Titolo V della Costituzione”, già approvato senza · vada a riformare la Costituzione, quando...

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1 Disegno di legge n. C.2613-D, recante“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Costituzione”, già approvato senza modificazioni, in terza lettura dal Senato e in seconda lettura dalla Camera TERZA LETTURA CAMERA _ Trattazione in Aula

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Disegno di legge n. C.2613-D, recante“Disposizioni per il

superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del

numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle

istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del

Titolo V della Costituzione”, già approvato senza

modificazioni, in terza lettura dal Senato e in seconda

lettura dalla Camera

TERZA LETTURA CAMERA _ Trattazione in Aula

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INDICE

XVII LEGISLATURA

INDICE SEDUTE ASSEMBLEA

Discussione in Assemblea Errore. Il segnalibro non è definito.

Interventi Errore. Il segnalibro non è definito.

Seduta n. 605 di lunedì 11 aprile 2016 3

Seduta n. 606 di martedì 12 aprile 2016 97

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XVII LEGISLATURA

Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 605 di lunedì 11 aprile 2016

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 11.

ARTURO SCOTTO.

Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO.

Signor Presidente, ci appelliamo alla sensibilità istituzionale del Partito Democratico e

della maggioranza per accedere a un'ipotesi di costruzione e di convocazione di una

Conferenza dei presidenti di gruppo urgente sull'andamento e l'esame delle riforme

costituzionali di questo provvedimento.

Come si sa, nella precedente Conferenza dei presidenti di gruppo, nonostante una

richiesta unanime da parte delle opposizioni di rinviare il voto sulle riforme

costituzionali – in quanto il prossimo 17 aprile ci sarà un referendum molto importante,

indetto dalle regioni, sulle trivellazioni – fosse stata respinta, noi avvertiamo ancora

oggi l'urgenza di una revisione di quella scelta, anche perché, nel frattempo, come è

noto a tutti, sono intervenute delle novità tutt'altro che secondarie, novità che vedono la

posizione della questione di fiducia, già calendarizzata il 19 aprile prossimo, sulle

mozioni in Senato.

Sono a chiedere, dunque, che venga consentito lo svolgimento della discussione sulle

linee generali; abbiamo appreso che il Presidente del Consiglio verrà qui a concluderla,

fatto nuovo, tra l'altro, anche, diciamo, con dichiarazioni politiche che mi auguro che

lei, signor Presidente, sceglierà di stigmatizzare nel momento in cui il Presidente del

Consiglio di questo Paese, in un'intervista televisiva, arriva a dire che l'opposizione ha

un côté antidemocratico perché vuole impedire alla maggioranza di approvare le riforme

costituzionali. Mi dispiace dirlo in termini, come dire, dialoganti, ma molto fermi, in

tutte le democrazie occidentali funziona così: la democrazia esige il pluralismo, i regimi

considerano le opposizioni antidemocratiche quando fanno il proprio mestiere.

Chiusa questa parentesi, questa richiesta è giustificata dal fatto che, di qui a dieci giorni,

questo Governo sarà, di fatto, sottoposto a una doppia fiducia: in primo luogo, la fiducia

che è segnata e che sarà caratterizzata dall'istituto di democrazia diretta, quale il

referendum ex articolo 75 della Costituzione che si esprimerà sulla politica energetica,

e, in secondo luogo, la fiducia che è legata al passaggio del Senato, che avviene

all'indomani di fatti rilevanti che hanno coinvolto questo Governo e anche il suo assetto

interno.

Signor Presidente, quando si dimette un Ministro rilevante, strategico, come il Ministro

delle attività produttive, quando emerge un quadro – ad essere gentili – di divisioni

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all'interno di questo Governo, rispetto a rapporti tra Ministri e sottosegretari e rispetto

ad emendamenti che escono di notte e ricompaiono di giorno, provvedimento legislativo

per provvedimento legislativo, di fronte a questo doppio voto, la saggezza, la sensibilità

istituzionale vorrebbe un rinvio, esigerebbe un rinvio. Mi auguro che questo sia

possibile, mi auguro che non si voglia trasformare anche la discussione sulle linee

generali, che va fatta oggi con la chiusura del Presidente del Consiglio, in una replica

della direzione del Partito Democratico. Questo è il Parlamento e quando parliamo di

questo istituto, di questa Assemblea, occorre rispetto e occorre saperci dialogare; invece

qui prevale soltanto la logica dello scontro e, mi consenta, anche, talvolta, dello

sberleffo. E questo è inaccettabile (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana –

Sinistra Ecologia Libertà).

MICHELE DELL'ORCO.

Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELE DELL'ORCO.

Grazie, Presidente. Anche noi ci uniamo per chiedere che venga convocata il prima

possibile una Conferenza dei presidenti di gruppo, perché noi questa settimana siamo

qui a votare su una delle riforme più importanti e, a nostro avviso, deleterie per il nostro

Paese, cioè quella della Carta costituzionale, e tutto questo mentre c’è una mozione di

sfiducia al Governo, che è calendarizzata per il 19 aprile al Senato. È assurdo che si

vada a riformare la Costituzione, quando non si sa nemmeno se il 19 aprile, con

certezza, il Governo sarà ancora in piedi, se avrà i numeri, se ci sarà Verdini a

sostenerlo, come ha fatto in altre occasioni, oppure no.

E in più, parliamo di una mozione di sfiducia che è legata ad un grave caso di

corruzione, perché stiamo parlando del caso – come noi lo abbiamo soprannominato –

«Trivellopoli», che riguarda le estrazioni petrolifere, riguarda norme, leggi,

emendamenti fatti dal Governo, che vanno a favorire, magari, i fidanzati di alcuni

Ministri e in cui, da come è emerso nelle intercettazioni, in maniera più o meno diretta o

indiretta sono coinvolti anche altri membri del Governo. Penso, ad esempio, al caso

della Ministra Guidi, che si è dimessa, ma, secondo quanto è uscito dalle intercettazioni

sulla stampa, ad esempio, Gemelli, questo lobbista, era in grado di controllare e di

manovrare il MISE, cioè il Ministero dello sviluppo economico, non solo attraverso la

Guidi che si è dimessa, ma anche attraverso il sottosegretario De Vincenti. E noi ci

chiediamo: se questo è vero, come mai la Guidi è ancora lì e De Vincenti, invece, non si

è dimesso ?

In più, voglio ricordare che abbiamo anche, in questa settimana, ben quattordici deputati

del MoVimento 5 Stelle che sono stati sospesi, cioè quattordici parlamentari,

rappresentanti anche del popolo italiano, che non potranno partecipare al voto sulle

riforme costituzionali, perché ? Perché la Presidenza ha deciso di sospenderli proprio

questa settimana, nonostante una nostra richiesta, almeno, di posticipare la sospensione.

In tutto questo, io sento la maggioranza, il Presidente del Consiglio, che non parla di

leggi urgenti visto il caso «Trivellopoli», visto questo caso di corruzione, di discutere in

Parlamento di una legge sul conflitto di interessi, una legge sulla riforma della

prescrizione... no ! Parla di bavaglio alle intercettazioni ! Cioè, alcuni membri, alcuni

esponenti importanti della maggioranza sono stati beccati con le mani nella marmellata

e cosa chiede il Presidente del Consiglio ? Di mettere un bavaglio sulle intercettazioni !

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Bene, per tutto questo noi chiediamo immediatamente una Conferenza dei presidenti del

gruppo. È assurdo che venga votata questa settimana una riforma della Costituzione,

quando c’è ancora in ballo una mozione di sfiducia al Senato (Applausi dei deputati del

gruppo MoVimento 5 Stelle).

RENATO BRUNETTA.

Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENATO BRUNETTA.

Signor Presidente, devo dire che il clima di quest'Aula – il Governo, al di là della

persona stimabilissima, evidentemente, è rappresentato da un sottosegretario – l'Aula

vuota, il tutto all'interno di un clima pesantissimo: ecco, questa è l'immagine che noi

diamo al Paese, di un Parlamento che sta per fare la riforma più importante della storia

della Repubblica dal punto di vista costituzionale.

Cambiamo più di un terzo degli articoli della nostra Costituzione e lo facciamo in un

clima di conflitto esasperato, con una maggioranza che approva il provvedimento a

colpi di maggioranza ! Una maggioranza, signor Presidente, glielo ricordo, che è tale

solo sulla carta, ma non è la maggioranza che esiste nel Paese. Ricordo a me stesso e lo

ricordo a lei e alla sua sensibilità istituzionale, signor Presidente, che la coalizione di

centrosinistra, o di sinistra, ha vinto le elezioni del 2013 per uno 0,34 per cento di

differenza, e grazie a questo 0,34 di differenza, 140.000 voti alla Camera, la coalizione

ha potuto dotarsi di oltre 140 deputati come premio di maggioranza. Ricordo che quella

maggioranza non è la maggioranza che governa questo Paese, perché quella

maggioranza si è dissolta, e ricordo anche la sentenza della Corte costituzionale che ha

dichiarato quei 140 deputati, figli del premio di maggioranza, incostituzionali.

Quindi, siamo di fronte a una maggioranza e ad un Governo che stanno facendo la più

grande riforma costituzionale della storia repubblicana con una maggioranza dichiarata

incostituzionale ! Questa è l'aberrazione; se ci fosse ancora qualche persona di fede

degna e perbene, con un equilibrio sulle regole, direbbe subito: basta, fermatevi, non

potete farlo ! Certo, il Nazareno, ma il Nazareno era la soluzione al vulnus

costituzionale dopo la sentenza della Corte ! Saltato anche quello siamo di fronte

all'aberrazione più totale. Un partito che non ha vinto le elezioni, che grazie al premio di

maggioranza dichiarato incostituzionale, sta cambiando la Costituzione repubblicana

nella maniera più profonda e più totale – io dico anche più indecente, ma comunque sta

cambiando la Costituzione – con tutto il mondo contro, con una maggioranza di fatto

del Paese contro, perché se guardiamo, signor Presidente, alla opposizione non

numerica inficiata dal premio di maggioranza, ma se guardiamo ai numeri nel Paese, il

Partito Democratico è assoluta minoranza in questo Paese, e sta cambiando la

Costituzione con un'assoluta minoranza !

Per questa ragione, e per tutte le ragioni ricordate dai miei colleghi precedentemente –

la mozione di sfiducia, il referendum, le forzature infinite che abbiamo dovuto subire –

noi chiediamo che si sospenda questa seduta, che si arrivi a una capigruppo e che si

rifletta a mente fredda su questo passaggio, che rischia di essere un passaggio

incostituzionale finale di approvazione, si fa per dire, di una riforma che tanto dovrà poi

passare per il referendum confermativo, rispetto al quale voterà tutto il Paese, rispetto al

quale noi chiederemo agli italiani di dire di no, di dire di no a Renzi, di dire di no alla

sua maggioranza incostituzionale, di dire di no a queste violenze e forzature

nell'approvazione della riforma, di dire di no al combinato disposto tra riforma

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costituzionale e legge elettorale, di dire di no a questo periodo buio per la nostra

democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà –

Berlusconi Presidente) !

ETTORE ROSATO.

Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ETTORE ROSATO.

Grazie Presidente. Ho ascoltato con grande attenzione le parole dei colleghi presidenti

dei gruppi dell'opposizione che sono intervenuti qui oggi, chiedendo una Conferenza dei

presidenti dei gruppi, su cui naturalmente la Presidente poi deciderà. Noi porteremo la

nostra posizione, che qui per chiarezza sintetizzo. Questa è la sesta lettura del

provvedimento, abbiamo fatto migliaia di ore di discussione in Commissione, alla

Camera, al Senato; una discussione anche di merito, anche importante e utile e abbiamo

discusso e approvato 193 emendamenti e subemendamenti, tra qui ed il Senato, e

abbiamo avuto anche un lungo e duro ostruzionismo, e in ogni passaggio di questa

riforma quasi tutte le opposizioni hanno fatto tutto il possibile affinché non si andasse

avanti. Quasi tutte, perché con Forza Italia abbiamo scritto una parte importante di

questa riforma; ha contribuito in maniera rilevante, in particolare al Senato, anche se poi

hanno cambiato idea, ma questo è un altro elemento.

Io penso che questa riforma vada portata fino in fondo, vada approvata perché serve agli

italiani. Ha ragione il presidente Brunetta quando dice che è una riforma molto

importante e molto significativa, che riguarda gli impegni assunti in questo Paese in

trent'anni di lavoro dal centrosinistra, che diceva di cambiare il bicameralismo, che

diceva di riguardare alcune cose importanti come la riduzione del numero dei

parlamentari – che c’è dentro – e i costi della politica. Non ci sono motivi per fermarsi,

non c'erano quando ne abbiamo discusso in altre occasioni, non ci sono neanche oggi

perché sono pretestuosi, Presidente. La sospensione per il referendum è stata chiesta

solo alla Camera e non al Senato, perché evidentemente i senatori delle opposizioni in

quel ramo del Parlamento ritenevano che non ve ne fosse bisogno; non capisco quindi

perché qui invece ve ne debba essere. La mozione di sfiducia credo sia la tredicesima

mozione di sfiducia depositata dall'inizio della legislatura; tutte respinte naturalmente,

perlomeno quelle discusse. Il voto di fiducia la maggioranza lo ha avuto al Senato l'altra

settimana. Vi è stato un voto di fiducia dopo le dimissioni del Ministro Guidi, che è

stata accordata al Governo senza problemi, come tutti gli organi di informazione hanno

riportato.

Vi è solo la volontà di fare andare oltre e di posticipare. Un tipo di volontà che ha fatto

male a questo Paese, cioè quella di rinviare sempre le decisioni. Noi vogliamo

semplicemente decidere; il Parlamento deciderà, e soprattutto decideranno gli italiani

con il referendum che verrà tenuto ad ottobre e in quell'occasione sapremo se le cose

che abbiamo ascoltato anche oggi sono vere o false; se cioè gli italiani stanno con noi,

quelli che vogliono un Paese più moderno e che vogliono approvare questa riforma

costituzionale, o stanno con le opposizioni tutte insieme, tutte affascinatamente insieme,

che pensano di dover lasciare tutto com’è. Il tutto così come è lo abbiamo già provato;

noi invece vogliamo cambiare e questo cambiamento lo portiamo avanti anche con la

riforma costituzionale, su cui abbiamo la convinzione di aver fatto un buon lavoro.

Abbiamo provato a coinvolgere tutte le opposizioni, quelle che ci volevano stare, e

molte cose le abbiamo fatte insieme. È un peccato che la volontà di strumentalizzare, la

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volontà di rompere, la volontà di trasformare sempre tutto in una grande caciara politica

prevalga anche oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) !

PRESIDENTE.

Grazie, non ho altri iscritti a parlare; a questo punto, colleghi, ovviamente io raccolgo la

richiesta avanzata dai gruppi dell'opposizione e informerò la Presidente della richiesta di

una Conferenza dei presidenti dei gruppi. Come sapete, deciderà lei, mentre invece,

onorevole Brunetta, per quanto riguarda la sospensione della seduta, eventualmente è

una questione su cui decide la Conferenza dei presidenti dei gruppi, la Presidenza della

Camera o l'Aula direttamente, ma in questo momento noi non possiamo che proseguire

con i nostri lavori finché non ci saranno cambiamenti rispetto alla programmazione che

abbiamo in atto.

Discussione del disegno di legge costituzionale: S. 1429-B – Disposizioni per il

superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei

parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la

soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione

(Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima

deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato,

approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato,

in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal

Senato) (A.C. 2613-D) (ore 11,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale,

già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione,

dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza

modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda

deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi 2613-D: Disposizioni per il

superamento del componenti, dal Senato, n. bicameralismo paritario, la riduzione del

numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la

soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente

calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2613-D)

PRESIDENTE.

Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Italiana –

Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza

limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del

Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a

riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Fiano.

EMANUELE FIANO, Relatore per la maggioranza.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, le riforme costituzionali, che sono

state una costante nel dibattito pubblico a partire dalla fine degli anni Settanta, in questa

legislatura sono divenute una priorità politica di grande rilievo, per volontà di noi, che le

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abbiamo presentate, e per la necessità di un cambiamento nel Paese, nella sua

organizzazione istituzionale. Di commissioni di studio e di commissioni incaricate di

redigere progetti organici di riforma della seconda parte della Costituzione è costellata

la storia repubblicana degli ultimi trent'anni. Mi limito a citare quelle parlamentari: la

Commissione Bozzi (1983), la Commissione De Mita-Iotti (1992) e la Commissione

D'Alema (1997).

Sulla base di questo retroterra, nella XVII legislatura le riforme costituzionali non sono

state più solo uno dei temi dell'agenda politica parlamentare, ma la priorità politica e

istituzionale del Parlamento e del Governo. Non solo sono state espressamente inserite

nelle dichiarazioni programmatiche del Governo Letta e del Governo Renzi, ma il

Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto ad esse espresso riferimento

nel discorso pronunciato di fronte al Parlamento in seduta comune in occasione

dell'avvio del suo secondo straordinario mandato, affermando che quello delle riforme

era un impegno che il Parlamento non poteva continuare a mancare, soprattutto dopo

l'imperdonabile fallimento della modifica della legge elettorale e di alcune disposizioni

della seconda parte della Costituzione, che aveva segnato la chiusura della precedente

legislatura.

Il Governo in carica si è fatto motore del processo di riforma. Lo ha fatto portando a

termine l'approvazione di una nuova legge elettorale per la Camera deputati – anche in 1

del 2014 della Corte costituzionale – e conseguenza della sentenza n. presentando un

disegno di legge di revisione della seconda parte della Costituzione, che ha ampiamente

attinto ai contenuti e ai punti fermi del dibattito politico, istituzionale e dottrinale degli

ultimi tre decenni. Il Governo in carica ha anche deciso di percorrere la strada

procedurale segnata dall'articolo 138 della Carta fondamentale, scartando l'opzione che

precedentemente era stata vagliata. Di questa procedura, come è noto, verrà perseguita

anche la variante referendaria, che consentirà al corpo elettorale di esercitare il diritto

all'ultima parola sulle riforme costituzionali.

Il disegno di legge, recante norme sul superamento del bicameralismo paritario e di

revisione del Titolo V della parte seconda dalla Costituzione, è stato approvato dal

Senato, con modificazioni, nella seduta dell'8 agosto 2014, al termine di un esame

parlamentare durato più di quattro mesi. Il testo è stato trasmesso alla Camera, che ne ha

avviato l'esame nel settembre 2014 e lo ha approvato, con modificazioni, il 10 marzo

2015. Il testo, modificato dalla Camera, è stato ulteriormente modificato dal Senato e

approvato da tale ramo del Parlamento in prima deliberazione il 13 ottobre 2015, con

178 voti favorevoli e 17 contrari. Il testo, così definito, è stato approvato dalla Camera

nella seduta dell'11 gennaio di quest'anno, con 367 voti favorevoli e 194 voti contrari.

La seconda deliberazione del Senato è avvenuta il 20 gennaio 2016 e, quindi, oggi ci

apprestiamo a chiudere la seconda deliberazione della Camera dei deputati, la quarta

deliberazione conforme.

La pluralità dei passaggi parlamentari, l'arco di tempo impiegato per portarli a

concepimento e i consensi registrati al momento del voto testimoniano che il

Parlamento ha avuto un ruolo rilevante e decisivo nella definizione del testo sul quale

siamo chiamati a deliberare, anche contro – questa testimonianza di partecipazione

parlamentare – una certa pubblicistica che vorrebbe in questo vedere un testo

unicamente gestito dal Governo, anche in relazione ad aspetti significativi del disegno

di legge, quali la composizione del Senato, le sue funzioni e gli istituti di garanzia,

dall'elezione del Presidente della Repubblica al controllo preventivo di costituzionalità

sulle leggi elettorali.

Il processo di riforma, avviato dal Governo, dunque si è svolto in Parlamento e dal

Parlamento è stato preso attivamente in carico, con la conseguenza che faremmo un

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torto a noi stessi, Presidente, e alla funzione che siamo chiamati ad esercitare se

continuassimo a qualificarlo un processo di riforma governativo, così come non è stato.

Ripercorrendo le fasi che hanno caratterizzato l'iter parlamentare della riforma

costituzionale, si ricorda che il disegno di legge, nel testo iniziale presentato dal

Governo, nel disporre il superamento del bicameralismo interveniva sulla composizione

del Senato, per il quale veniva prevista l'elezione di secondo grado e veniva mutata la

denominazione in «Senato delle autonomie». Veniva previsto che il Senato fosse

composto dai presidenti delle giunte regionali e delle province autonome nonché, per

ciascuna regione, da due membri, eletti con voto limitato, dal consiglio regionale tra i

propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale

costituito dai sindaci della regione. A tali membri potevano aggiungersi 21 senatori

nominati dal Presidente della Repubblica.

Nel testo iniziale del disegno di legge veniva inoltre soppressa, per i senatori, la

previsione dell'immunità parlamentare, così come concepita all'articolo 68, secondo e

terzo comma, della Costituzione, e veniva mantenuta solo l'immunità per le opinioni

espresse e i voti dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari. Venivano espressamente

definite le funzioni del Senato a partire dal concorso alla funzione legislativa salve le

leggi costituzionali, per le quali veniva mantenuto il procedimento bicamerale paritario.

Con la finalità di rafforzare l'incidenza del Governo nel procedimento legislativo,

veniva prevista, in particolare, la richiesta di esame di voto finale entro un termine

determinato, decorso il quale poteva essere richiesto il voto parlamentare bloccato senza

emendamenti. Al contempo, venivano costituzionalizzati i limiti alla decretazione

d'urgenza e, infine, il potere di istituire commissioni d'inchiesta da parte del Senato era

soppresso.

Nell'ambito delle disposizioni di riforma del Titolo V, il provvedimento, oltre a rivedere

il riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni con la soppressione della

potestà concorrente e l'introduzione della cosiddetta «clausola di supremazia»,

disponeva la soppressione della previsione costituzionale delle province, quali

articolazioni territoriali della Repubblica, nonché l'abrogazione dell'articolo 116 della

Costituzione relativo al cosiddetto «regionalismo differenziato», introdotto dalla riforma

costituzionale del Titolo V nel 2001. Era infine disposta la soppressione del CNEL.

A seguito dell'esame in prima lettura al Senato, il testo trasmesso alla Camera ha

modificato le funzioni del Senato, che mantiene la denominazione di «Senato della

Repubblica», ampliando, tra gli altri, gli ambiti di competenza legislativa ad

approvazione paritaria e prevedendo che la Camera possa discostarsi dalle proposte di

modificazione approvate dal Senato con una maggioranza che muta a seconda delle

materie oggetto dell'intervento legislativo, con particolare riguardo a quelle

riconducibili ad ambiti di competenza delle autonomie territoriali. Muta, inoltre, la

modalità di elezione del Senato, di cui fanno parte 95 senatori rappresentativi delle

istituzioni territoriali eletti in secondo grado dai consigli regionali tra i propri membri e,

nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. In più,

vi sono i cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica

per sette anni (gli anni del mandato presidenziale).

Le previsioni sull'immunità parlamentare, di cui all'articolo 68 della Costituzione, e il

potere di istituire commissioni d'inchiesta vengono mantenute sia in capo alla Camera

sia al Senato. Per le inchieste è introdotto il limite, per il Senato, delle materie di

pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali. Viene modificato il quorum per

l'elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune –

punto rilevante – e viene disposto che i giudici costituzionali di nomina parlamentare

siano eletti separatamente (tre dalla Camera e due dal Senato). È stato previsto che le

leggi che disciplinano l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato

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della Repubblica possano essere sottoposte prima della loro promulgazione – novità

rilevante nel panorama italiano – al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da

parte della Corte, su ricorso motivato e presentato da almeno un terzo dei componenti

della Camera.

Quanto alle modifiche al Titolo V, viene in particolare reintrodotta la previsione del

cosiddetto «regionalismo differenziato», di cui al terzo comma dell'articolo 116. Tutto

ciò avviene contestualmente alla soppressione della potestà legislativa delegata alle

regioni. All'articolo 117 della Costituzione viene in parte modificato l'elenco delle

materie in tale quadro attribuite e viene superato il richiamo all'attribuzione di funzioni,

oltre che di materie, alla competenza statale e regionale.

Le principali modifiche apportate dalla Camera rispetto al testo approvato dal Senato l'8

agosto 2014 hanno riguardato la ridefinizione delle funzioni del Senato, la

semplificazione del procedimento legislativo, l'introduzione di un'espressa previsione

costituzionale sullo statuto delle opposizioni e sui diritti delle minoranze, la disciplina

del cosiddetto «voto a data certa» in luogo del cosiddetto «voto bloccato», quorum

deliberativi diversi per l'elezione del Presidente della Repubblica, il richiamo al

principio di trasparenza nell'organizzazione dei pubblici uffici, l'applicabilità del ricorso

di legittimità costituzionale su richiesta di un determinato quorum di parlamentari alle

leggi elettorali promulgate nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della

legge costituzionale, cioè una norma provvisoria per potere giudicare l'attuale legge

elettorale con lo stesso metro di cui alla norma ordinaria che abbiamo introdotto.

Rispetto al testo approvato dalla Camera il 10 marzo 2015 le principali modifiche

apportate nel corso dell'iter al Senato hanno interessato in particolare le ridefinizioni

ancora delle funzioni del Senato; la previsione in base alla quale l'elezione dei senatori

da parte dei consigli regionali avviene in conformità alle scelte espresse dagli elettori

per i candidati consiglieri; l'introduzione per le regioni di un termine per adeguarsi alla

nuova legge elettorale del Senato in novanta giorni; il ripristino della previsione in base

alla quale i cinque giudici di nomina parlamentare della Corte costituzionale sono eletti

distintamente, tre e due, da Camera e Senato; la sostituzione dell'espressione

«adeguamento» degli statuti con l'espressione «revisione», per riferirsi al momento dal

quale il Titolo V riformato risulterà applicabile alle regioni; l'applicabilità alle regioni a

statuto speciale e alle province autonome a decorrere dalla revisione dei presenti statuti

dell'articolo 116, terzo comma, relativo al cosiddetto regionalismo differenziato con una

disciplina transitoria per il periodo precedente; l'introduzione di due nuove materie tra

quelle che possono essere attribuite alle regioni nell'ambito del procedimento relativo al

regionalismo differenziato; la possibilità di approvare la nuova legge elettorale del

Senato anche nella legislatura in corso, prevedendo conseguentemente che il termine per

il ricorso alla Corte costituzionale su tale legge elettorale scada il decimo giorno

successivo alla data di entrata in vigore della legge medesima.

Per quanto concerne il merito del testo, come approvato in seconda deliberazione dal

Senato e in prima dalla Camera dei deputati, il disegno di legge di revisione

costituzionale interviene su due aspetti della Carta fondamentale che hanno mostrato

evidenti segni di debolezza nel corso della storia repubblicana: l'organizzazione dei

poteri con particolare riferimento al futuro Parlamento e i rapporti tra lo Stato e gli enti

territoriali. Sono sotto gli occhi di tutti i limiti di un assetto istituzionale nel quale le

Camere hanno i medesimi poteri, le negative ripercussioni che la duplicazione del

processo decisionale ha avuto sui compromessi politici che inevitabilmente l'attività

parlamentare comporta, ma che oggi, per forza di cose, sono raddoppiati in ogni

passaggio dell'azione parlamentare. Tortuosità, complicazioni procedurali dalle quali

usciamo attraverso il ricorso ordinario a strumenti che dovrebbero essere straordinari

come la decretazione d'urgenza, i maxiemendamenti e le questioni di fiducia: strumenti

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di cui tutti criticano e stigmatizzano l'utilizzo, salvo poi tentennare o tirarsi indietro nel

momento in cui c’è da progettare un nuovo processo decisionale. Il superamento del

bicameralismo perfetto si riverbera sugli equilibri della forma di Governo in relazione al

rapporto con l'Esecutivo. Alla Camera dei deputati, la cui composizione rimane

invariata, spettano la titolarità esclusiva del rapporto fiduciario e della funzione di

indirizzo politico nonché quella di controllo sull'operato del Governo. Diversamente la

nuova composizione del Senato, il suo nuovo ruolo istituzionale si connettono con la

forma di Stato giacché la seconda Camera è trasformata in organo rappresentativo delle

istituzioni territoriali. Il nuovo Senato è chiamato a veicolare nei processi decisionali

dello Stato le esigenze dei territori al fine di prevenire i conflitti tra livelli di Governo

che dal 2001 ad oggi, dalla modifica del Titolo V, nell'impossibilità di essere assorbiti

dal procedimento legislativo, si sono scaricati sulla Corte costituzionale.

Il Senato diviene un organo eletto indirettamente dai consigli regionali. Rispetto ai 315

senatori elettivi previsti dalla Costituzione vigente, il Senato avrà 95 senatori eletti dai

consigli regionali in conformità alle scelte espresse dagli elettori, cui si aggiungeranno

gli ex-Presidenti della Repubblica e i cinque senatori nominati dal Presidente della

Repubblica per sette anni. L'esito della nuova struttura parlamentare sul procedimento

legislativo è stata l'individuazione di un numero definito di leggi bicamerali; per tutte le

altre è invece richiesta l'approvazione della sola Camera dei deputati con il

procedimento già descritto prima. La riforma del procedimento legislativo non ha

trascurato di considerare la posizione del Governo: è stato introdotto l'istituto del voto a

data certa che garantisca all'Esecutivo tempi definiti per le deliberazioni parlamentari

relative ai disegni di legge ritenuti essenziali per l'attuazione del programma di

Governo. Al contempo, al fine di prevenire e di contenere l'abuso della decretazione

d'urgenza, sono stati costituzionalizzati i limiti attualmente previsti dalla legislazione

ordinaria ed enucleati dalla giurisprudenza costituzionale. Anche gli istituti di

democrazia diretta sono rafforzati da questo disegno di legge. È introdotto un nuovo

quorum per la validità del referendum abrogativo nel caso in cui la richiesta sia stata

avanzata da 800 mila elettori. Resta fermo il quorum di validità attualmente previsto, la

maggioranza degli aventi diritto al voto, nel caso in cui la richiesta provenga da un

numero di elettori tra 500 mila, che è il minimo, e fino a 800 mila.

Sono introdotti il referendum propositivo e di indirizzo la cui disciplina è riservata ad

una legge costituzionale. Per l'iniziativa legislativa popolare, inoltre, il numero di firme

necessario per la presentazione del progetto di legge è elevato da 50.000 a 150.000 ma è

previsto che ne siano garantiti l'esame e la deliberazione finale, pur nei tempi, nelle

forme e nei limiti definiti dai Regolamenti parlamentari.

Il disegno di legge consolida ulteriormente anche il fronte delle garanzie, peraltro già

strutturato nel nostro ordinamento. Ricordiamo l'introduzione già citata del giudizio

preventivo di legittimità sulle leggi elettorali; mutano le modalità di elezione dei cinque

giudici della Corte costituzionale ed è elevato il quorum per l'elezione del Presidente

della Repubblica. Sul versante della forma di Stato e del rapporto tra lo Stato e gli enti

territoriali assumono rilievo le modifiche del Titolo V: in particolare appaiono

significative la soppressione del riferimento costituzionale alle province, in linea con il

processo di riforma degli enti territoriali in atto e la modifica del riparto di competenze

legislative tra lo Stato e le regioni, di cui ho già parlato. Viene soppressa la competenza

concorrente con una redistribuzione delle relative materie tra Stato e regioni. L'elenco

delle materie di competenza esclusiva statale è modificato profondamente con

l'enucleazione di nuovi ambiti materiali. È significativa l'introduzione di una clausola di

supremazia che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire

in materia di competenza regionale a tutela dell'unità giuridica o economica della

Repubblica o dell'interesse nazionale. Sono anche oggetto di modifica la disciplina del

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cosiddetto regionalismo differenziato e del potere sostitutivo dello Stato nei confronti

degli enti territoriali.

Questi sono, signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, gli assi portanti della

Costituzione riformata. Non si tratta evidentemente di una riforma che mette in pericolo

la democrazia parlamentare, tutt'altro, ma di una riforma che affronta le inefficienze che

si sono rivelate come tali nella storia della democrazia parlamentare, dopo aver

tesaurizzato anni di dibattito e di proposta di modifiche. Non siamo di fronte ad un testo

di natura governativa, non siamo di fronte ad un testo affrettato o improvvisato ma di

fronte ad un testo che, al contrario, secondo noi arriva fuori tempo massimo dopo anni

di tentativi andati a vuoto. Noi siamo orgogliosi del lavoro compiuto, del dibattito che si

è aperto nel Paese e in queste Aule. Certo nessuna legge è perfetta ma, proprio alla luce

di quei fallimenti e del ritardo cronico che il nostro Paese ha accumulato, dobbiamo

assumerci e ci assumiamo con quest'atto la responsabilità di decidere per il

cambiamento del nostro sistema istituzionale che si traduce in un cambiamento del

Paese e per il Paese. Sceglieranno gli elettori italiani il giudizio definitivo su questa

riforma. Le riforme istituzionali non incidono direttamente forse sulla vita materiale dei

nostri concittadini ma sono in grado di creare le premesse affinché il luogo dove

vengono fatte le scelte di politica economica e sociale, quindi dove si incide

direttamente sulla qualità della vita degli italiani, dei nostri concittadini con scelte che

tanto condizionano la vita dei nostri concittadini, dei lavoratori e delle imprese, possano

essere decise e attuate nel migliore dei modi in una democrazia che funziona per i

cittadini e al servizio dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito

Democratico).

PRESIDENTE. Ha ora facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Toninelli.

DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza.

La ringrazio, Presidente. Innanzitutto inizio il mio intervento partendo da quello che è

l'atto finale, quello di più alto livello della sovranità popolare riconosciuta dall'articolo 1

della Costituzione, vale a dire il referendum. Si andrà a referendum su quelle che,

erroneamente e letteralmente, si chiamano «riforme», quando il significato di riforme è

cambiamento migliorativo; in realtà, sono una revisione della Costituzione e i cittadini

che ci ascoltano devono sapere che il termine «riforma» è già una truffa semantica per

far pensare loro che si tratta di qualcosa di migliore. Ma non siamo di fronte ad una

approvazione definitiva da parte dei cittadini perché il Partito Democratico, la

maggioranza o il Governo lo hanno deciso ma siamo di fronte ad un futuro e imminente

referendum confermativo su questa revisione della Costituzione perché non si sono

raggiunti i quorum che la Costituzione medesima prevede: i due terzi dei voti nell'ultima

lettura.

Ed è anche da sottolineare – soprattutto mi riferisco e mi rivolgo ai cittadini – non solo

il fatto che non si è raggiunta la maggioranza dei due terzi in ultima lettura, ma anche

che al Senato si è raggiunta faticosamente una maggioranza assoluta, che è quella

necessaria affinché poi, su richiesta di tre interlocutori differenti, si vada a referendum

confermativo; una maggioranza assoluta che è basata, che è stata ottenuta, che è stata

raggiunta – su che cosa ? – sulla base dell'appoggio di quella costola del partito di Forza

Italia che oggi grava su un condannato per concorso in corruzione e plurindagato,

Verdini, e i suoi. Quindi, noi ci stiamo rivolgendo ad una maggioranza che ci sta

dicendo che, grazie a lei, darà ai cittadini il voto finale, quando non è vero: è una

garanzia prevista dalla Costituzione ed è una garanzia che andate a mettere in atto

semplicemente perché avete ottenuto, da parte di un condannato di nome Verdini, la

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maggioranza assoluta. Non solo non avete raggiunto i due terzi, ma avete raggiunto a

fatica la maggioranza assoluta non per i numeri della maggioranza, ma grazie a numeri

esterni di persone che non, diciamo, sono così raccomandabili.

Detto questo, il referendum finale, tra l'altro, è un referendum che è inserito nel

Titolo sesto dalla Costituzione, che ha un titolo: garanzie. A casa mia, come a casa di

ogni minimo studioso, anche al primo anno, di diritto costituzionale, le garanzie sono a

favore non di chi propone una modifica, ma sono a favore di chi non è d'accordo con la

modifica. Noi siamo di fronte ad un trogloditismo costituzionale da parte della

maggioranza, che si accingerà, tra pochi giorni, quando questa revisione della

Costituzione sarà approvata, ad utilizzare la propria quota parlamentare incostituzionale:

più di 140. La maggior parte di coloro che pigeranno il pulsante verde su questa

revisione della Costituzione, sono illegittimi ed abusivi, perché sono stati eletti, nel

2013, con il cosiddetto Porcellum, sulla base di un premio di maggioranza

incostituzionale. Quindi, invece che andare a casa e lasciare il posto, la poltrona a

coloro che erano stati legittimamente e costituzionalmente eletti, pigiano il pulsante

verde abusivamente e illegittimamente per la modifica di quello che è il patto sociale tra

i cittadini, il patto di convivenza sociale. Questa è la situazione in cui si sta andando a

portare una modifica di più di un terzo degli articoli della Costituzione.

Ma, purtroppo, le cose peggiorano. Infatti, questa iniziativa non arriva da una

maggioranza incostituzionale, ma arriva da un Governo con un Presidente del Consiglio

non eletto da nessuno, che si è già intestato, per la sua ignoranza costituzionale, il

referendum, si è già intestato la riforma, perché vuole ottenere quella legittimazione

popolare che, ovviamente, non ha, perché non è stato votato se non come sindaco e

sappiamo che i sindaci amministrano il territorio, i sindaci amministrano il comune,

mentre qua, in Parlamento si è eletti per rappresentare i cittadini. Quindi, lui non li

rappresenta. Sappiamo che oggi verrà qua; senza contraddittorio, parlerà, perché

probabilmente ha bisogno di altre tribune politiche per recuperare consenso, ed ha

ridotto la Costituzione ad un tweet e i cittadini elettori a carne da sondaggio. È questa la

realtà in cui oggi il Paese si accinge a votare questa revisione della Costituzione; devo

stare attento anch'io, Presidente, perché cado nell'inganno di chiamarla riforma.

Però, qua c’è un errore di fondo. L'errore è che i cittadini ce l'hanno dentro, gli scorre

nel sangue la Costituzione, Presidente, sanno che quella Costituzione è stata scritta con

il sangue di chi ha resistito contro regimi autoritari e sanno perfettamente che se metti

insieme due cose e fai uno più uno, dove l'uno è la riforma costituzionale, che non

abolisce il Senato, ma rimane lì e costa sempre uguale, lo stesso apparato burocratico a

costo uguale, e lo metti insieme al cosiddetto Italicum, il Paese dalla dittatura di un

partito passa alla dittatura di una persona. Si diceva già decenni fa. Infatti, se la Camera

che dà la fiducia al Governo è una sola e se la maggioranza di questa Camera è tenuta in

mano dal capo politico che si presenta al ballottaggio con il 20 per cento dei voti,

magari del 50 per cento degli aventi diritto al voto, una signora o un signore comanderà

sul Parlamento, comanderà sul Governo e addirittura – vediamo bene, guardando le

riforme, che avete modificato anche l'articolo sulla deliberazione dello stato di guerra –,

con una maggioranza assoluta, che praticamente ha comprando due o tre scagnozzi,

potrà da solo deliberare lo stato di guerra. Questo è il quadretto in cui si sta modificando

la Costituzione. Quindi, parliamo di conservatorismo e antipolitica utilizzati per

modificare la Costituzione. Conservatorismo, Presidente, perché oggi si sta mettendo a

norma la centralità assoluta del Governo tra le istituzioni del Paese.

Infatti, già sappiamo che, se la Carta costituzionale non dice così, di fatto è così: il

Governo fa tutte le leggi con la decretazione d'urgenza, interviene con i voti di fiducia,

ricattando il parlamentare dicendo: «O me o, dopo di me, il diluvio, perché se non mi

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voti devi andare a casa». È questa la situazione in cui si sta portando avanti questa

riforma.

Nonostante ciò, sembra che, da un certo punto di vista, ci sia un'assuefazione, un

appiattimento di quelli che contestano, anche all'interno dalla maggioranza, questo

impianto di riforma, perché la miseria che è calata in questo Parlamento probabilmente

porta anche coloro che non sono a favore di questa riforma ad appoggiarla, magari per

mantenere per un anno o due in più la poltrona.

Ma andiamo un po’ nello specifico, Presidente, sul perché bisogna contestare nel

merito. Noi non cadremo nella trappola di fare una battaglia personale nei confronti del

Presidente del Consiglio. Lui se l’è già intestata. Ma, nel merito, quello che viene

definito come un miglioramento della qualità e dalla formazione delle leggi,

un'accelerazione nel farle, è una balla colossale. Infatti, se si prende il nuovo articolo 70

della Costituzione, da una riga e mezza siamo arrivati a settanta, ottanta righe, siamo più

o meno a tre pagine. Ed è quello il cuore del Parlamento, ossia come si fanno le leggi, in

che tempi si fanno, chi interviene. Quindi, si consegna il Paese al caos, perché questo

sarà, e al caos si affianca la corruzione. Infatti, è una balla dire che il Senato non vale

più niente. Metterà i bastoni tra le ruote all'unica Camera che dà la fiducia al Governo

ogni volta che vorrà, ma soprattutto avrà lo stesso potere dalla Camera sulla riforma

della Costituzione, sulle leggi elettorali, sugli ordinamenti degli enti locali, sulle

ratifiche dei trattati internazionali, cioè su che cosa, Presidente ? Sul cuore della

democrazia. E quel Senato è formato per la maggior parte (75) da consiglieri regionali.

Quindi, probabilmente vedremo i signori Mantovani, che arrivano dal consiglio

regionale della Lombardia, e i signori Rizzi – io arrivo dalla Lombardia e mi ricordo

quelli –, che, tra l'altro, prendendo il treno da Milano a Roma, si vestono anche della

giacca dell'immunità e verranno qui in Parlamento – a fare che cosa ? – a riformare le

regole democratiche più importanti del nostro Paese. Quindi, da una parte salvate, con

l'immunità, questi signori che sono sotto processo e, dall'altra parte, cinquantun persone

– cinquantun persone ! – terranno il Paese e le regole democratiche del Paese in mano.

Ripeto, Presidente, con la miseria che c’è e con i livelli di corruzione che ci sono in

questo Paese, verranno comprati per un nonnulla. Quindi, noi avremmo un Senato che

non permetterà neanche più... Salvo un acquisto, perché sappiamo perfettamente che il

rapporto tra Stato e regioni fa sì che lo Stato dà alle regioni delle risorse, a questo punto

se i regionali – chiamiamoli così – che vengono a Roma vogliono delle risorse daranno

il consenso ad un'autorizzazione, ad una richiesta che arriva dal Senato. Quindi, la

corruzione si trasformerà in «tu consigliere regionale mi chiedi risorse, io te le do e tu

mi dai consenso».

Voi state trasformando lo Stato nel caos più totale e sappiamo perfettamente, Presidente,

che non è necessario. Anzi, è doveroso che, in un momento di crisi, non si intervenga

sulle regole democratiche più importanti. Infatti, gli unici Paesi che hanno modificato la

Costituzione in questa maniera, con un'azione governativa, se andiamo nel sudamerica,

sono i regimi militari del sudamerica e, se andiamo più vicino a casa nostra, abbiamo

visto Orbán in Ungheria e Erdogan in Turchia. Sono loro che hanno acquisito il potere

governativo dicendo ai loro cittadini: «Modificheremo le regole costituzionali». In un

momento di crisi economica, di crisi occupazionale, di enorme povertà – 9 milioni

italiani sotto la soglia di povertà relativa, 4 milioni 200 mila italiani sotto la soglia di

povertà assoluta – questi signori, con la modifica della Costituzione, che mette in mano

il potere a una persona o a una stretta oligarchia di petrolieri, di faccendieri, di

banchieri, che sono direttamente seduti, a questo punto, ai banchi del Governo e non

sono neanche più alle spalle, a scrivere gli emendamenti, sono loro fisicamente

all'interno del Governo, questa stretta oligarchia darà lavoro ai cittadini. Non è così.

Non si può intervenire in un momento di crisi economica e addirittura dire – questo

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veramente testimonia il livello di analfabetismo costituzionale – che, se vengono fatte le

riforme, l'Europa si darà la flessibilità. Quindi, voi state vendendo la Costituzione,

quindi la regola fondamentale che disciplina la nostra vita quotidiana, per uno 0,2 per

cento, uno 0,3 per cento – complimenti ! –, invece di andare in Europa e dire che le

regole europee vanno rispettate da tutti. Ad esempio deve iniziare a rispettarle la

Germania, ad esempio che l'Europa unita non si fonda sulla moneta ma si deve fondare

su regole comuni e deve avere la comunità al centro. Voi dite che è per avere un po’ di

flessibilità – quindi probabilmente per durare fino a fine legislatura – e svendete la

Costituzione e la nostra democrazia per uno 0,2-0,3 per cento, perché è questo che si sta

generando e in realtà voi ve ne accorgerete. Avete già fatto un disastro nel 2001, perché

una delle norme definite più criminogene dall'attuale numero uno dell'Autorità

antimafia è quella della modifica del Titolo V della Costituzione, che ha prodotto un

proliferare di centri di spesa che, a loro volta, hanno prodotto un proliferare di

corruzione. Voi, nonostante quell'esempio, perché avete ottenuto a fine legislatura in

quel periodo una modifica costituzionale che poi è stata approvata dai cittadini ma che

ha creato un caos totale, oggi state rimettendo il Paese nel caos, perché il Parlamento

non diverrà più veloce e snello; diverrà di titolarità di una sola persona o di una stretta

oligarchia di persone e diverrà soprattutto ricattabile da quella stretta quota di

consiglieri regionali, di sindaci che siederà al Senato, perché, signori miei, se non ve li

comprate, quei senatori non vi permetteranno mai di intervenire sulla Costituzione.

Però, se pensiamo male, il quadretto potrebbe essere anche questo, perché noi sappiamo

che il Senato ha delle funzioni enormemente importanti ma non è che andate a

sciogliere le Camere il giorno stesso dell'approvazione di questa riforma, perché quello

si doveva fare, perché a questo punto che cosa accade ? Che quando si avvierà la nuova

legislatura, la Camera verrà eletta con la nuova legge elettorale, mentre i senatori che

faranno ? Lasciate stare, poi ne parleremo durante il dibattito, con quella legge

straordinariamente offensiva per l'intelligenza umana per cui dite che i consigli regionali

eleggono i senatori sulla base e in conformità, dite, con quanto deciso dai cittadini. A

casa mia, o l'uno o l'altro, o un collegio elegge dei membri o i cittadini eleggono i

membri di questo collegio, mentre voi dite che il collegio elegge dei membri in

conformità di (...) quindi è un altro modo per aggirare, però rimarrete ricattabili da

quelle persone, e se pensiamo che non si andrà ad elezioni in tutti i consigli regionali,

significa che, per la maggior parte, oggi il Senato, nella prima formazione, sarà fatto di

nominati dagli stessi consiglieri regionali; di conseguenza, avendo il centrosinistra la

maggior parte – mi sembra quattordici – delle venti regioni, la maggior parte sarà in

quota centrosinistra, quindi probabilmente, siccome l'Italicum – l'avete detto voi in

diretta tv, un vostro Viceministro – è stato scritto per non far vincere il MoVimento 5

Stelle, probabilmente anche parte di questa riforma è stata fatta per non permettere,

laddove vincesse, di governare; appare del tutto evidente infatti che, se il MoVimento 5

Stelle vincesse le elezioni e prendesse la maggioranza di questa Camera, dall'altra parte,

non essendoci state delle concomitanti elezioni all'interno delle regioni, il MoVimento 5

Stelle che è nato pochi anni fa – voi siete nati decenni fa – avrà una ristrettissima

cerchia di rappresentanti al Senato e voi avrete un'amplissima cerchia di rappresentanti,

avendo quasi tutte le regioni; di conseguenza non avremo una grossa possibilità di

governo. Quindi, da una parte disegnate una legge elettorale per non farci vincere,

laddove dovessimo vincere e gli italiani capire che con voi non si va da nessuna parte, e

che state indietreggiando verso il conservatorismo del potere della casta, dall'altra parte

il Senato non ci permetterà sicuramente di modificare la legge elettorale, di ritornare a

modificare la Costituzione, anche se io mi permetto di dire che non avete grosse

possibilità di vittoria al referendum. Concludo, Presidente. Ce la faremo ugualmente

perché, quando la battaglia si trasferirà da una persona che se l’è accentrata per

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ignoranza costituzionale ai contenuti, i cittadini capiranno che la domanda a cui devono

rispondere sì o no non sarà: volete voi diminuire i parlamentare o abolire il Senato;

volete voi tagliare la democrazia o tenerla com’è, e com’è significa tenerla con la

sovranità popolare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Quaranta.

STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza.

Signor Presidente, il Presidente Renzi lega il suo destino e quello di questo Governo

all'approvazione di questa cosiddetta riforma o deforma costituzionale. Egli è noto per

essere il rottamatore, cioè l'idea che andasse messa da parte la classe vecchia di

centrosinistra, la classe dirigente di centrosinistra ormai superata, per sostituire a questa

il meglio di un mix di politica e società civile nel nome dell'innovazione.

Ecco, la realizzazione concreta di questo progetto è stata da un lato un Governo fatto

dagli Alfano e dai Verdini, mentre sul versante società civile Ministri come il Ministro

Guidi o la Ministra Giannini. A me pare che con la stessa sagacia e con la stessa

competenza ci si avvii a rottamare della Carta costituzionale e di questo stiamo

parlando, della rottamazione della Costituzione, cioè quella cosa che per taluni

settant'anni fa ci regalò la democrazia e che per altri sono settant'anni che stiamo

aspettando di riformare. A me piace utilizzare nel definirla – perché credo che sia un

giudizio assolutamente condivisibile – le parole dello scrittore Andrea Bajani, che

recentemente ha detto che si tratta di un poderoso monumento di conoscenza, tentativo

struggente di provare a far sì che il futuro fosse migliore del passato. Se la leggi, la

Costituzione non te la dimentichi, ti si conficca dentro per tutta la bellezza che contiene.

Siamo all'ultimo passaggio parlamentare, ora finalmente la parola andrà agli elettori e

avremo un referendum, non certo perché questa sia una gentile concessione del Premier,

che prima riforma o deforma la Costituzione per via parlamentare e poi esso stesso si

prende anche il diritto di dare la parola ai cittadini, ma semplicemente perché è un tal

pasticcio sconclusionato questa riforma che dalle opposizioni l'unica voce che si è

associata al coro della maggioranza è stata quella del senatore Verdini – lontani quindi i

due terzi del Parlamento – e invece il desiderio da parte delle opposizioni e dei cittadini

è di raccogliere le firme per appunto poter discutere nel Paese ed esprimere un sì o un

no a questa riforma. È del tutto evidente che il Presidente del Consiglio sta utilizzando

questa «deforma» della Costituzione in senso plebiscitario, lo dico perché appunto da un

lato è in atto il tentativo di far sì che, anziché essere uno strumento nelle mani delle

opposizioni e dei cittadini, la richiesta di referendum sia fatta dalla maggioranza, e

dall'altro perché è del tutto evidente che pensare di riformare un terzo circa degli articoli

della Costituzione e sottoporre il tutto a un sì o a un no da parte dei cittadini significa di

fatto non voler discutere nel merito, ma appunto tentare in via plebiscitaria di costruire

un consenso su sé stessi e sul proprio Governo.

