Toghe rotte

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Il cittadino che abbia voglia di capire perché molte persone condannate per reati finanziari le ritroviamo coinvolte in scandali successivi; perché perfino i reati più comuni (rapine, estorsioni, sequestri di persona, omicidi, ecc.) spesso sono commessi da gente che è già stata condannata per altri reati; perché il processo termina, nel 95% dei casi, con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione.

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Pamphlet, documenti, storie

REVERSE

Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi,Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani,Caterina Bonvicini, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza,Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Carla Castellacci, Fernando Coratelli, Pino Corrias,Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro, Giovanni Fasanella, Massimo Fini,Fondazione Fabrizio De André, Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli,Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi,Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo,Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Marco Lillo, Giuseppe Lo Bianco,Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Angelo Miotto,Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Alberto Nerazzini, Sandro Orlando,Pietro Palladino, David Pearson (graphic design), Maria Perosino,Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello (web editor), Marco Preve,Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Luca Rastello,Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli,Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo,Michele Santoro, Roberto Saviano, Matteo Scanni, Bruno Tinti,Marco Travaglio, Carlo Zanda.

chiarelettereAutori e amici di

PRETESTO1 fa pagina XII

“Non c’è un filo di retoricanelle pagine benedettamentesintetiche di Toghe rotte. C’è la vita quotidiana dei magistrati che, insieme a poliziotti, carabinieri,finanzieri, cancellieri e impiegati, tentano ognigiorno di amministrare la Giustizia a dispetto dei santi. Cioè deiParlamenti, dei governi e fors’anche di una buonaparte dei cittadini che di una Giustizia funzionantehanno una paura fottuta.”Dalla Prefazione di Marco Travaglio

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“Lo sapevate che a Roma ci sono più avvocati che nell’intera Francia? E a Torino tanti quanti a Manhattan? Sarà ancheper questo che io sto qui a perdere tempo?...Chi glielo dice ai cittadiniche noi non facciamoniente?”

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“Perché i giudici e i loro organi costituzionalinon sono immuni al degrado del paese in cui vivono. E alla fine, all’interno dellaMagistratura è accaduto qualcosa di moltosimile a ciò che è accaduto all’esterno, nei palazzi della politica… Il «governo» dellaMagistratura è il csm, i «partiti» sono le cosiddette «correnti». Le elezioni sonogestite dalle «correnti». Sono le «correnti» chedecidono chi deve andare a far parte deiConsigli Giudiziari e del csm; sono le«correnti» che compongono la lista dei giudiciche dovranno essere eletti in questi organismi;sono le «correnti» che fanno propaganda perquesto e per quest’altro e che, in pratica,garantiscono che nessuno, ma proprio nessuno(se non un altro aderente a un’altra «corrente»)possa fargli concorrenza.”

“A questo punto, sapete chi ci sta in carcere? Qualche omicida e qualche rapinatore, una sterminata quantità di extracomunitari che hanno rubacchiato o spacciato qualche dose; e – per poco, pochissimo tempo – qualchedelinquente che il pm e il gip hanno arrestatomentre si svolgono le indagini e che, per scadenzadei termini o perché il Tribunale della Libertà li ha messi fuori, sono usciti dopo due o tre mesi,pronti a trascinare il processo fino alla prescrizione.”

© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano

ISBN 978-88-6190-030-1

Prima edizione: settembre 2007Seconda edizione: ottobre 2007Terza edizione: ottobre 2007Quarta edizione: novembre 2007Quinta edizione: novembre 2007

