Topics Schadenspiegel 1/2014 - Munich Re · Costi di terzi difficilmente controllabili 14 . Dennis...

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TOPICS SCHADENSPIEGEL Inondazioni Difesa idraulica: i vantaggi superano nettamente i costi Rischi tecnologici Riduzione dei danni in una centrale elettrica: operazione riuscita Costa Concordia La «manovra» giusta richiede un impegno notevole Relitti costosi Oggigiorno i costi della rimozione di un relitto in mare possono eccedere di gran lunga quelli di costruzione della nave stessa. Poiché sono costi difficili da quantificare è lecito chiedersi se sono ancora assicurabili. PAGINA 6 La rivista per i gestori sinistri Numero 1/2014

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TOPICSSCHADENSPIEGEL

Inondazioni Difesa idraulica: i vantaggi superano nettamente i costi

Rischi tecnologici Riduzione dei danni in una centrale elettrica: operazione riuscita

Costa Concordia La «manovra» giusta richiede un impegno notevole

Relitti costosiOggigiorno i costi della rimozione di un relitto in mare possono eccedere di gran lunga quelli di costruzione della nave stessa. Poiché sono costi difficili da quantificare è lecito chiedersi se sono ancora assicurabili. PAGINA 6

La rivista per i gestori sinistriNumero 1/2014

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oncordia Recupero dei relitti · Riduzione dei danni in una centrale elettrica · Difesa idraulica

1Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Ringrazio Torsten Jeworrek e sono contento di poter proseguire Schadenspiegel insieme ai colleghi dei reparti sinistri e al team della redazione.

In primo piano in questo numero ci sono ancora una volta i rischi tradizionali: avarie marittime, inondazioni e altre catastrofi naturali. Non mancano tuttavia anche nuovi aspetti: le dimensioni delle odierne navi da crociera si traducono in una sfida sul piano tecnico e in costi mai visti in caso di recupero in mare. La prevenzione, ma anche la stretta collaborazione di tutti i soggetti coinvolti dopo un sinistro stanno assumendo un’importanza sempre maggiore. I danni cd. collettivi, ossia derivanti da una stessa attività e che interessano migliaia di persone, impongono anche in Europa l’introduzione di meccanismi di ricorso collettivo innovativi. Tutti questi sviluppi rendono necessari sempre più sovente modelli di copertura tagliati su misura, capaci di rispondere in modo distintivo a esigenze specifiche.

Vi auguriamo una lettura stimolante e informativa.

Tobias BüttnerResponsabile di Sinistri aziendali in Munich Re

NOT IF, BUT HOW

Torsten JeworrekMembro del consiglio di gestione di Munich Re e presidente del comitato per la riassicurazione

Cari lettori,

i sinistri rappresentano notoriamente una competenza distintiva delle imprese assicuratrici, una qualità «speciale» che già da tempo va ben oltre la mera liquidazione del danno. I servizi di supporto al cliente e lo scambio di feedback con i settori operativi e lo sviluppo prodotti sono ugualmente elementi centrali di questa attività. I sinistri rivestono dunque un’importanza fondamentale anche e soprattutto negli affari, e una pubblicazione come Schadenspiegel, che si propone di offrire uno spaccato di tutto questo, è un utile e al contempo piacevole arricchimento.

In occasione dell’uscita del nuovo numero desidero informavi di un cambio di personale: il 31 dicembre dello scorso anno, dopo più di 30 anni di servizio in Munich Re è andato in quiescenza Nicholas Roenneberg, che è stato anche responsabile di Schadenspiegel. In un’intervista pubblicata a pagina 26 lui stesso ripercorre ancora una volta con la memoria i sinistri più significativi della sua lunga carriera. In questa sede desidero esprimere a Nicholas Roenneberg il mio ringraziamento personale per l’impegno profuso in tanti anni di lavoro per questa pubblicazione.

Allo stesso tempo affido Schadenspiegel a Tobias Büttner, suo successore nella funzione di responsabile di Sinistri aziendali. Tobias Büttner è in Munich Re da oltre 14 anni con funzione direttiva, prima nel settore Finanza/Investimenti e poi nella riassicurazione nel reparto Rischi speciali e finanziari. Sono molto lieto che ci sia una continuità e confido di leggere altri numeri di Schadenspiegel di grande interesse.

Prefazione

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Rischi in mare incalcolabiliIl trend verso navi passeggeri e mercantili sempre più grandi sembra inarrestabile. In caso di grave avaria il team di recupero si trova di fronte a sfide enormi. L’esempio della Costa Concordia dimostra che oggi la rimozione del relitto può arrivare a costare molto di più della stessa costruzione della nave. È lecito chiedersi dunque se tali costi difficilmente calcolabili e in forte crescita siano ancora assicurabili.

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3Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

40 32Nel caso di un incidente avvenuto in una centrale elettrica malese nel 2011 tutte le parti interessate hanno agito in modo esem-plare, nonostante le condizioni fossero avverse.

Ogni euro speso nella prevenzione è ben ripagato: gli investimenti nella difesa idrau-lica sono un affare altamente redditizio per la città di Amburgo.

RECUPERO DI RELITTIUn cambio di rotta dalle conseguenze fatali 6 Quali errori hanno portato al disastro della Costa Concordia?

La «manovra» giusta richiede un impegno notevole 10 La più spettacolare operazione di recupero nella storia della navigazione marittima è giunta quasi al termine.

Costi di terzi difficilmente controllabili 14 Dennis Brand, specializzato in recuperi marittimi, spiega quali sono gli aspetti importanti a cui bisogna prestare attenzione.

Relitti costosi 16 Le ragioni dell’esplosione di costi sono molteplici.

RISCHI TECNOLOGICI Frangiflutti in movimento 23 Piccola causa, grande effetto: lo spostamento di pochi massi ha reso necessaria la rimozione di più di un chilometro di diga.

INTERVISTACerti sinistri ti accompagnano per tutta la vita professionale 26 Nicholas Roenneberg parla dei cambiamenti nella gestione dei sinistri e degli attuali trend nel settore.

CAUZIONE Costosi errori nascosti 29 Con la crisi economica i progetti immobiliari in Spagna sono diventati un costoso investimento per le assicurazioni.

RISCHI TECNOLOGICI Riduzione dei danni in una centrale elettrica: operazione riuscita 32 La buona cooperazione tra assicurante, assicuratore ed esperti si è dimostrata l’elemento chiave per il successo delle operazioni.

CASUALTYRiforma del diritto processuale con effetti collaterali 36 Le modifiche procedurali riguardanti la liquidazione dei danni a persona incidono anche sugli assicuratori.

INONDAZIONI I vantaggi superano nettamente i costi 40 Ogni euro speso per le opere di difesa idraulica si ripaga da solo molte volte.

CASUALTY La tutela collettiva in Europa 45 Gli Stati membri sono chiamati a sviluppare modelli autonomi, ma la situazione giuridica rimane poco chiara.

Prefazione 1 Notizie aziendali 4 Rubrica 48 Colophon

Indice

4 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Il consiglio di sorveglianza ha nominato due nuovi mem-bri del consiglio di gestione. Doris Höpke (47) è stata eletta con effetto dal 1° maggio 2014 e va ad assumere la guida della divisione Salute.

Pina Albo (51) entra in consiglio di gestione con effetto dal 1° ottobre 2014 e condivide la responsabilità della divi-sione Europa e America Latina con Georg Daschner per poi assumere la carica in piena autonomia dal 1° gennaio 2015.

Dal 1° aprile 2014 Philipp Wassenberg è presidente e CEO di Munich Re of Canada e Temple Insurance of

Canada. In Canada Munich Re è fra i maggiori protagoni-sti della riassicurazione nel settore property e casualty.

È uscita una nuova opera di riferimento in lingua tedesca dedicata al diritto riassicurativo che tratta questo argo-mento complesso in un unico volume e contiene articoli inerenti a tutte le questioni giuridiche della riassicura-zione. Il libro è stato pubblicato dall’editore C. H. Beck di Monaco di Baviera a cura di Dieter W. Lüer e Andreas Schwepcke (ISBN 978-3-406-62975-4). Alla stesura hanno collaborato Tobias Büttner ed Eberhard Witthoff di Munich Re.

Notizie in breve

SEMINARI PER I CLIENTIKnowledge in dialogue

Munich Re offre ai gestori di satelliti commerciali una nuova soluzione assicurativa che copre l’intera vita operativa di un satellite. Anche nell’e-ventualità in cui durante il periodo di validità della polizza subentrino delle variazioni dello stato tecnico, le con-dizioni di assicurazione restano inva-riate. La garanzia copre il valore reale del satellite.

Le polizze standard finora offerte comprendono la cd. garanzia lancio, che inizia con il decollo del vettore e dura fino a un massimo di 12 mesi. Alla scadenza si può sottoscrivere l’assicurazione malfunzionamento in orbita, per la quale di norma è previ-sto il rinnovo annuale.

>> Maggiori informazioni alla pagina www.munichre.com/en/touchspace

RISCHI SPAZIALINuova assicurazione satelliti

SOCIAL MEDIA Seguiteci sui social media!

Già da diverso tempo è possibile commentare gli articoli di Topics Online sul nostro sito web, ora avete a disposizione anche diversi social media per entrare in contatto con Munich Re: vi aspettiamo su Twitter, Facebook, Google+, YouTube, LinkedIn e Xing.

Seguiteci e vi terremo aggiornati sugli argomenti chiave del mondo assicurativo: articoli interessanti, video informativi o tweets in tempo reale di eventi aziendali o appunta-menti del settore.

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Anche nel 2014 Munich Re offre un accattivante programma di seminari e workshop disegnati su misura per le esigenze della clientela internazio-nale. Si può scegliere tra quasi 50 eventi di formazione e aggiornamento su temi assicurativi e riassicurativi nei rami vita e danni, ma anche nel campo della gestione dei rischi d’im-presa delle compagnie assicuratrici.

Seminari e workshop si tengono a Monaco di Baviera e in diverse altre sedi della nostra organizzazione internazionale. Con il programma formativo intendiamo offrire ai nostri clienti un forum per condividere il sapere e fare rete.

>> Se desiderate partecipare a un seminario contattate il vostro gestore clienti.

NOTIZIE

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Mai come oggi è essenziale per gli assicuratori di tutti rami, a fronte di un aumento della frequenza degli eventi meteorologici, valutare in maniera precisa le esposizioni e i potenziali di danno derivanti dai rischi naturali.

Dal 2011 offriamo ai nostri clienti NATHAN Risk Suite. NATHAN sta per Natural Hazards Assessment Net-work ed è un pacchetto di strumenti che consentono di stimare i rischi naturali per singole ubicazioni di rischio nonché per interi portafogli con precisione al numero civico in tutto il mondo. Sulla base di dati geocodificati sul portafoglio e sui sinistri vengono analizzate e visualizzate complesse correlazioni terri-toriali.

Da quest’anno NATHAN include anche le nuove zone di rischio inondazione, che offrono un livello di accu-ratezza mai raggiunto in tutto il mercato assicurativo. Le nuove mappe della pericolosità da piena sono stan-dardizzate a livello mondiale e permettono una valuta-zione coerente, e di conseguenza più efficace, delle ubicazioni di rischio. I vantaggi sostanziali della zona-zione sono la copertura globale, l’utilizzo comune di un modello del terreno digitale con una risoluzione spaziale di 30 m e dati idrologici di base di alta qualità.

NATHAN supporta sottoscrittori e risk manager nella valutazione dei rischi naturali nell’assicurazione diretta e nella riassicurazione e aiuta a dare una rispo-sta alle domande seguenti:

− Dove sono ubicate le esposizioni più significative del nostro portafoglio e qual è la loro qualità?

− Dove possiamo sottoscrivere nuovi affari senza aumentare i rischi di perdita da inondazione?

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Nel 2014 Nathan Risk Suite è stata insignita del Geospatial World Excellence Award. >> Per maggiori informazioni potete rivolgervi

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Valutare con precisione i rischi inondazione

NOTIZIE

Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014 7

Dopo la collisione con uno scoglio sommerso l’affondamento della Costa Concordia era unica-mente una questione di tempo, visti i gravi danni. Solo grazie a circostanze fortunate non si è registrato un numero maggiore di vittime.

Un cambio di rotta dalle conseguenze fatali

Un’immagine aerea della Costa Concordia adagiata sul fianco dinanzi all’isola del Giglio il 26 agosto 2013

Olaf Köberl

Il cosiddetto «inchino», una manovra delle navi pas-seggeri con la quale le imbarcazioni transitano il più vicino possibile alla costa e salutano le persone a terra con la sirena da nebbia, non è di per sé una manovra critica. Devono tuttavia sussistere determi-nati presupposti per garantire la sicurezza di passeg-geri e nave. Era già avvenuto nel 2008 e nel 2011, sempre nel mese di agosto, che la nave da crociera Costa Concordia lasciasse la rotta prevista per transi-tare in prossimità delle coste dell’isola del Giglio. In ambedue le occasioni l’inchino avvenne di giorno e a velocità ridotta, affinché i passeggeri potessero godere della vista sull’isola. Ma il 13 gennaio 2012 la deviazione dalla rotta originaria verso il Giglio ebbe conseguenze fatali.

La dinamica dell’incidente

Quando la Costa Concordia lasciò il porto di Civita-vecchia intorno alle 19:00 con 3.206 passeggeri e 1.023 membri di equipaggio a bordo, era già stato sta-bilito che la nave avrebbe modificato la consueta rotta attraverso il Mediterraneo occidentale per transitare notevolmente più vicino del solito alle coste orientali del Giglio. Il capitano Francesco Schettino aveva evidentemente intenzione di rendere omaggio allo chef di uno dei ristoranti della Costa Concordia che

COSTA CONCORDIA

278°

334°

302°

rotta originaria

Isola del Giglio

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è originario dell’isola e che il giorno successivo sarebbe stato sostituito durante lo scalo a Savona. La deviazione dalla rotta originaria di 302° a quella di 278° (vedi grafico) avvenne due ore ca. dopo la par-tenza, verso le 21:00. Alle 21:20, quando la nave si tro-vava a quasi sei miglia nautiche dal Giglio, il capitano Schettino venne avvisato dell’approssimarsi all’isola e poco dopo giunse sul ponte di comando.

Intorno alle 21:34 il primo ufficiale iniziò a far virare la nave secondo la rotta modificata a dritta per 334°, navigando così parallelamente alla costa del Giglio. Era previsto di doppiare l’isola a una distanza di mezzo miglio marino. Poco dopo però Schettino prese il comando e, con sorpresa del primo e del terzo uffi-ciale, ordinò al timoniere di mantenere l’attuale rotta per 300° e virare solo lentamente, cosicché la nave continuò tra le 21:38 e le 21:40 a dirigersi verso l’isola. Al contempo il capitano diede ordine al primo ufficiale di aumentare la velocità a 16 nodi.

Secondo i dati rilevati dal sistema di identificazione automatica AIS la deviazione dalla rotta verso dritta venne effettuata molto tardi e con esitazione. Quando sul ponte di comando si realizzò che la nave stava puntando verso un gruppo di scogli sommersi, si diede un colpo al timone. Malgrado il comando «tutta a dritta» impartito poco prima dell’incidente non fu possibile schivare le rocce. Alle 21:45 la Costa Concordia impattò a babordo su uno scoglio che squarciò lo scafo sotto la linea di galleggiamento per una lunghezza di ca. 40 m. La nave imbarcò subito una grande quantità di acqua e in un breve arco di tempo si bloccarono le macchine e tutti i motori ausi-liari, mentre rimase in funzione solo l’illuminazione d’emergenza alimentata dalle batterie. La Costa Concordia, immanovrabile e senza l’azione dei mezzi

Fonte: Marine Casualties Investigative Body Italy, Casualty Investigation Report

propulsivi, proseguì in un primo momento la sua corsa per effetto dell’abbrivio e poi si fermò. Il vento e la cor-rente fecero quindi ruotare la nave sul proprio asse sospingendola verso la costa del Giglio, dove si ada-giò sul fondale roccioso con un notevole sbanda-mento.

Le responsabilità del team sul ponte di comando

Come spesso avviene in caso di catastrofi, le cause che hanno provocato il disastro sono molteplici. Doppiare l’isola del Giglio a mezzo miglio nautico di distanza non è una manovra problematica, come dimostrano altre analoghe navigazioni avvenute in passato, nella misura in cui venga effettuata secondo una preordinata e sicura pianificazione della rotta, adeguata alle condizioni locali. Ciò significa soprat-tutto scegliere una velocità opportuna. Nel caso della Costa Concordia la velocità di 16 nodi, associata a una rotta di avvicinamento alla costa quasi ad angolo retto va interpretata come un fattore critico. Sarebbe stato più sicuro impostare la rotta per il Giglio già molto prima, dopo la partenza da Civita vecchia, per riuscire a doppiare l’isola sfilando parallelamente alla costa per la sua lunghezza. Così si sarebbero potute effet-tuare, a ll’occorrenza, piccole correzioni di rotta per portarsi più sotto costa oppure allargare. Se invece, come è di fatto accaduto, nell’approccio ad angolo retto si cambia la rotta in ritardo a una velocità di quasi 16 nodi, bastano già pochi minuti, se non secondi, per avvicinarsi pericolosamente alla costa. Poiché su ordine del capitano la Costa Concordia virò troppo tardi, il raggio di virata non fu sufficiente per aggirare lo scoglio. Anche se il capitano ha violato il proprio obbligo di diligenza, gli ufficiali presenti sul ponte di comando avevano il dovere di provvedere a una navigazione sicura. Il team di comando in plancia

Fig. 1: Ricostruzione della rotta pianificata

COSTA CONCORDIA

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autorizzazioni straordinarie attraverso disposizioni nazionali.

Nel caso della Costa Concordia p. es. in determinate condizioni non tutte le paratie stagne dovevano essere necessariamente chiuse durante la naviga-zione, per cui grandi masse d’acqua hanno potuto inondare velocemente ampie sezioni dello scafo. Secondo i dati delle autorità inquirenti non sarebbe stato comunque possibile salvare la nave neppure a paratie chiuse perché nella collisione furono danneg-giati in totale quattro compartimenti e la nave era costruita per far fronte all’allagamento di due soli compartimenti.