Naturalmente tutto questo si collega anche a come questa riforma la si sta vendendo

nel Paese, cioè questo metodo si collega in maniera inscindibile anche a dei tratti di

populismo che io trovo siano inquietanti, soprattutto se vengono da un leader sedicente

di centrosinistra. In effetti anche in queste ore, anche nei diversi passaggi parlamentari,

non si è avuta l'accortezza, la sensibilità quantomeno di far comprendere ai cittadini di

cosa si stava parlando, cioè fare un'operazione anche di verità e di conoscenza, visto che

ai cittadini si darà questa importante responsabilità di decidere, ma i ragionamenti su cui

si è portata avanti la propaganda in queste ore, in questi giorni, nei mesi passati, hanno

fatto riferimento a parole vuote quanto solleticanti la pancia dei cittadini, cioè una

presunta idea di efficienza, il taglio dei costi della politica, la semplificazione del

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quadro istituzionale, anche facendo credere tra l'altro che la qualità di una democrazia

non sia nel rendere più inclusive le istituzioni per i cittadini ma al contrario delegando

tutto il potere ad una persona sola. Invece la situazione da questo punto di vista, anche

grazie a questa riforma, peggiorerà sensibilmente, basti pensare che ai cittadini verrà

persino tolto il diritto di voto per il Senato, che peraltro mantiene poteri fondamentali

quale quello appunto di riforma costituzionale, o basti pensare al fatto che le leggi di

iniziativa popolare – uno dei pochi strumenti realmente nelle mani dei cittadini –

vengono ulteriormente mortificate passando dalle 50 mila firme oggi necessarie alle 150

mila che prevede questa riforma. Il metodo, prima di arrivare al merito, perché vede, io

credo che sia piuttosto grave, sempre da parte di una sedicente maggioranza di

centrosinistra, portare avanti l'idea di una riforma di un terzo degli articoli della

Costituzione senza che da un lato vi sia stato alcun mandato preventivo popolare, cioè

nessuno di noi – io, il Ministro Boschi e anche il Presidente Renzi eravamo parte di una

stessa coalizione che si è presentata alle elezioni, che non ha avuto un gran successo

elettorale – proponeva questo tipo di riforme costituzionali.

E la cosa che io trovo assolutamente inqualificabile è che, con numeri assolutamente

risicati, frutto appunto di quell'insuccesso elettorale, oggi si pretenda, con quel premio

di maggioranza che è stato definito incostituzionale dalla Corte, appunto di riformare

addirittura la Carta costituzionale. Il ruolo del Governo in generale è sconsigliabile

quando si tratta di riformare la Costituzione, visto che i Governi stanno sotto la

Costituzione e non sopra la Costituzione – credo che nell'Europa di oggi solo

all'Ungheria di Orbán si sia permesso di riformare la Costituzione al Governo –, ma

oltre questo ragionamento c’è anche qualche cosa di più, io credo. Cioè, il Governo ha

esercitato un ruolo improprio, non solo perché ha fatto una proposta iniziale, ma perché

poi ha condizionato, in una sorta di voto di fiducia permanente, la libertà anche della

sua maggioranza parlamentare, minacciando, ogni qual volta si mettesse in discussione

una virgola di quella riforma, lo scioglimento delle Camere e il ricorso a immediate

elezioni anticipate, anche qui, tra l'altro, prendendosi un potere che, al momento, la

Carta costituzionale non riserva al Presidente del Consiglio.

Quindi, questo mix di populismo e di allontanamento delle istituzioni dai cittadini ha

portato anche a un prodotto finale, che io vorrei sottolineare, da un lato pericoloso per le

cose che dirò alla fine, perché dietro naturalmente c’è un disegno di accentramento di

poteri su una persona sola, ma dall'altro anche di una modestia culturale, prima ancora

che politica, sconcertante. Basti pensare a tutto il ragionamento, che non c’è, sul

regionalismo, sul rapporto tra Stato, regioni ed enti locali: qui si passa d'emblée da una

visione federalista – forse anche questa troppo poco ragionata, applicata e forse anche

meditata, poi, nel suo prodotto finale – a una visione del tutto centralista, in

un'incoerenza persino interna a questa proposta. Ma come si fa a proporre, da un lato, il

Senato delle regioni, facendo credere che si assegni alle regioni un ruolo importante, e,

dall'altro, attraverso la riforma del Titolo V, invece, di fatto far passare quasi tutta la

legislazione concorrente in capo alla legge dello Stato ? Cioè, qual è la logica che sta

dietro ? C’è una logica ? C’è qualcuno che ha pensato a cosa si stava facendo ?

E in più, persino le parole d'ordine utilizzate dalla propaganda renziana sono

semplicemente false: in che cosa semplificherebbe questa riforma ? Io davvero lo

chiedo così, aspettando una risposta, appunto, da almeno un paio d'anni, visto che di

passaggi parlamentari ce ne sono stati, ma senza mai un vero dibattito e delle risposte

concrete. Forse semplifica il quadro la composizione di questo Senato ? Questo è un

Senato che è veramente paradossale nella sua composizione, perché è molto stretto nei

numeri – poteva esserci, invece, se si voleva e io penso che questo si potesse fare

tranquillamente, una diminuzione dei parlamentari fatta in modo equilibrato tra Camera

e Senato – ed è talmente ridotto nei numeri che non potrà effettivamente esercitare le

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sue funzioni di controllo sul lavoro della Camera. E, dall'altro lato, ha una composizione

che veramente è tutto tranne che semplificazione, addirittura grottesca: abbiamo cinque

tipologie diverse; abbiamo senatori, sindaci, consiglieri regionali, sindaci peraltro che

vengono eletti dai consiglieri regionali, anche questa è una cosa che francamente non ha

né capo, né coda; abbiamo un sindaco per ogni regione, indipendentemente dalle

dimensioni delle regioni; abbiamo tre tipologie di senatori diverse: i senatori a vita, i

senatori di diritto e, persino, i senatori che durano per sette anni, di nomina

presidenziale, in un mix francamente grottesco che non esiste in nessun altro Paese al

mondo, con regioni che sono sovrarappresentate e di cui non si capisce bene come potrà

funzionare il consiglio regionale insieme al Senato, ed altre che sono assolutamente

irrilevanti.

E ancora, tutto ciò in un quadro in cui, in nome della semplificazione si mettono in

campo dieci tipologie diverse di procedimenti legislativi, per cui, se non vi sarà

l'accordo sulla materia prevalente tra il Presidente della Camera e del Senato, addirittura

potremo avere una paralisi, e non si capisce bene a chi spetterebbe la decisione finale. E

sempre in nome della semplificazione, la modifica del Titolo V, che, probabilmente, per

le definizioni – che saranno tutte da rivedere – dei confini tra potestà regionale e statale,

riaprirà un contenzioso presso la Corte costituzionale che ci porterà indietro negli anni.

Questo in nome della semplificazione !

E poi, per concludere, c’è la cifra politica di questa riforma. Questa riforma accentra i

poteri su una persona sola, questo è il vero significato, perché, in questa sorta di

bizantino presidenzialismo alla fiorentina, avremmo un Premier eletto direttamente, in

nome del fatto che i cittadini la sera del voto devono sapere chi ha vinto le elezioni; e

badate che nei sistemi parlamentari questo succede solo se si prende il 51 per cento dei

voti, perché se non si prende il 51 per cento dei voti non si può sapere la sera delle

elezioni chi ha vinto, se non eleggendo una persona sola. E noi siamo ad una originale

forma di presidenzialismo, perché, mentre negli Stati Uniti almeno il Congresso viene

eletto separatamente dal Presidente degli Stati Uniti, qui avremo non solo il Premier

eletto direttamente, ma che si nominerà gran parte dei suoi deputati, che dovrebbero

esercitare una certa funzione di controllo. E in più, attraverso il voto a data certa si

«scippa» il Parlamento del potere legislativo, e attraverso la clausola di supremazia e la

riforma del Titolo V si accentrano i poteri, che erano stati dati agli enti locali e alle

regioni, sulla legge statale.

Allora io, veramente, non riesco più a capire: che cosa c'entra la cultura del

centrosinistra, che ha sempre avuto il centrosinistra, che era fatta della partecipazione,

dell'avvicinare i cittadini alle istituzioni, del decentramento, con questo tipo di riforma ?

Allora io, concludendo, penso che sia questo: non è, secondo me, solo il frutto di una

imbarazzante non cultura costituzionale del nostro Presidente del Consiglio; è anche il

fatto che questo tipo di riforma corrisponde ad una precisa idea di governance europea,

che è quella che prevede e preferisce avere non dei Parlamenti che discutono e decidono

liberamente, ma degli Esecutivi fedeli agli ordini che arrivano da Bruxelles o da

Berlino. Io credo che del referendum costituzionale dovremmo fare anche una partita di

dignità del nostro Paese, per non essere scippati dei pochi poteri che ci restano, per non

essere scippati dell'indipendenza del nostro Paese, che può, sì, essere messa in gioco per

costruire l'Europa dei popoli, non quest'Europa di tecnocrati e di finanzieri, che,

attraverso questa riforma costituzionale, vogliono toglierci le ultime libertà che ci sono

rimaste (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e

di deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Forza Italia – Il Popolo della Libertà –

Berlusconi Presidente e Misto-Conservatori e Riformisti).

PRESIDENTE.

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Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

A questo punto passiamo agli interventi, ma prima – lo dico solo da un punto di vista

organizzativo, in maniera che proviamo a regolarci – la Presidenza sarebbe orientata a

fare una interruzione dei lavori tra le 13,30 e le 14. Quindi, teniamo conto di questo, lo

dico ovviamente a tutti i rappresentanti dei gruppi.

È iscritto a parlare l'onorevole Luigi Famiglietti. Ne ha facoltà.

LUIGI FAMIGLIETTI.

Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, posso dire, usando una

metafora ciclistica, che siamo arrivati all'ultimo chilometro. Da deputato alla prima

legislatura, ricordo l'inizio traumatico di circa tre anni fa: mille giorni fa c'erano

difficoltà enormi a far partire questa legislatura e non dimenticherò mai l'intervento del

Presidente Napolitano, al momento della sua rielezione, quando vincolò il suo secondo

mandato ad un'assunzione di responsabilità, da parte delle forze politiche e di ciascuno

di noi, per riprendere e portare a termine le riforme.

Questa riforma della Costituzione è il cuore di fatto dell'azione riformatrice del Governo

Renzi e rappresenta un passaggio direi decisivo nel percorso di cambiamento impostato

in questa legislatura dal Presidente del Consiglio, che pone fine a una lunghissima

stagione di inconcludenza riformatrice. Questa riforma è parte di un processo che punta

a rendere più efficace l'azione legislativa, a darle tempi certi e dare certezza in materia

di riparto di attribuzioni e competenze tra Stato centrale e regioni. Sento intimamente il

peso e l'orgoglio di questo processo di ammodernamento della Carta, che è alla base

della convivenza civile del nostro Paese.

L'esigenza di una riforma costituzionale del Titolo V si pone in concomitanza sia con la

crisi politica istituzionale del 2013, sia in un clima generale di disaffezione, ed

interviene sul delicato equilibrio istituzionale tra Camera e Senato. Oggi ci avviamo a

superare il bicameralismo paritario ed il conseguente meccanismo della doppia fiducia

che i padri costituenti avevano scelto di adottare nella nuova Repubblica uscita dalla

guerra e da vent'anni di dittatura fascista. È innegabile che la previsione di due Camere

che avevano le stesse identiche funzioni, entrambe legate da rapporto fiduciario al

Governo ma elette con sistemi elettorali diversi e con elettorato attivo e passivo diverso,

introduceva nell'ordinamento un elemento di blocco, perché spesso i due ambiti hanno

presentato in questi anni maggioranze diverse. Per questo, da circa trent'anni, se non di

più, si è cominciato ad avvertire, in maniera sempre più crescente il limite di questo

nostro assetto istituzionale ed è cresciuto il dibattito sull'opportunità di mantenere il

bicameralismo perfetto. Oggi, con la riforma del Parlamento, si aboliscono le due

Camere come doppioni; il Senato si trasforma in un'assemblea di rappresentanza dei

comuni e delle regioni di 95 membri, ai quali si aggiungeranno 5 membri di nomina del

Presidente della Repubblica. Avremo un Senato diverso, che non darà la fiducia al

Governo, ma rappresenterà i territori, avrà competenze importanti ma con numeri

ridotti.

Vorrei dirlo con onestà: non è una questione semplicemente di costi della politica. Se

fosse solo questo sarei preoccupato, perché spesso dietro l'alibi della riduzione dei costi

della politica si può nascondere una riduzione degli spazi di democrazia, e questa

sarebbe una cosa assai pericolosa. Al Governo basterà la fiducia della sola Camera e

quindi, sostanzialmente, si rafforzerà l'Esecutivo in Parlamento.

Sul Titolo V era già intervenuta la riforma del 2001, fortemente voluta dal centrosinistra

per inseguire la Lega Nord sul terreno del federalismo. Una riforma frettolosa, che ha

dato vita ad una complicata ripartizione di competenze tra Stato e regioni, con

conseguente aumento del contenzioso di fronte alla Corte costituzionale e nella

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sostanza, purtroppo, ha contribuito ad allargare il divario tra nord e sud del Paese.

Addirittura, cosa assai più grave sarebbe stata se fosse passata la cosiddetta devolution

di Calderoli, ma fortunatamente almeno questo ce lo siamo risparmiato.

Il nuovo testo cerca di porre rimedio alle incongruenze nate nel 2001, prevedendo

una semplificazione delle competenze. Saranno solo due: competenza statale e

competenza regionale in materia legislativa. Alcune competenze, oggi concorrenti,

saranno accentrate per garantire un indirizzo politico generale su tutto il Paese da parte

del Governo. In particolare, con la modifica dell'articolo 116, comma terzo, si introduce

un sistema cosiddetto a fattispecie aperta, fatta salva l'unità nazionale, e le regioni, in

alcune materie espressamente elencate potranno richiedere particolari forme di

autonomia.

È introdotta poi l'importante clausola di supremazia, in base alla quale, su proposta del

Governo, la legge statale può intervenire in materie non riservate alla legislazione

esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica,

ovvero la tutela dell'interesse nazionale. Tra le novità bisogna ricordare l'abolizione

delle province, cosa già prevista dalla legge Delrio, ma vi era bisogno di un passaggio di

riforma della Costituzione, e c’è però la possibilità di creare degli enti di area vasta da

parte degli enti locali e in più va ricordata l'abolizione del CNEL.

Il nostro sistema pubblico ha bisogno di riforme finalmente realizzate, non solo di

riforme immaginate; bisogna riformare la nostra democrazia parlamentare, garantendo

stabilità e continuità nell'azione di Governo. Questo non è autoritarismo, è

semplicemente esercizio completo della responsabilità ricevuta dal corpo elettorale

all'indomani delle elezioni. Si cerca di sbloccare un sistema parlamentare che, come ha

detto Renzi al Senato, nell'arco degli ultimi settant'anni ha prodotto 63 Governi. Basti

pensare che negli anni Ottanta abbiamo avuto una media superiore ad un Governo

all'anno, almeno dodici Governi in dieci anni tra il 1979 ed il 1989.

Il nostro sistema ha delle procedure di formazione delle leggi talmente farraginose che

all'unanimità sono considerate da cambiare. In questi anni, sostanzialmente, vi è stato un

difetto nel funzionamento del circuito Parlamento-maggioranza-Governo, e questo ha

reso i Governi deboli. Per questo si è scelto di agire coerentemente e contestualmente su

materia elettorale e costituzionale. Il più grande difetto dell'ultima legge elettorale del

2005, a parte il premio senza quorum e senza ballottaggio, consisteva nel conferire

premi di maggioranza con formule diverse per due Camere diverse, ciascuna delle quali

indispensabile titolare del rapporto fiduciario, perciò solo a condizione di abolire la

doppia fiducia si può immaginare una legge elettorale maggioritaria con premio. Per

questo le due riforme sono coerenti tra loro e va dato atto al lavoro fatto dal Ministro

delle riforme Boschi insieme al Presidente Renzi.

Il testo che qui stiamo esaminando è giunto davvero all'ultimo passaggio

parlamentare, dopo ci sarà solo il giudizio del corpo elettorale che con il referendum si

pronuncerà su questo percorso. Va sottolineato che non si tocca il sistema di pesi e

contrappesi previsto dalla Costituzione, non si incide sul ruolo e sui poteri della

Presidenza della Repubblica.

Il cammino, cari colleghi, è stato quello dell'articolo 138 e mai nessuno l'ha messo in

discussione; è stato fatto un lavoro accurato che ha coinvolto il mondo accademico, i

corpi speciali, le istituzioni tutte, ciascuno con il proprio punto di vista. Stiamo

approdando ad un assetto maggiormente equilibrato e migliorato nei suoi passaggi

parlamentari.

Vi è poi un profilo che da parlamentare meridionale vorrei evidenziare. Uno degli

aspetti della questione meridionale odierna probabilmente risiede nella debolezza delle

classi dirigenti meridionali, soprattutto di quelle regionali, che con l'aiuto di questo

regionalismo spinto hanno potuto creare delle rendite di posizione a discapito dello

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sviluppo e della crescita del sud. Che alcune importanti materie che riguardano la vita

dei cittadini, a partire dalla sanità, vedano una maggiore responsabilità da parte dello

Stato, a mio avviso rappresenta un elemento importante, perché sottrae alla

discrezionalità della politica locale i rischi legati a dinamiche di potere che si

ripercuotono sempre, purtroppo, a discapito della comunità. Ben venga, quindi, un

controllo statale dei LEA nella loro declinazione vera sulla salute delle persone, così

come, in materia di infrastrutture, basta ricorsi alla Corte costituzionale, perché, per

esempio, su un'opera strategica come la Napoli-Bari, si rischiano ritardi perché una

regione sostiene di non essere stata coinvolta. Sono queste le cose che puntiamo a

sconfiggere con l'approvazione di questa riforma, e questo il ritardo che puntiamo a

superare dopo decenni.

Ci dicevano che non ce l'avremmo fatta, che tutto sarebbe naufragato, che l'obiettivo era

navigare a vista e invece siamo arrivati fino in fondo. È stata una sfida non facile, anche

perché accompagnata dalla volontà di evitare gli errori del passato e di avere un

coinvolgimento il più ampio possibile delle forze parlamentari. Per un tratto del

percorso è stato così, poi qualcosa è cambiato, e non perché fosse cambiato il merito

delle riforme. È un processo riformatore che non asseconda quella furia iconoclasta

fomentata da chi agita la Costituzione e poi non ha neanche uno statuto per

regolamentare la vita all'interno del proprio movimento, perché le decisioni si prendono

in uno studio.

È una riforma che ora investe la responsabilità di ciascuno di noi, protagonisti per

migliorare la vita pubblica. Questa riforma chiama ad una maggiore e più trasparente

responsabilità da parte dei partiti politici, chiede un ripensamento anche dei corpi

sociali, per come li abbiamo conosciuti fino ad oggi e per la crisi che investe ciascuna

forma di rappresentanza collettiva. Fra i detrattori di questa riforma ci sono gli storici

avversari di qualsiasi tentativo di cambiare la Costituzione, tanto più se in direzione di

un più efficace funzionamento della forma di Governo e di rafforzamento del circuito

corpo elettorale-Parlamento-Governo, considerato addirittura il prodromo di temute

svolte autoritarie, e magari sono gli stessi che dicono che Renzi non sia legittimato a

governare perché non è stato eletto direttamente dal popolo, facendo finta di

dimenticare che la nostra Costituzione per ora prevede che il Presidente del Consiglio,

su incarico del Presidente della Repubblica, si rechi alle Camere per ottenere la fiducia.

Come ha detto Napolitano al Senato, l'alternativa ad una conclusione positiva di questo

iter di riforma costituzionale sarebbe rimanere bloccati, con tutte le disfunzioni e

storture che conosciamo: dal ricorso abnorme alla decretazione d'urgenza, ad una

fuorviante conflittualità tra legislazione nazionale e legislazione regionale.

L'ultima parola spetterà agli italiani, ma siamo fiduciosi che comprenderanno questo

impegno e lo premieranno, consentendo al Paese di vedere il proprio assetto

istituzionale più moderno e più capace di rispondere alle sfide del futuro, in un contesto

internazionale difficile e in un quadro di costruzione dell'Europa ancora complicato

(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, ha detto Piero Calamandrei: se voi volete andare

in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne

dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono

impiccati; dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o

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giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione, questa è la Costituzione

italiana.

Il Presidente del Consiglio ha annunciato con grande risonanza la sua partecipazione

alla seduta odierna della Camera dei deputati e la sua intenzione di intervenire a

chiusura del dibattito.

La Costituzione, quella vigente – lo voglio sottolineare –, all'articolo 95 specifica quelle

che sono le attribuzioni riservate al Presidente del Consiglio. Recita l'articolo 95: «Il

Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è

responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e

coordinando l'attività dei Ministri». Come vedete, le sue funzioni sono chiare e tra

queste non rientra in nessun modo la potestà di intervento per modificare la Carta

costituzionale, funzione questa che la stessa Carta assegna al Parlamento.

Una delle questioni fondamentali della democrazia è che ognuno svolga al meglio

quanto viene stabilito dalla legge – in questo caso addirittura dalla legge fondamentale

dello Stato – e qui vi è il primo vulnus di questa proposta di modifica della Costituzione

e, cioè, il ruolo di protagonista che il Governo ha avuto, tanto che questa proposta di

modifica viene addirittura definita «la proposta del Governo». Questa è una grave

anomalia, che non trova riscontro né nella prassi parlamentare né nella lettura delle

funzioni che sono attribuite ai diversi poteri dello Stato. Il Presidente del Consiglio oggi

non dovrà essere qui, perché approfitterebbe del suo ruolo per partecipare a un dibattito

in una sede che non gli appartiene, in quanto non eletto dai cittadini e dalle cittadine di

questo Paese. In quest'Aula il Presidente del Consiglio può intervenire esclusivamente

per tutte le questioni che sono legate alla sua funzione, cioè su ciò che è stabilito

dall'articolo 95 della Costituzione, e tra esse, come è evidente, non vi è quella della

modifica della Carta.

Si è detto, nei 68 anni di vita della Costituzione italiana, che progetti di modifica

dovevano prevedere un'ampia partecipazione di forze parlamentari. Non si poteva, si

sottolineava, pensare di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza. Del resto, la

nostra Costituzione nasce proprio da un'alta mediazione tra forze e culture diverse

presenti nel Paese. Invece, l'iter di questa proposta di modifica è stato tutt'altro che

condiviso da un'ampia maggioranza. La proposta di modifica è stata imposta

all'approvazione del Parlamento con tutte le pressioni possibili, comprese le minacce di

scioglimento delle Camere, minacce di emarginazione di coloro che mostravano

perplessità, sostituzione dei deputati di maggioranza nelle Commissioni se non erano

assolutamente allineati, discussioni parlamentari che sono state accelerate ogni oltre

limite ragionevole. Il trasformismo parlamentare è uscito dalle pagine dei libri di storia

per diventare cronaca politica. I voti di fiducia e tutto come se la Costituzione fosse di

proprietà dei pochi al Governo e non, invece, il bene più prezioso del popolo italiano.

La riforma accentra il potere nelle mani dell'Esecutivo, riduce la partecipazione

democratica e incide sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza e sul diritto al voto,

stravolgendo l'essenza più profonda della Costituzione, che si basava sui principi della

partecipazione democratica, della rappresentanza politica e dell'equilibrio tra i poteri.

Tutto questo lo sta approvando un Parlamento eletto con una legge elettorale che la

Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale. La nuova legge elettorale, l'Italicum,

non solo non risolve i problemi sollevati dalla Corte ma li accentua. Infatti, chi magari

prende solo il 20 per cento dei voti al primo turno con una vittoria al ballottaggio può,

attraverso un premio di maggioranza assolutamente abnorme, avere il controllo assoluto

della Camera dei deputati. Il combinato disposto tra riforma costituzionale e l'Italicum

crea un meccanismo per il quale il vincitore delle elezioni diventa il padrone di tutto.

Con quella maggioranza può governare, eleggere i giudici della Consulta, i membri del

Consiglio superiore della magistratura. Con questa riforma non si vuole eliminare il

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bicameralismo, che resta in campo seppure imbastardito da un Senato dalle confuse

funzioni, ma si vuole farla finita con la separazione dei poteri, cosa questa che è alla

base dello Stato moderno. Nella vostra furia iconoclasta non volete archiviare la nostra

Costituzione ma, prima ancora, Montesquieu e il suo pensiero. Avete dichiarato di voler

eliminare le province ed, invece, avete eliminato solo il diritto dei cittadini di scegliere i

loro rappresentanti presso le province.

Avete dichiarato di voler eliminare il Senato e, invece, avete eliminato solo la

possibilità dei cittadini di scegliere i loro senatori. Convocate referendum, come quello

sulle trivelle, e poi chiedete a tutti di non partecipare alla consultazione. Ma perché vi

fanno così paura i cittadini e le cittadine di questo Paese (Applausi dei deputati del

gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) ? La democrazia che ci volete

imporre è quella che pochi decidono e molti eseguono !

Sbandierate ai quattro venti i mirabolanti risultati dei vostri due anni di Governo, ma

la verità è sotto gli occhi di tutti: il re è nudo, caro Presidente Renzi, cari colleghi del

PD. Il fallimento di questo Governo è certificato dalla paura che avete degli elettori, che

avete della democrazia, che avete della Costituzione. Domenica prossima sarà celebrato

il referendum contro le trivelle. Il Presidente del Consiglio nei giorni passati ha più

volte invitato i cittadini a disertare le urne. Lo voglio ricordare, lo voglio ricordare

proprio al Presidente che viene qui a fare il padre costituente e voglio ricordargli

l'articolo 48, comma 2, della Costituzione: «Il voto è personale e uguale, libero e

segreto. Il suo esercizio è dovere civico» (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra

Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

Il Presidente del Consiglio, istigando i cittadini a non andare a votare al referendum del

17 aprile, non ottempera al dettato costituzionale. Proprio il Presidente del Consiglio,

colui che è a capo di una delle più alte cariche dello Stato, capo pro tempore di

un'istituzione fondamentale, chiede a gran voce di non andare a votare. Come può fare

questo e, contemporaneamente, partecipare alla riforma della Costituzione ? Io spero

che il Presidente Renzi abbia un profondo ripensamento e se oggi intervenisse da questi

banchi possa lanciare un forte appello a tutti e a tutte per andare a votare domenica

prossima al referendum contro le trivelle. Io spero che il Paese abbia una

consapevolezza maggiore di quella del suo Governo circa l'interesse collettivo e,

votando il 17 aprile, si possa fermare la distruzione dei nostri mari e delle nostre coste.

Ad ottobre avremo il referendum costituzionale e sarà quello il momento nel quale il

Paese sarà chiamato ad esprimere il suo pensiero su questa riforma costituzionale. Non

sarà un plebiscito, come spera il Presidente Renzi; sarà la scelta consapevole di un

popolo, che avrà la forza di dire «no» a una riforma sbagliata ed ingiusta.

Ho iniziato con una citazione di Piero Calamandrei. Mi faccia finire, signor Presidente,

con un'altra citazione dello stesso padre della patria. Diceva Calamandrei: «In questo

clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezza e di

corruzioni, di persecuzioni della miseria e di indulgenti silenzi per gli avventurieri di

alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie i giovani appena si

affacciano alla vita, apriamo le finestre e i giovani respirino l'aria pura delle montagne e

risentano ancora i canti dell'epopea partigiana» (Applausi dei deputati del gruppo

Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI.

Presidente, siamo alla fine parlamentare di questa infausta vicenda istituzionale;

infausta vicenda della quale – io sono convinto – la storia parlerà molto di più di quanto

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non ne parliamo noi. Uno scandalo istituzionale di questo tipo rimarrà sicuramente nei

testi ed è per questo che ho scelto consapevolmente di partecipare alla discussione sulle

linee generali, che in genere è un rito intramoenia, fra pochi affezionati, perché vorrei

che in quei verbali ci fosse anche la mia voce, per dire a chi li leggerà, se mai li leggerà,

quale sia stato lo scempio e il sacrilegio compiuto, ma non con me.

Si pone prima di tutto, Presidente, una questione di metodo fondamentale e poi una

questione di merito. La questione di metodo non è una questione secondaria. Nei regimi

democratici e soprattutto in quelli parlamentari, dove cioè l'Assemblea è altamente

rappresentante della volontà popolare, la forma è sostanza. Rispettare la forma significa

rispettare le minoranze, significa garantire la libertà, significa dare il diritto di parola. Se

non si rispetta la forma si fa un tweet e con il tweet si fa il provvedimento e si salta a

piedi pari tutto quello che è il processo democratico di conclusione e di condivisione di

provvedimenti che forse sarà un pochino più lungo, forse sarà un pochino più coeso – i

Regolamenti potrebbero bene definirlo meglio –, ma garantisce comunque l'esercizio di

una libertà che è quella cosa che, quando ci appartiene, nessuno se ne accorge ma,

appena ci manca, ce ne accorgiamo tutti. In questo concetto che la forma è sostanza e,

quando si determinano le regole, la forma è ancor più sostanza, debbo dire che qui c’è

un vulnus iniziale che non sta nei contenuti – vorrei dirlo all'ottimo relatore Fiano che

non ha detto neanche una cosa che io condivido ma l'ha detta molto bene e quindi

merita una risposta – ma sta nel principio. Non conta quello che è contenuto nel

provvedimento qui giunto. Significa che ha dato lo start e noi siamo di fronte a un

Governo che approva un disegno di legge Renzi-Boschi sul quale pretende di fare la

riforma costituzionale. Ma la riforma costituzionale per definizione è materia

assembleare, non è materia di Governo ma è semplice il perché. Infatti con le riforme

delle regole, delle Costituzioni e degli statuti vengono segnate le righe del campo: si

dice quanto dura la partita (bisogna che parli di calcio per farmi capire da Renzi e, da

quanto ho visto, anche dall'onorevole Boschi che per le fiducie ha ritirato fuori la Coppa

dei Campioni, quindi parlerò di calcio), quanto si deve fare il recupero, se si deve

mettere o no la moviola in campo. Bene, non lo decide il Barcellona o il Bayern: lo

decide l'Uefa cioè lo decide l'Assemblea. Il Barcellona e il Bayern sono le squadre più

forti, sono il Governo: non fanno loro le regole.

Lo stesso preciso ed elementare concetto vale qui: un disegno di legge Matteo Renzi-

Maria Elena Boschi affligge questa riforma costituzionale di un peccato originale

ineludibile. Dice Renzi: ma non le facevate le riforme. Scusate, Renzi è toscano come

me: Toscana sovietica, Presidente. Io ho fatto tredici anni il consigliere regionale in

Toscana: l'Unione Sovietica è un pallido ricordo rispetto alla uniformità dei

provvedimenti del vecchio Partito Comunista, del PDS, del PD che è una vera Quando

abbiamo cambiato lo statuto in regione Toscana, la corazzata Potëmkin. corazzata

Potëmkin, i sovietici hanno escluso il Governo dalla formazione dello statuto; hanno

dato la presidenza della commissione all'opposizione e la giunta partecipava con un suo

esperto perché avevamo noi deciso di farli partecipare. Qui no: anche quello che hanno

capito i cipputi di casa sua, non l'ha capito lui ? Ma vuole un altro esempio, Presidente ?

Nel 1945 – io questo l'ho detto e ridetto – con l'Italia tutta in terra, con le bombe da tutte

le parti, tedeschi, americani, guerra civile, morti in terra, miseria, c’è un Governo in cui

ci sono tutte le forze, il Comitato di liberazione nazionale, da Togliatti a Badoglio, tutti

monarchici e comunisti. Cosa gli costava a quel Governo unanime, in un momento di

confusione di quel tipo, di abbozzare una Carta dei principi e di Costituzione che

abolisse lo Statuto Albertino e facesse rinascere la democrazia con una Costituzione sia

pure, date le emergenze, fatta da un Governo ? Non lo fecero. Ripeto: non lo fecero,

Presidente, ma fecero eleggere un'Assemblea costituente perché anche con le bombe in

casa, i morti e la fame capivano che un Governo non può mai indicare le regole.

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E non lo capisce Matteo, non lo capisce il dottor Renzi, tanto meno l'onorevole Maria

Elena Boschi, tutti e due dotati di una laurea come la mia, probabilmente con il

massimo dei voti e la lode come me, ma si vede che leggono un altro libro che non è il

libro della democrazia: è il libro del Governo, è il libro della decisione, sono fuori

dall'abbecedario della politica. Guardate, lui poi direbbe: ma io ho promesso le riforme.

È vero, è vero ma lui ha promesso quello che compete al Governo vale a dire,

nell'ambito del programma di Governo, garantire un percorso per le riforme. Lui quello

deve garantire: un percorso perché si facciano le riforme, ma non deve garantire le

riforme con un suo disegno di legge perché, altrimenti, fa come Franceschiello, come un

dittatorello, come il Premier dell'Ungheria – qualcuno l'ha nominato – che se le fa da sé.

Io vi ho garantito le riforme: con il risultato, Presidente, che quando si cambia qualche

cosa in Commissione su un emendamento – fra parentesi – del PD il mio voto è stato

determinante su quella cosa lì famosa perché era il voto determinante di uno che

partecipava al gruppo di Forza Italia senza esserne mai stato iscritto (voglio precisarlo

perché io non ho mai avuto la tessera di Forza Italia e mai l'avrò in vita mia). Bene, lui

cosa disse ? Che era stato messo sotto il Governo. La stampa cosa disse ? Che in I

Commissione era andato sotto il Governo, cioè cosa si disse ? Che ogni cambio di

regola, ogni cambio di maggioranza era un colpo al Governo. Allora le regole, la

Costituzione, non sono le regole di tutti: sono un pezzo del programma di Governo che

va mantenuto così perché il Governo deve sempre essere in maggioranza. Non bisogna

essere scienziati per capire che il Governo non si mette mai sotto quando si cambia una

regola ma, se si dice così, vuol dire che si pensa così. Allora mettere sotto il Governo

significa fare le regole.

E inoltre l'ultimo aspetto che indica che scandalo sia questa riforma, ne parleranno i libri

di storia. Nel procedimento costituzionale non solo si prevede la doppia lettura e Matteo

Renzi si dice scandalizzato che la riforma è passata sei volte. È normale: quattro deve

passare per forza; se vuoi cambiare due cose, sei volte diventano automatiche ma,

siccome per la gente fa impressione che passi sei volte, dice che la riforma è passata sei

volte e cosa succede ? Succede che è previsto, se non c’è una certa maggioranza, che il

popolo decida, dal momento che i suoi rappresentanti non hanno trovato quella

maggioranza così schiacciante che garantisca un'adesione popolare. State attenti che

questo valeva anche per il proporzionale: con il premio di maggioranza sarebbe anche

un po’ falsato questo ragionamento, ma non stiamo a disquisire su questo. E lui cosa

dice, forse che siamo al momento terminale di un processo per riscrivere le regole nel

quale il popolo decide se va bene o non va bene ? No, dice che è un plebiscito su di lui,

sulla sua politica, ne fa una questione politica e afferma che se vincerà questo

referendum, testualmente, «spazzerà via tutte le opposizioni» perché nella sua lettura di

Governo le opposizioni sono dei grandi rompiscatole da spazzare via. E come le spazza

via ? Lo fa nel momento in cui scrive le regole che dovevano essere le regole di

garanzia delle minoranze e le regole di garanzia della democrazia che lui ha fallito e

falsato facendosi lui il disegno di legge. Ma, guardate, penso che ne parleranno nei libri

di storia di questa bestemmia e di questo obbrobrio. Se voleva fare una cosa rapida,

faceva quello che diciamo noi presidenzialisti: si fa il Presidente della Repubblica, si

abolisce subito il Senato, si fa la Camera di 500 membri e fine della fiera. Non ci

volevano tanti arzigogoli per semplificare e per ridurre le spese: gli arzigogoli si fanno

perché l'obiettivo è un altro, e passiamo al merito. Il merito...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAURIZIO BIANCONI.

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...un minuto di merito. Il merito dice molte cose, fra le quali che il Senato non è abolito

e, quindi, siamo alla «Costituzione truffa», che le province non sono abolite, sono

abolite come costituzione, ma non sono abolite e ci dice, soprattutto, che novantacinque

o cento persone, qualcuno di loro con doppia carica – contrariamente all'idea di un

sedere una seggiola, qui si ha un sedere tre seggiole: sindaco della città metropolitana,

senatore e sindaco della città, consigliere regionale o senatore –, tengono in ostaggio la

Repubblica italiana, perché per cambiare la Costituzione, comunque sia, da quello

pseudo Senato in cinquantuno devono dire «sì». E cinquantuno persone di quel tipo,

consiglieri regionali, sono condizionabilissime.

Io concludo qui perché ho finito il tempo, ma, comunque, penso di aver reso il mio

contributo per dimostrare la vergogna di questa cosa che stiamo facendo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gigli. Ne ha facoltà. Non essendo presente in

Aula, si intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l'onorevole Rizzetto. Ne ha facoltà. Non essendo presente in Aula, si

intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE.

Grazie, signor Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è noto, io non

sono un fanatico delle riforme. Ricordo sempre il buon Marcora, che è stato un grande

uomo politico italiano, che mi diceva che in Italia tutto quello che si riforma smette di

funzionare e che prometteva che, vivo lui, il Ministero dell'agricoltura non sarebbe mai

stato riformato. Questo perché ? Perché c’è una cultura illuministica delle riforme, la

quale ignora che la realtà è fatta di uomini e che non basta imporre il modello

teoricamente più bello, occorre anche che sia il modello adatto agli uomini che lo

devono praticare. Vincenzo Cuoco, il grande storico dell'illuminismo napoletano,

illuminismo anche dello storicismo napoletano, spiegava che le Costituzioni perfette

non esistono. Lo spiegava contro i giacobini – lui era uno di loro politicamente, ma

aveva idee diverse –, i quali volevano imporre a Napoli la Costituzione della Repubblica

francese. Diceva che la Costituzione migliore è quella che corrisponde alla storia, ai

pregi, alle virtù, ai difetti, ai vizi della popolazione che con quella Costituzione deve

vivere. È come un abito da ritagliare sulla persona.

Per questo io non ho condiviso interamente la passione riformistica che ha travolto il

nostro Paese e soprattutto – ma questo ci porterebbe lontano – la superstizione per la

quale i sistemi elettorali generano sistemi politici. I sistemi elettorali possono facilitare

l'evoluzione verso sistemi politici, ma sistemi elettorali i quali garantiscono sistemi

politici e la formazione di sistemi politici non ce ne sono o ce n’è uno solo: quello del

partito unico con il voto unico, ma non credo che nessuno desideri questo.

Nella mia lunga vita sono stato anche professore di scienza della politica. Dovessi

presentare ai miei studenti il testo della nostra riforma, abbonderei in rilievi critici, in

osservazioni su questa o quella imperfezione. Per la verità, c’è una cosa che condivido

con il collega che mi ha preceduto: se noi vogliamo un sistema esecutivo forte, la cosa

più semplice è fare un sistema in cui è eletto direttamente dal popolo il capo

dell'Esecutivo. Separiamo il potere esecutivo dal potere legislativo e in questo modo

rafforziamo l'Esecutivo in condizioni probabilmente di maggiore chiarezza dal punto di

vista istituzionale. Mentre il tentativo di avere un Presidente del Consiglio che, però, ha

poteri e caratteristiche che in altri Paesi hanno Presidenti della Repubblica è un'idea che

non sembra essere molto convincente e si presta a numerose critiche. Questo è quello

che io direi se dovessi parlare a un'assemblea di studenti. Siamo, però, in un luogo

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politico, non molto affollato per la verità, tuttavia in un luogo politico e in questo

momento facciamo politica, non scienza della politica, ma politica in atto.

Questa riforma non è, a mio parere, la migliore riforma possibile in astratto, è la

migliore riforma che abbia i voti per passare in questo Parlamento. Questo ci porta a

dire che o la approviamo o rimandiamo il processo riformatore a un'altra legislatura.

Io, però, ho questa netta sensazione: in una repubblica, la quale ha un processo

riformatore avviato, Presidente, da vent'anni – probabilmente non sono venti, sono di

più –, noi abbiamo vissuto una progressiva delegittimazione delle istituzioni esistenti,

accusate di essere incapaci di funzionare, accusate di nascere da una visione, la quale

era tutta preoccupata – in parte è vero – della possibilità che la maggioranza abusasse

del suo potere. Qual era il terrore dei democristiani nel 1948 ? Che vincesse Togliatti.

Cosa mai avrebbe fatto ? E Togliatti, d'altro canto, era convinto – o dava a vedere di

essere convinto, non sappiamo – che De Gasperi avrebbe instaurato una dittatura di

destra. Quindi, più zeppe mettiamo sul percorso dell'Esecutivo, più lo condizioniamo,

più gli impediamo di funzionare rapidamente, meglio è in quanto è una garanzia per la

libertà.

Sono queste le preoccupazioni che abbiamo noi adesso ? Credo che oggi siano diverse.

Dopo aver universalmente detto che la vecchia Costituzione non funzionava, perché

mancava della capacità di decidere, che è essenziale in una democrazia moderna, noi

non decidiamo nulla e rimandiamo tutto alla prossima legislatura. Questo può avere solo

l'effetto di delegittimare ulteriormente un sistema che è già più che abbastanza

delegittimato. Noi dobbiamo fare le riforme se vogliamo salvare la democrazia italiana,

se vogliamo evitare che il livello di delegittimazione divenga totale. La caduta delle

riforme è lo sfascio del tentativo della democrazia italiana di rinnovare se stessa. Cosa

può accadere dopo non lo sappiamo.

Allora, io vi dico la mia valutazione politica, che è diametralmente opposta a quella da

professore: noi dobbiamo approvare questo provvedimento, dobbiamo approvarlo per

confermare la democrazia italiana. Potevamo farlo diverso ? Vent'anni fa potevamo

farlo diverso. Per esempio, non abbiamo mica esaurito le potenzialità di un

bicameralismo virtuoso. Sarebbero bastati accordi interistituzionali tra Camera e Senato

per far funzionare le cose assai meglio, ma questo è acqua di ieri e l'acqua di ieri non

macina più. Oggi siamo davanti a questa sfida.

Aggiungo che, a volte, quando sono più pessimista sulla qualità di questo testo, leggo

qualche testo degli oppositori feroci della riforma, tra cui ricordo i colleghi Rodotà,

Zagrebelsky e altri, e questo mi convince per lo più che vale proprio la pena di

approvare questa riforma. Infatti, vedete, esiste in Italia la Costituzione, che io amo, che

segna un momento alto di unità nazionale nella lotta contro il nazifascismo, in cui si

ritrovarono cattolici, liberali, comunisti, socialisti, monarchici, badogliani e tanti altri

ancora, se ce ne erano, e questa Costituzione che nasce dalla resistenza è la nostra

Costituzione, però c’è anche un mito che è stato costruito su questa Costituzione. Mi

dispiace che non ci sia più nessuno della destra, che poi sta alla mia sinistra, per

ascoltare quello che voglio dire. È il mito azionista di una Costituzione che sarebbe stata

la più avanzata del mondo. C’è dietro una tesi filosofica: il fascismo non è un male

storico, ma il male assoluto – Croce era di diverso parere –, tutti quelli uniti contro il

fascismo devono essere buoni – quindi, tra l'altro, i comunisti devono essere buoni – e,

facendo una sintesi di comunismo e di democrazia liberale o, per altre versioni di

comunismo e cattolicesimo, noi ci poniamo al di là delle contrapposizioni che hanno

segnato il XXI secolo e costruiamo una democrazia qualitativamente superiore. Questo

è un mito che è stato pernicioso per la democrazia italiana, perché ha trasformato il

blocco dei poteri da «problema» in «valore», tanto che, al momento in cui bisogna

rinunciare al blocco di poteri per avere livelli di efficienza simili a quelli di altre

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democrazie occidentali, questo viene visto come la violazione di tabù sacrale. Io penso,

invece, – e credo che tutti noi ci avviamo a pensare – che la democrazia italiana è una

democrazia occidentale, che deve funzionare più o meno come funzionano altre

democrazie occidentali, se possibile meglio. Certo, mantiene un retroterra di valori che

nascono dalla nostra storia – e quindi questa storia passa attraverso la Resistenza – ma

che non possono essere convertiti in formule, le quali avevano un senso quando c'era la

preoccupazione che, sulla base della Costituzione, sarebbe stata teoricamente possibile

anche la costruzione del socialismo. Chi oggi seriamente in quest'Aula si ripropone di

costruire il socialismo sulla base di questa Costituzione ? Questa destra, che adesso

invece si trova così appassionatamente a difendere questo testo costituzionale, si rende

conto del significato culturale che ha per l'Italia il fatto di fare un passo oltre, non

dimenticando i valori di questa Costituzione, ma inserendoli più profondamente dentro

le vicissitudini del processo costituzionale europeo ? Queste sono le ragioni per le quali

noi abbiamo intenzione di votare a favore di questo provvedimento, ragioni tutte

politiche: non votarlo significa sancire una disfatta, che non è la disfatta di Renzi, è la

disfatta del processo riformatore italiano, ed entrare nel percorso di un'avventura

assurdamente pericolosa. Poi credo che dobbiamo riflettere su di un altro fatto:

raramente – o forse mai – le Costituzioni funzionano nel modo in cui pensavano coloro

che le hanno scritte. C’è stata tanta malizia da parte di Renzi nello scrivere questa

Costituzione ? Forse, e forse no, ma nessuno sa effettivamente come questa

Costituzione funzionerà. Certo, avrà un impatto, rafforzerà il momento decisionale nella

democrazia italiana, ma passerà attraverso una serie di vagli: passerà attraverso il vaglio

della Corte costituzionale, passerà attraverso il vaglio dell'esperienza pratica delle

modalità di funzionamento delle assemblee parlamentari, passerà attraverso il vaglio

che sarà dato dalla necessità improrogabile – spero almeno adesso – di riformare i

regolamenti parlamentari e, all'interno di questo processo, ci sarà spazio per fare le

opportune correzioni di rotta. Segnalo un dato banale, però importante: il raccordo tra il

nostro ordinamento e l'ordinamento europeo andrebbe fatto meglio, andrebbe precisato

in 234, il Parlamento ha modo più chiaro, anche perché, sulla base della legge n. titolo

per imporre delle condotte al Governo, per dirgli: tu ai Consigli dei ministri europei dai

un voto condizionato; se non ottieni quello che noi ti chiediamo di ottenere, tu puoi

votare ma solo dicendo che il mio voto è un voto provvisorio, devo tornare a casa e

chiedere al Parlamento di convalidarlo. Chi è che dà, con la nuova Costituzione, questo

voto ? La Camera o il Senato ? A leggere il testo, non è chiarissimo. Questa è una delle

cose che andrebbero chiarite, come un'altra cosa che andrebbe chiarita è il tema della

dichiarazione dello stato di guerra; basta leggere la Costituzione della Repubblica

federale tedesca per vedere con quanta minuziosità si regola un provvedimento

assolutamente straordinario, che non può essere affidato al voto di una delle Camere del

Parlamento. Va fatto, coinvolgendo il più possibile, perché è una decisione terribile,

drammatica. Certo si può dire che, in caso di un'aggressione, la quale impedisce di

convocare (...) si prevedono anche le autorità sostitutive che potranno e dovranno

intervenire. Si sceglie di far dichiarare lo stato di guerra dal Presidente della

Repubblica, il quale otterrà prima il voto di Bundestag, Bundesrat e chi più ne ha più ne

metta, se questo sarà possibile; se non sarà possibile, procederà direttamente. Ci

auguriamo che questo rimanga un discorso meramente teorico, però viviamo in un

tempo in cui l'idea della guerra e soprattutto il pericolo di guerre non dichiarate diventa

sempre più vicino a noi, perché non stiamo avendo cura della pace, che non è qualcosa

che viene da sé, è qualcosa che è coltivato dagli uomini e nel momento in cui non hai

una politica europea che si prende cura della pace nel nostro immediato vicinato, i

pericoli diventano grandi. Ho fatto due esempi, potremmo farne anche altri, ma questo

verrà con il tempo. Adesso il problema è dare un segnale: il processo riformatore è

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chiuso, nuove istituzioni sono convalidate dal voto del Parlamento e – ci auguriamo –

poi dopo consacrate dal voto popolare. Possiamo cominciare a lavorare con un

Parlamento pienamente legittimato; non sottovalutiamo l'effetto di campagne di

delegittimazione, che provengono dalle parti più diverse, le quali hanno portato gli

italiani a perdere la fiducia nella democrazia.

Quando tutti i giorni una buona parte dei parlamentari di quest'Aula ripetono che questa

sarebbe una Camera delegittimata, perché la legge elettorale andava cambiata e non è

stata cambiata, ma vi rendete conto ? Quando poi invece da altre parti assistiamo ad

eguali campagne di delegittimazione, perché il Presidente del Consiglio non è stato

eletto dal popolo, quando peraltro la Costituzione vigente non chiede affatto che sia

eletto dal popolo e dice che dipende dalla fiducia del Parlamento, in una situazione così

ripristinare nella coscienza del popolo la chiarezza di un ordinamento costituzionale

pienamente legittimo e convalidato dal voto popolare è condizione essenziale perché

questa democrazia possa proseguire il suo cammino. Non dimentichiamolo, le dittature

raramente nascono dalla malvagità dei dittatori; i dittatori raccolgono il potere che è per

strada, perché classi dirigenti democratiche non sono state capaci di esercitarlo; è

quando la democrazia non è capace di decidere che, allora, il popolo chiede: arrivi

qualcuno che decida comunque, basta che decida. Vogliamo evitare questo ?

