale, l’elaborazione di unprogramma di rivendicazioni immediate, nellaconsapevolezza che solo con la rivoluzione lecondizioni dei lavoratori sarebbero cambiate.All'interno di questo lavoro, il compito fondamentalefu quello di promuovere e attuare un fronte unico dilotta del proletariato. Il P.C.d'I. ha sempre lavoratoper raggiungere l'unità di lotta della classe operaia, darealizzare sulla base di organismi rappresentativi ditutta la massa. Questa preziosa indicazione rappresenta nell'attualemomento storico il principale compito immediato delmovimento comunista ed operaio, che deve sforzarsidi dar vita ad un potente fronte unico di lotta dellaclasse operaia contro l'offensiva capitalista, lareazione politica e le minacce di guerra imperialista.I comunisti devono essere alla testa della lotta perl'unità della classe operaia e di tutti i settori sociali epolitici interessati a combattere contro l’oppressionepolitica e sociale, operando allo stesso tempoper la più netta separazione dai loro nemici.

La fondazione del P.C.d'I.dimostra che finché si hanno

nelle proprie file i rappresentantidel riformismo, dellasocialdemocrazia e

dell'opportunismo di destra e di“sinistra”, non si può avere

nessuna prospettiva diabbattimento rivoluzionario del

dominio borghese.

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La lotta al revisionismo è sempre attualePurtroppo oggi, in Italia, non c'è più un autenticopartito comunista, essendo stato distrutto dalrevisionismo. Con l'VIII° Congresso del 1956, Togliatti e il gruppodirigente del PCI, sotto la pressione dell'imperialismostatunitense e sull’onda della restaurazionekruscioviana, bruciarono le tappe nel processo didegenerazione del partito e di integrazionenell'ordinamento capitalistico italiano. Dall’illusoria e fallimentare “via italiana verso ilsocialismo” al “compromesso storico” di Berlinguer,dalla “svolta” liquidatrice di Occhetto finoall’approdo al Partito Democratico, esiste un filoconduttore: è la rinuncia alla via rivoluzionaria el’adesione totale all’ordine capitalista, dapprima innome del moderno revisionismo, poi del social-liberismo. Il togliattismo, la strategia del conseguimento del“socialismo” attraverso la Costituzione borghese,l'attacco a Stalin, non sono scomparsi conl’autoliquidazione del PCI revisionista. Sono ancoraoggi parte integrante della sostanza teorica eprogrammatica di molti partiti e formazioni politichepseudo-comuniste. Allo stesso tempo il revisionismo ha assunto nuoveforme, si è combinato con le correnti piccolo-borghesi, dando vita a tendenze ostili al comunismo,quali il cosiddetto “socialismo del XXI secolo” che sipresenta ingannevolmente come un passo in avanti,ma in realtà è un ritorno all’utopismo pre-marxista, oaltre che teorizzano l'instaurazione di un'economiapianificata in assenza della rivoluzione, della presadel potere, della dittatura del proletariato. La lotta per la formazione di un autentico partitocomunista nel nostro paese, non può avanzare senza

allontanarsi dal pantano del revisionismo, senzacombattere contro chi vuole finirvi dentro, senzamarciare sulla via tracciata da Marx, Engels, Lenin eStalin.

Entriamo in un nuovo periodo Fino a qualche anno fa, in corrispondenza con ilcrollo del revisionismo sovietico, la necessità delpartito comunista veniva considerata una bestemmia.Gli ideologi della borghesia e i loro tirapiediriformisti dichiaravano che la rivoluzione era unacosa morta e seppellita, che l'umanità era arrivata alla"fine della storia”, che il capitalismo era capace disvilupparsi senza crisi. Sono bastati pochi anni per veder crollare questefalsità. La crisi capitalistica internazionale più gravedegli ultimi ottanta anni, le sue drammaticheconseguenze economiche, sociali e politiche, ilcontinuo degrado ambientale, morale, culturale,dimostrano che il capitalismo è un ostacolo alprogresso umano, che è incompatibile con la natura epertanto deve essere abbattuto. Nella crisi attuale procede la decomposizione e ildeclino dell'imperialismo italiano. La borghesia, cheha esaurito la sua funzione storica, sta inasprendotutti i problemi della società. Essa non può più offrirealcuna prospettiva di miglioramento ai lavoratori,alcun futuro per le giovani generazioni. La cricca di banditi al potere per sopravvivere puòsolo aggravare lo sfacelo economico, il parassitismo,la corruzione, la criminalità, la devastazione delterritorio, l'oscurantismo religioso, la trasformazionereazionaria dello Stato, la spaccatura fra Nord e Sud,l'oppressione delle masse lavoratrici.Questa situazione fa sì che, come in molti altri paesi,anche in Italia la lotta di classe sia in ascesa. Laclasse operaia sta uscendo dalla fase delripiegamento, del riflusso. Sta riprendendo fiducianelle sue forze, va man mano liberandosi dal periododi confusione e sbandamento, in cui le pesantisconfitte dei decenni passati l’avevano gettata.Il riformismo, il “dialogo sociale”, la concertazione,sono entrati in una crisi profonda, da cui nonusciranno poiché non esistono più le condizionieconomiche di queste politiche. Una conseguenza di ciò è che la base operaia deisindacati e dei partiti socialdemocratici e riformisti siradicalizza, subendo i colpi della crisi e vedendo ilvero volto del capitalismo, mentre i dirigenticollaborazionisti ed opportunisti vanno a destra,sabotando l’unità di azione dei proletari, persalvaguardare il sistema che garantisce i loroprivilegi.

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Tra i lavoratori scompare l'illusione nelle“magnifiche sorti del capitalismo” e appare semprepiù evidente la direzione rovinosa dei partitiopportunisti, riformisti e socialdemocratici che sonodediti alla difesa del sistema di sfruttamento edoppressione capitalista. Assieme allo sviluppo delle mobilitazioni di massaper non pagare la crisi, torna a porsi la necessità diun'alternativa rivoluzionaria per assicurare una via diuscita dalla situazione attuale, di un'urgente,profonda e radicale rottura politica con l'ordinamentovigente per mettere fine ai mali endemici delcapitalismo.Si avvicinano grandi battaglie di classe, in cui ildilemma che si porrà sarà: dittatura aperta dellaborghesia o dittatura del proletariato?Di conseguenza anche in Italia il baricentro dellalotta si sposterà sempre più dal Parlamento allefabbriche e alle piazze. Pensare di poter affrontarequesto nuovo periodo, in cui la lotta di classe delproletariato si svilupperà in condizioniparticolarmente dure e difficili, pensare di aprirebrecce nel regime che ci opprime con i vecchi partitisocialdemocratici e riformisti, abituatiall'elettoralismo e al cretinismo parlamentare, alpacifismo imbelle, vuol dire rassegnarsi allasconfitta. Senza partito, la resistenza della classe operaia edelle masse sfruttate ai disegni dei monopolicapitalisti, rimarrebbe senza orientamento e direzionepolitica, senza prospettiva rivoluzionaria, senzacoscienza della sua funzione e dei suoi scopi. Inmancanza di un partito comunista non si puònemmeno parlare di conquista del potere da partedella classe operaia, ma ci si deve accontentare ditrascinarsi alla coda del movimento spontaneo. E' in questo contesto che diventa sempre più serial'importanza di un partito proletario indipendente erivoluzionario, basato sul movimento operaio. Laricostruzione di questo partito è un’esigenza crucialeche viene sentita da nuclei di operai d’avanguardia eda molti militanti comunisti, isolati o sparsi fra levarie organizzazioni e forze politiche. E' l'offensiva stessa dell'imperialismo che non lasciamargini, che rimette sul tappeto la questioneineludibile del partito politico della classe operaia,strumento indispensabile per concentrare le energierivoluzionarie, inquadrare e dirigere gli sforzi delproletariato, per portare alla vittoria la rivoluzionesociale.

Avanti sulla strada del Partito!Questa storica esigenza, per quanto negata, boicottata

e ostacolata in mille modi dalla borghesia e dagliopportunisti, può e deve compiere passi avanti sullabase di saldi principi, applicati alla realtà, e della lottacomune.Perciò ci rivolgiamo agli elementi migliori delproletariato, ai giovani rivoluzionari, agli intellettualionesti, ai sinceri comunisti che militano nelleorganizzazioni rivoluzionarie e a quelli che sonoancora iscritti ai partiti socialdemocratici edopportunisti affinché agiscano di conseguenza,rompendo nettamente, completamente edefinitivamente con il riformismo e l'opportunismo,col settarismo e col dottrinarismo, con laframmentazione e l'autoreferenzialità, per condurreinsieme ai marxisti-leninisti la lotta per il partitocomunista ed il socialismo proletario.Tutti coloro che sostengono la completaindipendenza dalla borghesia e attuano una scissionecompleta con la socialdemocrazia, il riformismo, ilrevisionismo, che propugnano l'egemonia dellaclasse operaia nel processo rivoluzionario, chericonoscono la necessità dell'abbattimentorivoluzionario del dominio della borghesia e dellainstaurazione della dittatura del proletariato, cheaccettano il principio organizzativo del centralismodemocratico, che difendono il marxismo-leninismocome espressione teorica degli interessi delproletariato, sono tenuti a collegarsi ed avviare fin dasubito un lavoro in comune per avvicinare lafondazione di un autentico partito comunista qualereparto di avanguardia organizzato e cosciente delproletariato, indissolubilmente legato al movimentocomunista internazionale. Un movimento che ha lasua espressione più organica e coerente nellaConferenza Internazionale di Partiti e OrganizzazioniMarxisti-Leninisti.

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Piattaforma Comunista, che non si autoproclamapartito e non è una componente interna ad altre forze,ma agisce in maniera indipendente sulla base del suoprogramma politico, ha per compito principale lalotta per la formazione di un forte partito comunistadella classe operaia, chiarendone i presuppostiteorici, politici, programmatici ed organizzativi,dando impulso all'unificazione del movimentocomunista del nostro paese, partecipando alle lottequotidiane per sostenerle ed elevare il livello dicoscienza degli operai. Perciò invita i migliori elementi del proletariato adunirsi alla sua attività per rafforzarla ed estenderla, alfine di svolgere un ruolo sempre più incisivo nelprocesso di ricostruzione del partito. Allo stesso tempo propone a tutti i gruppi, leorganizzazioni e i singoli comunisti che si collocanosul terreno del marxismo-leninismo di compiere unsalto di qualità. E’ necessario far avanzare il processo di confronto edi unità attraverso incontri ed accordi politici edideologici, che assieme alla critica e all’autocritica,ad una maggiore unità nella pratica, al legamesempre più stretto con gli elementi più coscienti edavanzati della classe operaia, ci permetteranno diavanzare verso la creazione di un forte partitocomunista degno di questo nome, capace di assumerele proprie responsabilità storiche. Al lavoro, compagni, col massimo impegno. Con ilPartito avremo tutto, senza il partito niente!

Piattaforma Comunista21 Gennaio 2011

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150° anniversario dell'unità d'Italia

Nulla da celebrare, una Repubblica socialista da conquistare

Ricorre quest’anno il 150° anniversario dell’unitàdi Italia, celebrata da settori della classe

dominante con un’orgia di retorica e di mistificazionistoriche (a cui non sfuggono buona parte degliintellettuali di “sinistra”), mentre altri settori, legati aimovimenti secessionisti del Nord e del Sud,ostentano fastidio verso il cosiddetto “mitodell'italianità”. Riteniamo perciò indispensabilechiarire alcuni aspetti di fondo del Risorgimento eriflettere sul senso di questa celebrazione che spessoviene presentata come “di tutti gli italiani”.

Cenni storici

Prima del 1861 la penisola aveva subito circa 1300anni di divisione politica e di dominio straniero,assumendo come data di inizio l'invasioneLongobarda del 568 che spezzò il dominio deiBizantini. Tuttavia, nemmeno precedentemente, nelperiodo dell’impero romano, si può dire che esistesseuna vera e propria entità politica italiana (piuttostoesistevano dei privilegi accordati da Roma alleregioni italiane), in quanto da Cesare e Augusto inpoi si affermò il cosmopolitismo romano, che guardòsempre più a Oriente. Nel Medioevo emersero il Papato, col suo poteretemporale ed il suo cosmopolitismo, e l'Impero, altropotere “universale” installato in Europa. Lo Statopontificio per secoli ha rappresentato un frenoall’elemento nazionale e un ostacolo strategico,tagliando in due l'Italia. Le Repubbliche marinare, lo sviluppo dei Comuni edelle Signorie, con la loro struttura limitata, furonoincapaci di svilupparsi in stato nazionale e favorironogli interessi locali. Le occupazioni straniere e la loronefasta influenza, durate per secoli, furono un altroenorme macigno verso l’unificazione del Paese. A ciò dobbiamo aggiungere: il parassitismo dei cetiprivilegiati italiani, essenzialmente proprietarifondiari e usurai, per nulla interessati allo sviluppoeconomico; le forti diseguaglianze economicheinterne e quella fra città e campagna, il notevolefrazionamento politico; il tradizionalecosmopolitismo e il distacco dal popolo degliintellettuali italiani, dunque l'assenza di caratteritipicamente nazionali nella cultura, così comel’assenza di una lingua comune parlata dal popolo,

che fino agli anni ’50 del Novecento si è espressotramite i dialetti ed era in gran parte analfabeta. Il capitalismo si sviluppò in Italia, con le primebanche, nel 1400, ma per tutto il ‘500 e fino al ‘700,ci fu una decadenza della nascente borghesia, dovutaa fattori quali la sottomissione degli stati italiani afrancesi e spagnoli, la scoperta dell'America e lacircumnavigazione dell'Africa, che spostarono ilcentro commerciale dal Mediterraneo alla costaatlantica, la presenza del bastione ottomano a oriente;questi fattori contribuirono a marginalizzare laposizione dell'Italia. Dunque dalla caduta dell’Impero romano finoall’unità d’Italia (e anche dopo, come vedremo),l’Italia ha subito passivamente i rapportiinternazionali e non è riuscita a sviluppare quelliinterni.

Una rivoluzione mancata

Le origini del Risorgimento vanno rintracciate nellatrasformazione di tutto il sistema europeo a cavallofra il ‘700 e l’800. La rivoluzione industriale, laformazione degli stati nazionali, la Rivoluzionefrancese, l’abbattimento dell’ancien régime feudale,assestarono un colpo micidiale alle forze piùreazionarie, indebolirono la posizione dello Statodella Chiesa, il più acerrimo nemico dell’unitàitaliana. L'intervento napoleonico ricollegò lapenisola agli sviluppi economici e politici europei.Non bastò certo il Congresso di Vienna ainterrompere il corso della lotta fra le classi. Condizioni nazionali (l'ammodernamento e ilrafforzamento dello Stato piemontese, lo sviluppo delmovimento nazionale) e internazionali (l’esistenza diun certo equilibrio fra potenze quali Francia, Austria,Spagna, Inghilterra, la guerra di Crimea) fornirono lepremesse del processo che permise all’Italia digiungere all’unità.In questo processo sono assai deboli le forze attiveinterne e scarsamente presenti quelle di massa.L’Italia non giunse all’unità nazionale per mezzo diuna rivoluzione popolare, ma per vie militari ediplomatiche del compromesso fra gli stratidominanti e le potenze internazionali. Il“volontariato” di borghesi, ufficiali, professionisti fuun surrogato dell'iniziativa popolare. Questo carattere

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minoritario del Risorgimento ha portato gli storiciborghesi a descriverlo come un ”miracolo”.Lo scarso apporto delle masse popolari -sostanzialmente i contadini, dato che non esisteva unvasto proletariato organizzato - nel Risorgimentoitaliano, si rifletterà nelle basi stesse dello Stato chesi andava fondando e in tutta la storia successiva. Nederivò quello che Engels, in una lettera a Turati delgennaio 1894, metteva in evidenza: “La borghesiaitaliana giunta al potere durante e dopol'emancipazione nazionale, non seppe né vollecompletare la sua vittoria. Non ha distrutto i residuidella feudalità, né ha organizzato la produzione sulmodello borghese moderno. Incapace di farpartecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggidel regime capitalista, gliene impose tutti i carichi,tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdetteper sempre, in ignobili bindolerie bancarie, quel chele restava di rispettabilità e di credito. Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operaiagricoli e industriali - si trova dunque schiacciato, dauna parte, da antichi abusi, retaggio non solo deitempi feudali, ma ben anche dell'antichità(mezzadria, latifundia del mezzogiorno, ove ilbestiame surroga l'uomo); dall'altra parte, dalla piùvorace fiscalità che mai sistema borghese abbiainventato”. Il segno originale della debolezza e dell'arretratezzadel capitalismo italiano, e con esso di tutta la societàitaliana, nonché della spinta alla rivolta delle massesfruttate ed oppresse, è già qui individuato.

Il ruolo del Piemonte e i suoi veri avversari

Dal 1848 il motore dello sviluppo unitario fu lo Statopiemontese, con l’avvento dei liberali, il cui più noto

esponente fu Cavour. Essi – consapevoli che senzaunificazione del mercato nazionale si sarebberotrovati in grave difficoltà rispetto ai paesi più forti -concepirono l’unità italiana come allargamentoprogressivo del Piemonte, della proprietà e del poteredella dinastia di Savoia e dei gruppi industriali che sistavano sviluppando al suo interno. Dunque comemovimento dall'alto e non come movimentonazionale popolare dal basso. Non a caso oggi la“democratica” borghesia celebra il 150° anniversarioil 17 marzo, giorno della proclamazione di VittorioEmanuele II a “re d'Italia per grazia di Dio e volontàdella nazione”, con la quale si sanciva la “conquistaregia” dell'unificazione italiana: essa porta nel DNAquesto carattere oligarchico.Vi fu un elemento “nazionale”, il Partito d’Azione diMazzini, che sostenne Garibaldi, ma esso non fu unpartito di tipo giacobino, attento ai problemi dellemasse. Con la sua astrattezza e le sue gravi carenzepolitiche (non pose la questione della riforma agraria)si trasformò nel braccio operativo della politica diCavour, finendo per essere eterodiretto dal gruppoliberale moderato di Cavour. Anche Pisacane e glielementi più avanzati del Risorgimento, mancando diprogrammi concreti e dando vita ad azioni senzasbocco, finirono per essere subalterni a questa forza.I liberali riuscirono perfino a far spostare sulleproprie posizioni i neoguelfi, un vero successopolitico. La direzione politica del Risorgimento fusostanzialmente nelle mani di questa èlite, chedisponeva di un programma politico di governo e diuna base di appoggio nello Stato piemontese. I veri avversari di Cavour e dei fautori delcapitalismo italiano, così come degli “azionisti”,erano il movimento operaio, le masse contadine e leidee del comunismo che mettevano in discussione il“sacro” principio della proprietà privata, assai piùche l’ancien régime e l'impero austro-ungarico, con iquali potevano sempre scendere a patti e allearsicontro il comune nemico di classe. Impedire che leclassi subalterne intervenissero nella lotta (comeavevano iniziato a fare nelle insurrezioni del 1848 econ le rivendicazioni contadine) e la facesserodivenire sociale, paralizzare la loro forza e reprimerele loro istanze e aspirazioni, fu attenzione preminenterispetto alla lotta contro i nemici dell’unità nazionale.Ma il Piemonte, se fu la matrice dell'Italia unita, nonfu “classe dirigente”, in quanto rappresentava solouna frazione della borghesia. Di qui il compromessostorico fra industriali e agrari del nord ed elementisemifeudali del sud, sotto l’egemonia del nord, con laburocrazia statale e l’esercito come forze unitarie. Ladebolezza, l’inconsistenza, l’immaturità,Antonio Gramsci

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l’incongruenza e la scarsa efficacia della classedirigente italiana trovano qui origine storica.

Questioni irrisolte

Tutto quanto sopra non deve indurci a caderenell'errore di interpretare solo in maniera negativa ilRisorgimento. Noi riconosciamo il caratterestoricamente progressivo di quel processo storico epolitico, in primo luogo il colpo durissimo cheassestò al potere temporale della Chiesa e alle altreforze reazionarie, straniere (gli Austriaci, “birrid'Europa e boia”) ed interne, l'unificazione del paese,il superamento dei vincoli feudali e lo sviluppo di unafase capitalistica in Italia, premessa indispensabiledel socialismo. Ammiriamo e rispettiamo figurecome Pisacane (il “primo socialista italiano”),Ferrari, Garibaldi. Allo stesso tempo dobbiamochiarire i limiti del Risorgimento, i problemi che halasciato aperti e che la borghesia ha aggravato.Lo Stato italiano sorse con scarsa base economica-finanziaria e portandosi dietro grandi questioniirrisolte: quella sociale, quella meridionale e quellavaticana. La borghesia non è mai riuscita a creare unvero stato moderno, né ha inserito le masse nelquadro statale, non ha saputo unificare il popolo. Losviluppo industriale è avvenuto a spese degli stratisociali e delle regioni che maggiormente avrebberodovuto costituire la base del rinnovamento. IlMeridione è stato soggiogato e reso una semi-coloniainterna, il suo sviluppo bloccato, le sue risorsedepredate, come condizione per l'esistenzadell'industria al nord. I massacri di Pontelandolfo,Casalduni, Campolattaro, Isernia e decine di altripaesi meridionali furono il macabro sigillo diun'unificazione che per le popolazioni meridionali fuinvasione, saccheggio e abbandono, tasse e serviziomilitare, emigrazione forzata per milioni. Il sistema di compromessi escogitato dalla borghesiasettentrionale per garantirsi il controllo sull'economiae sul potere politico (alleanza con i proprietari terrieridel sud e settori di media e piccola borghesia), cioè lostabilirsi di una solidarietà fra gruppi privilegiati aidanni delle grandi masse lavoratrici, ha prodotto:protezionismo per industrie e banche del nord; deficitdi bilancio cronico; mancato sviluppo economico delMezzogiorno, che pagò l'industrializzazione;impedimento alla realizzazione di un apparatoproduttivo adatto alla realtà del paese e delle suerisorse; frazionamento delle forze produttive;saccheggio del territorio; politica di assoggettamentoe immiserimento dei lavoratori (bassi salari);rachitismo del mercato interno; eterogeneità della

struttura sociale; scarsa rotazione dei gruppidirigenti. Sul piano politico: formazione di partiti e di governiche garantissero ad ogni costo i profitti e le renditedei capitalisti, corruzione dilagante, vita politicameschina, trasformismo parlamentare, degradazionemorale, tentativo costante di trovare soluzioni dellecontraddizione interne all'esterno, con le impresecoloniali e la guerra. Ecco alcuni tratti che hannocaratterizzato lo Stato italiano negli ultimi 150 anni. Allo stesso tempo questo organo di oppressionecreato dalla borghesia è sempre stato privo dieffettiva sovranità nazionale e di autonomia, minatoall'interno dal Papato (con i Concordati si si èstabilita una cessione di sovranità e un utilizzodell'Italia al servizio degli interessi del Vaticano) edall'esterno dalle potenze più forti (negli ultimi 60anni dagli USA). Di conseguenza, sul pianointernazionale il ruolo dell'Italia è sempre statodebole, subalterno, senza linea e prospettiva, volto atrarre vantaggio con abilità dall'equilibrio delle forzein campo. Dietro ognuna di queste deficienze vi sonole cause delle sconfitte disastrose dell' “imperialismostraccione” e le difficoltà della borghesia italiana, cheha rinunciato a svolgere una funzione nazionale.