Nella costruzione delle navi da crociera si dovrebbe in futuro prestare attenzione a posizionare gli impor-tanti gruppi elettrogeni d’emergenza in modo tale che possano effettivamente funzionare in modo indipen-dente tra loro. Ci si dovrebbe inoltre porre la domanda se i mezzi di salvataggio in uso come scialuppe e zat-tere autogonfiabili siano sufficienti per evacuare in un lasso di tempo adeguato navi da crociera di stazza sempre maggiore. Nelle navi passeggeri di recente costruzione vengono p. es. installati degli scivoli d’e-mergenza come quelli degli aerei. Secondo la Con-venzione SOLAS i natanti d’emergenza devono poter essere calati fuori bordo fino a un’inclinazione di 20°. La Costa Concordia raggiunse e superò in brevissimo tempo i 30°. Si dovrà quindi ripensare la progetta-zione dei mezzi di salvataggio e dei dispositivi per ammainarli.

Anche quando si ottemperi all’intero apparato norma-tivo, ci si deve chiedere con spirito critico se gli stan-dard attuali siano ancora adeguati viste le dimensioni delle navi da crociera di recente varo e se a tutt’oggi ogni possibilità tecnica a disposizione dell’industria crocieristica sia davvero sfruttata.

IL NOSTRO ESPERTO:

Olaf Köberl è capitano e avvocato. Ha al suo attivo un’esperienza decennale come ufficiale nautico su navi cisterna e portacontainer. Dal 2010 è respon-sabile del Centro di Competenza Sinistri trasporti in Munich [email protected]

avrebbe dovuto inoltre assicurarsi, prima di iniziare il viaggio, che a bordo fossero disponibili carte nautiche precise relativamente al tratto della variazione di rotta, ma ciò non avvenne.

Lo sbandamento rende più difficile l’evacuazione

Va considerato estremamente problematico l’ordine di evacuazione impartito in ritardo. Proprio nel caso di navi passeggeri con migliaia di persone a bordo un’o-perazione di questo tipo deve essere avviata al più presto per consentire di calare in mare le scialuppe prima che l’inclinazione diventi troppo forte. Il fatto che la nave sarebbe affondata fu ben presto chiaro, perlomeno a parte dell’equipaggio nonché all’ufficiale di macchina, considerato che la larga falla interessava quattro compartimenti stagni. Ciò malgrado solo un’ora dopo la collisione si decise di mettere in salvo i passeggeri.

Quando arrivò l’ordine di evacuazione lo scafo si era inclinato di quasi 10° a dritta. Lo sbandamento aumentò nei successivi 20 minuti fino a 30°, tanto che non fu più possibile calare in acqua da babordo tutte le scialuppe di salvataggio. Per passeggeri e membri dell’equipaggio divenne inoltre sempre più difficile riuscire a spostarsi con lo scafo così inclinato, circostanza che causò molti feriti. Malgrado tutte le difficoltà si riuscì a salvare e portare a terra entro le 5:45 del mattino successivo quasi tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio. I soccorsi arrivarono troppo tardi per 32 persone.

Maggiori sforzi per garantire la sicurezza delle navi in caso di collisione

Dopo l’incidente l’armatore della Costa Concordia ha cambiato la gestione della sicurezza e introdotto nuove disposizioni in merito alla navigazione, alla presenza del personale in plancia e alle esercitazioni di sicurezza per i passeggeri. La presenza di ufficiali nei turni di guardia sul ponte di comando è stata p. es. raddoppiata. Al contempo l’equipaggio in plancia è tenuto ad analizzare criticamente le decisioni del capitano e a segnalargli eventuali errori. L’armatore ha inoltre introdotto un sistema di monitoraggio a livello mondiale per controllare la posizione delle navi.

Per quanto riguarda la sicurezza degli scafi in caso di collisione e le disposizioni relative alle paratie stagne, sono già in atto sforzi per migliorarle e uniformarle. La Convenzione internazionale SOLAS per la salva-guardia della vita umana in mare contiene direttive ad ampio spettro sui doveri delle società crocieristi-che e su tutte le funzioni, gli standard e le procedure rilevanti per la sicurezza a bordo delle navi. Esistono tuttavia ancora dei punti deboli perché lo Stato di cui una nave batte bandiera può in parte rilasciare

>> Maggiori informazioni sulla Costa Concordia in Topics Schadenspiegel 1/2013, p. 6.

COSTA CONCORDIA

10 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

invernali di fine 2012 e altre fasi di maltempo, ma anche con i problemi tecnici che il team di recupero ha dovuto affrontare. Nel maggio 2013 Munich Re ha potuto farsi un’idea della situazione sul posto.

Terreno vergine per tutti gli interessati

Soprattutto la richiesta delle autorità italiane di recu-perare il gigante d’acciaio pesante 50.000 t mante-nendolo integro per evitare il più possibile danni ambientali ha posto la squadra di recupero davanti a notevoli problemi. Nella storia della navigazione un progetto di queste dimensioni non era mai stato affrontato, quindi tutti le parti in causa hanno dovuto addentrarsi in un terreno inesplorato. Ad aggiudicarsi i lavori sono stati lo specialista statunitense in recu-peri Titan Salvage e la ditta italiana Micoperi, che dispone di una notevole competenza nella costru-zione di strutture sottomarine.

Il progetto dei due operatori, i cui singoli passaggi sono dettagliatamente riportati all’indirizzo Internet theparbucklingproject.com, prevedeva una manovra rischiosa, che doveva essere preparata con precisione e grande impegno. I piani hanno richiesto continui adeguamenti per tenere conto dei più recenti riscontri delle misurazioni.

Olaf Köberl

L’operazione di recupero più spettacolare nella storia della navigazione marittima è giunta quasi al termine. Quando la Costa Concordia avrà raggiunto il suo ultimo porto si capirà se il preventivo di ca. 900 mln US$ coprirà effettivamente tutte le spese.

Il recupero del più grande relitto di nave passeggeri della storia (il doppio del Titanic) ha subito ripetuti ritardi. In realtà l’operazione doveva concludersi nell’estate 2013, ma solo in settembre è stato possi-bile raddrizzare lo scafo e nella primavera del 2014, a oltre due anni di distanza dall’incidente, la nave si trova ancora davanti al porto dell’isola del Giglio. Gli assicuratori diretti e i riassicuratori coinvolti seguono questi sviluppi con preoccupazione, non da ultimo perché i vari rinvii a partire dal maggio 2012 hanno triplicato i costi di recupero, portandoli a ca. 900 mln US$ e non si escludono ulteriori rincari. I ritardi vengono giustificati con le violente tempeste

La «manovra» giusta richiede un impegno notevole

La Costa Concordia davanti all’isola del Giglio, nuovamente in assetto verticale dopo il parbuckling del settembre 2013

COSTA CONCORDIA

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Enormi sollecitazioni sulla struttura della nave

Dal maggio 2012 fino a 500 persone, soprattutto sommozzatori e saldatori, hanno lavorato quotidiana-mente alla preparazione del cd. parbuckling. Dal momento dell’incidente la nave si trovava inclinata di ca. 70° a dritta sopra un fondale roccioso davanti alla costa dell’isola del Giglio; oltre due terzi dello scafo erano sommersi. Poiché il peso della nave gravava interamente sulla roccia del fondale il fianco di dritta si è progressivamente deformato indebolendo la struttura.

Inizialmente è stato necessario mettere in sicurezza il relitto per impedire che potesse scivolare lungo il fondale scosceso. A questo scopo cavi e catene d’ac-ciaio sono stati saldati al centro dello scafo, fatti passare al di sotto dello stesso e ancorati sul fondo marino verso la costa. In seguito ulteriori funi e catene sono state tese sotto al relitto per poter controllare il raddrizzamento regolare dello scafo in una fase suc-cessiva. Per questa operazione sono stati impiegati martinetti idraulici come quelli usati per la trazione di carichi elevatissimi nella costruzione di ponti. Lo scafo ha richiesto notevoli rinforzi in alcune zone per evitare che le catene e le funi, con la forza esercitata una volta messe in tensione, potessero spezzarlo.

Perforazioni su un difficile terreno roccioso

La fase successiva del recupero prevedeva la costru-zione di una piattaforma sottomarina in acciaio e l’ap-plicazione di cassoni di galleggiamento allo scafo della nave. Per ottenere una superficie piana su cui la Costa Concordia potesse appoggiarsi una volta rad-drizzata, il fondale marino accidentato doveva essere livellato su una superficie equivalente a tre campi da calcio. Migliaia di sacchi appositamente preparati sono stati collocati sotto la nave e riempiti con un totale di 20.000 t di cemento. Sei piattaforme in acciaio sono state poi ancorate al fondale marino: le due più grandi pesavano ca. 1.000 t. Questa opera-zione si è dimostrata molto complessa e ha ritardato notevolmente l’intero progetto.

È stato necessario eseguire 21 trivellazioni con un dia-metro di 2 m e profondità fino a 15 m attraverso diffe-renti formazioni rocciose con inclusioni sabbiose, coinvolgendo anche ditte specializzate che normal-mente eseguono trivellazioni nel settore petrolifero offshore. Tutti i sacchi di cemento e le piattaforme posati sott’acqua dovranno essere recuperati a lavori ultimati.

1 Falso fondale e cassoni di galleg-giamento a babordo

2 Rotazione in assetto verticale (parbuckling)

3 Cassoni di galleggiamento a dritta4 Rigalleggiamento

Parbuckling

COSTA CONCORDIA

12 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

IL NOSTRO ESPERTO:

Olaf Köberl è capitano e avvocato. Ha al suo attivo un’esperienza decennale come ufficiale nautico su navi cisterna e portacontainer. Dal 2010 è responsabile del Centro di Competenza Sinistri trasporti in Munich [email protected]

Per riportare la nave in assetto verticale sono stati sal-dati sul fianco sinistro del relitto che emergeva dal mare 11 cassoni di galleggiamento. I più grandi pesano ca. 500 t e sono alti fino a 11 piani. I cassoni assolvono a una doppia funzione: riempiti d’acqua a partire da un certo angolo di inclinazione, hanno faci-litato il ribaltamento dello scafo; vuoti serviranno invece a dare allo scafo la spinta idrostatica necessa-ria per il rigalleggiamento prima della rimozione del relitto. Si tratta di speciali serbatoi in pressione di alta tecnologia che da un lato hanno permesso un riempi-mento controllato e dall’altro dovranno garantire una spinta di galleggiamento omogenea. Con il riassetto verticale della nave, eseguito nel settembre 2013 sotto gli occhi attenti della stampa internazionale, è stata completata una tappa cruciale del recupero. Si auspica quindi che l’operazione possa essere portata a termine senza grandi ritardi.

Rimozione in tempi ancora non definiti

Come si prevedeva l’estensione dei danni sul lato di dritta è ingente, ma lo scafo ha mantenuto una stabi-lità sufficiente per resistere alle intense forze di tra-zione e pressione subite durante il parbuckling. Dopo che il relitto, terminato il riassetto verticale, è stato preparato per l’inverno, il programma ne prevede il trasporto verso un cantiere navale per la demolizione entro l’estate 2014. A questo scopo dalla primavera 2014 sono in corso i lavori per applicare ulteriori cas-soni sul fasciame del lato di dritta ampiamente defor-mato; assieme a quelli sul lato opposto diminuiranno il pescaggio della nave da 30 a ca. 19 m.

Per la rimozione, oggetto di un appalto separato e affidata alla ditta di recuperi navali olandese Boskalis, rimangono in gioco due opzioni. La Costa Concordia verrà trainata da rimorchiatori fino a un porto idoneo alle operazioni di demolizione oppure verrà caricata in una sorta di bacino galleggiante e trasportata a desti-nazione, operazione che richiederebbe l’impiego della nave semisommergibile più grande del mondo, la Dockwise Vanguard.

Anche se tutto dovesse svolgersi secondo i piani e senza ulteriori incrementi di spesa, la Costa Concordia passerà comunque alla storia come l’operazione di recupero marittimo più costosa di sempre. È inevita-bile chiedersi se vada considerato come un evento centennale oppure se in futuro dovremo confrontarci più spesso con sinistri di responsabilità civile di que-ste proporzioni. La tendenza all’incremento dei costi di recupero è in ogni caso innegabile.

>> Maggiori informazioni alla pagina http://www.theparbucklingproject.com/

COSTA CONCORDIA

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* La formula su cui si basano tutte le assicurazoni: premio = probabilità di occorrenza x costo del sinistro assicurato

Con i seminari di Munich Re approfondite le vostre conoscenze specifiche e ricevete informazioni sugli sviluppi più recenti del settore.

Approfittate delle conoscenze specialistiche di prim’ordine dei nostri esperti e dello scambio di esperienze con i colleghi di altre imprese. Nel programma di seminari di Munich Re troverete certamente la proposta che fa per voi.

Per maggiori informazioni sui nostri seminari contattate il vostro manager clienti o visitate il portale clienti all’indirizzo connect.munichre.

NOT IF, BUT HOW

Le vostre conoscenze sono davvero aggiornate?

13Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

14 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Costi di terzi difficilmente controllabili

Lo specialista in recuperi marittimi Dennis Brand spiega quali sono gli aspetti rilevanti nel recupero di un relitto e perché un conteggio sulla base di prezzi fissi non sia necessariamente vantaggioso per gli assicuratori.

Nel caso di grandi progetti da realiz-zare in tali condizioni è di fatto possi-bile effettuare una stima attendibile dei costi?

Per ogni recupero posso predisporre un prospetto dei costi in tempi brevi. Quanto maggiore è l’incertezza, tanto più elevato sarà il preventivo di spesa, oppure escludo in anticipo alcuni fattori. Una gran parte dei costi sfugge tuttavia al nostro con-trollo. Una moderna azienda di recu-peri marittimi dispone di pochi equi-paggiamenti speciali di proprietà come rimorchiatori, gru o piatta-forme e deve ricorrere a fornitori spe-cializzati. Questi costi di terzi, che possono arrivare a costituire il 70–90% della somma finale, sono cresciuti in modo esorbitante negli ultimi anni perché il mercato si è ridotto e vi sono sempre meno imprese che mettono a disposizione tali dotazioni speciali. Una società di recuperi deve considerare adeguata-mente il rischio connesso a tali costi se le vengono richiesti dei prezzi fissi per le sue prestazioni. In questo modo il preventivo di spesa di un pro-getto può rapidamente raddoppiare.

Se invece si ragionasse in termini di tariffe giornaliere, in molti casi gli assicuratori potrebbero risparmiare del denaro. Gli assicuratori temono però questo rischio perché nel pas-sato alcune aziende hanno esagerato. Per tenere sotto controllo i costi, il rapporto di fiducia tra assicuratori, armatori e società specializzate dovrebbe davvero migliorare.

Topics Schadenspiegel: Recuperare il relitto della Costa Concordia costerà molto di più di quanto a suo tempo si spese per costruirla. Quale tipo di costi bisogna aspettarsi nel caso di un recupero navale?

Dennis Brand: I costi per i recuperi di grande complessità sono esplosi negli ultimi anni. Da un lato le navi diventano sempre più imponenti e i costi di queste operazioni crescono in misura sproporzionata, dall’altro è aumentata sia la coscienza ambientale, sia l’influenza della mano pubblica. La politica fa pres-sione sulle autorità tanto che in quasi ogni recupero vengono prese deci-sioni di difficile comprensione. Ad esempio pompare olio combustibile pesante dalle cisterne di una nave arenata su una spiaggia è un’opera-zione che comporta dei rischi per l’ambiente, tuttavia le autorità pre-tendono spesso questa misura, per-sino quando non sussiste il pericolo di una fuoriuscita di carburante dal relitto.

Un ulteriore determinante di costo è la privatizzazione dei settori pubblici. Un tempo si poteva trainare la nave recuperata verso il porto più vicino, ma oggi le banchine sono per lo più privatizzate e quindi vengono a gra-vare alte tariffe di ormeggio.

Chi prende la decisione finale sul tipo di recupero e di conseguenza sui relativi costi?

La società interessata normalmente elabora un progetto sulle modalità di recupero del relitto e calcola i relativi costi. Se le autorità non concordano con il progetto, è necessario fare un’intensa opera di convincimento oppure sviluppare delle alternative. Negli ultimi anni gli spazi di manovra in questo senso si sono ridotti.

Anche l’urgenza ha un ruolo non indif-ferente. Un’impresa come il recupero della Costa Concordia è sostanzial-mente affine alle attività offshore; i progetti nel settore petrolifero pos-sono contare normalmente su una fase preparatoria di diversi anni, men-tre l’offerta per la rimozione di un relitto deve essere approntata in tempi molto più brevi. L’urgenza dipende spesso dal cambiamento delle condizioni del relitto e dal peg-gioramento del suo stato. Nel caso di grandi progetti che si protraggono per un lungo periodo non bisogna poi trascurare gli aspetti di diritto del lavoro. Può accadere che la gestione del personale impiegato nelle opera-zioni debba attenersi alle disposi-zioni del sistema di assicurazioni sociali dello Stato dove avviene l’in-tervento e che quindi le aziende deb-bano contabilizzare tali oneri in modo diverso dal consueto. Infine vi sono le problematiche fiscali. L’impressione comune è che tutto il mondo sia divenuto più complesso.

Dennis Brand è amministratore di BRAND MARINE CONSULTANTS GmbH di Amburgo e Special Casualty Represen-tative dei Lloyd’s.

INTERVISTA

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Quali aspetti tecnici o fattori di rischio vanno tenuti in considera-zione nel caso di un recupero?

I rischi maggiori sono le condizioni atmosferiche e naturalmente l’in-flusso delle autorità. Nel caso di cari-chi particolari come gas refrigerati o compressi è necessaria una parti-colare cautela. Spesso tuttavia non si conoscono tutti i dettagli del carico di una nave portacontainer e questa incertezza può trasformarsi in un determinante di costo se emerge che a bordo sono presenti merci perico-lose.