Costruiamo una democrazia capace di decidere. L'altro grande problema che abbiamo è

quello della corruzione e su questo abbiamo tante strumentalizzazioni, ma anche la

necessità di riconsacrare da questo punto di vista la nostra vita democratica. Qui c’è un

problema di rapporto con la magistratura per ottenere che le inchieste contro la

corruzione non vengano strumentalizzate, che la magistratura recuperi interamente il

suo prestigio, che è caduto in basso proprio per il sospetto, purtroppo non sempre

immotivato e sempre ingiustificato, di una strumentalizzazione politica. Questa è

un'altra questione sulla quale ovviamente questa riforma istituzionale non interviene ma

sulla quale il Governo dovrà nel futuro concentrare la sua attenzione, se vogliamo

ricostruire una democrazia funzionante. Mi permetto di aggiungere un altro tema che

tocca la questione controversa della legge elettorale; non è un tema formalmente

costituzionale ma un tema sostanzialmente costituzionale, come riconosce la maggior

parte della dottrina. Noi abbiamo una legge elettorale che è stata fatta avendo in mente

una immagine del Paese, un Paese con un bipolarismo imperfetto all'interno del quale

quindi si poteva in qualche modo forzare, in modo da ottenere che uno dei due

protagonisti avesse la maggioranza sufficiente per governare. Nel frattempo il Paese è

cambiato; se voi guardate al panorama elettorale voi vedete nel migliore dei casi che il

bipolarismo è diventato un tripolarismo; abbiamo tre poli, ma nella realtà lo

spezzettamento è ancora molto più accentuato e questo è uno dei motivi che spingono i

cittadini a non votare e a non intervenire nel processo elettorale. Una revisione forse

sarebbe saggia, non sarebbe un cedimento alle pressioni di questo o di quello, ma

sarebbe la capacità di adattare l'abito a un bambino che è cresciuto e che oggi ha

caratteristiche diverse da quelle del momento in cui l'abito è stato fatto. Permettere la

formazione di coalizioni con le opportune garanzie per la stabilità dell'Esecutivo è

sicuramente un tema su cui occorre fare una riflessione, anche perché chi studia questi

processi sa che, quando si hanno dei partiti che hanno maggioranze troppo ampie, come

partiti, inevitabilmente la società, che cerca espressione, la cerca all'interno del partito,

provocando fenomeni scissionistici, fenomeni di secessione, che rendono il sistema

egualmente ingovernabile o più ingovernabile che se tempestivamente si fosse

provveduto a istituzionalizzare la coalizione. Credo che sarei stato disonesto se non

avessi aggiunto questa considerazione, perché i due processi, anche per il modo in cui

abbiamo scelto di portarli avanti, si tengono assieme. Non è un ricatto, non è una

minaccia, è una riflessione che mi auguro stimoli da parte del Governo una riflessione e

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anche un'apertura di dialogo, perché è un tema assolutamente da non sottovalutare. Qual

è il rischio altrimenti ? È quello del consolidarsi di un sistema in cui si hanno fenomeni

di radicalizzazione su ambedue le estreme: la Repubblica di Weimar crolla quando c’è

una radicalizzazione a destra e una radicalizzazione a sinistra, tanto che al centro non è

più possibile aggregare una maggioranza.

Siamo sicuri che il premio di maggioranza, così come è stato pensato, sia adeguato e

sufficiente a escludere questo rischio e che, invece, non sia necessario dare la

possibilità, a diverse componenti del centro, di esprimersi e di ritrovarsi assieme per

costruire quell'argine di cui abbiamo bisogno contro i rischi del populismo ? Con

questo, confermo la nostra decisione di votare a favore di questo provvedimento, di

questa riforma costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-

UDC)).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cozzolino. Ne ha facoltà.

EMANUELE COZZOLINO.

Signor Presidente, rappresentante del Governo e colleghi deputati, quando

un'Assemblea elettiva, rappresentativa della volontà popolare, si accinge a compiere

l'ultimo atto di un processo di approvazione ex novo o di un'ampia riforma come questa,

nella Costituzione si tratta di un momento solenne, alto. Si potrebbe arrivare a dire che

quel momento racchiude in sé l'essenza migliore della democrazia. Quando si approva

una Costituzione o la si riforma in maniera significativa, o si deforma, non tutti i

membri dell'Assemblea deliberante condividono il testo che si sta per approvare, ma, a

differenza del procedimento legislativo ordinario, sono consapevoli che il loro dissenso

è di natura diversa da quello che si può verificare nella ordinaria contrapposizione tra

maggioranza e opposizione. Ciò avviene perché, solitamente, quando si pone mano ad

una Costituzione, che è la Carta fondamentale, lo si fa con una procedura attenta e

ponderata, con un metodo volto a ricercare un consenso assembleare largo, una

condivisione ampia, la più ampia possibile, perché non si sta decidendo su una

questione meramente politica, ma si stanno definendo le regole del gioco che si chiama

democrazia. Poiché, una volta approvate, le regole valgono per tutti, è necessario che

queste regole siano frutto di un lavoro per quanto possibile comune e condiviso.

Ovviamente, condivisione ampia non significa unanimità. È naturale che alla fine di un

lungo percorso si debba giungere a sintesi, ma, se il percorso è stato appunto comune, se

c’è stata la volontà costante di dialogo, di trovare una sintesi, anche chi si ritrova a

dissentire, lo fa con uno spirito diverso da quello ordinario. Chi, in questi momenti di

grande riforma, non vota la riforma, è a suo modo compartecipe della grandezza

dell'evento. Questo avvenne nella Costituente eletta il 2 giugno del 1946, ciò purtroppo

non avverrà qui alla Camera dei deputati. L'Aula è la stessa, ma molto diversa è la

situazione e, soprattutto, il clima politico. La Costituzione del 1948 fu condivisa dai

grandi partiti di massa (DC, PCI, PSI) e da altre formazioni minori. Vi fu chi, quella

Costituzione, non la votò, perché non ne condivise alcuni istituti, ma tutti furono

consapevoli che quella legge fondamentale sarebbe stata indispensabile per la vita

futura della giovane Repubblica, venuta finalmente alla luce dopo il ventennio di

dittatura fascista, nata sulle rovine e sulle morti della seconda guerra mondiale e ancora

profondamente lacerata da una guerra civile, in cui italiani hanno odiato e combattuto

altri italiani. Oggi, come ho detto, non è così. Oggi in quest'Aula è difficile sentirsi tutti

coperti e garantiti da questa nuova Costituzione. Oggi, colleghi, è un momento triste,

una brutta pagina di quella Repubblica nata nel 1946 e che nel 1948 vide entrare in

vigore la Costituzione, ancora vigente per fortuna.

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Personalmente, da componente della Camera dei deputati, ma anche della I

Commissione, mi rattrista proprio che alla Camera dei deputati spetti esprimere l'ultima

deliberazione in senso cronologico, che, almeno per quanto riguarda la via

parlamentare, archivia la Costituzione vigente. Questo stato d'animo, questa tristezza,

questo radicale dissenso, più che dal contenuto vero e proprio della legge di riforma

costituzionale, nasce dal metodo utilizzato fin dalla prima lettura, dalla strada che ci ha

portato fino a qui oggi. Le due precedenti ampie riforme costituzionali – quella del

centrosinistra, che riformò il Titolo V, e quella successiva del centrodestra, che poi non

fu confermata al referendum – purtroppo non hanno insegnato nulla. Molte volte, dopo

quelle due esperienze, si era detto: mai più riforme della Costituzione a maggioranza,

salvo poi procedere a maggioranza per questa riforma e farlo in un modo come non era

mai accaduto.

Questo Governo e la maggioranza, che ruvidamente tiene al guinzaglio fin dal primo

momento di questo iter, hanno avviato non un dialogo, non una riflessione ampia e

condivisa, ma una prova di forza e uno scontro continuo. Noi abbiamo provato, in

Commissione, qui nell'Aula della Camera e al Senato, a tentare di portare un dialogo,

ma il Governo è stato sordo, sordo. Anche durante il Governo precedente, il Governo

Letta, il nostro gruppo non ha fatto sconti sul primo atto propedeutico a quella che

avrebbe dovuto essere la riforma costituzionale epocale.

Davanti alla proposta di derogare alla procedura prevista all'articolo 138 dai nostri saggi

costituenti, alcuni nostri colleghi arrivarono al gesto eclatante di salire sul tetto di questo

Palazzo. Ci hanno dato dei bambini, dei ragazzini, magari in futuro quell'atto lì sarà

scritto nei libri di storia e magari ci ringrazieranno. Ciò detto, il Presidente Letta e

l'allora Ministro per le riforme, Quagliariello, non ebbero mai quell'atteggiamento di

protervia istituzionale, che, invece, il Governo Renzi ha mostrato fin da subito. Un

episodio in questo senso è molto indicativo: il rapporto con la cosiddetta dottrina. Il

Governo Letta aveva voluto costituire un Comitato di saggi; al contrario, la cifra del

rapporto con la dottrina, da parte di questo Governo, è stata ben riassunta

dall'espressione sbrigativa e infastidita della Ministra Boschi.

Con questo non voglio dire che le forze politiche rappresentate in Parlamento debbano

sottostare a quanto viene sostenuto dai costituzionalisti, ma la differenza che ho voluto

citare è indicativa di una determinata filosofia e di un atteggiamento di questo Governo.

Per dirla fuori dai denti, il Presidente del Consiglio non ha considerato la riforma

costituzionale come una legge fondamentale dello Stato, ma, al di là delle tante parole

che ha pronunciato, fin dall'inizio ha visto e interpretato questa riforma come un

fantastico spot per se stesso. Il testo, poi, è anche un testo governativo e non

parlamentare. Il Presidente del Consiglio ha pensato alla riforma della Costituzione

come a un selfie costituzionale per corroborare l’hashtag #cambiaverso – torniamo al

fascismo ? Spero di no –, per dare sostanza alla narrazione che lui sarebbe stato colui

che avrebbe portato a termine una riforma che non si riusciva ad approvare da un

trentennio e che questo risultato sarebbe stato tenuto correndo e andando avanti come

uno schiacciasassi, disinteressandosi del contenuto e della qualità della riforma, ma

guardando soltanto allo striscione del traguardo e ai «mi piace» su Facebook. Ecco

perché, nelle varie letture di questo testo, ovviamente, nel testo finale abbiamo visto

tutti di tutto e di peggio.

Si è spesso ironizzato sulla definizione che la Costituzione è la più bella del mondo,

data quella vigente; anche un noto comico italiano lo diceva, ma se lo è dimenticato. Di

certo, la riforma che tra qualche giorno approveremo, questo rischio non lo correrà mai,

perché a nessuno verrà mai in mente di dire che è bella e, soprattutto, perché ben presto

mostrerà, purtroppo, tutti i suoi limiti. La Costituzione del 1948 è stata spesso definita la

Costituzione dei professorini, facendo riferimento ai giovani professori eletti nella DC,

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con la riforma dell'accordo sull'articolo 7 tra i vari Togliatti e De Gasperi. Questa sarà la

riforma dei canguri Kocijancic e della seduta fiume, della seduta notturna, imposta dalla

maggioranza per punire e silenziare l'opposizione e concessa da una Presidenza troppo

debole e timorosa. Io, mi ricordo, ero qua e ho interrotto anche il Presidente Renzi, che

pensava di essere al bar.

La Costituzione del 1948, a differenza delle leggi che poi sono seguite, è un esempio

insuperabile di chiarezza normativa, un testo che chiunque può leggere e capire, perché

a questo serve la Costituzione. Gli articoli che entrano in vigore in molti casi sono

talmente contorti e in alcuni casi incomprensibili, che, al confronto, i tre commi inseriti

nella legge di stabilità del 2015 su Tempa Rossa sembrano una filastrocca per bambini.

Dunque, nella Costituzione del 1948, poche parole: 1857 singoli lemmi, al 74 per cento

presi dal vocabolario di base, articoli concisi e con un numero limitato di commi.

L'articolo 55 della Costituzione attualmente si compone di soli due commi. L'articolo 1

lo fa lievitare a sei e introduce termini vaghi, politichesi, dei quali non si capisce bene la

portata normativa. Proprio il comma che è oggetto del nostro esame: «esercita funzioni

di raccordo», «valutare e verificare una politica»: che vuol dire in concreto ? Passeranno

decenni a interpretare queste parole.

Questa è anche una Costituzione innovativa, cari colleghi, perché i meriti, quando ci

sono, vanno riconosciuti: infatti, introduce una legge che non esiste, una non meglio

nota legge della Repubblica, anziché dello Stato. Mi riferisco all'articolo 35 di questo

disegno di legge. Si dirà che è una questione veniale e che nel merito non sposta nulla;

peccato che stiamo parlando della Costituzione: quante volte ci viene ripetuto che la

forma è sostanza ? Ma qua, a quanto pare, neanche per la legge fondamentale dello

Stato viene rispettata. Questa riforma costituzionale non mi piace, non ci piace, lo

abbiamo detto in ogni occasione e in tutte le salse nel corso del precedente esame del

testo, che poi è stato modificato al Senato, e lo ribadiamo ora, in questo esame in cui gli

spazi di manovra sono angusti per l'avvenuta approvazione in doppia conforme di un

gran numero di articoli.

Tra gli aspetti più perniciosi e, a nostro avviso, potenzialmente pericolosi di questa

riforma, c’è, in particolare, la riforma del Senato della Repubblica e il superamento

dell'attuale bicameralismo paritario. Il Senato della Repubblica viene svuotato di

qualsiasi funzione di rilievo nel processo legislativo e non solo, e questo salasso di

funzioni, di potere e di autorevolezza viene operato già dall'articolo 1 di questa riforma,

che riforma – ma non sarebbe più opportuno dire deforma ? – l'articolo 55 della

Costituzione.

La composizione del nuovo Senato della Repubblica, ma soprattutto le modalità con le

quali nuovi senatori saranno eletti, costituiscono la seconda maggiore criticità di questa

riforma complessiva della Costituzione, che purtroppo, andata in porto con questa

lettura, salvo imprevisti oggi non ipotizzabili, potrà dirsi chiusa per quanto riguarda la

formulazione del testo definitivo.

Certamente il problema maggiore consiste nello svuotamento dei poteri a danno del

Senato, una Camera che di fatto non legifera, non concede fiducia al Governo e che si

trova costretta a muoversi in maniera estremamente rapida per poter disporre di quelle

poche funzioni che gli sono state attribuite. Diviene una sorta di vittima predestinata, ad

essere composta da membri non eletti direttamente dai cittadini, bensì con elezioni in

secondo grado, come è successo per le province, che sono ancora lì vive e vegete e non

sono state abolite, così come il Senato, che si diceva due anni fa di voler abolire.

Dunque un Senato, che ambiva, almeno nei progetti iniziali ad essere una Camera dei

territori in sostituzione della Conferenza Stato-regioni, vedrà i cittadini tagliati fuori

dalla possibilità di stabilire in forma diretta e certa, tramite il proprio voto, chi dovrà

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andare a svolgere il ruolo di senatore, anche nella nuova versione disegnata da questo

progetto di legge costituzionale.

Il disegno che si punta a realizzare è fin troppo chiaro purtroppo; è evidente la volontà

di concentrare tutto il potere nelle mani di una singola figura, il Presidente del

Consiglio, e di qualche suo stretto collaboratore o entourage. Gli architravi di questo

progetto sono, ovviamente, il monocameralismo di fatto, che stiamo vivendo anche se

siamo ancora in bicameralismo, che questa riforma disegna, ed una legge elettorale di

quell'unica Camera politica con un sistema iper-maggioritario, che garantisce ad

un'unica lista, anche con pochi voti, di conquistare la maggioranza assoluta, sempre che

non si cambi la legge sotto elezioni magari guardando qualche sondaggio. Poiché

l'obiettivo è quello di dar vita a un sistema dove il manovratore, che oltre ad essere il

Capo del Governo è anche il capo del partito di maggioranza, e dunque colui che decide

le candidature, non deve essere disturbato, qualsiasi ipotesi di voce discorde non è

gradita. Proprio per evitare che vi siano voci discordi, ancorché prive di poteri reali e di

possibilità di incidere, si è scelto scientemente di impedire ai cittadini di poter eleggere

direttamente il Senato, anche un Senato assolutamente pletorico come quello disegnato

da questa riforma. La scelta è a nostro avviso sconsiderata, anche perché un esempio in

questo senso lo abbiamo già potuto testare, come dicevo prima, e mi riferisco alle

elezioni dei nuovi consigli provinciali e consigli metropolitani, organi in cui i politici

non sono eletti direttamente dai cittadini, ma che dovranno amministrare, bensì da altri

politici pari a loro. Elezioni di questo tipo, in applicazione della cosiddetta riforma

Delrio, si sono già svolte, come pure si sono svolte campagne elettorali e sono stati

stretti accordi, passati tutti sopra la testa dei cittadini, destra e sinistra insieme, e a loro

sconosciuti, anche se saranno proprio i cittadini a subirne le conseguenze. Noi abbiamo

deciso di non partecipare, tranne che nelle città metropolitane perché vi sono già i nostri

attivisti. Ovviamente si è andati in direzione contraria; la riforma costituzionale servirà

a sancire anche questa ennesima offesa alla sovranità popolare.

Questi e molti altri temi di critica sono stati sollevati nei precedenti passaggi da parte

del mio gruppo, quando vi era ancora la possibilità di apportare modifiche. Oggi

purtroppo è tardi, non vi è più la possibilità di modificare nulla, ma solo di approvare o

respingere in blocco, e, dunque, anche la critica, per quanto possa essere fondata e

circostanziata, scolora al mero atto di testimonianza: un'approvazione a scatola vuota,

diremmo.

Prima di chiudere, però, mi si consenta di fare un cenno a una parte che può apparire

secondaria, ma secondaria non è. Si tratta delle disposizioni transitorie dell'articolo 39:

più che di un articolo normativo si tratta di un obbrobrioso pasticcio. Anche sulla nuova

legge di elezione indiretta per il Senato ci si premura di garantire un'elezione a senatore

dei consiglieri regionali, che non potrà tener conto in alcun modo della volontà

popolare. Per non parlare poi del groviglio di disposizioni che dovrebbero prevedere la

possibilità di un vaglio anticipato di costituzionalità sulla legge elettorale. Colleghi,

purtroppo ci accingiamo a passare a breve dalla Costituzione più bella del mondo ad una

delle leggi di riforma costituzionale tra le più brutte e confuse del mondo. Avremo

questo primato. Questo, al di là delle chiacchiere e degli hashtag è la vera cifra del

Governo Renzi, il suo vero volto. Un Governo che corre certamente, che soffre di

«annuncite», ma che potrebbe inciampare e fare molto male a questo Paese. Noi, come

abbiamo sempre sostenuto, ci opporremo a questa modifica della Costituzione, che non

è stata la più ampia possibile, che è stata sorretta al Senato da maggioranze variabili,

non garantite dai due terzi perché, ovviamente, al Senato non c'era la maggioranza. La

prossima battaglia sarà nell'informare i cittadini sugli effetti di questa riforma quando ci

sarà il referendum, che fortunatamente non ha il quorum. Chi è interessato a difendere la

Costituzione andrà a votare, e con l'unico potere che ancora ci rimane in mano, la matita

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nella cabina elettorale, andremo a votare; prima di tutto su questo referendum che ci

sarà domenica prossima, su cui il Governo ha fatto in modo che i cittadini non si

esprimano.

Quindi, dopo aver abolito l'elezione delle province e tolto il diritto di voto ai cittadini,

dopo che verrà abolito il diritto dei cittadini al voto per il Senato, almeno il referendum

andiamo a votarlo e diamo un segnale che questo testo di riforma non ci piace (Applausi

dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE.

Colleghi, vorrei condividere con voi la decisione. Noi abbiamo un ampio margine di

guadagno sui tempi, perché tra le persone iscritte a parlare che si sono cancellate e

quelle che sono decadute perché non presenti in Aula, abbiamo praticamente acquisito

un ampio margine di circa due ore e mezza su quanto avevamo previsto; quindi, se siete

d'accordo, io direi di prenderci una pausa leggermente più compatibile sospendendo la

seduta e riprendendo i nostri lavori alle 14,30. La seduta è sospesa. La seduta,

sospesa alle 13,15, è ripresa alle 14,40.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa con qualche minuto di ritardo ed è responsabilità del

Presidente, di cui mi scuso. Ho avuto un inconveniente.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i

deputati Fabrizio Di Stefano, Fiorio, Oliverio e Zaccagnini sono in missione a decorrere

dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco

depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della

seduta odierna.

Si riprende la 2613-D. discussione del disegno di legge costituzionale n.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 2613-D).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà.

PIA ELDA LOCATELLI.

Grazie, signor Presidente. Il Paese ha bisogno di questa riforma e ne ha bisogno da tanto

tempo. Infatti, noi socialisti abbiamo posto il tema della grande riforma nel 1979; sono

passati 37 anni e il nostro impegno è di portare a compimento questo processo. Tutti, io

credo, dobbiamo impegnarci, a partire dal Presidente del Consiglio.

Come abbiamo già detto qui alla Camera, ma anche in altre occasioni, il disegno di

legge di riforma costituzionale, che ci accingiamo a votare per l'ultimo passaggio

parlamentare, non è propriamente quello voluto dai socialisti: non lo è nei contenuti,

migliorati comunque nei passaggi tra Camera e Senato, e non lo è per il metodo.

Sarebbe stato senza dubbio meglio, come avevamo proposto ad inizio legislatura,

adottare la strada maestra di un'Assemblea costituente che, svincolata dall'esame di altri

provvedimenti, avrebbe potuto dedicare più tempo e andare più in profondità, in un

clima complessivo di maggiore serenità, pur senza escludere il confronto, se necessario

anche aspro. Purtroppo, siamo rimasti gli unici a sostenere la necessità di questo

percorso e ne prendiamo atto.

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Nel corso dei precedenti passaggi parlamentari abbiamo sollevato dubbi e criticità, ma

evidenziato anche la positività – le positività – della riforma, prima fra tutte il

superamento del bicameralismo paritario. È soprattutto questo aspetto che ci induce ad

esprimere il nostro voto favorevole. Più in dettaglio, sul merito dei contenuti mi

soffermerò nel corso della dichiarazione di voto. Oggi intendiamo dire, in particolare al

Presidente del Consiglio – e chiedo ai rappresentanti del Governo qui presenti di riferire

questa parte del mio intervento –, che siamo preoccupati, molto preoccupati per la

sopravvivenza di questa riforma, che deve rispondere a tante obiezioni e critiche, alcune

fondate altre certamente meno, ma riforma che deve difendersi da nemici palesi e,

paradossalmente, perfino da alcuni suoi sostenitori. Il problema è che il Presidente del

Consiglio si è esposto in prima persona e ha strettamente legato l'esito del referendum di

ottobre alla durata del suo Governo. Un legame enfatizzato che paradossalmente mette a

rischio la riforma stessa, in quanto costituisce una piattaforma unificante tra il fronte di

coloro che non ne condividono i contenuti e coloro che vedono nella vittoria del no

un'occasione unica per far cadere il Governo Renzi. Il loro obiettivo è assestare un colpo

anche al Partito Democratico e all'attuale maggioranza, nell'ottica di un ricambio a

Palazzo Chigi o di un ricorso anticipato alle urne. Tra questi anche alcuni di coloro che

della riforma condividono i contenuti. Questo fronte è destinato ogni giorno che passa

ad ampliarsi e ad irrobustirsi e questo ci preoccupa molto.

Se questa riforma serve al Paese, come noi pensiamo – e serve perché supera il

bicameralismo paritario, introduce il Senato delle regioni, stabilisce norme per il

riequilibrio della rappresentanza di genere, che sono tutti elementi positivi –, allora essa

deve essere approvata a prescindere dalle sorti politiche di Matteo Renzi e del Governo

che egli presiede, che naturalmente continuiamo a sostenere lealmente.

Noi socialisti riteniamo che si debba scollegare, per quanto possibile, l'esito del

referendum dalla vicenda politica intesa in senso largo, in modo che una vittoria

eventuale del no al referendum non significhi una rinuncia alla riforma, ma possa

rappresentare un pressante invito a ripensarla, correggerla e modificarla, altrimenti si

dovrebbe ricominciare daccapo dopo quasi quarant'anni.

Certo, sarebbe una battuta d'arresto per la maggioranza, ma non affosserebbe

automaticamente la riforma. E, allora, trasformare il voto referendario in una sorta di

plebiscito personale è un errore che abbiamo già visto fare ai Governi passati – Governo

D'Alema docet – e che non porta nulla di buono, non tanto per la maggioranza e per il

Governo ma per il Paese. Siamo convinti che questa riforma sia utile e non vorremmo

che elettori ed elettrici leggessero il quesito come un voto pro o contro il Presidente del

Consiglio, finendo, loro malgrado, per rinunciare ad un traguardo così importante e

atteso da così tanto tempo.

PRESIDENTE.

È iscritto a parlare l'onorevole Parisi. Ne ha facoltà. Però prima, colleghi, voglio

informarvi di una decisione che ho preso. Vi sono state alcune persone che si erano

cancellate prima e alcune persone che sono decadute. Allora, io direi, vista anche

l'importanza del dibattito, che, organizzandolo ovviamente con i tempi che abbiamo

previsto per la giornata di oggi, il Presidente farà un'eccezione e farà in modo che un

po’ tutti riescano a parlare e magari coloro che sono decaduti e che hanno rinunciato

parleranno un po’ meno di quanto non avevano previsto, in modo che così tutti possano

dare il loro contributo. Prego, onorevole Parisi, e le chiedo scusa.

MASSIMO PARISI.

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Prego, Presidente, la ringrazio. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli

colleghi, il dibattito che stiamo svolgendo oggi, e che si concluderà con il voto di questa

Camera in questa settimana, è certamente destinato a superare i confini della cronaca. Ci

apprestiamo, infatti, a dare il penultimo suggello – l'ultimo sarà il referendum

costituzionale dell'ottobre prossimo – ad uno storico tentativo di riforma della Carta

costituzionale. Questo è il punto (o dovrebbe esserlo), questo è l'argomento (o dovrebbe

esserlo), ma di questo, temo, non si vorrà parlare, se non marginalmente, né in questo

dibattito né nelle giornate che ci attendono, per le quali sono già annunciate forme di

ostruzionismo. Ci sono, evidentemente, forze politiche che non vogliono che si affronti

questo dibattito, che non vogliono il cambiamento della Carta costituzionale, affette

forse da una sorta di amnesia selettiva...

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Parisi. Chiedo scusa, ma il Governo dovrebbe...

grazie mille. Prego.

MASSIMO PARISI.

...affette, dicevo, da una sorta di amnesia selettiva e che, in virtù di tale perdita di

memoria, hanno improvvisamente dimenticato il dibattito quarantennale sulla riforma

della Costituzione. Ci sono, poi, alcune forze politiche più recenti che hanno

dimenticato il dibattito ventennale, dalla loro discesa in campo in poi, per la riforma e

l'ammodernamento delle istituzioni repubblicane.

Noi non abbiamo cambiato idea e, posti di fronte alla scelta tra la nostra coerenza e il

nostro partito, abbiamo scelto la nostra coerenza, abbiamo scelto le riforme: per questo

è nata Alleanza Liberalpopolare Autonomie. Siamo qui, dunque, per confermare il

nostro sì; siamo qui per confermare il nostro impegno al prossimo referendum

costituzionale dell'ottobre, quando saranno gli italiani a dire l'ultima parola. Lo faranno,

ne siamo certi, con la loro intelligenza, con il loro pragmatismo, senza salire sui tetti di

palazzi pubblici, senza strepiti; si esprimeranno, invece, con il loro voto, la forma più

alta di partecipazione democratica.

Gli italiani sono certamente meglio di noi, sono meglio della classe politica che li

rappresenta e forse hanno anche memoria della nostra storia, della storia di quarant'anni

di tentativi di cambiamento della Costituzione, perché cambiare la Costituzione si può.

Si può perché lo hanno deciso i padri costituenti, si può perché proprio loro, che la

scrissero, dissero che non era perfetta e basta sfogliare qualche pagina del dibattito alla

Costituente per averne conferma. Cambiare la Costituzione si può perché sono passati

70 anni dalla proclamazione della Repubblica e 68 dalla promulgazione della Carta

costituzionale; si può perché quando è stata scritta il Paese usciva da una guerra

devastante e da un ventennio di dittatura; si può perché la Carta costituzionale è già

stata cambiata 15 volte; si può perché sono passati 33 anni dalla Commissione

bicamerale Bozzi, 23 dalla Commissione bicamerale De Mita-Iotti, 19 dalla Bicamerale

D'Alema, quella del «patto della crostata». Anche quella fu, come le altre, una

Commissione per la riforma della Costituzione e non per decidere il gusto della

marmellata della crostata. Si può perché in Francia la Costituzione è stata cambiata nel

1958, nel 1962, nel 2003 e nel 2008; perché in Germania in 64 anni è stata modificata

58 volte, le più significative nel 1968 e nel 2006; perché in Spagna la Costituzione, pur

relativamente giovane (è del 1978), è stata cambiata nel 1992 e nel 2011.

Venendo ai contenuti della riforma, era o no una delle istanze presenti nel Paese

quella della riduzione del numero dei parlamentari ? Con questa riforma diventiamo uno

fra i Paesi più virtuosi d'Europa da questo punto di vista. Era o no uno dei temi centrali

del dibattito e anche dei tentativi di riforma che ci sono stati il superamento del

bicameralismo paritario ?

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Certamente lo era ed è scritto nelle molte proposte di riforma, è scritto ad esempio nei

programmi di Forza Italia fin dalla sua nascita ed era scritto anche nei programmi dei

primi Governi di centrodestra della storia della Seconda Repubblica tanto che a

prevedere un Senato elettivo con elezioni di secondo livello ed espressione delle

autonomie territoriali era stato il comitato Speroni, primo Ministro delle riforme della

Lega, non il babbo di Renzi. Era il 1994: ventidue anni fa. Ma questa è solo una delle

tante contraddizioni cui abbiamo assistito in questo lungo cammino che ci ha portato fin

qui: lungo, sì, perché questo percorso formalmente è cominciato 734 giorni fa e per

arrivare al referendum ci vorranno complessivamente oltre novecento giorni ma è un

conto riduttivo perché formale perché il contatore andrebbe fatto partire dal comitato dei

saggi istituito dal Presidente emerito Giorgio Napolitano. Per la verità andrebbe fatto

partire negli anni Ottanta. Ecco l'Italia ha aspettato abbastanza, il dibattito sulla riforma

costituzionale è stata una specie di «bradipomachia»: altro che deriva autoritaria !

Sarebbe la prima deriva autoritaria che ha impiegato quasi quarant'anni per realizzarsi.

Sarebbe una deriva autoritaria al rallenty. Diciamo che magari il dibattito non sempre è

stato all'altezza ma chi accusava il Patto del Nazareno per il fatto che era stato

concordato fuori da quest'Aula dovrebbe forse andare a rileggersi i dibattiti di queste sei

letture parlamentari e fare un po’ di sana autocritica. Io non so se la coerenza in politica

sia un merito. So però per certo che le contraddizioni in politica si pagano. Chi oggi

bolla come autoritaria questa riforma ha contribuito a scriverla e l'ha pure votata in

prima lettura al Senato. Chi afferma che è scandalosamente non democratico che una

riforma costituzionale parta con un disegno di legge del Governo dovrebbe forse

ricordare che la riforma del 2005, quella del centrodestra poi bocciata dal referendum

costituzionale, partì proprio con un disegno di legge del Governo e la prima firma era

quella di Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, la seconda di Gianfranco Fini,

vice Presidente del Consiglio, la terza quella di Umberto Bossi, Ministro delle riforme.

E coloro che sono approdati in quest'Aula in questa legislatura e si proponevano di

aprire questo Parlamento come una scatoletta di tonno, si sono asserragliati sui tetti di

questa Camera per difendere il bicameralismo paritario, per difendere il Senato elettivo,

per difendere quella storia che ci ha regalato 63 Governi e 27 diversi Presidenti del

Consiglio in settant'anni di storia repubblicana. Chi sostiene che questa riforma ci

porterà alla dittatura ritiene allo stesso tempo che occorre abolire dalla Costituzione il

divieto di mandato imperativo e ciò senza essere sfiorato dal sospetto che il divieto di

mandato imperativo serve proprio ad impedire le involuzioni della democrazia. E se

allarghiamo lo sguardo anche alla collegata riforma della legge elettorale, la fiera delle

contraddizioni si allarga a dismisura: ci sono forze politiche che hanno chiesto in diretta

streaming al segretario del Partito Democratico una legge elettorale con le preferenze e

con il premio alla lista anziché alla coalizione e che poi contestano la legge elettorale

che contiene le preferenze ed il premio alla lista. C’è invece chi sostiene che con questa

legge elettorale potrebbe accadere un disastro per il Paese nel senso che il Governo

potrebbe essere conquistato da una forza cosiddetta antisistema come il MoVimento 5

Stelle. Ora uno può essere anche d'accordo nel considerare questa ipotesi come nefasta

per il Paese, però francamente non si può sostenere contemporaneamente che Renzi si è

fatto la legge elettorale su misura e che la legge se l’è fatta apposta per perdere perché

neanche il dittatore dello Stato libero di «Bananas» si sarebbe scritto una legge per far

vincere il proprio avversario. Delle due l'una: o non è una legge autoritaria o non

possono vincere i Cinque Stelle. Certo neanche noi sosteniamo che questa è la riforma

perfetta. Si poteva fare certamente di più e meglio e per quel che ci riguarda avremmo

preferito interventi incisivi sulla forma di Governo, magari che si lavorasse su

un'impostazione presidenzialista e ci fanno piacere a questo proposito le aperture che

sul tema ha fatto nelle settimane scorse il Ministro Boschi. Tuttavia gli sviluppi di

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questo dibattito e il fatto che probabilmente nelle prossime ore in quest'Aula sentiremo

parlare di trivelle, di lobby, di petrolio, di tutto meno che di norme costituzionali, ci

induce a pensare che nelle condizioni date forse è stato fatto il massimo possibile. Certo

qualche compromesso al ribasso poteva essere evitato perché non so – lo dico con

franchezza – a cosa siano servite certe mediazioni per rispondere al congresso

permanente del Partito Democratico visto che poi comunque abbiamo assistito a

dichiarazioni di voto al Senato di questo tenore: voterò sì alla legge costituzionale di

riforma ma voterò no al referendum costituzionale. Infatti le contraddizioni di questo

dibattito evidentemente non riguardano soltanto le opposizioni. Ce ne stanno molte

anche dentro il partito che esprime il Presidente del Consiglio e mi immagino che di qui

ad ottobre assisteremo, come già è stato per i referendum sulle trivelle, a un florilegio di

posizioni: sì, no, forse o magari sì se prima si fa la legge per l'elezione dei senatori,

come se avesse un senso farla prima che gli italiani si siano espressi sulla riforma

madre. Ora, di fronte a questo stato di cose, per parte nostra, abbiamo fatto una scelta di

coerenza e siamo stati accusati di trasformismo ma il vero trasformismo è quello di chi

cambia le proprie opinioni in funzione dell'opportunità politica, non quello di mantenere

la coerenza delle proprie in funzione dell'interesse del Paese.

Per dirla con Giovanni Soriano: «Alcuni sono capaci di contraddire tranquillamente le

proprie opinioni quando sono sulla bocca altrui». Noi non apparteniamo a questa schiera

e siamo soddisfatti che queste riforme portino anche il timbro della nostra storia, la

storia di Forza Italia e del centrodestra. Siamo soddisfatti e dispiaciuti allo stesso tempo:

dispiaciuti perché proprio non capiamo quale demone si sia impossessato dei vertici di

quello che fu il nostro partito, di quella che è stata la nostra storia, quale idea di

sviluppo e di Paese sta dentro una visione che dice «no» a quelle riforme che per anni

abbiamo cercato così come – forse è ancor più paradossale – quale idea di sviluppo e di

Paese c’è dietro la scelta di sostenere le ragioni del «sì» al referendum sulle trivelle. È

andata così, pazienza. Dobbiamo però portare a termine questo percorso: non sarà un

successo personale del Presidente del Consiglio, sarà un successo della buona politica e

della migliore tradizione del riformismo di questo Paese. Riformismo già, questa strana

parola che in Italia ha sempre avuto una valenza di serie B. Ebbene chi oggi si impegna

nella difesa del mantenimento dello status quo sa benissimo che questo non vuol dire

lasciare le cose immutate: significa solo la resa della politica, significa che saranno altre

forze – altre rispetto alla politica – a controllare il cambiamento. Chi vuole, invece,

ripristinare il primato della politica oggi sa da che parte stare e noi di Alleanza

Liberalpopolare Autonomie pensiamo di saperlo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI.

Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, sento particolarmente

forte il dovere di prendere la parola in quest'Aula di fronte ad un passaggio istituzionale

riformatore così incisivo e vorrei avvertire subito che l'attività del legislatore mal si

accorda con quella del tifoso. La ricerca della sintesi tra i diversi interessi particolari che

sono legittimamente in campo e la necessaria prevalenza dell'interesse generale

inducono inevitabilmente a mediazioni che non possono non scontentare un po’ tutti ma

che non per questo sono meno necessarie. A ben vedere questa è l'essenza della politica.

Esse rappresentano forse la stessa essenza della democrazia. Chi pensa ad esempio che

tutte le ragioni siano dalla sua parte, chi individua il male assoluto nell'avversario

politico e il bene assoluto nel proprio campo può tranquillamente sentirsi a proprio agio

nella curva di qualche stadio ma non qui nell'Aula del Parlamento. Tutto questo è

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ancora più vero quanto più alta è la materia di cui ci occupiamo oggi. Riformare la

legge delle leggi, la Costituzione, richiede un ulteriore sforzo di disponibilità per

condurre in porto un risultato che, proprio perché è frutto di mediazioni, non sarà mai

perfetto agli occhi di tutti ma anzi conterrà dei difetti e anche questa mediazione

contiene dei difetti che potranno però essere visti come più o meno gravi a seconda

dalla collocazione politica di chi esprime la propria opinione ma che vanno esaminati

con obiettività accanto ai pregi, laddove ve ne siano, e sicuramente in questa riforma vi

sono dei pregi. E d'altro canto occorre tenere presente che l'alternativa alla mediazione è

l'assenza di mediazione, lo scontro tra tifoserie opposte appunto e quindi la paralisi che,

in un contesto parlamentare, si traduce in assenza di riforme. Già è stato detto – ho letto

anche il contenuto della relazione – che da più di trent'anni, se vogliamo guardare alla

Commissione Bozzi e poi successivamente a quella De Mita e Iotti e poi alla

Commissione D'Alema, sono stati fatti dei tentativi molto impegnati per arrivare ad una

riforma della nostra Costituzione. Forse si poteva fare in maniera diversa. Si sarebbe ad

esempio potuto alla fine degli anni Ottanta eleggere un'Assemblea costituente con

metodo proporzionale e lì avremmo trovato il collegamento tra la storia della

Repubblica italiana e quell'Assemblea costituente e la sua continuità. Non lo si è fatto

perché evidentemente non si è percepito fino in fondo che si stava consumando la

Repubblica e la Prima Repubblica si consuma proprio lì.

Per questo io credo che oggi sia necessario abbandonare ogni posizione oltranzista,

accettare con maggiore serenità che ci siano elementi della riforma in esame che non

convincono ed elementi che convincono di più e passare ad esaminare con spirito scevro

da pregiudizi i punti chiave di questa riforma per soppesare elementi positivi e negativi

e giungere ad un giudizio che può non essere entusiasta, come quello dei tifosi appunto,

ma almeno consapevole.

Il primo elemento positivo è, secondo la mia opinione – ma su questo ricordo che tutti

in passato, più o meno, in quest'Aula si sono espressi sostanzialmente nello stesso

modo: destra, centro, sinistra – il superamento del bicameralismo perfetto, con la

designazione della sola Camera dei deputati quale organo legislativo, chiamato a dare la

fiducia al Governo, e l'assegnazione di un nuovo ruolo al Senato, chiamato, con la

Camera, a votare solo le leggi e gli organi costituzionali e a rappresentare le autonomie

territoriali, per occuparsi dei rapporti tra Stato, enti territoriali ed Europa. Sul

superamento del bicameralismo perfetto solo il MoVimento 5 Stelle forse non si era

pronunciato in passato, anche perché prima di questa legislatura ancora non avevano

avuto rappresentanze parlamentari. Ricordo, però, che anche loro, come del resto tutti i

partiti negli ultimi anni, sotto la spinta della pressione dell'opinione pubblica, si sono

pronunciati per una riduzione del numero dei parlamentari e questa riforma riduce di

oltre due terzi il numero dei senatori, da 315 a 100: troppi o troppo pochi. Comunque la

si voglia vedere, la riduzione è consistente e la designazione dei nuovi senatori tra i

sindaci e i consiglieri regionali, che vivranno del loro stipendio senza alcuna indennità

aggiuntiva, va incontro anche alle richieste di una riduzione dei costi della politica. Non

dovrei aggiungere molto per dire che, in questo dibattito sui costi della politica e,

quindi, sull'organizzazione della stessa, ci sono ragioni di superficialità che sono a tutti

molto evidenti, anche a quelli che fingono di non capirle.

Quindi, anche in questo caso, si sarebbe potuto fare forse di più, ma anche di meno.

Personalmente, ad esempio, ho qualche dubbio che le regioni, ormai da troppi anni

connotate da un presidenzialismo estremo e, quindi, con assemblee elettive del tutto

depotenziate, siano in grado di esprimere una classe dirigente all'altezza. Però, vedete,

questo punto del presidenzialismo estremo delle assemblee regionali è un elemento sul

quale una parte rilevante della classe dirigente di questo Paese dovrebbe interrogarsi e

anche il pensiero della sinistra che ha dato un contributo decisivo nell'aumentare

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elementi di confusione. A me è capitato, ormai in un tempo molto lontano, di presiedere

una giunta regionale, quella della Lombardia, in un contesto nel quale il presidente della

giunta era eletto dal consiglio regionale e ricordo i doverosi sforzi di interagire con

l'assemblea legislativa, al punto tale che non era possibile avere nessuna pausa, si

doveva essere in presa diretta, in un rapporto continuo con l'assemblea legislativa, nella

quale originava non solo il potere legislativo, ma anche l'indirizzo politico.

Ora, ho sempre immaginato che fosse un eccesso avere scimmiottato i governatori

nell'idea che si poteva introdurre un elemento di presidenzialismo dentro una

democrazia parlamentare. Poi sono arrivati i governatori e qual è l'impressione che

ricaviamo oggi ? Che quelle assemblee legislative stanno affondando negli scontrini e

c’è la perdita di senso, la perdita di qualità e forse anche la possibilità di essere in

condizione di costruire una classe dirigente che fosse all'altezza. Infatti, il passaggio dal

consiglio regionale al Parlamento appariva come un passaggio che era il risultato di una

maturazione. Oggi tutte queste intenzioni sono del tutto capovolte.

Quindi, se arrivo a ritenere, pure non nascondendovi punti critici, che gli elementi

positivi siano comunque prevalenti, anche su questo punto, mi chiedo come non

possano farlo forze che hanno usato toni anche molto accesi e sopra le righe per

chiedere le modifiche alla nostra Costituzione, che in questa riforma sono

effettivamente contenute.

Un altro elemento, a mio avviso, centrale da valutare è il superamento della riforma del

Titolo V. Nel 2006 mi schierai apertamente contro la cosiddetta devolution dei saggi di

Lorenzago – allora io facevo parte di quella maggioranza parlamentare –, perché,

anziché correggere i guasti creati dalla riforma del Titolo V, approvata sul finire degli

anni Duemila, in base ad un malinteso federalismo, avrebbe finito con il renderli ancora

più profondi. Allora, in quell'occasione, essendo parte della maggioranza, esercitai il

diritto-dovere di un parlamentare senza vincolo di mandato. Ho visto che, nella

confusione che ci sta aggredendo, da diverse parti, si sarebbe voluto togliere anche

questo, che è un istituto decisivo, perché se al parlamentare si toglie la libertà e si

immagina che il voto parlamentare sulle leggi sia un voto attribuito ai gruppi

parlamentari, come si è tentato di fare nel passato – ricordo che il presidente Berlusconi

nel tempo disse che il Parlamento doveva funzionare come una società per azioni, dove

l'azionista di riferimento parlava per conto di tutti –, questo non corrisponde esattamente

alla concezione di una democrazia moderna come, in realtà, noi tentiamo di interpretare.

Per venti anni circa la politica e la società italiane sono state condizionate dal messaggio

urlato, anche in questo caso, come si conviene a chi punta a vellicare le proprie tifoserie,

non all'interesse generale, del cosiddetto federalismo leghista, che poi si traduceva in un

messaggio molto più semplice: moltiplichiamo i centri di spesa e riduciamo le

responsabilità. Infatti, non è che il federalismo di cui parlavano si reggeva sulla forza

dei doveri e delle responsabilità; si reggeva sull'idea che si dovessero moltiplicare i

centri di spesa, i quali venivano esercitati senza alcuna responsabilità e spesso senza il

senso del dovere. Stiamo pagando ancora i guasti di quel messaggio e la riforma del

Titolo V, voluta dal centrosinistra alla fine degli anni Duemila, per inseguire il consenso

leghista. Questo ha creato drammatici problemi istituzionali, creando una confusione

assoluta e miriadi di contenziosi tra i diversi livelli di governo. E oggi Salvini,

l'onorevole Salvini, vorrebbe saldare quella storia con xenofobia e antieuropeismo e,

magari, aggiungendo anche un pizzico di vilipendio etilico del Capo dello Stato.

Voi capite che queste cose non possono stare insieme, ma c’è bisogno che lo si evidenzi

con un discorso politico che abbia una sua logica.

Con la devolution del 2006, il centrodestra – chiamiamolo così, ma in realtà era la destra

–, trainato ancora dalla coppia Berlusconi-Bossi, tentò di approfondire quei solchi

istituzionali, puntando allo sfascio definitivo della macchina dello Stato, con l'obiettivo

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di arrivare di fatto alla secessione. Gli italiani compresero quel rischio e dissero «no» al

referendum costituzionale.

Oggi la riforma, che porta il nome del Ministro Boschi, interviene in direzione

esattamente opposta, proponendosi finalmente di superare la riforma del Titolo V e i

guasti da essa prodotti e di ripristinare le condizioni affinché lo Stato e le sue

articolazioni istituzionali possano dialogare e non scontrarsi ogni giorno e offrire ai

cittadini certezze, anziché ragioni per sollevare pesanti contenziosi

Vorrei dire, pensando ai temi della cosiddetta politica energetica, che avremmo bisogno

di una politica energetica unitaria e, invece, in questi anni abbiamo perso terreno;

abbiamo immaginato di inseguire dei modelli di politica energetica che assumevano

addirittura una dimensione provinciale: approviamo il piano energetico provinciale, nel

quale si faceva l'elenco di quanta energia si produceva e di quanta se ne consumava. Ma

voi capite di cosa stiamo parlando ? Qual è il livello di dissoluzione, di rottura dello

schema istituzionale cui siamo arrivati ? Quando la frammentazione delle competenze

ha, di fatto, azzerato le possibilità di realizzare una coerente strategia nazionale in un

ambito decisivo per lo sviluppo del Paese, io vedo che se l'Europa c’è e batte un colpo,

quella dimensione è quella propria. Una politica energetica non può che avere una

dimensione sovranazionale e noi la vogliamo ridurre e rimpicciolire dentro questioni

localistiche, e si sappia che la frammentazione spinge per il referendum sulle cosiddette

trivelle, ma spinge in maniera abnorme, perché c’è la dissimulazione del dovere e della

responsabilità. Quando mi è capitato – oggi ho un po’ più di tempo – di ragionare in

quest'Aula in un giorno non propriamente bellissimo in cui si diede vita a un dibattito

parlamentare su questi temi, con trenta secondi mi venne di rivolgere un pensiero grato

ad Enrico Mattei; forse molti degli interlocutori non sapevano neppure chi fosse: senza

quest'uomo di Stato, che ha trivellato la Valle Padana da Torino fino a Venezia, non ci

sarebbero state le condizioni per porre le basi dello sviluppo del Paese.

Però, noi siamo dimentichi anche delle cose della nostra storia e, quindi, abbiamo

immaginato che ci fosse una legislazione concorrente in materia di energia; e così c'era

una legislazione concorrente in materia di turismo e abbiamo assistito al fatto che

andavano in giro per il mondo le delegazioni dei comuni o delle frazioni dei comuni,

magari se uno rivendicava di avere una chiesa con dentro una pala, andava a presentarla

in Giappone, come se l'Italia non avesse il dovere di presentarsi per il patrimonio che

esprime nella sua unitarietà. Quindi c'erano le processioni per il turismo in giro per il

mondo, le delegazioni del turismo in giro per il mondo.

E che dire dei trasporti ? Penso alle autorizzazioni di trasporti eccezionali che devono

essere convalidate da regione a regione, esattamente come accadeva al tempo delle

signorie, quindi torniamo indietro nei secoli. Un trasporto eccezionale che parte da

Treviso o che parte da Trieste per arrivare a Palermo ha bisogno di autorizzazioni sulla

dimensione dei confini regionali. Ora capite che quel Titolo V era perverso e il fatto di

correggerlo rappresenta, secondo me, un'assunzione di responsabilità assolutamente

doverosa.

La cancellazione poi dalla Costituzione delle province non fa venir meno il tema

dell'organizzazione dei servizi sulla base più adatta, perché i rifiuti possono avere una

loro collocazione, il trasporto sicuramente un'altra, ma non si può immaginare che ci

fosse un sovraccarico di livelli istituzionali. E questo non significa che ora

l'interpretazione che abbiamo dato con la «Delrio» sia quella del disimpegno e del

disinteresse, che sarebbe gravissimo, però occorre tener conto che non abbiamo bisogno

di più livelli di governo, abbiamo bisogno che quelli che ci sono funzionino in maniera

esemplare.

Non parliamo poi della cancellazione del CNEL, che andava incontro ad un'esigenza di

semplificazione e di razionalizzazione del nostro impianto istituzionale e che non può

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non essere apprezzata da tutti, soprattutto se non si è persa la memoria, dal momento

che non c’è forza politica presente in questo Parlamento che non abbia chiesto di

cancellare sprechi ed enti inutili. Così come ancora una volta ricordo un coro unanime,

ormai da molti anni, nel richiedere un rafforzamento dei percorsi di democrazia diretta.

Anche in questo caso la riforma in esame interviene prevedendo l'introduzione del

referendum propositivo o di indirizzo. Questi sono gli elementi da soppesare e io penso

che, andando verso il voto conclusivo e dovendo preparare poi il referendum

dell'autunno, noi dovremmo far soppesare ai cittadini italiani questi elementi.

Schierarsi per il «no» in vista del referendum confermativo di fine anno significa

scegliere ancora una volta di mantenere lo status quo, il bicameralismo perfetto, il

Titolo V di cui ho parlato con esemplificazioni adeguate e con le sue evidenti storture.

Il numero complessivo dei parlamentari è una scelta legittima, ma poiché ogni forza

politica presente in quest'Aula ha chiesto, nel corso degli ultimi anni, un intervento

proprio nella direzione in cui va questa riforma, sarebbe una scelta incomprensibile per i

cittadini.