Una tradizione retriva e sanguinaria

Cavour, Pelloux, Crispi, Giolitti, Mussolini,Andreotti, Berlusconi: una stessa tradizione retriva esanguinaria accomuna i rappresentanti degli interessidel capitalismo e dell'imperialismo italiano.Numerosi sono stati i tentativi di riorganizzazionedella dittatura borghese. In essi possiamo coglierealcuni tratti permanenti: evitare l'acutizzarsi del

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conflitto di classe con una politica di beneficenza econcessioni parziali combinata alla repressione;disorganizzare, disgregare e immobilizzare la classeoperaia; isolare la sua parte più combattiva edecapitarla dei suoi dirigenti organici; dividere laclasse operaia dalle altre classi e strati lavoratrici perimpedire che esse si organizzino intorno alproletariato per sviluppare una lotta rivoluzionariache metta in discussione il potere, la proprietà e iprivilegi dei gruppi dominanti.Una costante della vita politica e culturale italianasono state le operazioni trasformistiche con cui sisono succedute al potere destra e “sinistra” borghese.Dall'epoca di Crispi a oggi l'avvento al potere della“sinistra” non si è mai profondamente differenziatodalla precedente politica della destra; si è avutoinvece graduale fusione del personale politico e deiprogrammi dei due gruppi. “Sinistra” e destraborghesi non hanno mai rappresentato interessi diclassi contrastanti, ma piuttosto interessi molteplicidi gruppi in cui erano suddivise le forze economichedominanti in Italia. Un altro tratto comune delle classi dirigenti italianenegli ultimi 150 anni è stato il continuo agitare lospauracchio del comunismo. Ciò ha avutochiaramente una funzione antioperaia e antipopolare,ma sul piano politico è servita per lo più a impedireche elementi intellettuali democratici, progressisti,settori della piccola borghesia rurale e urbana, sialleassero con la classe operaia e tramite un'azionerivoluzionaria mutassero i rapporti di classe. La borghesia italiana non ha mai voluto realizzare unsistema democratico moderno. La democraziaformale della borghesia italiana, tanto decantataquanto limitata ed ipocrita, ha sempre rispecchiato lastruttura reazionaria e asfittica della società italiana.Tutte le conquiste e i diritti faticosamente conquistatidalle masse lavoratrici sono stati sempre elusi,svuotati di significato, negati, cancellati dapprima difatto e poi di diritto dalla borghesia, che non li ha maisopportati. Contro il movimento operaio edemocratico sono stati commessi crimini atroci, fracui le stragi rimaste impunite. La classe al potere nonha mai gestito lo Stato italiano con i metodi dellademocrazia, ma con quelli della polizia e dellacorruzione, degli apparati “deviati” e della farseparlamentari per salvaguardare il proprio dominio e ipropri interessi di classe.

L'Italia imperialista è in rapido declino

Ma qual è l'Italia che oggi celebra se stessa? Chetitoli e che credenziali ha la borghesia per farlo?

Il declino economico negli ultimi decenni è statocontinuo ed inesorabile. L'andamento del PIL italianoè costantemente sceso. I capitalisti italiani sono i soli,fra quelli dei paesi imperialisti, a perderesistematicamente quote di mercato interno ed estero.Negli ultimi decenni intere branche industriali sonosprofondate in una crisi senza via d’uscita; l’Italia èpraticamente sparita dal novero dei paesi industrialicon industrie ad elevata tecnologia. Le infrastrutturesono fatiscenti. La perdita d’importanzadell’imperialismo italiano risulta evidente seosserviamo che solo pochissimi monopoli italianisono presenti tra le società più grandi a livellointernazionale. Al tempo stesso si è accentuata la dipendenza delsistema produttivo dalle importazioni ad altocontenuto tecnologico. Sempre più numerose sono leimprese e le banche che finiscono nelle mani dimonopoli stranieri, i quali già controllano interefiliere e settori.Non solo l’industria ma anche l’agricoltura è aldisastro. L'adesione alla politica della U.E.imperialista ha mandato in rovina i piccoli agricoltorie allevatori. Aumenta la dipendenza dall’estero per ilcibo, non c’è autosufficienza alimentare nonostantel’Italia abbia molte terre coltivabili e condizionipropizie per soddisfare i bisogni della popolazione. Le conseguenze della crisi capitalistica attuale hannoacutizzato tutti i problemi, i difetti e gli squilibristrutturali del capitalismo italiano, accelerando il suodeclino storico. Si moltiplicano a vista d'occhio gliesempi del fradiciume e del disfacimento del sistemadi sfruttamento italiano, aspetto particolare della crisigenerale del sistema capitalistico. Esso colpisceormai ogni aspetto della vita economico-sociale. Il debito pubblico è giunto nel 2010 al record storico.Mentre le oligarchie si arricchiscono cresce lamiseria dei lavoratori. L’Italia è un paese sempre piùpolarizzato sul piano sociale ed in cui dilaga lapovertà. I dati parlano chiaro: la disuguaglianzaeconomica e sociale che si registra in Italia èaddirittura superiore a quella degli USA. Il fossatofra Nord e Sud si amplia a dismisura.Il sistema della ricerca, quello formativo ededucativo regrediscono su tutti i piani. Continuainarrestabile la fuga dei cervelli, ritornal'analfabetismo fra i giovani. Siamo in piena crisidemografica, colmata solo dall'arrivo dei lavoratorimigranti.Il dissesto idrogeologico ed ambientale è grave ediffuso, ed ha provocato finora migliaia di vittime.La corruzione politico-imprenditoriale è diffusa,aumentano la criminalità e il malcostume dilagante.

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Oltre il 40% della ricchezza nazionale è illegale; illavoro nero e sommerso rappresenta il 27% del PIL;l'evasione fiscale ammonta a 200 miliardi di euro; legrandi aziende che evadono il fisco sono il 98,40%;l'esportazione illecita di capitali raggiunge 85-90miliardi di euro; i beni consolidati delle mafie sonopiù di 1.000 miliardi di euro; le affiliazioni allemafie, esclusi i colletti bianchi che utilizzano ildenaro riciclato, sono di almeno 1.800.000 persone(questi dati provengono da fonti ufficiali). Nella suaultima relazione il Commissariato contro laCorruzione ha affermato che siamo peggio che inTangentopoli, la corruzione piega ogni settore e lasanità è terra di conquista.

La borghesia porta l'Italia alla rovina

Quale unità può oggi celebrare l’Italia se è è in giocol’unità nazionale, la coesione nazionale e sociale?Cosa c'è da festeggiare?Quella odierna è un’Italia imperialista in un declino eun degrado rapidi e inarrestabili, un’Italia dicartapesta che esorcizza la propria fine colberlusconismo e si prepara a festeggiare con enfasiridicola e in modo antistorico, senza una visione deiproblemi generali del Paese e senza la volontà e lacapacità di trovarne le soluzioni, il 150° anniversariodella sua unità statuale. La borghesia non può assicurare alcun futuro all'Italiaperchè il pugno di famiglie dell’oligarchia finanziariache gestisce il Paese non ha alcun interesse allosviluppo ed alla soluzione dei più importantiproblemi sociali. Mira solo ad incamerare i più altiprofitti a breve termine. La borghesia, priva di unvero e profondo legame storico e culturale con ilpaese, ha perso ogni funzione nazionale, oscillandofra localismo (con il federalismo rinunzia anche alladimensione unitaria) e asservimento alle potenze piùforti (in primo luogo gli USA). Non è più una classeprogressiva ed è a corto in quanto a capacità diesprimere personale dirigente. E' una classe fiacca,disomogenea, senza nerbo né visione strategica,malata di consociativismo, incapace di guardare oltreil tornaconto immediato e le zuffe da pollaio. E' unaclasse immorale, coinvolta nelle peggiori vicende dimalaffare e corrotta fino alle midolla. E non potràmai contribuire al progresso del Paese perchè nonrinuncerà mai volontariamente ai suoi privilegi e alsuo potere, all'oppressione e allo sfruttamento con cuisi è ingrassata negli ultimi 150 anni. Oggi questa classe in bancarotta vuol rifarsi il truccofesteggiando il 150° dell'unità d'Italia, ma essa è il

principale fattore della disunità economica, politica,sociale, territoriale, delle disuguaglianze, dellelimitazioni, dell'ingiustizia, del regresso e del declinodel paese. Ed oggi può solo aggravare lo sfaceloriversando sulla classe operaia e le masse popolaritutto il peso della crisi capitalistica che perdura e siprolunga. Assieme a questa classe non abbiamo nullada celebrare.

Quale futuro per l'Italia?

“C’è una forza che può salvare l’Italia dal declinoeconomico, dalla devastazione sociale edambientale, dall’oscurantismo culturale, che puòtrarre fuori il paese dal vicolo cieco in cui l’hacondotto la borghesia. C’è una sola forza che puògarantire una prospettiva diversa, rinnovare il paesein senso economico, culturale, sociale, che puòimprimere il dinamismo e generare la rinascita.C’è una sola classe – l’unica realmenterivoluzionaria fra tutte le classi sociali - che puòdirigere la società nell’interesse della stragrandemaggioranza e non di un pugno di privilegiati, che ècapace di organizzare uno stato ed un’economia ditipo nuovo, utilizzando tutte le capacità e le energiedelle masse lavoratrici.Questa forza è la classe operaia che – in alleanzacon gli altri lavoratori sfruttati ed oppressi - faràuscire il paese dalla decadenza rompendo il bloccoborghese e conquistando il potere per costruireun’altra società: la società socialista” (dal nostro“Programma generale”).Alla lettura di questo Programma (pubblicato sul sitowww.piattaformacomunista.com) rimandiamo tutticoloro che vogliono lottare per un'altra Italia e unaltro mondo possibile, necessario e urgente.

La borghesia non può assicurarealcun futuro all'Italia perchè il

pugno di famiglie dell’oligarchiafinanziaria che gestisce il Paese

non ha alcun interesse allosviluppo ed alla soluzione dei piùimportanti problemi sociali. Mira

solo ad incamerare i più altiprofitti a breve termine.

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IL TRADIMENTO DELLABORGHESIA ITALIANA

Appare sempre più chiaro l’infame tradimentomercé il quale Radetzky era messo a conoscenza diogni movimento e di ogni piano dei piemontesi,mentre egli disorganizzava, paralizzava eingannava con false notizie l’esercito piemontese.Il National paragona giustamente la situazione delPiemonte con quelle della Francia dopo ladisgrazia di Waterloo, e la borghesia el’aristocrazia torinese con i traditori parigini del

1815. Da Torino all’esercito correva un completocordone controrivoluzionario; il quartier generalebrulicava di traditori; una completa cospirazionecircondava il duca di Savoia. L’ambasciatorefrancese a Torino è pubblicamente accusato diessersi fatto intermediario e organo centrale diquesta congiura controrivoluzionaria; le visite cheegli riceve sono in tutto e per tutto tali daconfermare queste voci.Come nel 1814 e nel 1815 la borghesia franceseandò incontro esultando ai cosacchi e agli inglesi,così ora a Novara ecc. “la parte migliore dellapopolazione” saluta esultando gli austriaci. Questesimpatie austriache della borghesia rivelano unnotevole progresso nello sviluppo italiano. Essedimostrano che gli entusiasmi nazionalistici ditutte le classi sono finiti, che i movimentidell’autunno e dell’inverno hanno portato alla lucel’antagonismo di classe, hanno spinto ilproletariato e i contadini in aperta opposizionecontro la borghesia e hanno messo in pericolol’esistenza politica della borghesia a tal punto cheessa è stata costretta ad allearsi col nemico esterno.Ora anche in Piemonte, come già prima a Roma ea Firenze, la lotta per l’indipendenza italiana èdiventata in pari tempo una lotta contro laborghesia italiana, al pari della lotta tedesca perl’unità. In Francia, in Germania, in Ungheria, inItalia, successivamente, la borghesia ha tradito larivoluzione. Mentre in Italia ha chiamato gli

Pubblichiamo per estratti tre articoli scritti fra il 1849 e il 1860 da Marx e Engels sul nostro Risorgimento:“Il tradimento della borghesia italiana”, Neue Rheinische Zeitung, 5 aprile 1849 (Engels), “La storia di casaSavoia”, New York Daily Tribune, 31 maggio 1856 (Marx), “Il trattato di Villafranca”, New York DailyTribune, 4 agosto 1859 (Marx).

Questi scritti fanno parte di un gruppo di ben novanta articoli, scritti in quel periodo di tempo, da Marx eEngels sul Risorgimento italiano.

Essi, da un lato, testimoniano il profondo interesse e la passione rivoluzionaria con cui i due autori del“Manifesto del partito comunista” seguirono le vicende politiche e militari che avvenivano nel nostro paese.Dall’altro, ci forniscono un esempio ammirevole di come gli eventi, i personaggi, i contrasti sociali, sianoanalizzati da un rigoroso punto di vista di classe, con la denuncia dei tradimenti della borghesia e degliintrighi delle dinastie, e con piena adesione alle aspirazioni democratico-rivoluzionarie di quella che era,allora, la parte più avanzata della popolazione italiana.

I testi sono tratti dal volume Karl Marx - Friedrich Engels, Sul Risorgimento italiano, a cura di E. Ragionieri,E.R., Roma, 1959.

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austriaci, anche in Prussia e nella stessa Franciaessa non esiterebbe un attimo a chiamare i russi perristabilire la calma ad ogni costo. In Ungheria e inTransilvania lo ha già fatto.

Friedrich Engels

LA STORIA DI CASA SAVOIA

La storia di casa Savoia si può dividere in treepoche: la prima, in cui essa sorge e s’ingrandisce,assumendo una posizione equivoca tra Guelfi eGhibellini, tra le repubbliche italiane e l’imperotedesco; la seconda in cui prospera passandodall’una all’altra parte nelle guerre tra Francia eAustria; e la recente in cui tenta di volgere aproprio vantaggio la lotta mondiale tra larivoluzione e la controrivoluzione.Nelle tre epoche, l’equivoco è l’asse costanteattorno al quale evolve la sua politica, e come fruttiimmediati di questa politica appaiono risultati diproporzioni minime e di carattere ambiguo.Per ogni osservatore imparziale è un fattoindiscutibile che, con una grande monarchia inFrancia, il Piemonte deve restare una piccolamonarchia; che, con il dispotismo imperiale inFrancia, il Piemonte è tutt’al più tollerato, e che,con una vera repubblica in Francia, la monarchiapiemontese scomparirà e si dissolverà in unarepubblica italiana. Sono invero le condizioni dallequali dipende la sua esistenza che impediscono allamonarchia sarda di raggiungere i suoi finiambiziosi. Essa può sostenere la parte di liberatricedell’Italia soltanto in un epoca in cui la rivoluzioneristagna in Europa, mentre la controrivoluzionedomina suprema in Francia. In queste condizioniessa può pensare di prendere nelle sue mani leredini dell’Italia, in quanto è l’unico Stato italianodi tendenze progressive, con sovrani locali e conun esercito nazionale. Ma queste stesse condizionila pongono tra la pressione della Francia imperialeda un lato e quella dell’Austria imperiale dall’altro.Nel loro tentativo di riprendere al Congresso diParigi il giuoco, del 1847, i plenipotenziaripiemontesi potevano perciò offrire soltanto unospettacolo assai pietoso. Ogni loro mossa sullascacchiera diplomatica era uno scacco per lorostessi. Mentre protestavano violentemente control’occupazione austriaca dell’Italia centrale,

dovevano limitarsi a blandi accennisull’occupazione di Roma da parte della Francia; ementre mormoravano contro la teocrazia delpontefice, dovevano prostrarsi davanti alle smorfieipocrite del figlio primogenito della Chiesa.Durante la guerra, la ricca borghesia lombarda, siera, per cosi dire, spolmonata nella vana speranzadi conquistarsi, a guerra conclusa, e grazieall’azione diplomatica e sotto gli auspici della casaSavoia, l’emancipazione nazionale o le libertàcivili senza la necessità di dover passare a guado ilMar Rosso della rivoluzione, e senza dover fare aicontadini e ai proletari quelle concessioni che dopol’esperienza del 1848-49, com’essa ben sapeva,erano divenute inseparabili da ogni movimentopopolare. Tuttavia le sue epicuree speranze si sonodileguate. Gli unici risultati tangibili della guerra,almeno gli unici che un occhio italiano possacogliere, sono i vantaggi materiali e politiciposseduti dall’Austria: un nuovo consolidamentodi quell’odiata potenza assicurato dallacollaborazione di un cosiddetto indipendente Statoitaliano. I costituzionalisti del Piemonte avevanonuovamente il gioco nelle loro mani: l’hannoperduto di nuovo e di nuovo sono accusati di venirmeno alla loro missione, così chiassosamenteproclamata, di guidare l’Italia. Essi sarannochiamati a rendere conto con il loro stesso esercito.Di nuovo la borghesia è obbligata a gettarsi sulleaspirazioni del popolo e a identificarel’emancipazione nazionale con il rinnovamentosociale. L’incubo piemontese è dissipato, l’incantodiplomatico è rotto e il cuore vulcanico dell’Italiarivoluzionaria ha ripreso a battere.

Karl Marx

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IL TRATTATO DIVILLAFRANCA

Se la guerra iniziata da Luigi Napoleone con ilfalso pretesto di liberare l’Italia suscitò unagenerale confusione di idee, uno spostamento diposizioni e una prostituzione di uomini e cose chenon ha precedenti nella storia d’Europa, la pace diVillafranca ha rotto il fatale incanto. In qualunquemodo si sia giudicata l’astuzia di Luigi Napoleone,questa pace ha distrutto il suo prestigio e gli haalienato persino il popolo francese e l’esercitofrancese, che egli, sopra ogni cosa, voleva legarealla sua dinastia. Quando dice a quest’ esercito diaver concluso la pace per paura sia della Prussiache del quadrilatero austriaco, egli dice cosa chepuò soltanto suscitare disgusto nel cuore dei suoisoldati. E quando dice a questo popolo dirivoluzionari nati di aver arrestato la sua marciavittoriosa soltanto perché il successivo passo inavanti avrebbe dovuto esser fatto sotto le bandieredella rivoluzione, egli può esser certo che ilpopolo guarderà a lui con sfiducia e avversione digran lunga maggiori di quanto nutre per lospauracchio con il quale si tenta di fargli paura.Oggi, in tutta l’Europa, nessuno è caduto così inbasso come Luigi Napoleone con la sua guerrad’Italia. L’inganno è esploso a Villafranca.Consideriamo anzitutto il modo in cui fu conclusoil trattato. I due imperatori s’incontrano; FrancescoGiuseppe cede la Lombardia a Bonaparte, il qualene fa dono a Vittorio Emanuele, il quale, a suavolta, quantunque sia evidentemente ilpersonaggio principale di questa guerra, non èneanche ammesso alla conferenza in cui vieneconcordata la pace. Le due parti contraenti se laridono dell’idea di consultare, almeno per salvarele apparenze, l’opinione del gregge umanomercanteggiato in tal modo. Francesco Giuseppe

dispone di cosa di sua proprietà, e così pureNapoleone III. Se si fosse trattato di trasferire unatenuta, la presenza di un rappresentante della leggee alcune formalità legali sarebbero stateindispensabili. Nulla di tutto questo quando sitratta del trasferimento di tre milioni di uomini.Non vien chiesto nemmeno il consenso di VittorioEmanuele, l’individuo al quale la proprietà è statainfine assegnata. Un’umiliazione di questo genereera troppo per un ministro, e Cavour ha rassegnatole dimissioni.Se veniamo al contenuto - alludiamo al contenutoufficiale - del trattato di Villafranca, troviamo cheesso è del tutto in linea col metodo che ha portatoalla sua conclusione. La Lombardia deve essereceduta al Piemonte, ma l’identica offerta, intermini più favorevoli e non vincolata da clausolesvantaggiose, era stata fatta dall’Austria a CarloAlberto e a Lord Palmerston nel 1848.Allora nessuna potenza straniera s’era appropriatail movimento italiano. La cessione doveva esserefatta alla Sardegna e non alla Francia; ancheVenezia avrebbe dovuto essere staccata dalterritorio tedesco per divenire uno Stato italianoindipendente con alla testa non l’imperatoreaustriaco, ma un arciduca austriaco. Questecondizioni erano state allora respinte dalmagnanimo Palmerston che le aveva stigmatizzatecome non degna conclusione della guerrad’indipendenza italiana. Quella stessa Lombardiaora viene consegnata come dono della Francia alladinastia dei Savoia, mentre Venezia e ilquadrilatero delle fortezze, incluse quelle sulMincio, sono destinate a rimanere nelle grinfiedell’Austria. L’indipendenza dell’Italia è dunque trasformatanella dipendenza della Lombardia dal Piemonte,nella dipendenza del Piemonte dalla Francia.

Karl Marx

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Le misure legislative progettate dal governoBerlusconi sulla cosiddetta «riforma della

giustizia», che tendono a rafforzare i poteridell’esecutivo e ad intaccare alcune di quelle che -nel quadro della democrazia borghese - laMagistratura considera le sue intangibiliprerogative, hanno scatenato furiose polemiche. Le«vestali» della Costituzione nel campo liberale,socialdemocatico e riformista gridano all’attentatocontro la democrazia e alla violazione del «principiodella divisione dei poteri» sancito dalla Cartacostituzionale.

La Costituzione repubblicana del 1948 hainteramente recepito quello che può ben chiamarsi il«mostro sacro» del costituzionalismo borghese, il«principio della divisione dei poteri». Esso è semprestato un fatto politico e ha avuto storicamenteun’origine ben precisa. Per un’intera epoca storicaesso è stato lo strumento con cui la borghesia inascesa ha lottato per spogliare progressivamente lamonarchia e l’aristocrazia terriera di tutti ipoteri. Prima essa si è impadronita del parlamento edel potere legislativo per mettere un freno al poteredel re e subordinarlo alle leggi; poi, attraverso ilprincipio dell’autonomia dei giudici, si è assicurataun sistema giudiziario che garantisse la certezza deisuo diritti di libertà, ma in primo luogo la certezzadel diritto di proprietà.

In una fase storica successiva, con la crescitadel proletariato come antagonista sociale dellaborghesia, il principio della divisione dei potericambiò segno e da strumento di attacco dellaborghesia diventò un suo fondamentale strumento didifesa conservatrice. Di fronte all’estendersi delsuffragio universale e allo sviluppo delle lotteproletarie, di fronte al pericolo che le classi popolaripotessero mettere a rischio la sicurezza dellaproprietà privata e la libertà del capitale, il millantato

principio della divisione dei poteri ha assunto, etuttora mantiene, un significato ed uno scopo assaichiaro, ben diverso da quello magnificato dai politicie dai giuristi borghesi.

Da un lato, l’autonomia dei giudici dalcontrollo popolare fornisce alla classe borghese lagaranzia che essi, selezionati per concorso,appartengano per formazione ideologica e percondizioni materiali di vita, alla stessa classedominante e ne difendano gli interessi fondamentali;dall’altro, l’autonomia dell’apparato statale eburocratico dal legislativo garantisce alla borghesiadominante che esso continuerà a funzionare perquello che è il suo scopo immanente: garantire lasopravvivenza del modo di produzionecapitalistico.

Nei moderni Stati capitalistici il «principiodella divisione dei poteri» è un puro feticcioideologico che maschera la profonda differenzaesistente fra la realtà e la sua mistificatarappresentazione «ideale». «In realtà la storia dellasocietà borghese non conosce separazione deipoteri, né tale separazione è mai esistita nella storia.Non separazione dei poteri, ma predominio delpotere esecutivo caratterizza l’organizzazione delpotere governativo dei paesi capitalistici. Sotto ilprincipio borghese della cosiddetta separazione deipoteri in tre o quattro poteri, questi poteri sonoseparati dalla società e di fatto dominano su diessa» (ANDREJ VYSHINSKIJ, The Law of the SovietState, Macmillan, New York, p. 312 sgg.).

Ciò vale anche per la cosiddetta «indipendenzadella magistratura» dagli altri poteri dello Stato, Taleprincipio occulta il fatto che i giudici, nella societàborghese, sono indipendenti anzitutto rispetto alpopolo. Assunti «per concorso» (art. 106 Cost.) cosìcome sono assunti per concorso gli impiegati efunzionari dei vari rami della Pubblica

Il feticcio ideologico borghese della«divisione dei poteri» e il ruolo dei giudici

nello Stato borghese e nello Stato socialista«Lo Stato moderno è l'organizzazione che la classe capitalistica si dà per mantenere il modo diproduzione capitalistico di fronte agli attacchi sia degli operai che dei singoli capitalisti. Lo Statomoderno, qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato deicapitalisti, il capitalista collettivo ideale».

Friedrich Engels, Antidühring

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amministrazione, essi costituiscono, di fatto, una verae propria corporazione, un corpo chiuso e separato,una casta gelosissima delle proprie prerogative, dicui è custode - in Italia - il Consiglio Superiore dellaMagistratura. Lo stesso art. 101 della Costituzioneafferma che «la giustizia è amministrata in nome delpopolo», cioè non è amministrata direttamente dalpopolo, ma solo in suo nome. Così come non sonoeletti dal popolo, i magistrati non possono neppureessere revocati dal popolo, che non ha alcun poteredi controllare il loro operato. E, nei pochi casi in cuila legge ammette la partecipazione alla funzionegiudicante dei cosiddetti giudici popolari insieme aimagistrati togati (nelle Corti di Assise e di Assise diappello), sono gli appartenenti alla borghesia e allapiccola borghesia coloro che, in pratica, vanno adesercitare quella funzione. Con sicuro istinto diclasse, nella società del capitale e dello sfruttamentodel lavoro il proletariato ha sempre sentito comelontana ed estranea a sé la cosiddetta«amministrazione della giustizia» (anche per lafunzione repressiva che il corpo dei giudici esercitanei confronti di coloro che si pongono su un terrenodi lotta rivoluzionaria).