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chiarelettere

A cura di Bruno Tinti

Toghe rotte

Bruno Tinti è nato tanti anni fa, molti di più di quanto gli piacerebbe.Ama andare in motocicletta, sciare, arrampicare, giocare a tennis, viaggiare incamper; insomma gli piace godersi la vita. In realtà ci è riuscito poco, perchéha sempre lavorato sodo, e sempre nel campo penale.Nel lavoro è stato fortunato perché ha avuto come capi persone straordinarie,prima Mario Carassi e poi Bruno Caccia, morto ammazzato per le soliteragioni per cui si ammazza un magistrato: troppo onesto, troppo efficiente,intransigente, non condizionabile. Da loro ha imparato sul campo tutto quelloche è importante sapere per fare il magistrato, senza cui diritto e proceduraservono a poco; anzi sono strumenti pericolosi.Da più di venticinque anni si occupa di diritto penale dell’economia, falsi inbilancio, frodi fiscali, reati fallimentari e finanziari, tutta roba difficile dagestire nel contesto politico e giudiziario italiano.Per qualche anno ha fatto anche il professore all’università, ma ha scoperto cheera troppo faticoso: professore e Procuratore della repubblica riempiono duevite; e a lui quella che aveva serviva anche ad altro.In tempi meno conflittuali è stato anche consulente di qualche ministro e hascritto la legge che punisce i reati tributari, in vigore ancora adesso; solo che sene lamenta tutte le volte che gliene parlano perché il Parlamento (tuttid’accordo, senza distinzione tra maggioranza e opposizione) gliel’ha cambiatae quella che è venuta fuori è l’ennesima legge fatta per non funzionare.Questa stessa tecnica è stata utilizzata per quasi tutte le leggi che riguardano ilsuo settore professionale, reati societari e fallimentari in particolare; e cosìprogressivamente il suo lavoro è diventato più o meno inutile. Sicché un’altracosa che dice sempre è che si è stufato di lavorare in un’azienda in cui entranocamion carichi di carta ed escono camion carichi di carta.Ha cercato di trovare soluzioni nell’organizzazione del lavoro; si è specializzatoin informatica giudiziaria, ha tentato assetti organizzativi degli uffici cheottimizzassero quella che lui chiama la gestione della «fuffa», in modo dalasciare tempo e risorse per fare i processi importanti. Niente da fare.L’informatica è vista come una rottura di scatole da quasi tutti i magistrati chehanno da trentacinque anni in su; e poi comunque costa un sacco di soldi e aipolitici non pare vero di aver trovato il sistema per tenere in pugno la giustizia.E i processi da quattro soldi debbono essere obbligatoriamente trattati con lostesso codice di procedura penale che si usa per fare un processo per omicidio;così naturalmente durano più o meno altrettanto.Non sopporta i pregiudizi e quindi le fazioni: sicché non gli piacciono i«partiti» né le «correnti» in cui è divisa la Magistratura. Anche lui non piacemolto né agli uni né alle altre.Alla fine ha trovato qualche collega che aveva avuto le stesse esperienze; e tuttiinsieme hanno pensato di spiegare ai cittadini perché le cose vanno così malenella giustizia italiana. Ne è uscito questo libretto.

Prefazione di Marco Travaglio xi

toghe rottePrima parte

la giustizia quotidiana

Domani sono di turno 5Una fatica inutile, si prescriverà tutto

Il Giudice onorario ha le mestruazioni 15E allora si improvvisa

L’udienza penale d’inverno 21A Lipari, mare forza 3 in aumento

L’udienza penale d’estate 28A Lipari, sveglia alle 5 del mattino

Il cavillo giuridico 34Storia esemplare di un abuso edilizio

Ma perché hai fatto il magistrato? 45Una domanda con tante risposte

Elogio degli avvocati 52Da parte di un PM

Un Tribunale, un vecchietto, due giudici,un altro giudice, quattro avvocati e la mafia.Una storia che finisce bene? 58Un magistrato deve essere anche coraggioso

Sommario

La teoria della finestra rotta 83Un magistrato deve essere anche elettricista

Seconda parte

che cosa c’è che non va

Corso accelerato di diritto e procedura penale 97Per capire perché la giustizia non funziona

I ricchi che rubano 128Quando la legge garantisce l’impunità

Si fa ma non si dice 141Meno male che ci sono le intercettazioni

Il capitolo più difficile 154La forza contro le regole. E il cancro delle «correnti»