Inoltre, poiché il solco tra i cittadini e la politica è già molto ampio, ritengo sarebbe

estremamente pericoloso approfondirlo ulteriormente, a meno che non si voglia fare il

gioco delle forze che puntano al tanto peggio, tanto meglio, e anche questo ha una sua

logica, ma non ha una logica che va nella direzione dei cittadini.

Spesso abbiamo sentito che c’è un'evocazione continua dei cittadini, come se qualcuno

rappresentasse i cittadini, avesse un titolo che viene codificato per la rappresentanza

degli interessi dei cittadini. Quanta presunzione c’è in questa impostazione ! Io credo

che un po’ di modestia dovrebbe far riflettere sul fatto che noi tendiamo a tentare di

rappresentare gli interessi dei cittadini, che dentro a quel concetto di parlamentare eletto

senza vincolo di mandato, questo sì, ha la pretesa di rappresentarli ed è davvero un

gioco a specchi contrapposti, gioco a cui personalmente non mi presto e neanche il

gruppo parlamentare che rappresento, che intende quindi dare voto favorevole alla

riforma della Costituzione, però impegnandosi fin d'ora nella costituzione dei comitati

per il «sì» in vista dell'ultimo passaggio referendario.

Ovviamente questo passaggio referendario non deve essere vissuto come l'ordalia sul

Capo del Governo, questo sarebbe un errore politico. Fatto in questi termini, evoca una

concentrazione del dissenso che rischia di mischiare i termini politici della riforma

costituzionale, perché è evidente che, se gli elementi che portano ad una saldatura sono

di natura diversa e nulla hanno a che fare con i contenuti specifici che qui ho evocato,

possono creare qualche brutto scherzo.

Quindi, allora il «sì» sul passaggio referendario va vissuto come il tentativo di costruire

nel Paese una salda maggioranza equilibrata e riformatrice, dentro l'Europa e non contro

l'Europa, che non può però esaurirsi nell'illusione di un Partito Democratico

autosufficiente. Questo è un tema sul quale mi rivolgo ai colleghi del Partito

Democratico: è bene che stiate molto attenti, perché, vedete, la storia delle leggi

elettorali è stata così perversa nel corso di questi decenni che ha dimostrato come,

quando le leggi elettorali vengono approvate con un intento di favorire qualcuno, esse

alla prima prova smentiscono quell'effetto e decretano il contrario. È accaduto con il

Mattarellum – così veniva chiamato, anche se impropriamente, ma perché era stato

Sergio Mattarella il relatore di quel progetto di legge del 1993 – che avrebbe dovuto

perpetuare la continuità di un potere, di fronte alla morte della Democrazia Cristiana e

al fatto che il Partito Popolare, che era nascente, avrebbe voluto realizzare quella

continuità. Voi sapete com’è andata a finire, nel 1994 si votò e vinse Berlusconi. E che

dire del Porcellum ? Fu approvato qui e sembrava fosse un gioco elettorale scontato, ma

le elezioni del 2006 portarono al successo di Prodi.

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Allora, poiché non c’è due senza tre, ma questa potrebbe essere una battuta alla

popolana, io dico, invece, che, poiché l'intelligenza politica ci richiede di valutare gli

effetti fino in fondo, bisogna considerare il tema della riforma elettorale nella sua

interpretazione politica. Se noi non siamo in condizione di realizzare una maggioranza

sul terreno dell'opinione pubblica con riferimento al referendum confermativo, va da sé

che la legge elettorale com’è impostata, che prevede l'autosufficienza del PD, rischia di

non bastare.

Quindi, è bene che ci pensiate molto, perché il punto è di assoluta delicatezza, a meno

che quella legge non venga interpretata nel senso che la lista non è più la lista di un

partito, ma è la lista della coalizione che vince. La coalizione che vince il referendum

può esprimersi come tale. Questo ha una sua logica che, diciamo, è rispettabile. Quindi,

come vedete le cose sono tra di loro molto interconnesse.

Il nostro è un voto favorevole, perché finalmente si porta a compimento una riforma che

era attesa da tempo, ne ho spiegato anche i limiti, ho anche detto che forse il tempo per

fare qualcosa di diverso alla fine degli anni Ottanta poteva esserci, ma che non fu colto

e così morì la Prima Repubblica, poi arrivò la seconda e sarebbe stato meglio che

neppure l'avessimo attraversata. Oggi siamo su un terreno del tutto nuovo, i cui effetti

sono tutti da vedere.

Ora io penso che noi la votiamo, ma siamo anche convinti che la interpretazione di

quella riforma costituzionale dovrà essere il lievito che farà nascere nel nostro Paese

una nuova qualità della politica, perché si è andata disperdendo e c’è rimasto ben poco,

tra l'altro con un distacco crescente tra quello che esprimiamo e quello che pensa la

generalità dei cittadini. Pensate solo al tema degli emolumenti dei parlamentari: ma

secondo voi sarebbe stato possibile che nella democrazia italiana qualcuno obiettasse

per lo stipendio del parlamentare Moro, oppure del parlamentare Almirante o del

parlamentare Malagodi o del parlamentare Togliatti ? Sarebbe stato possibile questo ? E

come fate a non vedere che c’è una caduta pesante, un discredito forte che interpella

ognuno di noi e rispetto al quale c’è chi dice «ma tanto questo è un argomento che

conviene cavalcare», come se cavalcare un argomento di questa natura fosse una

soluzione delle problematiche che abbiamo di fronte ! Io vedo un Parlamento che si

dequalifica sempre di più, che, invece di cogliere le professionalità più adeguate e più

forti, va nella direzione opposta !

Vorrei ricordare che nel 1946, quando per la prima volta votarono le donne e furono

eletti quei 555 costituzionalisti, che rappresentavano la rinascita dell'Italia repubblicana,

quel voto fu un voto intelligente anche per un Paese che era per metà analfabeta ! Come

hanno fatto a scegliere i migliori tra gli italiani, se erano addirittura degli analfabeti ?

Probabilmente operava lo Spirito Santo, ma non vi è dubbio che anche quel popolo

analfabeta aveva un senso civico robustissimo, se riuscì a mandare in Parlamento una

composizione delle rappresentanze che era per tre quarti laureata, ma poi con lauree che

erano quelle vere, erano lauree pesanti, e l'altro 25 per cento magari non era laureato,

ma veniva dalla rappresentanza dei contadini e degli operai e rappresentava il Paese

nella sua unità, pur con divisioni radicalmente più profonde di quelle di oggi !

Se facciamo una statistica sul Parlamento del 2008, non penso che quella del 2013 sia

migliore, la percentuale di laureati si è ridotta al 56-57 per cento e, invece della

rappresentanza senza vincolo di mandato, abbiamo spesso degli allineati, i quali sono

arrivati qui senza aver fatto quel corso delle responsabilità, non degli onori, che dà

spazio e sostanza alla rappresentanza parlamentare.

Ecco, io penso che queste cose dobbiamo tenerle presenti. Chiedo scusa al Presidente se

l'ho fatta lunga, ma in realtà, grazie al fatto che nessun altro del mio gruppo oggi

intendeva intervenire, mi hanno lasciato campo libero, ma ho ritenuto almeno che

restasse una testimonianza di fronte ad un dibattito così impegnativo (Applausi dei

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deputati dei gruppi Democrazia Solidale-Centro Democratico, Partito Democratico e

Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mucci. Ne ha facoltà.

MARA MUCCI.

Grazie, Presidente. Con oggi si chiude l'iter sulle riforme costituzionali. Con il

referendum che verrà chiesto su questa riforma, ovvero su trentanove articoli modificati,

trentanove articoli in votazione in un unico quesito, si palesa una violazione dello stato

di diritto sulla libertà di scelta del cittadino !

Vengo a spiegare brevemente perché. La riforma costituzionale, per le profonde

modifiche che apporta e che incidono in modo strutturale sulla Carta, non può essere un

nodo gordiano da schiantare o tenere come tale. Questa riforma, che tocca, ribadisco,

trentanove articoli, ovvero il 35 per cento del totale e il 58 per cento degli articoli della

sola parte seconda, è una riforma importante in termini di quantità del contenuto, che

non può essere affrontata con un sì o con un no, altrimenti si chiamerebbe plebiscito, tra

l'altro sulla persona del Presidente del Consiglio e non sulla Costituzione. Unire in un

unico quesito i diversi temi oggetto di riforma, in prima analisi è improprio già alla luce

della loro eterogeneità. In seconda istanza, più importante poiché attiene allo stato di

diritto, un secco sì o no sulla totalità delle modifiche viola la libertà di scelta.

Immaginiamo, colleghi, se per un attimo potessimo mettere a votazione referendaria il

Senato delle regioni. Tutti noi sappiamo quale sarebbe l'esito, i cittadini vorrebbero e

voterebbero a stragrande maggioranza contro un Senato di consiglieri regionali, o nel

caso in cui potessimo chiedere di esprimersi sulla doppia lettura Camera e Senato, che,

da strumento di garanzia, nel tempo si è palesato anche come arma ad uso e consumo di

maggioranze diverse o a giochi di potere all'interno dei partiti. Immaginiamo se

potessimo chiedere cosa pensa il cittadino del taglio al numero dei parlamentari. L'ha

detto prima il collega Bruno Tabacci, ormai è oggetto di campagna elettorale per tutti i

gruppi politici. La disomogeneità del quesito referendario, così come attualmente vuole

essere posto, mina anche la capacità di una corretta informazione, che sta alla base del

successo di un referendum che punta ad un voto consapevole, ed è materia sicuramente

attuale anche oggi con il referendum, che presto voteremo, sulle trivellazioni.

Non nascondo di essere io per prima in difficoltà davanti alla scelta del voto,

trovandomi favorevole ad alcuni passaggi, ma contraria ad altri; non si può chiedere di

agire con un bilancino davanti ad un voto così delicato. La compressione della libertà di

espressione è evidente in un referendum che dicotomizza in un solo voto il futuro di

trentanove articoli della nostra Carta. Il referendum, lo dice la legge e lo ripetono le

sentenze, lo avallano i trattati internazionali e le convenzioni, come quella di Venezia

del 2007 (Codice di buona condotta sui referendum), deve essere caratterizzato da

quesiti puntuali, omogenei e categorici. Queste peculiarità, oltre che oggettivamente

imprescindibili, sono garantite dalla legge, sono capisaldi dello stato di diritto, sono

garanti della libertà !

Chiedo, quindi, insieme agli amici dei Radicali italiani, che non sono qui in queste Aule,

ma che porteranno avanti questo quesito assieme a me, che i promotori del referendum

definiscano una consultazione a quesiti parziali; quesiti che portino a giudizio del

popolo italiano i vari temi che affronta questa riforma. In autunno non andiamo a

distribuire le pagelle del Governo, ma definiamo il futuro della nazione, futuro che avrà

bisogno di basi solide anche per quando non saranno più i vostri i nomi che siederanno

tra i banchi del Governo. Futuro che, oltre alle nuove regole che la riforma vuole

apportare, dovrà fare i conti con la violazione dello stato di diritto, che ora, forte di

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un'ampia zona franca legislativa, si vuole perpetrare con questo quesito, inopportuno e

illiberale, alla luce della complessità ed eterogeneità nel suo insieme. Torno così a

chiedere al Presidente del Consiglio, che a breve sarà in queste Aule, di valutare

seriamente di concedere ai cittadini la libertà di scelta con un referendum per parti

separate o parziale. Questo è il referendum: ascoltare il volere dei cittadini, mettendoli

però nella condizione di decidere. Questo è, secondo noi, il referendum !

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bosco. Ne ha facoltà.

ANTONINO BOSCO.

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, dopo vari tentativi di riformare la nostra Carta

costituzionale, iniziati nel 1983, con la Commissione di studio dell'onorevole Bozzi, e

proseguiti con la Commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, oggi il

Parlamento italiano è chiamato ad esprimersi su un testo costituzionale definitivo, che

sarà sottoposto a referendum costituzionale nel prossimo ottobre.

Il testo approvato affronta, in primo luogo, il tema centrale della riforma, ovvero quello

del bicameralismo paritario, sopprimendo il Senato della Repubblica così come

concepito dai nostri padri costituenti, per giungere ad un sistema più semplice ed anche

meno oneroso. Infatti, ci si dimentica con troppa facilità della crisi costituzionale

emersa drammaticamente a seguito delle elezioni politiche del febbraio del 2013,

quando la legislatura sembrava nata morta; quando, proprio a causa del bicameralismo

paritario e della crisi del bipolarismo, non vi era una maggioranza in entrambi i rami del

Parlamento, non si riusciva a formare un Governo né ad eleggere il nuovo Presidente

della Repubblica. Uno stallo istituzionale dal quale si è usciti solo grazie alla rielezione

di Giorgio Napolitano e alla formazione di un Governo di grande coalizione, con

l'obiettivo fondamentale di realizzare le riforme della Costituzione e del sistema

elettorale; legislatura che è stata poi salvata, nell'ottobre del 2013, quando il Presidente

Berlusconi rinnegò la scelta del Governo di grande coalizione, solo grazie alla nascita

del Nuovo Centrodestra.

Le riforme, pertanto, signor Presidente, non sono solo necessarie, ma imprescindibili

per evitare che si ripeta nuovamente quanto accaduto tre anni fa, cioè che si debba

ricorrere a Governi di grande coalizione, non per scelta, ma per costrizione.

In particolare, il nuovo Senato sarà costituito da cento senatori, di cui novantacinque

rappresentanti delle istituzioni territoriali e cinque senatori nominati dal Presidente della

Repubblica. I novantacinque rappresentanti delle istituzioni territoriali saranno eletti con

metodo proporzionale, sulla base di una legge che ne garantisce l'elettività. Si tratta di

una modifica che, di fatto, permette di avere una seconda Camera espressione delle

autonomie territoriali e, quindi, facilita il raccordo tra lo Stato centrale e le autonomie

territoriali. I senatori, come è noto, non usufruiranno di alcun compenso.

Il progetto di legge, pertanto, faciliterà il procedimento legislativo che, con un'adeguata

riforma dei Regolamenti parlamentari, diventerà più semplice e più snello. Allo stato

attuale, infatti, il procedimento legislativo risulta particolarmente complicato e non

permette quella rapidità che risulta, invece, necessaria in uno Stato moderno. Oggi le

decisioni, soprattutto di natura economica, devono essere assunte velocemente; il potere

legislativo deve operare con rapidità ed in tempi certi.

Il progetto di legge costituzionale, inoltre, rafforza i poteri della Corte costituzionale,

che potrà giudicare, in via preventiva, anche sulle leggi elettorali.

Per potere velocizzare il procedimento legislativo e dare maggiore autonomia

propulsiva all'Esecutivo sono stabiliti tempi certi per l'approvazione dei disegni di legge

governativi. In tal modo si consentirà un'azione più concreta del Governo, favorendo,

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allo stesso tempo, un adeguato controllo parlamentare da parte delle opposizioni.

Si tratta, pertanto, di un progetto di legge equo ed equilibrato, con i giusti contrappesi, e

che permetterà di raggiungere, come abbiamo già detto, obiettivi politici e legislativi in

tempi certi.

Sotto questo profilo si segnala l'articolo 12, ai sensi del quale il Governo può chiedere

alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un

disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di Governo

sia iscritto con priorità all'ordine del giorno della Camera stessa, entro il termine di

settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi i termini di cui all'articolo 70, terzo

comma, sono ridotti della metà.

Altro punto qualificante del progetto di legge costituzionale è quello dell'abrogazione

definitiva delle province e del CNEL, organi ritenuti superflui; decisione che indica la

precisa volontà di questo Governo di ridurre in modo serio e coerente gli eccessivi costi

che gravano sul bilancio pubblico.

All'approvazione della riforma costituzionale è, inoltre, legata la nuova legge elettorale

maggioritaria, già approvata. Una legge elettorale a doppio turno, che permetterà di

avere, alla proclamazione dei risultati elettorali, un vincitore certo e che, grazie al

premio di maggioranza, permetterà di garantire la stabilità dell'Esecutivo che, pertanto,

potrà programmare in modo certo la propria attività politica e legislativa, in modo da

consentire in tempi rapidi l'attuazione del programma.

Un ulteriore punto importante della riforma è quello della modifica del Titolo V della

Costituzione, che corregge e rende più equilibrata la modifica del 2001. Con questo

progetto di legge costituzionale, infatti, si supera la riforma che aveva prodotto

numerosi conflitti costituzionali, proprio perché aveva ripartito in modo rigido le

competenze tra Stato e regioni, con un'area molto estesa di competenze concorrenti.

In questa sede è stato, anche, affrontato il problema dei costi della politica, con la

riduzione dei parlamentari e la riduzione delle spese dei consigli regionali, perché

rilanciare il Paese significa semplicemente consentire uno sviluppo omogeneo e pari

opportunità per l'intero territorio nazionale e crediamo che anche a questo contribuisca

il testo che oggi è in discussione.

In tale contesto, desidero, signor Presidente, riprendere un intervento del mio

capogruppo su questa materia, è una citazione alla quale annetto grande importanza

quando cita il Presidente Napolitano che in quest'Aula disse: «Imperdonabile resta il

nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della

Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate e, peraltro, mai giunte ad

infrangere il tabù del bicameralismo paritario. (...) Non si può più, in nessun campo,

sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione

netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e

progredire la democrazia e la società italiana»

Area Popolare ha fatto una scelta coraggiosa e difficile proprio per rispondere a questo

dovere, un dovere che avvertiva con forza, in un momento estremamente difficile, in cui

il nostro Paese rischiava di finire nel caos.

Quella decisone, che Area Popolare assunse nel novembre del 2013, impedì una tale

situazione e la legislatura poté proseguire. È nel segno di quella scelta anche il progetto

che ora sta per giungere a compimento, perché abbiamo conseguito con coerenza e

fermezza l'impegno di decretare la fine di un bicameralismo antistorico, assurdo e

ingombrante, lo snellimento del procedimento legislativo, la certezza dei tempi di

approvazione delle leggi, il rafforzamento del potere dell'Esecutivo all'interno di una più

robusta forma di Governo parlamentare e di un solido sistema di garanzie. Con questa

riforma costituzionale, pertanto, si introdurranno importanti cambiamenti alla Carta

costituzionale; cambiamenti decisivi voluti dalla maggioranza che sostiene il Governo,

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Governo al quale Area Popolare partecipa e che sostiene fin dalla sua nomina, con lo

scopo di modernizzare il Paese, appunto, di farlo ripartire e di introdurre quelle riforme

necessarie per migliorarlo. Area Popolare, come ho detto in precedenza, ha lavorato con

impegno prima alla nascita del Governo Letta, quindi, a quella del Governo attuale, lo

ha fatto con sacrificio, ma con convinzione ferma e forte. Noi sosteniamo, dunque, e lo

facciamo con forza e con convinzione, questa riforma che, certamente, è figlia di forze

politiche alternative, autonome, ma complementari, forze che vogliono far progredire il

Paese, attraverso una decisa, risoluta volontà riformatrice. Oggi siamo a metà del lavoro

che questo Esecutivo si è ripromesso di portare a compimento; molte cose sono state

fatte, altre occorre fare e sono già state poste in cantiere. Sappiamo di avere di fronte

difficoltà di diversa natura, ma la volontà è ferma, la sicurezza che si tratta di un lavoro

che va compiuto e completato non vacilla di sicuro e questa riforma significa molto per

tutti noi e per il Paese intero. Siamo convinti delle buone ragioni che ci animano e del

valore di un provvedimento figlio di un lungo dibattito e finalmente in dirittura di

arrivo. Per tutte queste ragioni, signor Presidente, noi di Area Popolare non possiamo

che esprimere un volto favorevole a questa riforma, convinti che sia una riforma storica,

una riforma che va nella direzione di rendere i processi politici e legislativi più snelli e

di far sì che l'Italia diventi un Paese più moderno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Meloni. Ne ha facoltà.

MARCO MELONI.

Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi,

nell'indicare la logica da seguire per dar vita ai processi di riforma costituzionale,

Roberto Ruffilli, in un volume pubblicato poche settimane prima della sua morte per

mano brigatista, richiamava quella indicata da La Pira alla Costituente, che fa della

Costituzione della Repubblica la casa comune della società italiana e, dunque, da ciò, da

questa riflessione, traeva la necessità di superare la tentazione delle riforme partigiane,

volte ad avvantaggiare un partito o un'istituzione a scapito delle altre, puntando invece

alle riforme sistemiche, quelle volte a mettere tutti i partiti e tutte le istituzioni in grado

di fare la propria parte al servizio dei cittadini. Noi nel Parlamento italiano una cosa del

genere non siamo in grado di farla da molti decenni, con qualche eccezione, la più

recente è la fondamentale riforma dell'articolo 81 sul pareggio di bilancio che fu

approvata nel 2012 da tutti i principali partiti e con l'astensione della Lega, sebbene ora

molti fingano di aver approvato quella norma in stato di ipnosi; fin dagli anni Ottanta i

progetti di riforma o sono naufragati all'ultimo miglio – penso alla Commissione Bozzi

o alle bicamerali De Mita, Iotti e D'Alema – oppure sono stati approvati con i soli voti

della maggioranza, tanto da essere sottoposti a un referendum ex articolo 138 della

Costituzione; così accadde nel 2001, con l'esito referendario positivo che conosciamo, e

la stessa cosa accadde nel 2005, ma l'anno seguente la riforma fu bocciata in sede

referendaria.

Esistono delle responsabilità perché siamo, anche in questa legislatura, nella medesima

condizione ? Io credo di sì e le principali credo che siano molto chiare. Non possiamo

non tener conto del fatto che la seconda forza politica per numero di parlamentari, il

MoVimento 5 Stelle, ha deciso fin da principio di non confondersi con nessuno in

progetti di riforma, condannando all'irrilevanza parlamentare oltre otto milioni di voti.

La terza forza per numero di parlamentari, Forza Italia, ha invece deciso se e come

aderire al processo riformatore a seconda delle convenienze del momento, «sì» all'inizio

della legislatura, quando eleggemmo il Presidente Napolitano, con l'esplicito obiettivo

di assegnare a questa legislatura essenzialmente una funzione costituente; «no» quando

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il tribunale, applicando la legge che – è giusto ribadirlo, in ogni circostanza – è uguale

per tutti, come sta scritto nelle aule di giustizia e nell'articolo 3 della Costituzione, il

leader subì una condanna, dopo averne evitate molte altre in modo rocambolesco in

seguito alle famigerate leggi ad personam approvate quando era al Governo; di nuovo

«sì» quando si trovò nelle condizioni di poter stringere un patto, un accordo politico

volto a estromettere dalla guida del Governo chi lo aveva messo ai margini del sistema

politico. E, infine, «no» quando si è reso conto di non poter incidere quanto avrebbe

voluto sulle dinamiche politiche e parlamentari, per esempio quando eleggemmo il

Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Insomma, l'abituale comportamento da

statista, animato da un sacro interesse per la Repubblica e le sue istituzioni

democratiche, cui Silvio Berlusconi ci ha abituato per oltre vent'anni.

Per parte nostra, il Partito Democratico è entrato in questo Parlamento con l'obiettivo di

riformare la Costituzione, e ci sta riuscendo. Lo dico anche perché ho letto sorprendenti

affermazioni di eminenti costituzionalisti che animano il comitato per il «no» a un

referendum che, peraltro, non è stato ancora indetto, secondo le quali, virgolette, la

presentazione di un disegno di legge costituzionale per la revisione della Costituzione,

ancorché non presente nel programma elettorale del PD, era esplicitamente previsto nel

programma del Governo Renzi.

Niente di più contrario alla verità ! Anzitutto, il programma allegato alle liste della

coalizione dei democratici e dei progressisti, che, mi permetto di affermare, dovrebbe

vincolare anche i parlamentari di SEL e dell'attuale Sinistra Italiana, afferma

testualmente: «sulla riforma dell'assetto istituzionale siamo favorevoli a un sistema

parlamentare semplificato e rafforzato, con un ruolo incisivo del Governo e la tutela

delle funzioni di equilibro assegnate al Presidente della Repubblica. (...) Daremo vita a

un percorso riformatore che assicuri concretezza e certezza di tempi alla funzione

costituente nella prossima legislatura».

Nel programma più dettagliato sulle riforme istituzionali, che si trova ancora nel sito

Internet del Partito Democratico, si afferma la necessità di rendere il sistema decisionale

più rapido, più efficiente e più controllabile, di potenziare gli strumenti di

partecipazione dei cittadini. Questo avrebbe dovuto significare restituire ai cittadini il

diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento attraverso la riforma della legge

elettorale, con una netta differenziazione tra il sistema elettorale della Camera, che deve

favorire la costruzione nelle urne di una maggioranza di Governo, e il sistema elettorale

del Senato, che deve favorire la rappresentanza dei territori. È il virgolettato del

programma con il quale siamo entrati in questo Parlamento, in questa Camera dei

deputati.

Quanto, appunto, al potenziamento degli strumenti di partecipazione, si citano molto

esplicitamente il rafforzamento dell'istituto referendario, con l'abbassamento del quorum

richiesto per la validità della consultazione, e il rafforzamento delle proposte di legge

d'iniziativa popolare. E, ancora, si afferma che, oltre che con una nuova legge elettorale,

riqualificare il Parlamento come ruolo della rappresentanza politica della nazione alla

Camera e dei territori al Senato si sarebbe dovuto fare, sarebbe dovuto avvenire,

attraverso il dimezzamento del numero dei parlamentari, il potenziamento delle funzioni

di controllo, il superamento del bicameralismo paritario, con funzioni e competenze

differenziate tra Camera e Senato, attribuendo alla Camera dei deputati, alla sola

Camera dei deputati, la titolarità del rapporto fiduciario, mentre il Senato avrebbe

dovuto avere il potere di richiamare tutte le proposte di legge approvate dalla Camera,

entro i limiti e le condizioni fissate dalla Costituzione, e di governare il rapporto tra

Stato, regioni e autonomie locali.

Quanto alla forma di Governo, il programma era certamente più deciso rispetto al testo

che ci accingiamo ad approvare circa il rafforzamento dell'Esecutivo. Ci si proponeva,

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infatti, di razionalizzare l'azione dell'Esecutivo, preservando la natura parlamentare

della forma di Governo, ma anche di sviluppare le indicazioni contenute nella

Costituzione secondo le quali il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del

Governo e ne è responsabile. Si proponeva, quindi, che il Presidente del Consiglio dei

ministri ricevesse direttamente la fiducia, nominasse e revocasse i ministri, potesse

richiedere al Presidente della Repubblica, dopo la deliberazione del Consiglio dei

ministri, lo scioglimento delle Camere.

Quanto alla forma di Stato, limitatamente al rapporto Stato-regioni, il programma

affermava la necessità di completare e ottimizzare, alla luce dell'esperienza, la riforma

attuata con il nuovo Titolo V, per giungere a un sistema di regionalismo cooperativo e

solidale, riducendo le sfere di competenza concorrente e introducendo la clausola di

sovranità.

Questo, dunque, il programma della coalizione di centrosinistra e del Partito

Democratico. Ebbene, cosa stiamo facendo dal giorno dopo le elezioni del febbraio

2013, nonostante le difficoltà determinate dal loro esito, prima con il lavoro dei saggi

nominati dal Presidente Napolitano, per passare, poi, all'azione del Governo Letta e,

infine, del Governo Renzi, in questi ultimi due anni, se non attuare quel programma ?

Gli esempi sono quasi superflui per chi conosca il testo sottoposto in ultima lettura

all'approvazione di questa Camera e l'attività legislativa già completata o in via di

realizzazione. Li cito molto brevemente: abbiamo approvato la legge elettorale,

autentica architrave del funzionamento della democrazia e del sistema politico.

Ovviamente, per chi, come me, ne ha contestato e ne contesta radicalmente strutture e

contenuto, tanto da non averla votata, questa non è necessariamente una buona notizia.

Del resto, è proprio la legge elettorale approvata lo scorso anno a condizionare il

giudizio di molti sulla stessa riforma costituzionale. Tornerò tra poco sul punto.

Abbiamo approvato una legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti, con la

conversione di un decreto-legge, approvato dal Governo Letta, per superare l'inerzia

parlamentare. Faccio presente che quel decreto-legge – lo dico al MoVimento 5 Stelle,

che ha aperto una polemica sul punto – prevedeva la pubblicità e la tracciabilità dei

finanziamenti privati di non lieve entità e che fu il Parlamento a modificare la norma,

anche in seguito a una richiesta del Garante per la privacy.

Sono sottoposti all'esame parlamentare le leggi sul conflitto di interessi e di attuazione

dell'articolo 49 della Costituzione sulla democraticità dei partiti. La prima, in

particolare, è stata già approvata dalla Camera e il Governo si è impegnato a una sua

rapida approvazione.

Dunque, le ragioni del voto favorevole sono abbastanza chiare. Io capisco che da parte

di tutti gli attori politici si compia un salto logico, che, per quanto improprio, può essere

considerato inevitabile: giudicare la riforma in base a chi la propone e la vota, in base

alla contingenza politica del momento.

Dunque, se si pensa ai poteri del Governo, si pensa al Presidente del Consiglio pro

tempore; se si pensa allo statuto dell'opposizione, si pensa a chi attualmente è

all'opposizione e così via. Rileggere il dibattito che nel Parlamento e nel Paese si svolse

intorno alla riforma del 2005, ben riassunto nel volume di Elia La Costituzione

aggredita, è, in questo senso, assai istruttivo. Da un lato, le parti erano totalmente

invertite, come è noto; dall'altro, se la responsabilità di una deliberazione referendaria

nella quale si vota sulla Costituzione, ma, in realtà, il criterio di scelta rischia di essere il

favore o l'ostilità al Presidente del Consiglio, è da attribuire, come affermava Elia, a chi

«non avesse saputo produrre riforme rispettose dei princìpi supremi dell'ordinamento

costituzionale», diciamo chiaramente che la portata e il contenuto di questa riforma che

stiamo approvando e di quella del 2005, rispetto all'eventuale alterazione della forma di

Governo e della stessa forma di Stato, non sono minimamente comparabili.

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Tuttavia, dobbiamo tutti ammettere che a questa sovrapposizione possono aver condotto

errori che nel dibattito politico parlamentare sono stati commessi sia dalle opposizioni

sia dal Governo e da noi della maggioranza. La domanda che mi pongo e che vorrei

porre a quest'Aula è questa: possiamo fare qualcosa per evitare questo rischio, questo

destino ? Io credo di sì, credo che tutti dobbiamo distinguere i problemi e riportare il

dibattito sulla riforma costituzionale al suo contenuto. Non un voto pro o contro il PD o

il suo segretario, che è anche il Presidente del Consiglio, non un voto sulla legge

elettorale, che pure ha una sua rilevanza centrale, ma un giudizio sul contenuto di questa

riforma.

E, se guardiamo al contenuto della riforma, ci possono anche essere delle sbavature e

delle imprecisioni, ma è giusto dire la verità. Ho detto la mia posizione rispetto alla

forma di Governo, ho detto ciò che penso rispetto all'attuazione di una revisione del

regionalismo, ovvero del Titolo V, che era necessaria dopo l'esperienza di quindici anni.

È una discussione, quella su questi temi, come quello del rafforzamento della

premiership, che neppure abbiamo fatto, o come quello sulla revisione del regionalismo,

che era matura e che è stata elaborata in decenni anche dalla cultura politica

democratica e di centrosinistra.

Allo stesso tempo, è assolutamente condivisibile il superamento del bicameralismo

paritario, con la giusta differenziazione della fonte di legittimazione, e dunque della

modalità di elezione tra senatori e deputati, così come la rivisitazione delle competenze

regionali, e anche la capacità, da un lato, di limitare la legislazione concorrente e di

riprendere l'intuizione dossettiana di introdurre la competenza legislativa esclusiva dello

Stato quando lo richiede la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica,

ovvero l'interesse nazionale, e anche di introdurre una distinzione più netta tra regioni

ordinarie e speciali, senza la quale, effettivamente, come sostengono molti, queste

ultime avrebbero poca ragione di esistere, mentre le peculiari condizioni territoriali e

storiche che le caratterizzano rendono del tutto opportuna la loro valorizzazione e il

rafforzamento della loro autonomia.

Infine, gli interventi rivolti alla partecipazione popolare e all'abbassamento della soglia

di validità dei referendum propositivi e di indirizzo sono elementi che cercano di

affrontare il tema della disaffezione dei cittadini e degli elettori rispetto alla politica e

alle istituzioni. Si tratta di elementi che, unitamente al fatto che questa riforma porta a

compimento la missione con la quale siamo entrati – almeno la maggioranza di noi lo ha

fatto – in questo Parlamento e alla quale abbiamo legato il senso di questa legislatura,

mi fanno pensare che sia giusto esprimere un voto favorevole al disegno di legge di

riforma della Costituzione sottoposto al nostro esame.

Non va, però, tutto bene, come si potrebbe anche pensare. Se andasse tutto bene, ci

sarebbe un dibattito sereno nel Parlamento, tra gli studiosi, nel Paese, e non questo

clima da battaglia in campo aperto. Siamo sicuri che sia nell'interesse di qualunque

parte politica qui rappresentata e, soprattutto, del Paese approvare una riforma in un

clima di ostilità reciproca così profonda e affrontare con questo spirito un eventuale

confronto referendario ? Io penso di no e penso che si debba far di tutto perché si

determinino condizioni di maggiore serenità, di dialogo e ascolto, di riconoscimento

reciproco delle ragioni altrui. Sono, fra l'altro, le sole condizioni perché una riforma, se

anche approvata con questa maggioranza, resista all'usura del tempo, produca i suoi

effetti nei tempi lunghi e non costituisca, invece, da parte di chi non l'ha approvata,

l'oggetto di un'immediata volontà di abrogazione o di revisione profonda.

Vi sono alcuni aspetti che meritano in conclusione di essere sottolineati, e che

riguardano una serie di impegni che secondo me potremmo assumere tutti

solennemente, a partire da chi approva la riforma, e dunque ha maggiori responsabilità,

e anche interesse al successo di questo percorso; ne propongo alcuni. Il primo, ristabilire

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un dialogo con l'intera comunità degli studiosi, anche quelli molto critici, ad esempio

rispettando, anche quando non lo si dovesse condividere, il punto di vista di chi – penso

ad esempio a De Siervo – contesta non certo la legittimità giuridica, ma certamente

l'opportunità di un referendum promosso dalla maggioranza che approva la riforma. Ad

esempio anche evitando personalizzazioni e confronti muscolari su un tema che

riguarda la Carta che regola la convivenza civile degli italiani, e non un conflitto

politico contingente.

In secondo luogo, effettuare ogni tentativo per abbassare il livello del conflitto tra i

poteri dello Stato e per connettersi con lo stato d'animo dei cittadini. Per questo, in

quanto la questione attiene anzitutto la sua responsabilità, ho apprezzato molto il fatto

che il Presidente del Consiglio abbia compreso che in questo momento la priorità degli

italiani e dell'Italia è contrastare e sconfiggere la corruzione, che appare ai cittadini

sempre più dilagante (un sondaggio compiuto dall'organo di stampa finanziato dal PD lo

dimostra in modo allarmante), chiarendo che non vi è nessuna intenzione da parte del

Governo di approvare leggi che testimonino la volontà di contrastare l'autonomia e

l'indipendenza della magistratura.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARCO MELONI.

Vado a terminare. Diciamolo ancor più chiaramente: i politici sono sottoposti all'azione

della magistratura almeno quanto i cittadini che non hanno responsabilità politico-

istituzionali, e i magistrati che indagano sul malaffare, che sembra aggredire sempre più

voracemente le istituzioni minandone la credibilità, sono i principali alleati della politica

e delle istituzioni medesime.

In terzo luogo – un minuto e concludo –, abbiamo mantenuto su proposta dell'Esecutivo

l'attuale forma di Governo con riferimento ai poteri del Premier, alle prerogative dei

ministri, alla collegialità del Consiglio dei ministri: si deve vigilare perché questo

equilibrio sia rispettato, perché sia sempre chiaro chi decide che cosa. Occorre assumere

l'impegno di approvare rapidamente la legge costituzionale che rende effettivi gli

strumenti di partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche.

E infine, il punto più importante. Questa riforma costituzionale non susciterebbe dubbi e

obiezioni così forti se non si accompagnasse ad una legge elettorale che rischia di

determinare un mutamento sostanziale della forma di Governo: una legge che in

conseguenza dei meccanismi di elezione dei deputati rende debole il Parlamento

anziché rafforzarlo, che mantiene limitata la capacità di cittadini di scegliere i propri

rappresentanti, che alterando la rappresentanza e forzando la struttura del sistema

politico non è affatto detto che porti ad una maggiore stabilità di Governo, se solo

abbiamo presenti le mutevoli composizioni dei gruppi parlamentari e il ritorno in auge

del trasformismo, che pensavamo confinato nei manuali di storia. Una legge sulla quale

pendono forti dubbi di legittimità costituzionale, e che dunque penso sia interesse di

tutti chiedere che sia sottoposta al vaglio preventivo dalla Consulta con i nuovi

strumenti introdotti da questa riforma, cosa che personalmente farò. Una legge che

dev'essere corretta, come minimo con riferimento al rafforzamento del potere dei

cittadini di scegliere direttamente i deputati, correggendo l'abnorme percentuale di posti

in lista bloccati.

PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

MARCO MELONI.

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Ho terminato. O introducendo, come prevede una proposta di legge presentata da molti

parlamentari del PD, le elezioni primarie per le posizioni in lista bloccate.

In sintesi, stiamo approvando una buona riforma: sta ora alla responsabilità della

politica farne uno strumento stabile e duraturo di miglioramento dell'efficienza e della

capacità di decidere della nostra democrazia, senza che siano compressi gli spazi di

rappresentanza ed il pluralismo vitali per la libertà e la democrazia in Italia e per lo

sviluppo economico e sociale del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito

Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scotto. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO.

Signor Presidente, avremmo voluto che questi giorni fossero giorni da ricordare: in anni

lunghissimi di sofferenze per il Paese – siamo al nono anno dall'inizio della grande crisi

– avremmo voluto che questi fossero i giorni che avremmo ricordato per la capacità del

Parlamento e del Governo di mettere fine ad una lunga transizione della democrazia

italiana, alle sue lacerazioni e alle sue debolezze. Oggi abbiamo appreso dal Presidente

del Consiglio che sarà una giornata storica; tuttavia mi sembra più un tributo alla

commedia dell'arte, piuttosto che la definizione di una seria e approfondita riflessione

sullo stato del quadro politico-istituzionale di questo Paese.

Commedia dell'arte perché, come è noto a tutti, questa Costituzione sarà approvata con

metà del Parlamento da un'altra parte; come è noto a tutti questa Costituzione è stata

affrontata con il bastone del comando di un continuo e rinnovato ricatto nei confronti

del Parlamento di scioglimento anticipato.

Come si ricordava questa mattina, in tutte le democrazie liberali il Governo sta sotto la

Costituzione, non sopra: e questo vale anche per Matteo Renzi, non vale esclusivamente

per quelli che lui presume di aver rottamato.

Sono giorni diversi, invece: non quelli del lancio di una nuova Repubblica, ma i giorni

di un epilogo, l'epilogo di una stagione cominciata sotto le stelle della carica retorica del

rinnovamento, ma finita ahimè nella tempesta degli scandali, delle telefonate, degli

emendamenti notturni, degli interessi privati che irrompono nella vita pubblica e la

condizionano, come in tante fasi oscure della storia repubblicana. L'epilogo di un

Governo che sembra passato dalla PlayStation al Monopoli, signor Presidente: con tanto

di pedine e tiri di dadi, con Palazzo Chigi come plancia di gioco per fare rendita e per

costruire rendite di posizione, con lo scopo di rimanere l'ultimo player in campo,

mandando in fallimento tutti gli altri, tutto il resto, il Paese intero. L'epilogo di una

leadership chiamata a risollevare l'Italia dalla crisi economica, e che ha risposto a quella

chiamata associando a quella crisi altre crisi, quella democratica e quella morale.

Io sono cresciuto in una scuola dove l'articolo 48 conta qualcosa; e mi rincuora che oggi

il Presidente della Corte costituzionale lo abbia ricordato: il voto è un esercizio, e

l'esercizio del voto è un dovere civico. Pensare che il Presidente del Consiglio faccia

apertamente campagna per l'astensione è un fatto molto grave, e grave innanzitutto per

la storia di questo Paese, che è nata dalla Resistenza, dal sangue, dai partigiani, da

coloro che hanno scelto di sacrificarsi e di finire in carcere torturati per garantire il

libero diritto del voto ai cittadini di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo

Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) !

La Carta costituzionale dovrebbe essere il primo capitolo, non l'epilogo del racconto

democratico di questo Paese. E invece è l'epilogo, signor Presidente: perché quello che

esce fuori dalla revisione di un terzo della Costituzione è uno sbilanciamento troppo

forte tra i poteri dell'Esecutivo e del Parlamento; e il fatto di limitare il potere del

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Parlamento rischia di produrre non oggi, non con questa maggioranza, ma con future

maggioranze situazioni al limite, dove l'equilibrio democratico rischia di saltare

definitivamente e dove l'arbitrio viene prima del dialogo e del consenso.

A me ha colpito molto lo slogan che è stato utilizzato Urbi et Orbi: riduciamo i senatori,

superando il bicameralismo paritario riduciamo i costi, costruendo però un meccanismo

che mette il Senato nelle mani dei consiglieri regionali e però toglie poteri significativi

alle regioni, avocando di nuovo a sé, allo Stato centrale, una vasta gamma di essi,

mettendo al centro il tema del bastone di comando e non quello dei territori. Ho

ascoltato molto bene, con molta attenzione, le parole dell'onorevole Meloni; e le ho

anche apprezzate, perché ho visto dentro quella riflessione elementi molto forti di

autocritica, e anche di preoccupazione, quando dice: «la legge elettorale con le liste

bloccate rischia di riprodurre elementi di trasformismo». È vero, questo è il Parlamento

dove il trasformismo è stato – come dire ? – uno dei tratti dominanti, dove questa

Costituzione era partita con un accordo tra forze diverse ed è finita nelle mani di

Verdini e di un pezzo del centrodestra.

Tuttavia, il trasformismo è il tratto principale di questa maggioranza, e da una

Costituzione costruita con il trasformismo non può uscire una Costituzione che

riproduce stabilità e allargamento delle maglie democratiche. Non funziona, perché i

protagonisti sono quelli. Occorre quindi una svolta; quella svolta passerà per il

referendum. Lo dico con molto rispetto: avrei voluto che queste parole le ascoltasse

anche il Presidente del Consiglio, tuttavia, evidentemente lui è interessato soltanto a

venire a concludere questa discussione, senza aver ascoltato nessuna parola di questo

dibattito. Detto questo, lui arriva qui, sbarca qui dopo che, nel corso delle ore

precedenti, ha sostenuto, in maniera molto forte, che l'opposizione, che voleva evitare

questa riforma, era profondamente antidemocratica e ha dichiarato cose che in nessuna

democrazia liberale sarebbe possibile dire. In queste ore si sta alimentando uno scontro

fortissimo in Gran Bretagna, tra il leader conservatore e il leader laburista: Corbyn ha

chiesto al Primo Ministro inglese di venire in Parlamento a riferire rispetto ai Panama

papers e al fatto che probabilmente quel Presidente del Consiglio, quel Primo Ministro

aveva delle responsabilità e dei conti altrove; Cameron non si è mai permesso di dire a

Corbyn che la sua richiesta e la sua domanda pressante di dimissioni era un gesto

antidemocratico. Nei regimi le opposizioni sono definite antidemocratiche, in questa

parte di Occidente, invece, le opposizioni sono considerate il sale del pluralismo, il sale

della democrazia.

Quindi, abbiamo bisogno di ribaltare questo impianto. Per Matteo Renzi la democrazia è

un duello costante, il confronto politico è uno scontro dove c’è qualcuno che sopravvive

e qualcuno che soccombe; per me, invece, la democrazia è conflitto ma anche consenso,

dialogo, tessitura, mediazione, confronto tra diversi. E il fatto che venga convocato urbi

et orbi un referendum dalla maggioranza, mentre la Costituzione parla chiaro e dice che

il referendum è una prerogativa innanzitutto delle minoranze, dà il segno chiaro di

un'operazione, di un esperimento che vuole essere plebiscitario: o con me o contro di

me. Però, dovete sapere che probabilmente il Paese starà da un'altra parte, perché ai

plebisciti questo Paese ha sempre risposto con la democrazia.

Sono giorni diversi, dunque, con ogni probabilità gli ultimi: ci appelliamo alla residua

saggezza di cui siete capaci, per non lasciare questo Paese, al termine delle vostre

funzioni, in balia di una revisione costituzionale lasciata a metà e di una legge elettorale

costruita e imposta con la fiducia. Non lasciate che, tra le ultime vostre fatiche letterarie,

vi sia una Costituzione riscritta con note a piè di pagina da poche mani, in un malinteso

carattere di urgenza grazie al quale, in questo Paese, si sono commesse le peggiori

nefandezze. Non ne avete l'autorevolezza, non ne avete la forza, non ne avete la

legittimità. Non lasciate questo Paese, al termine delle vostre funzioni, nel caos, e non

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impedite che siano le prerogative costituzionali e la sovranità popolare ad avere nelle

proprie mani il proprio destino. Oltre a questo Governo non c’è il salto nel vuoto, oltre

di voi non c’è il caos; ciò a cui più teniamo è che questi ultimi giorni non siano un salto

nel vuoto. Questo vostro epilogo non si traduca in caos: potete ancora fermarvi, con un

atto di distensione e di saggezza di cui non faccio fatica a credere il Paese vi sarà

riconoscente.

Avete ancora l'opportunità per arrestare questa tensione, questa spirale di divisione di

cui siete a questo punto i primi responsabili. Se non ne sarete capaci, se a prevalere

saranno i cattivi consigli di qualche gruppo di pressione, di qualche lobby, di qualche

agenzia di comunicazione e non l'interesse dello Stato della Repubblica, non pretendete

che noi staremo a guardare (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra

Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante

SIMONE BALDELLI.

Presidente, la nostra Costituzione è stata scritta dopo una guerra, è stata scritta dopo un

momento di grande divisione, di grande spaccatura, anche interna, dopo una sconfitta in

una guerra (tra qualche giorno ricorre il 25 aprile, l'anniversario della Liberazione,

avvenuta non solo ad opera dei partigiani ma anche delle truppe alleate, che tanto

sangue hanno versato in nome e per la nostra libertà), e quella Costituzione, Presidente,

ha visto dialogare intorno a un progetto di vita comune, di vita politica, sociale ed

economica comune le principali forze politiche dell'Italia di allora. Era un'Italia in

grande difficoltà, un'Italia che aveva il coraggio di guardare al futuro interrogandosi in

primis, Presidente, sui valori che potevano diventare il terreno comune da cui partire per

poi scrivere l'impalcatura, l'architettura di un ordinamento che dal 1948 ad oggi ancora è

in vigore, ancora ha resistito, così come quei valori e l'attualità di quei valori hanno

resistito sino ad oggi, superando il «secolo breve» e accompagnandoci fino a questa

curiosa epoca politica di grandi dubbi, di grandi crisi, di grandi cambiamenti ahimè –

qualcuno teme, forse non a torto – in peggio.

Presidente, io rimango convinto, dopo aver assistito a diversi tentativi di riforma della

Costituzione, che sia difficile, forse impossibile, riformare una Costituzione partendo

soltanto dalla Parte seconda, cioè soltanto dall'ordinamento, se prima non c’è una

riflessione comune, seria, profonda e condivisa sui valori costituzionali che debbano

essere alla base di questa Costituzione. Ed è forse per questo che i precedenti tentativi di

riforma della Costituzione sono naufragati; alcuni addirittura hanno visto in culla morire

il loro afflato, altri sono naufragati attraverso l'espressione di una contrarietà da parte

dei cittadini chiamati a pronunciarsi democraticamente su quel tentativo di riforma. Mi

riferisco, per esempio, al tentativo generoso fatto dal centrodestra, dal Governo

Berlusconi che, nella legislatura dal 2001 al 2006, ha messo in campo, a maggioranza...

SIMONE BALDELLI.

Presidente, la nostra Costituzione è stata scritta dopo una guerra, è stata scritta dopo un

momento di grande divisione, di grande spaccatura, anche interna, dopo la sconfitta in

una guerra (tra qualche giorno ricorre il 25 aprile, l'anniversario della Liberazione,

avvenuta non solo ad opera dei partigiani, ma anche delle truppe alleate, che tanto

sangue hanno versato per la nostra libertà), e quella Costituzione, Presidente, ha visto

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dialogare intorno a un progetto di vita comune, di vita politica, sociale ed economica

comune le principali forze politiche dell'Italia di allora. Era un'Italia in grande difficoltà,

un'Italia che aveva il coraggio di guardare al futuro interrogandosi in primis sui valori

che potevano diventare il terreno comune da cui partire per poi scrivere l'impalcatura,

l'architettura di un ordinamento che dal 1948 ad oggi ancora è in vigore, ancora ha

resistito, così come quei valori. E l'attualità di quei valori ha resistito sino ad oggi,

superando il «secolo breve» e accompagnandoci fino a questa curiosa epoca politica di

grandi dubbi, di grandi crisi, di grandi cambiamenti ahimè – qualcuno teme, forse non a

torto – in peggio.

Presidente, io rimango convinto, dopo aver assistito a diversi tentativi di riforma della

Costituzione, che sia difficile, forse impossibile, riformare una Costituzione partendo

soltanto dalla Parte seconda, cioè soltanto dall'ordinamento, se prima non c’è una

riflessione comune, seria, profonda e condivisa sui valori costituzionali che debbano

essere alla base di questa Costituzione. Ed è forse per questo che i precedenti tentativi di

riforma della Costituzione sono naufragati; alcuni addirittura hanno visto in culla morire

il loro afflato, altri sono naufragati attraverso l'espressione di una contrarietà da parte

dei cittadini chiamati a pronunciarsi democraticamente su quel tentativo di riforma. Mi

riferisco, per esempio, al tentativo generoso fatto dal centrodestra, dal Governo

Berlusconi che, nella legislatura dal 2001 al 2006, ha messo in campo, a maggioranza...

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, le chiedo scusa. Onorevole Mazziotti di Celso, l'Aula

purtroppo non è piena e quindi abbiamo il problema che se qualcuno parla si sente tutto,

e questo ovviamente disturba chi parla. Prego, onorevole Baldelli.

Testo sostituito con errata corrige volante

SIMONE BALDELLI.