Esistono navi progettate per facilitarne il recupero?

Sono stati fatti ripetuti tentativi in questo senso, ma nel concreto gli sviluppi sembrano andare nella dire-zione opposta. È più facile disinca-gliare una nave degli anni Sessanta e Settanta rispetto a una grande por-tacontainer varata appena qualche anno fa. Per ragioni di costo le navi oggigiorno vengono costruite più in prossimità dei valori limite. Se tempo fa per lo spessore dell’acciaio si teneva in considerazione un determi-nato margine di sicurezza, oggi si impiega direttamente il valore minimo di progetto. In caso di recupero que-sti scafi richiedono più cautela rispetto a strutture più robuste. Le grandi navi moderne richiedono quindi un impegno assai superiore per evitare che si danneggino o che addirittura si spezzino.

Quali esperienze esistevano con il procedimento di parbuckling prima della Costa Concordia?

Parbuckling significa semplicemente raddrizzare una nave che è inclinata su un lato o appruata. Il procedimento in sé è presumibilmente antico quanto la navigazione stessa, solo la tecnolo-gia è mutata: per raggiungere il risul-tato possono essere impiegati tanto catene e funi quanto cassoni di gal-leggiamento. Le difficoltà, nel caso dei moderni giganti oceanici, risie-dono nel calcolo del baricentro e nell’applicazione ottimale alla strut-tura della nave delle forze necessarie perché il riassetto verticale abbia successo.

Vi sono tipologie di navi più soggette ad avarie rispetto ad altre?

Senza conoscere statistiche precise direi che le classiche petroliere sono meno colpite da avarie. Le grandi industrie petrolifere che prendono a noleggio queste navi verificano con attenzione tanto la nave quanto l’ar-matore. Oltre alla protezione dell’am-biente il punto cruciale è evitare one-rosi danni alla reputazione. Nella navigazione portacontainer questa preoccupazione non è ancora così sentita.

Vi sono rotte dove le avarie sono più frequenti?

Gli incidenti avvengono ovunque, non si tratta solo di incagliamento ma anche di collisione. Le rotte più battute, p. es. in Asia nella regione di Singapore, sono ovviamente più col-pite. Ma si può anche notare che nelle zone dove la sorveglianza è maggiore si verificano meno inci-denti. Negli Stati Uniti p. es. la guar-dia costiera tiene sotto stretto con-trollo comandanti e armatori e ha introdotto stringenti ispezioni e for-malità di registrazione; anche le eventuali conseguenze penali hanno ben altra consistenza. Negli Stati Uniti non vi è niente di peggio che contaminare l’ambiente con uno sversamento di petrolio.

Cosa distingue una buona società di recuperi marittimi?

Un buon team di recupero risolve i problemi sul luogo con idee brillanti oppure si procura il personale esperto necessario. Naturalmente un fattore importante è il prezzo, e qui è chiaro che dei tre criteri «subito», «bene» e «a basso costo» è possibile soddisfarne solo due contemporane-amente. E poi ovviamente ogni caso è sempre a sé stante. Non posso appoggiarmi a un piccolo recupera-tore locale per rimettere in marcia una portacontainer lunga 180 m. Tuttavia la scelta spesso è obbligata perché esistono solo due o tre società al mondo in grado di affron-tare i casi più complessi.

INTERVISTA

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Relitti costosi

Stefan Fröhlich e Markus Wähler

Nonostante il numero delle avarie navali sia in dimi-nuzione, i costi di recupero per la navigazione marit-tima internazionale sono cresciuti in misura note-vole. L’esempio della Costa Concordia fa emergere quanto singoli incidenti possano essere onerosi per gli armatori e di conseguenza per gli assicuratori. L’esplosione dei costi degli anni passati ha diverse motivazioni.

L’errore umano rappresenta ancora la prima causa di danno quando le navi entrano in collisione, si arenano o si incagliano, anche se le circostanze all’origine degli incidenti marittimi sono diversissime. Nell’am-bito di un’assicurazione P&I (protezione e indennizzo) un armatore si può tutelare contro vari tipi di rischio derivanti dalla conduzione di una nave di mare. I costi di recupero e rimozione del relitto sono una delle fatti-specie usuali coperte dalla polizza.

Se si verifica un grave problema impossibile da risol-vere con i mezzi a bordo, il comando della nave deve agire con tempestività. Il metodo migliore per mettere

in sicurezza una nave in avaria e non manovrabile ed evitare ulteriori danni consequenziali consiste nell’in-caricare una società specializzata in salvataggi e recuperi. Rimorchiatori specializzati sono disponibili in tutto il mondo e spesso sono in attesa alla fonda proprio perché le avarie tecniche non sono un caso raro nella navigazione marittima.

Il principio del «no cure, no pay»

Il salvataggio di una nave in avaria in condizioni di pericolo avviene solitamente sulla base del Lloyd’s Open Form (LOF), un contratto standardizzato per garantire procedure celeri e corrette a tutte le parti interessate. Introdotto oltre un secolo fa, da allora è stato modificato a più riprese, l’ultima volta nel 2011. Elemento centrale di questo contratto è la clausola «no cure, no pay», secondo la quale i soccorritori hanno diritto a compenso solo se viene conseguito un utile risultato, ossia se la nave viene salvata. Diverso è il caso in cui, al di fuori di una situazione di immediato pericolo, vengano stipulati particolari contratti di recupero e rimozione del relitto, come è stato per la Costa Concordia. Questi patti individuali danno la possibilità a una società di recuperi marittimi di fattu-rare, previo accordo, i costi direttamente alla pro-prietà della nave in avaria secondo determinate tariffe.

Recupero della Rena, incagliatasi nell’ottobre 2011 su una scogliera al largo della Nuova Zelandaelandese.

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Presupposto decisivo in questo caso sono i costi effet-tivamente sostenuti dai soccorritori; che l’operazione di recupero riesca o meno, non costituisce condizione indispensabile per la remunerazione.

Gli esborsi per le attività di recupero sono sensibil-mente cresciuti negli ultimi anni. Secondo le rileva-zioni della International Salvage Union, che associa le maggiori società del mondo nel settore dei recuperi marittimi, tra il 2005 e 2012 i costi per il recupero e la rimozione dei relitti si sono quintuplicati a fronte di un calo delle avarie (vedi fig. 2 e 3 a p. 19 e 21). Questo significa che le singole operazioni di recupero sono diventate sempre più complesse e di conseguenza più costose. Il caso della Costa Concordia, che passerà agli annali come la rimozione più cara nella storia della navigazione marittima, rientra in questa con-giuntura.

Un fattore essenziale: le dimensioni delle navi

I mezzi per la navigazione in mare si sono evoluti con una continua crescita delle dimensioni, che in alcuni casi sono diventate addirittura sproporzionate. Oltre alle petroliere, che hanno sempre avuto lunghezze enormi, ora anche le navi portarinfuse, le portacontai-ner e le navi passeggeri hanno assunto grandezze inusitate. Se le portacontenitori di prima generazione potevano contenere fino a 800 container standard (Twenty-foot Equivalent Unit, TEU), le navi più moderne della società armatrice Maersk accolgono un carico oltre 20 volte maggiore: 18.400 TEU. La standardizzazione dei container si è dimostrata uno degli sviluppi fondamentali nell’evoluzione della navi-gazione mercantile, facilitando le onerose operazioni di carico e scarico delle navi, e con l’adeguamento delle infrastrutture portuali il processo si è ulterior-mente accelerato. Stallìa e costi di trasporto si sono così drasticamente ridotti.

La tendenza al momento non sembra arrestarsi: la società China Shipping Container Lines ha commis-sionato ai cantieri sudcoreani Hyundai una portacon-tainer da 19.000 TEU. Si riscontra uno sviluppo simile anche per le car carrier, le navi per il trasporto di auto-vetture, che al momento possono accogliere fino a 6.000 CEU (Container Equivalent Unit), ma un’unità da 7.500 CEU è già in fase di progettazione. Assieme alle dimensioni aumentano naturalmente la quantità di merci a bordo e i costi di recupero di nave e carico in caso di avaria.

Anche le compagnie crocieristiche attirano i turisti sulle loro navi ricorrendo a superlativi sempre nuovi. All’inizio degli anni Novanta le navi da crociera più grandi avevano una portata di 70.000 TSL (tonnellate di stazza lorda) ed erano lunghe ca. 270 m. Anche in questo caso, con la Oasis of the Seas al vertice (225.282 TSL per una lunghezza complessiva di 362 m), le dimensioni in termini di volume si sono triplicate. Il terzo esemplare della classe Oasis, in costruzione a St. Nazaire in Francia per la Royal Caribbean Cruise Line, sarà ancora più grande.

Le grandi navi passeggeri o mercantili presentano indubbi vantaggi economici, ma in caso di emergenza o addirittura di avaria il team di recupero si trova spesso ad affrontare sfide impegnative. Per recuperare e rimuovere un relitto lungo varie centi-naia di metri e di tonnellaggio corrispondente sono necessarie attrezzature pesanti come chiatte, gru gal-leggianti o navi speciali per il pompaggio degli idro-carburi. Il solo noleggio delle enormi gru galleggianti necessarie per recuperare il carico da grandi navi por-tacontainer può bruciare rapidamente vari milioni di dollari; spesso mezzi di questo tipo, dotati delle capa-cità di sollevamento richieste non sono nemmeno disponibili in prossimità del luogo dell’incidente. In alcuni casi è possibile prenotare il noleggio a lungo termine di tali gru da imprese del settore offshore o subentrare in contratti già in essere. Permane comun-que il problema del viaggio verso il luogo dell’inci-dente, che può durare giorni o addirittura mesi aggra-vando così i costi di recupero, dato che anche ogni giorno di trasferimento costa denaro.

Container e merci spiaggiati dopo l’affondamento della portacontenitori MSC Napoli nelle vicinanze di Sidmouth, Devon, il 21 gennaio 2007.

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L’evoluzione della tecnica permette anche i recuperi più complessi

La tecnica ha continuato a evolversi anche nel settore dei recuperi in mare. Mentre un tempo gli scafi veni-vano semplicemente abbandonati sul fondo del mare per carenza di tecnologie adeguate a ripescarli, oggi le capacità tecniche sono talmente perfezionate da consentire di recuperare nella loro interezza, p. es. con il procedimento di parbuckling, anche relitti di grandi dimensioni come la Costa Concordia.

La scelta della metodologia di recupero impiegata dipende oggi primariamente da considerazioni rela-tive all’impatto ambientale. Le fuoriuscite di combu-stibili (gasolio pesante o diesel marino) dai serbatoi e di oli minerali, prodotti chimici tossici o altre sostanze dall’interno dello scafo possono mettere a rischio vaste aree, causando danni a lungo termine a flora e fauna. Vi sono poi motivi di immagine: quale Stato rivierasco vorrebbe lasciare un relitto ad arrugginire per decenni davanti alle proprie coste?

A livello internazionale diverse aziende dispongono del know-how e dell’esperienza necessaria a recuperi complessi. Normalmente l’assegnazione di una com-messa avviene attraverso una procedura di appalto in

cui le imprese, oltre alle prestazioni ingegneristiche richieste, devono dettagliare i provvedimenti che intendono assumere a tutela dell’ambiente. Nel caso di navi mercantili come petroliere, portacontainer e portarinfuse è necessario garantire anche il recupero del carico.

In teoria qualunque relitto è recuperabile, ma in realtà non tutti i recuperi e nemmeno tutte le metodologie impiegate sono economicamente ragionevoli. Si pone spesso la questione del rapporto costi/benefici e l’armatore e il suo assicuratore P&I devono sempre verificare che venga rispettato il principio della pro-porzionalità. La modalità del recupero dipende soprattutto dal tipo di avaria, dalle condizioni della nave e infine dal committente, cioè lo Stato rivierasco interessato. Le possibilità vanno dalla riparazione delle falle e dal ripristino del galleggiamento della nave in avaria fino allo smembramento e alla demoli-zione sul luogo stesso, come accaduto nel caso della Tricolor, una car carrier che nel 2002 si è rovesciata nel canale della Manica dopo una collisione con un mercantile. Nel corso del recupero la nave è stata tagliata in più parti, poi rimosse individualmente.

Fig. 1: Confronto tra alcune delle navi più lunghe

Con le dimensioni della nave crescono anche i costi di un eventuale recupero in caso di perdita totale.

Petroliera Knock Nevis458 m

PortacontainerMærsk Mc-Kinney Møller399 m

PortarinfuseVale Brasil362 m

Nave da crocieraAllure of the Seas360 m

Fonte: Delphine Ménard, Bateaux Comparaison

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Il luogo del recupero influenza i costi

Ogni luogo ha le sue peculiarità, che il team di recu-pero deve tenere in considerazione adottando solu-zioni diverse. Un’avaria nel canale della Manica, una delle rotte di navigazione più battute al mondo, pone problematiche differenti rispetto a un incidente in un’area soggetta a tutela ambientale. Secondo una statistica dell’International Group of P&I Clubs, le 20 rimozioni più costose degli ultimi 10 anni non sono associabili a zone geografiche precise e sono distribuite su quasi tutto il globo.

Le aree di mare dove si rende necessario il recupero dei relitti cambiano con lo spostamento delle rotte di navigazione a livello globale. Con il forte incremento del traffico marittimo in Asia, la probabilità statistica di un’avaria in quelle zone è notevolmente aumentata rispetto a 20 anni fa. In aggiunta il riscaldamento glo-bale ha aperto rotte del tutto nuove, come nell’Artico il già utilizzato passaggio a Nord-Est e l’ipotizzato pas-saggio a Nord-Ovest, le cui misurazioni sono ancora approssimative (vedi fig. a p. 21). I rischi per la naviga-zione sono in questi casi molto maggiori rispetto alle rotte tradizionali, frequentate ormai da secoli, e le imprese di recupero dovrebbero adattare le loro meto-dologie di intervento alle eccezionali condizioni clima-tiche dell’Artico.

Le principali variabili da tenere presenti durante un recupero sono la tipologia di nave e il carico, le condi-zioni meteorologiche, il moto ondoso e le maree, l’accesso al relitto (in mare aperto o nei pressi della costa) e le sue condizioni, il fondale (scogli, rocce, bar-riera corallina, sabbia) e la vulnerabilità dell’ambiente circostante. Tutti questi fattori contribuiscono a defi-nire la complessità, la durata e da ultimo i costi del recupero. La fuoriuscita di combustibili o sostanze chimiche rappresenta sempre un rischio che, in acque soggette a tutela ambientale come la Grande Barriera Corallina, le isole Galapagos o la zona mesolitorale del Mare del Nord, può produrre effetti catastrofici. L’esempio dell’incidente occorso alla Exxon Valdez nel 1989 in Alaska mostra che ancora oggi non si cono-scono in maniera definitiva le conseguenze a lungo termine.

L’influenza dello Stato rivierasco e della situazione giuridica

La maggior parte delle avarie avvengono nelle acque territoriali di uno Stato rivierasco. Si tratta quindi di armonizzare il diritto della navigazione internazionale e la legislazione del Paese interessato. Tra le leggi emanate dall’Organizzazione Marittima Internazio-nale (IMO), un’agenzia specializzata dell’ONU, figura la London Convention on the Prevention of Marine

Fig. 2: Il forte incremento dei costi di recupero e rimozione dei relitti

A causa dei forti rincari non è ancora stato possibile considerare appieno nel grafico il costo delle rimozioni di Costa Concordia e Rena (la seconda operazione di recupero più grande in termini economici).

Fonte: International Salvage Union

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US$ (milioni)

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imprese vogliono evitare nei limiti del possibile, dovendo già confrontarsi, dopo un’avaria, con gravi oneri e con i resoconti negativi dei media. Per questo l’armatore e i suoi assicuratori, i cd. P&I Club, assu-mono solitamente un atteggiamento collaborativo quando si tratta di obblighi e prescrizioni degli Stati rivieraschi in materia di rimozione dei relitti. Armatori e assicuratori devono sempre prestare grande atten-zione alla proporzionalità di tali prescrizioni.

Da un punto di vista assicurativo sono rilevanti le pos-sibilità di limitare la responsabilità dell’armatore e del P&I Club coinvolto. Secondo la Limitation Convention del 1976 è teoricamente possibile limitare la respon-sabilità per la rimozione di un relitto, ma quasi tutti gli Stati rivieraschi che hanno ratificato tale Conven-zione hanno successivamente escluso dai loro ordina-menti tale possibilità. Si applica quindi automatica-mente il diritto del Paese rivierasco, che quasi sempre prevede una responsabilità illimitata per l’armatore e quindi per il suo P&I Club.

La capacità assuntiva offerta sul mercato riassicura-tivo deve essere calcolata quindi con una certa gene-rosità proprio in virtù di tale responsabilità illimitata a carico del P&I Club. Per il 90% ca. delle navi che acquistano la copertura attraverso un P&I Club dell’International Group, il massimale di garanzia può superare i 3 mld US$.

Pollution by Dumping of Wastes and other Matter del 1972 (compreso il protocollo del 1996), che regola essenzialmente la rimozione dallo scafo di sostanze tossiche come il carburante per nave. A livello nazio-nale la maggior parte degli Stati rivieraschi ha ema-nato leggi che obbligano gli armatori a rimuovere i relitti dalle acque territoriali. Poiché la coscienza ambientale è generalmente aumentata nella società, le autorità oggi insistono comprensibilmente su una rimozione il più possibile rispettosa dell’ambiente, che in genere comporta operazioni assai più com-plesse e, di conseguenza, molto più lunghe. Ciò non di meno si osservano in misura crescente casi in cui le autorità locali, per effetto della grande sensibilità dell’opinione pubblica, dispongono misure che ren-dono più difficoltosa un’efficace rimozione del relitto. Senz’altro si contano anche situazioni in cui le auto-rità mirano a una soluzione pragmatica, facendo pres-sione per una rapida rimozione del relitto; osservando la casistica a livello internazionale, si tratta però più di un’eccezione che della regola. In alcuni Paesi oltre al diritto nazionale va considerato anche il diritto regio-nale, pertanto si può creare una situazione complessa di interrelazioni tra diversi sistemi giuridici, compe-tenze e autorità, che viene a pesare su tutti gli interes-sati.