Prefazionedi Marco Travaglio

Da quando, con le indagini su Tangentopoli e Mafiopoli,la legge cominciò a sembrare davvero uguale per tutti, ini-ziarono a serpeggiare alcune leggende metropolitane dav-vero avvincenti. La migliore è quella secondo cui l’Italia sa-rebbe uno Stato di polizia dove gl’imputati, sistematica-mente privati dei diritti di difesa, sarebbero in balìa di unplotone di magistrati forsennati che li seviziano con ognisorta di supplizi, li terrorizzano col tintinnio delle manetteper estorcere loro confessioni (ovviamente false), li sbatto-no in galera e gettano la chiave. Un paese con poche ga-ranzie e troppi detenuti. Un paese dove «siamo tutti inter-cettati». Una specie di regno del terrore, di succursale dellostalinismo fuori tempo massimo. Ragion per cui, per risol-vere i problemi della giustizia, bisognerebbe depenalizzareil più possibile in nome di un «diritto leggero» e soprattut-to «mite», moltiplicare le garanzie della difesa e le sanzionialternative al carcere, limare le unghie dei magistrati onni-potenti, spaccare la Magistratura separando le carriere digiudici e pm, limitare al minimo le intercettazioni, svuota-re le carceri.

Del resto, che cos’altro si è fatto in questi quindici anni,nelle decine e decine di «riforme della giustizia» varate dagoverni e Parlamenti, perlopiù con maggioranze tanto tra-sversali quanto bulgare? Il risultato è quello che abbiamo

sotto gli occhi se leggiamo con attenzione le cronache deigiornali o se abbiamo la sventura di capitare in un tribuna-le da innocenti, imputati ingiustamente accusati o, moltopiù spesso, da vittime di un reato o di un sopruso. Ma, vi-sto che la realtà supera l’immaginazione, il racconto dellaGiustizia vista da vicino e dal di dentro fatto in questo li-bro dal Procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti e daaltre «toghe rotte» che hanno scelto l’anonimato è moltopeggio di quello che il pessimista più impenitente riusci-rebbe mai a raffigurarsi.

Di libri sulla crisi della Giustizia ne escono ogni annotanti, troppi. Tutti immancabilmente scritti da giuristi pergiuristi, che si parlano fra loro in un linguaggio iniziatico edunque incomprensibile, in punta di diritto. Trattati peraddetti ai lavori che lasciano spesso il tempo che trovano.Questo invece ha il pregio di essere scritto per i cittadiniche vogliono capirci qualcosa, anche se immagino che Tin-ti e gli altri, almeno all’inizio, abbiano cominciato a scrive-re più per sfogarsi che per altro. Con lo stesso stato d’ani-mo del naufrago che, pur disperando di poter raggiungerequalcuno, consegna i suoi pensieri al messaggio infilatonella bottiglia e affidato alle onde.

Non c’è un filo di retorica nelle pagine benedettamentesintetiche di Toghe rotte. C’è la vita quotidiana dei magi-strati che, insieme a poliziotti, carabinieri, finanzieri, can-cellieri e impiegati, tentano ogni giorno di amministrare laGiustizia a dispetto dei santi. Cioè dei Parlamenti, dei go-verni e fors’anche di una buona parte dei cittadini che diuna Giustizia funzionante hanno una paura fottuta. Scenedi Magistratura in un interno, anzi di un inferno, raccon-tate con tono sarcastico e icastico, crudo e impietoso,senz’alcuna concessione al politicamente corretto.

Il quadro che ne esce è realistico fino alla brutalità, dun-que diametralmente opposto alla vulgata corrente. Il qua-dro di un paese dominato da almeno quattro diverse cul-

XII Toghe rotte

ture impunitarie stratificate e incrociate: quella molliccia emafiosetta del familismo amorale; quella giustificazionistadei cattolici all’italiana, sempre pronti all’indulgenza e alperdonismo; quella deresponsabilizzante e anti-istituziona-le del sinistrismo anni ’60 e ’70, per cui è sempre «colpadella società» e del «modello di sviluppo»; e quella losca eaffaristica dell’aziendalismo anarcoide, perfettamente in-carnata dal cavalier Berlusconi e dalla sua fairy band, ovve-ro tolleranza mille per i colletti bianchi e tolleranza zeroper i poveracci.