L'Aula, l'Assemblea, la maggioranza di allora volle proporre e volle affrontare quella

riforma. Ho ascoltato con simpatia e anche con un po’ di tenerezza l'intervento di

qualche collega di maggioranza che tentava di difendere o di fare parallelismi tra la

maggioranza del Governo Berlusconi di allora e la maggioranza che oggi sostiene il

Governo Renzi, che avrebbero forse luogo se non vi fosse un'unica sostanziale

differenza: quella maggioranza, colleghi, era una maggioranza che era passata dal via;

era una maggioranza che aveva ottenuto il consenso dei cittadini su quel progetto di

riforma (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà –

Berlusconi Presidente). Certo, mediato in una coalizione, ma quella maggioranza,

quella coalizione si era presentata agli elettori per proporre quella riforma; quella

maggioranza addirittura non aveva avuto un premio di maggioranza giudicato

incostituzionale. Quella maggioranza, qualcuno di voi ricorderà – penso al

sottosegretario Amici, che era già deputato all'epoca ed anche perché esperta di leggi

elettorali –, in quella legislatura ebbe meno seggi di quelli che gli sarebbero spettati,

proprio perché la dirigenza di Forza Italia di allora fece un pasticcio

sull'apparentamento dei collegi con i colleghi candidati nel proporzionale; Forza Italia

era addirittura sottorappresentata, non sovrarappresentata !

Quindi c'era un passaggio, un consenso elettorale e addirittura una sottorappresentanza

parlamentare. Quella legislatura non aveva il plenum dei deputati perché non furono

attribuiti tutti e 630 i seggi. Quindi, pensateci due volte prima di paragonare quella

situazione a questa, che è tutt'altra cosa, colleghi. E per tornare alla riflessione iniziale,

Presidente: quella legislatura, la prima legislatura costituente, fu la grande festa della

democrazia, quell'Assemblea costituente fu la celebrazione e la sublimazione della

democrazia; oggi noi siamo nella notte della democrazia. Voglio dire: ci pensate per un

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attimo, pochi colleghi quanti siamo, al di là del fatto che questo che abbiamo di fronte

oggi è il clima costituente – insomma riflettiamoci – che c’è in questo momento, ma voi

ci pensate che in questo momento noi non abbiamo una legge elettorale per la Camera

deputati in vigore ? Il cosiddetto Italicum – di cui noi facciamo critica al Governo e alla

maggioranza, tra l'altro di averlo approvato a colpi di fiducia in quest'Aula, con i numeri

che avete – non è in vigore; per il Senato della Repubblica non c’è una legge elettorale

in vigore, se non il consultellum, con delle generiche indicazioni di proporzionale con

preferenze – quante ? una, due, tre, quattro ? quante ? –: non c’è una legge elettorale,

questo è un sequestro della democrazia ! Non c’è una legge elettorale ! In questo preciso

istante, se si dovesse sciogliere il Parlamento, noi non abbiamo una legge elettorale per

la Camera che non sia una legge che è stata abrogata con un referendum nel 1993 – ci

siamo ? questa è la situazione attuale – e con un premio di maggioranza giudicato

incostituzionale con una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne e con la quale

la maggioranza che adesso sostiene il Governo, e in particolare il monopartito di

maggioranza, che da solo fa la maggioranza con 310 e rotti deputati, e regge il Governo,

e non quella maggioranza era uscita e aveva conseguito il premio con SEL e con altri,

ma un'altra maggioranza fatta con gli eletti presi con i voti di Berlusconi. Questa

maggioranza e il suo Presidente del Consiglio in maniera unilaterale decide di cambiare,

non solo la Costituzione, che è la Carta principale che dovrebbe essere il terreno

condiviso per tutti, ma anche la legge elettorale, ma anche i criteri di cittadinanza, ma

anche il conflitto di interessi, che significa i criteri con i quali si accede alla

rappresentanza e ai governi locali e nazionali, ma anche il concetto di famiglia, ma

anche la governance del servizio pubblico radiotelevisivo. Ma allora, qual è il concetto

di democrazia ? Il governo unilaterale delle cose ? Qual è il concetto di dibattito che il

Presidente del Consiglio ha ? Il dibattito interno al PD ? Il dibattito interno alla

maggioranza ? E poi tutto il resto non conta. Non venite a dirci – per cortesia, è patetico

– che noi in questa prima fase avevamo sostenuto il processo di riforma; certo, abbiamo

sempre sostenuto la necessità di apportare miglioramenti, di modernizzare il nostro

sistema costituzionale e ci abbiamo creduto, lo abbiamo fatto, anche perché questo

significava dialogare tra maggioranza e opposizione in un momento in cui si usciva da

vent'anni di guerra civile – perché, al di là di quello che dice qualcuno, qui in questo

Paese per vent'anni, in maniera strisciante, per fortuna non violenta, una guerra civile

c’è stata tra centrodestra e centrosinistra – e quella era la possibilità di superare quel

momento di conflitto e di impasse. Poi qualcuno nel nostro partito ci ha creduto

talmente tanto che ha preferito addirittura quella riforma al partito, tant’è vero che oggi

sono quasi in maggioranza, o sono in maggioranza a seconda delle convenienze in

entrata o in uscita. Questo è il punto: in maniera unilaterale, la maggioranza che sostiene

il Presidente del Consiglio sta cambiando le regole principali della convivenza politica,

civile ed economica del nostro Paese, in maniera unilaterale e se Forza Italia, se Fratelli

d'Italia,. se la Lega, se il MoVimento 5 Stelle, se SEL e tutte le opposizioni vi dicono

che state sbagliando, sottolineano alcune sfumature e ragioni di merito, insomma ci sarà

una ragione di fondo per la quale c’è un grosso disagio in questo Paese, oppure pensate

che le cose, purché sia, vadano fatte anche se vengono fatte male ?

Ma voi credete davvero, Presidente, che in un Paese con una crisi economica di questa

portata, con una crisi internazionale – e non tocco neanche l'argomento del terrorismo

che meriterebbe una parentesi a parte –, con le difficoltà che tutti i giorni la classe

imprenditoriale e politica ha – e stendiamo un velo pietoso sul susseguirsi di scandali

che in questo momento travolgono la compagine di Governo, e il Presidente del

Consiglio, ovviamente facendo buon viso a cattivo gioco e di necessità fa virtù, per cui

ogni Ministro che si dimette lo utilizza per acquisire lui, o i suoi uomini più stretti

posizioni di potere –, ma, al di là di questo che mi interessa poco, io dico: vi sembra

Page 57: Titolo V della Costituzione”, già approvato senza · vada a riformare la Costituzione, quando non si sa nemmeno se il 19 aprile, con certezza, il Governo sarà ancora in piedi,

57

normale che in questo quadro noi ci mettiamo a sperimentare un regime di nuovo

sistema costituzionale, con un rapporto tra Camera e Senato, in particolare dal punto di

vista legislativo – lo vediamo e lo vedono anche i colleghi alla prima legislatura quanto

sia complesso tutto questo – a geometrie variabili ? Ma vi sembra normale riscrivere la

Carta costituzionale con questa superficialità ? Io credo che non sia normale, Presidente.

Io credo che – l'ho detto nella scorsa discussione – a volte si può dare più spazio al

principio di rappresentanza, sacrificando la funzionalità – è una scelta, magari è una

scelta opinabile, ma è una scelta – a volte si può fare il contrario – è più pericoloso –:

rendere più funzionale un ordinamento costituzionale riducendone in qualche modo i

criteri e gli spazi di rappresentanza. Io credo che questa riforma sacrifichi sia la

funzionalità, sia la rappresentanza, riuscendo in un capolavoro che nessuno fino ad oggi

è riuscito a fare. Ma se volevamo fare una legge per «risparmiare», perché avete

pensato, inseguendo la demagogia più bieca dell'antipolitica, a partire dal titolo di

questa norma, che la riforma costituzionale debba essere un risparmio ? Allora,

presentateci un disegno di legge dove si riduce di 100, 150, 200 deputati la Camera e di

100 componenti il Senato della Repubblica: il risparmio c’è lo stesso, ma almeno

evitiamo di ficcarci in un tunnel di pasticcio sperimentale, che non sappiamo dove ci

porterà. È più lineare, ha più senso. Io non amo le cose fatte così, un tanto al chilo, ma

insomma almeno avrebbe una sua coerenza. Io credo che qualsiasi forza

dell'opposizione potrebbe sfidarmi a fare questa cosa da domani e rinunciare a questo

pastrocchio, con il quale condanniamo il sistema istituzionale di questo Paese

all’impasse, o alla sperimentazione giorno per giorno, andando così a tentoni, per

vedere a caso che cosa succede. Guardatevi le competenze del Senato, la

sovrapposizione, la divisione dei compiti, guardatevi i compiti del Senato, oltre che la

composizione su cui ci sarebbe molto da dire: avete fatto tutta questa scienza per fare il

Senato dei consiglieri regionali; ma vi sembra una cosa normale ? Un Senato dove – lo

diceva qualcuno stamattina – ha già vinto il PD e quindi poi, chi vincerà alla Camera

dovrà vedersela con... Io credo che siamo di fronte a una legislazione davvero singolare

e, quando ascolto qualche collega della maggioranza dire: ma vi sembra normale che

voi sostenete questa campagna referendaria contro la riforma costituzionale solo perché

volete mandare a casa il Premier ? Ebbene, io a questi colleghi, Presidente, ho il dovere

di rispondere che la campagna così impostata non l'hanno mica impostata le

opposizioni; non sono state mica le opposizioni a dire che, se perdeva il referendum, il

Premier doveva andare a casa. È stato il Presidente del Consiglio a sostenere questa tesi

in maniera specifica, anzi dicendo che abbandonava la politica; e su questo voglio

precisare, Presidente, che, dal punto di vista istituzionale, va bene che ormai siamo al

delirio di onnipotenza, però insomma c’è un distinguo da fare: in questo Paese, così

come le leggi le firma il Presidente Mattarella e non Renzi, malgrado si facciano queste

pagliacciate a Palazzo Chigi, per cui il Presidente del Consiglio firma la legge – e non la

firma, ma la controfirma –, alla stessa stregua, le Camere non le scioglie il Presidente

del Consiglio, le Camere le scioglie il Presidente della Repubblica, una volta che ha

verificato che non ci sono maggioranze in Parlamento.

Ho come la sensazione che se Renzi perdesse questo referendum e andasse a casa,

qualcuno che sta in questo Parlamento, e che è disponibile a scrivere una legge

elettorale come Dio comanda e a portare questa legislatura a termine, trovi 400 voti alla

Camera e 200 voti al Senato, subito (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il

Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente) ! Non venite a raccontarci che la

legislatura finisce perché si dimette Renzi. Questa legislatura è cominciata senza Matteo

Renzi a Palazzo Chigi e può, Presidente, come lei sa benissimo (la Costituzione non ha

scritto da nessuna parte cosa diversa) finire senza Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Questo

è ! Non vi sono altre verità, se non questa.

Page 58: Titolo V della Costituzione”, già approvato senza · vada a riformare la Costituzione, quando non si sa nemmeno se il 19 aprile, con certezza, il Governo sarà ancora in piedi,

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E se tutte le forze di opposizione vi accusano di un comportamento unilaterale, di un

comportamento sfacciato, di un comportamento antidemocratico, guardate che un

motivo ci sarà. Ricordatevi quello che è successo anche più di recente su una legge

molto importante che affrontavamo in questa Aula: io mi sono alzato in quest'Aula e vi

ho detto: guardate che se tutti quanti vi diciamo «occhio perché qui c’è un problema»,

prendetevi una pausa, sospendete i lavori e cercate di capire se questa cosa è

effettivamente così e se c’è spazio per modificarla. Siete voluti andare avanti e siete

andati sotto. Io credo che con l'arroganza non si vada da nessuna parte, che ci sia un

principio che prescinde anche dalle convinzioni di ciascuno: il principio del rispetto

delle istituzioni e del rispetto degli equilibri che all'interno delle istituzioni si creano.

Allora, il fatto che il Presidente del Consiglio pensi di poter raccontare agli italiani che

sul tema delle riforme, dopo vent'anni di chiacchiere, lui abbia messo il turbo e

finalmente si è risolto il problema, è una colossale baggianata, perché queste riforme

fatte col turbo, fatte con la velocità, fatte, posso dire, più che con la velocità con la

fretta, rischiano di essere un pasticcio peggiore del non farle e soprattutto di trasformare

questo referendum in un plebiscito su Matteo Renzi. È un errore gravissimo, perché

trasformerà questa campagna elettorale in qualcosa di molto, molto diverso, non so se

migliore o peggiore, ma questo ha innescato nella mente di molti italiani il principio che

forse c’è un'opportunità che è quella di mandare a casa un Presidente del Consiglio non

eletto, che in questo momento sta governando unilateralmente questo Paese, che è

convinto di avere uno scettro del comando, ma non ha nessuna legittimazione

democratica popolare per farlo. Ha una legittimazione di un Parlamento che però vive in

base a un premio incostituzionale da un lato, e alla maggioranza garantita con gli eletti

del centrodestra dall'altro. Se questa vi sembra democrazia, se questa vi sembra una

situazione normale, godetevela pure, ma non ve la godrete in eterno (Applausi dei

deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

SIMONE BALDELLI.

L'Aula, l'Assemblea, la maggioranza di allora volle proporre e volle affrontare quella

riforma. Ho ascoltato con simpatia e anche con un po’ di tenerezza l'intervento di

qualche collega di maggioranza che tentava di difendere la maggioranza che oggi

sostiene il Governo Renzi o di fare dei parallelismi tra questa e la maggioranza del

Governo Berlusconi di allora, che avrebbero forse luogo se non vi fosse un'unica

sostanziale differenza: quella maggioranza, colleghi, era una maggioranza che era

passata dal via; era una maggioranza che aveva ottenuto il consenso dei cittadini su quel

progetto di riforma (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della

Libertà – Berlusconi Presidente). Certo, mediato in una coalizione, ma quella

maggioranza, quella coalizione si era presentata agli elettori per proporre quella riforma;

quella maggioranza addirittura non aveva avuto un premio di maggioranza giudicato

incostituzionale. Quella maggioranza, qualcuno di voi ricorderà – penso al

sottosegretario Sessa Amici, che era già deputato all'epoca ed anche perché esperta di

leggi elettorali –, in quella legislatura ebbe meno seggi di quelli che gli sarebbero

spettati, proprio perché la dirigenza di Forza Italia di allora fece un pasticcio

sull'apparentamento dei collegi con i colleghi candidati nel proporzionale; Forza Italia

era addirittura sottorappresentata, non sovrarappresentata !

Quindi c'era un passaggio, un consenso elettorale e addirittura una sottorappresentanza

parlamentare. Quella legislatura non aveva il plenum dei deputati perché non furono

attribuiti tutti e 630 i seggi. Quindi, pensateci due volte prima di paragonare quella

situazione a questa, che è tutt'altra cosa, colleghi. E per tornare alla riflessione iniziale,

Presidente: quella legislatura, la prima legislatura costituente, fu la grande festa della

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democrazia, quell'Assemblea costituente fu la celebrazione e la sublimazione della

democrazia; oggi noi siamo nella notte della democrazia. Voglio dire: ci pensate per un

attimo, pochi colleghi quanti siamo, al di là del fatto che questo che abbiamo di fronte

oggi è il clima costituente – insomma riflettiamoci – che c’è in questo momento, ma voi

ci pensate che in questo momento noi non abbiamo una legge elettorale per la Camera

dei deputati in vigore ? Il cosiddetto Italicum – di cui noi facciamo critica al Governo e

alla maggioranza, tra l'altro di averlo approvato a colpi di fiducia in quest'Aula, con i

numeri che avete – non è in vigore; per il Senato della Repubblica non c’è una legge

elettorale in vigore, se non il consultellum, con delle generiche indicazioni di

proporzionale con preferenze – quante ? una, due, tre, quattro ? quante ? –: non c’è una

legge elettorale, questo è un sequestro della democrazia ! Non c’è una legge elettorale !

In questo preciso istante, se si dovesse sciogliere il Parlamento, noi non abbiamo una

legge elettorale per la Camera che non sia una legge che è stata abrogata con un

referendum nel 1993 – ci siamo ? Questa è la situazione attuale – e con un premio di

maggioranza giudicato incostituzionale con una maggioranza diversa da quella uscita

dalle urne e con la quale la maggioranza che adesso sostiene il Governo, e in particolare

il monopartito di maggioranza, che da solo fa la maggioranza con 310 e rotti deputati, e

regge il Governo, e non quella maggioranza che era uscita e aveva conseguito il premio

con SEL e con altri, ma un'altra maggioranza fatta con gli eletti presi con i voti di

Berlusconi. Questa maggioranza e il suo Presidente del Consiglio in maniera unilaterale

decide di cambiare, non solo la Costituzione, che è la Carta principale che dovrebbe

essere il terreno condiviso per tutti, ma anche la legge elettorale, ma anche i criteri di

cittadinanza, ma anche il conflitto di interessi, che significa i criteri con i quali si accede

alla rappresentanza e ai governi locali e nazionali, ma anche il concetto di famiglia, ma

anche la governance del servizio pubblico radiotelevisivo. Ma allora, qual è il concetto

di democrazia ? Il governo unilaterale delle cose ? Qual è il concetto di dibattito che il

Presidente del Consiglio ha ? Il dibattito interno al PD ? Il dibattito interno alla

maggioranza ? E poi tutto il resto non conta. Non venite a dirci – per cortesia, è patetico

– che noi in questa prima fase avevamo sostenuto il processo di riforma; certo, abbiamo

sempre sostenuto la necessità di apportare miglioramenti, di modernizzare il nostro

sistema costituzionale e ci abbiamo creduto, lo abbiamo fatto, anche perché questo

significava dialogare tra maggioranza e opposizione in un momento in cui si usciva da

vent'anni di guerra civile – perché, al di là di quello che dice qualcuno, qui in questo

Paese per vent'anni, in maniera strisciante, per fortuna non violenta, una guerra civile

c’è stata tra centrodestra e centrosinistra – e quella era la possibilità di superare quel

momento di conflitto e di impasse. Poi qualcuno nel nostro partito ci ha creduto

talmente tanto che ha preferito addirittura quella riforma al partito, tant’è vero che oggi

sono quasi in maggioranza, o sono in maggioranza a seconda delle convenienze in

entrata o in uscita. Questo è il punto: in maniera unilaterale, la maggioranza che sostiene

il Presidente del Consiglio sta cambiando le regole principali della convivenza politica,

civile ed economica del nostro Paese, in maniera unilaterale e se Forza Italia, se Fratelli

d'Italia, se la Lega, se il MoVimento 5 Stelle, se SEL e tutte le opposizioni vi dicono

che state sbagliando, sottolineano alcune sfumature e ragioni di merito, insomma ci sarà

una ragione di fondo per la quale c’è un grosso disagio in questo Paese, oppure pensate

che le cose, purché sia, vadano fatte anche se vengono fatte male ?

Ma voi credete davvero, Presidente, che in un Paese con una crisi economica di questa

portata, con una crisi internazionale – e non tocco neanche l'argomento del terrorismo

che meriterebbe una parentesi a parte –, con le difficoltà che tutti i giorni la classe

imprenditoriale e politica ha – e stendiamo un velo pietoso sul susseguirsi di scandali

che in questo momento travolgono la compagine di Governo, e il Presidente del

Consiglio, ovviamente facendo buon viso a cattivo gioco, e di necessità fa virtù, per cui

Page 60: Titolo V della Costituzione”, già approvato senza · vada a riformare la Costituzione, quando non si sa nemmeno se il 19 aprile, con certezza, il Governo sarà ancora in piedi,

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ogni volta che un Ministro si dimette utilizza la circostanza per acquisire lui, o i suoi

uomini più stretti, posizioni di potere –, ma, al di là di questo che mi interessa poco, io

dico: vi sembra normale che in questo quadro noi ci mettiamo a sperimentare un regime

di nuovo sistema costituzionale, con un rapporto tra Camera e Senato, in particolare dal

punto di vista legislativo – lo vediamo e lo vedono anche i colleghi alla prima

legislatura quanto sia complesso tutto questo – a geometrie variabili ? Ma vi sembra

normale riscrivere la Carta costituzionale con questa superficialità ? Io credo che non

sia normale, Presidente. Io credo che – l'ho detto nella scorsa discussione – a volte si

può dare più spazio al principio di rappresentanza, sacrificando la funzionalità – è una

scelta, magari è una scelta opinabile, ma è una scelta – a volte si può fare il contrario – è

più pericoloso –: rendere più funzionale un ordinamento costituzionale riducendone in

qualche modo i criteri e gli spazi di rappresentanza. Io credo che questa riforma

sacrifichi sia la funzionalità, sia la rappresentanza, riuscendo in un capolavoro che

nessuno fino ad oggi è riuscito a fare. Ma se volevamo fare una legge per «risparmiare»,

perché avete pensato, inseguendo la demagogia più bieca dell'antipolitica, a partire dal

titolo di questa norma, che la riforma costituzionale debba essere un risparmio ? Allora,

presentateci un disegno di legge dove si riduce di 100, 150, 200 deputati la Camera e di

100 componenti il Senato della Repubblica: il risparmio c’è lo stesso, ma almeno

evitiamo di ficcarci nel tunnel di un pasticcio sperimentale, che non sappiamo dove ci

porterà. È più lineare, ha più senso. Io non amo le cose fatte così, un tanto al chilo, ma

insomma almeno avrebbe una sua coerenza. Io credo che qualsiasi forza

dell'opposizione potrebbe sfidarvi a fare questa cosa da domani e rinunciare a questo

pastrocchio, con il quale condanniamo il sistema istituzionale di questo Paese

all’impasse, o alla sperimentazione giorno per giorno, andando così a tentoni, per

vedere a caso che cosa succede. Guardatevi le competenze del Senato, la

sovrapposizione, la divisione dei compiti, guardatevi i compiti del Senato, oltre che la

composizione su cui ci sarebbe molto da dire: avete fatto tutta questa scienza per fare il

Senato dei consiglieri regionali; ma vi sembra una cosa normale ? Un Senato dove – lo

diceva qualcuno stamattina – ha già vinto il PD e quindi poi, chi vincerà alla Camera

dovrà vedersela con questa realtà precostituita. Io credo che siamo di fronte a una

legislazione davvero singolare e, quando ascolto qualche collega della maggioranza

dire: ma vi sembra normale che voi sostenete questa campagna referendaria contro la

riforma costituzionale solo perché volete mandare a casa il Premier ? Ebbene, io a

questi colleghi, Presidente, ho il dovere di rispondere che la campagna così impostata

non l'hanno mica impostata le opposizioni; non sono state mica le opposizioni a dire

che, se perdeva il referendum, il Premier doveva andare a casa. È stato il Presidente del

Consiglio a sostenere questa tesi in maniera specifica, anzi dicendo che abbandonava la

politica; e su questo voglio precisare, Presidente, che, dal punto di vista istituzionale, va

bene che ormai siamo al delirio di onnipotenza, però insomma c’è un distinguo da fare:

in questo Paese, così come le leggi le firma il Presidente Mattarella e non Renzi,

malgrado si facciano queste pagliacciate a Palazzo Chigi, per cui il Presidente del

Consiglio firma la legge – e non la firma, ma la controfirma –, alla stessa stregua, le

Camere non le scioglie il Presidente del Consiglio, le Camere le scioglie il Presidente

della Repubblica, una volta che ha verificato che non ci sono maggioranze in

Parlamento.

Ho come la sensazione che se Renzi perdesse questo referendum e andasse a casa,

qualcuno che sta in questo Parlamento, e che è disponibile a scrivere una legge

elettorale come Dio comanda e a portare questa legislatura a termine, trovi 400 voti alla

Camera e 200 voti al Senato, subito (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il

Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente) ! Non venite a raccontarci che la

legislatura finisce perché si dimette Renzi. Questa legislatura è cominciata senza Matteo

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Renzi a Palazzo Chigi e può, Presidente, come lei sa benissimo (la Costituzione non ha

scritto da nessuna parte cosa diversa) finire senza Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Questo

è ! Non vi sono altre verità, se non questa.

E se tutte le forze di opposizione vi accusano di un comportamento unilaterale, di un

comportamento sfacciato, di un comportamento antidemocratico, guardate che un

motivo ci sarà. Ricordatevi quello che è successo anche più di recente su una legge

molto importante che affrontavamo in questa Aula: io mi sono alzato in quest'Aula e vi

ho detto: guardate che se tutti quanti vi diciamo «occhio perché qui c’è un problema»,

prendetevi una pausa, sospendete i lavori e cercate di capire se questa cosa è

effettivamente così e se c’è spazio per modificarla. Siete voluti andare avanti e siete

andati sotto. Io credo che con l'arroganza non si vada da nessuna parte, che ci sia un

principio che prescinde anche dalle convinzioni di ciascuno: il principio del rispetto

delle istituzioni e del rispetto degli equilibri che all'interno delle istituzioni si creano.

Allora, il fatto che il Presidente del Consiglio pensi di poter raccontare agli italiani che

sul tema delle riforme, dopo vent'anni di chiacchiere, lui abbia messo il turbo e

finalmente si è risolto il problema, è una colossale baggianata, perché queste riforme

fatte col turbo, fatte con la velocità, fatte, posso dire, più che con la velocità con la

fretta, rischiano di essere un pasticcio peggiore del non farle e soprattutto di trasformare

questo referendum in un plebiscito su Matteo Renzi. È un errore gravissimo, perché

trasformerà questa campagna elettorale in qualcosa di molto, molto diverso, non so se

migliore o peggiore, ma questo ha innescato nella mente di molti italiani l'idea che forse

c’è un'opportunità che è quella di mandare a casa un Presidente del Consiglio non eletto,

che in questo momento sta governando unilateralmente questo Paese, che è convinto di

avere uno scettro del comando, ma non ha nessuna legittimazione democratica popolare

per farlo. Ha una legittimazione di un Parlamento che però vive in base a un premio

incostituzionale da un lato, e alla maggioranza garantita con gli eletti del centrodestra

dall'altro. Se questa vi sembra democrazia, se questa vi sembra una situazione normale,

godetevela pure, ma non ve la godrete in eterno (Applausi dei deputati del gruppo Forza

Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrari. Ne ha facoltà.

ALAN FERRARI.

Grazie Presidente intervengo anch'io perché penso che il dibattito di questi giorni, in

quest'ultimo passaggio parlamentare, della riforma costituzionale sia un dibattito

importante e credo che sia una questione di rispetto verso quest'Aula, queste Aule,

questa e quella del Senato, e verso gli italiani, arricchirlo e portare il punto di vista di

chi l'ha vissuta questa riforma sulla propria pelle con tante ore di lavoro.

Ma prima di entrare nel merito, Presidente, mi consenta di rivolgere due messaggi a

coloro che mi hanno preceduto, per primo rivolgendomi a chi siede alla destra di questo

Parlamento. Ho sentito parlare poco fa di notte della democrazia, di modo unilaterale di

governare la fase politica, di rispetto delle istituzioni. Ebbene, onorevole Baldelli,

sempre per il suo tramite, signor Presidente, qui non si tratta di una curiosa fase politica.

È curioso il fatto che venga dai banchi di Forza Italia questo richiamo. Allo stesso

modo, è curioso che chi siede alla sinistra dei banchi del Partito Democratico abbia

detto che noi con questa riforma lasciamo il Paese nel caos. Noi dal caos questo Paese

lo abbiamo ereditato. E avremmo anche voluto che chi si siede alla sinistra del Partito

Democratico contribuisse, caricandosi una parte di responsabilità, di farlo uscire da

questo caos.

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62

Detto questo, come è stato ricordato, siamo a un passo dalla storia. Siamo a un passo

dalla storia – e lo dico senza presunzione perché, lo ripeto, stiamo parlando di una

materia complessa e di un provvedimento che toccherà direttamente la vita dei cittadini,

il cuore della nostra democrazia – perché per la prima volta nella storia della

Repubblica, nel nostro Paese, questo Parlamento è in grado di portare a termine la

doppia lettura e soprattutto di portare a termine un obiettivo su cui le tre bicamerali

precedenti avevano fallito (lo ha ricordato questa mattina l'onorevole Fiano, quella

Bozzi del 1983, De Mita-Iotti del 1992 e D'Alema 1997), ovvero l'obiettivo della fine,

del superamento del bicameralismo perfetto.

E siamo a un passo dalla storia perché abbiamo immaginato, studiato, discusso, amato

discuterne, che superare il bicameralismo perfetto era una delle condizioni per

modernizzare questo Paese, a maggior ragione via, via, che è passato il tempo.

L'appesantimento legislativo e procedurale del bicameralismo perfetto lo abbiamo

interpretato come una delle condizioni limitanti della nostra capacità di rispondere

rapidamente alle esigenze dei cittadini. E siamo a un passo dalla storia perché la storia

aveva affidato tutto ciò a questa legislatura. Lo stiamo mantenendo perché è con questa

condizione di partenza che ha accettato lo straordinario secondo mandato il nostro

Presidente Napolitano. E siamo a un passo dalla storia, e mi fa piacere dirlo, mentre si

apre il mese in cui celebreremo il 25 aprile, una parte di quella storia a cui tanti di noi, e

io mi auguro tutto questo Parlamento, sono fortemente legati. Riprendo le parole del

Presidente Mattarella lo scorso anno, nel corso delle celebrazioni per il 25 aprile,

settantesimo del 25 aprile di Milano, quando disse: i nostri padri ci hanno dato

moltissimo, onorarli comporta l'onere di compiere nuovi passi. Io credo che vada in

questa direzione quello che stiamo per approvare: compiere nuovi passi, nel miglior

modo possibile, senza avere la presunzione che siano passi perfetti, ma avendo la

consapevolezza che è il miglior passo possibile in questa legislatura. Il richiamo al 25

aprile non è casuale e credo che non debba essere lasciato, quanto meno è nelle

intenzioni del Partito Democratico, neanche un briciolo di spazio affinché si pensi che

non sta a cuore di questa forza politica la difesa di quei valori e di quei principi scritti

nella nostra Costituzione che non vengono toccati minimamente né intaccati da questa

riscrittura, perché chi siede da questa parte del Parlamento quella storia, attraverso i

propri padri, l'ha vissuta direttamente.

Tra l'altro, voglio anche rassicurare gli italiani rispetto a quella che sembra essere una

deriva autoritaria che questo Paese sembra prendere guidato dal suo Governo e dal suo

Presidente del Consiglio: l'Italia non si è macchiata neanche di una vittima del

Mediterraneo e questo a testimonianza che quei valori sono ancora fortemente incarnati

nei cittadini italiani a qualsiasi livello, siano essi persone che siedono nelle istituzioni,

siano essi al servizio del Paese in altre forme.

Dicevo che con questo passaggio si chiude la seconda lettura e io credo che dobbiamo

prestare attenzione a un aspetto: è da due anni che lavoriamo su questo provvedimento,

ma la politica gioca delle trappole molto particolari, dà sensazione che tutto sia

concentrato nel momento in cui accade un fatto e spesso porta a dimenticare quello che

abbiamo alle spalle. Questi sono stati due anni molto lunghi e quando abbiamo iniziato,

nell'autunno del 2014, la discussione in quest'Aula tanti di noi, io compreso,

richiamavamo l'importanza di legare questa riforma della Costituzione con le altre

riforme. Era vero perché è ovvio – è ovvio – che all'assetto istituzionale sono legate la

riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e quant'altro. Oggi però abbiamo

un elemento che possiamo aggiungere perché nessuno, nessun cittadino italiano, deve

dimenticare che se fosse fallito uno dei passaggi intermedi prima di arrivare qui oggi, le

riforme che sono state fatte in questo anno e mezzo non sarebbero state fatte. Restando

in un campo che la sinistra ha molto a cuore, di quei 10 miliardi investiti sulla scuola,

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per esempio, e sulla riduzione del cuneo fiscale, non ne avrebbero beneficiato i cittadini.

Questa era la conseguenza, perché un passo falso in una delle quattro letture, o in una

delle sei letture, a seconda da che parte la si prenda, avrebbe determinato l'instabilità di

questo Paese, l'impossibilità per quel Governo – che in quel momento e in questi anni

sta guidando questo Paese – di poter promuovere le altre riforme.

Venendo al merito, molto rapidamente, è già stato ricordato, noi promuoviamo un'ampia

revisione della Parte II, in particolare chiudiamo la stagione, lunga stagione, del

bicameralismo perfetto per aprirne una inedita, e sottolineo inedita, tutta da scrivere nei

fatti, di bicameralismo differenziato. Si è detto già ampiamente, oggi, quale sia il

significato di introdurre una procedura legislativa molto più snella e molto più capace di

rispondere alle urgenze che un Paese come il nostro, una tra le principali potenze del

mondo, presenta quotidianamente. A ciò si aggiunge il fatto che, per la prima volta, in

Italia, si riesce a costituire quella Camera di rappresentanza delle autonomie locali di cui

questo Paese sentiva il bisogno addirittura durante la seconda guerra mondiale e, poi, la

scrittura della Costituzione.

Abbiamo detto che con questo provvedimento abbiamo rivisto il Titolo quinto e, al di là

di una messa in ordine di quelle che erano le competenze che a mio avviso, e a avviso di

tanti, hanno indubbiamente affaticato il modo di interagire, in particolare tra Stato e

regioni, io credo che andiamo a toccare, nel cuore, uno degli aspetti su cui il nostro

Paese, in questi settant'anni di storia repubblicana, ha mostrato più lacune.

C’è un dialogo molto illuminante tra Sturzo e Salvemini nell'estate del 1946, e cioè

appena prima che la scrittura della Costituzione prendesse forma, ed è un dialogo in cui

i due ragionano su tante cose, venendo da culture diverse, una cattolica e l'altra laica

socialista, come si sa; ebbene, Sturzo dice a Salvemini che la nostra Costituzione

avrebbe dovuto avere un cuore, avrebbe dovuto avere un grande obiettivo che era lo

sviluppo della persona umana e che per garantire un reale sviluppo della persona umana

l'ordinamento dello Stato non sarebbe stato irrilevante, ma che avrebbe dovuto

prevedere una diffusione di potere e di responsabilità laddove il cittadino era più vicino.

Ebbene, i due finiscono questo loro scambio dando per scontato che questo sarebbe

avvenuto naturalmente, che l'Italia avrebbe avuto la forza, dopo aver fatto la battaglia

per l'unità, dopo aver riconquistato la democrazia, dopo la fase fascista, avrebbe

naturalmente avuto la capacità di diffondere potere e responsabilità politica. D'altra

parte, dicono i due, se così non andrà, ci sarà al centro del Paese un'eccessiva

concentrazione di potere e un inevitabile degrado della politica. Ahimè, rileggendo quei

dialoghi sembra davvero di rileggere qualcosa di fortemente premonitore. Ma io cito

questi dialoghi per dire che se abbiniamo questa parte, e cioè gli assetti istituzionali che

sono stati formalizzati in questa Carta costituzionale – la maturità con cui si pensava a

come dovesse evolvere l'assetto istituzionale era molto relativa all'ora ed è per quello

che abbiamo pagato le conseguenze di quell'immaturità per tutti questi anni –, con altro,

identifichiamo ciò che la storia ha assegnato anche a questa legislatura e cioè di trovare

il modo di abbinare una riforma dell'assetto istituzionale alla riforma della pubblica

amministrazione, di trovare il modo affinché quei diritti e quei principi che vengono

mantenuti tali e quali nella nostra Costituzione siano agibili con un funzionamento dello

Stato più in grado di garantirli di quanto non sia accaduto in tutto questo tempo.

Ebbene, concludendo Presidente, abbiamo ricevuto molte critiche e abbiamo anche

cercato, nel nostro lavoro, di rispondere, in più di un'occasione, a queste critiche. Ci è

stata rivolta la critica che il Governo aveva avuto un ruolo troppo significativo e io

voglio ricordare a questo Parlamento e agli italiani che ci seguono – e che avranno

l'onere, probabilmente, di rileggere questo dibattito, il dibattito in quest'ultimo

passaggio – che non solo un ruolo significativo da parte del Governo non è inedito, ma,

come è già stato ricordato prima, è un ruolo che noi riscontriamo anche recentemente

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nel passaggio del 2005 con il Governo Berlusconi, ma, aggiungo, che, senza, lo ripeto,

quell'appoggio, quel sostegno, quel contributo che il Governo ha dato, questo

Parlamento non avrebbe avuto la forza di portare a compimento quella riforma di cui

stiamo parlando, che come conseguenza avrebbe avuto la impossibilità di produrre le

altre riforme. Aggiungo a questo che, per quanto questo ruolo di accompagnamento sia

stato significativo, il testo che esce da queste Camere è un testo che tiene fortemente

conto del lavoro di queste Camere, ampiamente conto del lavoro di queste Camere.

Ci è stato detto che in questi lavori parlamentari non è stato possibile costituire o avere

un clima costituente che accompagnasse la riscrittura di questa Costituzione e io devo

dire che sarà solo la storia, con la sua capacità di lavorare su tempi più lunghi, ad

indicare esattamente quali sono le motivazioni perché, anche questa volta, il clima

costituente che dovrebbe essere alla base di una riscrittura della Costituzione non c’è

stato. Io penso che, come ha ricordato l'onorevole Tabacci questa mattina, affinché ci

possa essere un clima costituente serve che ognuno sia disposto a cedere una parte, una

parte dei propri interessi, una parte di ciò che ha in gioco nel rappresentare una parte del

Paese e questa disponibilità non c’è. Quello che agli italiani va ricordato è che le

opposizioni che in questo momento criticano questo provvedimento non hanno mai

mostrato, fin dall'inizio di questa vicenda, una minima disponibilità a scrivere

qualsivoglia Costituzione; non era nella disponibilità di questo Parlamento e di questa

maggioranza una collaborazione che portasse ad una riforma della Costituzione diversa

da quella stiamo per approvare. E, infine, ci sono state rivolte molte critiche rispetto alle

garanzie e rispetto ai ruoli di garanzia, in particolare, a quello del Presidente della

Repubblica; io voglio dire, a questo proposito, in relazione alla legge elettorale che

abbiamo approvato, che contano i numeri. Per eleggere il Presidente della Repubblica –

e questa è una delle novità introdotte da questo ramo del Parlamento – nei primi tre

scrutini servono 486 voti, ovvero, 146 voti in più, quindi, 40 voti in più del numero

intero dei senatori, rispetto ai 340 che avrà il partito che vincerà le elezioni con

l'Italicum. Dalla quarta alla sesta votazione ne serviranno 438, praticamente i 340 di chi

vincerà con l'Italicum più l'intero Senato. Questo sta a dire che il principale ruolo di

garanzia di questo nostro impianto democratico rimane esattamente con gli stessi poteri

che la nostra Costituzione gli ha affidato fino ad oggi, senza nemmeno uno in meno.

PRESIDENTE. Concluda.

ALAN FERRARI.

Mi avvio a concludere, signor Presidente, rivolgendo un ultimo messaggio a chi mi sta a

sinistra, non mi rivolgo esclusivamente a coloro che siedono alla sinistra del

Parlamento, ma mi rivolgo anche a coloro che con me hanno condiviso una cultura

politica e un pezzo di storia di questo Paese e lo dico senza presunzione, lo dico perché

è corretto ribadire che quanto noi stiamo per approvare è profondamente nel solco di

quanto maturato nella storia della sinistra di questo Paese. Era, infatti, il 10 dicembre

del 1981 quando su l'Unità, a pagina 7, veniva presentata la proposta economica del

Partito Comunista, era un documento molto ampio, un documento in cui si diceva che il

bicameralismo perfetto era, ormai, da considerare un ostacolo ed un appesantimento dei

lavori del Parlamento e che era inevitabile procedere verso un forte, significativo

rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio. Ebbene, la forza di queste

affermazioni va ben oltre l'assetto proporzionale che in quel momento sedeva in quel

Parlamento e la prima firma di quel documento era quella di Enrico Berlinguer

(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Ne ha facoltà.

ANDREA CECCONI.

Grazie, Presidente. Siamo a conclusione di un lungo iter che vorrei ricordare: l'8 agosto

del 2014 questa riforma costituzionale è stata approvata per la prima volta in prima

lettura al Senato della Repubblica, per poi passare, il 10 marzo 2015, con modifiche, qui

alla Camera dei deputati, il 13 ottobre dello stesso anno con altre modifiche al Senato

della Repubblica, poi, l'11 gennaio qui alla Camera dei deputati, senza modificazioni, il

20 gennaio, poco dopo, al Senato in seconda deliberazione e oggi i primi giorni di aprile

per l'approvazione finale. Ma quello che lascia sempre sconcertati in tutto questo iter è

che questa proposta di legge non è stata proposta da questo Parlamento, ma porta la

firma di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.

Matteo Renzi, Presidente del Consiglio non eletto da nessuno – certamente avrà la

fiducia del Parlamento, della Camera e del Senato, ma non si è mai sottoposto a un voto

popolare – e Maria Elena Boschi, certo parlamentare e deputata, qui, alla Camera dei

deputati, ma oggi Ministro per i rapporti con il Parlamento, che dovrebbe avere rapporti

con il Parlamento e non dire quello che il Parlamento deve fare.

Entrando velocemente nel merito di questa proposta di legge, di questa riforma

costituzionale, che per voi è epocale, che per voi è una svolta storica, ma che per noi è

un dramma che sta avvenendo nel nostro Paese – collegata, oltretutto, alla riforma

elettorale, che va a scombinare completamente l'ordinamento democratico di questo

Paese, perché non si sta semplicemente trattando di chiudere una Camera, che è il

Senato, che, tra l'altro, non viene neanche chiusa – questa riforma costituzionale,

semmai dovesse passare il vaglio dei cittadini, cosa che per voi è scontata, cosa che,

francamente, per noi non è affatto scontata, e, anzi, crediamo che i cittadini siano molto

più attenti di quello che voi credete e pensate, e alla fine diranno «no» a questa riforma

costituzionale, cambia, sostanzialmente, buona parte di questa Costituzione, più volte

dichiarata la più bella del mondo e che rischia di diventare una tra le più brutte, o,

comunque, una tra le peggiori applicazioni che abbiamo mai avuto nella storia del

nostro Paese.

Infatti, il Senato viene completamente trasformato e non chiuso: cambiano le modalità

di elezione, rimangono, invece che 315 senatori, 100 senatori, ma nessuno li nomina,

nessun cittadino li nomina. Si passa tutti per un'elezione di secondo grado, tra

consiglieri regionali e comunali, ma quello che lascia francamente perplesso è che è

chiaro che a voi questa cosa vi va bene, perché vi gestite tutto all'interno delle vostre

porte chiuse, all'interno dei vostri comitati di partito e consigli regionali, e i cittadini

vengono completamente esautorati nella scelta di rappresentanti nazionali che, è vero,

non daranno la fiducia a questo Governo, al prossimo Governo che si siederà, ma

certamente hanno dei compiti non poco fondamentali.

Per esempio, una successiva riforma costituzionale non può essere fatta senza l'avallo

della seconda Camera del Senato. Come si possa pensare di fare una cosa del genere è

veramente aberrante ! Persone elette al Senato, che provengono da consigli regionali e

consigli comunali, possono decidere di bloccare una riforma costituzionale che dovesse

venire dalla nuova Camera, con 630 persone elette direttamente dai cittadini e che sono

le persone che danno la fiducia al Governo del Paese.

Ecco, questo è uno di quegli scandali di cui poco si è sentito parlare nell'opinione

pubblica, ma che sarà veramente aberrante per il futuro democratico del nostro Paese. Si

occupa di cose abbastanza vaghe e anche abbastanza inutili, alcune volte, ma la

domanda che rimane sempre in sospeso e a cui non si riesce mai a dare una risposta è

perché non si è voluto sopprimere il Senato, se dovevamo dargli una componente così

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risicata, tra l'altro, di persone che provengono dai consigli regionali, che sono degli

organismi a cavallo tra una componente legislativa e una componente amministrativa, e

quindi hanno tutt'altro compito e tutt'altra estrazione.

Perché non si è voluto chiudere questo Senato o perché non si è voluto ridurre sia il

numero dei senatori sia il numero dei deputati ? Se per voi il problema era il

bicameralismo perfetto, voi, con questa riforma costituzionale, non state risolvendo il

problema del bicameralismo perfetto, e, anzi, state rendendo ancora più complicata e

farraginosa la possibilità per un Parlamento di andare a legiferare su questioni altamente

rilevanti.Cambiate completamente quello è che l'iter di approvazione delle leggi

all'interno di questo Parlamento.

Esistevano, una volta, i decreti-legge, di cui certamente se ne è fatto un abuso, uno stra-

abuso, ma, nonostante tutti i Presidenti della Repubblica e la Corte costituzionale

abbiano più volte ribadito che l'utilizzo dei decreti-legge è stato erroneo da parte dei

Governi che si sono succeduti, nonostante le opposizioni abbiano sempre detto che le

leggi le deve fare il Parlamento e non le deve fare il Governo, voi date un nuovo potere

di intervento al Governo, nonostante quelli che già ha, per non avere il disguido o il

disturbo di avere una voce dell'opposizione o di un Presidente della Repubblica o della

Corte Costituzionale che vi dice che quello che state facendo non è corretto.

E, quindi, inserite un nuovo procedimento legislativo con data certa. Come si possa

pretendere di tutelare le minoranze e le opposizioni di un Parlamento provvedendo a

presentare una serie di leggi di proposta governativa con voto in data certa, questa è una

cosa che soltanto voi potete sapere o vi siete potuti immaginare ! Io sono stato qui ad

ascoltare diversi interventi in sede di discussione sulle linee generali, e ne ho ascoltati

anche fin troppi per il tenore di quelli che erano il contenuto e le motivazioni per cui il

Partito Democratico e chi supporta questo Governo dice che quella che stiamo facendo

è una buona riforma costituzionale.

Modificate completamente quelli che sono gli istituti della democrazia diretta in un

Paese in cui i cittadini, per anni, sono stati chiamati solamente ogni cinque anni, o poco

meno, se cadeva il Governo, ad eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, e quindi

anche il proprio Governo, per poi lasciarli in un limbo in cui nessun programma

elettorale veniva rispettato, nessuna promessa in campagna elettorale veniva rispettata e

l'unico strumento a disposizione dei cittadini era quello della proposta di legge popolare,

cosa che, tra l'altro, è sempre stata accantonata e incassettata sia alla Camera che al

Senato. Non si capisce qual è la motivazione per cui i cittadini facciano i banchetti,

raccolgano le firme, depositino una proposta di legge in Parlamento, e il Parlamento non

ne dia risposta.

È una cosa veramente scandalosa, che il MoVimento 5 Stelle ha più volte denunciato e

che ha anche tentato di portare avanti, all'interno del Parlamento, nella passata

legislatura, quando ancora non aveva rappresentanti a livello nazionale. E, comunque,

anche in quel caso, le proposte di legge firmate da 300 mila cittadini sono state messe in

un cassetto e ancora in quel cassetto giacciono, anche perché, poi, erano già passate due

legislature, e quindi non c'era più la possibilità di riportarle in vita. E, cosa ancora più

sconcertante, voi aumentate anche le firme per i referendum. Oggi, tra poco, la prossima

domenica, si voterà per il referendum sulle trivelle, ma sta partendo anche una nuova

campagna di referendum sociali, appoggiati da più forze politiche, ma, soprattutto, da

associazioni di cittadini, di studenti, associazioni ambientaliste e culturali nel nostro

Paese, che vedono nel referendum l'unica possibilità e l'unico strumento loro rimasto per

far valere i loro diritti e per dire al Governo del Paese che in quel momento sta

governando, ma anche per i Governi precedenti e successivi, che i cittadini certe cose

non le tollerano, non le vogliono e le vogliono vedere modificate.

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Anche in questo caso, voi impedite loro, impedite loro, di avere un accesso facile e

veloce a questi strumenti di democrazia diretta. È chiaro che questa riforma

costituzionale è andata avanti solo e semplicemente a colpi di maggioranza. Questa non

è stata una riforma costituzionale voluta dal Parlamento italiano e voluta da tutti i

cittadini italiani: questa è una riforma costituzionale voluta da Giorgio Napolitano e

voluta dal Partito Democratico, e basta ! Non c’è stata alcuna discussione in merito, le

modifiche apportate alla Costituzione le avete fatte voi nelle vostre stanze, se non

qualche misero e piccolo emendamento per andare a modificare e dare qualche

contentino alle opposizioni.

Vi siete giocati completamente solo voi questa partita e ne andate pure fieri, ed è questo

il vero scandalo che avete portato avanti da due anni in questo Parlamento. Avete preso

un disegno di legge del Governo, una riforma costituzionale abissale, gigantesca, l'avete

portata nelle Aule parlamentari e non vi siete sottoposti a nessun confronto. Avete detto

e continuate a dire che si è parlato, si è discusso, vi è piaciuto pure parlare, però avete

fatto esattamente quello che vi pareva, e ne andate pure fieri, come se il MoVimento 5

Stelle, la Lega, Forza Italia, tutte le altre minoranze, qui, nel Parlamento, non abbiano

nessun diritto di intervenire sulla riforma costituzionale.

Questa è la riforma costituzionale vostra, al referendum la portate come vostra e state

certi che tutti i cittadini che non appoggiano il Partito Democratico, e credo anche molti

cittadini che in passato hanno appoggiato il Partito Democratico, questa cosa non ve la

lasceranno passare. Tra l'altro, questa è una riforma costituzionale che è viziata da un

procedimento, anche mediatico, che a nostro parere è stato aberrante.

Come un Presidente del Consiglio si possa appropriare del più alto potere di cui questo

Parlamento dispone, cioè quello di tutelare ed eventualmente modificare la

Costituzione, è una cosa che ci lascia completamente esterrefatti !

In questo Paese la stampa si è piegata, evidentemente piegata ad una linea mediatica e di

condotta di un Presidente del Consiglio, che si è appropriato di questa riforma

costituzionale, come si sta appropriando anche del referendum costituzionale, come se

non si dovesse votare sulla Costituzione ma per un plebiscito sulla sua persona. Questo

è un altro grosso errore che state facendo; ma non è un grosso errore che state facendo

ai fini elettorali o ai fini dei voti che potete raccogliere, che potranno essere pochi o

molti, e questo lo decideranno i cittadini: state facendo un grosso errore per la tenuta

democratica di questo Paese, perché i cittadini devono sapere su che cosa votano, e non

devono sapere che votano a favore o contro il Premier che sta governando questo Paese.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Cecconi. Gentilmente, per favore, i banchi del Governo.

Onorevole Nicchi... Grazie.

ANDREA CECCONI.

Perché questa cosa non c'entra assolutamente nulla con la riforma costituzionale.