Marx salutò come una grande conquistarivoluzionaria la profonda trasformazione a cui fusottoposta, nel 1870, la funzione giudiziaria dailaComune di Parigi, prima esperienza storica diesercizio della dittatura del proletariato:

«I funzionari giudiziari furono spogliati diquella sedicente indipendenza, che non era servitaad altro che a mascherare la loro abietta soggezionea tutti i governi che si erano succeduti». «Imagistrati e i giudici dovevano essere elettivi,responsabili e revocabili come tutti gli altri pubblici

funzionari» (Indirizzo del Consiglio generaledell’Associazione internazionale degli operai, 1871).

Il principio dell’elezione, della responsabilitàe della revocabilità dei giudici è stato uno deifondamenti dell’ordinamento costituzionale degliStati socialisti e degli Stati di democrazia popolarenati dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla vittoria delleforze antifasciste e antinaziste nella seconda guerramondiale.

Riportiamo qui di seguito gli articoli - attinential nostro argomento - di tre Costituzioni: quelladell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietichedel 1936 (che era stata preceduta dalle dueCostituzioni sovietiche del 1918 e del 1924); quelladella Repubblica Socialista d’Albania del 1976, equella della Repubblica Democratica Tedesca del1968. A proposito della RDT, nata anch’essa comeStato di Democrazia popolare dopo la seconda guerramondiale, è da rilevare che - a partire dalla secondametà degli anni ‘50 del Novecento - il prevalereanche nella Germania dell’Est del modernorevisionismo sottrasse al potere politico il ruolo e lefunzioni della dittatura proletaria e demolì le basieconomiche necessarie all’edificazione delsocialismo. Se dunque nel 1968 la RDT non potevapiù essere considerata uno Stato socialista, sul pianosovrastrutturale (come, ad esempio, nel campodell’amministrazione della giustizia) furonomantenuti alcuni dei contenuti democratici cheavevano caratterizzato, fin dalla sua nascita, la RDTin netta contrapposizione alle istituzioni dellaRepubblica Federale Tedesca.

Costituzione dell’U.R.S.S. (1936)

Art. 103 - L’esame dei procedimenti in tutti itribunali viene fatto con la partecipazione degliassessori popolari, eccettuati i casi espressamenteprevisti dalla legge.

Art. 104 - Il tribunale supremo dell’U.R.S.S. èl’organo giudiziario superiore. Il tribunale supremodell’U.R.S.S. esercita la vigilanza sull’attività di tuttigli organi giudiziari del’U.R.S.S. e delle Repubblichefederate.

Art. 105. - Il tribunale supremo dell’U.R.S.S. ei tribunali speciali dell’U.R.S.S. sono eletti dal Sovietsupremo dell’U.R.S.S. per la durata di cinque anni.

Art. 108 - I tribunali di territorio e di regione,i tribunali delle repubbliche autonome, i tribunalidistrettuali sono eletti dai Soviet dei deputati dei

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lavoratori di territorio, regione o distretto, ovverodai Soviet delle regioni autonome, per la durata dicinque anni.

Art. 109 - I tribunali popolari sono eletti daicittadini del circondario, secondo le norme delsuffragio universale, diretto ed uguale, con votazionesegreta, per la durata di tre anni.

Art. 112 - I giudici sono indipendenti, e devonoobbedire soltanto alla legge.

Costituzione della Repubblica PopolareSocialista d’Albania (1976)

Art. 101 - I tribunali popolari sono gli organiche realizzano l’amministrazione della giustizia.

I tribunali popolari difendono l’ordinamentogiuridico socialista, lottano per la prevenzione deicrimini, educano le masse lavoratrici nello spiritodel rispetto e del’applicazione della legislazionesocialista, basandosi sulla loro attiva partecipazione.

Al vertice degli organi giudiziari si trova laCorte Suprema, che dirige e controlla l’attività deitribunali.

La Corte Suprema è eletta nella primasessione dell’Assemblea Popolare. Gli altri tribunalipopolari sono eletti dal popolo, secondo le modalitàstabilite dalla legge.

Art. 102, 2° comma - Il giudizio ha luogo conla partecipazione dei giurati ed è pubblico, eccetto icasi in cui per legge è stabilito diversamente.

Art. 103, 1° comma - Nel giudizio della causail tribunale è indipendente, e decide unicamente inbase alla legge.

Costituzione della Repubblica Democratica Tedesca (1968)

Art. 87 - Stato e società assicurano la legalitàcon l’introduzione dei cittadini e delle loro comunitànell’amministrazione della giustizia e nel controllosociale e statale sull’osservanza del diritto socialista.

Art. 90, 3° comma - La partecipazione deicittadini all’amministrazione della giustizia ègarantita, Essa viene fissata nei particolari daapposite leggi.

Art. 94, 2° comma - L’elezione democratica di

tutti i giudici togati, di tutti i giudici popolari e ditutti i membri dei tribunali sociali garantisce chel’attività giurisprudenziale venga esercitata dadonne e uomini di tutte le classi e di tutti gli stratidella popolazione.

Art. 95 - Tutti i giudici togati, i giudicipopolari ed i membri dei tribunali sociali vengonoeletti tramite le rappresentanze popolari odirettamente dai cittadini. Essi riferiscono ai loroelettori sulla loro attività. Possono essere revocatidai loro elettori se contravvengono alla Costituzioneo alle leggi, o comunque violino gravemente i lorodoveri.

Art. 96 - I giudici togati, i giudici popolari e imembri dei tribunali sociali sono indipendenti nellaloro attività giurisprudenziale Essi sono vincolatiunicamente alla Costituzione, alle leggi e alle altreprescrizioni giuridiche della RepubblicaDemocratica Tedesca.

I giudici popolari esercitano la funzione digiudice in tutta la sua estensione e con lo stessodiritto di voto dei giudici togati.

Questi testi sono in grado di fornire un quadrod’insieme della profonda trasformazione in sensodemocratico che la funzione giudicante potràavere anche nel nostro paese quando, dopo laconquista rivoluzionaria del potere da parte delproletariato italiano, sarà stato distrutto il dominio diclasse della borghesia e la classe operaia -sulla basedel suo unico potere -avrà esteso la sua egemoniapolitica, ideale e morale all’intera società.

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Nel mese di aprile 2011 è stato pubblicato il libro “Ricostruire il partito comunista. Appunti per unadiscussione”, i cui autori sono O. Diliberto, V. Giacchè e F. Sorini (con il contributo di A. Catone). Esso faseguito all’ “Appello per la ricostruzione del partito comunista”, del febbraio 2011, di cui richiama alcunicontenuti, ma, al tempo stesso, se ne distacca, andando ben oltre il manifesto politico.

Il libro costituisce infatti un lavoro articolato ed organico. Nonostante il profilo volutamente “basso”mantenuto dagli autori, non può essere ridotto a semplici “appunti per una discussione”, ma è assimilabile,a tutti gli effetti, ad una relazione di carattere “congressuale”, che prelude ad una nuova versione contenenteintegrazioni ed emendamenti. Il libro getta, insomma, le basi programmatiche e sistematizza le tesi politichee ideologiche di un nuovo soggetto politico, che ha come base organizzativa essenziale il PdCI e settori diRifondazione Comunista. E’ questo il processo che gli autori vogliono mettere in moto.

I tempi di uscita e lo spazio disponibile nella nostra rivista purtroppo non sono conciliabili con quellidella critica completa e approfondita del libro in questione. La complessità e l’ampiezza dei temi trattati nonci permettono, in questa sede, di misurarci in modo adeguato all’importanza della sfida lanciata dagli autori.Un intervento che dunque rinviamo ad un prossimo specifico contributo, fermo restando il nostro impegnoa partecipare alle occasioni di dibattito sulla ricostruzione del partito di avanguardia della classe operaia.

Ci limitiamo dunque, in questa sede, a pubblicare un nostro documento riguardante l’ “Appello per laricostruzione del partito comunista”, che abbiamo diffuso all’inizio di marzo 2011. I suoi contenuti hannopiena validità e sono più che mai attuali, la critica svolta è chiaramente riferibile ad alcune tesi formulateanche nel libro citato.

Qualche considerazione propedeutica ad un’attenta lettura del testo sottoscritto da Diliberto, Giacchèe Sorini è però fin d’ora necessaria, senza tornare sui temi toccati nel documento riprodotto nelle pagine cheseguono.

a) Il libro contiene alcuni capitoli interessanti, data anche la mole dei dati contenuti. Il capitolosull’analisi della crisi, scevra dalle tendenze “catastrofiche” oggi in voga e definita come una “crisi dasovrapproduzione”, che “è alla base della crisi finanziaria che scoppia nel 2007” (e non il contrario), i suoisviluppi e conseguenze, il nuovo quadro internazionale che si prospetta, il capitolo contenente l’analisi dellasituazione socio-politica ed economica italiana, i paragrafi sulla “questione sindacale”, costituiscono uncospicuo contributo all’analisi e al dibattito in corso.

b) La questione decisiva tuttavia è la seguente: gli autori ci presentano una vera e propriadecostruzione del leninismo e una sua scomposizione in parti separabili. Alcune di esse sono accettate (ilpartito, con la riaffermazione positiva di concetti chiave quali il rapporto spontaneità-coscienza, i quadri,le cellule, il centralismo democratico, la categoria di imperialismo, etc.), anche se poi esse vengonocontaminate da una quantità di concetti e posizioni che nulla hanno a che fare con il leninismo. Altrecomponenti non meno importanti e decisive del leninismo (ad es. quelle relative alla dittatura del proletariatoe agli organi del potere rivoluzionario del proletariato) sono rifiutate o eluse.

c) La tesi centrale del libro è quella della coesistenza fra socialismo e proprietà privata capitalistica,fra socialismo e diritti democratici borghesi. E’ la ben nota teoria dell’integrazione pacifica del capitalismonel socialismo, del socialismo nel capitalismo, dell’ estinzione della lotta di classe nel periodo di transizionedal capitalismo al comunismo. Questa teoria controrivoluzionaria ha come corollario l’inutilità delladittatura del proletariato, data l’armonizzazione di differenti interessi di classe.

d) Nel libro l’URSS e le democrazie popolari vengano considerati paesi socialisti. Ciò è positivo, se ciriferiamo al periodo di Lenin e di Stalin. Ma viene del tutto rimossa la questione del moderno revisionismoe dello scontro fra le due linee, quella marxista-leninista e quella revisionista, nel movimento comunistainternazionale. Tutte le vicende dell’epoca, la sconfitta (transitoria) del socialismo, non hanno unaspiegazione marxista; non si dice mai che era in corso in quei paesi una lotta di classe. Lo scontro ideologicoe politico, a livello internazionale, fra leninismo e moderno revisionismo non viene mai citato, il tutto vienepresentato come una semplice “rottura” (con esiti funesti) fra URSS e Cina.

e) La strategia esaltata dagli autori è quella dell’VIII Congresso del PCI, che sulla base della svoltarevisionista del XX Congresso del PCUS, ratificò la “via italiana al socialismo”, da perseguire tramite leriforme di struttura e l’ampliamento progressivo dei diritti. Una strategia fallimentare ed illusoria,

Vecchie deviazioni e nuove illusioni

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subalterna all’imperialismo, che non ha portato nè alla conquista del potere politico, nè alla edificazione delsocialismo, come l’esperienza storica ha provato.

f) Gramsci viene mistificato e privato del suo contenuto rivoluzionario rivendicando in pieno lalettura togliattiana. Quello che conta per gli autori è solo il Gramsci della “guerra di posizione”, mettendoin ombra il Gramsci della “guerra di movimento” fino alla conquista rivoluzionaria del potere, il dirigentedi un Partito di tipo bolscevico. Una prova significativa di ciò sta nel fatto che, per quanto riguarda le Tesidi Lione, nel libro non si accenna minimamente ad una strategia rivoluzionaria mediante l’individuazionedelle forze sociali che vanno organizzate e unificate attorno alla classe operaia per l’abbattimento dello Statoborghese. Così come non c’è neppure l’ombra della teoria marxista dello Stato.

g) Sulla questione internazionale, gli autori definiscono imperialista la “Triade USA, UE e Giappone”,mentre definiscono i paesi del c.d. BRIC quali “potenze emergenti” e non-allineate. Da ciò deriva, tral’altro, l’occultamento del carattere imperialista della Russia e la definizione della Cina quale “fattoredecisivo del processo di avanzata al socialismo” (pag. 68). Su queste basi, il motore del processo storico sonole classi dirigenti dei paesi capitalistici che si oppongono alla “Triade”, e non il proletariato, che deveandare a rimorchio di queste classi.

Di conseguenza, nel libro si giunge a sostenere che “una strategia di avanzata al socialismo” necessitala formazione di realtà statuali a livello regionale o mondiale, “capaci di esprimere una volontà politica nonsubalterna al neo-liberismo” (pag. 69). Insomma, si confondono le rivalità fra vecchie e nuove potenzecapitaliste con la lotta a livello internazionale fra proletariato e borghesia. L’obiettivo è un “ordine mondialemultipolare” (pag. 91), un “processo di trasformazione democratica e progressiva su scala mondiale” daconquistare attraverso “un fronte dei paesi e dei popoli non-allineati” (pag. 96), che, al di là delle parole,nulla ha a che fare con la rivoluzione proletaria e l’internazionalismo proletario.

Infine una breve considerazione di carattere storico. Gli autori rivendicano apertamente l’ipotesi difilo rosso che lega Lenin, la Terza Internazionale e Gramsci, al partito nuovo ed alla democrazia progressivadi Togliatti. Sarebbe però un errore considerare le tesi del libro come un semplice prodotto di un dibattitointerno ad una certa sinistra italiana erede dell’ultimo PCI, abituata a mischiare le carte per salvare caprae cavoli. Esse sono in realtà espressione, così come appare evidente dalla lettura del testo, di un’impostazioneche affonda le proprie radici teorico-politiche nella più ampia tradizione del revisionismo europeo, a partiredalla II Internazionale.

Valga un esempio. L’affermazione che “nella lotta per il socialismo” è e rimane oggi centrale “laquestione del potere politico” (pag. 316), tacendo della necessità – per raggiungere tale obiettivo - dellarivoluzione proletaria, nonchè della dittatura del proletariato per costruire il socialismo, rimanda non certoa Marx, a Lenin e a Gramsci, ma ad avversari dichiarati del marxismo e del leninismo come Kautsky e Bauer,i quali dei problemi del potere proletario fornirono, il primo, una soluzione democratico-parlamentare privadi ogni contenuto rivoluzionario e, il secondo, una soluzione eclettica e riformista «di sinistra» che, non acaso, è stata per molti anni in Italia il modello teorico di riferimento della «sinistra» del Partito Socialistanenniano.

E’ dunque con tutta la tradizione revisionista che bisogna fare i conti, senza omissioni, senza elusioni,senza allusioni (su questo siamo perfettamente d’accordo con gli autori), ma tracciando un precisospartiacque fra comunismo e opportunismo.

Il 6 febbraio scorso è stato pubblicato sul“Manifesto” un “appello” a pagina intera per la

ricostruzione del partito comunista. L’appello eracorredato da un elenco di prime mille adesioni, inparte di provenienti dall’area dell’Ernesto, in parte diusciti da Rifondazione “Comunista” Sicuramente fra i firmatari dell’appello vi sonosinceri comunisti, che hanno aderito a questoprogetto pensando che possa rappresentare un passoin avanti. Ci impegniamo al confronto con questicompagni, nelle occasioni di dibattito, al fine dichiarire questioni di fondamentale importanza per la

ricostruzione di un autentico partito comunista. Sul piano della realizzazione del fronte unico di lottaanticapitalista consideriamo nostri interlocutori icompagni che sostengono l’appello, soprattutto quellioperai. Siamo persuasi che nonostante le divergenzeideologiche esiste la possibilità, fra tutti coloro che sidefiniscono comunisti, di condurre unitariamenteiniziative politiche su determinati terreni di lotta, tracui la difesa di quei diritti e quegli spazi di libertàconquistati con la Resistenza. Ferma restando peròuna fondamentale differenza: per noi la classeoperaia non deve indietreggiare dinanzi alla sfida

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della borghesia e nemmeno rinchiudersinell’orizzonte del capitalismo - sia esso “speculatore”o “regolato”, “a partecipazione pubblica” o “privato”- e del suo organo di oppressione di classe, lo statoborghese.

Per quanto riguarda la questione del Partito siamocerto consapevoli della necessità e dell’urgenza dellasua ricostruzione, ma ciò non deve significarel’accettazione di progetti solo nominalmentecomunisti. Quali sono infatti i contenuti di questo“appello”?Cominciamo dal programma politico che vienedelineato. Esso si fonda su una concezione checonsidera la conquista del socialismo per mezzo diriforme di struttura, per via pacifica, evolutiva, senzaviolenza rivoluzionaria delle masse. Di conseguenza,gli estensori dell’appello ritengono che la conquistadel potere da parte della classe operaia e letrasformazioni sociali si realizzeranno attraverso la“difesa e il rilancio integrale della Costituzione”borghese.Da ciò se ne deduce che la base del loro programmapolitico sta nella proprietà privata (sia pure statale)dei mezzi di produzione, nel mercato capitalista,nella compravendita della forza-lavoro, nellosfruttamento del lavoro salariato, nel mantenimentodell’apparato statale borghese di oppressione, nelpotere esclusivo politico, legislativo e giudiziariodella classe dominante, che sono notoriamentesanzionati dalla vigente Costituzione. In sostanza il loro è un “socialismo” piccolo borgheseche si esaurisce nella “ripresa dell’interventopubblico in economia e della programmazionedemocratica”. In pratica un nuovo intervento statalenell’economia, di stampo neo-keynesiano, realizzatocon un fittizio “controllo operaio e popolare”, poiché

in uno stato capitalista l’industria e le altre branchedella economia sono comunque nelle mani dellaborghesia ed i monopoli (statali e privati) continuanoa succhiare il sangue ai proletari in nome della leggedel massimo profitto. La “via democratica” verso ilsocialismo si dimostra ancora una volta una mascheraper difendere il capitalismo monopolistico di stato,una conciliazione della lotta di classe nel quadrodello stato borghese, un abbellimento del capitalismoe un “socialismo” senza la rivoluzione sociale. Nel manifesto politico pubblicato si ripetono dunquele vecchie «illusioni costituzionali», alimentate dallemistificazioni ideologiche sulla cosiddetta«democrazia progressiva», che hanno avuto perdecenni ampia diffusione fra le masse popolari.Mentre la borghesia passa all’assalto delle conquistee dei diritti democratici, mentre il capitalismomonopolistico si esprime come reazione politica sututta la linea, mentre il periodo di sviluppo pacificodel capitalismo sta volgendo al termine e l’attualesocietà borghese si presenta gravida di rivoluzione, ineo-revisionisti vogliono mantenere le massesfruttate ed oppresse all’interno di una forma didominio borghese, la democrazia borghese: ecco ilsucco del loro programma. In tutto l’appello le questioni della conquista delpotere con la lotta rivoluzionaria, della distruzionedello stato borghese, della necessità della dittatura delproletariato per edificare il socialismo, non appaiono.La linea generale politica ed ideologica consiste in unprogramma minimo democratico e riformista. Sitratta, a ben vedere, delle vecchie tesi togliattiane,rispolverate e messe a nuovo.

Proseguiamo. Nel testo pubblicato si accenna allafine dell’Unione Sovietica, senza dire nulla suanatura. Per gli autori del documento quello che eracaduto era evidentemente ancora uno stato socialista,e non uno stato in cui era stato restaurato ilcapitalismo sotto la direzione dei revisionisti, chemanteneva solo forme esteriori socialiste. Si fa fintadi non vedere che prima del crollo ci sono stati iKrusciov, i Breznev, gli Andropov e i Gorbaciov, chei revisionisti dell’Ernesto in passato hanno portatoalle stelle, così come oggi esaltano ideologie eposizioni antimarxiste e antileniniste, tra cui ilcosiddetto “socialismo del XXI secolo”.Essi criticano l’imperialismo, però rimuovonocompletamente la questione dell’imperialismoitaliano. Significativo il silenzio sulla UE: non siazzardano nemmeno a chiedere la fuoriuscitadell’Italia da questa istituzione imperialista. Quale concezione i firmatari hanno del Partito?

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Nell’appello il partito viene presentato come un“intellettuale e organizzatore collettivo in grado dielaborare una strategia democratica e progressivavolta al socialismo”. Si tratta di una concezionefortemente impregnata dall’intellettualismo e dallasocialdemocrazia, che vede il partito come unasemplice rappresentanza politica dei “lavoratori”nelle istituzioni borghesi, non il reparto diavanguardia, organizzato e cosciente della classeoperaia (della classe operaia, del proletariato non c’ètraccia nel “manifesto”). Nemmeno una parola sullabase organizzativa del partito (le cellule) e sulcentralismo democratico; si propongono invece di“innovare” per scovare la “forma partito piùadeguata”. Insomma, la ricostruzione del partito aprescindere da alcune sue indispensabilicaratteristiche.

L’appello si esprime a favore di una “teoriarivoluzionaria”, ma non chiarisce che essa è ilmarxismo-leninismo, unica ideologia dei partiticomunisti. In ogni caso questa presunta teoriarivoluzionaria è del tutto in contrasto con la praticariformista ed opportunista seguita dagli esponentidell’Ernesto e del PdCI in questi anni. Non bastaaffermare di voler seguire una teoria rivoluzionariase poi manca qualsiasi coerenza fra la teoria e laprassi; non basta assumere il progetto dellaricostruzione di una “nuova forza comunista” perripulire le stalle del revisionismo e presentarsi comela “sponda” intorno alla quale devono raccogliersi icomunisti.

Gli estensori dell’appello compiono una critica, assaiparziale e tardiva, della “fragilità ed eterogeneità”,nonchè del liquidazionismo del gruppo dirigente diRifondazione. Dicono anche che c’è un“ripensamento” nel gruppo dirigente del PdCI. Maad oggi non risulta alcuna autocritica pubblica delcretinismo parlamentare seguito per decenni, delgovernismo e del ministerialismo praticato a piùriprese, delle misure antioperaie approvate, delsostegno ai liberal-democratici del PD, del fatto chequesti dirigenti si sono sporcati le mani con le guerreimperialiste, con il sangue dei popoli. Sul piano delle alleanze politiche questo progettoguarda a Vendola e alla Federazione della Sinistraborghese, per riconquistare qualche poltrona inParlamento. Ancora una volta siamo al puroelettoralismo. Su queste basi è inevitabile che la suafunzione sarà di nuovo quella di fare la stampella (interna o esterna) a governi borghesi dicentrosinistra.

La verità è che non siamo di fronte a “insufficienze” o “limitazioni” tattiche o metodologiche. Le tesi e leposizioni esposte nell’appello sono revisioniste dacapo a fondo. Esse mirano alla liquidazione dellarivoluzione, della dittatura del proletariato, del ruolo egemone della classe operaia nella rivoluzione;mirano a sviare migliaia di compagni, che sotto icolpi della crisi capitalista criticano sempre piùduramente le concezioni e le pratichesocialdemocratiche e riformiste, su un progetto diricostruzione di un partito revisionista da cima afondo, per evitare che essi si volgano al marxismo-leninismo. In realtà il “nuovo partito” che voglionoformare – intorno al quale probabilmente siriaggregheranno in tempi diversi componenti della“diaspora eclettica” - nasce vecchio ed assai lontanodalla concezione del partito leninista. Certo, oggi i revisionisti sono meno arroganti, menoforti, devono mostrarsi più aperti e tolleranti, devonoricorrere a metodi più sottili di inganno, devono farealcune concessioni formali, affermare di esserepronti a discutere e si rivolgono ai comunisti“ovunque collocati”, ma la loro essenza rimanesempre quella che ben conosciamo.

Noi seguiremo con attenzione gli sviluppidell’appello ed interverremo in merito, ma nonsosterremo o avalleremo in alcun modo progettipolitici caratterizzati dalla mancanza di chiarezzasulle questioni di principio, o addirittura dallapresenza di posizioni contrarie al marxismo-leninismo, né diverremo la succursale di aggregati acui interessa solo il ”rinnovamento” dell’esistente ol’apertura più o meno negoziata del processo diricostituzione di un partito revisionista, ma non certola formazione di un autentico partito marxista-leninista.