Inoltre, gli armatori corrono il rischio che lo Stato rivierasco ordini o esegua il sequestro di altre navi dello stesso armatore per attuare il proprio diritto di rimozione del relitto. Si tratta di uno scenario che le

L’avaria di una grande portacontainer come la Mærsk Mc-Kinney Møller (nella foto) comporta un’enorme sfida tecnica per il team di recupero.

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Un’analisi a livello mondiale di tutte le avarie che hanno coinvolto navi con oltre 100 TSL mostra che le perdite totali sono chiaramente in diminuzione.

Fonte: Lloyd’s List Intelligence

Fig. 3: Calo delle perdite totali di navi marittime per anno

200

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2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

L’apertura del passaggio a Nord-Est tra Europa e Asia porta indubbi vantaggi economici per la naviga-zione, ma genera al contempo nuovi rischi per i delicati ambienti marini dell’Artico.

Fig. 4: Il passaggio a Nord-Est come alternativa al Canale di Suez

INDIA

CINA

RUSSIA

Rotterdam

Passaggio a Nord-Est Rotta attraverso il Canale di Suez

Fonte: Munich Re

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Negli ultimi anni si è delineata inoltre la tendenza degli Stati rivieraschi a intervenire con determina-zione, in caso di avaria in acque territoriali, anche nelle principali decisioni relative al recupero, facendo così lievitare i costi. Secondo uno studio dell’Interna-tional Group of P&I Clubs in 16 dei 20 casi analizzati le autorità sono intervenute durante le operazioni e in 10 casi ciò ha causato un notevole aumento dei costi. Dall’analisi risulta che l’intervento della parte pub-blica è il maggiore determinante di costo per gli inter-venti di recupero e rimozione dei relitti presi in esame.

Dal momento che la sensibilità delle autorità verso tali vicende e la loro tendenza a intromettersi nelle decisioni operative continuerà presumibilmente a cre-scere, l’obiettivo deve essere quello di una collabora-zione il più possibile costruttiva tra armatori e Stati rivieraschi. Nella Convenzione di Nairobi del 2007 l’IMO ha introdotto a tale scopo una serie di regole di comportamento o norme, tra l’altro in funzione della proporzionalità e dell’adeguatezza delle attività di rimozione dei relitti. Finora sono nove gli Stati che appoggiano tale Convenzione. Non appena si aggiun-gerà un altro Stato, la Convenzione potrà essere ratifi-cata dai Paesi sostenitori entro 12 mesi.

Questioni di assicurabilità

Va da sé che il trend al rialzo dei costi di recupero abbia delle ripercussioni anche sull’attività di sotto-scrizione. La questione fondamentale è se sia di fatto possibile assicurare tali costi difficilmente calcolabili e in forte crescita. In qualità di riassicuratore leader anche nel segmento speciale delle assicurazioni P&I Munich Re segue l’evoluzione con attenzione e da molto tempo tiene sotto osservazione l’escalation dei costi per la rimozione dei relitti in quanto rappresenta un elevato rischio di cambiamento. Negli ultimi anni abbiamo presentato ai mercati dei rischi trasporti proposte concrete sull’assicurabilità futura, sia in relazione alla struttura dei programmi di riassicura-zione, sia in relazione al modus operandi degli assicu-ratori P&I nei confronti degli Stati rivieraschi. Il nostro obiettivo è conseguire un rapporto di equilibrio tra gli interessi di assicuratori e riassicuratori nonché un grado elevato di trasparenza tra le parti e costi per la rimozione dei relitti che non sfondino i preventivi di spesa rispondendo al principio della ragionevolezza economica, ovviamente sempre nel rispetto della sostenibilità ambientale.

Markus Wähler è consulente trasporti in Munich Re dal 2013. È titolare di patente di capitano di lungo corso e ha lavorato per diversi anni in un can-tiere navale come gestore dei rischi e della sicurezza. [email protected]

I NOSTRI ESPERTI:

Stefan Fröhlich lavora in Munich Re da oltre 20 anni nel settore della riassicurazione trasporti e in qualità di responsabile di sezione guida anche il Centro di Competenza P&[email protected]

>> Maggiori informazioni sul recupero di relitti navali in «Incidente in un’oasi naturale pro-tetta». Topics Schadenspiegel 1/2012, p. 6.

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Jürgen Ruß

Per proteggere le coste dalle onde e dall’azione erosiva del mare sono necessarie opere di difesa particolari. A questo scopo sono state sviluppate le più disparate soluzioni costruttive, che dipendono dalle caratteristi-che morfologiche e ambientali del sito, ma anche dagli obiettivi e dai requisiti tecnici dell’intervento di protezione costiera. Una di queste soluzioni è l’edifi-cazione di strutture massicce come moli o frangiflutti, il cui compito principale è di sottrarre energia alle onde in modo controllato, attenuando il moto ondoso che si infrange a terra. Tali manufatti vengono impie-gati anche per la protezione di isole artificiali, con cui in molte regioni del mondo si cerca di sopperire alla scarsità di terreno. Essi infatti impediscono al mare di erodere progressivamente i riporti artificiali di sabbia.

Le dighe frangiflutti sono di solito costituite da un nucleo interno di materiale poco permeabile, da uno strato filtro in pietrame e da una mantellata di speciali blocchi di calcestruzzo quali gli accropodi e i tetrapodi.

Nell’ambito di un progetto nel Golfo Persico erano emersi all’inizio del 2010 problemi alla mantellata di un frangiflutti. Durante un’ispezione era stato accer-tato che in 17 punti della diga lunga 14 km, a nord-ovest di un’isola artificiale in costruzione, gli accropodi si erano spostati rispetto alla sede originale. Questi massi artificiali in calcestruzzo hanno il compito di provocare il frangimento delle onde e quindi trasfor-mare la massima quantità possibile di energia delle onde in moti turbolenti. Per esplicare questa funzione anche nel caso di mare agitato è fondamentale che i blocchi abbiano dimensioni sufficientemente grandi (siano quindi pesanti), che vengano disposti in modo da incastrarsi reciprocamente e trasmettere lo sforzo e che poggino su una solida sottostruttura (o imbasa-mento). Per il dimensionamento dell’imbasamento sono da tenere in considerazione fattori di carico come il peso dello strato filtro e della mantellata, la spinta dell’acqua e delle onde e l’intensità delle correnti.

Sebbene si fossero spostati soltanto pochi massi di un frangiflutti di nuova costruzione nel Golfo Persico, si è dovuto procedere alla rimozione del rivestimento esterno su una lunghezza di 1,2 km. Assicuratore e impresa di costruzione sono scesi a un compromesso sulla ripartizione dei costi perché non è stato possibile chiarire definitivamente la causa del sinistro: difetto di esecuzione o errore di progettazione.

Frangiflutti in movimento

RISCHI TECNOLOGICI

Tetrapodi in calcestruzzo nei pressi della località di Hörnum a difesa della costa occidentale dell’isola di Sylt, in Germania.

24 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

L’esecuzione dei lavori deve essere ugualmente adeguata a tali parametri per evitare il franamento o lo spostamento della pesante mantellata.

Due erano le cause ipotizzabili dello spostamento di singoli accropodi: un difetto di esecuzione o un errore di progettazione. Con la clausola 115 (Cover for Designer’s Risk) di MR l’assicurato aveva convenuto l’estensione della garanzia assicurativa agli errori di progettazione. Inizialmente si pensò che gli accropodi fossero stati disposti in modo errato, ma nel corso degli accertamenti si è avuta una svolta inaspettata: è emerso infatti che, a causa della pressione delle sca-denze, società di progettazione e impresa costruttrice si erano accordate di derogare al metodo di costru-zione originariamente convenuto. Nel segmento del frangiflutti in cui si sono verificati i danni, lo strato filtro su cui poggiano gli accropodi era stato realizzato in un primo tempo solo parzialmente.

In origine si sarebbe dovuto prolungare orizzontal-mente di ca. 6 m sul fondo del mare l’imbasamento, andando a formare un’unghia al piede della diga. In questo modo si assicura da un lato un’adeguata resi-stenza meccanica del filtro e dall’altro si ottiene una superficie d’appoggio sufficientemente estesa per disporre stabilmente la prima fila di accropodi. La modifica dei piani di esecuzione prevedeva invece di costruire inizialmente solo i primi 2,3 m sul fondo del mare e di rinviare il resto a un momento successivo.

Incerta la causa del sinistro

Come è emerso dagli accertamenti questa situazione provvisoria si è protratta per quasi un anno e durante tutto questo tempo l’opera è rimasta esposta all’a-zione della marea e di forze maggiori senza un’ade-guata protezione al piede. Onde, correnti e pressione potrebbero quindi aver modificato i canalicoli interni alla scogliera e provocato il franamento degli accro-podi degli strati più bassi. È anche possibile però che siano stati commessi degli errori già durante l’esecu-zione dei lavori come da modifica convenuta e che l’unghia al piede non abbia nemmeno raggiunto la lunghezza concordata di 2,3 m oppure che gli accro-podi non siano stati disposti a regola d’arte. Identifi-care con esattezza cosa abbia originato il sinistro è di importanza decisiva ai fini dell’indennizzabilità. Dal momento che un imbasamento solido è il presuppo-sto per la stabilità e la funzionalità dell’intera opera, non sarebbero improvvisi e accidentali i danni deri-vanti da un’esecuzione dei lavori non conforme al pro-getto a causa dell’elevato carico sul piede. L’assicura-tore potrebbe quindi negare l’indennizzo.

RISCHI TECNOLOGICI

Le più famose formazioni insulari realizzate dalla mano dell’uomo sono la Palm Jumeirah e le World Islands negli Emirati Arabi Uniti. Questi ambienti artificiali sono circondati da frangiflutti realizzati con le tecniche più diverse.

Nome dell’isola Superficie (in km2)* Luogo

Yas Island 25,00 Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti

Kansai Int. Airport 10,50 Giappone

World Islands 9,50 Dubai, Emirati Arabi Uniti

Hong Kong International 9,38 Hong Kong, Cina

Palm Islands 8,00 Dubai, Emirati Arabi Uniti

Chúbu Centrair Int. Airport 6,80 Giappone

Palm Jumeirah 6,50 Dubai, Emirati Arabi Uniti

Rokko Island 5,80 Giappone

Port Island 5,20 Giappone

I frangiflutti vengono spesso impiegati per la protezione di isole artificiali

Alcune delle maggiori isole artificiali

* ordinate per estensione

Fonte: Munich Re

25Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Relativamente all’entità del danno si potrebbe sup-porre che, dato il numero limitato di accropodi che si sono spostati, le spese di riparazione siano modeste. Comunque sia i massi della mantellata in questo tipo di frangiflutti non possono essere disposti a caso, ma devono essere posizionati con la massima precisione, affinché possano incastrarsi reciprocamente formando una superficie di adeguata resistenza. Per riparare i 17 punti danneggiati si sono dovuti quindi recuperare e riposizionare tutti gli accropodi su una lunghezza di 1,2 km. Più del 96% delle spese di riparazione hanno riguardato la rimozione e il ricollocamento di massi che in realtà erano già stati disposti in modo corretto.

Aggravamento del rischio

È un fatto incontrovertibile che le modifiche all’esecu-zione dei lavori abbiano inciso in misura determinante sul rischio e quindi sulla responsabilità e che tali modifiche siano avvenute per la pressione dei tempi di consegna e non per far fronte a circostanze moti-vate e oggettive. In questo modo l’impresa costruttrice è riuscita a minimizzare il rischio di mora, ma in com-penso è aumentata l’esposizione dell’assicuratore, dato che la diversa esecuzione dei lavori presentava una maggiore vulnerabilità. Un sottoscrittore, qualora ne avesse avuto l’occasione e fosse venuto a cono-scenza di tali fatti, avrebbe modificato le condizioni contrattuali a seguito di un sostanziale cambiamento del rischio (material change in risk). Durante l’accerta-mento delle responsabilità si è posta inoltre la que-stione se fossero state prese tutte le necessarie pre-cauzioni per prevenire i danni (reasonable precautions) in presenza di modifiche nel modo di procedere con i lavori.

IL NOSTRO ESPERTO:

Jürgen Ruß è gestore sinistri nel settore Sinistri Asia-Pacifico e Africa ed esperto di gestione dei rischi e dei sinistri di grandi progetti e beni in [email protected]

RISCHI TECNOLOGICI

Frangiflutti: sezione trasversale

Tipica sezione trasversale di un frangi-flutti antistante un’isola artificiale. Nel caso qui descritto, l’elemento di prote-zione al piede della diga (unghia) realiz-zato in un primo momento misurava appena il 40% della lunghezza richiesta.

Alla fine non si è potuto stabilire con assoluta cer-tezza cosa abbia causato il sinistro, anche se molti indizi depongono a favore del fatto che sia stato il metodo di costruzione. Alla luce della confusa e com-plessa situazione venutasi a creare, l’assicuratore diretto, con l’assistenza di esperti di Munich Re, ha condotto lunghe e intense trattative con l’impresa costruttrice e con il broker. Vi erano moltissimi argo-menti per contestare il sinistro, ma alla fine si è giunti a un compromesso. Il caso in esame mostra come le decisioni prese sotto la pressione delle scadenze di consegna nei grandi progetti di costruzione possano rapidamente condurre a errori e come questi errori possano trasformarsi inaspettatamente in grandi sini-stri. Si vede anche che la pianificazione e l’esecuzione dei grandi progetti non dovrebbero trascurare l’aspetto assicurativo. Proprio nel caso di deroghe sostanziali al cronogramma e alle modalità di esecuzione dei lavori si generano di norma anche cambiamenti del rischio che possono influire sull’esposizione. Una possibilità di prevenire una simile circostanza si individua in uno scambio regolare di informazioni tra assicuratore e assicurato, che nel migliore dei casi assume la moda-lità di periodici sopralluoghi del rischio.

Riporto artificiale

Nucleo

Unghia al piede Fondo marino

Rivestimento due strati

Rivestimento accropodi uno strato

Livellamento due strati

Filtro due strati

Fonte: Munich Re

26 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Topics Schadenspiegel: Signor Roenneberg, Lei vanta 30 anni di esperienza con i rischi RC, 20 dei quali maturati in Munich Re nella gestione dei sinistri. Quali sono stati i sinistri più significativi per il mer-cato assicurativo in questo lasso di tempo?

Nicholas Roenneberg: I danni da amianto mi hanno accompagnato dall’inizio della mia carriera profes-sionale. Già prima della mia attività nel management dei sinistri mi ero occupato di tali rischi da sottoscrit-tore del ramo casualty, come pratica-mente chiunque abbia avuto o abbia responsabilità nel campo della RC. E la situazione non cambierà, quanto meno nei prossimi 10 o 20 anni.

Cosa si sarebbe potuto fare meglio?

Uno dei problemi principali con l’a-mianto sta nel fatto che i rischi con-nessi sono stati sottovalutati fino agli anni Sessanta e finanche Settanta dello scorso secolo. Allora si faceva molto affidamento sulle misure di protezione. Con il senno di poi siamo stati troppo ingenui. E poi abbiamo trascurato il problema dei cumuli di esposizioni. Nell’attività di sottoscri-zione e nella gestione dei sinistri non siamo stati capaci di immaginare che i danni avrebbero potuto assumere tali dimensioni. L’amianto è stato usato praticamente dappertutto: nelle abitazioni, nelle automobili, negli impianti di riscaldamento e in innumerevoli altri prodotti. È per questo che tantissimi settori sono stati colpiti. E questo vale anche per

i rami assicurativi: i sinistri non sono rimasti confinati all’assicurazione infortuni sul lavoro, ma hanno coin-volto RCO, RC prodotti, RCG e altre fattispecie di responsabilità civile. Quando ci si rese conto della reale entità dei danni negli anni Ottanta i buoi, come si suol dire, erano già scappati. Le esclusioni, le clausole claims-made e le altre misure per la riduzione del rischio, che da allora vengono applicate, hanno effetto solo dopo decenni a causa dei lunghi tempi di latenza dei danni da amianto.

L’amianto può rappresentare per Munich Re uno scenario esemplare?

No, direi di no. Ritengo improbabile un secondo caso amianto. Si è trat-tato di un caso speciale sotto diversi aspetti: il tipo di materiale, la molte-plicità degli impieghi, il lungo inter-vallo che intercorre tra esposizione e conclamazione della malattia. L’a-mianto può rappresentare semmai uno scenario di worst case, un esem-pio estremo. Le esperienze fatte con l’amianto difficilmente si possono trasferire ad altri rischi RC di lunga durata, come quelli farmaceutici, già a causa delle clausole claims-made oggi generalmente diffuse.

Non dobbiamo dimenticare poi che nel caso dell’amianto oggi abbiamo a che fare con rischi che risalgono ancora agli anni Cinquanta del secolo scorso. Nel frattempo abbiamo tratto molti insegnamenti. Per un sottoscrittore oggi molte cose sono scontate, mentre allora erano del tutto nuove.

Nicholas Roenneberg, 20 anni in Munich Re nel management dei sinistri, parla di eventi indelebili, dei più significativi cambiamenti nella gestione dei sinistri e degli attuali trend nel settore.

Certi sinistri ti accompagnano per tutta la vita professionale

Uno dei più grandi sinistri della storia è stato l’attacco terroristico al World Trade Center nel 2001. Come ha vissuto la gestione di quel sinistro?

I primi giorni dopo l’evento dell’11 set-tembre sono stati per noi un terreno assolutamente inesplorato. È stato certamente uno dei primi grandi sini-stri che abbiamo vissuto pratica-mente in diretta alla televisione e su Internet. Mi ricordo ancora benis-simo della prima e-mail ricevuta in cui venivamo allertati sugli eventi di New York. Mi permetta di ricordare solo due aspetti peculiari della gestione di quel sinistro: in primo luogo il numero dei rami assicurativi colpiti: danni ai beni, trasporti, avia-zione, RC, vita, infortuni sul lavoro, danni da interruzione di esercizio; oltre agli altri meccanismi di risarci-mento creati ad hoc, primo fra tutti il Victim Compensation Fund. Nulla del genere si era mai verificato prima, almeno non in tali dimensioni, e fino a oggi non si è più ripetuto.