Senza poi dimenticare che questo Parlamento è un Parlamento formato ed eletto con una

legge che è stata dichiarata incostituzionale. Poi si può dire che la Corte costituzionale

ha detto: il Parlamento ormai è stato eletto, continuate pure a svolgere la vostra

legislatura; ma che questo Parlamento si arroghi anche il diritto di attuare una modifica

totale di grande parte della nostra Costituzione, è una cosa che francamente ci potevamo

risparmiare. Potevamo avere un Parlamento eletto con una legge democratica e non

incostituzionale, con una componente che non prevedesse un abnorme premio di

maggioranza, che inficia completamente tutto il lavoro che si sta facendo ed anche la

tutela delle minoranze; e quando stiamo parlando di tutela delle minoranze, non stiamo

parlando della tutela dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle o di SEL o di Forza Italia

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o della Lega: stiamo parlando di milioni di cittadini italiani che sono andati al voto e

volevano essere rappresentati non dal partito di maggioranza, ma da altri partiti. Questa

legge elettorale, che ha eletto questo Parlamento, non ha permesso una reale

discussione, costituzionalmente corretta, per tutte le leggi, per tutte le riforme che si

sono approvate durante questi tre anni, ormai tre anni e mezzo, e ciò vale ancor di più

per la riforma costituzionale.

Ma veniamo poi al merito politico anche contingente in cui ci troviamo in questo

momento. Voi sapete benissimo che il MoVimento 5 Stelle, insieme agli altri partiti di

opposizione, ha presentato una mozione di sfiducia al Governo, che è al Senato e che

verrà votata la prossima settimana, e che avevamo chiesto di anticipare il voto di

sfiducia al Governo e poi eventualmente portare in votazione la riforma costituzionale:

anche questa è una richiesta che la maggioranza non si è assolutamente sentita nelle

condizioni di poter agevolare. Siamo ricorsi all'arbitro, alla persona che durante il suo

insediamento in seduta comune in questa Camera ha dichiarato di voler essere

semplicemente l'arbitro della partita politica in questo Paese. Abbiamo chiesto

semplicemente all'arbitro: guardi, signor Presidente, c’è questo piccolo problema; ci

potrebbe un attimo convocare, ascoltare, sentire le nostre ragioni e valutare la richiesta

che le opposizioni le stanno sottoponendo ? Cioè, votiamo la mozione di sfiducia per

dei fatti gravissimi che stanno attraversando il nostro Paese, perché non è possibile

tenere in stallo una richiesta di sfiducia sapendo che contemporaneamente si sta

approvando in ultima lettura e con l'ultimo voto una riforma costituzionale epocale. Il

Presidente della Repubblica ancora non si è neanche degnato di risponderci ! Avere un

arbitro che non ha il fischietto in questo Paese è faticoso, perché era sufficiente da parte

del Presidente della Repubblica dire che non ci voleva incontrare, e non tenerci

all'oscuro di tutto e lasciare in un limbo non tanto noi, ma tutti i cittadini che nella

Presidenza della Repubblica ripongono un minimo di fiducia. Questo è un

comportamento che francamente noi non riteniamo rispettoso per le opposizioni che

hanno avanzato tale richiesta, perché chiedere è lecito, rispondere è cortesia.

Detto questo, gli scandali che stanno attraversando il nostro Paese sono abbastanza

singolari e gravi.

Si è partiti con un ministro che aveva un rapporto con il suo compagno: come se

nessuno avesse rapporti con il compagno, tutti hanno dei compagni, tutti hanno delle

famiglie; ma non necessariamente regalano loro appalti da 2 o 3 milioni di euro ! Nel

senso, anche io ho una famiglia, ma non mi sognerei mai di avanzare una proposta di

legge o proporre degli emendamenti che possano favorire o agevolare la mia famiglia:

faccio qualcosa per il popolo italiano, perché dal popolo italiano sono stato eletto.

Da questo piccolo punto, da questo piccolo particolare, è cominciata una valanga che sta

investendo praticamente più della metà del Governo, che è anche parzialmente

rappresentato oggi in quest'Aula: ogni giorno si sente il nome di un ministro, un

sottosegretario aggiuntivo. De Vincenti, ogni volta che c’è un casino c’è la sua testa; la

Boschi, che ogni volta che c’è un casino c’è la sua testa: protetta non si capisce per

quale ragione dal Presidente del Consiglio, come se non fosse in grado di difendersi da

sola, perché se si è difesa una volta per quelle che a nostro parere sono state delle

agevolazioni, dei favori per il padre, poteva anche difendersi semplicemente, senza

dover chiedere aiuto al Presidente del Consiglio.

Un Presidente del Consiglio che tra l'altro dichiara a mezzo stampa che tutti gli

emendamenti sono i suoi, rivendica completamente tutti gli emendamenti che si sono

inseriti sottobanco, nelle notti durante l'approvazione della legge di stabilità, per

telefono, come se il Consiglio dei ministri non fosse un organo collegiale ! Noi

sappiamo che la Presidenza del Consiglio, insieme a tutti i ministri, compone il

Consiglio dei ministri e decide quella che è la linea del Governo: decide il

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provvedimento e cosa si vuole fare. Non mi sembra che collegialmente i ministri

avessero deciso di dare alla Total la possibilità di avere un'agevolazione per costruire un

oleodotto che da Tempa Rossa andasse a Taranto; ed avere contemporaneamente un

favoritismo sul porto di Augusta, sulla nomina dall'autorità portuale, che viene

effettuata sempre dal Consiglio dei ministri, e sulla legge navale. Non mi sembra che sia

stata una discussione collegiale ! Questo Paese si fonda su un Governo e su di un

Consiglio dei ministri che è collegiale: il telefono e i rapporti telefonici alle 4 di notte

non sono una scelta collegiale !

Questo è il metodo con cui voi portate avanti il Governo del nostro Paese, portate avanti

le riforme, avete portato avanti questa riforma costituzionale: perché le modifiche ve le

siete fatte a porte chiuse, a mezzo telefono, con rapporti burrascosi intercorsi tra una

parte della maggioranza o della minoranza all'interno dalla vostra maggioranza, e a

volte chiedendo soccorso ad esponenti di altri partiti. Mai del MoVimento 5 Stelle, per

chiedere quali fossero secondo noi le modifiche necessarie da apportare alla Carta

costituzionale: infatti nessuna nostra modifica è stata inserita all'interno dalla riforma

costituzionale. Questo è il vostro metodo: è un metodo aberrante, pericoloso per la

democrazia italiana. Il nostro arbitro forse sarebbe il caso che facesse sentire almeno il

fischio di una punizione, e dicesse: forse c’è qualcosa che non va in questo Paese,

almeno parliamone. E questo Governo, al di là della richiesta di sfiducia che verrà

votata la prossima settimana, dovrebbe almeno avere la dignità di andare a casa, o

perlomeno sentire il dovere di allontanare quelle persone che stanno mettendo in ombra

non il Governo, ma il nostro Paese agli occhi dei Paesi che sono i nostri vicini; e agli

occhi dei cittadini, che non hanno più nessuna speranza, nessuna fiducia nella politica,

nella democrazia, che invece dovrebbero essere l'arma più forte che dovremmo dare ai

nostri cittadini, lo strumento più forte: la fiducia in quello che si sta facendo all'interno

delle istituzioni. Per colpa vostra, per il vostro operato, per il vostro metodo indegno di

portare avanti le riforme costituzionali – Jobs Act e tutte le altre riforme che avete

approvato in questi tre anni –, noi ci troviamo un Paese disastrato, in ginocchio, con i

cittadini sempre più indignati nei confronti di una politica che non è in grado di dare

risposte serie e vere ai cittadini. Non siete in grado di darle; e un Governo che non è in

grado di dare risposte ai cittadini è un Governo che deve andare a casa.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO.

Signor Presidente, il mio intervento oggi sulla riforma costituzionale è l'intervento di

una semplice deputata che vuole ricordare che la Costituzione è rivolta – e deve esserlo

– a tutte le cittadine e a tutti i cittadini del nostro Paese; deve essere viva e soprattutto

deve essere comprensibile ai nostri cittadini. Forza Italia è sempre stata una forza

riformista, per questo voglio fare una considerazione di carattere generale: non

possiamo pensare di parlare della riforma costituzionale senza vedere il disegno

complessivo nel quale si inserisce la riforma costituzionale, ossia l'abolizione del

finanziamento pubblico ai partiti, e senza considerare che la riforma costituzionale

rende di fatto molto più complesso quello che è il procedimento legislativo e che non

elimina la seconda Camera, cioè il Senato, ma ne fa una Camera delle regioni rispetto

alla quale non sappiamo ancora bene con quale legge i senatori consiglieri regionali

verranno eletti. Accanto a questi due aspetti, abbiamo la legge elettorale; una legge

elettorale fortemente maggioritaria, che sicuramente garantisce la governabilità, ma a un

partito solo. Accanto a questo ci sono altre due leggi che si devono leggere nello schema

complessivo della più grande trasformazione della nostra Carta costituzionale

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dall'origine, ossia la legge sui partiti, sull'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, e

accanto a questa la legge sul conflitto di interessi.

Considerare la riforma costituzionale all'interno di questo complesso di interventi ci fa

chiedere una cosa: ancora oggi le democrazie sono il metodo, vengono considerate il

procedimento migliore per governare un Paese ? E ci chiediamo se questo complesso di

trasformazioni di provvedimenti – che di fatto consegnano il Paese nelle mani di un solo

partito che esce dalle elezioni con la legge elettorale che noi conosciamo, con una sola

Camera, con una legge probabilmente sull'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione

che prevedrà che non possano partecipare alle elezioni politiche nazionali partiti che

non abbiano dei requisiti molto stringenti –, di fronte a questo, quale sia il sistema

istituzionale che avrà il nostro Paese e in che modo sarà attuata la democrazia nel nostro

Paese. Avrei voluto soffermarmi su cinque punti, ma lo farò solo sui tre che ritengo più

importanti, tra cui vi è sicuramente il tema dell'efficienza, dell'efficienza di un sistema

politico, di un sistema legislativo, ma questo va considerato all'interno di quello che è il

bilanciamento dei poteri, cosa sulla quale avremmo dovuto riflettere forse più a fondo,

nel momento in cui abbiamo fatto il più grande intervento normativo di trasformazione

– non di manutenzione ma di trasformazione – e di cambiamento della Costituzione.

Poi, l'assenza di quella che è stata una condivisione unitaria del processo di riforma

costituzionale, che credo che la Carta costituzionale di un Paese avrebbe meritato. Da

ultimo, il tema delle autonomie locali, del regionalismo, del Titolo V, del

neocentralismo che questa riforma costituzionale porta con sé. Per quanto riguarda

appunto il tema dell'efficienza del nostro sistema legislativo, dico che sicuramente è un

tema necessario, ma voglio guardarlo con uno sguardo non del contingente ma più

prospettico, e voglio ricordare che quando le moderne Costituzioni vennero scritte

questo va fatto per fissare i limiti di chi governa ma anche per definire le condizioni e i

modi in cui l'autorità deve essere esercitata. Ricordo che l'articolo 16 della

Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino conteneva una frase molto indicativa,

che dovrebbe farci riflettere proprio in questo momento: un uomo che non conosce i

diritti dell'uomo e non attua la divisione dei poteri non ha Costituzione.

Ecco, la Costituzione si basa sulla divisione dei poteri e sul loro bilanciamento, sul loro

equilibrio. Non si tratta di un concetto neutro di Costituzione, quello appunto affermato

nelle prime Costituzioni, ma si volevano affermare proprio i diritti degli individui verso

l'autorità e stabilire le regole in base alle quali le autorità avrebbero dovuto esercitare il

loro potere, un potere regolato e suddiviso tra più autorità. Divisione dei poteri,

bilanciamento tra i poteri dello Stato: forse su questo ci saremmo dovuti concentrare ed

interrogare maggiormente; forse questo meritava un procedimento di riforma

costituzionale che di fatto, in questi giorni, in questo dibattito, rispetto al quale non si è

potuto poi modificare nulla in questo passaggio, rimane vuoto, senza considerazione.

Limitare i poteri, riequilibrare i poteri era un punto fondamentale proprio per rendere

più efficiente il nostro sistema.

In questa revisione è prevalso sicuramente il desiderio, la preoccupazione di assicurare

una maggiore efficienza e una maggiore rapidità decisionale del sistema di Governo, ma

a quale prezzo ? È prevalsa, infatti, la necessità di evitare eccessive concentrazioni di

poteri e di assicurare un sistema di pesi e contrappesi, quindi l'efficienza ha prevalso sul

sistema del bilanciamento e dell'eccesso di concentrazione di potere che questa riforma

porta con sé. Poi, vorrei soffermarmi sul tema delle autonomie locali; non è una

questione indifferente, il Titolo V è stato profondamente modificato, dopo il disastro

della revisione antecedente che la sinistra aveva voluto. È stato sicuramente introdotto,

nella revisione dell'articolo 116, il regionalismo differenziato, ma, nella riforma che

stiamo ora affrontando, non abbiamo scelto con decisione di dar vita ad un

ripensamento complessivo del sistema delle regioni. Cioè, ci troveremo ancora di fronte

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a un sistema nel quale abbiamo un regionalismo unitario, un regionalismo differenziato

e regioni a statuto autonomo. Forse era questo l'intervento che avremmo dovuto fare:

dar vita ad un sistema migliore di quello a cui abbiamo assistito in questi anni, e non

perché abbia fallito il regionalismo in sé. Noi vediamo che, proprio nell'idea di

regionalismo differenziato, le regioni virtuose saranno premiate, le regioni in equilibrio

di bilancio saranno premiate, ma hanno fallito gli uomini e le donne che hanno

governato quelle regioni, che hanno dato vita al malaffare, e per questo si va a

modificare e a complicare ulteriormente un sistema in cui esisteranno queste tre

tipologie senza un'effettiva semplificazione, sempre a danno e a costo dei servizi nei

confronti dei cittadini.

In più, a che cosa si darà vita ? Si darà vita ad un forte centralismo che di fatto non

andrà a risolvere il grandissimo contenzioso che abbiamo tra Stato e regioni, perché gli

esperti hanno sottolineato proprio come il contenzioso regionale non derivi dalle leggi

regionali ma come sia alimentato proprio da materie quasi tutte di competenza esclusiva

dello Stato. Quindi, ci chiediamo che cosa questa riforma vada in realtà a modificare, a

migliorare, a cambiare, per il nostro sistema Paese. Poi, voglio ricordarlo, è la cosa che

dico per ultima ma che ritengo più importante: un intervento così ampio sulla nostra

Costituzione, il primo così ampio sulla nostra Costituzione, avrebbe richiesto e avrebbe

dovuto portare con sé un'unità di intenti, un'unità di azione: una riforma non portata

avanti solo dalla maggioranza ma condivisa da tutte le forze politiche e condivisa

soprattutto dal Paese. Questo è mancato, è mancato moltissimo, è mancato

profondamente, non perché le opposizioni siano venute meno al loro compito, ma

perché la maggioranza è andata avanti nonostante i punti sui quali le opposizioni hanno

fatto notare che questa riforma costituzionale avrebbe dovuto avere dei momenti forti di

riflessione e di condivisione.

Chiudo il mio intervento con una dichiarazione, la dichiarazione che le opposizioni, e

quindi anche Forza Italia, non prenderanno parte all'intervento che il Presidente del

Consiglio farà in quest'Aula tra pochi minuti – sto concludendo – e questo perché noi

siamo qui in Aula, abbiamo parlato, abbiamo espresso i nostri punti critici, come

abbiamo fatto sempre, all'interno della Commissione in quest'Aula, ma non vediamo qui

tra noi il Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il

Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pollastrini. Ne ha facoltà.

BARBARA POLLASTRINI.

Grazie, signor Presidente e signori del Governo. Sono pochi minuti e io dirò qualcosa

con la modestia del caso. Non ho tutte le certezze del relatore Fiano, che ringrazio, e

con lui ringrazio quante e quanti, a sostegno, ma anche in opposizione alla riforma,

hanno tenuto vivo il confronto di merito, prima in Commissione e, ancora oggi, qui in

Aula, perché alla fine si deve decidere; anch'io decido e voterò a favore. Nella mia

scelta contano i decenni di successi alle spalle e la volontà di non bloccare un traguardo

troppe volte annunciato e mai raggiunto.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 17,10)

BARBARA POLLASTRINI.

Temo che un altro scacco alimenterebbe la distanza tra cittadini e istituzioni, in un

Paese dove la politica è considerata sovente malattia e merita spesso giudizi severi. Ma

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forse, anche perché sono una donna, cerco nelle cose di vedere il buono che si può,

sperando senza rassegnazione di correggere il resto domani, perché anche a me, come

all'onorevole Scotto, sta a cuore rinnovare i principi e i valori della Resistenza e onorare

ciò che tuttora rappresenta nella storia e nel futuro di questo Paese l'associazione

nazionale Partigiani d'Italia. Io ho valutato le migliorie tra una lettura e l'altra come il

tentativo di rendere più chiara la funzione del nuovo Senato e di allargare funzioni e

contrappesi. Poi, certo, nella mia scelta ha pesato l'ascolto e pesano le regole dello stare

insieme di un gruppo, nel mio caso il gruppo del Partito Democratico. Ma per le stesse

ragioni non sarei sincera se non ribadissi che alla stretta finale vivo questa come una

riforma dovuta, che raggiunge il suo traguardo, ma in parte incompiuta, come un

obiettivo in parte sciupato, che non avrà quella portata storica e di longevità che avrebbe

potuto avere. E credetemi lo sciupio fa rabbia a tutti, quando vediamo le difficoltà del

Paese sul fronte dell'economia, della vita delle famiglie e delle imprese, quando ci

misuriamo con una perdita di stima verso la democrazia da parte di milioni di persone,

di giovani, qui e in un'Europa dove risorgono i muri e i fili spinati.

Per tutto questo, care colleghe e cari colleghi, io avrei osato di più nel coraggio e

nell'innovazione: un modello simil Bundesrat, come alcuni di noi avevano sollecitato,

un ridisegno delle regioni, con il superamento di alcune specialità, oppure – perché

«no» ? anche questa sarebbe stata un'opzione più radicale – con l'abolizione del Senato.

Forse, dobbiamo dircelo, per correggere dopo, l'ambizione all'inizio era più alta,

innanzitutto perché pensavamo a un'intesa più larga in Parlamento, cosa che interessava

a tutti. Inoltre, si discuteva – e stiamo discutendo – di un progetto organico,

superamento del bicameralismo, Titolo V, regolamenti, legge elettorale, un progetto

organico in grado di rispondere a un'esigenza di governabilità, ma insieme di

rappresentanza dei cittadini, insomma di rispondere a una necessità di democrazia

decidente, ma dentro un disegno rinnovato di partecipazione e di una cittadinanza attiva

da stimolare. Lo so, ora va costruita la legge per l'elezione dei senatori, che nella

formula bizantina trovata, allarghi la possibilità di scelta degli eletti.

Aggiungo che serviranno norme per ridurre i contenziosi futuri e servirà riprendere il

tema dell'accorpamento delle regioni esistenti. Peraltro, la questione delle aree vaste e il

decollo faticoso delle città metropolitane è lì a dirci che i nodi tornano al pettine con la

conseguenza di generare ritardi e disfunzioni, se non sappiamo vederli per tempo.

Allora, care colleghe e cari colleghi, con sincerità dico che è capitato anche a me, come

ad altre ed altri in questa legislatura, di esprimere un dissenso e votare talvolta in modo

diverso dal mio gruppo e l'ho fatto con qualche sofferenza. È avvenuto sull'articolo 2,

proprio di questa riforma; è avvenuto dopo, spingendomi, come altri, fino a negare la

fiducia al Governo sulla legge elettorale. Poco prima, ero stata tra le colleghe e i

colleghi sospesi dai lavori in Commissione, ma queste mie convinzioni sono poca cosa:

a me interessa capire se ancora oggi ci sono i margini, non all'interno del gruppo del PD

– cosa che ovviamente mi interessa moltissimo – ma in quest'Aula per recuperare

insieme e rilanciare il senso profondo del progetto riformatore e se un punto critico –

come ho cercato di dire – è nella rappresentanza, nella rappresentanza dei cittadini, ma

anche nella rappresentanza di possibili coalizioni; su questo io credo si debba e si possa

lavorare ancora e dunque lo chiedo nuovamente da qui: è davvero impossibile

correggere e migliorare la legge elettorale nella direzione indicata poc'anzi in quest'Aula

dal collega Meloni ? Io la riterrei una necessità, nell'interesse di tutti e sento il

dispiacere e il limite personale nel non aver avuto la capacità di convincere, prima di

tutto, la mia parte che un'altra via era possibile. Mi chiedo cos’è mancato: solo una

ristrettezza di numeri al Senato ? Io penso di no; penso che siano mancate due parole:

fiducia e in parte ambizione, più fiducia nel Parlamento e meno interventismo

dell'Esecutivo proprio su una materia, rispetto alla quale i padri e le madri costituenti

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ritenevano che il Governo dovesse lasciare spazio alle Camere, più delega alla ricerca di

mediazioni sagge. C’è stato un momento, quando il patto del Nazareno sfumava, che

andava colto secondo me con quella prontezza che è l'arte della politica. Ma ecco,

onestà per onestà, non tutto può essere lasciato sulle spalle del partito maggiore, che ora

vuole tagliare il traguardo di questa riforma.

Colleghe e colleghi, la notte dell'abbandono dell'Aula, quella divisione del mondo tra

chi attenterebbe alla Costituzione e chi vorrebbe salvarla è stata una frattura, che non ha

aiutato e che potrebbe non aiutare in futuro. Soprattutto – vorrei dirlo all'onorevole

Baldelli – non aiuta da parte di chi, fino al giorno prima, aveva difeso un accordo

blindato.

Allora, signora Presidente, non le sembri fuori luogo che io termini il mio intervento

con un appello: innanzitutto, io rivolgo questo appello al Presidente del Consiglio, che

ha talenti e intelligenza – spero – per capirne il senso. Gli rivolgo un appello perché

l'uso del referendum recuperi il suo significato costituzionale: non una conta sul

Governo o sul Premier, ma una consultazione di merito, da incitare a svolgere in libertà,

spirito aperto e senza il fardello di condizionamenti sull'Esecutivo. Chiediamoci tutte e

tutti quale sarà il day after quel passaggio: l'esibizione di uno scalpo o la ripresa, come

vorrei io, di un dialogo, con associazioni, studiosi costituzionalisti e quella parte

contraria, che esiste anche nel popolo della sinistra, che noi abbiamo il dovere e l'onere

di rincontrare.

Se si utilizza la spada comunque rimarranno le ferite. Questo vale per i favorevoli, ma

vale anche per chi oggi si oppone senza riconoscere un tratto di verità nelle ragioni

dell'altro. Ho ascoltato interventi acuti, anche ora, da colleghi che stimo, ma anche a

loro chiedo di ascoltare noi, perché la battaglia delle idee resterà, sono il mondo e la

crisi a dircelo. Io vorrei affrontare il tempo che tutti abbiamo davanti con un Partito

Democratico ancorato al centrosinistra, alla solidarietà e vorrei farlo in un Paese meno

frantumato, con qualche virtù civica in più, e una politica credibile, perché si metta alla

testa di un'etica pubblica rigenerata e condivisa. Anche per questo, quando tutto sembra

compiuto, io rinnovo da qui l'invito ostinato a pensare al giorno dopo, che vuole dire

costruire ponti, riallacciare il dialogo e alzare lo sguardo verso una realtà che alla

politica chiede riforme – certo – ma nel segno dei diritti e della giustizia sociale.

Richiede la cosa oggi più difficile da dare: rispondere a una domanda di senso, perché

poi, come la storia insegna, quando molto si è consumato, a parlare sono soprattutto le

coerenze e gli esempi. Io credo che la grande forza di queste istituzioni sia nel

riconoscere, nelle differenze, quella quota di verità che esiste e in nome di quella quota

di verità, dopo l'asprezza del confronto politico, saperci rincontrare in nome di un'idea

di bene comune e di valore di quella democrazia che credo sia la cosa più importante

per la storia e per il futuro dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito

Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Attorre. Ne ha facoltà.

ALFREDO D'ATTORRE.

Grazie, signora Presidente. Io credo che il modo in cui si conclude questo iter di riforma

costituzionale, ovvero la giornata di oggi che era stata annunciata ieri urbi et orbi dal

Presidente del Consiglio come una giornata storica tale da generare commozione, e in

cui si sarebbe tenuto l'ultimo confronto nell'aula di Montecitorio, per le modalità con cui

si svolge, è la dimostrazione più lampante dei caratteri che hanno segnato questa

procedura di revisione costituzionale: un Presidente del Consiglio che annuncia il suo

intervento televisivo e che non si degna di ascoltare neppure un intervento in Aula. Non

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una sola voce dell'opposizione, di chi si oppone a questa riforma, oggi ha avuto l'onore

di ricevere l'ascolto né dal Presidente del Consiglio, né dalla Ministra Boschi (Applausi

dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà). Ci sono alcuni

Ministri e sottosegretari che ringraziamo della presenza, forse avevano ricevuto una

notizia errata sull'arrivo anticipato del Presidente del Consiglio, ma questo dibattito si

concluderà con uno show mediatico senza che il Governo, il Presidente del Consiglio

abbia ascoltato un solo intervento di chi aveva da avanzare tesi di segno diverso. E

d'altra parte, l'intera rappresentazione di questo confronto ha un segno profondamente

caricaturale. Qui, chiariamoci su un punto, non ci stiamo, e lo voglio dire in particolare

ai colleghi del Partito Democratico: il confronto non è tra chi è favorevole a una

ragionevole manutenzione della Parte II della Costituzione e chi è contrario, non è tra

innovatori e conservatori, non è tra difensori e avversari del bicameralismo; qui c'era un

ampio arco di forze che sarebbe stato favorevole a una riforma razionale, equilibrata. Lo

testimoniano posizioni assunte da tanti di noi, anche all'inizio di questo iter

parlamentare. La situazione che si è determinata è il frutto di gravissimi errori di

metodo nella conduzione della riforma che hanno prodotto, e sono la causa, dell'esito

assolutamente pasticciato, inefficace e, per alcuni versi, pericoloso a cui i contenuti di

questa riforma sono approdati. Questo iter di revisione costituzionale è stato segnato da

un ruolo che io credo non sia esagerato definire esorbitante e prepotente del Governo.

Un ruolo che è andato ben al di là dell'impulso al processo riformatore. Un ruolo che ha

espropriato in tutti i passaggi decisivi il Parlamento di una sua centralità su una materia

che doveva e dovrebbe essere di stretta competenza parlamentare. Il collega Ferrari ci

ha ricordato prima che questo ruolo del Governo non è un inedito e ha richiamato, devo

dire con un atto di sincerità e di onestà intellettuale di cui gli va dato atto, il precedente

del 2005, quando fu il centrodestra, con un metodo analogo, a imporre una revisione

costituzionale a maggioranza, facendo coincidere la maggioranza costituzionale con la

maggioranza di Governo. Si vada a rileggere il collega Ferrari ciò che dissero in quella

occasione gli esponenti del centrosinistra su quel metodo. Si vada a rileggere il collega

Ferrari ciò che disse in quest'Aula l'attuale Presidente della Repubblica, Sergio

Mattarella, rispetto a quel modo di riformare la Costituzione. Si evitino, invece, richiami

del tutto improvvidi a Enrico Berlinguer (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra

Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) che non avrebbe mai immaginato questo modo di

mettere le mani sulla Costituzione, questo modello di democrazia, questa squilibrio

profondo nei poteri che emerge da questa riforma. Noi abbiamo avuto un'espropriazione

del ruolo del Parlamento che è stata del tutto funzionale alla tutela di un accordo

extraparlamentare. Qui non nascondiamocelo, queste riforme, la riforma costituzionale e

la legge elettorale, nascono in questo modo blindate, perché frutto di un accordo tra

Renzi e Berlusconi e la tutela di quell'accordo, in una prima fase, ha fatto sì che il

Parlamento sia stato messo nella impossibilità di intervenire non sui pilastri della

riforma, ma su ogni singolo dettaglio. Noi ci siamo trovati in presenza di un iter che ha

trasformato il voto su ogni singolo emendamento in un voto di fiducia rispetto al

Governo. Altri colleghi hanno raccontato la loro esperienza, mi sia consentito di farlo

anch'io. Di fronte a emendamenti di buonsenso presentati su un modo diverso e più

efficace, ad esempio, di fare la riduzione dei parlamentari, su un diverso modello del

nuovo Senato, in direzione ad esempio di un'autentica Camera delle autonomie, quando

questi emendamenti venivano presentati, eravamo di fronte alla impossibilità di un loro

vero esame, di una discussione, e da parte dei miei interlocutori all'epoca, penso al

capogruppo Fiano, alla Ministra Boschi, non c'era un'opposizione di merito, non mi

veniva detto «questi emendamenti non migliorerebbero la riforma». La risposta era

«caro D'Attorre, sai che abbiamo un accordo con Forza Italia, quell'accordo non lo

possiamo modificare». Ora inviterei a riflettere sull'autentico capolavoro che è stato

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compiuto: noi non abbiamo migliorato le riforme come avremmo potuto fare, per

tutelare una blindatura e un accordo extraparlamentare e ci troviamo con riforme, alla

fine di questo iter, che vengono votate da una maggioranza più ristretta di quella di

Governo. Io penso che un capolavoro del genere era difficile perfino da immaginare.

Ciò è avvenuto sia sulla riforma costituzionale, sia sulla legge elettorale, ed è evidente il

profondissimo nesso che esiste tra questi due temi. Sarebbe lungo e anche

impressionante fare la lista delle forzature che hanno segnato l'iter di queste riforme,

veniva ricordato da ultimo, anche dalla collega Pollastrini, la sostituzione in blocco

nelle Commissioni parlamentari dei membri dissenzienti del partito di maggioranza

relativa, fino all'imposizione del voto di fiducia sulla legge elettorale. L'imposizione del

voto di fiducia sulla legge elettorale che resterà, signora Presidente, una pagina nera

nella storia di questa legislatura. Senza contare il ripetuto uso dell'argomento principe

che in tutti i momenti critici è stato utilizzato. Quando c'era la possibilità di determinare

in seno al partito di maggioranza relativa e nel Parlamento un equilibrio più avanzato, di

consentire alle Camere di incidere sulla riforma, calava il diktat del Governo e

l'argomento principe utilizzato era quello «o si fa così, oppure il Governo si dimette e si

va tutti a casa».

Questa minaccia dello scioglimento anticipato della legislatura, con la quale, tra l'altro,

il Presidente del Consiglio si è attribuito un potere che non aveva e non ha, è stata

l'arma fondamentale con la quale una parte di questo Parlamento, recalcitrante, non

convinto di tanti aspetti della riforma costituzionale e della riforma elettorale, è stato

piegato all'approvazione. Ma mi sia consentito di dirlo con chiarezza: con questo

argomento e con questa minaccia il Presidente del Consiglio, forse, è riuscito a piegare i

singoli parlamentari, non riuscirà certo a spostare l'orientamento dei cittadini italiani nel

referendum costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra

Ecologia Libertà). Si è portata avanti la riforma con una retorica impressionante; ci è

stato detto, addirittura, che questo Paese aspettava di riformare la Costituzione da oltre

settant'anni, lo ha detto il Premier Renzi, lo ha detto la Ministra Boschi, addirittura

prima dell'entrata in vigore della Costituzione. Ora io non credo che questa sia una

semplice gaffe, credo che in questa frase si esprima qualcosa di più profondo che ha

guidato quest'iter di revisione costituzionale e che le parole del Presidente Renzi e della

Ministra Boschi hanno espresso, che è un senso di estraneità sostanziale allo spirito

dell'intera Carta costituzionale. Per il vostro modello di governo la Costituzione

repubblicana e antifascista è un ostacolo, è un inciampo, rispetto a una semplificazione

decisionistica e verticistica che voi avete messo in atto con la vostra azione nel corso di

questi anni. E non ha insegnato nulla l'esperienza di questi ultimi quindici anni. Si è

detto: non ci sono state riforme della Costituzione; negli ultimi quindici anni è avvenuto

esattamente l'opposto. La classe politica, nell'incapacità di autoriformarsi, di correggere

i propri errori, di selezionare personale più onesto e competente, di rigenerare i partiti ha

scaricato questa inadeguatezza sulla Costituzione e ha indicato l'orizzonte salvifico di

un cambiamento della Carta costituzionale e questo ha prodotto pessime riforme della

Costituzione. È avvenuto nel 2001, per responsabilità del centrosinistra, è avvenuto nel

2005, per responsabilità del centrodestra e tutti insieme, centrodestra e centrosinistra,

hanno fatto un errore nel 2012 con la modifica dell'articolo 81. Questi precedenti, far

coincidere la riforma della Costituzione con una convenienza politica contingente,

avrebbero dovuto suggerire cautela, cura nel maneggiare questa materia e, invece, si è

proceduto in maniera assolutamente opposta, con un metodo inaccettabile e sbagliato

che oggi ci consegna un risultato pessimo, nel metodo, innanzitutto, sulla legge

elettorale. Lo voglio dire anche ai colleghi della maggioranza, dei diversi gruppi della

maggioranza che hanno avanzato riserve sulla legge elettorale; facciamo un esercizio di

realismo e di onestà intellettuale, c’è una sola possibilità di rimettere in discussione

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questa pessima legge elettorale e non sono gli appelli, non sono i sospiri, non sono i

desiderata, l'unica possibilità di mandare in soffitta l'Italicum è fermare questa riforma

costituzionale. Non ce n’è un'altra, perché è evidente che la bocciatura di questa riforma

costituzionale nel referendum di ottobre renderà inapplicabile l'Italicum che è stato

pensato soltanto per la Camera dei deputati. Quindi, coerenza vorrebbe che chi si

oppone alla legge elettorale, chi ha votato contro la legge elettorale prenda

limpidamente una posizione contro l'iter di questa riforma e riconosca che nel

referendum di ottobre una delle poste in gioco decisive e centrali sarà la conferma o

meno dell'Italicum. Un Italicum che, come è stato ricordato, resuscita i due principali

vizi del Porcellum: la reintroduzione di un abnorme premio di maggioranza e la

sottrazione, di nuovo, ai cittadini della possibilità di scegliere la maggioranza dei

parlamentari, oltre a un cambiamento sostanziale della forma di governo attraverso

l'introduzione, di fatto, di un presidenzialismo privo di qualsiasi contrappeso.

Il Presidente del Consiglio ci aveva detto, nel corso dell'iter dell'approvazione: vedrete,

fidatevi – ricordo parole di un anno e mezzo fa –, l'Italicum è una legge così bella che in

giro per l'Europa ce la copieranno, c’è un interesse molto forte a studiare il nostro

modello. Non mi risulta che nelle democrazie più avanzate si sia sviluppata questa

spinta imitativa, emulativa nei confronti dalla nostra legge elettorale. Sulla riforma

costituzionale i colleghi del gruppo di Sinistra Italiana, a partire dalla relazione

dell'onorevole Quaranta, hanno illustrato bene quali sono nel merito i nostri punti di

critica relativi a un nuovo Senato del tutto ibrido, privo di identità, di funzione, che non

corrisponde né al modello di una Camera delle autonomie né al modello di un Senato

delle garanzie. Dieci volte meglio – voglio dirlo – sarebbe stata, davvero, una riforma

radicale e coraggiosa nel segno del monocameralismo qual era, sì, quella, davvero, sì,

che proponeva all'epoca Enrico Berlinguer. Ribadisco il carattere assolutamente parziale

e squilibrato della riduzione dei parlamentari, che poteva essere fatta in maniera

migliore e più incisiva, il procedimento legislativo che diventa perfino più farraginoso,

ma d'altra parte quando si parte da premesse sbagliate è chiaro che si arriva a errori

ancora più gravi. Il problema del sistema istituzionale italiano non è questa barzelletta

che si racconta sul fatto che non si fanno le leggi con sufficiente velocità, noi di leggi in

Italia ne facciamo perfino troppe; guardiamo i dati comparativi rispetto agli altri Paesi,

lo dico ai colleghi del Governo, studiamo, facciamo i confronti, non è vero che in Italia

facciamo poche leggi, in Italia ne facciamo troppe; il problema italiano è la qualità del

procedimento legislativo, qualità che sarà perfino peggiorata da un sistema pasticciato,

confuso e farraginoso. Senza contare poi il Titolo V, dove il superamento della

legislazione concorrente, in realtà, è una finta eliminazione che rischia di riprodurre

davanti alla Corte costituzionale un nuovo contenzioso tra Stato e regioni. Inoltre,

fatemi fare soltanto questa considerazione che può sembrare a qualcuno un fuor d'opera;

leggiamolo insieme il testo di quello che voi sperate che sia, e io sono sicuro che i

cittadini diranno di no, non sarà, il nuovo testo della Costituzione, leggiamo,

leggiamone la lingua, perché la lingua è importante, le parole sono importanti, facciamo

un confronto tra il testo originario, quello della Costituzione del Quarantotto e il testo

che viene fuori dalla riforma, c’è da vergognarsi, innanzitutto per la qualità dell'italiano.

Altro che bellezza e semplicità che il Premier indica come il sigillo della nuova Italia

che dovremmo costruire, quella lingua, quella neo lingua è priva di qualsiasi bellezza, di

qualsiasi semplicità ed è, soprattutto, priva del carattere che ha la lingua della

Costituzione repubblicana del Quarantotto, che è una lingua che parla al popolo, che

vuole essere capita da tutti, mentre il segno di questa deformazione costituzionale è

quello di aumentare la distanza tra cittadini e istituzioni e di ridurre il modello

democratico a modello fondato su una delega passivizzante. Qual è la vera posta in

gioco del referendum costituzionale del prossimo ottobre ? È evidente che non è

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soltanto il dettaglio giuridico istituzionale della riforma, perché sarà evidente, lo sarà

sempre di più nei prossimi mesi, che in realtà il tentativo di destrutturare, di smontare il

modello di democrazia partecipata inscritto nella seconda parte della Costituzione è

funzionale a un altro obiettivo, che è quello di disattivare la prima parte della

Costituzione, un modello di società e di democrazia fondato sulla centralità del lavoro,

su un'idea di eguaglianza in senso sostanziale, su un'idea di economia mista, sull'idea

della scuola pubblica, del welfare universalistico, della tutela pubblica del risparmio,

tutti quegli aspetti che l'azione del Governo Renzi, a uno a uno, in questi due anni e più,

sta cercando di mettere in discussione. D'altra parte anche le vicende di questi giorni ci

aiutano a fare chiarezza rispetto a un Governo che ha sospeso la concertazione con i

sindacati, con gli studenti, con le comunità locali e che, invece, ha scelto un altro tipo di

concertazione.

Quello con un pezzo della grande impresa, con i banchieri, con i concessionari

autostradali, a cui viene fatto su misura lo «sblocca Italia», con i petrolieri, come

abbiamo visto. Rispetto a questo modello di democrazia, rispetto a questa pratica di

Governo, è evidente che la partecipazione popolare è un intralcio, è un ostacolo, e

quindi bisogna lavorare a un nuovo modello che la riduca il più possibile, un modello

che provi a investire non sulla partecipazione, ma sull'allontanamento dei cittadini dal

voto e dalla passione politica. Anche questo è stato teorizzato !

Non avevamo mai avuto, nella nostra storia, un Premier che dicesse testualmente:

l'astensione è un problema secondario. Non abbiamo mai avuto, da parte di

rappresentanti del Consiglio e del Presidente del Consiglio, un invito esplicito

all'astensione in un referendum elettorale. Ascoltate ciò che ha detto oggi il Presidente

della Corte costituzionale Grossi (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana –

Sinistra Ecologia Libertà). Il voto è un dovere civico, lo dice la Costituzione. Questo è

il modo di stare dalla parte della Costituzione e, prima di arrogarvi il diritto di

stravolgere questa Costituzione, dovreste dimostrare di rispettarla e di applicarla, perché

non rispettarla e non applicarla vi toglie il titolo di poterla cambiare (Applausi dei

deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

E noi faremo in modo che già il voto del 17 aprile, la partecipazione, che ci auguriamo

ci sarà, possa essere, oltre a una sacrosanta battaglia per la pulizia del mare e per

un'altra politica energetica contro le lobby, contro lo strapotere dei poteri forti, anche il

segno di una battaglia democratica che parte nel Paese. Infine, saremo impegnati, già in

questi mesi che ci separano dal referendum, a promuovere una svolta politica in questo

Paese. Abbiamo un Governo la cui autorevolezza e credibilità ormai è segnata, un

Governo che ha reso chiari quali sono gli interessi di cui è al servizio e quali sono i suoi

interlocutori, un Governo privo dell'appoggio di larga parte dei cittadini italiani e anche,

a questo punto, di credibilità internazionale.

Se noi facessimo un calcolo cinico, come forza di opposizione, ci converrebbe favorire

un processo di logoramento del Governo. Noi vogliamo pensare, innanzitutto, all'Italia,

e pensiamo che non sia interesse dell'Italia prolungare questa agonia. Voglio dirlo anche

ai colleghi delle altre forze di opposizione: la mozione di sfiducia non può essere

soltanto un atto mediatico; deve contenere in sé l'assunzione di responsabilità per

l'apertura di una fase diversa e nuova nella vita di questo Paese. Il MoVimento 5 Stelle,

che ha presentato una mozione di sfiducia, riconsideri l'indisponibilità manifestata fin

dall'inizio della legislatura a prendersi le proprie responsabilità.

A inizio legislatura abbiamo ragionato, senza successo, dell'ipotesi di un Governo del

cambiamento, nel segno dell'onestà, della trasparenza, della legalità; un Governo fatto

di persone perbene, che metta al primo posto una legge seria sul conflitto di interessi,

una legge sulle lobby, e che consenta, poi, rapidamente, attraverso l'approvazione di una

legge elettorale decente, di restituire la parola ai cittadini. Quella prospettiva, oggi, torna

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di attualità. Lo dico ai colleghi del MoVimento 5 Stelle e lo dico anche alle forze

all'interno del Partito Democratico che quotidianamente manifestano inquietudine e

disagio: è arrivato il momento, innanzitutto, per una responsabilità nei confronti

dell'Italia di passare dalle parole ad atti conseguenti.

Se questo non accadrà, se prevarrà nel Parlamento uno spirito ancora di sopravvivenza e

di acquiescenza, noi abbiamo, comunque, una sicurezza, che è anche un impegno che

vogliamo rafforzare nei prossimi mesi: la certezza, cioè, che a ottobre, quando i cittadini

saranno chiamati a pronunciarsi, di fronte alla scelta tra la Costituzione, le tutele

costituzionali, il modello di democrazia e di società inscritto nella Costituzione, da un

lato, e la smania smisurata di potere di Renzi e del suo Governo, noi siamo

assolutamente convinti che i cittadini italiani sceglieranno la Costituzione (Applausi dei

deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Walter Rizzetto, che svolgerà un breve

intervento. Ne ha facoltà.

WALTER RIZZETTO.

Grazie, Presidente Boldrini, anche per la cortesia. Dunque, Presidente, il Primo Ministro

Renzi parla e dice spesso che questa sarà ed è la più importante e corposa riforma di

razionalizzazione delle istituzioni. Bene, io la vedo dall'esatto punto opposto, nel senso

che è sì un'importante e corposa razionalizzazione delle istituzioni, ma completamente,

Presidente, in senso negativo. Presidente, lo stesso Presidente Renzi, con un modo

determinato, glielo riconosco, ma comunque sfrontato, vuole, di fatto, esautorare il

Parlamento dalle sue principali prerogative, per porre il nostro Paese sotto il diretto

controllo politico ed economico del capitale finanziario di cui l'Europa dell'unione

monetaria, di fatto, è parte integrante.

Si avallano, quindi, e si consolidano le riforme impostate ed imposte all'Italia da parte

dell'Unione europea, come fiscal compact e MES; questo è soltanto l'ultimo di questi

tasselli. Politiche che vanno ad esautorare le politiche economiche nazionali e quel poco

di sovranità che ancora ci è rimasta. La nostra Costituzione, Presidente, invece mirava –

devo usare il tempo passato – ad una democrazia sociale, mirava ad un'economia mista,

mirava ad una significativa presenza pubblica nei settori nevralgici del nostro Paese.

Tutto questo non ci sarà più. Si tratta, quindi, di riforme devastanti, poste in essere da un

Parlamento delegittimato da una certificata incostituzionalità. Così facendo, Presidente,

la tecnocrazia sovranazionale prenderà il sopravvento sulla monocrazia nazionale, ancor

più vassalla, di fatto, delle oligarchie dell'Unione europea. Razionalizzare così i percorsi

decisionali significa rovesciare, di fatto, la piramide democratica, considerando il

Parlamento soltanto un intralcio, che sarà sempre umiliato, ove ci saranno occasioni che

contano.

Il Presidente Renzi dirà, probabilmente, che noi siamo conservatori ciechi ed ottusi,

però non siamo, in questo caso, conservatori che hanno paura del nuovo e delle

trasformazioni, ma così questo tipo di passaggio non è. Queste, infatti, non sono

riforme, ma considerazioni di ciò che nell'esistente ha in suo seno gravi istinti autoritari.

La migliore delle Costituzioni, Presidente, è destinata a funzionare malissimo in mano

ad una classe politica incapace, corrotta ed inadeguata.

Non accolliamo e non accollate tutte le colpe di questi anni alla Costituzione: le colpe

sono vostre, in questo caso le colpe sono del Primo Ministro Renzi e sono della

maggioranza che lo ha supportato. Presidente, il Primo Ministro Renzi dice che gli

italiani aspettano da anni questa riforma, dimenticando che non cento anni fa, ma dieci

anni fa gli italiani si sono già espressi, replicando negativamente al quesito.

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Complimenti: state, il Presidente Renzi sta riuscendo in quello che non fu lecito fare

neppure a Licio Gelli. Ci dirà e ci diranno che serve governabilità. Governabile, come

ricorda Zagrebelsky, è chi si lascia docilmente governare. Ebbene, serve Governo e non

governabilità, così come ricordato, appunto, dal professor Zagrebelsky. Serve

partecipazione democratica e serve Governo, non serve governabilità.

Si parlerà, Presidente, di decisione parlamentare da avallare con voto democratico del

referendum. Referendum che è a fasi alterne: referendum democratico, dice il Primo

Ministro Renzi, il referendum, appunto, di ottobre, ma referendum, in questo caso non

democratico, quello di domenica prossima, dove il Presidente Renzi ci indica di andare

ad astenerci dal voto, fondamentalmente. Quindi, ci sono due referendum differenti per

quanto lo riguardano. E mi rivolgo, e vado a concludere, Presidente, anche ai

parlamentari della maggioranza e dei partiti della filomaggioranza che hanno puntellato

questo Governo: queste riforme non sono state volute da voi; sono state volute da quello

che, per anni, è stato il vero capo dell'Esecutivo, ovvero l'ex Presidente della

Repubblica, puntellato da un Parlamento sotto pressanti minacce di scioglimento e

caratterizzato da continui passaggi delle opposizioni alla maggioranza, passando

attraverso gli ormai settimanali, quasi settimanali, voti di fiducia.

La riforma sottoposta, Presidente, a giudizio popolare porta in sé il suo peccato

originale di un Capo di Governo che, svilendola ancora ed ancora una volta, l'ha

trasformata nel suo personale plebiscito, al pari di una campagna elettorale. Invece,

avrebbe dovuto essere intesa, come era necessario fare, non così.

Concludo, Presidente, dicendo che custodirò la nostra attuale Carta costituzionale in

modo geloso e orgoglioso, al fine di poterla tramandare a mio figlio, in qualità di

Costituzione più bella del mondo; e non come carta straccia, piegata e modificata per il

solo volere narcisistico di un Capo del Governo, che per di più non si è mai presentato

ad una consultazione elettorale per entrare in Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Sanna. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SANNA.

Grazie Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi tutti, dal dibattito che abbiamo

svolto e dalla rievocazione dei tanti tentativi di riformare la nostra Costituzione nelle

parti che andavano riviste (quelle che, come alcuni hanno detto, avevano bisogno di

manutenzione, mentre altri, magari in una maniera un pochino più elegante, hanno

ritenuto di dover distinguere tra i principi fondamentali e tutto quello che è il cuore della

cosiddetta forma di Governo – quindi il rapporto tra il Parlamento e il Governo nel

nostro Paese –) da questo dibattito, dicevo, si è capito come probabilmente la revisione

costituzionale si sia dimostrata più difficile della fase costituente stessa. Scrivere una

Costituzione dopo che un Paese è raso al suolo, è più facile probabilmente – credo che

la storia ci abbia dimostrato, ci stia dimostrando questo – che cambiarla, anche in parti

non relative a princìpi supremi: perché le forze in campo si sono consolidate, si sono

stratificate; perché i partiti e le forze politiche hanno in qualche modo assunto la difesa

o la mutazione di una parte della Costituzione ad elemento del loro programma; perché

nel nostro caso molto più banalmente siamo il frutto di una fase eccezionale della

politica italiana, e siamo chiamati, come organi costituzionali deputati alla revisione,

alla riforma della Costituzione, a dover dialogare tra Camere differenti.

La sorpresa nell'ascoltare gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto non è tanto

per il rituale attacco al Governo, o per l'attribuzione generale e specifica di colpe al

partito di maggioranza relativa: è per l'idea che il desiderio di una propria opinione sulla

riforma della Costituzione possa facilmente realizzarsi con le regole della revisione

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della Costituzione. Ci sono colleghi che sono intervenuti alla Camera dei deputati

fingendo che non esista nella modifica della Costituzione un doveroso confronto da

parte della Camera con il Senato della Repubblica: nessuno ne ha parlato ! Che noi

facciamo una revisione della Costituzione, che ridimensiona il sistema bicamerale

perfetto o paritario, come si dice, con il consenso della Camera che perde

completamente il potere di indirizzo politico, il Senato della Repubblica; con una

trasformazione del suo potere, con una trasformazione della figura del senatore, con un

richiamo forte ad una partecipazione ai processi legislativi di autonomie locali che sino

ad oggi potevano semplicemente far battaglia al Parlamento e al Governo davanti alla

Corte costituzionale: bene, di questo sembra che il nostro dibattito abbia smarrito

traccia. E questo probabilmente perché un contenuto di il merito della riforma

costituzionale ! È il merito che ci viene richiesto, e ci viene raccontato, nei vari tentativi

che da oltre trent'anni vengono effettuati dalle Bicamerali, dalle iniziative del Governo;

li richiamerò dopo, queste iniziative e questi precedenti dei Governi della Repubblica:

legittime iniziative e legittimi precedenti, autorevoli precedenti, quanto, ahimè,

scontratisi con la realtà dei fatti e la realtà di una politica che non ha consentito loro di

compiere l'ultimo passo, l'ultimo miglio.