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Oggi la profondità della crisicapitalista, la durezza della lottadi classe, la rapida evoluzione

della situazione concreta, ciobbligano non solo a legarci più

strettamente alle masse, maanche a proseguire con fermezzae chiarezza la lotta ideologica e

politica contro le correntiopportuniste o estremiste.

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La crisi capitalista ha determinato una più decisaripresa della mobilitazione della classe operaia deipaesi imperialisti e di ampi settori popolari dei paesidipendenti. In questi primi mesi dell’anno abbiamovisto le sollevazioni popolari per obiettividemocratici in paesi dell’Africa e Medio Oriente. Lasituazione è instabile, fluida, gravida di rivoluzione.Si va aprendo un periodo cruciale, in cuil’abbattimento del capitalismo e la costruzione delsocialismo si confermerà come la sola alternativa perle masse sfruttate e oppresse. Nelle battaglie a veniresarà decisiva la saldezza ideologica, la capacitàpolitica, i legami di massa, la strategia e la tatticaleninista. Se la classe operaia e i popoli saranno capaci diseguire la via della rivoluzione e del marxismo-leninismo, allora l’imperialismo, un sistemaagonizzante, sarà scosso dalle fondamenta e il mondomuterà volto. In questo contesto le manovre volte asviare la classe operaia dai propri obiettivi storici –utili solo a dirigenti rinnegati e opportunisti che legestiscono - vanno denunciate e smascherate perquello che sono: ostacoli sulla strada di un autenticopartito indipendente e rivoluzionario della classeoperaia, che sappia dirigere il movimento di lotta

degli sfruttati e degli oppressi su una prospettivarivoluzionaria. Oggi la profondità della crisi capitalista, la durezzadella lotta di classe, la rapida evoluzione dellasituazione concreta, ci obbligano non solo a legarcipiù strettamente alle masse, ma anche a proseguirecon fermezza e chiarezza la lotta ideologica e politicacontro le correnti opportuniste o estremiste. Invitiamo dunque i sinceri comunisti a riflettere afondo su questi problemi di grande rilevanza per ilnostro futuro, senza abboccare all’arrugginito amorevisionista, perché ciò produrrà solo ritardi e guaimaggiori. L’unità dei comunisti è una necessità, una questionevitale per dare impulso e guidare la lotta delproletariato per il socialismo. Lavorare perraggiungere l’unità più ampia possibile, per unificarele forze comuniste e rivoluzionarie sulla base deiprincipi marxisti-leninisti, oltre ad essere un dovere èun’esigenza imprescindibile. Il proletariato habisogno più che mai dell’unità dei sinceri comunisti,ha bisogno di un partito politico indipendente dallaborghesia, non dell’unità tra i comunisti ed i nemicidel socialismo. Sulla questione del partito nonservono dunque le mezze rotture e tanto meno laprospettata ricomposizione dell’area dell’Ernesto conil PdCI (che si prepara a tenere il congresso“costituente”), bensì una rottura completa e definitivacon il riformismo e l’opportunismo, non solo sulpiano nominale o organizzativo, ma anche su quelloideologico e politico. Delle esperienze fallimentaridei partiti revisionisti non c’è proprio nulla daconservare. Un vero partito rivoluzionario delproletariato non si può ricostruire basandolo suaccordi fra un ceto politico che per decenni habivaccato dentro Rifondazione e PdCI, così comenon si può ricostruirlo per il semplice fatto diappartenere alla “diaspora” (dato che il problema nonè solo l’appartenenza al PRC o PdCI, ma i contenutiideologici e politici di cui si è portatori).

Un vero partito comunista può essere ricostruito solosui principi del marxismo-leninismo edell’internazionalismo proletario, contro ognideviazione riformista e revisionista. Questo partitodovrà essere, prima di tutto, il reparto avanzato dellaclasse operaia, incorporando i migliori elementi dellaclasse operaia, i più combattivi e disciplinati,assimilando la loro esperienza, il loro spiritorivoluzionario, per legarsi profondamente all’interaclasse operaia ed alle masse lavoratrici. Nessunosforzo deve essere risparmiato per avanzare su questastrada.

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Replica al partito operaio informaleNello scorso numero di Teoria & Prassi, abbiamo pubblicato un articolo dal titolo “Verso quale partitooperaio?” contenente, fra l’altro, alcune critiche alle proposta di formazione di un “partito operaioinformale”(p.o.i.), apparsa sul giornale “Operai contro” nel giugno 2010. Successivamente il p.o.i. ha diffuso una critica alle nostre posizioni, attraverso un suo documento dal titolo“Partito operaio e comunismo delle piccole chiese”. Pubblichiamo di seguito la nostra replica, inviata al p.o.i. nello scorso mese di marzo. Tutti i documenti del dibattito sono presenti nella home page del sito internet www.piattaformacomunista.comNel ribadire la nostra costante attenzione al lavoro che i compagni promotori del p.o.i. stanno svolgendo,precisiamo che - nonostante alcuni toni aspri che hanno talvolta caratterizzato il dibattito - è nostra pienaintenzione quella di continuare ad offrire un contributo per la formazione nel nostro paese di un partitooperaio indipendente e rivoluzionario, legato al movimento comunista internazionale. Si tratta di un compitovitale, che molteplici fattori rendono impellente.

Cari compagni, con questa nostra replica al documento “Partitooperaio e comunismo delle piccole chiese (Risposta aPiattaforma comunista)” a firma E. A. operaio dellaINNSE in nome e per conto del partito operaioinformale, desideriamo portare avanti il confronto eil dibattito con voi, avviato con la nostra presenzaall'Assemblea Operaia di Sesto San Giovanni del 4aprile 2009.La Risposta del compagno E.A., che abbiamodiscusso approfonditamente al nostro interno,impegnandoci anche a seguire costantemente lavostra pubblicistica, è stata per noi molto importantee utile perché ci ha permesso di conoscere più afondo le vostre posizioni e di confrontarle meglio conle nostre. Ma, e ve lo diciamo con la massimasincerità e schiettezza, è stata anche una risposta che,per molti aspetti, ci ha deluso, perché non credevamoveramente che poteste assimilare PiattaformaComunista a una delle tante «piccole chiese»dell'opportunismo pseudorivoluzionario, che datempo esistono nel nostro paese e che «aspettano lebriciole che cadono dal tavolo del potere deiborghesi, centrale o locale, per continuare a viveresenza lavorare». Non è, credetelo, la «crudezza dellerisposte» che ci ha colpito; ma il fatto che alcunedelle vostre osservazioni critiche si basano su unequivoco di fondo, tanto che ci chiediamo seconoscete davvero le nostre posizioni, che portiamoavanti non da oggi ma da molti anni, attraverso ilnostro lavoro concreto di propaganda e di agitazione,attraverso la rivista «Teoria & Prassi» e il fogliopolitico «Scintilla».Facciamo subito un esempio. Sulla necessità chenasca in Italia un partito operaio realmenteindipendente dalla borghesia e dalla piccolaborghesia, E. A. dice: «Saranno principalmente gli

operai a portare avanti il lavoro, gli operai che più sisono impossessati degli strumenti di critica dellasocietà del capitale, ma anche intellettuali chefaticosamente hanno fatto i conti con l'ideologiadominante e vogliono contribuire alla liberazionedegli operai, portando elementi di educazione». Noisiamo perfettamente d'accordo, e non da ora. Nonsiamo, e non ci siamo mai sentiti, i «rappresentantidella classe operaia». E' una critica che potretelegittimamente rivolgere ad altri, non a noi. Abbiamo scritto su «Teoria & Prassi» n. 7, che segnal’inizio del nostro lavoro (ottobre 2002):«Gli intellettuali di origine e formazione borghesenon sono (come tanti di loro credono) i depositari delmarxismo e del leninismo. Essi hanno svolto, nelpassato, una funzione storica non solo utile, madeterminante, per lo sviluppo del movimento operaioe del Partito, e tuttora possono dare il lorocontributo, se sapranno legarsi in modo indissolubilealla classe operaia.«Ma il marxismo-leninismo come scienza dellarivoluzione è perfettamente accessibile agli elementidi avanguardia della classe operaia, che, come Leninsottolinea nel Che fare?, lo "assimilano facilmente";e, assimilandolo, diventano gli intellettuali organicidella classe (come li chiamava Gramsci) e i dirigentinaturali del proletariato.«E' proprio a questi operai di avanguardia, aglielementi migliori e più avanzati della loro classe, chespetta principalmente il compito di far crescere lacoscienza rivoluzionaria socialista nel seno delproletariato. La degenerazione revisionista delPartito Comunista Italiano e la sua finaleliquidazione è stata dovuta, in gran parte, allagraduale eliminazione dei quadri di origine e diesperienza operaia dalle funzioni dirigenti, e allaloro sostituzione con uno stuolo di intellettuali di

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formazione culturale idealistica e di origine piccolo-borghese. E' una lezione negativa che non possiamodimenticare. Sono gli elementi avanzati delproletariato che dovranno costituire il nerboessenziale dei quadri dirigenti del Partito comunistache dobbiamo ricostruire in Italia».Lo abbiamo ripetuto - come ricorderete - nel nostrointervento all'Assemblea Operaia di Sesto S.Giovanni.E, per fare un altro esempio, nelle nostre critiche nonvi accusiamo affatto di «operaismo primitivo ebecero» (come ha fatto «La Voce Operaia» alcunianni fa). L'orizzonte politico a cui guardate è ampio,come è giusto che sia per la costruzione di un partitooperaio indipendente. Ne fanno fede, oltre agliarticoli legati alle lotte concrete degli operai in Italiae in altri paesi, e ai contributi teorici di criticadell'economia politica e di analisi delle classi cheavete pubblicato su «Operai contro», gli articoli cheaffrontano questioni di politica generale e quellirelativi alla situazione internazionale. Per esempio,negli ultimi anni: Le origini sociali del razzismo(O.C., n. 130, luglio 2009; Fascismo e antifascismooggi (O.C., n.121, luglio 2006); Ancora la Fallaci. Ilnazismo della civiltà (O.C., n. 117, ottobre 2005);Sud-Est asiatico / Tsunami. Che volete che siano 150000 morti? (O. C., n. 114, gennaio 2005); Il sangueversato per dominare la Cecenia (O.C., n.113,ottobre 2004); Guerra all'Irak. Un passo avanti nelloscontro imperialistico, con la Lettera agli operai e atutto il popolo irakeno (O.C., n. 107, aprile 2003) etanti altri.

Per questo abbiamo sempre seguito con la massimaattenzione il vostro giornale, i quaderni dell'ASLO(come, ad es., Morire per i profitti, L'amianto allaSofer, a cura di Franco Rossi e Andrea Vitale) el'importante contributo di Andrea Vitale, Critica aPiero Sraffa. Legge del valore, prezzi eaccumulazione capitalistica.Come fate ad affermare che noi non facciamo unaparola sulla «condizione reale» della classe operaia«oggi nella crisi», quando ne abbiamo più voltescritto su «Teoria & Prassi» e su «Scintilla»,esprimendo chiaramente la nostra opinione sullanatura della crisi attuale del capitalismo mondiale esulle conseguenze gravissime che essa ha sullacondizione della classe operaia in Italia e in altripaesi? E perchè volete farci passare per degli sconclusionatiscrivendo “la confusione che sta nella vostra testa frapartito di una classe determinata e sua composizionenon ci appartiene. Siamo al tempo di una scopertanuova: ora gli operai non hanno un partito proprioed è necessario iniziare a costituirlo”, se appena duerighe dopo esponete la nostra stessa concezione,secondo cui “saranno principalmente (sottolineaturanostra) gli operai a portare avanti il lavoro...maanche intellettuali che faticosamente hanno fatticonti con l'ideologia dominante”? Viene il dubbioche il garbuglio sia nella vostra testa se non aveteancora compreso che la composizione operaia ècondizione indispensabile, ma non esclusiva perdecidere se si tratta, oppure no, di un autentico partitoproletario rivoluzionario. Esso, per essere tale,necessita anche di un programma, di una politica, diuna ideologia proletaria. Quanto alla “scopertanuova”, è il presupposto sul quale siamo sorti. È da equivoci di questo genere che bisogna anzituttosgombrare il campo per proseguire un dibattitocostruttivo che voi stessi avete richiesto. Non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscere chequalche espressione da noi usata polemicamente neivostri confronti, come quella del partito «basato sulnulla», era inesatta e infelice. Ma è sulle questioni difondo che vogliamo discutere. Preliminarmente, non riusciamo a capire cometendiate, nella vostra sacrosanta condanna dei falsicomunisti, degli agenti della borghesia nella classeoperaia, a ritenere ormai svuotati di significato,superati ed inutilizzabili il patrimonio storico e lecategorie teoriche e politiche fatte proprie dall'800 inpoi dal movimento comunista ed operaiointernazionale, compresi gli stessi termini"socialismo" e "comunismo" (invece di giudicaredecisamente inutilizzabili la socialdemocrazia e il

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revisionismo!). Riteniamo, al contrario, e proprio pernon seguire costoro nel loro pantano e nel tradimentodi classe, che i tutti i sinceri rivoluzionari debbanoinnalzare oggi con ancora più forza e determinazionela bandiera del socialismo proletario e delcomunismo, senza cadere nella trappola borghese chemira a denigrarli, a contrapporre il proletariato allasua ideologia, al suo partito, al suo futuro. Dopo questa premessa, desideriamo chiarire il sensodi molte nostre affermazioni, perché abbiamoveramente l'impressione che voi non conosciate leposizioni che noi portiamo avanti da molti anni nelnostro lavoro rivoluzionario.

1) Sul carattere e la capacità rivoluzionariadella classe operaia

Essi non provengono da una teoria, da una ideologiao da una sociologia. Sono il risultato del ruolo cheessa occupa nella produzione sociale, della relazioneche ha con i mezzi di produzione e della suaorganizzazione sulla base della grande industria(nozione che non si riferisce alle dimensionidell'azienda, ma al modo di produrre mediantel'impiego di macchine e sistemi di macchine). Suquesto punto non vediamo differenze di principio conquanto sostenete.Il proletariato è la classe direttamente emaggiormente sfruttata dal capitale, il quale prelevadagli operai salariati il plusvalore di cui vive l'interaclasse borghese. Dunque la classe operaia è la solaclasse sociale che ha un rapporto antagonistico colcapitale nella sfera stessa del processo produttivo. La forza-lavoro collettiva dell'«operaio collettivo» o«operaio sociale», come Marx lo chiama, produce unplusvalore superiore alla somma dei plusvalori che ilcapitalista lucrerebbe se i salariati fossero da luiimpiegati singolarmente. Questo plusvaloreaddizionale, prodotto dalla massa operaia in quantotale, è interamente appropriato dal capitale (al qualenon costa nulla). E' questo un aspetto che rendeancora più acuto l'antagonismo esistente, nella sferaproduttiva, fra operai e capitale. E’ l’inconciliabilità degli interessi di classe derivantedalle leggi dell’economia capitalista a spingere glioperai alla lotta accanita contro la borghesia. Da ciòderiva che “Di tutte le classi che stanno di fronte allaborghesia solo il proletariato è una classe veramenterivoluzionaria” (Marx e Engels, Manifesto delPartito comunista).Quanto alle altre definizioni “sociologiche”dobbiamo mettere in rilievo un’altra questione,relativa alle capacità organiche della classe operaia.

La classe operaia non ha soltanto la forza del numero,ma per le sue stesse condizioni di lavoro e di vita ècapace di organizzarsi e di unirsi più facilmente dellealtre classi. Il lavoro nella grande industriacapitalistica educa quotidianamente gli operai allospirito del collettivismo, all’attività svolta in comune,all'organizzazione, alla disciplina, alla capacità diresistenza e di lotta. Sono queste qualità preziose non soltanto nel lavoro,ma anche nella lotta. Qualità che hanno consentito disuperare ogni manovra, ogni divieto, ognirepressione messa in atto dalla borghesia. Le forzeche sospingono i proletari ad organizzarsi sonoabbastanza forti da superare tutto ciò. Edindipendentemente dagli ostacoli che incontra, laclasse operaia è attualmente una classe piùsviluppata, con una capacità di lotta superiorerispetto al passato e – stante la crescentepolarizzazione sociale – meno integrabile nelleopzioni di stampo riformista.

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2) Perché riteniamo che sia limitativo parlaredi operai e di classe degli operai, invece chedi proletariato e classe operaia?

Francamente, non riusciamo davvero a capire comevoi possiate richiamarvi a Marx parlandoinsistentemente di «operai» piuttosto che di «classeoperaia». Lo Statuto dell'Associazione Internazionaledegli Operai diceva: «L'emancipazione della classeoperaia dev'essere opera dei lavoratori stessi». El'Indirizzo inaugurale del 1864 (redatto da Marx)parlava chiaro: «La conquista del potere politico èdivenuto il grande dovere della classe operaia.Sembrerebbe che essa l'abbia compreso, giacché inGermania, in Italia e in Francia sta sorgendo unarinascita simultanea, e sforzi simultanei sono statifatti per giungere a ricostituire il partito della classeoperaia».Le classi si distinguono principalmente per il postoche occupano in un sistema storicamente determinatodi produzione sociale, per il loro rapporto con i mezzidi produzione. La società capitalistica presenta dueclassi fondamentali: la borghesia e il proletariato. Laprima si appropria del lavoro della seconda grazie alposto che occupa nel sistema economico, essendo laclasse proprietaria dei mezzi di produzione. La teoriamarxista-leninista sulle classi sociali si basa dunquenon su dati soggettivi, non su una base idealistica,non su distinzioni basate sul reddito, bensì su unarigorosa analisi del modo di produzione. In questaanalisi sono fondamentali quelle classi che sonogenerate dal modo di produzione che domina nellasocietà.

Questa teoria – che ha fondamenta obiettive - è statasoggetta a numerosi attacchi da parte della borghesia,in particolare dopo la sconfitta subita dalla classeoperaia negli ultimi decenni (ad es. la sociologiaborghese ha opposto all'analisi marxista il metodo dianalisi basato sulla stratificazione e la mobilitàsociale, i riformisti l'hanno sostituita con le analisiche guardano esclusivamente alla distribuzione dellaricchezza, ecc.). L'attacco ideologico della borghesiaè consistito nel negare non solo il carattererivoluzionario della classe operaia, ma addirittura lasua stessa esistenza, sostenendo che la rivoluzionetecnico-scientifica e la cosiddetta produzione“immateriale” hanno permesso di superare i limitidella società industriale.In realtà lo sviluppo del capitalismo e della sua basemateriale, la grande industria, non minaccial’esistenza del proletariato come classe, non mina lesue posizioni nella società, come avviene per le classiintermedie. Al contrario, fa aumentare il numerodegli operai salariati su scala internazionale(indipendentemente dalla loro maggiore o minoreconcentrazione o dispersione), e rende sempre piùimportante e incisiva la loro funzione oggettiva nellavita economico-sociale, in quanto principaliproduttori della ricchezza materiale della società. Lamaggiore o minore concentrazione o dispersionedegli operai influiscono, invece, da punto di vistasoggettivo, sul loro livello di coscienza.La classe operaia è l'unica classe che mostra unacrescita senza interruzioni su scala mondiale. Questovuol dire che la stessa posizione che hanno gli operainei confronti della produzione li lega all’avveniredella società e non al suo passato, quindi all’avveniredi tutta l’umanità. Da un punto di vista marxista rivoluzionario occorredunque ribadire il carattere oggettivo della scissionedella società in due classi fondamentali, a prescinderedai livelli di coscienza che tali classi (in questo casola classe operaia) hanno di sé. Perciò riteniamo che sia limitativo parlare di operai(senza classe) o di classe degli operai. In tal modo sivedono solo gli alberi, ma non la foresta. Da quanto precede deriva che per noi la classeoperaia non scompare mai dall’orizzonte politico, mavi rimane anche quando non lotta o quando la sualotta è limitata e debole, quando c’è una relativa pacesociale. Non cerchiamo altri soggetti antagonistici néci inventiamo nuove epoche del capitalismo. Perciòriteniamo di distinguerci un tantino dai Bertinotti edagli altri socialdemocratici che giustamentecriticate.

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3) In che modo la classe operaia pervienealla coscienza di sé?

La classe operaia non nasce con la sua ideologia, nonè dotata per natura della propria coscienza di classe,della sua teoria e della sua politica. La conquista nelprocesso di costituzione da classe in sé a classe persé. Come vi perviene?La classe operaia non perviene alla comprensionedell’antagonismo irriducibile che la contrappone allaborghesia sfruttatrice ed alla coscienza della propriauniversalità (grazie alla quale si aprirà una nuovaepoca nella storia dell’uomo), all’interno delle aulescolastiche e degli atenei; vi giunge nell’asprezzadella lotta di classe, nelle grandi battaglie, nelle suevittorie e nelle sue amare sconfitte. Essa apprende siaattraverso la propria esperienza di lotta, sia per lacapacità del suo reparto avanzato, il partitocomunista, di introdurre nel movimento operaiospontaneo la teoria rivoluzionaria, che ha il suofondamento nell’azione rivoluzionaria.Dunque non è sufficiente la sola esperienza di lotta,la sola pratica sociale: la lotta contro il padrone perun salario migliore, la lotta per le riforme. Gli operai,attraverso la loro esperienza di lotta, con le loro soleforze e capacità possono rendersi contodell’antagonismo che li contrappone ai padroni,possono anche acquisire quegli elementi di coscienzapolitica che fanno loro avvertire l’esigenza disbarazzarsi dei padroni e li pongono in posizione piùavanzata tra tutti i lavoratori; possono tendere comeaspirazione al socialismo. Ma non possono acquisire spontaneamente - comeclasse - una concezione scientifica del mondo, cioèla coscienza socialista, la coscienza che si eleva allacomprensione degli interessi vitali della classe deisalariati, dell’antagonismo con tutto l’ordinamentopolitico e sociale borghese, dei compiti storici estrategici che il proletariato deve risolvere. Per fare questo è indispensabile l’astrazione teorica,la spiegazione scientifica dei fenomeni e dei processi,la conoscenza delle leggi dello sviluppo economicodella società, dello sviluppo della vita materiale dellasocietà. Questa consapevolezza non è il risultatoimmediato della lotta di classe proletaria, nonscaturisce spontaneamente dall’esperienza diretta delrapporto dell’operaio col suo padrone e nemmenodall’impoverimento relativo o assoluto delproletariato o dall’acuirsi delle contraddizionidell’imperialismo.La vera coscienza di classe, cioè il socialismoscientifico, deve essere portata alla classenecessariamente dall’esterno della lotta economica,

dall'esterno dei rapporti contrattuali fra operai epadroni. Deve esservi portata dall’interno di unavisione scientifica della società e della natura, dallacomprensione critica dell’insieme dei rapportieconomici, sociali, politici fra le varie classi e gruppisociali, cui si può giungere solo per mezzo dellateoria marxista-leninista. Chi la porta? Coloro che, dopo aver compreso ilcarattere inconciliabile delle contraddizionicapitalistiche, abbracciano il socialismo scientifico eorganizzano e dirigono la lotta rivoluzionaria dellaclasse operaia, i cui interessi sono antagonistici agliinteressi del capitale (e, insieme ad essa, le lotte deglialtri strati sociali i cui interessi sono lesi, in maggioreo minor misura, dal capitale e che accettano ladirezione della classe operaia). Cioè i comunisti chehanno "il vantaggio di conoscere le condizioni,l’andamento e i risultati generali del movimentoproletario"; in primo luogo gli operai comunisti. Il punto fondamentale che qui va compreso è che laloro attività dirigente, il loro apporto e la loroelaborazione della teoria rivoluzionaria, non avvienein quanto “operai di mestiere” oppure “operai inlotta”, ma in quanto “operai comunisti” cioè politicie teorici del socialismo, in quanto operairivoluzionari che arrivano a comprendere edesprimere sul piano teorico ciò che gli operaiarrivano a “sentire” su quello pratico. E’ infatti a questo livello che essi si innalzano sullabase di uno studio approfondito e scientifico delleleggi dello sviluppo economico e storico, e sulla basedell’acquisizione più o meno completa delleconoscenze scientifiche della loro epoca e delmaterialismo dialettico.