Checché se ne dica, l’Italia non ha troppi detenuti, matroppi delinquenti (per giunta impuniti). L’Italia non ab-bonda di errori giudiziari, almeno non di quelli del primotipo: non ha troppe condanne di innocenti, ma troppe as-soluzioni (o prescrizioni) di colpevoli. Non soffre di ma-nette facili, semmai di troppe scarcerazioni (o mancate in-carcerazioni). Non ha il problema delle scarse garanzie, maquello dei troppi cavilli salvaladri. Perché da noi le garan-zie sono pensate e costruite su misura per i colpevoli, pos-sibilmente ricchi, che puntano a tirarla in lungo per strap-pare la prescrizione, e dei loro avvocati che badano alleparcelle più durature; non certo per gli innocenti o per levittime, che hanno tutto l’interesse a un processo il più ra-pido possibile.

In Italia la Giustizia, come dice Gherardo Colombo, «èdiventata una macchina per tritare l’acqua», un ingranag-gio che gira a vuoto, costa moltissimo e produce pochissi-mo. Un paese che disbosca ogni anno un bel pezzo diAmazzonia per far circolare tonnellate di carte, dossier, fal-doni, fotocopie, perizie, notifiche, da un posto all’altro, inun giro d’Italia impazzito che alla fine partorisce il topoli-no: 95 percento di prescrizioni assicurate a fronte di un ri-dicolo 5 percento di processi che vanno a buon fine. Unpaese dove chi volesse andare a tutti i costi in galera do-vrebbe volerlo fortissimamente, impegnarsi allo spasimo e

Prefazione XIII

alla fine sperare di essere fortunato, perché tra un cavillo euno sconto, un’attenuante e una condizionale, una penaalternativa e una multa sostitutiva, una depenalizzazione eun indulto, è altamente probabile che verrebbe respinto al-le porte del penitenziario e dovrebbe arrendersi. Sempre-ché, si capisce, non si metta a sparare all’impazzata o nonsia un extracomunitario con l’avvocato d’ufficio. Quellauscita da decine di «riforme» dei codici è ormai una giusti-zia razziale, censitaria, forte coi deboli e debole coi forti.Basti pensare che l’80 percento dei detenuti sono tossico-dipendenti o extracomunitari: ma – domanda Tinti – vo-gliamo davvero credere che l’80 percento dei delitti in Ita-lia li commettano i drogati e gli stranieri?

Il linguaggio diretto e colorito del libro, tratto dall’espe-rienza quotidiana dove anche i paradossi più arditi sono inrealtà minimalismo puro, aiuta a capire al volo qual è il pro-blema. Ed è questo il primo pregio di Toghe rotte. Chi lo leg-ge ha subito chiaro il perché della Giustizia allo sfascio. No,non è una maledizione del cielo, né il frutto di condizioniclimatiche sfavorevoli, né tantomeno una questione compli-cata. La Giustizia italiana non funziona perché programma-ta per non funzionare. Perché figlia di una classe dirigentecon una spiccata tendenza a delinquere, cioè a non rispetta-re le leggi che approva o fa approvare per gli altri. L’Italia hauna sovrabbondanza di ricchi che rubano. Se la Giustiziafunzionasse, per esempio, chi sconta le pene in Parlamentodovrebbe scontarle in galera. Ed è comprensibile che preferi-sca scontarle in Parlamento. Ecco: se chi dovrebbe farla fun-zionare ruba o difende i ladri, si capisce perché la lascia inqueste condizioni. Si capisce perché, anziché abbreviare itempi dei processi, il Parlamento accorcia quelli della pre-scrizione. Anziché scoraggiare i reati finanziari che mettonosul lastrico migliaia di famiglie e scavano voragini nei bilan-ci dello Stato, si depenalizza il falso in bilancio e s’introduceaddirittura la «modica quantità» di fondi neri, magari per