Ma prima di affrontarli, questi temi, vorrei dire una parola chi, in maniera esplicita o in

maniera larvata, ci ha detto che non eravamo abilitati a svolgere la revisione

costituzionale perché siamo un Parlamento viziato dal premio di maggioranza. Certo,

c’è da vent'anni un più o meno forte premio di maggioranza nella determinazione del

Parlamento, dei numeri del Parlamento; però la critica per cui questo Parlamento non

potrebbe occuparsi di riforme della Costituzione perché, si dice, c’è il premio di

maggioranza che intossica tutto, secondo me e paradossalmente si dimostra infondata

proprio perché in questa legislatura straordinaria c’è stato anche un eccezionale

rimescolamento delle carte, sin dai primi giorni della legislatura. Vorrei ricordarlo

all'onorevole D'Attorre, e a tutti quei colleghi dell'opposizione al Governo che hanno

parlato contro tutta o una determinata parte della riforma costituzionale: alcuni di

costoro sono contro la riforma costituzionale, e sono qui grazie al fatto che, come il

sottoscritto, esiste un premio di maggioranza; ma non sostengono la riforma

costituzionale ! Ci sono partiti – penso a Scelta Civica – che non hanno goduto del

premio di maggioranza, e sono a favore della riforma costituzionale. Ci sono persone

che han fatto obiezione di coscienza ai partiti nei quali sono stati eletti, e sono a favore o

contro la riforma della Costituzione. Io credo che da questo rimescolamento di carte, di

persone che hanno assunto legittimamente una posizione politica diversa da quella che

ha originato la loro presenza in Parlamento, l'obiezione per cui noi non possiamo farla,

la riforma costituzionale cade del tutto ! E cade a maggior ragione se teniamo conto che

questa legislatura è andata avanti al suo inizio, proprio perché ha avuto come obiettivo

quello di farle, le riforme, non quello di girarsi dall'altra parte circa la loro necessità.

Circa l'intervento del Governo, vorrei citare non l'episodio dell'iniziativa del

centrodestra nel 2005: ne conosciamo il contenuto, sappiamo anche che fu sconfitta nel

referendum confermativo. Lo voglio dire alle persone che qui si sentono di

rappresentare, il popolo del centrosinistra: come possiamo noi pensare e dire che questo

tema non è stato negli ultimi vent'anni un'evocazione di doverosa iniziativa della

politica del centrosinistra ? E anche del centrosinistra che guidava il Governo !

Faccio una citazione: «Questo Governo considera le riforme istituzionali un punto

fondamentale del suo programma, e pertanto intende dare il suo contributo allo stesso

processo di riforma del sistema elettorale, assumendo la responsabilità delle necessarie

iniziative ai fini del dibattito parlamentare». È il febbraio 1999, Massimo D'Alema,

Presidente del Consiglio dei ministri. «Se avrò – faccio un'altra citazione, più recente –

una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere

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successo, allora il nostro lavoro potrà continuare; in caso contrario, se veti e incertezze

dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazioni a

trarne immediatamente le conseguenze». Enrico Letta, aprile 2013.

E allora la scelta che abbiamo fatto non è una scelta, colleghi, di cui vergognarsi: è una

scelta realistica, è un'ispirazione al principio di realtà che ogni tanto deve anche

riguardare la politica e il dibattito che si svolge in queste Aule. Abbiamo un complesso

di riforme costituzionali in cui non tocchiamo né i principi fondamentali né la forma di

Governo; e la scelta di non intervenire sulla forma di Governo – lo voglio dire a chi ha

detto che noi la stavamo cambiando senza mandato elettorale – è stata una

autolimitazione rispetto al programma della coalizione «Italia. Bene comune».

È stato ricordato qui: la coalizione «Italia. Bene comune» ha fatto la sua campagna

elettorale dicendo che avrebbe cambiato la Costituzione e modificato la forma di

Governo ispirandola ad un rapporto da mantenere tra Parlamento e Governo, ma

rafforzando il potere del Presidente del Consiglio, facendo ricevere ad esso solo il voto

di fiducia e dando al Presidente del Consiglio, secondo un modello che viene chiamato

per similitudine «Westminster», il potere di chiedere lui e di ottenere dal Presidente

della Repubblica lo scioglimento delle Camere. Questo era scritto nel programma di

«Italia. Bene comune». Per quanto ci riguarda sono stati affrontati tutti i temi...

ALFREDO D'ATTORRE. Quale programma ?

FRANCESCO SANNA. Quello che hai contribuito a scrivere anche tu e che ti sei

dimenticato o che fingi di dimenticarti. È esattamente lo stesso programma !

PRESIDENTE. Deputato D'Attorre, per favore ! Prego deputato Sanna, vada avanti.

ALFREDO D'ATTORRE. Stai dicendo una cosa che non è vera !

PRESIDENTE. Deputato D'Attorre, per favore ! Deputato Sanna, continui.

FRANCESCO SANNA.

C’è una connessione quindi inscindibile tra il tempo della politica che abbiamo vissuto

negli anni, ma anche nel momento in cui c’è stato dato di chiedere agli elettori il

consenso per intonare di contenuto questa legislatura, e quello che abbiamo fatto in

questi mesi. Non pochi mesi, perché la discussione sulla riforma costituzionale arriverà,

nel complesso della discussione dei progetti, dall'inizio sino al referendum

costituzionale, a coprire circa tre anni e mezzo della nostra legislatura. Chi ha voluto

immiserire il nostro lavoro dicendo che abbiamo fatto una cosa quasi di nascosto e

frettolosa si confronti almeno con il calendario, se non vuole confrontarsi con le

migliaia di interventi che abbiamo avuto in Commissione, le centinaia di emendamenti

esaminati e le innumerevoli modifiche e impostazioni che le sei diverse letture hanno

impegnato, sia alla Camera che al Senato, decine e decine di parlamentari nelle

Commissioni di merito e quasi mille nelle votazioni in Aula.

Voglio rispondere ad alcuni accenti, però, che in quest'ultimo un tratto del nostro

dibattito sono emersi in maniera più puntuale, alcuni di sicuro interesse: perché solo un

quesito e non tanti quesiti, come alcuni ci avevano richiamato a fare, nell'eventuale

referendum di conferma della riforma costituzionale? E perché dobbiamo trasformare

questo referendum costituzionale in una prova della maggioranza. Inizierei da questo

secondo punto. È una cattiva prova della maggioranza se il referendum confermativo

verrà interpretato – come noi lo interpreteremo – come il doveroso porgere al popolo

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italiano il lavoro che abbiamo fatto, spiegarlo nelle piazze, non solo quelle mediatiche

ma anche quelle vere, nei luoghi dove si svolge la discussione politica e nei luoghi dove

questa discussione politica magari cercheremo di riattivare ? Perchè, questo sarà il senso

del richiamo che la maggioranza che qui sostiene, in Parlamento, il testo di revisione

della Costituzione farà al popolo e al proprio dovere di fare politica, assumendosi il

rischio della proposta faccia, andando a spiegare il perché alcuni contenuti sarebbero

potuti essere diversi ma sono quelli che invece ricevono il voto del Parlamento, andando

a spiegare perché non abbiamo riformato altre parti della Costituzione, riportando

insomma il nostro lavoro davanti al popolo italiano e chiedendo un voto di sostegno

all'innovazione costituzionale, che non è travisamento e non è stravolgimento della

Costituzione ma è una conferma dei suoi principi, è – non voglio usare la parola

«manutenzione» – ridare alla democrazia quell'efficienza e quella capacità di

rappresentare e decidere insieme, che, a mio avviso, è la cifra della nostra Carta

costituzionale. Perché un unico quesito ? Perché c’è una connessione inscindibile tra la

riforma del Senato, come si fanno le leggi quando il Senato non ha più un diritto di

iniziativa e di deliberazione legislativa piena, di come queste leggi possono essere

proposte o abrogate dal popolo e come queste riforme influenzano gli organi di

garanzia.

Per questo ci sarà un solo quesito. Dobbiamo chiederlo noi, il referendum come

maggioranza? Avremo i numeri per farlo, avremo i numeri anche tra la gente, perché

non sono solo i deputati e i senatori che possono chiedere il referendum confermativo,

ma ci sembra che questo sia un «non problema». Non chiediamo un plebiscito, non

chiediamo una conferma dei numeri del Governo, chiediamo però che il Paese riconosca

che in questa legislatura sta accadendo una cosa abbastanza eccezionale, cioè che una

legislatura che doveva finire nel giro di poche settimane si sta trasformando in una

legislatura di cambiamento. Perché, per quanto riguarda gli istituti della democrazia, ha

affrontato il tema del finanziamento diretto ai partiti, ha reagito all'abrogazione, per via

di sentenza della Corte costituzionale, della legge elettorale, ha approvato in questa

Camera una legge sul conflitto di interessi, sta esaminando una legge sui partiti, dopo

che se ne parla dal momento dopo che la Costituzione è stata approvata. Il Parlamento

sta facendo il suo lavoro riformatore. Non credo sia né utile né vero descrivere questo

lavoro come il ripudio di un'idea di partecipazione popolare alla vita del Paese. Anzi, se

noi queste cose non le facciamo, nella finzione che tutto funzioni, abbandoniamo la

democrazia ad una deriva a cui noi non possiamo permetterci di abbandonare.

Non siamo quelli della zattera, non siamo quelli che lasciano la democrazia italiana nel

mare dell'inefficienza, delle carenze raccontateci e contestateci da decenni di dibattiti

politici; non ci giriamo dall'altra parte, vogliamo liberare – e vado a concludere – alcuni

organi costituzionali da alcuni importanti limiti che hanno avuto precedenti riforme. Si è

detto che la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 è stata un disastro, l'ha fatta il

centrosinistra. Bisogna anche essere capaci di dire che non tutto era giusto e non tutto

era sbagliato, ma sicuramente è stato sbagliato, definendo due tipi di competenze

legislative, quelle dello Stato e quello delle regioni, e una competenza concorrente tra

loro, fare della Corte costituzionale un ring tra le regioni e lo Stato. La metà del tempo

del lavoro della Corte costituzionale è stato dedicato negli ultimi anni a fare da arbitro

tra questi due pugili, che in alcuni momenti avevano perso probabilmente la ragione

della leale cooperazione e collaborazione e volevano ciascuno tirare un po’ troppo la

ragione solo dalla propria parte.

Noi, invece, vogliamo portare le autonomie in quanto tali, non solo quelle regionali, nel

processo di formazione della legge statale, perché vogliamo renderle partecipi delle

ragioni della unità dello Stato. Vogliamo evitare il conflitto perenne tra le realtà

istituzionali rappresentative delle nostre comunità; vogliamo che le ragioni di questa

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Italia, diversa da area ad area del Paese, quindi differenziata nei poteri e nel loro

esercizio, trovi uno spazio nella formazione della sintesi delle regole del Paese, che

sono le leggi della Repubblica. C’è stato detto che non c’è equilibrio tra rappresentanza

e Governo: noi crediamo che questo ci sia, perché non abbiamo toccato nulla degli

elementi che fanno la forma di Governo italiano della Repubblica italiana; l'abbiamo

fatto anche quando qualcuno ci diceva «spingete di più l'acceleratore» ma, per il rispetto

che il contesto politico ci porta ad avere del potere di un Parlamento che fa la revisione

della Costituzione e vuole limitarla alle cose più importanti, quelle che servono alla

sopravvivenza – e anche oltre una bella sopravvivenza, direi – della democrazia italiana,

ci siamo fermati. Abbiamo però mantenuto alta la possibilità che, uscendo da questa

fase di revisione costituzionale, noi potessimo dire che l'impegno preso da ciascuno di

noi alle elezioni, ma soprattutto da ciascuno di noi dopo le elezioni, sia stato un

impegno che non ci ha fatto vergognare dal proseguire la vita della nostra legislatura.

Abbiamo la possibilità di fare il referendum a testa alta; abbiamo la possibilità di

spiegare che valorizziamo ogni pezzo della nostra democrazia; abbiamo la possibilità –

e lo dico a voi, colleghi di SEL –, avete la possibilità di dire che, per esempio – perché

fu SEL a fare questa operazione diciamo di serio compromesso di lavoro costituzionale

al Senato –, con un numero maggiore di firme, rispetto alle attuali con 800.000 firme, si

indice un referendum abrogativo e quel referendum è valido se va a votare non la metà

più uno degli elettori, ma la metà più uno degli elettori che hanno partecipato alle

elezioni politiche. Quindi trasfomiamo radicalmente l'istituto del referendum

abrogativo, ciò è merito di un lavoro che abbiamo fatto insieme. Possiamo dire a testa

alta che è vero, può apparire più complicato il procedimento legislativo, ma in realtà

non lo sarà perché il Senato sceglierà i temi su cui interloquire con la Camera politica e

col Governo. Possiamo dire che le leggi di iniziativa popolare si arricchiscono di un

nuovo sistema di proposta e di indirizzo, il referendum appunto, di indirizzo e

propositivo, ma anche le leggi di iniziativa popolare, che hanno la possibilità, non solo

di essere proposte ma di essere approvate entro termini certi. Tutte queste cose le

abbiamo rese possibili noi, le ha rese possibili la nostra discussione, le ha rese possibili

il nostro confronto. Lo diremo agli italiani, lo diremo nelle prossime ore con il nostro

voto: non c’è nulla di cui vergognarci, c’è tanto di cui essere orgogliosi (Applausi dei

deputati del gruppo Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione

sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2613-D)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, il deputato Toninelli, ma non

mi pare che sia in Aula.

ARTURO SCOTTO.

Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO.

Grazie, signora Presidente, signori Ministri, signor Presidente del Consiglio. Lo dico

con estremo disappunto: abbiamo parlato senza essere ascoltati, una discussione anche

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lunga e appassionata, da punti di vista diversi. Non può chiedere, signor Presidente del

Consiglio, che, dopo non aver ascoltato una parola delle forze dell'opposizione,

l'opposizione l'ascolti in questo monologo degno più di un talk show, che di un'Aula

parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia

Libertà). Io le chiedo più rispetto per quest'Aula, glielo chiedo innanzitutto in nome di

un passaggio così delicato e così drammatico come può essere la revisione di un terzo

della Costituzione; più rispetto significa che il Governo dovrebbe stare sotto la

Costituzione, non sopra, come lei e i suoi Ministri pretendete di stare. Dovrebbe forse

ascoltare e rileggersi le parole di uno dei padri della nostra Costituzione, Piero

Calamandrei, quando diceva che quando si parla di riforme costituzionali, il Governo, i

banchi del Governo dovrebbero essere vuoti, perché è materia del Parlamento e non è

materia di ricatto sul Parlamento di un Governo, anche di un Governo come quello

vostro.

E allora, signora Presidente, non abbiamo altra scelta che abbandonare questa

discussione che non si è fatta. Magari leggeremo il resoconto stenografico e faremo le

nostre valutazioni.

RENATO BRUNETTA.

Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENATO BRUNETTA.

Signora Presidente, la ringrazio. Signor Presidente del Consiglio, Governo, avevamo

chiesto questa mattina una riunione della Capigruppo per regolare con onestà e dignità

questa discussione generale; non ci è stato consentito. La Capigruppo sarà dopo la

replica del Presidente del Consiglio, a candele spente. Vede, signora Presidente, questa

è una brutta pagina per la nostra democrazia, brutta. Il Governo è presente in massa:

posti in piedi, direi, a significare l'esatto contrario di quello che chiedeva Calamandrei,

posti in piedi, a calpestare la nostra democrazia parlamentare. Non è una posizione di

forza, questa, signor Presidente, aver precettato Ministri e sottosegretari. Alla

discussione generale hanno partecipato – glielo dico io, signor Presidente del Consiglio

– più parlamentari dell'opposizione, rispetto a quelli della maggioranza. Lei non ha

ascoltato nessuno, ha preferito stare alla buvette, in attesa che parlasse il suo ultimo

relatore del Pd; non ha voluto ascoltare nessuno.

Vede, signor Presidente del Consiglio, la composizione di quest'Aula sembra più quella

di una riunione di direzione del suo Partito Democratico, a questo siamo arrivati. Ora,

visto che, né io, né tutti i miei colleghi del mio gruppo parlamentare, apparteniamo al

Partito Democratico, lasciamo con grande dolore e con grande rammarico quest'Aula,

lasciamo a lei, ai suoi Ministri, ai suoi sottosegretari, a quelli che hanno aggiunto una

sedia e uno strapuntino per essere presenti qui e rispondere al suo precetto, lasciamo

l'onore di calpestare la nostra democrazia.

Auguri, signor Presidente del Consiglio ancora per poco (Commenti di deputati del

gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE.

Onorevole, Brunetta, vorrei solo specificare che la Conferenza dei Presidenti di gruppo

è stata convocata immediatamente. Se è stato scelto l'orario di fine seduta è perché non

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c’è stata una disponibilità prima, quindi queste sono decisioni che prescindono dalla

convocazione della Capigruppo.

DANIELE DEL GROSSO.

Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DANIELE DEL GROSSO.

Grazie Presidente, solo un minuto per dire che oggi il MoVimento 5 Stelle, dopo gli

interventi sulla discussione generale, è rimasto fuori da quest'Aula, questo

semplicemente perché è una settimana tracciata dagli scandali di Governo, ed è lo stesso

Governo che oggi decide di cambiare la Costituzione. E siamo alle ultime battute di

questa riforma, una riforma importante, una riforma alla quale partecipa forse solo un

terzo del PD. Oggi, il Presidente Renzi è stato costretto a portarsi dietro il Governo per

cercare di riempire qualche poltrona in quest'Aula.

Vede, Presidente, noi abbiamo scritto anche al Presidente Mattarella per cercare di

avere un colloquio, per cercare di capire che cosa sta accadendo, per far capire al

Presidente Mattarella che non è possibile che un Governo, un Governo che oggi è

legittimo, votato con il Porcellum, con un Presidente Premier, Renzi, che non è stato

eletto da nessuno, ma è stato scelto semplicemente dal suo partito, oggi possa andare a

modificare la Costituzione, la Costituzione italiana. Questo è uno scempio per l'Italia, è

uno scempio aver visto tutto quello che è accaduto la settimana scorsa su «trivellopoli»,

è uno scempio vedere quello che è accaduto sulle quattro banche, che ha visto coinvolto

il Ministro Boschi, e nemmeno si è dimessa; questo è uno scempio perché stiamo

vedendo un Governo, un Governo oggi illegittimo, oggi accusato gravemente di molte

azioni, modificare la Costituzione con un'Aula semivuota.

Oggi noi abbiamo deciso di rimanere fuori, di manifestare qui fuori a Montecitorio, per

mandare un segnale ai cittadini, per far capire ai nostri cittadini che c’è un'alternativa

possibile e reale allo scempio che oggi governa l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo

MoVimento 5 Stelle – I deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle escono dall'Aula).

CRISTIAN INVERNIZZI.

Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISTIAN INVERNIZZI.

Grazie Presidente. Anche il gruppo della Lega Nord ritiene di non dovere partecipare a

quello che è ormai il termine di una discussione che nulla aggiunge...sì in

rappresentanza del gruppo Lega Nord ci sono io, vi piaccia o non vi piaccia...a una

discussione che è stata lunga e che quindi non porterà nulla di nuovo. Quindi,

abbandono l'Aula anch'io, rifiutandomi di ascoltare adesso la glorificazione di un

Presidente dal Consiglio che utilizza la Costituzione probabilmente perché vuole entrare

nella storia. Spiace soprattutto di non vedere presente, non dico in questa Aula, ma

almeno nel pubblico, nei posti riservati in particolare ai senatori, colui al quale

veramente dovete dire grazie, molte grazie, il senatore Verdini, il convitato di pietra che

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oggi mi spiace non sia presente a vedere l'immenso capolavoro politico frutto di dignità,

integrità, abnegazione. Per cui lascio lei, signor Presidente, la sua maggioranza, si

ricordi nel suo discorso di ringraziare il senatore Verdini, che ripeto è la persona – lui,

non lei ! – senza la quale oggi voi non sareste qui a parlare di riforma costituzionale (Il

deputato Invernizzi esce dall'Aula).

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori non ritengono di replicare. Ha facoltà di replicare il

Presidente del Consiglio dei ministri.

MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri.

Signora Presidente, onorevoli deputati, è con una certa emozione che intervengo qui,

oggi, per rendere innanzitutto omaggio in modo formale e sostanziale a questo

Parlamento, anche a quella parte di Parlamento che ha deciso di non partecipare a

questo mio intervento, ma nulla toglie al valore di quello che essi, anche loro, hanno

fatto, insieme naturalmente ai parlamentari, ai deputati in questo caso, della

maggioranza delle riforme, che hanno lavorato con grande determinazione e con grande

tenacia. Lo dico senza formalismi, lo dico con il cuore in mano: siamo a un passaggio

straordinario. Io vorrei dire grazie a lei, signora Presidente, al suo Ufficio di Presidenza,

alle collaboratrici e ai collaboratori che hanno reso possibile ciò che è accaduto e ciò

che sta accadendo. Vorrei dire grazie a tutti i capigruppo che si sono succeduti, i

capigruppo che hanno lavorato, ai membri della Commissione affari costituzionali, e da

parte del Governo, al Ministro e a tutti i sottosegretari che sono qua, perché quello che

sta avvenendo in queste ore è un passaggio al quale non tutti credevano e in molti casi,

anche noi, pensavamo di non credere più. È un passaggio storico per il nostro Paese. C’è

un unico modo con il quale io posso essere minimamente in grado di restituire questo

sentimento di riconoscenza e cioè quello di prendere, come ho fatto in queste settimane,

riguardare, uno per uno i punti che sono venuti dalle opposizioni, e anche in alcuni casi

dalla maggioranza, di critica e rispondere nel merito. Non abituatevi dunque a questo

tipo di intervento, solitamente i miei discorsi in Parlamento sono molto diversi, ma

questa volta mi sono preparato, uno per uno, sui singoli punti che sono venuti dalle

minoranze, per poter esprimere le motivazioni di merito per le quali questo passaggio è

un passaggio straordinario.

La storia parlamentare italiana parlerà a lungo di questa giornata ed ha ragione il

deputato Invernizzi, che ha parlato qualche istante fa, c’è un senatore a cui dobbiamo

tutto. È un senatore che non è qui, ha sbagliato il nome di quel senatore, ma è un

senatore senza il quale tutto questo passaggio non sarebbe stato possibile. Vorrei che il

primo pensiero di quest'Aula, in questo mio intervento, fosse per il senatore a vita

Giorgio Napolitano (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area

Popolare (NCD-UDC) e Scelta Civica per l'Italia).

È stato il senatore Giorgio Napolitano, in un intervento che fu applaudito anche da una

parte di coloro i quali non sono qua, fatto in questa stessa Aula, di fronte al Parlamento

riunito in seduta comune per il giuramento del Presidente della Repubblica, nell'aprile

del 2013, a utilizzare parole sferzanti, ma cariche di verità, nei confronti della classe

politica, e a sfidare voi parlamentari della Repubblica a fare di questa legislatura la

legislatura delle riforme, a dare un'ulteriore opportunità alla classe politica minata

dall'incapacità di eleggere il Presidente della Repubblica, anche a costo di un sacrificio

personale che vide quel Presidente della Repubblica dover cambiare posizione rispetto a

quello che aveva espresso con grande determinazione e tenacia. Siamo qui perché il

Presidente Napolitano ci ha stimolato e invitato, ma siamo qui anche perché finalmente

la classe politica mostra il meglio di se stessa. Per la prima volta la politica riforma se

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stessa in modo compiuto e organico, non altrettanto hanno fatto altre parti delle classi

dirigenti di questo Paese. Vorrei che dal Parlamento, dalla Camera dei Deputati,

arrivasse forte il messaggio, e lo dico io, che non faccio parte della Camera dei deputati

e che non faccio parte del Senato della Repubblica: le parlamentari, i parlamentari,

hanno dato una grandissima lezione di dignità al resto della classe dirigente di questo

Paese, dimostrandosi, certo con tutte le difficoltà e i limiti (io non mi nascondo che ci

sono dei punti aperti di questa riforma), in grado di far vedere che la politica, quando è

sfidata in positivo, è capace di far vedere la pagina più bella. È accaduto questo, noi non

ce ne dimentichiamo e io sono qui a nome del Governo innanzitutto per rendervi

omaggio e per esprimere la mia gratitudine. Oggi la classe politica dà una lezione a

tanti.

Che cosa è questa riforma ? Lo sapete, c’è bisogno, forse soltanto per gli atti, di ridire

quello che già tutti noi conosciamo in modo diffuso. Cambia la composizione del

Senato, cambia finalmente il rapporto di fiducia tra le Camere e il Governo, che viene

riservato alla sola Camera dei deputati; cambia lo status di senatore, cambiamo le

funzioni del Senato. Il bicameralismo paritario, che era stato un elemento di grande

discussione e di compromesso, almeno in sede di Assemblea costituente, viene meno. Il

bicameralismo paritario, che era stato unanimemente ritenuto un tabù da abbattere, da

destra e da sinistra, in tutti i programmi elettorali, viene finalmente meno. Il

procedimento legislativo viene reso più semplice. Ho molto apprezzato le

considerazioni dell'onorevole Sanna, anche rispetto alle possibili problematiche, specie

in una prima fase. Ma il fatto che si diano dei tempi certi, in particolar modo per

l'istituto del voto a data certa, consente di superare un vulnus della storia costituzionale,

cioè l'abuso della decretazione d'urgenza, abuso dal quale non possiamo ritenerci

immuni neanche noi, voglio essere con molta franchezza trasparente nei vostri

confronti. Non si toccano i sistemi di pesi e contrappesi che sono stati oggetto di grandi

discussioni. Certo, viene modificata la norma sull'elezione del Capo dello Stato, è il

Parlamento in seduta comune che elegge il Capo dello Stato, senza l'integrazione della

composizione con i delegati regionali, ma sono modificati i quorum per l'elezione. Si

interviene pesantemente sul Titolo V, rendendo lo Stato responsabile maggiore, anche

in considerazione di modifiche da apportare, da apporre, a una precedente riforma, i cui

effetti hanno sicuramente delle luci e molte ombre. Viene soppressa la competenza

legislativa concorrente, è introdotta una riserva alla legge statale per la definizione degli

indicatori dei costi e fabbisogni standard, vengono modificati gli istituti di democrazia

diretta e gli strumenti di partecipazione, con un lavoro, è stato ricordato prima, di

grande partecipazione da parte delle opposizioni e anche di una parte significativa della

maggioranza; si sopprimono alcuni enti.

Vorrei, prima di entrare nel merito delle 25 note di distinzione che vorrei

rapidissimamente fare, sottolineare che si è lavorato in modo molto significativo. Si è

lavorato per 173 sedute, al 7 aprile; erano state 170 quelle dell'Assemblea costituente.

L'Assemblea costituente aveva avuto 606 votazioni, 292 approvazioni e 315

respingimenti, 5.271 sono state le votazioni in questo procedimento. In sede di

Assemblea costituente vi erano stati 1.090 interventi, sono stati 4.776 in questo

passaggio senza considerare quelli di oggi. Sono state presentate 1.663 proposte

emendative in sede di Assemblea costituente, 83.322.708 in questo passaggio.

Si domandino, i signori del Parlamento, se l'utilizzo strumentale della discussione

parlamentare è venuto da chi è stato pronto al dibattito e al dialogo in tutte le sedi e in

tutte le forme o da chi ha proceduto a portare 83 milioni di emendamenti, con l'unico

obiettivo di non discutere nel merito quelli su cui si poteva trovare un punto di

convergenza. Sono state tante e numerose le modifiche che sono state introdotte da

questo dibattito parlamentare; io non entro nel merito se queste siano migliori o peggiori

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rispetto alle nostre aspettative, sono le modifiche del Parlamento, e io, signori del

Parlamento, mi inchino di fronte alla volontà popolare che, chi difende la Costituzione,

dovrebbe sapere esprimere attraverso le indicazioni dei deputati e dei senatori. Chi oggi

difende la volontà costituzionale o pensa di difendere la Costituzione e utilizza

l'argomento del «caro Presidente del Consiglio chi ti ha eletto ?», semplicemente non si

rende conto che ciò che viene detto dalla Costituzione è che il Presidente del Consiglio

non è eletto dai cittadini, ma gode di un rapporto di fiducia con il Parlamento della

Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare

(NCD-UDC) e Scelta Civica per l'Italia). La superficialità, l'improvvisazione di chi si

trova a proprio agio fuori dalle Aule del Parlamento molto più che dentro, nel dibattito

costituzionale, è un elemento sul quale i cittadini sapranno riflettere, anche perché in

tanti dicono: andiamo fuori del Parlamento per chiedere che prima o poi si vada a

votare. Quando andremo a votare, tanti di loro resteranno fuori dal Parlamento e non

credo che sarà un problema per la stragrande maggioranza degli elettori medesimi

(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).

Credo che ci sia bisogno di entrare nel merito della discussione sui 25 punti che le

opposizioni hanno segnalato, non prima di aver tolto due elementi dal campo. Il primo:

si dice che questa è la Costituzione più bella del mondo e che è intoccabile; sono

valutazioni molto belle, molto suggestive, ci danno quel valore di appartenenza che io

credo vada considerato un punto positivo. Non ci prendiamo in giro, perché qualcuno di

noi – tutti voi meglio di me, ma qualcuno di noi lo ha fatto non perché doveva votare,

ma perché ha studiato, come tutti gli altri, giurisprudenza o diritto costituzionale –

ricorda che il dibattito in Assemblea costituente e negli anni immediatamente successivi

non era un dibattito pieno di frasi modello «questa è la Costituzione più bella del

mondo». Meuccio Ruini, 22 dicembre 1947, parla all'Assemblea costituente in qualità di

relatore del testo e dice: la seconda parte della Costituzione, Ordinamento della

Repubblica, ha presentato gravi difficoltà, non abbiamo risolto con piena soddisfazione

tutti i problemi istituzionali, ad esempio per la composizione delle due Camere e per il

sistema elettorale. Lo dice il 22 dicembre del 1947, qualche giorno prima della firma di

De Nicola, il relatore di quel dibattito. Ma chi di noi ama, vorrei dire profondamente

ama, il contributo di una parte – noi amiamo il contributo di tutti, ma in particolar modo

della sinistra cattolica in quel dibattito – deve ricordare che non soltanto furono

numerosi gli interventi dei professori, i professorini, come li chiamavano, in sede di

Assemblea costituente, ma vi furono degli appuntamenti immediatamente successivi dei

quali non posso darvi conto in modo compiuto, ma che sicuramente conoscete meglio di

me, e che vorrei invitare ad andare a rileggere, ad esempio andando a prendere il

convegno dell'Unione Giuristi Cattolici del 1951. Io ci sono affezionato, perché fu il

primo intervento di La Pira da sindaco, e andò a parlare, però, nella sua veste, tornando

per una volta a fare un dibattito nazionale, e dice delle cose meravigliose sul rapporto

tra sogno, attese della povera gente e classe politica. Non ne parlo in questa sede.

Vorrei, però, citare Giuseppe Dossetti. La sua relazione al convegno nazionale di studi

dell'Unione Giuristi Cattolici del 1951 cita testualmente, parlando della crisi del sistema

costituzionale italiano, tre anni dopo: è stato strutturalmente predisposto – si riferisce al

sistema costituzionale italiano – sulla premessa di un contrappeso reciproco di poteri e

quindi di un funzionamento complesso, lento e raro, come quello di uno Stato che non

avesse da compiere che pochi e infrequenti atti sia normativi che esecutivi.

Quello su cui avete legiferato e vi accingete a legiferare in via definitiva è una parte

della Costituzione che lo stesso costituente – quei costituenti che abbiamo come delle

figurine e che dovremmo però imparare a leggere e a rileggere – già dopo pochi mesi

considerava deficitaria per la realizzazione di una compiuta democrazia. Vado

rapidissimo sui 25 punti, perché non voglio abusare della vostra pazienza. C’è un punto,

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però, che voglio sottolineare, l'onorevole Sanna ha già discusso di questo anche in

polemica con l'onorevole Scotto: la riforma non doveva essere proposta dal Governo, le

riforme costituzionali devono essere d'iniziativa strettamente parlamentare. Lo dico

all'onorevole Scotto che mi ha accusato di non aver ascoltato le sue, e quelle di altri,

considerazioni; è una critica che rispetto, come tutte le critiche vanno rispettate, ma è

una critica profondamente ingiusta. Vorrei citare all'onorevole Scotto, se solo fosse qui

presente, ma ha detto che leggerà gli atti, ciò che Umberto Terracini, non propriamente

un pericoloso sovversivo, ebbe modo di dire nella seduta di Sottocommissione del 15

gennaio 1947, sto andando a braccio perché non trovo il foglio, ma credo che fosse il 15

gennaio 1947. Alla domanda di Piccioni che chiedeva se si potesse evitare l'iniziativa

del Governo su questi temi, Terracini rispose in modo molto puntuale, contestando la

dichiarazione di Piccioni e mettendo ai voti la possibilità che il Governo avesse

l'iniziativa anche sui temi della revisione costituzionale. La Sottocommissione votò la

proposta Terracini, approvandola. Dunque, il primo punto in discussione – le riforme

non dovevano essere proposte dal Governo – è stato autorevolmente sciolto, non già

dall'esempio, come pure Sanna ha spiegato in modo ineccepibile, di numerosi Governi

che si sono succeduti e che hanno portato iniziative di revisione costituzionale con firma

del Governo, ma addirittura dal presidente Terracini che, prendendo la parola, chiese il

voto su questo e, quindi, dalla discussione dell'Assemblea costituente medesima. Si

vuole difendere i lavori della Costituente, ma poi ci si scorda di leggerli.

Secondo punto: le riforme costituzionali si fanno tutti insieme. Lo dico in particolar

modo a quella che è stata e che è una parte dell'accordo istituzionale e costituzionale:

noi non abbiamo cambiato idea rispetto al testo che oggi andiamo, andate a votare, o

comunque nelle prossime ore. L'argomento che ha portato una parte di questo

Parlamento a venir meno alla parola data e all'impegno preso non ha a che vedere con il

contenuto della revisione costituzionale, il che sarebbe comunque del tutto legittimo, ha

a che vedere con il fatto che questo Parlamento in seduta comune, peraltro, con il voto a

scrutinio segreto di molti di quello stesso gruppo, ha eletto Presidente della Repubblica

quel galantuomo che risponde al nome di Sergio Mattarella, contro i desiderata del

leader di quel partito medesimo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico,

Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Democrazia Solidale-Centro

Democratico, Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento

Associativo Italiani all'Estero, Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani)).

Noi abbiamo tentato di avere una maggioranza più ampia, ma messi al bivio di dover

bloccare quell'intervento, perché qualcuno aveva cambiato idea sul nome del Presidente

della Repubblica, e mantenersi fedeli all'impegno preso con il Presidente della

Repubblica precedente e con la credibilità del sistema politico italiano non abbiamo

avuto dubbi nello scegliere la dignità, la coerenza e l'uniformità di giudizio.

Terzo punto: nel varare le riforme sono state fatte, in Parlamento, forzature inaccettabili.

Credo che l'unica forzatura realmente fatta sia stata presentare 83 milioni di

emendamenti. Non avevamo alternative a quella di andare avanti anche utilizzando tutti

gli strumenti del Regolamento per poter arrivare a conclusione, altrimenti sarebbe stato

il blocco. Ricordo che in più di una circostanza i senatori e i deputati che fanno

riferimento allo schieramento di una parte del centrodestra hanno più volte detto: non ci

sono i numeri, li bloccheremo, l'ostruzionismo fermerà questi dilettanti improvvisati.

Non è stata una previsione azzeccata.

Punto numero 4: la riforma è stata fatta in modo affrettato. Ho già mostrato i tempi e le

sedute, più dei lavori dell'Assemblea costituente. Se il referendum andrà come io

auspico che vada, saranno passati esattamente 30 mesi, sei letture parlamentari, esami e

votazioni, prima in Commissione e poi in Aula, migliaia di emendamenti; non si ricorda

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nella storia costituzionale un dibattito così lungo e prolungato come quello avuto da

questa revisione costituzionale.

In nessun argomento c’è stata una partecipazione di così tanti relatori e interventi come

in questa discussione che il Parlamento di questa legislatura si accinge a concludere. Il

punto numero 5 lo ha già spiegato il deputato Sanna: la riforma è illegittima perché

votata da un Parlamento eletto sulla base di una legge elettorale dichiarata illegittima

dalla Corte costituzionale. Si fa riferimento alla 1 del 2014. In tale sentenza, la Corte

costituzionale esprime in sentenza n. modo chiaro che l'illegittimità della legge – si

chiama legge Calderoli, quella giudicata illegittima – non travolge la legittimazione

giuridica né politica delle Camere della XVII legislatura. Questo è il dettato della

sentenza della Corte costituzionale.

A questo si aggiunge non soltanto la volontà del Parlamento, perché il Parlamento

avrebbe potuto prendere una decisione diversa nella sua sovranità, ma anche le

considerazioni conformi dell'allora Presidente della Repubblica e dell'attuale Presidente

della Repubblica. Ricordo, soltanto da ultimo, per citare il Presidente della Repubblica

Mattarella, il suo intervento alla Columbia University dell'11 febbraio del 2016. La

realtà è da una parte diversa da quella delle chiacchiere. Sesto punto: il Governo e la

maggioranza non avrebbero dovuto chiedere o auspicare il referendum. Sì, è vero, la

Costituzione permette, come garanzia democratica, a una minoranza parlamentare del

20 per cento di chiedere il referendum confermativo, ma questo non impone o non

esclude che altri parlamentari possano chiedere che si vada a votare su questo.

Aggiungo: è stato frutto di un accordo politico. Il Governo è andato in Aula, in Senato,

sulla base di una richiesta dei capigruppo della maggioranza, perché il lavoro che hanno

fatto il Senato e la Camera per modificare questo testo è tutt'altro che banale. Allora i

capigruppo ci chiesero di prendere un impegno solenne, come Governo e come

maggioranza, per andare al referendum confermativo. Stiamo rispettando un impegno

preso con i parlamentari. Settimo punto: non si doveva fare del referendum oggetto di

una strumentalizzazione politica, legando a questo la vita del Governo. È una critica che

è rivolta, in particolar modo, alla mia persona e alle dichiarazioni che ho fatto fin da

qualche mese fa.

Vorrei confermarle e, se possibile, ribadirle. La nascita di questo Governo è dovuta al

fatto che l'Esecutivo precedente si trovava in una condizione di stagnazione.

L'accettazione dell'incarico di Presidente del Consiglio è stata subordinata all'impegno

preso con il Presidente della Repubblica e con i deputati e i senatori a realizzare una

serie di riforme, che possono piacere o meno. Nel momento in cui sulla più importante

di queste riforme non vi fosse il consenso popolare tale da far cadere il castello della

riforma stessa, è principio di serietà politica trarre le conseguenze. La Costituzione più

bella del mondo non si tocca: sono almeno cinque gli articoli già cancellati, sono

almeno 15 le modifiche già fatte. Numero nove: la riforma crea troppe incertezze, creerà

contenzioso. Non vi è dubbio, perché mi piace essere sincero, che vi siano dei punti che

dovranno essere chiariti. Qualsiasi riforma contiene dei margini di incertezza per

definizione, non può che essere così: se tu metti a raffronto un testo che vige da quindici

anni o da settant'anni e uno che è appena entrato in vigore, è giocoforza che vi siano

delle valutazioni diverse, ma questa è una riforma che rende più chiaro e più semplice il

nostro Paese.

Punto numero 10: avete fatto una riforma della Costituzione per risparmiare. Credo che

chi ha seguito il dibattito degli ultimi vent'anni e non è stato ibernato o non è stato in

vacanza su Marte sa che il problema della semplificazione delle regole del gioco

democratico non deriva da un'esigenza di natura economicistica. Altre sono state le

misure prese con finalità economica e/o economicistica: mi riferisco, ad esempio, alla

modifica fatta dal Parlamento precedente, della legislatura precedente, sull'articolo 81

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della Costituzione. Questa riforma, alla fine, farà risparmiare i cittadini ? Sì ! Non lo

considero un elemento negativo, ma non è il motivo dal quale abbiamo preso le mosse.

Entro su punti un pochino più delicati. La riforma – critica numero 11 emersa dal

dibattito parlamentare, che, come vedete, abbiamo ascoltato, studiato e valutato – mette

le istituzioni in mano a una sola forza politica, in particolar modo in combinazione con

l'approvazione di una nuova legge elettorale.

Come sapete, credo di essere uno dei più convinti della necessità della legge elettorale

che abbiamo approvato, ma credo, contemporaneamente, che si debba essere molto

chiari: questo non è un elemento che mette in discussione la riforma costituzionale, in

primis perché tutte le maggioranze qualificate o restano o sono rafforzate. Il Parlamento

in seduta comune, un organo che pure è ridimensionato, consta sempre di 725

componenti. Chi ne controllasse 340, grazie al premio di maggioranza previsto

dall'Italicum, resta sotto di 23 rispetto alla maggioranza assoluta del Parlamento in

seduta comune, resta sotto di 95 rispetto alla maggioranza dei due terzi, resta sotto di

142 rispetto a quella dei due terzi.

La realtà è diversa da quella che viene raccontata. Certo, c’è un obiettivo, che è reso più

semplice dalla fiducia lasciata alla sola Camera dei deputati e dal premio di

maggioranza dell'Italicum: ci accingiamo ad andare verso un modello di democrazia

decidente. Mi spiace che si citi Calamandrei a giorni alterni. Sarebbe molto interessante

che si leggesse ciò che Calamandrei scrive sui limiti di una democrazia che decide. Una

democrazia che non decide è l'anticamera della dittatura, ma il punto centrale è che, se

questo Paese in settant'anni ha avuto 63 Governi e se questo Governo, che è appena

arrivato, è il sesto su 63 per longevità, c’è qualcosa che non torna nel sistema

istituzionale del nostro Paese.

Il meccanismo del voto di fiducia di una sola Camera, con il premio di maggioranza al

partito che vince le elezioni, auspicabilmente porta a dei Governi che durano in carica

per cinque anni e consente alle opposizioni di non fare teatrini e sceneggiate, ma di stare

a prepararsi per tornare al Governo, sempre che ne siano capaci. Punto numero 12: la

riforma introduce una forma di premierato assoluto. A differenza delle proposte

D'Alema e della riforma del centrodestra nella legislatura 2001-2006, questa riforma

non tocca i poteri del Presidente del Consiglio, che è, unicum in tutti i Paesi europei,

soltanto in Italia non in condizione di nominare o di rimuovere i ministri.

Vorrei che questo fosse chiaro, per fare trasparenza: il nostro Paese è il Paese nel quale

la possibilità per il Presidente del Consiglio di incidere è data innanzitutto dalla sua,

presente o meno, autorevolezza che non dagli istituti normativi o dagli istituti

costituzionali. Il Presidente della Repubblica nomina i ministri sulla base delle proposte

del Presidente del Consiglio e non è dato al Presidente del Consiglio rimuovere alcun

ministro, anche ove lo volesse. Modifica numero 13 (sono rapidissimo, perché non

voglio sforare i tempi): il voto a data certa sulle proposte di legge del Governo dà a

quest'ultimo poteri eccessivi. Questa proposta è l'antidoto all'abuso smodato di

decretazione d'urgenza.

La riforma attenta alla democrazia e non assicura le necessarie garanzie: sono stati

aumentati gli istituti di partecipazione, date precise indicazioni sulle garanzie per le

minoranze e le opposizioni, che, naturalmente, dipendono in larga parte dai

Regolamenti parlamentari, i quali dovranno recepire i principi ispiratori di questa

riforma. La riforma responsabilizza davanti agli elettori chi governa e sana anche il

deficit democratico – io lo chiamo così – del fatto che il Senato oggi pesi quanto la

Camera nella fiducia, ma non sia eletto a suffragio universale, tagliando fuori circa 4

milioni di cittadini che stanno tra i diciotto e i venticinque anni, cosa di cui troppo

spesso ci dimentichiamo.

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Sarebbe molto interessante, peraltro, andare a rileggere ciò che in Assemblea costituente

veniva detto a proposito dell'uguaglianza dei cittadini anche rispetto all'età, ad esempio,

dall'onorevole Teresa Mattei. Punto numero 15: tutta la questione legata al Senato, alla

sua composizione e al procedimento legislativo. Le proposte si sono qui sbizzarrite, io

stesso avevo proposto, in partenza, una soluzione che è stata discussa e neanche è

arrivata alla discussione parlamentare.

Per dire quanto ciascuno possa avere una propria valutazione, e quanto però poi sia il

Parlamento sovrano su questo. Chi voleva il Bundesrat, chi avrebbe voluto il

monocameralismo secco, chi sognava un Senato direttamente eletto a garanzia delle

istituzioni, chi avrebbe voluto ridurre il numero dei deputati mantenendo dei senatori

eletti direttamente, chi ha contestato, anche comprensibilmente dal mio punto di vista, i

cinque senatori di nomina presidenziale, che è un argomento che ha più a che fare con il

retaggio di una tradizione che non con una logica di paragone rispetto ad altri Paesi.

Sono molte le considerazioni che si possono fare ! Io dico soltanto che il nuovo Senato è

un organismo e un'istituzione che ha una sua funzione molto chiara, ma che finalmente

non è più il doppione istituzionale della Camera, e questo garantisce la dignità del

Senato e la capacità del Governo di poter lavorare assieme al Parlamento.

Vi è una sedicesima considerazione, che – perché no ? – potrebbe essere oggetto di una

futura revisione: nel nuovo Senato si sarebbe dovuto votare per delegazione, hanno

detto in tanti, prendendo ad esempio il modello del Bundesrat; si è fatta una scelta

diversa. Perché ? Perché la sensibilità politica italiana è diversa rispetto a questo: non si

è immaginato di fare del Senato il luogo nel quale si vota per delegazione, anziché per

appartenenza politica o per valutazione personale. Non è detto, visto che questo è un

tema che resterà nelle discussioni future, che non si possa modificare questo passaggio;

ma credo che fosse più logico oggi trovare la soluzione che poi è stata individuata come

compromesso.

Punto diciassettesimo, e vado a concludere: i procedimenti legislativi sono troppi, ma i

procedimenti legislativi chiamano in causa il Senato nella sua scelta di una funzione e di

un ruolo; toccherà al Senato decidere su quali argomenti chiedere alla Camera un

supplemento di attenzione. Ma questo supplemento di attenzione non toglie alla Camera

la centralità nel procedimento legislativo ! Vi è una questione, quella dell'articolo 80,

che io reputo fondata: lo dico perché a mio giudizio bisogna essere molto chiari.

L'articolo 80 pone una questione tecnica non irrilevante: le ratifiche dei Trattati

internazionali sono di competenza della sola Camera; siccome in genere sono votati

insieme alle norme interne che vi danno attuazione, queste potrebbero, pur toccando

materie altrimenti affidate alla legge bicamerale, saltare il Senato. È un argomento vero,

un argomento serio. È però anche, per chi ha studiato l'Assemblea costituente e poi la

Carta costituzionale, esattamente l'articolo 80 com'era stato pensato dal Costituente.

Infatti il modello costituzionale originario prevedeva la legge di autorizzazione alla

ratifica solo per i Trattati di maggior rilievo, mentre la prassi parlamentare ha esteso

questa modalità a tutti i Trattati: così che noi possiamo immaginare il nuovo articolo 80

in un certo modo, un ritorno alle origini volute dai Costituenti.

Rispetto alla valutazione politica per la quale il Titolo V (punto diciannovesimo) è una

controriforma rispetto a quella del 2001, Sanna ha utilizzato parole molto più

diplomatiche delle mie. Io credo che per alcuni aspetti effettivamente lo sia, perché il

Titolo V nel 2000-2001 fu approvato, peraltro da una parte politica alla quale mi onoro

di appartenere, più come un riflesso politico ad una situazione che si stava vivendo che

non come maturata valutazione e scelta. Naturalmente è legge costituzionale: ottenne il

consenso degli italiani, il 34 per cento degli italiani andò a votare per quel referendum, e

una percentuale significativa si schierò per il sì. Come sapete il referendum

costituzionale è l'unico referendum per il quale non è previsto il quorum: l'unico fino

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all'approvazione di questa medesima riforma. Credo però che sia un fatto positivo che si

dia chiarezza: per uscire dal dibattito tecnico e noioso credo che sia un dovere che i

cittadini sappiano che le spese di promozione turistica non saranno affidate alle singole

regioni, o che le questioni energetiche nazionali, in un mondo nel quale l'energia è

questione di valore internazionale, non possano vedere scelte diverse tra una regione e

l'altra. Io trovo che sia un fatto di serietà, che si intervenga in questa direzione.

Ovviamente, anche questo è un testo profondamente modificato rispetto a come il

Governo l'aveva presentato alla vostra attenzione.

Si dice che la clausola di supremazia prevista dal comma 4 del nuovo articolo 117, del

117 novellato, avvilisce l'autonomia regionale: io dico che ne costituisce elemento di

garanzia. Si dice che i limiti alle regioni (punto ventunesimo) in materia di costi della

politica umiliano l'autonomia delle regioni: credo che esaltino la dignità dell'essere

consiglieri regionali, dopo tante pagine di scandalo alle quali abbiamo avuto modo di

assistere. Si dice – lo fanno anche autorevoli professori, anche alcuni professori con i

quali ho avuto la buona sorte di poter studiare da studente – che la scelta di abolire la

legislazione concorrente costituisce un errore: io credo che sia stato un clamoroso errore

aver impostato la concorrente come è stato fatto con la riforma del 2001. Si dice (punto

ventitreesimo) che non sono state riformate le regioni a statuto speciale; e si dice una

cosa vera: non sono state riformate. In parte perché, come sapete, in un caso vi è un

Trattato di natura internazionale: mi riferisco alla provincia autonoma di Bolzano; ma

anche perché non vi era in questo Parlamento una maggioranza sufficiente ad

approfondire questa discussione; ed è bene dirlo con grande chiarezza: avendo anche

molti opinioni diverse sul singolo punto.

Le ultime due questioni. Non è opportuno che il Senato elegga due giudici della Corte: è

stata una discussione su cui Camera e Senato hanno vivacemente pugnato. Credo che si

sia trovato un compromesso che assicura alla Corte costituzionale un livello di qualità

indiscutibile. E infine, che l'elezione del Presidente della Repubblica non è ben

disciplinata. Qui occorre mettersi d'accordo: se si vuole che nessuna forza politica da

sola possa di norma eleggere il Presidente, salvo che conquisti una valanga di voti

imprevedibile, occorrono dei quorum alti. La riforma fa questa scelta, e prevede che non

si possa mai scendere sotto i tre quinti dei votanti. Da questo punto di vista si introduce

un elemento discutibile: io per esempio nella discussione in sede di Governo avevo

un'opinione diversa; però che è un elemento di garanzia, perché è del tutto naturale e

fisiologico che andare ad eleggere con i tre quinti dei votanti significa avere un numero

importante di consenso. Naturalmente, l'esperienza dirà se questo è un punto sul quale il

consenso che è stato raggiunto ha valore o meno.