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Questo “elevamento" può esse realizzato tanto dasingoli operai, quanto da gruppi di operai? Certo chesì, anche se con grossi sacrifici, come quelli che tuttii comunisti compiono! Voi stessi non partecipate allaelaborazione ed alla costruzione del partito operaioinformale (p.o.i.) in quanto “operai”, ma in quantooperai rivoluzionari, in quanto comunisti. Quello cherespingiamo è che per la maggioranza della classe ciòpossa avvenire spontaneamente, senza unapreparazione ideologica adeguata, senza il partito. Vediamo ancora cosa scriveva Antonio Gramscisull’Unità del 5 luglio 1925 a proposito del modo incui la classe operaia riesce ad acquisire laconsapevolezza di essere la sola classe capace dirisolvere i problemi che il capitalismo crea: “Il marxismo afferma e dimostra contro ilsindacalismo che ciò non avviene spontaneamente,ma solo perché i rappresentanti della scienza e dellatecnica, essendo in grado di far ciò per la loroposizione specifica di classe (gli intellettuali sonouna classe che serve la borghesia, e non sono tuttauna cosa con la classe borghese), sulla base dellascienza borghese costruiscono la scienza proletaria,dallo studio della tecnica quale si è sviluppata inregime capitalistico arrivano alla conclusione che unulteriore sviluppo è impossibile se il proletariato nonprende il potere, non si costituisce in classedominante, imprimendo a tutta la società i suoispecifici caratteri di classe. Gli intellettuali sono necessari, adunque, per lacostruzione del socialismo; sono stati necessari,come rappresentanti della scienza e della tecnica,per dare al proletariato la coscienza della suamissione storica. Ma ciò è stato un fenomenoindividuale, non di classe: come classe, solo il

proletariato diventa rivoluzionario e socialista primadella conquista del potere e lotta contro ilcapitalismo“. Questo compito, che agli inizi fu svolto dai alcuniintellettuali e da singoli operai che avevano unacapacità scientifica, fu poi svolto dai partiti comunisticapaci di disputare l’egemonia intellettuale allaclasse dominante. Grazie ai partiti comunisti lo stratodi avanguardia della classe operaia è potuto divenirecompiutamente comunista. Dentro il partito,attraverso le discussioni, lo studio individuale ecollettivo, le scuole di partito (in strettocollegamento con le loro esperienze di lottaeconomica e politica), essi si sono sviluppaticontinuamente e sono diventati dirigenti politici edintellettuali organici della propria classe. Ora, sostenere che nelle attuali condizioni, cioè senzadisporre di un partito comunista, gli operai da solipossono arrivare alla coscienza socialista, possonodiventare i dirigenti e gli organizzatori della loroclasse significa, di fatto, sottovalutare la coscienzarivoluzionaria e subordinare il movimento allaspontaneità.Dunque il partito indipendente e rivoluzionario delproletariato, il partito comunista, si costruisce -all’interno di un concreto processo storico -"dall’alto" (Lenin), cioè dall'alto dell’interventopolitico di quei rivoluzionari che, avendo assimilatola teoria rivoluzionaria marxista, hanno compreso lafunzione storica del proletariato e ad esso si leganoindissolubilmente, forgiando un primo nucleo dicomunisti (composto in tutto o in maggioranza daoperai, ma la storia ha dimostrato che all’iniziospesso non è così, anche se questo è il traguardo daraggiungere) e conquistando i proletari avanzatiattraverso una fase di propaganda, di agitazione edorganizzazione. Se non si fa questo, si continueràsempre a nascondersi dietro il dito del “finche' glioperai non faranno il partito”.

4) Damit significa «con ciò»

Nel nostro primo contributo, criticandoun'affermazione del p.o.i. (quella secondo cui “iprogrammi, le forme organizzative le scopriremoinsieme mano a mano che ci costituiremo in classe econ ciò in partito politico indipendente”) dicevamo:Molto ci sarebbe da dire anche sul carattereforzatamente deterministico e fatalistico di quel “conciò”, con cui questi compagni rinunciano a porsi finoin fondo il problema della formazione di un partitopolitico particolare - contrapposto a tutti i partiti delleclassi proprietarie.

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Il p.o.i. ci risponde: “Non ce l’hanno con noi ma conMarx e il suo Manifesto Comunista: citiamo “Questaorganizzazione (riferita ai collegamenti degli operaiin lotta) dei proletari in classe e con ciò in partitopolitico, viene ad ogni istante nuovamente spezzatadalla concorrenza che gli operai si fanno fra lorostessi. Ma risorge sempre di nuovo, più forte, piùsolida, più potente”. Bisogna riconoscere che forsehanno preso un abbaglio perché o non conoscono ilManifesto del “determinista e fatalista” Marx oppuresi sono fidati della traduzione di Togliatti che al postodel “e con ciò” rende con “e quindi” un po’ menodeterministico, ma si sa, doveva aprire le porte delpartito ai borghesi grandi e piccoli, e limitare il ruolodegli operai. Peccato che “damit” si traduce “conciò” e non “quindi”, un vero peccato, per i nostripiccoli intellettuali, che si siano formati operai chevanno direttamente alle fonti “dell’ideologiaproletaria”.L'argomentazione è forzata da capo a piedi. In primo luogo, osserviamo che il determinismo nonè fatalismo: vi è il «determinismo fatalista» di unBordiga, ad esempio, e vi è un determinismodialettico, come quello del marxismo e del leninismo(che noi condividiamo pienamente).Per quanto riguarda la traduzione in lingua italianadella frase del Manifesto del Partito Comunista«Diese Organisation der Proletarier zur Klasse, unddamit zur politischen Partei», noi siamo d'accordoche la frase debba essere tradotta: «Questaorganizzazione dei proletari in classe, e con ciò inpartito politico». Ogni buon dizionario tedesco-italiano ci dice che damit significa «con ciò». Maquattro traduzioni assai note, e non solo quella diTogliatti, traducono, invece, così:Antonio Labriola: «La organizzazione delproletariato in classe, e quindi in partito politico»(Laterza).Palmiro Togliatti: «Questa organizzazione deiproletari in classe, e quindi in partito politico»(Editori Riuniti). Emma Cantimori Mezzomonti: «Questaorganizzazione dei proletari in classe e quindi inpartito politico» (Laterza).Eugenio Sbardella: «Questa organizzazione deiproletari in classe, e quindi in partito politico»(Newton Compton).Anche Antonio Labriola, secondo voi, voleva - allafine dell'Ottocento - «aprire le porte del partito aiborghesi grandi e piccoli, e limitare il ruolo deglioperai»? Per quanto riguarda lui, è vero -storicamente - il contrario. La sua scelta traduttoria èdovuta al fatto che «quindi», nella nostra lingua, è

avverbio (e allora significa, «in seguito,successivamente») ed è congiunzione (e allorasignifica «perciò, per ciò stesso, per tale motivo»).Ogni buon dizionario della lingua italiana puòconfermarvelo. Labriola usa sicuramente il quindi nelsecondo significato; gli altri gli sono andati dietro.Per quanto riguarda Togliatti, si può pensare cheabbia voluto giocare ambiguamente sull'equivoco deidue significati? E' possibile. Ma, cari compagni, suuna questione come questa noi non vogliamosottilizzare più di tanto (siete voi che avetecominciato a sottilizzare e ci avete… trascinato suquesto terreno). Ripetiamo che siamo d'accordo che il modo piùesatto di tradurre damit è «con ciò». E' sul sensoattribuito dal p.o.i a quel «con ciò» che non siamod'accordo. E ve ne spieghiamo i motivi.Marx ed Engels individuarono scientificamentel’esigenza storica che il proletariato, per latrasformazione rivoluzionaria della società capitalistain società socialista, si dotasse di un proprio partitopolitico autonomo sia sul piano ideologico cheorganizzativo:“Nella sua lotta contro il potere unificato delle classipossidenti, il proletariato può agire come classe soloorganizzandosi in partito politico autonomo, che sioppone a tutti gli altri partiti costituiti dalle classipossidenti. Questa organizzazione del proletariato inpartito politico è necessaria allo scopo di assicurarela vittoria della rivoluzione sociale e ilraggiungimento del suo fine ultimo, la soppressione

La vera coscienza di classe, cioèil socialismo scientifico, deve

essere portata alla classenecessariamente dall’esterno

della lotta economica,dall'esterno dei rapporti

contrattuali fra operai e padroni.Deve esservi portata dall’interno

di una visione scientifica dellasocietà e della natura, dalla

comprensione critica dell’insiemedei rapporti economici, sociali,

politici fra le varie classi e gruppisociali, cui si può giungere solo

per mezzo della teoria m-l.

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delle classi” (Marx, Statuti dell’AssociazioneInternazionale degli Operai).Ma la teoria del partito, che Marx e da Engelscominciarono per primi ad elaborare, fu poisviluppata da Lenin che la portò a un livellosuperiore, adeguato alla nuova epoca storica nellaquale egli operò (l'epoca dell'imperialismo, che duratuttora e nella quale voi, noi, e tutti i comunisticombattono la loro battaglia). E' Lenin che investigain tutti i suoi aspetti la teoria del partito politicoproletario di questa nuova epoca, il partito «di tiponuovo», cioè radicalmente diverso da quellisocialdemocratici. Purtroppo il p.o.i. non sembra avvalersi della teorialeninista, ma si ricollega alla prima epoca diformazione dei partiti operai. Per voi il concetto dipartito sembra coincidere con quello di classe (operlomeno con i reparti della classe che resistonoall'offensiva capitalista), e il processo di costituzionedel partito appare come immediato:all'organizzazione del proletariato in classecorrisponde immediatamente la sua costituzione inpartito politico. Da questo punto di vista non avrebbe nemmeno piùsenso definirsi comunisti, poiché i comunisti – perMarx – sono coloro che hanno acquisito la coscienzadel movimento reale della classe operaia (ed èproprio nello spirito di questa “avanguardia” - anchese allora non veniva ancora chiamata così - che egli,insieme con Engels, si batté nel 1847 per lariorganizzazione della Lega dei Giusti, riuscendo aconvincere i membri di essa a cambiarne il nome inLega dei Comunisti, con un nuovo statuto che già

conteneva i primi fondamentali elementi delcentralismo democratico). La posizione che voi difendete non prevede nessunadialettica, nessuna mediazione, nessun rapporto frapartito e classe, ma una sostanziale coincidenza. La teoria marxista-leninista e tutta l'esperienzastorica che abbiamo alle spalle ci dicono che il partitocomunista – che è parte integrante della classeoperaia – non è composto da tutta la classe, enemmeno dalla sua maggioranza, ma solo da unaparte di essa, la più avanzata. Non tutti i reparti della classe operaia possono esserechiamati partito della classe operaia, non tutti glioperai che lottano, che scioperano, possono definirsimembri di tale partito. Il partito è il reparto cosciente,d'avanguardia, è il reparto marxista-leninista dellaclasse operaia, armato della conoscenza delle leggidello sviluppo della vita sociale, delle leggi dellalotta di classe. Per questa sua caratteristica è capacedi dirigere la classe. Non si può cancellare la differenza fra il reparto piùavanzato e le masse che da esso sono influenzate edirette. Come Lenin non si stancò di ripetere, il compito delpartito non consiste nell'abbassare il proprio livello allivello della coscienza dell'operaio arretrato, odell'operaio organizzato in sindacato, ma nell'elevarel'operaio (iscritto o non iscritto al sindacato) a unsuperiore livello di coscienza (e di organizzazione).Fare diversamente significa ingannarsi, significatrovare un alibi per l'amorfismo organizzativo.

5) Alcuni interrogativi sulle forme e icontenuti organizzativi del p.o.i.

Formare un partito è un compito storico moltodifficile. Per riuscirvi bisogna avere le idee chiareanche sulle questioni di organizzazione. Il partito è il reparto organizzato della classe operaia,con una propria disciplina. Se il partito non fosse unreparto organizzato della classe, se non fosse uncomplesso di organizzazioni, ma una semplicesomma di individui che dichiarano di essere membridel partito, che non fanno parte di una delle sueorganizzazioni e non sono tenuti a una disciplina, ilpartito non avrebbe mai una sola volontà, nonpotrebbe realizzare l'unità dei suoi militantinell'azione, e non potrebbe quindi, dirigere la lottadel proletariato.Noi siamo d'accordo sul giusto criterio di sbarrare lastrada a chi si dice «comunista», ma non lo è. Ma seil p.o.i. non intende difendere gli interessidell'individualismo, di coloro che hanno paura della

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disciplina proletaria, perché non ha mai detto unaparola sulle forme organizzative (le cellule, lesezioni, o altro)? Solo perché è ancora informale? Mavuole rimanere informale a vita? L'espressione«informale» è in contraddizione con l'obiettivo chedite di voler perseguire. «Embrionale» potrebbeessere l'espressione più giusta.

6) Altri spunti per un dibattito

Possono essere elusi nell'epoca dell'imperialismo gliinsegnamenti di Lenin sul partito? Noi pensiamo cheper formare un partito rivoluzionario non ci si possariferire solo alla “preistoria” del movimento operaio,bensì a tutta l'esperienza rivoluzionaria delproletariato italiano e internazionale, con le suevittorie e le sue sconfitte, con le sue avanzate e i suoiregressi, così come è all’attuale MovimentoComunista Internazionale, alle sue espressioni piùavanzate ed organiche che deve collegarsil’organizzazione indipendente degli operai avanzati.Riteniamo inoltre non si può costruire un vero partitooperaio senza una concezione del mondo, senza unprogramma, senza una linea strategica, senza unpunto di vista basato sull’obbiettivo del poterepolitico.Di fondamentale importanza è anche la questionedelle alleanze di classe e dell'egemonia della classeoperaia nelle lotte delle masse oppresse e sfruttate(non stiamo parlando dell'egemonia «togliattiana»,bensì di quella teorizzata e praticata politicamente daLenin non solo nel periodo della rivoluzione del1905, ma anche nel percorso politico che sboccònella Rivoluzione socialista d'Ottobre). Non vi possono essere dubbi sul fatto che ilproletariato in quanto classe più rivoluzionaria dellasocietà deve essere il dirigente, l'egemone, nella lottadi tutti gli sfruttati e gli oppressi nella lotta contro glisfruttatori e gli oppressori. «Dal punto di vista delmarxismo una classe che neghi l'idea dell'egemoniao che non la comprenda non è, o non è ancora unaclasse, ma una corporazione o una somma di diversecorporazioni. […] È proprio la coscienza dell'ideadell'egemonia, è proprio la sua incarnazioneconcreta a trasformare, attraverso la sua attività,una somma di corporazioni in classe» (Lenin, Operecomplete, vol. XVII, pp. 47-48). Da ultimo, non è possibile ignorare, nel processo dicostruzione del partito comunista, le espressioniorganizzate dell'internazionalismo proletario e ilrapporto organico con altri partiti comunisti nelmondo. Sono tutte questioni che - insieme ad altre - non

possiamo affrontare in modo approfondito in questanostra risposta, ma che ci ripromettiamo di discuterea fondo con voi in una prosecuzione del nostrorapporto politico col p.o.i.

7) Infine, sulle «piccole chiese»

Noi compagni di Piattaforma Comunista siamo una«piccola chiesa»? Se eravamo «preti laici», avremmofatto passare sotto silenzio la vostra proposta,l’avremmo ignorata o bocciata senza appello (questopurtroppo hanno fatto altre realtà che si richiamanoal comunismo). Invece, come voi, vogliamo fare iconti con le varie parrocchie, che seminanosettarismo e opportunismo nel movimento operaio.Se davvero pensate che siamo un gruppo di “ideologidella piccola borghesia”, che non hanno come lorofondamento la critica dell'economia politica delCapitale di Marx, siete completamente fuori strada.Anche per noi essa ha sempre costituito il punto dipartenza di tutto il nostro lavoro politico, e proprio inquesto abbiamo sempre riconosciuto il punto dicongiunzione con la vostra attività.Ed è per questo, cari compagni, che con le nostremodeste forze, intendiamo dare un effettivocontributo al progetto di costruzione di un partitoindipendente e rivoluzionario della classe operaia. Come voi stessi suggerite, in questa fase rimaniamodove siamo, in quanto componente del movimentooperaio e comunista. Allo stesso tempo continuiamoa ragionare e ad agire in funzione diun'organizzazione di partito operaia.Non vi è in ciò alcuna contraddizione, perchéPiattaforma Comunista non è un'organizzazionerevisionista o socialdemocratica, maun'organizzazione che fin dalla sua nascita si è postacome compito fondamentale la lotta per lacostruzione del partito comunista, nella convinzioneche questo partito deve emergere dal seno dellaclasse operaia, rappresentando i suoi interessiimmediati e storici, le sue più alte aspirazioni, i suoifini rivoluzionari, sviluppando e portando avanti lalotta di classe. Non si potrà mai avere un autenticopartito comunista al di fuori della classe operaia, deisuoi obiettivi e della sua teoria rivoluzionaria. Ci dichiariamo perciò pronti a sviluppareulteriormente il confronto che si è aperto con voi eda contribuire al difficoltoso processo diorganizzazione degli operai in partito politicoindipendente per la propria liberazione. Saluti comunisti.Marzo 2011Piattaforma Comunista

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Quando nel 2010 l’amministratore delegato FIAT,Sergio Marchionne, cominciò a snocciolare la

sua ricetta per il rilancio della multinazionaledell’auto in Italia (dentro un processo diristrutturazioni e fusioni a livello mondiale), fu dasubito chiara ai più attenti la portata strategica delprogetto. Immediatamente la borghesia, le forzepolitiche di governo, ma anche quelledell’opposizione parlamentare (PD in prima fila), imassimi dirigenti e le burocrazie dei sindacaticonfederali, tutta la classe dirigente ed intellettualedel paese, si schierarono a favore del piano. Questi “buoni propositi” sono stati in più occasioniaccompagnati dalla confessione che la famigliaAgnelli vorrebbe trasferire gli stabilimenti italiani inpaesi dove è possibile sfruttare più intensamente glioperai (una per tutte: Marchionne - “FIAT potrebbefare di più se potesse tagliare l’Italia”, intervistarilasciata alla trasmissione televisiva “Che tempo fa”del 24 ottobre 2010). Spesso e volentieri, il progettoè accompagnato da veri e propri ricatti: o si accettaquesta “minestra” o l’intero gruppo Fiat autoabbandona l’Italia. Il piano Marchionne, rispondente all’immaginificonome di progetto “Fabbrica Italia”, veniva fin dasubito proposto dalla Fiat come l’autentica ancora disalvezza per il futuro delle sue sorti. E chiunqueavesse provato ad opporvisi, sarebbe stato a tutti glieffetti bollato come un nostalgico del ‘900, untraditore del “Belpaese”.Le poche obiezioni, più o meno timide, sono statetutte incentrate essenzialmente sul “metodo”, fermarestando la santificazione del contenuto concreto delprogetto.

Un piano espressamente antioperaio

Il modello Marchionne, la cui espressione concreta ècostituita dagli accordi-capestro di Pomigliano eMirafiori, a loro volta fatti propri da altri padroni alivello nazionale, ha un contenuto manifestamente eferocemente antioperaio. L’obiettivo politico di questo attacco non è tanto laFIOM o gli altri sindacati anticoncertativi, ma inprimo luogo l’organizzazione operaia, gli operai cheresistono e che lottano dentro e fuori i loro organismidi classe.

Esso si pone come uno spartiacque nel sistema dellerelazioni sindacali e si propone di sancire nuovirapporti di forza a favore del capitale, puntando a farcompiere al movimento operaio un drastico balzoall’indietro, per tornare ad un’epoca caratterizzatadal dominio brutale del padrone nei confronti dellaclasse lavoratrice.Oltre a sconvolgere il sistema di relazioni sindacaliin FIAT, finisce per scombinare e destabilizzareanche gli equilibri interni al sistema imprenditorialeitaliano, e dunque la stessa Confindustria.La FIAT si pone con “Fabbrica Italia” comebattistrada dell’offensiva capitalista, della reazionepolitica e dell’autoritarismo conseguenti. Di concerto col governo Berlusconi punta arealizzare un regime reazionario, nel quale siagarantita la libertà assoluta del grande capitale, lamassima possibilità di sfruttamento della forzalavoro, in cui siano azzerrati i diritti dei lavoratori.Il progetto della FIAT è conseguenza della caduta delsaggio di profitto e della crisi di sovrapproduzione incui si contorce il modo di produzione capitalista alivello mondiale, quindi dell’aumentata concorrenzainternazionale fra monopoli capitalistici. Ciò spingela FIAT alla massimizzazione dei suoi profitti persopravvivere. Ed un imperialismo debole ed in affanno comequello italiano, caratterizzato da pochi monopoli e daun tessuto di imprese sottodimensionate,frammentate, non presenti nei settori chiavedell’economia, inadeguato dunque a reggere laconcorrenza dei monopoli internazionali, non puòche cercare di ottenere ciò attraverso l’aumento dellaspoliazione, dello sfruttamento e dell’oppressionesempre più gravosi della classe operaia.Da qui la spinta alla “Fabbrica Italia” irregimentata,monolitica, in cui padrone, organizzazioni sindacali eoperai (diventati “unico corpo produttivo”)cooperano per affrontare la spasmodica concorrenzainternazionale.

Cenni sui contenuti

Alcuni elementi centrali del piano Marchionne,particolarmente interessanti riguardo il tema chetrattiamo, possono essere così riassunti:Aumento ed intensificazione dello sfruttamento

“Fabbrica Italia”Lotta politica e ideologica

al neocorporativismo

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operaio: qui sta il suo contenuto economico.Diminuzione delle pause giornaliere da 40 a 30minuti e velocizzazione dei ritmi. Aumento adismisura dello straordinario obbligatorio.Passaggio dal sistema produttivo TMC2 al WCM eal Ergo-UAS con l’operaio in completa balia delprocesso produttivo ed oggetto di una inesorabileusura psico-fisica, in funzione di una maggiorespremitura di plusvalore. Il tutto non negoziabile.Il diritto di “proprietà” assoluto del padrone, il suopotere verso l’operaio è testimoniato da altri dueelementi fondamentali che sono il “bilanciamentoproduttivo” e il “recupero produttivo”. In sostanza: l’operaio può in qualunque momentoessere spostato da un’area all’altra per fronteggiarenel primo caso le perdite di produzione dovute afermate tecniche e produttive e, nel secondo, perditederivanti da motivi non tecnici (un altro modo didefinire lo sciopero).Le “clausole di salvaguardia”: ossia cancellazionedel CCNL, dello sciopero e delle libertà sindacali: èla parte dell’accordo che meglio esprime l’arroganzapadronale. In sostanza la volontà del capitale divienefonte giuridica comportando numerose deroghe allaprecedente legislazione. Chi si oppone alle “sacre tavole” (sia gli operaispontaneamente, sia le organizzazioni sindacali e leRSU) è vittima di una ritorsione immediata, che puòarrivare fino al licenziamento ed alla possibilità dellaliberatoria dell’azienda dai suoi impegni, nel caso dicomportamento “antisociale” degli operai o dimancata valutazione della commissione paritetica diconciliazione.In altre parole la FIAT si riserva la possibilità dichiudere lo stabilimento se l’accordo trova ostacoli.Nel mondo perfetto del dottor Marchionne, ilmaggior sfruttamento si sposa con il maggior ricattoe con la maggior repressione degli operairecalcitranti.Il capitale con Marchionne fa un passo in avanti: lanuova forma della schiavitù salariata della classeoperaia non è più soltanto una condizione materialepraticata all’interno dei rapporti di produzione eproprietà esistenti. Essa viene anche modernamentericondotta a sistema organico, sancito sotto l’aspettonormativo e regolamentare. Il modello Marchionne non riguarda soltanto glioperai FIAT ma assume un carattere generaleimponendosi quale modello ordinario e permanenteper il sistema capitalista. Questa è la strada sceltadalla borghesia monopolista per cercare di usciredalla crisi.