XIV Toghe rotte

«uso personale» come per la droga. E si sanziona più grave-mente il furto di un etto di formaggio al supermercato cheuna frode fiscale di milioni di euro o un abuso edilizio chedevasta un paradiso ambientale o una zona archeologica. E,anziché garantire un minimo di certezza della pena, ci siprodiga con maggioranze oceaniche a metter fuori con l’in-dulto anche quei pochi delinquenti che, con immane fati-ca, le forze dell’ordine e la Magistratura erano riuscite adassicurare alla Giustizia. Nella stragrande maggioranza deicasi, quando il processo arriva finalmente alla fine della viacrucis, l’unica sanzione per il colpevole è la parcella dell’av-vocato. Debitamente detratta dalla refurtiva (chi avesse deidubbi legga l’irresistibile parte «Come ammazzare la mogliee vivere felici»).

Oggi chi vuole davvero metter mano alla Giustizia perfarla funzionare viene colto dall’immane senso di impo-tenza che deriva dal «non sapere da che parte cominciare».Ecco, Toghe rotte aiuta a capire da dove si dovrebbe partire.Perché, oltre alla lucidità dell’analisi e alla semplicità dellinguaggio, il libro ha un altro grande merito: quello di faremergere quanto sarebbero semplici ed economiche le so-luzioni, sol che le si volesse adottare. Non è vero che è dif-ficile far funzionare la Giustizia. Basterebbe pochissimo.Anzitutto smetterla di riformare i magistrati (vedi contro-riforme dell’ordinamento giudiziario di Castelli e di Ma-stella, una peggiore dell’altra) e di manomettere una Costi-tuzione che tutto il mondo ci invidia (vedi Bicamerali e«giusti processi» assortiti). E dedicarsi all’ordinaria manu-tenzione, investendo in risorse per il personale e per i mez-zi (carta, inchiostro, benzina, stipendi, straordinari, ausi-liarii e trascrittori). Poi razionalizzare l’organizzazione de-gli uffici. E soprattutto snellire le procedure. Gettare a ma-re le cosiddette «garanzie formali», null’altro che cavilli daazzeccagarbugli per mantenere una pletora di avvocati (Ro-ma ne ha più di tutta la Francia).

Prefazione XV

Risultati miracolosi si otterrebbero abolendo la prescri-zione al momento del rinvio a giudizio, cioè dell’eserciziodell’azione penale. Quando lo Stato, con notevoli sforzi espese, ha individuato il possibile colpevole di un reato, hail dovere ma anche l’interesse di andare fino in fondo. Co-sì fra l’altro l’imputato, senza più alcuna speranza di pre-scrizione, se sa di essere colpevole ha tutto l’interesse apatteggiare o a scegliere il rito abbreviato, risparmiando ase stesso anni di parcelle per gli avvocati e allo Stato i costie le lungaggini del dibattimento con tre gradi di giudizio(che poi sono quattro con l’udienza preliminare, e addi-rittura cinque con il deposito degli atti, senza contare glieventuali annullamenti della Cassazione con rinvio a nuo-vo processo d’appello: e questo per tutti i reati, anche perchi cancella il ticket della metro e lo ritimbra, anche perchi falsifica il voucher del parcheggio, anche per chi dàdello stronzo al vicino di casa). Se poi si abolisse il gradodi appello (per tutti, non solo per il pm), salvo l’emergeredi prove nuove, e si introducesse un filtro severo ai ricorsiin Cassazione (limitati esclusivamente a questioni di dirit-to), si dimezzerebbero tout court i tempi del dibattimen-to, così come avviene in quasi tutto il resto del mondo ci-vilizzato.

E se, anziché inseguire gl’imputati che cambiano conti-nuamente residenza per non farsi trovare mai, si dichiaras-sero valide le notifiche presso gli avvocati difensori, magarianche via mail, si eviterebbe di far saltare la gran parte del-le udienze, riconvocando mille volte testimoni e poliziotti.Idem se si riformasse l’istituto della contumacia, per evita-re di rinviare il processo ogniqualvolta l’imputato non sipresenta con una scusa più o meno plausibile. LeggendoToghe rotte, si comprende come le ricette per ridare un mi-nimo di razionalità alla Bisanzio della Giustizia italiana,dove la linea più breve tra A e B non è la retta ma l’arabe-sco, siano l’uovo di Colombo.