E qual è il secondo aspetto?

Nel corso della gestione si è visto quanto tempo possa durare anche la liquidazione di un sinistro che riguarda principalmente delle polizze property. A oggi, a distanza di quasi 13 anni dall’evento, la pratica, com’è noto, non è ancora definitivamente chiusa. E non mi riferisco solo alle ultime azioni di rivalsa ancora in corso, ma anche al risarcimento di danni a persona. Questioni per le quali torna a essere tra l’altro parte in causa l’amianto. Anche negli edifici

INTERVISTA

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colpiti dall’attacco terroristico era stato infatti usato questo materiale, alla cui azione sono stati esposti dopo il crollo vigili del fuoco e addetti all’evacuazione, ma anche tutti i lavo-ratori impegnati nella rimozione dei detriti.1

Un grande cambiamento degli ultimi 20 anni riguarda il ruolo di Internet nella vita di molte persone in tutto il mondo. Quali ripercussioni ha avuto nella gestione dei sinistri?

Internet ha cambiato decisamente anche il nostro modo di considerare i sinistri a causa del rapido accesso alle informazioni. Mentre lo tsunami in Giappone era ancora in corso, c’e-rano già le prime immagini in rete. L’evento dannoso non si era ancora concluso a quel momento. In parte questo può accelerare la gestione dei sinistri. Proprio in caso di catastrofi naturali Internet si dimostra sovente una buona fonte di informazioni in relazione ai danni a cose. Si ottiene rapidamente un quadro d’insieme, la trasparenza è maggiore.

Non sempre però le informazioni che Internet ci offre sono utili per l’accer-tamento dei danni. Si ricevono in prevalenza informazioni di dettaglio che sono rilevanti soprattutto per i danni materiali. Le inondazioni in Thailandia ne sono un buon esempio. Si vedono gli allagamenti, ma non quali sono le conseguenze per le catene di fornitura e per le interru-zioni di attività. Per quanto riguarda la responsabilità civile le informa-zioni importanti che si possono rica-vare da Internet sono ancora meno, dal momento che soprattutto nella fase iniziale molti dati sono conside-rati altamente confidenziali. Inoltre la situazione nei casi di danni da responsabilità civile è in un primo tempo molto meno perspicua che in quelli di danni a cose. Affermazioni affidabili sono quindi possibili solo a grande distanza di tempo.

Che cosa comporta tutto questo concretamente per la gestione dei sinistri?

Un aspetto importante è che i danni si annunciano con grande anticipo. Oggi di un uragano, tipico esempio di evento dannoso, si parla a livello glo-bale ancora prima che si sia verificato.

I media e quindi a sua volta la collet-tività hanno una percezione dei danni attraverso Internet molto più diretta e intensa. E agli assicuratori vengono poste domande spesso esplosive. Persino quando i danni sono inferiori alle attese, ci si sente rivolgere que-siti del tipo: non si è fatto e speso troppo a monte dell’evento? Comun-que sia, la ponderazione dei rischi non sempre è agevolata dal flusso precoce di informazioni. Tuttavia la collettività si attende da noi risposte in tempi molto più brevi che nel pas-sato. E su tali aspettative assicuratori e riassicuratori si devono allineare.

Secondo Lei, quali tipologie di danni assumeranno un peso preponderante nei prossimi anni?

Da un lato le nuove tecnologie come gli impianti a energie rinnovabili o il cyberworld comportano ovviamente nuovi rischi. A questi si aggiunge la crescente minaccia di rischi difficili da controllare, che diventano una sfida per l’industria assicurativa a causa della loro complessità e ampiezza. È quanto si è visto chiara-mente nel caso della Deep Water Horizon o della Costa Concordia.2 Anche i danni patrimoniali puri stanno diventando sempre più importanti: cause di azionisti con migliaia di attori in giudizio, respon-sabilità di consiglieri e sindaci di società, responsabilità professionale. Ogni nuova crisi finanziaria scate-nerà un’ondata di azioni legali.

INTERVISTA

Nicholas Roenneberg ha lavorato per 20 anni in Munich Re nella gestione dei sinistri, da ultimo come responsabile del settore Gestione sinistri e consulenza.

28 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Quando si discute sui nuovi rischi non bisognerebbe perdere di vista il fatto che la prevedibilità dei grandi sinistri è in realtà molto limitata. In fondo essi si originano spesso in un contesto completamente diverso da quello che ci si sarebbe aspettati. E tuttavia il dibattito sui rischi emer-genti è sempre utile, anche perché ormai, rispetto al passato, la compe-tenza tecnica prevale sui toni osten-tati. Oggi andiamo più nel dettaglio.

Le previsioni per quanto riguarda i sinistri sono migliori oggi rispetto a 20 anni fa?

Nel caso delle catastrofi naturali senza dubbio sì. Abbiamo fatto grandi passi avanti per quanto riguarda la modellizzazione dei sinistri! I modelli odierni sono molto più sofisticati di quelli di 20 anni fa, il know-how dell’industria assicurativa è notevol-mente migliorato. Ma per la respon-sabilità civile le cose vanno spesso, a mio parere, in tutt’altro modo. La maggior parte dei rischi RC continua a essere difficilmente modellizzabile. Gli approcci attuali non mi convin-cono ancora fino in fondo.

Vi sono tendenze dalle quali Lei si attende effetti durevoli sulla gestione dei sinistri?

Nel caso delle catastrofi naturali le richieste di risarcimento nell’ambito della responsabilità civile potrebbero assumere un peso maggiore, come si sta già delineando in California e in Australia per gli incendi boschivi. In passato si trattava quasi sempre solo di danni materiali. Negli ultimi anni si sono verificati dei casi in cui, alla fine dei conti, sono stati gli assicuratori RC a pagare la parte preponderante dei danni. A mio giudizio si tratta di un trend destinato a proseguire. In ogni catastrofe naturale si possono rinvenire aspetti che risalgono alla mano dell’uomo: errori di costru-zione, scarsa manutenzione, carenze nell’ambito della sicurezza. Circo-stanze che vengono sempre più spesso riconosciute e che portano

a un aumento delle azioni di rivalsa contro gli assicuratori RC dopo una catastrofe naturale.3

Nel ramo casualty è emerso negli ultimi anni che le azioni collettive non sono più un fenomeno limitato agli Stati Uniti. Collective redress e class actions sono apparsi nel frattempo anche su altri mercati, persino in Europa. Tale evoluzione ha ripercus-sioni anche sul finanziamento delle cause di risarcimento, il che influenza, a sua volta, la litigiosità. Tuttavia non si avvertono ancora fino a oggi in Europa segni di un’assimilazione alla situazione statunitense.4

Infine dovrebbe crescere anche l’im-portanza dei danni di reputazione a seguito della maggiore rilevanza dei media e dell’immediata e globale accessibilità delle informazioni. E questo non fa che aumentare le pres-sioni per una celere composizione delle controversie dopo un sinistro.5

INTERVISTA

1 Cfr. anche gli articoli sul sinistro al World Trade Center in Topics Schadenspiegel 2/2011.

2 Vedi Topics Schadenspiegel 2/2013.3 Maggiori informazioni nella rubrica in

Topics Schadenspiegel 2/2014, p. 46.4 Maggiori informazioni in questo numero

a p. 45. 5 Cfr. la rubrica in Topics Schadenspiegel

2/2013, p. 48.

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Rafael García Sánchez

In Spagna ci sono sostanzialmente due modi per acquistare un immobile di nuova costruzione: attra-verso un committente-promotore commerciale o attraverso una cooperativa. Per tutelare i consumatori nelle transazioni immobiliari, la Spagna ha emanato tra il 1968 e il 1999 diverse leggi che istituivano un’as-sicurazione fideiussoria obbligatoria (Seguro Obliga-torio de Afianzamiento). L’obiettivo era quello di garantire le somme pagate anche anticipatamente dagli acquirenti di un immobile a uso abitativo, indi-pendentemente dal fatto che la compravendita fosse avviata da un committente-promotore o da una coo-perativa. La tutela si estendeva sia ai progetti immo-biliari sul mercato libero, dove il committente-promo-tore può stabilire il prezzo in funzione di domanda e offerta, sia a quelli sul mercato regolamentato dallo Stato. L’assicurazione copre il rischio di mancata con-segna dell’immobile «entro il termine convenuto, indi-pendentemente da quale ne sia la causa». Sia il com-mittente-promotore, sia il rappresentante della cooperativa sono tenuti a prestare tale garanzia.

Peculiarità dell’acquisto attraverso una cooperativa

La transazione con un committente-promotore com-merciale si differenzia però per molti aspetti dal modello cooperativo. Al momento di costituire una cooperativa spesso non sono ancora disponibili né terreno, né piano di sviluppo, né autorizzazioni delle autorità e in generale non è ancora nemmeno identifi-cata l’impresa di costruzioni. Entrando nella coopera-tiva il socio aderisce agli obiettivi della stessa e acqui-sisce il diritto di acquistare in futuro un’abitazione. In quel momento non esiste ancora una data fissa per la consegna dell’immobile perché l’intera program-mazione, anche delle tempistiche, è solo stimata. L’as-sicurazione fideiussoria obbligatoria diviene operante però solo nel momento in cui il progetto edilizio è stato autorizzato e le date di inizio lavori e consegna dell’abitazione sono state inequivocabilmente fissate.

Affinché i soci di una cooperativa non siano total-mente scoperti nella fase di progettazione, l’industria assicurativa ha sviluppato un modello di polizza su base volontaria, la cd. Seguro Voluntario Cooperati-vas, che copre la truffa o l’appropriazione indebita da parte degli amministratori della cooperativa. La man-cata consegna dell’abitazione non è però oggetto dell’assicurazione. Per tutelare i soci della coopera-tiva, le somme versate vengono trasferite su un conto corrente amministrato dalla compagnia di assicura-zioni. L’assicuratore deve autorizzare preventiva-mente qualsiasi pagamento a terzi e fare attenzione che il denaro venga impiegato effettivamente solo per la copertura di costi che siano collegati al progetto edilizio. Per questa attività amministrativa l’assicura-tore incassa una commissione.

Insolvenze a seguito della crisi finanziaria

Per molti anni le polizze non hanno causato problemi, ma allo scoppio della bolla immobiliare le condizioni di contesto sono cambiate radicalmente. Da un lato gli istituti finanziari si sono rifiutati di concedere ulte-riori crediti alle cooperative, dall’altro molti soci di cooperative hanno perso il lavoro e non sono più stati in grado di versare le quote dovute. Altri soci invece hanno perso semplicemente l’interesse a proseguire nell’impresa. Per queste ragioni, ma anche perché gli amministratori non erano preparati ad affrontare la mutata situazione, diverse cooperative sono diventate insolventi. Le domande di rimborso delle quote ver-sate, avanzate dai soci nei riguardi delle cooperative non hanno potuto però essere soddisfatte intera-mente perché una parte dei mezzi finanziari era già stata investita nei progetti.

Tutelare i soci di progetti immobiliari in cooperativa è stato per lungo tempo in Spagna un affare senza problemi. La crisi economica ha fatto emergere lacune nella formulazione del testo di polizza che si sono dimostrate onerosissime per gli assicuratori.

Costosi errori nascosti

CAUZIONE

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CAUZIONE

Il cantiere fermo di un comprensorio alberghiero a Playa de Butihondo sull’isola di Fuerteventura, in Spagna

Per gli assicuratori in realtà la situazione era chiara: dal momento che l’assicurazione volontaria delle coo-perative copriva solo la truffa o l’appropriazione inde-bita, si sono rifiutati di rimborsare le quote. I giudici aditi per redimere le controversie relative a tale fatti-specie non sono giunti a decisioni univoche. Alcune sentenze statuiscono che l’assicurazione delle coope-rative non ha nulla a che fare con l’assicurazione fideiussoria e quindi non copre la mancata consegna dell’abitazione; altre invece danno ragione ai soci delle cooperative. Secondo questi giudizi non sussi-sterebbe un’assicurazione cooperative come tale, ma si tratterebbe piuttosto di un’assicurazione fideiusso-ria e il rischio in garanzia sarebbe la mancata conse-gna dell’abitazione. Ciò ha reso necessario un chiari-mento attraverso il Tribunal Supremo.

Condizioni di assicurazione non univoche

Considerando il caso con maggiore attenzione, è emerso che nelle condizioni di assicurazione l’oggetto dell’assicurazione non è chiaramente definito. La polizza consiste di condizioni generali, condizioni particolari e certificati individuali che sono risultati poco coerenti proprio in relazione all’oggetto dell’assi-curazione. Vi si riscontrano infatti formule del tipo: «è coperto l’inadempimento contrattuale da parte del contraente», ma anche definizioni esplicite: «la Società si obbliga a garantire che le somme versate dall’assicurato vengano impiegate esclusiva-mente per pagamenti relativi al progetto edilizio». Nelle condizioni particolari sull’ampiezza della garan-zia si rinviene inoltre un concetto mutuato dall’assicu-razione fideiussoria ovvero la «buona esecuzione» (buen fin) con la quale si intende la consegna dell’im-mobile. Se l’intenzione era di escludere tale garanzia, non si sarebbe dovuta utilizzare questa formula nel testo di polizza.

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Pertanto il Tribunal Supremo ha stabilito con sen-tenza del 13 settembre 2013 n. 540 che la polizza per le cooperative è da equiparare a una polizza fideiusso-ria e che gli importi pagati anticipatamente dai soci di una cooperativa per l’acquisto di un immobile a uso abitativo devono essere rimborsati in caso di mancata consegna dell’immobile. Il risultato è stato che assi-curatori diretti e riassicuratori in Spagna hanno dovuto sborsare più di 800 mln € per far fronte alle domande di rimborso dei soci di cooperative.

Riconoscere preventivamente i problemi

A posteriori si è visto che l’assicurazione volontaria cooperative, sebbene esistesse da molti anni sul mer-cato spagnolo, non era mai stata analizzata critica-mente dagli interessati con riguardo all’ampiezza della garanzia. L’autorità di vigilanza (Dirección Gene-ral de Seguros) aveva addirittura predisposto un documento su richiesta delle compagnie di assicura-zioni che certificava l’esistenza di tale assicurazione e della garanzia prestata dal contratto. Soltanto quando la crisi immobiliare ha messo in difficoltà molte coo-perative, i problemi sono venuti alla luce. Le coopera-tive sostenevano che la copertura concordata non corrispondeva a quella da loro richiesta o a quella che avevano creduto di avere stipulato e si appellavano a una garanzia che non era prevista nelle polizze.

Gli errori nelle condizioni di assicurazione sono rima-sti nascosti per molti anni perché non si sono verifi-cati sinistri che avrebbero potuto evidenziare vizi e lacune della formulazione. Il caso in parola è dunque un buon esempio di come fattori esterni – quali la crisi finanziaria – possano modificare l’ampiezza della garanzia assicurativa se le condizioni di assicurazione non sono state formulate in modo inequivocabile, lasciando libero spazio all’interpretazione di terzi. Quando il testo di polizza lascia tali margini di inter-pretazione, i giudici tendono a sfruttarli a favore dei consumatori, come avvenuto nel caso qui descritto per i soci delle cooperative.

IL NOSTRO ESPERTO:

Rafael García Sánchez lavora come giurista liquidatore presso Munich Re, Madrid ed è competente per i mercati spagnolo e portoghese. [email protected]

CAUZIONE

32 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/201432 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

RISCHI TECNOLOGICI

Dettaglio delle pale rotoriche della turbina a vapore surriscaldate e in parte deformate

Una liquidazione efficiente dei danni richiede anche un management proattivo dei sinistri. Nel caso di un incidente avvenuto in una centrale elettrica malese nel 2011 tutte le parti interessate hanno agito in modo esemplare, mantenendo i costi ben al di sotto delle prime stime, nonostante le condizioni fossero avverse. La cooperazione stretta e trasparente tra assicurante, assicuratore ed esperti si è dimostrata la chiave del successo.

Riduzione dei danni in una centrale elettrica: operazione riuscita

3333Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

Ilona Strauß

Il 31 gennaio 2011 una portata di vapore insufficiente durante una cd. situazione di full speed no load (FSNL) in una centrale elettrica malese causò il surri­scaldamento di una turbina a vapore provocando un arresto di emergenza. La centrale alloggia tre gruppi con 700 MW di potenza ciascuno, composti da gene­ratore di vapore, turbina e generatore elettrico. L’im­pianto era assicurato con una polizza tutti i rischi industriali, comprensiva della garanzia di interruzione di esercizio. L’assicurante informò prontamente il pro­duttore, richiedendo che i suoi tecnici effettuassero un primo sopralluogo sul posto non appena la turbina si fosse raffreddata.

La scelta cade sulla riparazione presso il produttore

L’ispezione da parte di un perito assicurativo, avve­nuta il 9 febbraio, quantificò l’ammontare potenziale del danno in 100 mln MYR (ca. 23 mln €). D’intesa con la delegataria e il team di Munich Re venne immedia­tamente coinvolto un esperto in turbine che il 14 feb­braio, dopo l’apertura della macchina, ne esaminò i danni. L’ispezione accertò che il rotore di alta pres­sione della turbina aveva riportato importanti lesioni da surriscaldamento. Le pale rotoriche degli stadi da 2 a 8 del rotore mostravano rotture e deformazioni di diverso grado, ma anche le pale statoriche degli stessi stadi risultavano danneggiate.

Per ridurre al minimo l’interruzione di esercizio era decisivo che la riparazione avvenisse con la massima rapidità ed efficienza. Nonostante l’entità del danno non fosse ancora definitiva, furono prese in considera­zione due opzioni: la spedizione del rotore per via aerea direttamente al produttore in Giappone, il che avrebbe comportato il probabile fermo della turbina fino al 12 giugno, o la riparazione presso un’officina autorizzata locale. Nonostante la seconda ipotesi per­mettesse un risparmio sulle spese di trasporto, ad avallare la scelta di rivolgersi al produttore furono alcuni argomenti decisivi: affidabilità delle tempisti­che, garanzia di una riparazione in condizioni tecni­che ideali e integrabilità ottimale dei componenti.