Il nocciolo di “Fabbrica Italia”: dallaconcertazione al neo-corporativismo

Accennato brevemente ai contenuti checostituiscono la nuova frontiera del capitalismoitaliano, vogliamo approfondire l’analisi e cercare dirispondere ad una domanda essenziale. Quale èl’elemento nuovo, che caratterizza il progetto dellaFIAT dal punto di vista ideologico e politico?Esso si realizza nella drastica svolta neo-corporativa,nel passaggio dalla concertazione fra le “partisociali” al neo-corporativismo autoritario fondatosull’affermazione di nuovi rapporti di forza che laborghesia vuole imporre nel contesto della crisieconomica.Sergio Marchionne, nel suo intervento al convegnodi Rimini di “Comunione e Liberazione” del 2010 haspiegato con la sua consueta tracotanza il concetto-base. Di fronte ad una platea estasiata e rapita haaffermato che “non siamo più negli anni ‘60”, nonsiamo più ai tempi della “lotta fra capitale e lavoro,fra padroni e operai!”. Marchionne si rivela vero erede ideologico e politicodel corporativismo fascista degli anni ’20, da luiripreso e perfezionato alla bisogna dei tempi nuovi. L’antecedente storico è presto trovato: la riunionecongiunta della Confindustria e della Confederazionegenerale delle Corporazioni fasciste, tenutasi aPalazzo Chigi il 21 dicembre 1923 sotto lapresidenza di Benito Mussolini. In quella sede fuapprovato un ordine del giorno nel quale le dueConfederazioni “affermano il principio chel’organizzazione sindacale non deve basarsisull’irriducibile contrasto di interessi tra industriali

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e operai, ma ispirarsi alla necessità di stringeresempre più cordiali rapporti tra i singoli datori dilavoro e i lavoratori, e fra le loro organizzazionisindacali” (in Alberto Aquarone, L’organizzazionedello Stato totalitario, Torino 1965, p. 435).Marchionne dunque non fa altro che rielaborare eperfezionare il sistema corporativo, per renderloadeguato all’odierna società globalizzata e seducenteagli occhi dell’opinione pubblica. Tale obiettivo necessita ovviamente di un passaggioindispensabile: l’eliminazione nelle fabbriche delsindacalismo conflittuale e rappresentante degliinteressi della classe operaia e la sua sostituzione conun “sindacato” diretta espressione degli interessi delpadrone, compartecipe delle scelte aziendali. Unsindacato che - come i tradizionali “sindacati gialli”- abbia come suo compito esclusivo quello di gestirelo status di asservimento dell’operaio al capitalista.

La falsa coscienza dell’A.D.

L’Amministratore delegato della FIAT - e dellaChrysler - cerca di assurgere ad ideatore di una“nuova” politica borghese, vuol costruire unrinnovato modello neocorporativo, basato sulla pienacollaborazione che – a suo dire - permette la ripresadell’economia e della società italiana. Cerca diinstillare a fondo nella coscienza degli operai laconvinzione che questa sia l’unica soluzione.Nelle dichiarazioni stampa del 19 giugno 2010

Marchionne afferma: “… chi si oppone all’accordolo fa per un’ideologia che non ha più corrispondenzacon la realtà. […] Stiamo ancora a parlare delpadrone contro il lavoratore, sono cose che nonesistono più”. Insomma, la contrapposizione fra leclassi sociali sparisce, e quella fra paesi imperialistiassume la denominazione più “asettica” diconcorrenza fra “sistemi-paese”. E’ un mondoantistorico, ideale, che esiste solo nella sua testa, incui padroni e operai (e i sindacati) sarebbero uniti,avrebbero gli stessi interessi, gli stessi fini. Ma ilvoto operaio di Pomigliano e Mirafiori ha dimostratoche il metafisico è proprio ”Melchiorre” (così lohanno ribattezzato gli operai di Pomigliano).Marchionne non si fa soltanto demiurgo di unamoderna schiavitù operaia. Nella lettera agli operaidel 9 luglio 2010 svolge ancor più a fondo ilconcetto, cerca di convincere che la crisi economicaa livello mondiale non è colpa del sistema diproduzione capitalista, ma dall’azione cieca e“neutrale” delle dinamiche economiche, di cuinessuno ha colpa. La giustificazione sociale del suo programmastarebbe proprio nella inevitabilità e “naturalità” delsuo piano, nel fatto che il suo sistema di modernoschiavismo è il solo che può permettere alla“fabbrica” di funzionare nella attuale economiaglobalizzata. La novità, il salto di qualità sta nel rivestimentoideologico dell’operazione, che costituisce una sortadi filosofia della competizione capitalista.Afferma sempre la lettera, manifesto della ideologiacorporativa e neofascista di Marchionne: “Quando sitratta di costruire insieme il futuro che vogliamo, nonpuò esistere nessuna logica di contrapposizioneinterna. Questa è una sfida tra noi e il resto delmondo. Ed è una sfida che o si vince tutti insiemeoppure tutti insieme si perde”. A questa frase segue, vero caposaldo della nuovadottrina FIAT e assillo del “nostro” manager, unpressante appello ad un grande sforzo collettivo, alla“coesione sociale” per le sfide di oggi.La strada è ormai tracciata: il messaggio lanciato daMarchionne è una nuova (o più esattamenteriproposta) visione del mondo che sancisce ildefinitivo abbandono dei meschini interessi di classe(di una sola classe, quella operaia) e la santificazionedell’interesse della FIAT a “interesse generale”, a“bene comune”. Marchionne però non si ferma qui. Se nelcorporativismo classico è insita l’idea dellaconciliazione fra le classi, che trova le sue origini inparte nelle correnti di destra del socialismo piccolo-

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borghese e soprattutto nella dottrina sociale dellachiesa cattolica, egli va ben oltre. Non siamo di fronte al semplice appello interclassistaai sacrifici lanciato per il bene del paese ad unaclasse comunque riconosciuta come “altra”, ad unasorta di invito alla pace sociale in nome dellosviluppo economico. Qui siamo davanti adun’operazione ben più subdola e pericolosa. Il meccanismo si basa su una svolta concettualeprofonda. Se ai tempi di Valletta e Romiti il conflittodi classe era comunque riconosciuto, oggi si passaoltre, e con Marchionne si arriva alla negazionestessa dell’esistenza della classe operaia (e di ognisuo organismo di rappresentanza conflittuale). Eglicerca il modo più raffinato per tenere il proletariatolegato alle sue catene, mette in atto un’operazioneideologica di santificazione della sconfitta, per fardiventare “volontaria”, attiva e consapevole lapartecipazione degli operai alla loro condizione disfruttati. In altre parole la classe operaia deve totalmenterinnegare la propria “identità di classe”. La fraseinserita nell’accordo di Pomigliano che sancisce lanecessità della ”adesione effettiva (corsivo nostro)dei soggetti interessati” è la frase simbolo dellafiloso-FIAT.Allo stesso modo, lo strumento del referendum,costantemente avversato dai padroni e dai sindacaticollaborazionisti, è stato da questi ultimi sostenutoed esaltato in occasione della firma degli accordiantioperai. La ragione è lampante: la democrazia,versione Marchionne, richiede che il piano di ferocesfruttamento sia sancito dalla stessa adesione deglioperai posti sotto ricatto occupazionale. Al neocorporativismo, infine, si aggiunge unaventata di sana retorica nazionalista (“comprate autoitaliane”), quanto mai necessaria alla borghesia perdifendere il proprio mercato interno.

Le reazioni dei riformisti

Alcuni esponenti riformisti (Fassino, Chiamparinoecc.) hanno concepito il progetto “Fabbrica Italia”,dal punto di vista delle relazioni sindacali, come unfattore non estraneo alla concertazione. Si tratta diuna mistificazione evidente, in cui sono caduti anchesettori del movimento operaio. La cura Marchionne non è un ritorno al tavolo diconfronto fra le “parti sociali”, ma è in realtà lanegazione della politica di concertazione e co-decisione, è l’affermazione dell’unilateralismopadronale, il distacco dalla politica di accordi “aprescindere” con i sindacati.

Se per i sindacati più organicamente filo-padronaliquesto non è un problema (hanno i loro tornaconti intermini di privilegi, commissioni bilaterali, fondineri, etc.), ed hanno accolto questo passaggioregressivo in modo entusiasta, ciò non ha nemmenoinciso più di tanto nella strategia della direzioneriformista della CGIL. Camusso e la sua segreteria, perseguono infatti unapolitica interclassista e cercano di tenere bloccata laclasse operaia su un punto cardine di questa politica:la sottomissione degli interessi del proletariato alleesigenze di “competitività” (leggi profitti) delleimprese capitaliste. Temono quindi il riaccendersi della conflittualitàall’interno delle fabbriche e continuano a sbracciarsiper la riapertura di tavoli di confronto conConfindustria e governo. A tal fine sono pronti adutilizzare gli stessi scioperi e mobilitazioni comearma di pressione, e lavorano per ricomporre i dissidicon gli altri sindacati collaborazionisti, mettendoall’angolo la FIOM e i sindacati base.L’accordo sulla rappresentanza firmato il 28 giugno2011, assieme a Confindustria e ai vertici di CISL eUIL, va proprio in direzione dell’imposizione deinuovi contratti antioperai, come quelli di Pomiglianoe Mirafiori, volti ad un maggiore sfruttamento dellaclasse operaia.La nuova fase supera anche il concetto di “contrattoseparato”, per introdurre “contratti unici” firmati datutte le burocrazie sindacali ed applicati “ergaomnes” senza consultare i lavoratori e stabilendoregole per mettere il bavaglio alle opposizioni piùcombattive e far passare le “deroghe” ai CCNL.

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In tempo di grave crisi capitalista il “la responsabilitàe la coesione sociale” tanto cari a Napolitano, nonprevedono altro che un sindacato cane da guardiadegli interessi padronali, e non più “mediatore” trapadrone e lavoratori.Per il manager italo-canadese e per la borghesiaimperialista in generale un nuovo patto sociale saràdunque segnato dall’assegnazione ai sindacati di unruolo in cui la funzione “negoziale” sarà sempre piùassimilata a quella di “cinghia di trasmissione” degliinteressi e della volontà padronale, in funzione di uncontinuo peggioramento delle condizioni di lavoro edi vita degli operai, dei licenziamenti di massa, etc.Non è difficile prevedere che la politica dellasegreteria CGIL, che contempla l’immolazione dellaFIOM sull’altare degli accordi interconfederali,intrecciata al proseguire della crisi economico-sociale e all’attacco padronale, avrà comeconseguenze maggiori contraddizioni e profonderotture non solo nella base operaia ma ancheall’interno del sindacato, in particolare con i delegatidi fabbrica e perfino fra gli strati medio-bassidell’apparato (soprattutto nelle categorie operaie).

Una pentola senza coperchio?

Il “golpe” di Marchionne, al di là della sua spietatarisolutezza, esprime semplicemente una posizione diforza della borghesia imperialista, oppure nascondeanche un terreno molle nel quale la “talpa operaia”può operare?La stessa frase “non abbiamo scelta” che diversioperai esprimevano ai compiaciuti inviati speciali a

Pomigliano e Mirafiori, non può tramutarsi in unfuturo “grido di guerra”? In realtà il piano FIAT, con il suo decisionismoarrogante, la sua volontà di mettere contro il muro isindacati conflittuali, la FIOM in particolare, rischiadi far saltare la pace sociale nelle fabbriche.Il limite del piano Marchionne sta dunque proprio inquanto ha capito la stessa Marcegaglia, e che inqualche modo è iniziato a prodursi durante gliscioperi operai di questi mesi. La volontà dell’”uomo dell’anno” di colpire al cuore il movimentooperaio – mettendo al contempo la FIOM fuori dallefabbriche (unico sindacato capace di gestire lareazione operaia) - può rendere queste lotte menocontrollabili al padrone e ai suoi servi. La cura Marchionne ha il “merito” per i settori piùoltranzisti della borghesia, ma anche per lo stessoproletariato, di sgombrare il terreno dalle politicheconcertative che per lungo tempo hannocaratterizzato l’operato dei sindacati riformisti. Essamostra il vero volto del capitalismo, quello cheesprime in particolare nei momenti di crisi.Siamo ad un punto di snodo. Si stanno affacciandoampi e aspri scontri sociali, a livello internazionalecome in Italia, di cui in questa fase abbiamo visto iprodromi. Conflitti che – detto per inciso -coinvolgeranno naturalmente l’intera classe operaia,compresi i lavoratori onesti di CISL e UIL e deglialtri sindacati collaborazionisti. La loro tesserasindacale non sarà abbastanza spessa da salvarli dallafuria restauratrice del capitale a caccia di nuoviprofitti (la vicenda Fincantieri insegna).

La risposta operaia ed alcuni elementi per illavoro di massa dei comunisti

La classe operaia FIAT non ha subito il fascino di“Fabbrica Italia”. Marchionne non è riuscito cioè adimporre, tantomeno ad ottenere, il consenso dellamassa degli operai. Ciò costituisce un ostacolo aiprogetti del capitale e un elemento di freno aitentativi di riconciliazione costantemente rivendicatidalla direzione riformista della CGIL.La classe operaia, non solo quella della FIAT, harisposto con decisione all’attacco di Marchionne. Hadimostrato di avere la dignità e la forza di resistere, èriuscita in qualche modo ad intralciare i pianipadronali. Il No operaio ai referendum, gli scioperi,le manifestazioni, i blocchi della viabilità tenutasi aPomigliano, Mirafiori, alla Sevel e nelle altrefabbriche FIAT e dell’indotto ne sono unadimostrazione lampante.La richiesta espressa nelle lotte operaie è che occorre

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cambiare registro, che bisogna lottare in modo duro,che l’accordo capestro va reso ingestibile..La risposta operaia sta scontando però degli elementidi debolezza che si ripercuotono sull’interomovimento operaio. A fronte di un attacco profondoe generale, accompagnato da una ideologiareazionaria e antioperaia, l’azione proletaria non puòrimanere confinata nel ristretto piano economico-sindacale. Essa potrà svilupparsi in modo piùorganico ed efficace se si svolgerà su più fronti: nonsolo quello della resistenza ad oltranza nellefabbriche e nelle piazze (per respingere l’attaccopadronale alle condizioni di lavoro, gli accordiseparati, ed i ricatti padronali, far riammettereintegralmente i licenziati politici al loro posto dilavoro), ma anche sul piano della lotta politica edideologica. Al proposito vanno ribaditi brevemente alcuniconcetti. Marchionne sta portando avanti il suo pianostabilimento per stabilimento, cercando di dividere laclasse operaia ed evitando lo scontro frontale controla massa dei lavoratori (a questo servono le newco,strumento di divisione e di azzeramento dei diritti).La classe operaia può contrastarlo con successo, solose riunifica la mobilitazione dei vari stabilimenti, eriesce a costruire un unico fronte di lotta control’offensiva capitalista in corso e la reazione politicaconseguente, di cui il piano Marchionne è il capofila.Il fronte unico di lotta contro il capitalismo, fondatosu propri organismi quali i Comitati operai, e – sullasua base – il più ampio fronte popolare, vannocostruiti con impegno, riprendendo e sviluppando ilpercorso che era iniziato nella manifestazione del 13ottobre 2010. Per far questo sono necessari alcuni passaggifondamentali: occorre far compiere un salto diqualità alle mobilitazioni, farla finita conl’attendismo, ed imboccare la strada dellaopposizione e della lotta di classe più decisa edintransigente, la strada rivoluzionaria, sola garanzia

per la vittoria della classe operaia. In questo percorso c’è un altro aspetto che meritagrande attenzione. Se è vero che la dottrina Marchionne non è riuscita asfondare dentro la classe operaia, è altrettanto veroche sul piano ideologico quest’ultima restacomunque in gran parte subalterna alle concezioni, aicomportamenti, alla psicologia, etc. borghesi.L’opposizione operaia si è in sostanza concentratapiù sugli aspetti “materiali”, sugli effetti che il pianoproduce sulle condizioni concrete di lavoro dellamassa operaia , che sui suoi risvolti “ideologici”. L’influenza velenosa del revisionismo e delriformismo ha comportato la perdita della coscienzadi classe fra gli operai, l’accettazione del modo divivere e pensare borghese. Questo fattore, causatoanche dalla mancanza del partito comunista, è unadebolezze soggettive che determina i limiti dellarisposta operaia. E’ dunque vitale sviluppare la costante e inflessibilelotta sul piano ideologico contro ilneocorporativismo e le altre concezioni borghesidentro la classe operaia.Va smascherato senza sosta agli occhi degli sfruttatiil carattere falsamente “neutrale” del sistemaMarchionne, mettendone in rilievo, al contrario, ilsuo carattere squisitamente di classe volto asalvaguardare gli interessi della classe capitalistica aidanni delle masse lavoratrici. Il proletariato potrà portare avanti in modoconseguente e vittorioso la sua lotta soltantoriconquistando la sua indipendenza ed autonomia diclasse su tutti i piani. Dovere dei comunisti è elevare il proletariato allacoscienza dei suoi compiti, e liberare la classeoperaia dalla sua subordinazione politica, ideologicae psicologica alle concezioni e logiche padronali,emancipazione che richiede la netta e definitivaseparazione dalla socialdemocrazia, dal revisionismoe dal riformismo.

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I. Esistono nel nostro paese delle “anime belle” cheper alcuni anni si sono spacciati per marxisti-leninisti. Ciò che le accomuna è la lotta che hannocondotto e continuano a portare avanti, sotto diverseforme, all’ideologia proletaria ed al suo metodo: ilmetodo dialettico marxista. Non è cosa nuova. Pertutto un periodo storico la battaglia contro laconcezione materialistica e dialettica del mondo èstata una stessa cosa con l’attacco alla dittatura delproletariato, al socialismo, all'URSS di Lenin e diStalin. Il materialismo dialettico e storico è infatti laconcezione integrale del mondo espressa dalMovimento Comunista Internazionale (ieri la TerzaInternazionale), dai partiti comunisti e dagli stati daloro diretti. Non una “filosofia” in senso tradizionaleo nuovo, bensì un’arma teorico-scientifica legata allapratica rivoluzionaria.In particolare dopo la fine della seconda guerramondiale la borghesia ha sentito la necessità diattrezzarsi e innalzare qualitativamente l'attacco sulfronte teorico, parallelamente a quanto avveniva sualtri fronti. Occorreva minare dall'interno i principidel bolscevismo, particolarmente sul terrenofilosofico, ove la borghesia disponeva - e dispone - diun enorme potere. Non a caso gli ultimi scritti del compagno Stalinsono stati dedicati alla lotta teorica contro lasopravvivenza di concezioni borghesi e contro leposizioni erronee che stavano facendo strada anchenel partito, centro nevralgico della dittatura delproletariato.

II. A cosa mirava questo attacco sul fronte teorico?Sostanzialmente a privare i partiti comunisti – epertanto la classe operaia – della propria concezionedel mondo e della società. Obiettivi fondamentali dell’offensiva teorica, che si èsvolta a livello internazionale (fuori e dentro i partiticomunisti e i paesi socialisti, contro la dittatura del

proletariato ed il movimento operaio), sono stati ladialettica materialista, la negazione della oggettivitàdel reale e della contraddizione, la teoria dellaconoscenza, la possibilità dell'uomo di formulareleggi (specie nlla scienza economica), il principiodella lotta di classe nel socialismo. Lo scopo era chiaramente quello di impedirel’ulteriore marcia in avanti della classe operaia,distruggere la dittatura del proletariato e mettere indiscussione qualsiasi ipotesi di trasformazionesociale. Ovviamente l’attacco borghese e revisionistaè stato mediato ed articolato in modo ampio esofisticato, non essendo più possibile negare toutcourt la scienza, le leggi, e non essendo nemmenopossibile, in un primo momento, lanciareun'offensiva da posizioni antileniniste aperte. Eccoallora la particolare configurazione del nuovosistema teorico, del suo presentarsi come scientismo,come “marxismo genuino o purificato”, come“ritorno al vero Marx”.Questo tratto di duttilità e di flessibilità ha fuorviatonumerosi compagni che, a partire dagli anni '60, sisono trovati invischiati nel caos della speculazionefilosofica borghese a causa della non comprensionedei caratteri peculiari del sistema di elaborazioneteorico della classe proprietaria nella nuova fase dilotta fra le classi. Enorme è stato l’apporto, in terminidi confusione e falsa coscienza, del revisionismo, cheha deformato e imbastardito l’integrale ed originaleconcezione proletaria del mondo, lasciando spazio adintellettuali di tipo tradizionale. Costoro, seppuredimostravano di aver abbracciato l'ideale comunistae si erano schierati più o meno opportunisticamentedalla parte delle forze sociali in ascesa, nondimenocontinuavano ad essere portatori di forme delpensiero che erano patrimonio della millenariaideologia proprietaria. III. In Italia l'offensiva ideologica è stata articolatanell'elaborato di Della Volpe, Colletti, Rossi, Merker,

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L’importanza della concezione materialistica e dialettica del mondo e la lotta

ai suoi negatori revisionistiPiattaforma Comunista ha sostenuto al suo interno un’impegnativa lotta per sconfiggere le posizionirevisioniste ed opportuniste manifestate da un suo ex-dirigente. Il dissidio, emerso in campo filosofico, si èpoi trasferito in quello politico, dal momento che è stato da lui trasgredito il centralismo democratico. Da questa battaglia contro un esponente del moderno revisionismo siamo usciti temprati ideologicamente edancora più determinati nella lotta per la ricostruzione del partito comunista su salde basi marxiste-leniniste. Nel contributo che segue ripercorriamo brevemente alcuni aspetti della lotta sostenuta in campo teorico, perla difesa e l’affermazione del materialismo dialettico.

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Pietranera, Ambrogio, Cerroni, Reale, Gruppi, DalPra, Cantoni, dell'Istituto di studi filosofici di Napoli,della corrente del Politecnico e da altre scuole“filosofiche” che offrivano numerose sfaccettaturedella stessa cianfrusaglia antibolscevica.Ovviamente, queste impostazioni ebbero maggiorelegittimazione con il “disgelo”, la “revisione critica”e la “modernizzazione della cultura marxista” checaratterizzarono gli anni seguenti la morte di Stalin. Fra le tante deviazioni che si sono succedute, neevidenziamo una che periodicamente torna di moda,quella dellavolpista, assai cara ai nostri sessontottini.La logica empirista della “astrazione determinata”era chiaramente musica per le orecchie dei fautoridella “via italiana al socialismo”, poiché rivolta adisolare la specificità storica anche sul piano dellateoria politica, fornendo così la giustificazione delpiù sfrenato opportunismo. Così come assai graditierano i discorsi dellavolpisti sulla positività dellatradizione liberale e democratica, sulla continuità dirapporto fra queste correnti borghesi e il socialismo,sull'efficacia della “democrazia post-borghese” checoincideva col quadro della Costituzionerepubblicana, sul tema della “cittadinanza” (in augefra i riformisti). A chi può far comodo unariesumazione del “conte rosso”? Senza dubbio aineo-revisionisti ed ai riformisti. Non a caso due annifa l’Unità”, in occasione del quarantesimo dellamorte, gli ha dedicato un paginone definendolo “ilpiù grande pensatore marxista del secondo ‘900” perla sua attività di demolizione della concezione delmondo dei comunisti e di apripistasocialdemocratico.

IV. L’analisi dell’insieme di queste posizioni mette inluce un tratto permanente dell'offensiva ideologicaborghese: il tentativo di conciliazione, dicontaminazione, sia a livello teorico che politico, frale istanze tradizionali della classe proprietaria e laconcezione del mondo del partito comunista; fral'empirismo, l'idealismo, il razionalismo critico, ecc.ed il materialismo dialettico-storico; fra il concettoborghese di democrazia e quello proletario.L’operazione puntava a negare il carattere di fratturacompleta fra i sostenitori del vecchio mondo e quellidel nuovo mondo, quindi a rendere compatibile ilmaterialismo dialettico e storico con l’elaboratoborghese, negando la sua essenza rivoluzionaria, ilsuo essere vertice autonomo e inaccessibile rispetto ifondamenti teorici della cultura precedente. Una volta ridotto il marxismo a puro metodo,separato da una concezione generale del mondo, unavolta degradata la dialettica materialista a logica

formale, incrinato il rapporto fra metodo econcezione del mondo, frantumata una filosofaoriginale, integrale e organica in una serie diaffermazioni eterodosse, scollegate e incoerenti, unavolta negato il valore delle leggi del mondo naturalee sociale, si poteva ben subordinare la nuovaimmagine del mondo alla vecchia ideologiaborghese, si poteva privare la classe operaia della suaarma teorica, indispensabile per l’instaurazione dellasocietà pianificata dei produttori associati.

V. La storia ha provato che tutti i “filosofi” che hannoattaccato il materialismo dialettico – da Bernstein aKorsch, da Adler a Bogdanov, da Lukacs a Marcuse -hanno obiettivamente fatto il giocodell’opportunismo e della reazione. Molti di lorosono finiti con entrambe le scarpe nel campo dellaborghesia, figurando ormai nell'Eden della classedominante, che ancora li ringrazia per la preziosaopera svolta. In particolare lo scontro sul fronte teorico che si èsvolto nel secondo dopoguerra è stato un asproscontro fra classi antagoniste sul fronte ideologico, incui la borghesia ha utilizzato come fattore divantaggio l’enorme potere derivante dalla suaesperienza in campo filosofico. Quello che si è opposto al socialismo su tutti i piani,compreso quello filosofico, è stato l’altro aspettodella contraddizione: l’imperialismo, che hachiamato a raccolta tutte le forze per bloccarel’avanzata del proletariato e sopravvivere.