XVI Toghe rotte

Poi, si capisce, ci sono le colpe della Magistratura. Tinti& C. non fanno sconti alla propria categoria, denuncian-done impietosamente le pigrizie, le titubanze, le inefficien-ze, le viltà, le collusioni, l’autoreferenzialità e il corporati-vismo correntizio (splendidi i nomignoli applicati ad alcu-ni capiufficio, tipo De Loschis, De Ferocis e Pavidoni). Masono consci del fatto che questi gravi difetti sono in realtà– agli occhi del potere – pregi da incoraggiare. Non certopecche da sanzionare. Perché non è vero che i poteri forti,in Italia, vogliano una giustizia efficiente, rapida e impar-ziale: la preferiscono inefficiente, lenta e politicizzata. In-fatti, a finire sotto ispezione o procedimento disciplinaregiocandosi continuamente la carriera, sono sempre queipochi che lavorano sodo e a 360 gradi senza guardare infaccia nessuno. E magari si portano i faldoni a casa per stu-diarseli la notte. E talvolta sono costretti a comprare di ta-sca propria il toner della fotocopiatrice o a riparare gli im-pianti di registrazione delle udienze guasti, mentre il Parla-mento discetta di separazione delle carriere e altri massimisistemi.

L’ultimo merito del libro è quello di smontare con esem-pi concreti tutti i luoghi comuni dei nostri politici che fan-no il pianto greco ogniqualvolta finisce sotto inchiesta osotto intercettazione un membro della casta, anzi della co-sca. Per esempio le litanie sulla «violazione del segretoistruttorio» (che non esiste più dal 1989) o «della privacy»(che viene meno quando sono in ballo personaggi pubblicicoinvolti in indagini giudiziarie). Come se il problema nonfossero i fatti scoperti dalla Magistratura, ma la pubblica-zione delle notizie sui giornali. E qui, molto opportuna-mente, Tinti & C. spiegano con parole semplici e chiare ladistinzione tra questione penale e questione morale. O,meglio ancora, tra notizie penalmente rilevanti e notiziepoliticamente interessanti per consentire alla stampa e al-l’opinione pubblica il sacrosanto controllo sull’attività del-

Prefazione XVII

la cosiddetta classe dirigente: «La prossima volta che qual-cuno urlerà per lo sdegno di essere stato dato in pasto al-l’opinione pubblica nel tritacarne mediatico (quello stessoche gli consente di partecipare a tutti il suo sdegno), an-diamo a guardare di chi si tratta. E, se per caso appartienealla cosiddetta classe dirigente, un uomo pubblico, unoche si è assunto responsabilità nei confronti del paese, nonchiediamoci se quello che abbiamo saputo di lui attraversoun’intercettazione o un verbale costituisce reato oppure no.Chiediamoci se lo inviteremmo a casa nostra».

Il libro si conclude spiegando, a un paese sempre più al-lergico alle regole e a chi le fa rispettare, «a che cosa servo-no i giudici». La risposta è quella che diede qualche annofa Vaclav Havel: «La Magistratura è il potere dei senza po-tere». Gli autori la traducono così: «O c’è una legge e la sirispetta; o la legge che si applica è quella del più forte.Quindi l’amministrazione della giustizia serve ai deboli».Purtroppo in Italia i deboli non lo sanno. O non se ne ac-corgono. Anche perché i poteri forti hanno «tarato il siste-ma giudiziario per perseguire tendenzialmente i deboli».Alla fine Bruno Tinti invoca, con Corto Maltese, una «ri-voluzione». Ma, non essendo mai stato una toga rossa néun progressista, giurerei che si riferisca a un’altra rivoluzio-ne. Quella invocata mezzo secolo fa da Ennio Flaiano: «InItalia l’unica vera rivoluzione sarebbe una legge uguale pertutti».

XVIII Toghe rotte