Lavoro a ritmi serrati

In una conferenza telefonica tra sottoscrittori, consu­lenti sinistri di Munich Re ed esperti esterni, che coin­volse anche il broker, furono minuziosamente esami­nati i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le opzioni e valutate anche altre soluzioni come una riparazione provvisoria o l’opportunità di un funzionamento parzia­ le. Di comune accordo fu decisa la spedizione del rotore in Giappone, che avvenne il 26 febbraio. Dopo l‘arrivo a destinazione il 1° marzo, i tecnici del produt­tore esaminarono le varie opzioni di riparazione, indi­viduando una serie di misure per accelerare i lavori come l‘adeguamento del piano temporale, turni sup­plementari, straordinari e lavoro anche nei giorni festivi. Fin dal principio ogni considerazione fu comu­nicata e discussa in modo trasparente tra le parti

interessate e anche l’esperto di turbine incaricato dagli assicuratori prese parte agli incontri. L‘attenzione era incentrata sugli interventi che avrebbero potuto contribuire a limitare il danno e soprattutto ad abbre­viare l’interruzione di esercizio, tra cui:

− Identificazione delle parti di ricambio che erano subito disponibili o potevano essere prodotte subito, oppure si trovavano già a magazzino in altre cen­trali. I componenti fornibili in tempi rapidi dovevano essere sostituiti subito, gli altri andavano aggiustati provvisoriamente.

− Nel caso in cui non fosse stato possibile riparare il rotore: ricerca di un albero rotore o di un rotore di ricambio presso le centrali che impiegavano turbine dello stesso produttore. La ricerca non diede risul­tati, ma questo non ebbe alcuna conseguenza per­ché ulteriori test confermarono che il rotore era sicuramente riparabile.

− Funzionamento temporaneo o parziale con un albero non palettato. Questa ripreparazione avrebbe richiesto molto tempo senza abbreviare l’interruzione di esercizio in modo significativo, dal momento che la turbina avrebbe dovuto essere pronta per l’installazione del rotore riparato già dal 1° maggio 2011.

− Funzionamento temporaneo del rotore danneggiato. Questo provvedimento a limitazione del danno non era praticabile perché il rotore doveva rimanere a disposizione per i test, l’adattamento delle pale e il bilanciamento. Tale variante sarebbe stata possibile solo se a essere danneggiati, come si sperava inizial­mente, fossero stati esclusivamente gli stadi 7 e 8.

− Anticipazione di uno spegnimento dell’impianto già pianificato per l’esecuzione di lavori di manutenzio­ ne. L’assicurante contattò per tempo la ditta incari­cata per trovare un accordo a questo proposito.

RISCHI TECNOLOGICI

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Provvedimenti per la riduzione dei tempi di riparazione

Per tutti gli interessati la riduzione del danno aveva la priorità sull’analisi delle cause; il contraente riuscì ad accordarsi con il produttore perché la riparazione avvenisse il prima possibile. La durata programmata dei lavori si ridusse così di circa tre settimane e avrebbe dovuto concludersi il 22 maggio. L’11 marzo ebbe luogo un ulteriore incontro tra broker, perito, assicuratore diretto locale, riassicuratore ed esperto di turbine in cui venne definita tra l’altro una sorve­glianza mirata delle riparazioni. Il rappresentante del contraente riferì inoltre che i lavori di manutenzione, previsti originariamente per una data successiva, erano stati anticipati e in questo modo fu possibile compensare il fermo dell’impianto durante la ripara­zione con un’incrementata disponibilità dello stesso dopo il riavviamento.

Il rotore di alta pressione danneggiato dopo l’apertura della turbina a vapore

Questo provvedimento diminuì notevolmente la per­dita della capacità produttiva della centrale, che era una garanzia assicurata. Le ulteriori misure di ridu­zione del danno concordate permisero di limitarne l’ammontare complessivo a un terzo della cifra inizial­mente stimata. La speranza era che l’interruzione di esercizio non arrivasse nemmeno a superare la fran­chigia temporale.

Un terremoto sconvolge i piani

Poche ore dopo giunsero dal produttore giapponese notizie che sembravano mettere in serio pericolo la tabella di marcia. Il terremoto di Tohoku, che si era verificato nei pressi dello stabilimento dove avveniva la riparazione, minacciava di annullare l’intera pro­grammazione. Anche se la sede del produttore della turbina non era stata danneggiata, l’alimentazione elettrica risultava però interrotta. I mezzi pubblici non circolavano e lunghe code rendevano le vie di comuni­cazione impraticabili: i lavoratori erano impossibilitati a raggiungere lo stabilimento oppure a lasciarlo. Solo il 17 marzo, quando venne ripristinato parzialmente il traffico ferroviario, il personale poté ritornare al posto di lavoro. Svariate centinaia di scosse di assesta­mento, alcune delle quali intense, e ricorrenti strozza­ture e/o interruzioni nella fornitura di energia elettrica complicarono ulteriormente la situazione. A dispetto di tutte queste avversità il produttore non solo fu in grado di mantenere la scadenza della riparazione, ma addirittura di anticiparla di sei giorni rispetto a quanto previsto.

RISCHI TECNOLOGICI

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L’ultimo ostacolo da superare era l’organizzazione del trasporto che doveva riportare il rotore in Malesia. A metà maggio la situazione in diverse zone del Giap­pone era ancora difficile e le opportunità di effettuare trasporti erano scarse: non vi era la possibilità di pre­notare un volo commerciale e per il primo viaggio di linea utile si sarebbe dovuto attendere almeno quattro giorni. Con l’aiuto del liquidatore si riuscì infine a noleggiare un aeromobile e a trasportare il rotore in Malesia nei tempi prefissati. Il montaggio e la messa in esercizio si svolsero senza intoppi. Anziché con un importo nell’ordine di grandezza di 100 mln MYR, come inizialmente stimato, fu possibile liquidare il danno con 35 mln MYR (ca. 7,7 mln €).

Stretta cooperazione e comunicazioni tempestive limitano i danni

È da sottolineare come la cooperazione stretta e orientata all’obiettivo finale tra le parti interessate, incluso il contraente, abbia permesso di ridurre a tal punto il danno da interruzione di esercizio, stimato inizialmente in 75 mln MYR, da farlo rientrare nella franchigia temporale.

L’essere riusciti a limitare il danno a ca. un terzo dell’importo stimato dimostra quanto siano impor­tanti la cooperazione e l’approccio proattivo di tutti gli interessati, lo scambio vicendevole di informazioni con procedure di comunicazione trasparenti nonché il coinvolgimento di esperti, tanto interni quanto esterni, con le rispettive reti di contatti. In presenza di un contraente disponibile e aperto al dialogo, l’assicu­ratore diretto e il riassicuratore possono dare un pre­zioso contributo per ridurre al minimo il danno nell’in­teresse di tutti. Ciò vale non solo per i danni materiali, ma anche in relazione all’interruzione di esercizio.

LA NOSTRA ESPERTA:

La Dr. Ilona Strauß è giurista e lavora in Munich Re, dove si occupa della gestione dei sinistri nei settori rischi tecnologici, energia e industria estrattiva, casualty e rischi speciali d’impresa. [email protected]

RISCHI TECNOLOGICI

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Riforma del diritto processuale con effetti collaterali

Negli anni passati la Gran Bretagna ha introdotto una serie di modifiche procedurali sulla liquidazione dei danni a persona. Nonostante le nuove prescrizioni relative a risarcimenti, costi e diritto probatorio siano in generale pertinenti, alcune peccano per eccesso.

Malcolm Henke

Trent’anni fa il sistema giuridico in Inghilterra e Galles era controllato più dagli avvocati che non dall’autorità giudiziaria. Erano essenzialmente le parti a decidere con quale velocità un procedimento dovesse andare avanti. Non esistevano protocolli scritti d’intesa pre-contenzioso (gli attuali pre-action protocols). Anzi, una volta avviato il procedimento, le divergenze di opinione tra le parti contribuivano a inasprire il con-flitto, e lo scambio dei mezzi di prova avveniva tutt’al più in modo molto limitato. La strategia abituale era rappresentata da attacchi a sorpresa durante le udienze (trial by ambush) e le trattative per una com-posizione avvenivano non prima del giorno d’udienza davanti all’aula del tribunale.

Negli anni Ottanta del secolo scorso la situazione fu marginalmente migliorata dall’introduzione di diret-tive procedurali «automatiche», che stabilivano quali misure dovessero essere prese anteriormente alla prima udienza (directions hearing). Si trattava certo di un progresso rispetto al sistema precedente, tuttavia l’attuazione di tali direttive veniva di rado imposta coercitivamente e all’epoca non erano ancora previste sanzioni.

La riforma radicale delle Civil Procedure Rules

Alla luce della necessità di evitare rallentamenti dei processi (e di abbassarne i costi), il sistema giuridico inglese venne sottoposto a una profonda riforma nel 1999 sulla base del rapporto Access to Justice o rap-porto Woolf che vide l’introduzione delle cd. Civil Pro-cedure Rules 1998 (CPR). Per la prima volta le parti in causa vennero obbligate a scambiarsi tutti i mezzi di prova. Inoltre i giudici furono legittimati a controllare la procedura di esibizione delle prove e a imporre delle scadenze per il rispetto delle regole procedurali. In questo modo si rese possibile per la prima volta un vero e proprio case management.

Dopo alcuni mesi di incertezza si ebbe presto evi-denza che i giudici potevano continuare a demandare alle parti il controllo del procedimento nelle cause di

alto valore. L’obiettivo prioritario era quello di conse-guire un risultato equo. Su questa base fu possibile sviluppare una gestione flessibile delle procedure processuali.

Risarcimento dei danni a persona mediante pagamento una tantum

Fino a quel momento la maggior parte dei danni a persona gravi o complessi veniva risarcita per mezzo dei tradizionali pagamenti forfettari una tantum (lump sum). In tal caso la somma capitalizzata da riconoscere al danneggiato viene calcolata sulla base di coefficienti di capitalizzazione anticipata. Solo pochi danni venivano risarciti nell’ambito di una tran-sazione strutturata attraverso il pagamento di una rendita, dal momento che questa forma di risarci-mento non era gradita a nessuna delle parti coinvolte. Per gli attori era troppo poco flessibile, mentre i con-venuti erano infastiditi dagli alti costi e dalla limitata offerta di prodotti adeguati sul mercato.

Nel caso della liquidazione di un danno a persona mediante pagamento di una somma forfettaria una tantum viene prima di tutto calcolata la somma necessaria al danneggiato per anno e per voce di danno (moltiplicando). Tale somma viene quindi mol-tiplicata per il coefficiente di capitalizzazione antici-pata (moltiplicatore) corrispondente all’età e all’aspet-tativa di vita del danneggiato. Questo coefficiente veniva stabilito dal giudice e il più elevato mai appli-cato fu 18. Si trattava dunque di una prassi che igno-rava le conoscenze attuariali e per questo si parlava di un «coefficiente legale di capitalizzazione». In realtà non era nient’altro che una stima grossolana del ren-dimento atteso.

Le riforme Woolf

I primi grandi cambiamenti nella quantificazione dei risarcimenti coincisero con il rapporto Woolf e furono il risultato di nuove leggi, ma in seguito vennero favo-riti da fattori economici. Nella causa Wells contro

CASUALTY

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Wells (1999) 1 AC 345 furono utilizzate per la prima volta le cd. tabelle Ogden quale base di calcolo per i risarcimenti. In questo modo i coefficienti di capitaliz-zazione potevano essere calcolati con una precisione molto maggiore sulla base di evidenze attuariali. Inol-tre fu introdotto un tasso di attualizzazione o di sconto, che corrispondeva al rendimento netto ipotiz-zato di un investimento sicuro; il tasso di attualizza-zione venne inizialmente fissato a tre punti percen-tuali, ma fu abbassato nel 2001 al 2,5%. In effetti a un minore tasso di attualizzazione corrisponde un più alto coefficiente di capitalizzazione e quindi un risar-cimento più elevato. Poiché a quell’epoca i moltipli-candi relativi ai costi di assistenza e al case manage-ment avevano già iniziato ad aumentare, si ebbe un netto incremento del valore dei risarcimenti forfettari mediante pagamento una tantum.

Pagamento una tantum o pagamento ricorrente

La nuova legislazione entrò pienamente in vigore il 1° aprile 2005; le Civil Procedure Rules CPR 41.4–41.10 autorizzavano i giudici a disporre risarcimenti in forma di rendita (periodical payment orders, PPO). In precedenza ciò era possibile solo attraverso accordi contrattuali. A quel tempo molti attori ritenevano che il tasso di attualizzazione applicato fosse troppo alto e che si potesse raggiungere i livelli di rendimento necessari solo esponendosi a rischi inaccettabili. I risarcimenti in forma una tantum cominciarono a essere considerati troppo bassi e quelli in forma di rendita guadagnarono popolarità.

Ad esempio nel caso di incidenti stradali con un valore di causa di almeno 1 mln £ la probabilità di PPO è aumentata tra il 2008 e il 2010 dal 18 al 35%. Fino a tutto il 2012, nell’80% ca. dei procedimenti con un valore di causa di 7 mln £ o superiore è stato accor-dato un risarcimento in forma di rendita. Il numero assoluto di tali risarcimenti è rimasto tuttavia presso-ché invariato a ca. 70 all’anno. Alcune statistiche mostrano inoltre che gli importi medi risarciti per PPO vanno da 75.000 a 80.000 £ all’anno e sono rimasti a loro volta sostanzialmente costanti.

Sulla base dei rilievi statistici si è cercato di costrin-gere il ministro della giustizia (lord cancelliere) a ridurre il tasso di attualizzazione, che avrebbe dovuto tenere conto del basso livello di interessi e rendimenti in Gran Bretagna. Nonostante lunghe e approfondite consultazioni tali sforzi non hanno trovato fino a oggi accoglienza presso il governo che, essendo impe-gnato direttamente nella maggior parte dei PPO nell’ambito della National Health Service Litigation Authority (NHSLA), intende evidentemente frenare i progetti di riforma. Il governo sa infatti che ogni ribasso del tasso di attualizzazione renderebbe più attraente il ritorno ai risarcimenti forfettari in forma una tantum.

Attualmente i PPO sono ancora preferiti nelle cause di alto valore, nonostante l’incertezza che si arrivi o meno a una modifica del tasso di attualizzazione. In tempi recenti il ritorno a tassi di interesse più elevati è diventato però più probabile, perciò stanno tornando in voga i risarcimenti in forma una tantum soprattutto se la speranza di vita residua è superiore a 15 anni.

CASUALTY

Conseguenze per gli assicuratori

Gli assicuratori prediligono da sempre i risarcimenti in forma una tantum perché offrono maggiore sicurezza in fase di pianificazione finanziaria. Oggi i danni gravi a persona vengono tutta-via risarciti prevalentemente attra-verso la corresponsione di una rendita (periodical payment orders, PPO). Dato che nel frattempo sono usciti dal mer-cato i provider specializzati nelle tran-sazioni strutturate con pagamento di rendite, gli assicuratori devono ora provvedere in proprio alla copertura finanziaria degli esborsi sotto forma di vitalizio. L’operazione comporta diversi svantaggi:

− rischio che il danneggiato sopravviva più a lungo di quanto previsto;

− rischio d‘investimento per un periodo mediamente superiore a 40 anni;

− rischio d‘inflazione perché le presta-zioni periodiche in forma di rendita sono normalmente agganciate ai salari del personale badante;

− costituzione di riserve che devono essere verificate periodicamente;

− dati insufficienti che rendono dif-ficile un confronto di costi tra rendita e somma una tantum.

Per quanto riguarda i risarcimenti infe-riori a 25.000 £ (la parte assoluta-mente prevalente di tutti i danni a per-sona) gli effetti della riforma Jackson sono finora positivi. Gli assicuratori registrano già per questi casi un calo dell’ammontare dei sinistri imputabile sia alla soppressione della rimborsabi-lità dei compensi in quota lite e dei premi della speciale assicurazione di tutela giudiziaria (after the event insurance, ATE), sia alla maggiore rile-vanza attribuita alla proporzionalità dalla regolamentazione sui costi. Forse ci sono già i primi indizi di una diminuzione della frequenza dei sinistri.

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Le riforme Jackson

Il secondo e forse più rivoluzionario cambiamento della prassi processuale britannica è stato avviato il 1° aprile 2013 con l’entrata in vigore di numerose modifiche procedurali in linea con il rapporto Jackson.

Le modifiche introdotte dalle sezioni 44 e 46 del Legal Aid, Sentencing and Punishment of Offenders Act 2012 (LASPO) hanno portato dei vantaggi per i convenuti. Da un lato non è più possibile per gli attori applicare i cd. Conditional Fee Agreement (CFA), accordi secondo la cui disciplina il convenuto in caso di soccombenza deve pagare un onorario fino al 100% del compenso base dell’avvocato di parte attrice. Dall’altro non possono più essere addebitati al conve-nuto i premi della speciale assicurazione di tutela giu-diziaria stipulata dopo l’evento dalla parte attrice per coprirsi dal rischio di soccombenza (after the event insurance, ATE).

Questi vantaggi hanno però il loro prezzo. Se l’attore non ha stipulato un CFA «vecchio stile», viene parzial-mente «ricompensato» attraverso una maggiorazione del 10% della quota di risarcimento per danno non patrimoniale (pain, suffering and loss of amenity). Questa disposizione è stata introdotta dalla Court of Appeal nella causa Simmons contro Castle (2012) EWCA Civ 1039 e ha avuto per conseguenza un aumento immediato e sorprendente delle spese pro-cessuali. In aggiunta il convenuto è ora soggetto al cd. Qualified One-Way Cost Shifting (QOCS), che statui-sce, salvo poche eccezioni, la seguente regola: se la parte attrice vince la causa, può farsi rimborsare le spese processuali dal convenuto, mentre se a vincere è il convenuto, l’attore non è obbligato al rimborso di tali spese (CPR 44.13–44.18).