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In questo scontro la borghesia era perfettamenteconsapevole del rischio di perdere una volta persempre il primato teorico (dopo le pesanti sconfittesubite in campo economico e militare). Perciò hadifeso accanitamente le sue posizioni teoriche, la suaconcezione del mondo, ha cercato con tutti i mezzi diricacciare indietro il proletariato rivoluzionario dalleposizioni raggiunte, di allontanarlo dalla suaideologia, di narcotizzarlo, restaurando concezioni,metodi, leggi, armi ideologiche volte a frenare edeviare la rivoluzione proletaria, salvare ilcapitalismo ed evitare la disfatta definitiva. Questa èla base sociale della lotta alla concezionematerialistica della natura e della società. Anche in Unione Sovietica la borghesia, sebbenesconfitta sul piano politico, continuò ad agire nellealtre sovrastrutture, manovrando sul terreno dellateoria per riprendere il potere politico ed economico.Come accennato, negli ultimi anni della sua vita ilcompagno Stalin aveva avvertito il pericolo di certedeviazioni che si manifestavano su terreni (vedi gliscritti sui problemi economici e quelli sullalinguistica) su quali si giocava la capacità egemonicadel proletariato.

VI. Occorre dire che le posizioni antiscientifiche eschematiche, le degenerazioni burocratiche cheaffiorarono in quegli anni, e dilagarono dopo il XXCongresso del PCUS, furono di ostacolo alla capacitàdi fornire una risposta adeguata alle teorie borghesi,impedirono il loro riconoscimento, il lorosmascheramento e il loro superamento critico. Vifurono così debolezze, incomprensioni, emerserodeformazioni di tipo soggettivistico, economicista,nazionalista. Mancò l’approfondimento dell’analisi,l’aggancio al nucleo fondamentale delle indicazionidi Lenin e di Stalin. In alcuni casi si pensò che fossesufficiente la sola lotta ideologica e non si previde

che le influenze borghesi, le deviazioni, si potevanotrasformare in contraddizioni antagoniste, potevanodivenire forza politica e prendessero il potere.Portiamo due esempi. Primo, la forzatura e ladeformazione operata su Engels, partendo da talunielementi divulgativi presenti nel suo pensiero, esoprattutto le conseguenze arbitrarie tratte da ciò, chenotoriamente hanno portato ad erroneeinterpretazioni del materialismo dialettico. Stalin in“Materialismo dialettico e materialismo storico”asseriva che “il mondo e le sue leggi sonoperfettamente conoscibili”; altri autori hannosostenuto invece che “sono perfettamenteconosciute”. Tali volgari interpretazioni portaronoall’apertura di varchi in cui si è infilata la posizionedi chi ha demonizzato il rapporto Marx-Hegel(negando la conquista del contenuto reale delladialettica hegeliana, il denudamento del metododialettico dal suo rivestimento idealista e il suoriposizionamento nella forma semplice e giusta che èalla base della critica marxiana), di chi ha volutoingannevolmente sostenere la non-compatibilitàteoretica fra Marx da un lato, Engels, Lenin e Stalindall'altro, fino a giungere all’espulsione delladialettica dal pensiero di Marx. Con ciò la borghesiasi è ricongiunta al revisionismo neokantiano diBernstein, Adler e Bauer. Secondo, il dogmatismo dilagante in talune disciplinescientifiche. Marr, in linguistica, sostenne che lalingua era una sovrastruttura. Cosa rappresentò costuise non il paradigma dell’incapacità di applicare ilmetodo dialettico marxista nel suo campo di studio,l’infondatezza scientifica, la scissione fra l’ipotesiteorica e la verifica pratica, il trionfo di un grettoformalismo che si appoggiava su immeritateposizioni accademiche? E’ chiaro che il persistere diposizioni di questo genere avrebbe costituito unfattore di immobilizzazione del marxismo-leninismo,di mancato sviluppo della scienza della rivoluzione,della sua deformazione.Finchè Stalin visse tali fenomeni negativi vennerodibattuti pubblicamente, arginati, limitati, respinti,così come respinse qualisiasi dogma di partito incampo scientifico (Stalin evase anche le richieste delbiologo Lisenko volte a un formale riconoscimento dicarattere ideologico delle sue controverse teorie, perlo più erronee). Dopo la dopo la sua morte,l’ulteriore sviluppo e il perfezionamentodell’ideologia proletaria fu per lungo tempo bloccatoe vanificato dall’egemonia revisionista, dallasconfitta transitoria del socialismo proletario.

VII. Ora è importante comprendere che questo

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scontro ideologico epocale non si è concluso, maperdura nel contesto odierno, sia pure in formedifferenti. Dietro la maschera della lotta contro il“dogmatismo” ed i “suggerimenti di ordineproblematico”, dietro la mistificazione dell’elaboratomarxiano e le più volgari calunnie all’opera diEngels, di Lenin e di Stalin (certi rinnegati cheincensano le astruserie di Banfi, Della Volpe eGeymonat, giungono a sostenere che sarebbero privedi spessore teorico!), purtroppo circolano all’internodel movimento comunista concezioni che neganoquello che di più importante c’è nella dialetticamarxista. Facciamo un esempio: l’abolizione della lotta el’unità degli opposti, aspetto centrale della dialetticarivoluzionaria. I moderni falsificatori della scienzadella rivoluzione la sostituiscono con una formale“dialettica che collega eterogenei”. Si facciaattenzione: “eterogenei” al posto della lotta (assoluta)e dell’unità (relativa, provvisoria) degli opposti, alposto delle contraddizioni interne, che Lenin e Stalindefinivano come l’essenza della dialettica, l’intimocontenuto del processo di sviluppo, dellatrasformazione dei cambiamenti quantitativi inradicali cambiamenti qualitativi. Il legame che esiste fra la negazione della legge dellalotta e dell’unità degli opposti e la politicaopportunista della conciliazione di classe non èaffatto casuale. Ogni rappresentazione dei fenomeni che nega lostimolo interno allo sviluppo, che nega lecontraddizioni interne proprie a tutti i fenomeni e iprocessi, che si basa sulle “strutture relazionali” incui vi sono coppie di distinti o di contrari, dicomplementari o di eterogenei ma non di opposti, chesostituisce la lotta degli opposti con la“determinatezza o differenza degli opposti”, con laloro “tensione interna”, che vede nella realtà“equilibri di situazioni che hanno una certa stabilità”,è alla radice teorica dell’opportunismo e delriformismo, della negazione del principio secondocui la lotta di classe è la forza motrice dello svilupposociale fino al comunismo, dello svilimento delmarxismo ridotto a “galileismo morale”, poiché lecontraddizioni del capitalismo sussiterebbero solo sulpiano etico. A cosa conduce infatti l’applicazione della “strutturarelazionale” alla società odierna? La coppia lavorosalariato/capitale, la coppia borghesia/proletariato, intal modo divengono semplici opposizioni reali inequilibrio, senza contraddizione, negando così ilcarattere antagonista delle contraddizioni di classe eil loro superamento dialettico per via rivoluzionaria.

Queste posizioni filosofiche hanno attraversato gliultimi due secoli, passando attraverso la cordataDuhring, Bernstein, Adler, Korsch, etc.

VIII. Altro punto di attacco che periodicamente siriaffaccia è quello della concezione della dialetticache secondo taluni neokantisti “comincia e finiscecon gli uomini”. Con ciò si nega l’esistenza oggettivadi contraddizioni dialettiche nella realtà materiale. Sitratta di un grave errore che mette in lucel’incomprensione e la misconoscenza del problema.Per comprendere la dialettica occorre ricordare chenel marxismo rivoluzionario la coscienza è ilprodotto della lunga e complessa evoluzione delmondo materiale, è una forma della materia. Noi siamo in un mondo materiale e tutti i nostripensieri in un modo o nell’altro derivano da ciò. Nonapparteniamo ad un altro mondo, non guardiamo ilmondo da altrove. L'essere umano, il suo cervello,fanno parte della natura, sono un suo prodotto. E’ lamateria stessa che in determinate condizioni storico-sociali da luogo alle sensazioni e alla coscienza(forma superiore di riflesso psichico), poichè si èevoluta ed organizzata in un tessuto altamentecomplesso e specializzato nell’elaborazione diimpulsi bioelettrici, come il nostro sistema nervoso.Ne consegue che il dato primario e indipendente è lamateria, quello secondario è la coscienza, chedipende dalla materia e riflette il mondo esterno inmodo non passivo. Dunque il nostro pensiero soggettivo e il mondooggettivo sono in relazione dialettica e sottoposti allestesse leggi generali. Occorre insistere sullaconnessione dialettica fra gli aspetti ontologico egnoseologico, tra loro inseparabili, sulla continuitànatura-uomo e dunque sulla non eccezionalitàdell'essere umano nel mondo della natura, che èinclusa nel materialismo dialettico.

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Il principio fondamentale della gnoseologiamarxista-leninista, la teoria del riflesso, si basaproprio sulle suddette affermazioni di fondo:l'esistenza obiettiva della materia, indipendente edesterna rispetto la coscienza; l'unità ontologica dimateria e pensiero e la loro distinzione gnoseologica;la conoscibilità inesauribile e perfettibile del reale daparte del pensiero. Il punto di partenza della concezione dialettica diMarx e di Engels non è, come in Hegel, un'idea chesi autosvolge, ma la realtà oggettiva, la materia, lanatura, la vita reale della società. Il rapporto frapensiero e realtà è posto nella dialetticarivoluzionaria nell'unico modo corretto: la materia, lanatura sono i dati primari, il pensiero, la coscienza,sono essi stessi un processo della natura, e si possonodistinguere secondo la maturità dello sviluppo,dunque anche dell’organo con cui si pensa, che è unprodotto della natura altamente organizzato. Da ciò dobbiamo trarre un insegnamento basilare: afondamento del mondo materiale non stanno ledeterminazioni logiche proprie del pensierodialettico; di conseguenza le leggi della dialettica nonsono le leggi del pensiero estese o applicate allanatura. E’ vero il contrario: “La dialettica delle coseproduce la dialettica delle idee, e non inversamente”(Lenin).Le leggi di movimento e di sviluppo più generalidella natura, della materia, della società, nonché leleggi del riflesso della realtà nella coscienza umana,non si costruiscono a partire da mere elaborazionisoggettive, ma sono la riproduzione perfettibile dellarealtà oggettiva, del suo svolgersi, nella nostracoscienza. Solo come tali possono avere una basescientifica ed essere di guida nel processo dellaconoscenza. La dialettica soggettiva, cioè il pensiero dialettico incontinuo sviluppo, non è altro che larappresentazione consapevole della dialetticaoggettiva, delle proprietà generali della materia, delsuo incessante movimento, delle sue contraddizioni,

delle sue leggi di sviluppo. Essa non pone proprieleggi al mondo esterno, ma include tutta la ricchezzadell'essere senza porre alcun limite alle varietà delleforme di esistenza possibili. Il suo scopo è fornireuna giusta base, un metodo corretto per accostare, percomprendere la realtà concreta e le sue leggi.

IX. Nell’odierno circo Barnum revisionistaemergono inoltre posizioni che puntano a identificareil metodo-concezione di Marx con quello dellescienze positive. Ma tra scienza e ideologia vi è unadifferenza di qualità che deriva dal modo diverso incui si collocano le scienze, rispetto le ideologie, difronte ai rapporti di produzione, dal diversocondizionamento che subiscono. Marx quando citale forme appartenenti alla sovrastruttura nonannovera mai le scienze. Non si tratta di unadimenticanza, ma della precisa distinzione che egliopera fra scienza e forme della coscienza sociale. Esiste una differenza fondamentale fra ilmaterialismo dialettico e le scienze positive. Laconcezione scientifica del mondo rappresenta unsalto di qualità della conoscenza, il passaggio ad unlivello superiore di comprensione della realtà;significa elaborare categorie e leggi diverse da quelliin uso nei vari rami delle scienze, poiché il suocampo di applicazione è quello dei legami essenzialie necessari che si riscontrano, attraverso l'indaginepratica, in vasti gruppi di fenomeni, in tutti i campi.Le scienze, naturali e sociali, invece si sforzano discoprire le varie proprietà, lati e nessi (leggi) inerentiad un più limitato ambito di studio.Ad es. il concetto di materia può essere diverso perun fisico, un biologo o un chimico, perché ogniscienza ha le proprie leggi specifiche, mentre per ilmaterialismo dialettico il concetto di materia è legatoa tutto ciò che esiste oggettivamente, al di fuori dellacoscienza umana e indipendentemente da essa(l'anteriorità, la priorità della materia devono farescludere la relazione di equivalenza o dicomplementarità col pensiero). Questo perché ladialettica materialista è la scienza delle leggi piùgenerali dello sviluppo della natura, della società edel pensiero, è una concezione del mondo che non sisviluppa “a prescindere”, ma sulla basedell’esperienza della lotta di classe edall’avanzamento della ricerca scientifica. La riduzione del marxismo – teoria critica erivoluzionaria - a scientismo, a metodologismo, atecnicismo, la soppressione della Weltanschauung(concezione del mondo) e del programmarivoluzionario di liberazione marxista, hannoconseguenze disastrose nel rapporto con il naturale

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beneficiario della teoria rivoluzionaria, ilproletariato.Allo stesso tempo va ribadito che il materialismodialettico non è una “filosofia prima”, una metafisica,un sistema definitivo, chiuso, esauriente, non è una“filosofia della natura al di fuori o al di sopra dellescienze”, o un “metodo assoluto”. Al contrario è lanegazione della metafisica e dei sistemi, è la mortedella vecchia filosofia che pretendeva di dare unaspiegazione universale e definitiva del mondo e lanascita di una nuova filosofia che è arma scientificanelle mani del proletariato rivoluzionario, per laliberazione dal capitalismo.

X. Nel campo della teoria economica una delledeviazioni più ricorrenti è quella relativa allaformazione del prezzo delle merci, volta a spezzare ilnesso casualità-necessità e a negare il carattereobiettivo delle leggi (in questo caso quella del valore-lavoro). Nel mercato capitalistico il prezzo di una merce ènecessariamente determinato dal valore, cioè dallaquantità di lavoro sociale necessario alla suaproduzione. Se però il giorno x si verifica sul mercatoun afflusso di merce superiore alle possibilità degliacquirenti, il prezzo cade e la merce viene venduta adun prezzo inferiore a quello del suo valore.Viceversa, se si verifica un afflusso minore il prezzosale. Questi fatti rappresentano delle casualità. Noipossiamo indagare e conoscere le cause del minore omaggiore afflusso, ma ciò non toglie nulla al caratterecasuale delle oscillazioni dei prezzi in questo o quelmomento. E’ proprio attraverso queste deviazioni casuali in unsenso o nell’altro che si manifesta la necessità,esprimendosi come tendenza. Marx spiega ciò neiGrundrisse proprio utilizzando un fondamentaleconcetto dialettico: “Il valore di mercato si adegua alvalore reale attraverso le sue continue oscillazioni,mai attraverso un'equazione con il valore reale come terzo elemento, bensì ponendo costantemente sestesso come diverso (non, come direbbe Hegel,mediante l'identità astratta, bensì mediante lacontinua negazione della negazione, ossia di sestesso come negazione del valore reale)”.Come dobbiamo intendere allora il rapportocasualità-necessità? Dobbiamo intenderlo nel sensoche nella sfera della casualità vi sono i legami esterni, la superficie dove si verificano e si scontrano i piùdiversi processi e avvenimenti in modo provvisorio,instabile; la necessità invece ha nella propria sfera i legami interni, decisivi, essenziali. Chiaramente lescienze devono basarsi non sulla casualità, ma sulla

necessità, sulla regolarità, dunque sulle leggi che nonpossono essere annullate a capriccio, al fine diprevedere il corso fondamentale di un processo. La cosa importante, dal punto di vista della dialetticamarxista, è cogliere il legame reciproco ed organicofra necessità e casualità, la loro compenetrazione, laloro influenza reciproca, la possibilità di trasformarsil’una nell’altra nel processo di movimento e sviluppodi un fenomeno. Ciò poiché questi due aspetti delreale non sono divisi da una muraglia cinese (ad es.in biologia il ruolo della casualità incideprofondamente sull’evoluzione naturale che sidetermina in base ad inderogabili necessità). Se si capisce questo si comprende anche perché lacasualità è sempre legata alla necessità, si comprendeche le leggi si impongono attraverso formeapparentemente contrastanti che non annullano laloro validità, che la necessità si apre la via attraversola massa casuale dei singoli fenomeni, trovando lasua integrazione nella casualità. Chi rifiuta il materialismo dialettico è costretto agirare in un cerchio magico, quello della necessitàastratta e della casualità astratta. Per poter spezzare questo cerchio dobbiamo anzituttoriconoscere l’esistenza della casualità obiettivaaccanto alla esistenza oggettiva della necessità. Essenon sono caratteristiche del pensiero, della coscienza(nessi logici o postulati convenzionali), ma proprietàdegli enti materiali e dei loro nessi. Necessità e casualità non esistono separatamentel’una dall’altra ma in connessione organica. Ogni

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I l proletariato, grazie alla nuovaconcezione del mondo elaborata daMarx, Engels, Lenin e Stalin – che èla più grande conquista della filosofia

- ha la possibilità di conoscere etrasformare il mondo. Il materialismo

dialettico-storico dà all 'attivitàrivoluzionaria del partito del

proletariato un fondamento solido,consente di determinare strategia e

tattica della lotta di classe, di indicarei compiti, di mantenersi sulla via

rivoluzionaria, di costruirecoscientemente un superiore ordine

sociale, basato sulla proprietà comunedei mezzi di produzione e di scambio.

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fenomeno rappresenta l’unità del necessario e delcasuale.

XI. Il revisionismo oggi non ha certamente la forza diieri, ha perso molta della sua influenza. Ma non perquesto è meno pericoloso, poiché continua a produrreteorie strampalate e posizioni contrarie almaterialismo dialettico, da quelle sopra descritte finoal meticciato ideologico di tanti intellettuali pseudo-socialisti che hanno un ruolo nefasto nei movimentidi massa (vedi gli apologeti del “socialismo del XXIsecolo”, teoria piccolo borghese). Vi sono elementiche paiono vicini ai marxisti-leninisti (alcuni di lorofino a poco tempo fa si spacciavano per tali), cheusano un linguaggio apparentemente marxista, mache sono imbevuti di concezioni revisioniste edantidialettiche e conducono il loro attacco almarxismo-leninismo con armi più sofisticate. La lororetorica è “marxista”, ma le loro concezioni di fondo,la loro analisi, la loro linea politica è antimarxista eantileninista. L’attacco che conduconosistematicamente al pensiero ed all’opera di EnverHoxha non è certo casuale: in tal modo si svelanocome elementi organici al moderno revisionismo.

XII. La profondità della crisi generale delcapitalismo, il risveglio del proletariato e dei popoli,la durezza delle lotte che si vanno sviluppando aicinque angoli del pianeta, ci obbligano a riaffermarela nostra concezione scientifica della natura e dellasocietà, a svilupparla, ad affrontare una dura battagliacontro tutte le correnti che fanno parte del camponemico, per far chiarezza di fronte al proletariato edirigerlo verso la rivoluzione sociale. Mentresvolgiamo la lotta politica in termini ampi e con lanecessaria flessibilità tattica, dobbiamo dimostrare lamassima fermezza sulle questioni ideologiche,riaffermando i principi che hanno fatto delmarxismo-leninismo la scienza della rivoluzioneproletaria. Si avvicinano grandi battaglie. E’ di tutta evidenzal’importanza della concezione del mondo per unaclasse in ascesa, per una classe che mira a stabilire lasua egemonia, per il suo partito politico. Si pensi allaimportanza che ha avuto per la borghesia una nuovaWeltanschauung nella lotta contro il feudalesimo e ilsuo sistema di concezioni. Si pensi alla funzionedell’ideologia per far prendere coscienza agli uominidei conflitti sociali, alla sua importanza nel plasmaree nel far diventare più compatta, consapevole efiduciosa in se stessa la forza sociale che sicontrappone alle classi in declino storico. Si pensialla capacità di riunire gli elementi intellettuali della

classe progressiva, di cementare e dirigere alleanzegrazie alla funzione ideologica esercitata dal partito. Il proletariato, grazie alla nuova concezione delmondo elaborata da Marx, Engels, Lenin e Stalin –che è la più grande conquista della filosofia - ha lapossibilità di conoscere e trasformare il mondo. Ilmaterialismo dialettico-storico dà all'attivitàrivoluzionaria del partito del proletariato unfondamento solido, consente di determinare strategiae tattica della lotta di classe, di indicare i compiti, dimantenersi sulla via rivoluzionaria, di costruirecoscientemente un superiore ordine sociale, basatosulla proprietà comune dei mezzi di produzione e discambio. Gramsci aveva ben compreso ciò: “Marx è uncreatore di Weltanschauung… La fondazione di unaclasse dirigente (cioè di uno Stato) equivale allacreazione di una Weltanschauung ….Marx iniziaintellettualmente un’epoca storica che dureràprobabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizionedella Società politica e all’avvento della Societàregolata. Solo allora la sua concezione del mondosarà superata” (Quaderni del carcere). Egli ritenevache la concezione del mondo e della vita(materialismo dialettico e storico) doveva essere lachiave di volta del blocco storico, in grado di fornireuna visione ed un terreno comune ai suoi membri,condizione indispensabile per la trasformazionesociale. Perciò insistette a più riprese sull'importanzadecisiva dell'acquisizione e della diffusione dellaWeltanschauung del proletariato, di cui il “modernoPrincipe” (il Partito) doveva essere banditore.Un'ideologia originale, indipendente, autosufficiente,integrale, senza la quale si rimane subalterni allaborghesia e non si può costruire una nuova civiltà.

XIII. L'acquisizione del moderno materialismo, cioèil materialismo dialettico-storico è un presuppostoirrinunciabile per la ricostruzione del partitocomunista. Senza tale acquisizione perdurerà lo statodi confusione, di frammentazione, di divisione, didistacco fra il movimento comunista ed operaio.Chiunque attacca la dialettica materialista vuoleperpetuare questo stato di cose e seminare maggioreconfusione. Dunque è fondamentale fare propria laconcezione rivoluzionaria del mondo, difendendo iprincipi marxisti-leninisti dagli attacchi dellaborghesia e dei revisionisti. Da parte nostra non abbiamo dubbi: noi siamo conMarx, Engels, Lenin e Stalin, contro i modernirevisionisti e i rinnegati di tutte le risme.

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Riunione regionale europea dei partiti edelle organizzazioni marxisti-leninisti

Nel mese di maggio si è svolta con successo, in Danimarca, la riunione dei partiti e delle organizzazionieuropei aderenti alla Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML). Il dibattito, franco, ricco e concreto, ha dimostrato un elevato livello di unità politica ed ideologica ed haportato all’adozione di quattro risoluzioni: 1) Risoluzione politica generale; 2) Risoluzione di sostegno allalotta dei giovani; 3) Risoluzione sull’uscita dal nucleare; 4) Risoluzione di solidarietà con la lotta dei popoliarabi, particolarmente il popolo tunisino, e contro la guerra imperialista.Le pubblichiamo di seguito, sottolinendo ancora una volta la necessità inderogabile dell’unità del movimentocomunista internazionale, potente fattore nella lotta contro il revisionismo e l’opportunismo, per laformazione di autentici partiti comunisti. La CIPOML - espressione dell’internazionalismo proletario - è un punto di riferimento e di orientamentoideologico, politico e organizzativo insostituibile per i comunisti che lottano in tutto il mondo, nellaprospettiva di nuove rivoluzioni proletarie.Piattaforna Comunista si raccoglie sotto la sua bandiera, sviluppando la propria attività in strettaconnessione con la lotta e con gli sforzi del movimento marxista-leninista internazionale.

Nel mondo capitalista, ancora in profonda crisi, ilvento delle rivolte popolari e della rivoluzione soffiadal Maghreb e dai paesi del Medio Oriente. I popolidi questi paesi si sono sollevati, uno dopo l’altro,contro regími tirannici, in generale vendutiall’imperialismo. Lottano per la democrazia,vogliono vivere dignitosamente, vogliono poterlavorare, studiare e contribuire allo sviluppo deipropri paesi liberandosi da regimi corrotti che siarricchiscono a spese dei popoli e vendono i paesi ele loro ricchezze alle potenze imperialiste.

La rivoluzione è cominciata in Tunisia. Laresistenza della classe operaia, dei giovani, deicontadini, degli strati popolari, dei democratici, si èorganizzata nonostante la feroce repressione delregime di Ben Alì, appoggiato fino all’ultimomomento dai suoi padrini imperialisti.