Modifiche alle norme procedurali

I legali sia degli attori che dei convenuti sono rimasti sorpresi dal fatto che, accanto a queste profonde tra-sformazioni nel finanziamento dei processi, i giudici siano passati anche a un controllo decisamente più stretto dell’intero procedimento. Il concetto del giusto equilibrio tra le parti è oggi collegato al severo e rigido rispetto delle Civil Procedure Rules e ogni inosser-vanza che non sia più che banale ha pesanti conse-guenze (cfr. in particolare Mitchell contro News Group Newspapers [2013] EWCA Civ 1537).

Trasferimento dei costi

Questo approccio rigoroso ha portato a una trasla-zione a monte della questione dei costi, soprattutto nelle cause di alto valore: le parti devono analizzare e motivare nella preparazione della prima udienza, quali passi andranno probabilmente a intraprendere nel caso di un corso sfavorevole della fase pre-proces-suale. Inoltre devono predisporre, scambiare e, dove possibile, concordare piani dei costi dettagliati (Practice Direction 3E), nei quali vanno elencate tutte le spese occorse fino a quel momento e quelle previ-ste, classificate secondo otto rubriche e due categorie per le spese impreviste. Se una delle parti non forni-sce il piano o non lo fa in tempo, risultano rimborsabili solo le spese di giudizio. Qualora le spese indicate in una o in più rubriche siano sottostimate, non sarà possibile esigere dall’altra parte il rimborso di importi superiori.

Acquisizione delle prove

Le parti devono analizzare con precisione quali mezzi di prova potrebbero essere necessari, indicare nomi-nalmente tutti i testimoni e precisare a quali domande ciascuno di essi dovrà rispondere. Devono essere inol-tre esplicitate tutte le spese peritali necessarie. Nella prima udienza il giudice può limitare i costi e/o il numero dei mezzi di prova ai quali possono fare ricorso le parti. Tali circostanze potrebbero risultare problematiche nel caso in cui giudici non specializzati nella materia volessero dare una dimostrazione del loro potere senza avere consapevolezza delle riper-cussioni negative delle loro decisioni. Appellarsi con-tro tali decisioni è praticamente impossibile. Le con-seguenze ipotizzabili sono due: il procedimento arriva a conclusione senza che una o entrambe le parti abbiano potuto addurre mezzi di prova importanti oppure le prove vengono ammesse a un’udienza suc-cessiva, producendo però ritardi e maggiori costi.

Produzione di documenti rilevanti

Nei procedimenti più complessi che non abbiano per oggetto danni a persona, le parti devono produrre tutti i documenti importanti al più tardi 14 giorni avanti la prima udienza (CPR 31.5). Le parti devono inoltre stabilire quali documenti siano rilevanti per il caso e accordarsi su come contenere al massimo i costi per la produzione dei documenti essenziali all’assunzione delle prove. Tale disposto può essere ragionevole nel caso di controversie commerciali con un gran numero di documenti, ma nelle cause di basso valore comporta spesso una grossa mole di lavoro e costi elevati prima ancora di aver definito le

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Conclusioni

È incontestabile che gli sforzi di riforma intrapresi qualche tempo fa fossero giustificati. Tuttavia il tra-sferimento ai giudici del controllo sul corso del proce-dimento si è spinto troppo avanti. Se non verranno introdotti dei correttivi c’è il rischio che l’applicazione troppo rigida delle prescrizioni conduca a risultati ina-deguati. Le parti in causa sono attualmente costrette a sostenere costi per soddisfare la volontà dei giudici, senza riguardo ai veri interessi dei mandanti.

IL NOSTRO ESPERTO:

Malcolm Henke è socio senior dello studio legale Greenwoods di Londra, dove dirige il «Catastrophic Injury Group».mch@greenwoods- solicitors.com

questioni del caso. Così facendo l’obiettivo dichiarato di limitare i costi connessi con la produzione dei documenti può essere portato all’assurdo.

Protocolli pre-processuali

Tutti i casi sono regolati da protocolli pre-processuali che prevedono che le parti prendano in considera-zione dei procedimenti alternativi di risoluzione delle controversie (ADR). Tali schemi di condotta non sono (ancora) obbligatori, ma già oggi si delinea la ten-denza dei giudici ad addossare maggiori costi, indiffe-rentemente dall’esito del procedimento, alle parti che si siano rifiutate, a giudizio dei giudici immotivata-mente, di adire soluzioni alternative (cfr. in particolare PGF II SA contro OMFS Co 1 Ltd [2013] EWCA Civ 1288). Oggi gli avvocati di entrambe le parti devono quindi prestare attenzione a non commettere errori nella fase pre-processuale che possano condurre a notevoli svantaggi per i propri assistiti.

Proporzionalità dei costi

Dal punto di vista dei convenuti è positivo il fatto che, oltre alla nuova importanza data alla proporzionalità dei costi, si sia statuito che cosa si intenda effettiva-mente per proporzionalità (CPR 44.3). Secondo le norme in vigore fino all’aprile 2013 la proporzionalità era un criterio, ma raramente impediva a un attore di farsi rimborsare le spese ragionevolmente sostenute anche se la loro entità appariva improbabile. Nel frat-tempo i giudici non ammettono più le spese che riten-gono inconsiderate o la cui entità sia a loro giudizio sproporzionata. Senza dubbio ciò ha indotto gli avvo-cati degli attori a una maggiore cautela nella quantifi-cazione delle proprie richieste.

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40 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/201440 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

DIFESA IDRAULICA

Barriera antiesondazione al Fischmarkt di Amburgo, in Germania

Dall’evento del 1962 nel territorio della città di Amburgo non si è più verificato nessun danno significativo da onda di tempesta, nemmeno durante la tempesta invernale Xaver nel dicembre 2013. Ogni euro speso nelle opere di difesa idraulica si è già ripagato molte volte.

I vantaggi superano nettamente i costi

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DIFESA IDRAULICA

Wolfgang Kron e Olaf Müller

Dalla grande inondazione del 1962 si sono verificate ad Amburgo altre nove onde di tempesta che hanno superato l’allora record idrometrico di 5,70 m1 (vedi tabella 1). La più alta, con un picco di 6,45 m, risale al 1976, seguita da quella causata dalla depressione Xaver il 6 dicembre 2013 con 6,09 m; tre ulteriori eventi hanno raggiunto un livello idrometrico di almeno 5,95 m. Ciò nonostante non si sono mai registrati danni degni di nota nel territorio della città. Diversa la situazione al porto: nel 1976 oltre ai capannoni di Airbus furono colpite molte altre aziende. Vennero danneggiati i binari delle gru portuali e corrosi i cavi elettrici interrati, molte merci immagazzinate a livello del suolo andarono completamente perdute. Com-plessivamente i danni allora assommarono, in valuta attuale, a ca. 1 mld €.

Le conseguenze dell’alluvione del 1962

Il fatto che Amburgo nei decenni scorsi se la sia cavata con danni minori è da attribuire ai drammatici eventi del 1962. Allora circa un sesto dell’area cittadina finì allagata e 318 persone persero la vita. Per evitare altre catastrofi di tale portata, negli anni successivi la città fece poderosi investimenti nella protezione contro le piene. La linea di difesa idraulica è stata in parte retti-ficata e gli argini riedificati o rinforzati sulla base delle nuove conoscenze ingegneristiche. Protezioni sono state realizzate anche sul corso inferiore dell’Elba. Oggi le onde di tempesta ad Amburgo raggiungono però livelli idrometrici più elevati rispetto a solo 50 anni fa, dato che la costruzione degli sbarramenti pro-tettivi sugli affluenti ha abbreviato la linea di argine. Inoltre i cambiamenti climatici stanno innalzando ulteriormente il livello del mare.

In totale la città anseatica dispone oggi di una linea di difesa dalle inondazioni di 103 km, con un’altezza minima di 7,50 m (fino al 1962 era di 5,70 m). Essa consiste di 78 km di argini in terra, 25 km di barriere antiesondazione, soprattutto all’interno del perimetro cittadino, e conta 79 manufatti singoli quali chiuse, dighe, chiaviche, idrovore e traverse. Gli argini, che fino al 1962 erano larghi 12 m, oggi possono avere una larghezza fino a 69 m e un’altezza di 8,90 m. Nel 2012 il Senato amburghese ha deciso di elevare l’altezza idrometrica di progetto, riferita all’idrometro di St. Pauli, da 7,30 a 8,10 m. Le opere di difesa del porto di Amburgo sono però tuttora più basse.

Senza le opere di difesa idraulica una grande onda di tempesta allagherebbe ca. 343 km2 ovvero il 45% della superficie urbana coinvolgendo ben 325.000 abitanti e 165.000 posti di lavoro. Nel territorio pro-tetto sono ubicati valori economici per più di 10 mld €.

I costi della difesa di Amburgo dalle inondazioni

L’ampliamento delle opere di difesa idraulica della città può essere suddiviso in tre fasi a partire dal 1962. Nell’elenco dei costi che segue non sono considerati gli interventi per il porto. Il ripristino degli argini dan-neggiati e la costruzione di nuovi argini tra gli anni 1962 e 1979 sono costati 780 mln DM. Ipotizzando che le spese nel primo anno siano state circa il triplo di quelle nel 1979 e che in tale lasso di tempo le stesse spese siano diminuite linearmente, si ottiene un importo depurato dell’inflazione e riferito al 2013 pari a ca. 1,3 mld € per questa prima fase.

Tabella 1: Le onde di tempesta più elevate dal 1962 ad Amburgo

17 febbraio 1962 5,70 m03 gennaio 1976 6,45 m24 novembre 1981 5,81 m28 febbraio 1990 5,75 m23 gennaio 1993 5,76 m28 gennaio 1994 6,02 m10 gennaio 1995 6,02 m05 febbraio 1999 5,74 m03 dicembre 1999 5,95 m06 dicembre 2013 6,09 m

Idrometro di Amburgo St. PauliOnda di tempesta 3,60 – 4,60 mOnda di tempesta grave 4,60 – 5,60 mOnda di tempesta molto grave > 5,60 m

BSH = Ufficio federale tedesco per la navigazione e l‘idrografia

Tabella 2: Definizioni secondo il BSH

1 Tutte le altezze indicate nell’articolo si riferiscono allo zero mareografico.

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DIFESA IDRAULICA

Dopo l’onda di tempesta provocata dall’uragano Capella nel gennaio del 1976, si sono spesi ogni anno fino al 1992 ca. 20 mln DM per misure di protezione, sostanzialmente per innalzare i tratti di argine più a rischio. Tale somma depurata dell’inflazione ammonta a ca. 220 mln €. Nel 1991 è stata inoltre ele-vata l’altezza di progetto degli argini, in modo da ren-derli idonei a contenere livelli d’acqua di 7,30 m all’i-drometro di St. Pauli. Nella terza fase, avviata nel 1993, i costi depurati dell’inflazione ammontano com-plessivamente a 820 mln €. Fino a oggi dunque sono confluiti nel miglioramento delle opere di difesa idraulica di Amburgo ca. 2,34 mld €. La terza fase del programma si concluderà prevedibilmente nel 2017. È già allo studio un nuovo programma in considera-zione dell’innalzamento dell’altezza idrometrica di progetto.

Analisi costi/benefici

Non è possibile predisporre un calcolo preciso del rap-porto costi/benefici per la difesa idraulica, ciò nono-stante si possono mettere a confronto i costi per la realizzazione delle opere di difesa con i danni evitati. A questo fine è necessario assumere alcune ipotesi.

La prima variante (vedi fig. 1) ipotizza che nel territorio urbano interessato non si verifichino danni superiori a quelli dell’anno 1962, pari a 1,68 mld depurati dell’in-flazione (ipotesi minima). Ne consegue un «utile netto» minimo imputabile alle difese idrauliche pari a 6 mld € (danni evitati: 5 x 1,68 mld € – 2,34 mld € di costi = 6,06 mld €).

Per un’analisi più realistica è necessario tuttavia com-prendere anche l’aumento della concentrazione di valori economici nel corso degli anni. Nella seconda variante si utilizza quindi per l’estrapolazione l’incre-mento del prodotto interno lordo in Germania quale fattore proxy. Il risparmio sui costi in questo caso sarebbe nell’ordine di 20 mld €, di cui ca. 6,7 riferibili alla sola tempesta Xaver.

Nella terza variante si assume come ulteriore ipotesi che la superficie allagata e di conseguenza i danni aumentino con l’innalzarsi del livello dell’acqua. Se si suppone che ogni centimetro d’acqua eccedente il record di 5,70 m dell’inondazione del 1962 incrementi di un punto percentuale il valore dei danni, l’«utile netto» imputabile alle difese idrauliche è di 28 mld €. In questo caso Xaver avrebbe inciso sui danni per oltre 9,3 mld €.

Il rapporto costi/benefici risulterebbe in tutte e tre le varianti ancora sensibilmente più favorevole se si includessero, oltre ai cinque eventi considerati, anche le successive quattro onde di tempesta più elevate, la cui altezza idrometrica varia da 5,75 a 5,81 m.

Il rischio danni da onda di tempesta

L’altezza idrometrica di progetto valida fino al 2012, pari a 7,30 m, non è mai stata raggiunta da nessun evento. Al riguardo va detto che tale valore non rap-presenta la quota di sommità arginale, che com-prende il cosiddetto franco arginale con il quale si considera anche la risalita del moto ondoso. Quest’ul-tima può assumere localmente intensità differenti. Per questo motivo le opere di difesa contro le inonda-zioni non hanno tutte la stessa altezza, che varia da 7,50 a 9,25 m. L’altezza di progetto tiene conto, oltre che del sollevamento dell’acqua provocato dal vento e di altri componenti di un’onda di tempesta, anche di un eustatismo (l’innalzamento del livello del mare) nel secolo pari a 50 cm attesi entro il 2100. A Cuxhaven è stato misurato negli ultimi 150 anni un incremento dell’alta marea media di 25 cm ogni 100 anni. Con i cambiamenti climatici tale aumento potrebbe rive-larsi però maggiore, un’eventualità che nel calcolo sarebbe considerata.

Gli argini hanno un’altezza tale da contenere livelli d’acqua molto alti. La nuova altezza idrometrica di progetto di 8,10 m per Amburgo corrisponde a una probabilità di superamento statistica di una volta ogni ca. 7.000 anni.

Costruzione del lungoporto sull’Elba all’altezza del Baumwall ad Amburgo

Il danno del 1962 assomma ai valori odierni a 1,68 mld €. Se si dovesse ripetere la catastrofe di allora, tale im - porto sarebbe di gran lunga maggiore perché la con-centrazione di valori economici sul territorio è note-volmente accresciuta, e presumibilmente lo è anche la vulnerabilità ai danni da acqua. È ragionevole dunque eseguire il calcolo di comparazione di costi e benefici a titolo esemplare con più varianti. Si sup-pone innanzitutto che gli eventi degli anni 1976, 1994, 1995, 1999 e 2013, in occasione dei quali l’acqua ha raggiunto un’altezza non inferiore a 5,95 m, abbiano inondato le stesse aree del 1962, dal momento che le opere di difesa sarebbero rimaste quelle di allora.

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DIFESA IDRAULICA

Analisi costi/benefici della difesa idraulica di Amburgo: anche con una stima molto prudente dei danni evitati, le opere di difesa della città anseatica edificate a partire dal 1962 hanno fruttato un «utile netto» di 6 mld €. Se si considerano la crescita dei valori economici nei passati decenni e l’in-nalzamento dei livelli idrometrici, tale valore si eleva a 28 mld €.

somma dei costi della difesa idraulica

somma dei danni evitati detratti i costi:

senza incremento dei valori economici

incremento dei valori economici analogo a quello del PIL della Germania

incremento dei valori economici analogo a quello del PIL maggiorato dell’1% per centimetro d’acqua eccedente i 5,70 m

Base dati: Landesbetrieb Straßen, Brücken und Gewässer, Amburgo

Fig. 1: Prevenire conviene

In presenza di una scarsa protezione costiera i danni da onda di tempesta aumentano con l’allungarsi del tempo di ritorno seguendo una curva a «S» appiattita (in blu).

Le opere di difesa ideali trattengono l’acqua fino al raggiungimento del livello idrometrico di progetto (come ipotizzato nell’esempio raffigurato con un tempo di ritorno di 500 anni), se l’innalzamento è maggiore le difese diventano assoluta-mente inefficaci (curva verde).

Nella realtà i danni assumono prevedibil-mente l’andamento descritto dalla curva rossa.

basso grado di difesa alto grado di difesa condizione «sì/no» ideale

Fig. 2: Efficacia delle difese contro le inondazioni in forma schematica

30

25

20

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10

5

0

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Mld €

1962 1966 1970 1974 1978 1982 1986 1990 1994 1998 2002 2006 2010 2014

125 250 500 1.000 2.000 4.000 8.000 16.000

Danno

Tempo di ritorno (anni)

44 Munich Re Topics Schadenspiegel 1/2014

DIFESA IDRAULICA

L’onda di tempesta è un innalzamento eccezionale del livello marino che si genera dalla sovrapposizione di marea, onde lunghe di superficie provenienti da lontane zone di burrasca e sovralzo causato dal vento. Perché ciò si verifichi è necessario un vento forte che abbia soffiato per ore spingendo l’acqua in direzione della costa. Il tratto di costa colpito dipende dalla traietto-ria della depressione ciclonica che origina i venti. Si hanno valori di innalzamento particolarmente elevati quando il massimo sovralzo dovuto ai venti di mare coincide con l’alta marea.

L’altezza dell’onda di tempesta è influenzata anche da fattori geometrici quali la profondità e l’inclinazione del fondo marino e la forma delle coste. Soprattutto nelle foci fluviali a forma di imbuto (estuari) come nel caso del Tamigi e dell’Elba o del Rio della Plata, ma anche in golfi e insenature l’onda di tempesta risulta potenziata. All’idrometro di Amburgo St. Pauli l’ampiezza di marea ossia il dislivello medio dell’acqua tra l’alta e la bassa marea ovvero tra flusso e riflusso misura 3,65 m.