In questa battaglia, il Partito Comunista degliOperai di Tunisia (PCOT) ha svolto un ruoloessenziale di direzione. Assieme ad altre forze, oggilotta per portare fino in fondo il processorivoluzionario che è in marcia. La rivoluzionetunisina ha cacciato Ben Alì ed ha spinto altri popolidel Maghreb e del Medio Oriente a sollevarsi.Dall’Egitto allo Yemen, dal Marocco alla Siria imovimenti si sviluppano, suscitando una corrente disimpatia tra i lavoratori, i giovani e i popoli delmondo.

Le potenze imperialiste, che considerano questaregione come loro riserva privata, sono state colte disorpresa. Fingono di appoggiare questi movimentipopolari per cercare di manipolarli. In Libia hannotrovato forze disposte a collaborare, e Sarkozy,

Cameron e Obama hanno lanciato una guerra che hagettato il paese nel caos. Per la prima volta nella suastoria la NATO è intervenuta militarmente in questaregione, chiarendo la volontà delle potenzeimperialiste di paralizzare i movimenti popolari e diottenere il controllo totale di tutte le risorse dellaLibia, specialmente il petrolio, il gas e l’acqua. Sonoanche interessate alla posizione geostrategica dellaLibia nel continente africano e nel Mediterraneo.

Come ha dimostrato il G-8, le grandi potenzeimperialiste parlano di «aiutare» questi popoli, ma altempo stesso li incatenano mediante i debiti. Ilmeccanismo dell’indebitamento costituisce oggi unostrumento essenziale della politica neocolonialedell’imperialismo. Denunciamo questa politica disottomissione, affermiamo che i popoli non hannobisogno di debiti, ma di tutto il contrario.

Nulla è ancora deciso, ma con questi movimenti,la lotta di classe assume una nuova dimensione alivello internazionale. Questi popoli si sono ribellatie hanno portato aria nuova alla rivoluzione, alla lottaper l’emancipazione nazionale e sociale. Hannodimostrato che sono i popoli che fanno la storia, e cheun popolo unito è capace di scardinare l’ordineimperialista, di liberarsi dalle dittature.

Si pone di nuovo all’ordine del giorno l’idea della rivoluzione

La classe operaia, i lavoratori, la gioventù e ipopoli del mondo, solidarizzano con queste battaglieche li ispirano e incoraggano a rafforzare la lottacontro il sistema capitalista imperialista che fa pagare

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loro la sua crisi. La crisi è lungi dall’essere conclusa,al contrario, c’è la minaccia di una nuova crisi: quelladel debito degli Stati, particolarmente all’internodell’Unione Europea (UE).

L’oligarchia finanziaria, i monopoli, hannoindebitato gli Stati per salvare il sistema finanziario,le banche e le grandi imprese. A questo scopo sonostati utilizzati migliaia di miliardi di fondi sottrattialle spese sociali. Allo stesso tempo, sono statiabbassati i salari, la disocccupazione è aumentataenormemente, la miseria e la precarietà colpisconosettori sempre più ampi delle masse.

I mercati finanziari che speculano sulla bancarottadegli Stati, esigono più austerità, nuoveprivatizzazioni, nuovi tagli ai diritti sociali. Persalvare l’euro, i dirigenti delle grandi potenze dellaUE, del Fondo Monetario Internazionale (FMI) edella Banca Centrale Europea (BCE), voglionoimporre un piano di mega-austerità, il «patto distabilità» che, in realtà, getta ancor più nella miseriae nell’insicurezza i lavoratori della città e dellacampagna, i giovani e le donne lavoratrici, mentreaumenta il super-sfruttamento delle imprese.

Per imporre questa politica di repressione sociale,i governi di destra, quelli socialdemocratici e social-liberali, rafforzano le leggi liberticide, criminalizzanola crescente protesta sociale. Non esitano a riprenderegli argomenti razzisti dell’estrema destra, la quale, asua volta, sviluppa un falso populismo. Denunciamoil potenziamento dell’«Europa fortezza», e gridiamoche «non sono i migranti quelli che debbono essereespulsi, ma Sarkozy, Berlusconi e soci».

La classe operaia, le masse popolari e ipopoli resistono e si rifiutano di pagare la

crisi del sistema capitalista

In molti paesi la gioventù, prima vittima delladisoccupazione e della precarietà, scende in strada,occupa le piazze delle città ed esprime la sua colleracontro una società che la lascia senza futuro.

In tutti i paesi, dalla Grecia alla Gran Bretagna,dal Portogallo all’Italia, dall’Irlanda alla Spagna, laclasse operaia e le masse popolari resistono emanifestano il loro rifiuto di pagare la crisi delsistema.

Lavoriamo per sviluppare questa resistenza, perampliare la solidarietà internazionale e farconvergere questi fronti di lotta nel rifiuto del sistemacapitalista, responsabile della crisi, delle guerre, degliincidenti come quello della centrale nucleare diFukushima. La ricerca del massimo profitto, sacrificala sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni.Appoggiamo la lotta dei lavoratori e i popolid’Europa che non vogliono pagare i debiti deicapitalisti, e proclamiamo che quelli che devonopagare sono i ricchi, gli speculatori, i grandi azionisti.

Appoggiamo le lotte per opporsi allaprivatizzazone e alla liquidazione dei servizipubblici, della sanità, dell’educazione, dellaprotezione sociale. Appoggiamo gli scioperi e le lottedei lavoratori per aumenti salariali, le mobilitazionicontro i licenziamenti, contro il dumping salariale esociale. Chiamiamo a rafforzare la lotta in ogni paesee a livello internazionale, contro il «patto distabilità».

Denunciamo e combattiamo il razzismo elottiamo per la uguaglianza dei diritti fra tutti ilavoratori, per lottare uniti contro i nostri comuninemici.

Denunciamo la politica di guerradell’imperialismo e chiamiamo ad incrementare lasolidarietà con le lotte dei popoli del Maghreb e delMedio Oriente.

Facciamo appello per formare una grandemovimento di appoggio al processo rivoluzionario inTunisia e alla solidarietà con il nostro partito fratello,il PCOT.

Lavoriamo per unire le forze che si oppongonoalla politica della borghesia e della reazione, allapolítica di guerra imperialista, per la creazione difronti di lotta, alla base e nell’azione.

La lotta di classe si è accelerata in poco tempo

Noi ci rivolgiamo alla classe operaia, allagioventù, ai lavoratori della città e della campagna,alle donne degli strati popolari, affinchèintensifichino la lotta per difendere i propri diritti e leproprie conquiste sociali e polítiche.

Ci rivolgiamo alle organizzazioni politiche e

Visitate il sitointernet della

CIPOML

http://www.cipoml.org

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sociali che vogliono rompere con questo sistema, perun cambiamento sociale, a prepararsi di fronte ainuovi sviluppi della lotta di classe, a battaglie escontri di maggiore ampiezza.

Viva la gioventù combattiva!

La gioventù di Spagna continua la sua azione aMadrid, a Barcellona e in decine di altre città delpaese. In Spagna, dove più del 40% dei giovaniè disoccupato, la gioventù si è riversata nelestrade per le sue rivendicazione essenziali evitali. La gioventù reclama lavoro, mezzieconomici sufficienti, case, diritto per tutti allaformazione e all’educazione.

La gioventù, mobilitata intorno allo slogan«Democrazia reale, ora!», manifesta la suaprotesta contro la devastazione causata dalsistema capitalista di sfruttamento e grida la suaribellione contro questo sistema.

Il sistema capitalista conosce una delle crisipiù profonde dell’ultimo secolo. Come sempre,passa il conto ai lavoratori che non hanno alcunaresponsabilità in questa crisi, mentre i monopolie le banche hanno riempito le loro tasche e leloro casse. Non scarica il peso della crisi solosulle spalle dei popoli e delle nazioni oppressedel mondo, ma anche sui lavoratori e sui popolidei paesi capitalisti avanzati. La gioventù èparticolarmente presa di mira da questi attacchi,e perciò si pone giustamente in prima fila nellalotta.

Con il suo dinamismo, la gioventù va allalotta frontale per affermare le sue rivendicazionie trasmette la sua forza, la sua energia e il suoentusiasmo alle generazioni precedenti.

La gioventù di Spagna e di tutta Europa,pronta a seguire il suo esempio, aspira ad averemigliori condizioni di vita e di lavoro; non vuoleessere condannata a condizioni di vita piùprecarie di quelle dei suoi genitori.

Noi, in quanto partiti marxisti-leninistid’Europa, membri della Conferenza di Partiti eOrganizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML),attribuiamo grande valore alla lotta dellagioventù di Spagna, che salutiamocalorosamente. Siamo convinti che lerivendicazioni del movimento, nei quali igiovani i giovani comunisti disimpegnano unruolo attivo, sono completamente giustificate,necessarie e realizzabili.

Chiamiamo i giovani d’Europa eparticolarmente quelli della Grecia, del

Portogallo, dell’Irlanda, della Gran Bretagna,che sono sottoposti al violento attacco delcapitale, ad ispirarsi con l’esempio dellagioventù di Spagna, a sollevarsi contro losfruttamento, contro la reazione, control’ingiustizia sociale, e a far avanzare questomovimento.

Se la gioventù è condannata a vivere «senzalavoro, senza casa, senza futuro», dimostra conla sua mobilitazione, che è anche capace divivere «senza paura».

Viva la gioventù che lotta! La gioventù è ilfuturo, il futuro è il socialismo!

L’energia nucleare e il capitalismo

sono una combinazioneletale!

Il disastro provocato dalla fusione dei reattorinucleari a Fukushima dimostra, una volta di più, chel’ambiente e la sicurezza dei lavoratori e dellepopolazioni sono sacrificati al desiderio di ottenere ilmassimo profitto, che domina nel modo diproduzione capitalista.

La lobby nucleare ha mentito costantemente,affermando che l’energía nucleare è «completamentesicura». Fukushima, Cernobyl e Harrisburg (ThreeMile Island) provano il contrario, come è dimostratoanche dal fatto che i monopoli finanziari del settoreassicurativo si rifiutano di assicurare gli impiantinucleari.

Anche se le centrali fossero completamente«sicure», ciò non risolverebbe il problema dellescorie radioattive. Questi rifiuti stanno avvelenandotutti i giorni gli oceani e i fiumi. Uranio e plutonio,abbandonati senza alcun tipo di protezione,contaminano vaste aree e le stesse centrali nucleari.

L’energia nucleare è assai costosa ed allo stessotempo è una sorgente limitata di energia.

La sicurezza dei lavoratori all’interno dellecentrali nucleari, e della popolazione nelle areecircostanti, è ignorata. Si vedono costretti a lavorarein aree contaminate, ed in caso di incidente sono iprimi a soffrirne le conseguenze.

A causa della strategia del «primo colpo» dellaNATO, l’Europa è anche contaminata da migliaia ditestate nucleari detenute da differenti potenzenucleari, in primo luogo gli USA. Esse sono unpotenziale disastro per tutti, «amici» o nemici». Ipopoli devono esigere che tali armi siano proibite nei

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loro territori, come hanno già fatto alcuni paesi. L’uso civile della energía atomica è un

sottoprodotto della produzione nucleare a finimilitari. Anche oggi, i due settori, il civile e ilmilitare, sono strettamente connessi. L’esercito e lapolizia sono inoltre incaricati di proteggere le centralinucleari, trasformate in zone semi-militari. In talmodo guasti e incidenti sono mantenuti segretiall’opinione pubblica, in flagrante violazione dellademocrazia.

Pertanto, le nostre rivendicazioni immediate sono: Sviluppare subito la produzione di energia

rinnovabile e non contaminante.Chiusura immediata di tutti i vecchi impianti

nucleari. No alla costruzione di nuove centrali. Le centrali esistenti devono essere chiuse il più

rapidamente possibile.Queste rivendicazioni sono giuste e ragionevoli. I

popoli non vogliono dipendere dall’energia nucleare.Il popolo italiano ha chiesto un referendum perimpedire la realizzazione di nuovi impianti nuclearinel suo paese. In Sardegna il 97% degli elettori, in unrecente referendum consultivo, ha detto no allecentrali nucleari e ai siti di stoccaggio delle scorie.

Esigiamo che i monopoli, responsabili dellacontaminazione e delle scorie radioattive causatedall’industria nucleare, paghino per i danni causati eper lo smantellamento delle vecchie centrali.

Ancora non sappiamo quali saranno leconseguenze a lungo termine dell’incidente diFukushima. Se una catastrofe di queste dimensioni èaccaduta in un paese sviluppato come il Giappone,disastri simili possono avvenire ovunque.

Il capitalismo e l’imperialismo sono incompatibilicon la protezione dell’ambiente; questo sistema èincompatibile con un futuro sostenibile.

Solidarietà con la lotta dei popoli arabi!

Noi, partiti e organizzazioni d’Europa, membridella Conferenza Internazionale di Partiti e eOrganizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML),affermiamo che le sollevazioni popolari inNordafrica e Medio Oriente sono state causate dallepessime condizioni materiali di vita delle massepopolari e dall’imposizione di regimi dispotici inquei paesi.

Queste condizioni sono obiettivamente peggioratecome conseguenza della crisi mondiale delcapitalismo.

Si tratta di problemi profondi, connessi allaproblematica della democrazia, e soprattutto dellaquestione sociale, dello sfruttamento, della povertà,della diseguaglianza, creati dalla politica imperialistadi saccheggio e oppressione dei popoli dei paesidipendenti.

I processi democratici e rivoluzionari proseguonoper la loro strada, con la lotta per l’abbattimento deiregimi dispotici e delle forze reazionarie, perliquidare completamente i privilegi dell’oligarchia,per conquistare le libertà politiche, per farla finitacon la dipendenza dall’imperialismo e aprire laprospettiva di una nuova società.

Gli avvenimenti dimostrano la capacitàrivoluzionaria dei popoli dei paesi dipendenti, deigiovani oppressi, che sono i veri protagonisti delprocesso in marcia.

Essi sono molto importanti per il proletariato,perché indeboliscono le posizioni del capitalismo, epossono trasformare i paesi dipendenti da riservedell’imperialismo a riserve della rivoluzioneproletaria.

Questi movimenti hanno in generale un carattereprogressista ed offrono insegnamenti preziosi per ilproletariato internazionale, poichè educano glisfruttati attraverso la lotta, infondono fiducia nelleproprie forze e pongono di nuovo all’ordine delgiorno l’idea della rivoluzione.

Appoggiamo risolutamente i movimentirivoluzionari e di liberazione dei popoli oppressi cherafforzano il fronte internazionale di lotta control’imperialismo. In particolare è necessarioappoggiare la rivoluzione democratica del popolotunisino contro la dittatura di Ben Ali, nella qualesvolge un ruolo importante il Partito Comunista degliOperai di Tunisia (PCOT) agendo con decisione echiarezza in questo processo rivoluzionario.

L’imperialismo cerca di schiacciare o controllare iprocessi rivoluzionari, utilizzando diversi mezzi, tra iquali il soffocamento economico. Perciò proponiamodi portare avanti un’ampia campagna di solidarietàinternazionale, esigendo la cancellazione del debito

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esterno della Tunisia. Il debito è un’arma notevolenelle mani dell’imperialismo per strangolare i popolie mantenere i paesi in condizioni di dipendenza.

Fin dall’inizio delle rivolte popolaril’imperialismo, in particolare l’imperialismo USA ele potenze europee quali Francia, Gran Bretagna,Italia, Spagna, Norvegia, etc., sono intervenute,direttamente o indirettamente, nella regione perrecuperare il controllo e trarre vantaggio dallasituazione.

La guerra che conducono le potenze imperialistein Libia, mediante il loro braccio armato, la NATO, èuna guerra reazionaria, imperialista, di saccheggiodei paesi dipendenti, di oppressione sociale enazionale, di asfissia dei movimenti rivoluzionari.

Gli obiettivi sono: installare in Libia un governofantoccio che permetta di comprare a prezzivantaggiosi petrolio, gas, acqua; appropriarsi dellaricchezza finanziaria libica; assumere il controllo diun’area strategica, ostacolando ed affogando lerivoluzioni popolari; espellere dalla regione altrepotenze capitaliste rivali.

E’ la prima volta che la NATO interviene in questaarea, e ciò fa parte della sua nuova strategia percontrollare la regione ed il continente. Dobbiamosmascherare e rifiutare la criminale política di guerrae di terrore della NATO, nella quale partecipa anchela UE.

Esigiamo la fine immediata della guerra, il ritirodelle forze armate imperialiste da Libia, Afghanistan,Iraq; esigiamo l’uscita dalla NATO e dalla UE, lachiusura delle basi militari USA, l’utilizzo del denaropubblico per i servizi e l’assistenza sociale, non per laguerra. Diamo impulso a una politica di pace e disolidarietà con i popoli in lotta.

Appoggiamo lo sviluppo del movimento popolaree difendiamo la sovranità e l’indipendenza nazionaledi ogni paese. Denunciamo le ingerenze e le minaccedi nuovi interventi imperialisti, specialmente in Siria.

Riaffermiamo la nostra solidarietà con il popolopalestinese e con la popolazione di Gaza sottoposta aun blocco disumano, organizzato dallo stato razzistadi Israele, ed esigiamo la sua immediata cessazione.Appoggiamo la lotta del popolo palestinese per ilriconoscimento, effettivo e completo, dei suoi dirittinazionali. Condanniamo la criminale política sionista

ed allo stesso tempo denunciamo la complicità alivello político, economico e militare della UE conIsraele.

Esigiamo la fine della politica razzista e xenofobacontro i migranti, che si estende in tutta Europa;denunciamo la militarizzazione del Mediterraneo daparte delle potenze imperialiste, che allo stessotempo parlano ipocritamente di diritti umani.

Denunciamo il parallelismo, propugnato dalleforze reazionarie, fra l’islam e il terrorismo.

Diciamo NO! alle manovre della ComissioneEuropea, che impone nelle sue relazioni con i paesiafricani la politica del libero mercato, delleprivatizzazioni e della distruzione dei servizipubblici.

Viva la lotta e la solidarietà dei popoli!Copenaghen, maggio 2011

Riunione regionale europea dellaConferenza Internazionale di Partiti eOrganizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML)

Partito Comunista degli Operai di Danimarca –APK

Partito Comunista di Spagna (marxista-leninista) –PCE(ML)

Partito Comunista degli Operai di Francia – PCOF

Organizzazione per la ricostruzione del PartitoComunista di Grecia (1918-1955)

Piattaforma Comunista d’Italia

Organizzazione Marxista-Leninista Revolusjon diNorvegia

Partito Comunista Rivoluzionario di Turchia –TDKP

Organizzazione per la costruzione di un PartitoComunista degli Operai di Germania

Visitate il sito internetwww.piattaformacomunista.com

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Con il quadruplo referendum del 12 e 13 giugno, il popoloitaliano ha fermato il piano di costruzione di centralinucleari voluto dal governo Berlusconi, ha impedito laprivatizzazione dell’acqua e la garanzia di profitto sulletariffe del servizio idrico; ha inoltre cancellato la legge sul“legittimo impedimento” che salvava il presidente delConsiglio dei ministri e i ministri dai processi penali.Nonostante il boicottaggio del governo – Berlusconi eBossi hanno fatto appello all’astensione - e ladisinformazione orchestrata dai principali mass-media, il“quorum” è stato ampiamente raggiunto. Circa il 57%degli elettori è andato a votare. Un risultato straordinario,considerando gli ostacoli frapposti fin dalla raccolta dellefirme.Fondamentale per il successo l’alta partecipazione dellecittà industriali del centro-nord, a conferma del ruolodecisivo della classe operaia. Ad ogni modo il quorum èstato raggiunto in tutte le regioni, segno che la protestasociale è in crescita dappertutto.I quattro SI sono passati a valanga, con percentuali intornoal 95%.E’ una vittoria dall’evidente significato politico: un rifiutodi massa dei diktat dei monopoli e dei loro rappresentantipolitici, della politica neoliberista e reazionaria chedomina da decenni, dei privilegi e delle impunità dellabanda di malfattori ai vertici della società. La diffidenza e l’avversione verso il mercato capitalistico,verso la logica del profitto, sono emerse dal voto popolare.Il risultato apre la strada ad altre battaglie per la difesa e losviluppo dei servizi sociali, contro il nucleare militare,contro i privilegi dell’oligarchia, etc. Ed aiuterà la lotta dialtri popoli d’Europa e del mondo.Il voto massivo dimostra che il periodo di riflusso e diapatia è alle nostre spalle, che l’onda lunga delle lotte alivello italiano ed internazionale produce i suoi beneficieffetti. La classe dirigente del paese si rivela sempre piùstaccata, distante e nemica delle necessità e delleaspettative più genuine e sentite del popolo.L’eccellente risultato del referendum suona per Berlusconicome la campana a morto. L’aria è cambiata, lamaggioranza degli italiani non lo vuole più, ma il governosopravvive grazie a leggi elettorali antidemocratiche e altrasformismo parlamentare di una ventina di transfughi.Il referendum ha aggravato la debolezza del governo, cheesce completamente delegittimato dal voto. Si esacerbanole contraddizioni nella sua maggioranza e dentro l’interofronte borghese. Dunque non solo nel rapporto privilegiatoBerlusconi-Bossi, ma anche fra i partiti della sinistraborghese che dopo aver fatto i pesci in barile per mesi, oradanno vita a passerelle inaccettabili. Non dimentichiamoche questi signori sono stati fra i paladini delleprivatizzazioni quando sono andati al governo centrale olocale.La vittoria referendaria premia il lavoro di fronte ampio

portato avanti da migliaia di associazioni, comitati,delegati sindacali, organismi politici e sociali. E’ stata unacampagna elettorale che ha visto un attivismo dal basso,capillare, dei lavoratori, dei giovani, delle donne delpopolo, con l’uso di molteplici strumenti dicomunicazione, con l’attivismo nei posti di lavoro, neiquartieri, nei caseggiati. In questo modo si è riusciti adabbattere il muro di silenzio e di disinformazione. Si èvinto perché ci si è coagulati e si è lavorato intensamentesu alcuni obiettivi. E quando c’è l’unità e la lotta, non c’èforza che possa impedire il trionfo della volontà popolare. La vittoria nei referendum può essere difesa e valorizzataunendo tutte le forze disponibili in un ampio frontepopolare contro l’offensiva padronale, la reazione politica,la negazione dei diritti, le minacce di guerra, ladevastazione dell’ambiente. Un fronte di lotta che si basisull’unità d’azione di tutte le organizzazioni operaie,popolari, giovanili, su un programma politicoanticapitalista, per rompere definitivamente con lepolitiche neoliberiste e social-liberiste, per cacciare con lalotta il governo reazionario di Berlusconi, per trasformareradicalmente la società. Per voltare pagina è fondamentale che l’esecutivoBerlusconi, che non ha più legittimità a governare, cadanelle piazze e nelle fabbriche. Dobbiamo intensificare lalotta, senza farci illusioni sulle sue dimissioni, macostruendo un potente movimento di massa che lo spazzivia. Durante la battaglia referendaria i comunisti hanno saldatola lotta per una nuova società agli obiettivi immediati.L’azione volta a sottrarre strati sempre più numerosi diproletari all'influenza ideologica e politica della borghesiae della piccola borghesia e condurli su un terreno di rotturacon un sistema in crisi profonda, si è fatta sentire. Nella situazione che stiamo vivendo, le masse in risvegliocominciano a percepire gli effetti, le conseguenze delcapitalismo su una serie di problemi vitali per l'esistenzaumana (ciò è di enorme importanza), ma noncomprendono ancora la necessità di colpire la causaprofonda di quegli effetti, il modo di produzionecapitalistico.Tocca ai comunisti elevare la coscienza di queste masse,soprattutto giovanili, per aiutarle a percorrere la strada checondurrà alla «situazione rivoluzionaria» ed alla conquistadi una nuova società fondata sulla proprietà comune diacqua, terra, mezzi di produzione e di scambio. Unasocietà volta alla soddisfazione dei bisogni materiali eculturali delle masse lavoratrici e non al massimo profitto,una società pianificata ed in armonia con le leggi dellanatura, in cui non vi siano più privilegi e immunità pernessuno. Perciò dobbiamo organizzarci, perciò dobbiamoricostruitre un autentico partito comunista, basato sulmarxismo-leninismo, che diriga la lotta delle massesfruttate ed oppresse.

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Senza propaganda rivoluzionaria non c’èmovimento rivoluzionario

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Teoria & Prassi , organo di Piattaforma Comunista n. 22 - luglio 2011 - 3 euro