Il rischio di onda di tempesta nell’Europa centro-occi-dentale sussiste soprattutto nel semestre invernale, quando arrivano le depressioni atlantiche da ovest-nord-ovest. Oggi l’avviso di onda di tempesta con indicazione del valore atteso dell’innalzamento viene diramato con ca. 12 ore di anticipo. La depressione ciclonica all’origine del fenomeno può tuttavia essere identificata già parecchi giorni prima. Le maree mag-giori (sizigie) si verificano due volte al mese quando Sole, Luna e Terra si trovano allineati (in congiunzione o in opposizione). In questi casi la maggiore attrazione gravitazionale fa aumentare l’ampiezza della marea.

Come si origina un’onda di tempesta?

Il Dr. Ing. Olaf Müller dirige il settore operativo Corpi idrici e difese idrauliche dell’azienda municipalizzata Landesbetrieb Straßen, Brücken und Gewässer di Amburgo. [email protected]

I NOSTRI ESPERTI:

Il Dr. Ing. Wolfgang Kron è ingegnere idraulico e lavora come consulente senior nel settore Ricerca georischi, dove si occupa tra l’altro di inondazioni e onde di tempesta. [email protected]

Anche se tali valori di probabilità vanno presi con pru-denza a causa del lungo intervallo di estrapolazione, i danni per sormonto arginale da onda di tempesta sono molto improbabili. E tuttavia rimane un rischio residuo. Anche oggi non si può escludere del tutto che si verifichino delle rotte arginali nel caso di eventi che superino l’altezza idrometrica di progetto. Dove si verifichino questi cedimenti non è però normalmente prevedibile, circostanza che è alla base anche di un’a-nalisi di rischio attualmente in corso presso il governo federale tedesco (2014).

La correlazione tra intensità (ovvero probabilità) di un evento naturale ed entità dei danni mostra tipica-mente un andamento a «S» appiattita (fig. 2, curva blu). Nel caso delle onde di tempesta si evidenzia tut-tavia un quadro del tutto diverso in presenza di una buona protezione costiera. Una difesa idraulica effi-cace è in grado di evitare ampiamente l’insorgere di danni se l’altezza idrometrica di progetto non viene superata. Se il sollevamento dell’acqua causato dalla tempesta è maggiore, come nell’esempio raffigurato con un tempo di ritorno di 500 anni, le opere di difesa sono (pressoché) inefficaci e la curva dei danni si impenna quindi velocemente. La condizione ideale «sì/no» riproduce il caso in cui fino al raggiungimento del valore di progetto non si hanno danni, ma se tale valore viene oltrepassato si realizza repentinamente il valore massimo di danno. Con nessun altro rischio naturale la realtà è così prossima a tale condizione ideale come con un’onda di tempesta che investa una costa dotata di difese ben articolate (curva rossa).

La protezione costiera sul Mare del Nord ha raggiunto un elevatissimo livello di sicurezza. Pur tuttavia per-mane un notevole potenziale di rischio in caso di evento estremo data la grande densità di valori economici e di popolazione lungo la costa e ad Amburgo. Comunque sia, durante l’onda di tempesta del 1976, con un livello idrometrico di 6,45 m ad Amburgo la più alta in asso-luto dall’inizio delle registrazioni nell’anno 1750, le opere di difesa resistettero ai marosi e così l’evento meteorologico non si trasformò in una catastrofe.

I calcoli sul rapporto costi/benefici riportati a titolo di esempio mostrano che gli investimenti nella difesa idraulica della città di Amburgo sono altamente red-ditizi. Anche se l’analisi si deve basare su alcune ipo-tesi e le cifre rappresentano soltanto delle grossolane approssimazioni, un «utile» 10 volte superiore ai costi appare un risultato realistico. E con ogni futura onda di tempesta che non produrrà danni maggiori, tale utile è destinato ad aumentare.

>> Ulteriori informazioni sul tema inondazioni e altre catastrofi naturali in Topics Geo 2013 alla pagina connect.munichre.com

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La tutela collettiva in Europa

Contrariamente a quanto programmato in origine non ci sarà, perlo-meno a breve termine, la possibilità di un’azione di classe unitaria nella UE. Gli Stati membri sono stati invece chiamati a sviluppare modelli autonomi per il ricorso collettivo. Non è ancora chiaro quali ripercussioni avrà questa iniziativa sulla litigiosità e sull’entità dei risarcimenti.

Ina Ebert

Fino a una decina di anni fa la tutela giurisdizionale collettiva aveva un ruolo marginale in Europa. Le azioni collettive di risarcimento (class actions) erano considerate una tipica istituzione giuridica del diritto nordamericano così come i risarcimenti punitivi (punitive damages) e i patti di quota lite (compensi parametrati al risultato). Vi era però crescente evi-denza che il tradizionale sistema di contenzioso euro-peo non era più in grado da solo di garantire in tutti i casi un’efficace tutela giurisdizionale. La necessità di riforme diventò palese soprattutto nelle cause inten-tate da azionisti con migliaia di attori in giudizio e in seguito a gravi incidenti con aspetti transnazionali. A ciò si aggiunse la crescente rilevanza dell’offerta transfrontaliera di beni e servizi attraverso Internet, che rese auspicabile un’armonizzazione a livello euro-peo della tutela dei consumatori. Negli anni succes-sivi sia la UE che singolarmente molti Stati europei tentarono quindi di adattare il diritto processuale tradizionale alle nuove esigenze.

Obiettivi di riforma a livello di UE

Basandosi sulla «Strategia per la politica dei consu-matori dell’UE 2007–2013», la Commissione Europea iniziò nel 2007 i lavori preparatori per una forma di tutela giurisdizionale collettiva a livello comunitario. Nel 2008 ne fissò i principi cardine. Successivamente il nuovo diritto processuale avrebbe dovuto permet-tere ai consumatori l’attuazione efficace ed efficiente dei crediti di risarcimento e allo stesso tempo tratte-nere i fornitori di beni e servizi dal mettere in atto comportamenti illeciti. Si ipotizzò anche un prelievo sugli utili illecitamente prodotti. Dall’altra parte si volevano evitare attivamente abusi del contenzioso. Soprattutto fu continuamente sottolineata l’inten-zione di impedire in tutti i casi un sistema di class actions come quello praticato negli Stati Uniti con i problemi connessi.

A tale scopo furono organizzate numerose audizioni di tutti gli stakeholders, seminari ed eventi informativi. Studi su larga scala condotti per accertare lo stato della tutela dei consumatori in tutti gli Stati membri

evidenziarono l’esistenza di notevoli differenze tra i sistemi giuridici. Si constatò inoltre l’impossibilità di tenere in considerazione le divergenti concezioni di tutti gli Stati membri.

Di conseguenza la soluzione, in un primo tempo privi-legiata, di una forma di tutela collettiva valida in tutta l’Unione fu accantonata. In alternativa nel 2013 la Commissione ha pubblicato la «Raccomandazione relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri» (2013/396/UE del 11.06.2013), in cui solle-cita tutti gli Stati membri a introdurre procedimenti di tutela giurisdizionale collettiva per ottenere il risar-cimento in situazioni di danno collettivo. Un tale sistema di ricorso collettivo dovrebbe non solo garan-tire la tutela integrale dei consumatori e nel contempo impedire gli abusi del contenzioso, ma essere anche comune «a tutta l’Unione, nel rispetto delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri». In partico-lare gli Stati membri dovrebbero «provvedere affinché i procedimenti di ricorso collettivo siano giusti, equi, tempestivi e non eccessivamente onerosi». Le propo-ste dei singoli Stati su come potrebbe configurarsi un simile meccanismo di ricorso collettivo a livello nazio-nale appaiono ugualmente ambiziose e non prive di contraddizioni. Contemporaneamente tutti gli Stati membri sono stati invitati a sviluppare l’offerta di meccanismi di risoluzione alternativa delle controver-sie dei consumatori (alternative dispute resolution, ADR) di cui alla Direttiva 2013/11/UE del 21.05.2013.

Riforme nei singoli Stati dell’Unione Europea

Parallelamente agli sforzi per introdurre in tutta l’Unione meccanismi di ricorso collettivo uniformi, nella maggior parte degli Stati membri è stato rifor-mato il diritto processuale. I legislatori nazionali hanno adottato varianti diverse di tutela collettiva:

CASUALTY

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CASUALTY

− Alcuni Stati (p. es. la Danimarca nel 2008, l’Italia nel 2010 e la Francia nel 2014) hanno introdotto le azioni di classe, che però si differenziano marcata-mente dalle class actions del diritto statunitense. In particolare, rispetto a queste ultime esse si basano praticamente senza eccezione sul principio dell’opt-in, vale a dire che fa parte della «classe» degli attori solo chi vi ha aderito manifestando liberamente il proprio consenso e non, come nel modello basato sul principio dell’opt-out, qualunque persona a cui si attagli la definizione della classe e che non abbia espressamente chiesto di non voler essere incluso in tale classe. Tutte le azioni di classe in Europa preve-dono peraltro numerosi meccanismi di garanzia per evitare abusi del contenzioso. Le cautele dei legisla-tori nazionali derivano da una parte dalla cattiva fama che hanno in Europa le class actions statuni-tensi e dall’altra dalla volontà di tenere in considera-zione anche il dubbio che le azioni di classe basate sul principio dell’opt-out potessero essere in contrad-dizione con il diritto costituzionale europeo (special-mente per violazione del diritto al contraddittorio).

− In Germania le cause intentate da ca. 17.000 azionisti della Deutsche Telekom hanno portato all’emanazione della legge sul procedimento modello per le controversie degli investitori sui mercati finanziari (KapMuG), che consente agli

azionisti di far decidere unitariamente dalla Corte d’Appello competente questioni di fatto e di diritto con lo stesso oggetto nell’ambito di un processo pilota per tutti gli attori che si sono riuniti a questo scopo (principio dell’opt-in). Dal 2012 è prevista inoltre la possibilità di concludere la controversia attraverso una transazione collettiva giudiziale, che è vincolante per tutti gli attori che non si siano espres-samente riservati la facoltà di promuovere un’azione individuale (principio dell’opt-out). Attualmente si discute se estendere l’ambito di applicazione del procedimento modello anche ad altri tipi di conten-zioso.

− In Olanda dall’introduzione nel 2005 della legge sulla transazione collettiva (WCAM) vi è la possibi-lità di comporre le controversie con una moltitudine di persone coinvolte attraverso una transazione di massa controllata giudizialmente. Il caso più noto in cui si è utilizzato tale procedimento è stato il risarci-mento degli azionisti Shell nel 2009. La peculiarità della transazione di massa del diritto olandese risiede nel fatto che possono essere regolate per questa via, con effetto vincolante a livello europeo anche le controversie dove il collegamento tra il danno e l’ordinamento del Paese è minimo.

Alcuni avvocati trasportano casse di racco-glitori contenenti atti processuali al centro congressi Saalbau Bornheim di Francoforte sul Meno trasformato in aula di tribunale.

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LA NOSTRA ESPERTA:

La prof. Dr. Ina Ebert è specializzata in diritto della responsabilità civile e rischi emergenti e lavora come esperto di settore dirigente nel campo responsabilità civile e diritto delle assicurazioni nel settore Sinistri [email protected]

Anche altri Stati stanno discutendo da molto tempo sull‘introduzione dell‘azione di classe oppure hanno sviluppato altre forme di tutela giurisdizionale collet-tiva (p. es. la Gran Bretagna) 1.

Conclusioni e prospettive

Dal momento che la maggior parte dei meccanismi di ricorso collettivo esistenti in Europa sono stati intro-dotti solamente pochi anni fa, a tutt‘oggi non è possi-bile prevedere ancora quali ripercussioni avranno sul medio periodo. Si stanno comunque delineando alcune tendenze:

− Finora è stato fatto in generale un uso molto mode-rato delle attuali possibilità di ricorso collettivo esi-stenti in Europa, considerazione che vale sia per gli attori sia per i giudici.

− Qualora tuttavia questo sia avvenuto, non è dato comprendere se vi sia stato di conseguenza un aumento tangibile della frequenza o dell‘entità dei risarcimenti pagati. L‘Europa è ancora molto distante da una situazione processuale come quella vigente negli Stati Uniti.

− Questo dipende, oltre che dalla differente litigiosità dei due mercati, sicuramente anche dagli ampi meccanismi di garanzia previsti da tutti i sistemi di ricorso collettivo europei (rigido controllo da parte dei giudici competenti, ripartizione delle spese processuali, mantenimento delle attuali norme di diritto delle prove, nessuna apertura ai risarcimenti punitivi).

− Il prezzo di tutto questo sta nel fatto che i mezzi di ricorso collettivo hanno potuto fino a oggi solo rara-mente contribuire alla composizione rapida, globale e definitiva di una moltitudine di controversie legali.

− La possibilità di una regolamentazione armonizzata in Europa della tutela collettiva si è per ora allonta-nata nel tempo. Dal punto di vista dei convenuti e dei loro assicuratori varrebbe tuttavia la pena esa-minare se per determinate fattispecie, ad esempio in relazione alle cause intentate da azionisti, l‘utilizzo della transizione di massa controllata giudizialmente non possa offrire dei vantaggi.

CASUALTY

1 Cfr. sulle attuali riforme del diritto processuale in Gran Bretagna anche l‘articolo di Malcolm Henke in questo numero a p. 36.

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RUBRICA

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Catastrofi naturali

Tobias Büttner, responsabile di Sinistri aziendali in Munich [email protected]

Novità nella gestione dei sinistri da catastrofi naturali

Gli anni scorsi hanno dimostrato chiaramente come si verifichino sempre più spesso gravi catastrofi naturali che producono danni sem-pre più costosi. Tale evoluzione sembra destinata a continuare per-ché i mutamenti climatici non si arrestano e in tutto il mondo per-mane la tendenza all’urbanizza-zione e alla concentrazione di valori economici. Spesso quindi non è più possibile, soprattutto nelle aree particolarmente a rischio, tutelarsi adeguatamente contro le calamità naturali ricorrendo a modelli di copertura tradizionali. Per questo motivo sono state concepite molte soluzioni integrative, che vanno dai fondi permanenti o istituiti ad hoc fino al trasferimento alternativo del rischio. Al di là del differente approccio formale ciò ha anche ripercussioni concrete sulla gestione dei sinistri a seguito di catastrofi naturali.

Tra gli esempi più datati possiamo citare l’istituzione nel 1968 del Natio­nal Flood Insurance Programm negli Stati Uniti, il cui obiettivo è quello di ridurre il numero degli edifici non assicurati o sottoassicurati nelle zone a elevata pericolosità subordi­nando l’erogazione di aiuti statali in caso di catastrofe alla preesistenza di un’assicurazione contro le inonda­zioni. Una soluzione che dovrebbe da un lato offrire una tutela minima ai soggetti coinvolti, dall’altro limitare l’onere finanziario dello Stato per le sovvenzioni concesse in conseguen­ za di un evento inondativo. L’idea di un’assicurazione obbligatoria è oggetto di discussione anche in Germania, soprattutto dopo le gravi alluvioni del 2002 e del 2013, ma le

resistenze a una simile soluzione sono consistenti. Si teme infatti che con l’introduzione di un obbligo assi­curativo possa venir meno lo stimolo ad adottare sistemi di protezione di tipo costruttivo. Per ridurre l’onere dei contribuenti per i consistenti aiuti economici alle vittime delle inonda­zioni si ritiene pertanto più oppor­tuno migliorare le opere di difesa idraulica e applicare norme edilizie adeguate. Nei Paesi emergenti l’o­biettivo principale è invece per lo più ripristinare la funzionalità delle infra­strutture statali dopo una catastrofe naturale e finanziare gli aiuti imme­diati ai soggetti colpiti. È il caso ad esempio del fondo per le catastrofi naturali (FONDEN) istituito in Mes­sico nel 1999 e finanziato dallo Stato.

Anche il trasferimento alternativo del rischio offre ipotesi di soluzione, in particolare contro i danni da vento causati da uragani negli Stati Uniti, tifoni in Giappone, cicloni in Austra­lia e tempeste in Europa. Benché tali soluzioni si basino tutte sul sinistro originale, vi sono alcune deroghe rispetto alle coperture (ri)assicura­tive tradizionali, dato che la liquida­zione dei sinistri deve essere adat­tata alle esigenze dei portatori del rischio. Ad esempio le spese di liqui­dazione non vengono mai contabiliz­zate per anno di accadimento, bensì aggiunte forfettariamente all’am­montare del sinistro netto definitivo. Per limitare l’immobilizzo di capitale, si concorda quasi sempre fin dal principio un particolare meccanismo per la contabilizzazione, detto com­mutazione della riserva sinistri, da effettuare al più tardi tre anni dopo la scadenza del periodo di rischio. Le riserve inoltre devono essere obbliga­

toriamente verificate da periti esterni (loss reserve specialists) e tutti i sini­stri di cui si chiede il risarcimento vengono esaminati da ispettori indi­pendenti (claims reviewers). I paga­menti per sinistri relativi a coperture non tradizionali avvengono inoltre normalmente solo a determinate sca­denze trimestrali, in coincidenza con il versamento dei premi, in modo d’a­vere la stessa data di contabilizza­zione. Tali procedure standardizzate potrebbero essere eventualmente applicate alla riassicurazione tradi­zionale senza tuttavia limitare con questo la verifica dei sinistri.

Non è ancora possibile prevedere quali formule di trasferimento del rischio tra quelle finora testate si affermeranno in definitiva come inte­grazione dei modelli di copertura tra­dizionali per i diversi scenari di cata­strofi naturali e per i diversi mercati. L’ulteriore sviluppo di simili modelli sembra tuttavia probabile se si consi­dera l’attuale afflusso di capitale sui mercati assicurativi.

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RedazioneCorinna Moormann,Comunicazione del Gruppo(indirizzo come sopra)Telefono: +49 89 38 91-47 29 Fax: +49 89 38 91-7 47 [email protected]

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