Vi sono molte altre critiche, ma devo concludere per ragioni di tempo. Arrivo al punto

politico – e torno all'amata politica, dopo 25 considerazioni di merito, che però

potrebbero allargarsi e contenere tutte le modifiche proposte per i referendum e per la

modifica di quorum, Sanna lo ha già spiegato; e anche la parte costituzionale in cui si

affida ad una legge costituzionale la possibilità di disciplinare l'istituto referendario, che

è un tema molto interessante: l'istituto referendario del referendum propositivo,

costituendo con ciò un'innovazione significativa rispetto alla tradizione italiana. Ma c’è

un punto politico sul quale vorrei davvero chiudere; e non è citando Dossetti o

Calamandrei, la democrazia decidente o Terracini, vorrei chiudere ricordando a tutte e a

tutti noi come siamo partiti con questo lavoro. Il 12 marzo 2014, 20 giorni dopo essere

passati dal giuramento del Quirinale e qualche giorno dopo aver ottenuto la fiducia, noi

abbiamo chiesto alle forze vive del Paese di esprimersi con il metodo del confronto.

Abbiamo fatto seminari, incontri; poi abbiamo licenziato un testo in Consiglio dei

ministri, in linea con ciò che il Governo era chiamato a fare dal punto di vista politico e

costituzionalmente messo in condizione di fare per le valutazioni di Terracini e per il

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voto della sottocommissione dell'Assemblea costituente del 15 gennaio 1947. A quel

punto è partito un dibattito, che è stato più corposo di quello dell'Assemblea costituente.

Si può essere d'accordo o meno con il lavoro al quale il Parlamento è arrivato, ma quello

che deve essere chiaro è che oggi vince la democrazia. La democrazia non significa

cercare di non far votare gli altri, la democrazia non si chiama ostruzionismo, la

democrazia non si chiama fuga dall'Aula quando mi accorgo di non avere i voti: la

democrazia si chiama confronto, discussione punto per punto sugli argomenti critici, e

poi espressione libera e democratica di voto.

Sostenere che vi sia stata una lesione della democrazia perché oggi il Parlamento

sceglie, sulla base del modello previsto dalla Costituzione italiana, di modificare la

Costituzione, significa fare a pugni con la realtà; significa avere una visione della

democrazia che è tipica di chi non ha letto la Costituzione e i lavori preparatori della

medesima; significa pensare che gli italiani non siano in grado di valutare, non siano in

grado di capire se questo tipo di percorso è corretto o no. Uno può dire che non è

d'accordo su tutto, può dire che non è d'accordo su niente, può votare a favore o votare

contro, ma scappare dal dibattito è indice di povertà sui contenuti. Lo dico qui – e

termino – perché so che la campagna referendaria non discuterà soltanto di contenuti,

devo essere franco con voi, signora Presidente, onorevoli deputati, anche per mia

responsabilità, perché nel dibattito della campagna elettorale che questo Governo farà,

io in prima persona, a viso aperto, come avrebbe detto padre Dante Alighieri, con

determinazione, con convinzione, con tenacia e con tutta l'energia di cui sono capace

non discuteremo soltanto di singole norme o di valutazioni giuridiche, non citeremo

Mortati o La Pira, discuteremo anche di argomenti più demagogici, più popolari, spero

non populisti; discuteremo anche di questo, perché anche di questo è fatto il confronto

democratico. E io sarei ingiusto verso la signora Presidente, verso di voi e anche verso

me stesso se non dicessi questo, ma quello che tenevo a fare oggi era sottolineare come

tutte le obiezioni di merito – alcune delle quali possono trovare anche un accoglimento

da parte di chi si accinge a votare «sì», perché questa è la bellezza del compromesso

alto e nobile che fu alla base della Costituzione della Repubblica, che fu alla base di

quel lavoro straordinario di donne e uomini che pure discutevano e litigavano su tutto

ma che poi furono capaci di trovare un punto d'intesa –, ebbene, quel lavoro lì ha la

necessità, alla fine, di trovare un compromesso alto, bello, nobile. Questa era

l'attenzione che si doveva dare alla Carta costituzionale. Ho preso terribilmente sul serio

le critiche che sono venute dalle opposizioni, che oggi sono scappate di fronte alla

possibilità di confrontarsi nel merito.

Noi non pensiamo di aver fatto tutto bene, ma siamo certi che aver finalmente

adempiuto a un obbligo morale, giuridico – perché su questo si giocava il voto di fiducia

–, politico e culturale, che dimostra che la classe politica può cambiare se stessa, è stato

l'unico modo con il quale noi oggi possiamo essere degni di rappresentare il popolo

italiano. Saranno i deputati a decidere se questo modello di riforma costituzionale

merita i 316 voti necessari per arrivare al passaggio finale; sarete voi, signori del

Parlamento, a decidere se andare o no al referendum, come mi pare che sia stato deciso

e come sarà comprovato dalla raccolta delle firme; saranno i cittadini italiani a decidere

se finalmente l'Italia vuole entrare nel futuro, anche istituzionale.

Quello che io voglio dirvi con umiltà e rispetto è che finalmente, dopo molti anni, la

classe politica dà una lezione di serietà e di civiltà. L'avete fatto voi, nessuno ci avrebbe

scommesso in quell'aprile del 2013; io, a nome del Governo, non posso che darvene atto

(Prolungati applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare

(NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Democrazia Solidale-Centro Democratico,

Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo Italiani

all'Estero, Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani) – Congratulazioni).

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PRESIDENTE.

Ringrazio il Presidente del Consiglio. Colleghi, il seguito del dibattito è rinviato ad altra

seduta. Sospendo la seduta, che, come è noto, riprenderà al termine della riunione della

Conferenza dei presidenti di gruppo.

La seduta, sospesa alle 19.05, è ripresa alle 20,10.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

TESTO AGGIORNATO AL 12 APRILE 2016

(ore 15) –

2. Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:

S. 1429-B – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione

del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle

istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della

Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima

deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato,

approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in

seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato)

(C. 2613-D).

–Relatori: Fiano, per la maggioranza; Toninelli e Quaranta, di minoranza.

La seduta termina alle 20,15.

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XVII LEGISLATURA

Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 606 di martedì 12 aprile 2016

Disegno di legge costituzionale: Disposizioni per il superamento del bicameralismo

paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di

funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V

della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato,

modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione,

dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e

approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti,

dal Senato) (A.C. 2613-D) (Seguito della discussione ed approvazione) ...

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XVII LEGISLATURA

Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 606 di martedì 12 aprile 2016

INDICE

PRESIDENTE. 98

MARA MUCCI. 99

MATTEO BRAGANTINI. 102

PIA ELDA LOCATELLI. 103

RENATA BUENO. 105

ALBRECHT PLANGGER. 106

IGNAZIO ABRIGNANI. 107

ANDREA MAESTRI. 109

SAMUELE SEGONI. 110

DANIELE CAPEZZONE. 112

ROCCO PALESE. 114

IGNAZIO LA RUSSA. 116

GIAN LUIGI GIGLI. 118

CRISTIAN INVERNIZZI. 120

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. 122

FERDINANDO ADORNATO. 124

ALFREDO D'ATTORRE. 126

RENATO BRUNETTA. 128

DANILO TONINELLI. 130

ETTORE ROSATO. 133

GIUSEPPE LAURICELLA. 135

ADRIANA GALGANO. 135

EUGENIA ROCCELLA. 136

PRESIDENTE. 136

Votazione nominale finale Disegno di legge costituzionale C. 2613-D 137

RENATO BRUNETTA. 137

GIUSEPPE LAURICELLA. 140

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XVII LEGISLATURA

Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 606 di martedì 12 aprile 2016

PRESIDENTE.

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle 15 con il seguito della

discussione del disegno di legge costituzionale recante disposizioni per il superamento

del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento

dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del

Titolo V della parte II della Costituzione.

La seduta, sospesa alle 11,15, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

PRESIDENTE.

Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della

seduta.

I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco

depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della

seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato

A al resoconto della seduta odierna).

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 1429-B –

Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del

numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle

istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della

Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima

deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato,

approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato,

in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal

Senato) (A.C. 2613-D).

PRESIDENTE.

L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale,

già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione,

dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza

modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda

deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi 2613-D: Disposizioni per il

superamento dei componenti, dal Senato, n. bicameralismo paritario, la riduzione del

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numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la

soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.

Ricordo che nella seduta dell'11 aprile si è conclusa la discussione generale ed è

intervenuto in sede di replica il Presidente del Consiglio dei ministri, mentre i relatori vi

hanno rinunciato.

Avverto che trattandosi di seconda deliberazione su una proposta di legge

costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo 99 del Regolamento, si procederà

direttamente alla votazione finale.

(Dichiarazioni di voto finale – A.C. 2613-D)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Mara Mucci. Ne ha facoltà.

MARA MUCCI.

Presidente, colleghi, questo è l'ultimo passaggio che ci vede qui in Aula a parlare di

riforme costituzionali; vedo anche la Ministra Boschi in ascolto. Una riforma che

comporta grandi modifiche alla nostra Costituzione, nonché all'assetto del nostro Stato:

39 articoli, che è indubbio che vanno a cambiare notevolmente l'assetto della nostra

Costituzione, nonché delle istituzioni che la compongono. Modifichiamo il 35 per cento

degli articoli e il 58 per cento della sua Parte II; modifiche – tra l'altro, questo fa un po’

sorridere – votate da un Parlamento che all'inizio di questa legislatura non è stato in

grado di eleggere il Presidente della Repubblica e ha visto la rielezione di Giorgio

Napolitano, e promosse da un Governo al quale, sappiamo, la fiducia è stata votata da

un Parlamento eletto con il Porcellum, dichiarato poi incostituzionale dalla Consulta.

Diciamo quindi che siamo partiti con notevoli difficoltà, almeno su questo possiamo

essere tutti d'accordo.

Oggi modifichiamo in modo profondo la Costituzione, apportando modifiche di entità

rilevante che incidono anche sui nostri lavori quotidiani: parlo del superamento del

bicameralismo paritario, che nel tempo ha contribuito sicuramente ad una notevole

incertezza legislativa, fonte anche di destabilizzazione del Governo, fonte anche di

discussioni tra le diverse Camere, che erano votate con leggi elettorali che davano

maggioranze differenti, e sulla base anche di territori differenti, perché il Senato è eletto

su base regionale. La staffetta, che io considero anacronistica, che noi viviamo tutti i

giorni, ci ha portato a vedere diverse volte progetti di legge impantanatisi poi in un ramo

piuttosto che nell'altro: appunto perché maggioranze differenti e persone diverse

portavano avanti le proposte. Quindi di fatto penso che già vivessimo un

monocameralismo latente, in quanto spesso e volentieri i progetti di legge venivano

discussi in una Camera e poi veniva posta la fiducia nell'altra. Sicuramente quindi

queste modifiche costituzionali vanno a snellire il procedimento, in quanto la parte

maggiore del procedimento legislativo avverrà soltanto qui alla Camera: saranno

soltanto 22 i temi che saranno posti al confronto del dibattito in un assetto di

bicameralismo.

Tutto questo è garanzia di buona legiferazione, mi chiedo ? Io non credo basti questo

per avere una legiferazione migliore: sicuramente si deve partire da un'analisi più

interna, interna anche al dibattito dei gruppi parlamentari, dei partiti politici. Penso

anche alla capacità di migliorare l’accountability nei confronti dell'elettore, piuttosto

che quindi responsabilizzare gli eletti; e penso anche ad un'informazione che dev'essere

sicuramente di qualità superiore e indipendente rispetto al dibattito che avviene in

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queste Aule. Tutto questo ritengo possa essere ossigeno nell'atmosfera spesso pesante

della politica.

PRESIDENTE. Colleghi, per favore... Grazie. Prego, continui pure.

MARA MUCCI.

L'iter legislativo, dicevo, cambia profondamente: alla Camera resta piena facoltà

legislativa, e il Senato potrà emendare progetti di legge della Camera, ma la Camera

potrà respingerli a maggioranza semplice o talora assoluta.

Viene ridefinito profondamente l'assetto del Senato, composto da consiglieri regionali.

L'obiettivo in questo caso del Governo immagino fosse quello di valorizzare le

autonomie territoriali dello Stato, riducendo i momenti di contrasto tra la sede centrale e

quelle decentrate. Ieri il Presidente Renzi però ha ripetuto un'osservazione che è stata

fatta anche in seno alla Commissione affari costituzionali in queste Aule, che non è

detto comunque che i momenti di contenzioso caleranno o saranno ridotti; però

sicuramente una ridefinizione del Titolo V e dei vari temi che devono affrontare le

assemblee locali, certamente viene apportata con questa modifica costituzionale, e io

spero abbia la sua efficacia.

Dicevo che viene modificato l'assetto del Senato: un assetto che vorrebbe fare emergere

un canale preferenziale per le istanze territoriali, un luogo di confronto che non sia la

Conferenza Stato-regioni, bensì più ampio, come quello di un'Assemblea senatoriale.

Per fare questo, però, a mio avviso serviva un legame forte tra i senatori e le istituzioni

locali che questi rappresentano: mi chiedo se questo avverrà. La mia risposta è «snì»: ad

esempio i consiglieri regionali non fanno parte dell'esecutivo delle regioni, non vi è

vincolo di mandato imperativo, in base all'articolo 67 dalla Costituzione, che rimane

come l'originale; stride quindi in questo caso la coesistenza della rappresentanza

territoriale con la conservazione del principio di divieto di mandato imperativo. Ciò a

mio avviso potrebbe essere un ostacolo nel rapporto che dovrebbe instaurarsi invece con

gli enti locali, che dovrebbero portare le proprie istanze in modo anche più forte

attraverso l'Assemblea senatoriale, che poi può incidere nel processo legislativo.

Dicevo che 22 sono le categorie di leggi che restano bicamerali. È evidente come, oltre

al cambiamento, vi siano anche elementi che non aiutano però la chiarezza di come

qualitativamente e sostanzialmente sarà in futuro l'apparato amministrativo dello Stato.

Credo che questa riforma noi impareremo a conoscerla vivendola. Saranno necessari

indubbiamente dei correttivi, sarà necessario anche un Regolamento del Senato che

possa essere all'altezza e in grado di far lavorare pienamente i senatori che, ricordiamo,

hanno comunque un altro compito, perché sono anche all'interno delle istituzioni

territoriali, altrimenti questo assetto non avrebbe un significato. Però ci siamo

interrogati, ci siamo interrogati a lungo se non sarebbe stato meglio un vincolo

maggiore, un vincolo di mandato con le assemblee territoriali, che potesse comunque

rendere il rappresentante delle istituzioni, con un criterio di maggiore accountability,

responsabile del proprio operato, però rappresentante e portatore delle istanze territoriali

in modo più forte, se vogliamo; ma questo lo vedremo. Come funzionerà questo nuovo

Senato e quanto potrà incidere sui progetti di legge che porterà avanti la Camera, come

sarà anche organo di controllo, se vogliamo, dell'operato dalla Camera, lo impareremo

vivendolo.

Viene poi dettata una nuova procedura per quanto riguarda la dichiarazione dello stato

di guerra: su questo non sono d'accordo, preferivo un bicameralismo su questo punto.

Viene rivisto, come dicevo, il Titolo V della Costituzione, fonte di grandi contenziosi,

di intasamento per la Corte costituzionale: un Titolo V molto discusso, molto criticato.

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Tutto questo dipendeva dalla difficoltà di tracciare linee nette tra i differenti ambiti

previsti dall'attuale articolo 117 della Costituzione; vedremo anche qui se queste

modifiche porteranno beneficio.

Vi è una modifica anche per quanto riguarda la procedura di elezione del Presidente

della Repubblica, dei giudici della Corte costituzionale; si introduce un procedimento

legislativo «motorizzato», secondo il quale entro 70 giorni la Camera dovrà approvare i

disegni di legge che il Governo considera importanti nell'attuazione del proprio

programma. Su questo punto io sono d'accordo, troppo spesso c’è stato un alibi per

porre questioni di fiducia o maxiemendamenti, questo diciamo che andrà a risolvere il

problema, posto che, comunque, la qualità della nostra legiferazione non dipende dalla

quantità di leggi che noi portiamo avanti, ma dal dibattito indipendente, serio,

indipendente anche dal consenso elettorale, che potrà ciascuno di noi portare in seno a

queste Aule. La riforma interviene, quindi, su punti deboli, ma lascia criticità: bene, lo

Statuto delle opposizioni che vedremo se i Regolamenti riusciranno ad attuare. Manca,

secondo me, un'analisi a monte rispetto alla riforma delle regioni; rispetto

all'accorpamento di regioni, potevamo fare un discorso più ampio prima di rivedere

l'assetto istituzionale di Camera e Senato, perché è indubbio che anche le istituzioni

locali, territoriali, e parlo delle regioni, in questi anni, hanno accusato il colpo di una

delegittimazione forte, di una mancanza anche di credibilità stessa. Quindi, magari, un

riferimento futuro agli accorpamenti andrà fatto. Però vengo al nodo cruciale che per me

è il più importante: dire «referendum» non basta, il referendum che avremo presto su

queste riforme, in quanto queste riforme non sono state votate con la maggioranza

qualificata, porta con sé un problema anche di democrazia e di Stato di diritto. A questa

monumentale riforma – in virtù della sua composizione e della genesi, anche, che vi ha

portato – una consultazione secca sul «sì» o sul «no» non mi vede soddisfatta. Siamo

chiamati a votare, con un voto unico, grandi modifiche alla nostra Costituzione che è

difficile ricondurre ad una scelta tra «sì» e tra «no», una scelta insufficiente, impropria,

proprio per l'eterogeneità della riforma. Il tema non è schierarsi pro o contro il Governo,

il problema è posto a livello più alto, ovvero è un problema di democrazia e di Stato di

diritto. La riforma non è un monolite da digerire tutt'uno, ma va, appunto, discussa e

andrebbe discussa per temi, anche dividendo i temi di riforma in macro aree. Oggi ha

scritto un bell'articolo Ainis sul Corriere che vi invito a leggere, ed emergerebbero, in

questo caso, diverse categorie del contesto distinto, in un unico requisito non si dà

libertà di scelta, ma si favorisce solo il cambiamento o la conservazione che sta più a

cuore all'elettore. Questa non è, a nostro avviso, una libertà di scelta. Stessa sorte se al

referendum si continuerà a dare il significato accessorio di plebiscito sull'operato del

Governo Renzi; così è troppo facile. La logica del plebiscito pro o contro nega in

partenza al referendum la possibilità di essere un esercizio democratico; la

consultazione di un popolo deve essere informata e il popolo deve essere libero di

scegliere. Il referendum è consultazione di un popolo, appunto, che, però, deve essere

messo nelle condizioni giuste ed è indubbio che modificando 39 articoli della

Costituzione sarà complicato poi spiegarne il significato.

PRESIDENTE. Concluda.

MARA MUCCI.

Concludo dicendo che, quindi, chiederemo e chiediamo che venga portato avanti il

referendum per parti separate, che si indica un comitato per la libera espressione del

voto in seno a questa riforma e che si metta anche il cittadino nella possibilità di

raccogliere le firme per chiedere referendum e quesiti separati.

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Matteo Bragantini.

Ne ha facoltà.

MATTEO BRAGANTINI.

Onorevole Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi e

colleghe, come già è stato detto più di una volta, questa è una riforma nata male, sia per

quanto riguarda come è venuta nella struttura che come è venuta nella parte finale, dove

ci sono tantissime parti che non ci piacciono, che rappresenteranno, a mio avviso, dei

problemi e speriamo di risolverli. È nata male perché, a nostro avviso, una riforma

costituzionale, se vogliamo veramente fare una riforma per il bene dello Stato e la tutela

dell'Italia, non deve partire per iniziativa del Governo o di una maggioranza, perché se

parte per iniziativa del Governo o di una maggioranza, necessariamente, si entrerà in

una dinamica elettorale e governativa e non in una dinamica per fare le riforme per lo

Stato.

Era già successo nel 2001, quando è stata fatta una riforma costituzionale da parte del

PD; è stata fatta nel 2006, dove, sempre il PD, che aveva votato a favore della riforma

costituzionale «devolution», alla fine, ha votato contro e ha fatto campagna contro

quella riforma, perché diceva che alcuni punti gli piacevano, altri no, ad esempio quello

che prevedeva che la diminuzione dei parlamentari sarebbe avvenuta dopo una

legislatura, dunque nel 2011. Dicevano: è troppo distante. E, dunque, nel 2006 si è persa

un'occasione, si è votato contro una riforma costituzionale e cosa è successo ? Che dopo

dieci anni stiamo facendo un'altra riforma costituzionale e, dunque, anche se ci sono

tanti punti negativi – noi abbiamo tentato di modificarla sia nel primo passaggio qui alla

Camera, sia nel secondo passaggio –, noi riteniamo che in questo voto finale, dove c’è

semplicemente un «sì» e un «no» – dunque se si vota «no» si ritorna, come nel gioco

dell'oca, alla casella di partenza – è meglio un «sì» sofferto a una riforma che va

finalmente ad abolire il bicameralismo perfetto, piuttosto che ritornare al punto di

partenza e, magari, fra dieci anni ricominciare la manfrina, con, però, l'auspicio e la

richiesta a tutte le forze politiche che il prima possibile – ovviamente ormai nella futura

legislatura – si vada veramente a rimediare agli errori di questa riforma e a fare una

riforma costituzionale con un'Assemblea costituente, sganciata totalmente da dinamiche

parlamentari, ordinarie ed elettorali, e così, forse, finalmente, andremo a fare una

riforma che funzioni. Anche ieri ho sentito il Premier che diceva che forse si poteva fare

un Senato con dei delegati delle regioni e non delegati o indicati dalle forze politiche

che governano le regioni; ma questa era la proposta che avevano fatto tutte le forze

politiche, tutti, a parte, probabilmente, e di sicuro, Forza Italia che con il patto del

Nazareno aveva fatto questa richiesta. Ma tutte le forze politiche avevano detto che il

Senato, se è un Senato delle regioni, se è un Senato delle autonomie, doveva essere

rappresentato dalle regioni con vincolo di mandato e doveva andare a sostituire la

Conferenza Stato-regioni, bisognava fare un sistema alla tedesca; questo avrebbe

funzionato maggiormente, questo era il sistema auspicato da tutti. Per la volontà – e

questo è un errore della maggioranza – di mettere la bandierina politica sulla riforma

costituzionale, è stata fatta una riforma costituzionale con molte problematiche e con

una tensione al proprio interno durante la discussione dovuta, semplicemente ed

esclusivamente, al fatto che chi vota «no» è contro questo Governo, chi vota «sì» è a

favore di questo Governo. Non è così che si dovrebbero affrontare le riforme; le riforme

si dovrebbero affrontare con un «sì» e un «no» se la riforma va bene o male o se la

maggior parte della riforma va bene o male, non se si è per il Governo o contro il

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Governo. Io capisco che dal punto di vista politico-elettorale anche Renzi ci sta

giocando, ma non si sta facendo il bene dello Stato.

Per questo motivo, anche se questa riforma, come ho detto prima non ci piace, e non mi

dilungo con tutti i motivi per i quali non ci piace, noi voteremo a favore perché non

vogliamo ritornare alla casella di partenza, non vogliamo rimanere nello status quo dove

ci sono un bicameralismo perfetto su tutte le materie, dove in ogni caso qualsiasi legge

elettorale si farà, anche per il Senato, ci saranno due maggioranze differenti e dunque

vuol dire che ci sarà sempre e comunque un problema di governabilità di questo Stato,

problema che stiamo vivendo ormai da troppo tempo e che, dunque, almeno con le

prossime riforme, tenteremo di sistemare.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Pia Locatelli. Ne

ha facoltà.

PIA ELDA LOCATELLI.

Grazie, signora Presidente. Come abbiamo già detto in diverse occasioni, la legge di

riforma costituzionale, oggi al sesto ed ultimo passaggio parlamentare, non è

propriamente quella voluta dai socialisti: non lo è nei contenuti, migliorati, comunque,

nei diversi passaggi tra Camera e Senato, e non lo è per il metodo. Il metodo, appunto:

ancora una volta, ribadiamo che sarebbe stato senza dubbio meglio adottare la strada

maestra di un'Assemblea costituente, che, svincolata dall'esame di altri provvedimenti,

avrebbe potuto dedicare più tempo e andare più in profondità in un clima complessivo

di maggiore serenità, pur senza escludere il confronto, anche aspro.

Sarebbe stato anche un modo per costruire un importante collegamento, come ci ha

detto ieri il collega Tabacci, cioè una continuità, con la prima Assemblea costituente,

cercando, oggi come allora, di costruire una riforma il più possibile condivisa.

Purtroppo, siamo rimasti gli unici a sostenere la necessità di questo confronto.

Noi socialisti fummo i primi a lanciare l'idea di una grande riforma, era il 1979, così

come fummo gli unici, nel corso della conferenza di Rimini, rimasta nella memoria

comune per il tema dei meriti e dei bisogni, a proporre il superamento di due Camere

con uguali poteri, ossia uno dei cardini dell'attuale riforma, suscitando, allora,

un'opposizione virulenta. La stessa opposizione che ci fu nella Commissione bicamerale

del 1997, formata da 70 parlamentari, e, tra questi, il segretario nazionale del PSI, che

avanzò la stessa proposta.

Fummo ancora noi a parlare di trasformazione del Senato in Camera delle regioni, sul

modello del Bundesrat tedesco, composta da rappresentanti dei governi regionali e con

compiti di garanzia e controllo. Le buone idee, evidentemente, non muoiono, e oggi si

pone fine alla lunga esperienza del bicameralismo paritario, ai ripetuti passaggi di

provvedimenti tra Camera e Senato e ad un iter legislativo lungo e farraginoso. Con

questa riforma ciò non accadrà più ed è soprattutto per questo motivo che il gruppo

socialista, che ha affrontato senza pregiudizi il dibattito e il processo di revisione

costituzionale, voterà a favore del provvedimento, nonostante numerose perplessità e

qualche affermazione demagogica di troppo.

È stato detto, ad esempio, che la riforma del Senato, non prevedendo indennità per i suoi

senatori, è positiva perché comporta una riduzione della spesa pubblica. A noi questo

sembra un messaggio sbagliato, populista. Il Senato va modificato e ridimensionato, ma

non per una questione di costi. La democrazia ha un costo e sarebbe inaccettabile

rinunciare ad una parte della democrazia in nome del risparmio. Certo, avremmo

preferito che il nuovo Senato ricalcasse maggiormente il modello del Bundesrat tedesco,

così come avremmo preferito un maggiore equilibrio numerico tra le due Camere, da

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raggiungersi attraverso uno snellimento di questa Camera, oppure la modifica del

sistema di designazione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura,

anche per garantire il superamento delle correnti, o, ancora, l'eliminazione

dell'autodichia nella gestione del personale.

Ma l'Aula ha scelto diversamente e noi lo accettiamo. Tornando all'oggi, dobbiamo

riconoscere che il testo è migliorato sia nelle funzioni assegnate al Senato, ora più

autorevole nel rappresentare i territori, sia nel metodo di scelta dei nuovi senatori e

nuove senatrici, ci auguriamo, per il quale si dovrà provvedere con una legge

successiva. È, inoltre, positivo che vi sia una relazione fiduciaria esclusivamente tra

Governo e Camera, così come è positivo il tentativo di semplificazione dell'apparato

della Repubblica, con la soppressione del CNEL e delle province, anche se, a riguardo

di queste ultime, la situazione ha bisogno di ulteriori chiarimenti e provvedimenti.

E, infine, particolarmente cara a me, è positiva l'introduzione del principio di parità e

non discriminazione tra donne e uomini nelle leggi elettorali, avvenuta con la modifica

dell'articolo 55 della Costituzione, che prevede per le leggi che stabiliscono le modalità

di elezione della Camera la promozione dell'equilibrio tra donne e uomini nella

rappresentanza. Anche in questo caso, la nostra preferenza sarebbe stata diversa:

piuttosto che promozione avremmo preferito garanzia dell'equilibrio di genere nelle

leggi elettorali, insieme alla previsione di norme transitorie per la prima elezione del

Senato.

Insomma, restiamo dell'avviso che si poteva fare meglio e, soprattutto, che si doveva

tentare, più di quanto abbiamo fatto, di ricercare una maggiore condivisione con le

opposizioni. Riteniamo che per le riforme vadano fatti tutti gli sforzi possibili per

arrivare alla massima condivisione, ma non ci siamo riusciti, anche se va detto che la

responsabilità non è certamente solo della maggioranza. Voteremo questa riforma della

Costituzione anche perché non vogliamo lasciare alibi a nessuno per giustificare le

difficoltà del Paese attribuendole ad una mancata riforma costituzionale.

Allo stesso tempo, chiediamo, ancora una volta, la modifica della legge elettorale per

garantire, insieme alla governabilità, che è fattore importante, la rappresentanza.

L'equilibrio tra rappresentanza e governabilità è ancor più fondamentale rispetto ai

singoli fattori, ma, proprio perché riteniamo che questa riforma serve al Paese, non

possiamo non ribadire la nostra preoccupazione per la sua sopravvivenza. Lo abbiamo

già detto ieri durante la discussione sulle linee generali: la scelta del Presidente del

Consiglio di esporsi in prima persona, legando strettamente l'esito del referendum del

prossimo ottobre alla durata del suo Governo, è una forzatura che si dovrebbe evitare.

Non serve il tifo pro o contro: stiamo parlando di modifica della Carta costituzionale. E

trasformare il voto referendario in una sorta di plebiscito è un errore che abbiamo già

visto fare e che certamente non porta nulla di buono. Al referendum vince o perde il

Paese, non Matteo Renzi, e il Paese non ha bisogno di prove: ha bisogno di essere

riformato. Vorrei, infine, richiamare l'attenzione dell'Aula e del Governo nel suo

insieme ad un tema e ad un impegno molto caro a noi socialisti. È stato detto nei

precedenti passaggi in questa Camera che il voto di oggi non è il fischio che mette fine

alla partita, mi sembra fosse il collega Cuperlo.

E siamo profondamente convinti che questa riforma non rende inutile il lancio di una

nuova fase costituente; e so che questa proposta può suscitare sorpresa, ma noi siamo

convinti che, dopo la riforma del Senato, noi socialisti siamo convinti che, dopo questa

riforma, che ha aperto il cantiere, resti da ristrutturare l'intero edificio istituzionale, così

come resta da chiarire, a proposito di questo edificio istituzionale, un'ambiguità di

fondo, che da anni serpeggia, senza mai essere chiaramente affrontata, tra

presidenzialismo e parlamentarismo.

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Quante volte abbiamo sentito ripetere, non più tardi di ieri, in quest'Aula, che questo

Governo è illegittimo perché il Primo Ministro non è stato votato dai cittadini. Ma è

delle repubbliche presidenziali o semipresidenziali l'elezione diretta del Premier !

D'altro canto, non dobbiamo stupirci della confusione, avendo da anni accettato, nei

simboli dei partiti, il nome del candidato Premier. Ma ci sono molte altre questioni da

regolare: per esempio, l'ampiezza della cessione di sovranità nei confronti dell'Unione

europea, che non può essere definita da un paio di articoli, l'11 e l'81, oppure la

razionalità degli assetti del potere locale, che non si può determinare solo con

l'abolizione delle province. Oppure, l'omogeneità fra sistemi elettorali locali, in

particolare quelli regionali, e sistema elettorale nazionale.

Noi temiamo, ad esempio a proposito di rappresentanza di genere – e cito Simonetta

Sotgiu, una magistrata impegnata su questi temi, ora in pensione – che vi sarà lesione

del riequilibrio della rappresentanza sancito dall'articolo 117 della Costituzione. Il

Parlamento italiano, infatti, ha dettato precise norme per l'elezione di province, comuni

e città metropolitane, rispettose del principio di parità, ma non ha seguito lo stesso

criterio per l'elezione dei consigli regionali, limitandosi a richiamare genericamente il

principio del rispetto del riequilibrio di genere nella rappresentanza, ma un richiamo

generico, che non ha vincolato molte regioni.

E, poi, dobbiamo confermare importantissimi i princìpi della prima parte della

Costituzione, che non sono affatto scontati in una situazione in cui, oltre alla coesione

sociale, sembra a rischio la stessa coesione culturale della nazione. Ho finito, ma, prima

di concludere, pur rischiando di andare fuori tema, colgo l'occasione per rivendicare il

ruolo dei partiti, magari impegnandoci a dare attuazione all'articolo 49 della

Costituzione. In quest'ultimo quarto di secolo il ruolo dei partiti è stato travisato, dando

al concetto di partito un significato divisivo, secondo il quale si è tanto più partito

quanto più ci si colloca o di qua o di là. Noi socialisti continuiamo a sostenere che il

concetto di partito è invece unitivo e tale deve essere la loro azione in particolari

momenti di grande solennità istituzionale, come quello della riforma di oggi, come

insegna la grammatica della politica democratica. Per questa ragione crediamo che sia

indilazionabile l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione mentre ci accingiamo a

cambiarne tanti articoli.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Renata Bueno. Ne

ha facoltà.

RENATA BUENO.

Grazie Presidente Boldrini. Cara Ministra Boschi, cari colleghi, veramente non mi ero

preparata per intervenire, ma ieri sera sentendo in quest'Aula il relatore Sanna che ha

parlato di tutto il lavoro svolto negli ultimi mesi e, soprattutto, sentendo anche il nostro

Primo Ministro Matteo Renzi che elencava tecnicamente tutti i punti affrontati e

soprattutto il risultato che si raggiungerà nei prossimi mesi e nel futuro per tutti i

cittadini di questo Paese, io ho ritenuto indispensabile manifestare qui queste emozioni.

Emozione non solo per me, che sono qui per la prima volta in questo Parlamento in

rappresentanza del Sudamerica, ma anche per il Sudamerica appunto, dove la

democrazia sta passando un momento molto importante. Pensare che oggi qui siamo al

voto finale di un'Assemblea Costituente, che questa Camera dei deputati compirà l'atto

finale, che poi rimane soltanto in attesa di questo referendum confermativo, ma

soprattutto pensare che anche il Brasile passa per un momento di crisi politica e un

momento molto delicato, in cui la democrazia è stata chiamata in causa tramite

l’impeachment dell'attuale Presidente Dilma Rousseff; è un momento delicato sì, ma

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anche lì la Costituzione garantisce a tutti i cittadini brasiliani il diritto di sciogliere la

Presidenza della Repubblica e di convocare in seguito nuove elezioni. Sono due

momenti delicati, qui molto positivi, perché vedo e credo nel futuro di questo Paese,

credo nel futuro di un Paese governato da un Primo Ministro giovane, un Primo

Ministro molto determinato e, soprattutto, un Primo Ministro che ha un Governo forte

alle spalle, e pensare anche al Sudamerica, dove attraverso il Brasile passa anche lì per

una maturità politica che sicuramente cambierà la realtà di quel Paese e che garantirà

anche così il futuro di tutti i cittadini che se lo meritano.

Noi che siamo italiani rappresentanti degli italiani che vivono all'estero, siamo qui

sicuramente molto attenti a queste riforme, soprattutto perché noi con la riforma del

Senato perderemo anche i nostri rappresentanti al Senato. Nelle interpretazioni delle

leggi che verranno ad essere cambiate sicuramente non avremo più i nostri senatori,

però anche perdendo questa importante rappresentanza per noi vale la pena pensare che

l'Italia guadagna e che guadagniamo tutti noi (Applausi dei deputati del Gruppo Misto-

USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani)).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Plangger. Ne ha

facoltà.

ALBRECHT PLANGGER.

Signora Presidente, signora Ministra, rappresentanti del Governo, il voto dalla Camera

dei deputati, che conclude l'iter parlamentare della riforma costituzionale, apre il nostro

sistema istituzionale e legislativo ad un nuovo modello parlamentare e di Governo. Ciò

non ha precedenti nella storia repubblicana, giacché sono stati numerosi i progetti e le

Commissioni bicamerali che non hanno avuto alcun esito nel corso delle precedenti

legislature.

Le autonomie speciali hanno coerentemente contribuito alla riforma che porta il sistema

parlamentare e di Governo oltre il bicameralismo paritario, configura il Senato come

nuova Camera di rappresentanza delle autonomie territoriali e interviene nella revisione

dell'attuale Titolo V della Costituzione, incidendo sulle sue criticità, anche se con un

assetto a nostro giudizio eccessivamente centralista. Siamo chiamati oggi in quest'Aula

ad un giudizio generale sull'esito parlamentare positivo e le prospettive dalla riforma

costituzionale, perché tale giudizio ha un valore assoluto rispetto alle possibili e

certamente legittime priorità ed impostazioni di parte. Riteniamo che tale giudizio sia

stata la ragione profonda dell'intervento di ieri del Presidente del Consiglio, che

condividiamo pienamente.

La riforma dalla seconda parte della Costituzione è realtà, ed è un dato unico nella

nostra storia parlamentare. Giudizio complessivo che in primo luogo richiama il

referendum costituzionale, che il Governo e le forze parlamentari, che hanno sostenuto

la riforma, hanno posto quale momento ultimo e fondamentale. Si innova il sistema

parlamentare con un Senato che avremmo auspicato ancora più delineato come Camera

territoriale. Si introduce un ruolo più incisivo e responsabile del Governo e nel

contempo si rafforza il rapporto tra Esecutivo e Parlamento attraverso il voto di fiducia

conferito alla sola Camera dei deputati. Si semplifica il procedimento legislativo senza

comprimere, ma anzi riconoscendo pienamente, i diritti delle forze parlamentari di

opposizione. L'esclusione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di

Bolzano e Trento dall'applicazione del nuovo Titolo V e la delega per l'adeguamento

degli statuti di autonomia ad una futura legge costituzionale, introducendo la clausola

pattizia anche in Costituzione, sono i punti decisivi che abbiamo sostenuto e che oggi

riteniamo debbano essere valorizzati. Si salvaguardano competenze e poteri delle

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autonomie speciali e si introduce una riformulazione dell'articolo 116 della

Costituzione, che ha valore per le regioni e le province a statuto speciale e richiama le

regioni a statuto ordinario a perseguire gli obiettivi di governo responsabile e virtuoso,

che come autonomie speciali abbiamo conseguito e che per tale ragione costituiscono

titolo di esempio.

Il Presidente del Consiglio ha indicato nel pensiero e nell'azione del Presidente Emerito

Giorgio Napolitano la ragione di svolta del processo di riforma costituzionale. Ha

ragione, perché mai altri come Napolitano hanno saputo e in modo così determinante

voluto porre la questione della riforma dalla Costituzione come ineludibile e

indispensabile assunzione di responsabilità, indicando le conseguenze che sarebbero

derivate dall'assenza di una reale e convergente unità d'intenti. Con il medesimo spirito

il Presidente Napolitano è intervenuto anche alcuni giorni fa contro la costruzione di

una barriera al Brennero, anche su tale aspetto stiamo con lui.

Le minoranze linguistiche confermano dunque il loro voto favorevole alla riforma

costituzionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ignazio Abrignani.

Ne ha facoltà.

IGNAZIO ABRIGNANI.

Grazie signora Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghi, si conclude oggi il

percorso della riforma che più di ogni altra ha segnato gli ultimi due anni di attività

parlamentare e, direi, l'intera legislatura. Il testo di legge di riforma costituzionale che è

oggi all'esame di questa Camera sarà quello su cui gli italiani e le italiane saranno

chiamati a dare il giusto definitivo nel referendum del prossimo autunno. Credo sia

quindi giusto ripercorrere, seppur brevemente, le tappe principali del cammino che ci ha

portato a questo articolato, un cammino burrascoso ma ricco di spunti che può aiutarci a

capire come e perché si sia giunti a certe soluzioni poi adottate.

Tutto ha avuto inizio il 18 gennaio 2014, il giorno in cui i leader del centrosinistra e del

centrodestra strinsero un accordo – poi noto come patto del Nazareno – per arrivare

all'approvazione di due riforme, quella della legge elettorale e quella della Costituzione,

che doveva prevedere delle modifiche al Titolo V e la trasformazione del Senato della

Repubblica. Solo questi erano i contenuti di quel celebre patto, un accordo tra i due

homines novi della politica italiana, appunto Berlusconi e Renzi, per giungere a quella

riforma delle istituzioni repubblicane ormai attesa da almeno trent'anni. A quell'accordo

seguì poi un Consiglio dei ministri, del 31 marzo 2014, in cui fu approvato il disegno di

legge di iniziativa governativa, in particolare del Ministro delle riforme, Maria Elena

Boschi, che dava avvio concreto all'idea delle riforme. Dobbiamo però oggi precisare,

per la giusta considerazione del lavoro parlamentare, che quel testo a subìto molte

modifiche; questo grazie all'ottimo lavoro svolto dentro e fuori le Aule parlamentari, in

occasione della prima lettura al Senato, conclusasi nell'agosto del 2014, e soprattutto in

occasione della prima lettura alla Camera, conclusasi nel marzo scorso.

Queste non sono perciò solo le riforme di Matteo Renzi, non sono solo le riforme del

Governo, sono riforme migliorate in maniera esponenziale grazie al confronto che vi è

stato in Parlamento e soprattutto tra Partito Democratico e Forza Italia; un confronto

purtroppo interrottosi, a mio parere, per un grave errore politico di quello che fino a

pochi mesi fa è stato il mio partito. Mi spiego meglio. Se guardo alla composizione del

Senato, vedo che il testo presentato dal Governo prevedeva un Senato composto dai

presidenti delle regioni, dai sindaci dei comuni capoluogo, da due consiglieri regionali,

a cui si sarebbero dovuti aggiungere 21 senatori di nomina presidenziale: un testo

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sbagliato. Il testo su cui oggi discutiamo, invece, grazie al lavoro fatto in Parlamento,

prevede un totale di 100 senatori, di cui 95 eletti dai consigli regionali con una

ripartizione regione per regione e cinque di nomina presidenziale; per cui, i sindaci

eletti, anziché svariate decine, saranno solo 21. Un risultato del genere è stato

raggiungibile solo grazie al canale diretto di dialogo che esisteva tra il Partito

Democratico e Forza Italia; eppure, è inutile non considerare ciò uno straordinario

successo proprio di Forza Italia: la prima proposta di legge a prevedere un Senato

composto da 100 membri risale al 1996 e fu presentata dall'allora deputato Silvio

Berlusconi.

Anche l'innovazione sul quorum dell'elezione del Presidente della Repubblica lo si deve

esclusivamente al lavoro parlamentare. Anche su questo, nella proposta del Governo,

non c'era un'indicazione precisa. È bene ricordarlo: il Presidente dovrà essere eletto dal

Parlamento in seduta comune con il sostegno di almeno i tre quinti dei votanti; in

pratica, senza il concorso decisivo di almeno una parte dell'opposizione, sarà

impossibile eleggere il garante massimo delle istituzioni repubblicane. Chi taccia di

autoritarismo questa riforma dovrebbe prenderne atto. Purtroppo, però, alla seconda

lettura del Senato, la riforma, a nostro parere, è stata leggermente peggiorata. Però, se

oggi in quest'Aula si discute un testo peggiore, la responsabilità è proprio di chi ha fatto

saltare quel percorso autorevole intrapreso nel gennaio 2014. Mi riferisco in particolare

ai passi indietro fatti sul metodo di elezione del Senato voluti dalla minoranza del

Partito Democratico e che non ci sarebbero stati se le opposizioni non si fossero

smarcate. Con le modifiche al quinto comma dell'articolo 2, si è scelta una soluzione

che non introduce l'elezione diretta, ma pone dei limiti a quella indiretta: una situazione

complessa che rimanda la soluzione della questione alla legge bicamerale che dovrà

entrare nel dettaglio. Non credo sarà facile sbrogliare questa matassa e, lo dico

chiaramente, avremmo preferito la conferma del testo approvato in prima lettura.

Negli altri Paesi, la cosiddetta elezione di secondo grado esiste in Germania, Spagna e

Belgio, nella Camera alta, e certamente non si potrà dire che Germania, Spagna o

Belgio siano Paesi antidemocratici. Però, nell'interesse del Paese, è comunque bene

accantonare il bene per invocare il meglio. Per questo, nonostante alcune criticità che

vanno riconosciute, il giudizio di Alleanza Liberalpopolare, alla fine, rimane

decisamente positivo. Dopo un dibattito che si trascina da almeno trent'anni, arriveremo

finalmente all'ammodernamento del sistema istituzionale, alla riduzione dei costi della

politica, alla semplificazione del procedimento legislativo e alla ridefinizione delle

competenze dello Stato e delle regioni. Un'esigenza, quest'ultima, resa più cogente dalla

modifica del Titolo V imposta con una riforma costituzionale della sinistra del 2001 a

colpi di maggioranza, e purtroppo dal referendum ideologico che nel 2006 annullò la

prima vera organica riforma della Costituzione voluta dal centrodestra e approvata dal

Parlamento. Dal 1982 ad oggi, dall'VIII legislatura fino alla XVII, nella storia

repubblicana non c’è stata una legislatura in cui non si sia affrontato il nodo delle

riforme costituzionali.

Tutti i progetti di riforma, presentati o abbozzati, si sono posti il problema di giungere a

una riforma della Parte seconda della Costituzione, partendo però sempre dagli stessi

temi. Quest'Aula pone oggi, così, un altro tassello verso l'attuazione dell'ordine del

giorno che l'onorevole Perassi presentò durante i lavori dell'Assemblea costituente, un

ordine del giorno che in questa Assise, negli ultimi mesi, è stato più volte citato. Il

combinato disposto della già approvata riforma elettorale e delle riforme costituzionali

che stiamo oggi approvando in via definitiva ci consegnerà un Governo più stabile,

perché sostenuto da una maggioranza certa ed omogenea, e un parlamentarismo senza

degenerazioni, perché fondato su una netta distinzione dei ruoli tra una Camera titolare

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del rapporto di fiducia con l'Esecutivo ed un Senato rappresentativo delle regioni e degli

enti locali.

Questa riforma, però, non si limita a risolvere solo la questione della stabilità del

Governo e degli eccessi del parlamentarismo: noi oggi scriviamo la parola «fine» sulla

storia delle province; aboliamo il CNEL, un ente costoso di cui la maggioranza degli

italiani ignora persino l'esistenza e che non ha mai esercitato quel ruolo propositivo nei

confronti del Parlamento che i costituenti gli avevano affidato; oggi risolviamo anche la

stortura delle materie concorrenti fra Stato e regioni, che tanto lavoro ha dato alla Corte

costituzionale negli ultimi quindici anni, dopo la sciagurata riforma del Titolo V

apportata nel 2001. Finalmente ridiamo alla competenza esclusiva dello Stato materie

come la produzione e il trasporto dell'energia, le infrastrutture, le grandi reti di trasporto

e, in particolare, mi permetta di citare il ripristino al potere dello Stato della promozione

del nostro Paese nel settore del turismo. Tanti soldi spesi dalle regioni in Paesi che a

mala pena conoscono l'Italia hanno contribuito a far arretrare il nostro Paese nella scala

delle presenze turistiche; battaglie combattute da Basilicata o Lombardia contro

manifestazioni di comunicazione di Francia, Spagna o Germania sono sempre state

battaglie impari e le abbiamo sempre perse. Ora non sarà più così.

Alleanza Liberalpopolare è nata proprio perché le riforme vedessero la luce, e tra le

riforme quella costituzionale rappresenta sicuramente la più importante. Ci dispiace che

a questo voto si opporranno alcuni deputati che hanno combattuto per anni battaglie

comuni alle nostre, che trovano risposte anche in questa riforma della Carta

fondamentale. Voglio leggere, a tal proposito, un documento che già conoscevo dai

primi mesi del 1994: la nuova legge elettorale, il Mattarellum, pure ispirato al sistema

maggioritario, non prevede meccanismi che consentano agli elettori di votare per un

Governo, oltre che per un candidato e un partito, in modo da terminare o rendere

automatica la formazione di una maggioranza, come avviene nella maggior parte dei

Paesi democratici; la formazione o la dissoluzione della maggioranza governativa

continua ad essere affidata ai mutevoli accordi o disaccordi tra i gruppi e i partiti in

Parlamento, né sono stati introdotti nel sistema costituzionale strumenti di

stabilizzazione che tendono a far coincidere la durata in carica del Governo con la

legislatura parlamentare; occorre infine rivedere gli equilibri tra i rami alti delle

istituzioni, in modo da rendere possibile la formazione di Esecutivi stabili ed efficienti.

Queste parole, che ricordo risalire al 1994, sono parte integrante del programma

elettorale che Forza Italia propose ai suoi lettori in vista della sua prima competizione

elettorale, e proprio in quel programma, tra gli obiettivi da raggiungere, si poteva

leggere: trasformare il Senato in una Camera delle regioni. Proprio per non cambiare

idea, purtroppo, noi siamo stati costretti a cambiare il partito, ma citando chi ha voglia

anche di cambiare dico: non è il compromesso il problema, ma il compromesso stesso è

la vera morale della politica, come diceva Papa Ratzinger ai politici tedeschi.

Per tutte queste ragioni, in coerenza con la nostra storia di uomini impegnati in politica,

in coerenza con le nostri idee e i nostri valori, voteremo «sì» a questo legge di riforma

costituzionale, come voteremo «sì», senza indugio, domani, al referendum confermativo

(Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-

MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Andrea Maestri.

Ne ha facoltà. Inviterei anche i colleghi a non voltare le spalle alla Presidenza, per una

questione di cortesia istituzionale. Grazie. Prego, deputato.

ANDREA MAESTRI.

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Signora Presidente, Ministra Boschi, onorevoli colleghi, questa è la penultima

occasione, prima del referendum, per opporsi a un disegno di revisione costituzionale

che ha i tratti, ad un tempo irrisolti e drammatici, di un Picasso sfregiato dalla mano di

un folle. Cercherò di lumeggiare, per farne l'ultima, pubblica, vibrata denuncia, solo i

tratti più osceni di questa opera d'arte al contrario.

Passeremo dal bicameralismo perfetto al bicameralismo differenziato, ma in realtà

pasticciato, intermittente, eventuale. Tutto fuorché un serio superamento delle attuali

criticità del law-making process. Avremo un Senato monstrum, a metà tra il dopolavoro

regionale e il museo, quello che Renzi ha forse pensato davvero di insediare a Palazzo

Madama. Assisteremo ad una forte compressione dell'iniziativa popolare sulle leggi con

l'aumento da 50 a 150 mila delle firme necessarie. Avremo un articolo 97 dove

giustamente ai principi tradizionali del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione

amministrativa si aggiungerà quello della trasparenza. Peccato, però, Ministro Boschi,

che il combinato disposto con la riforma Madia sulla pubblica amministrazione disveli

una grande ipocrisia proprio in tema di trasparenza dato che il diritto di accesso dei

cittadini agli atti amministrativi a fronte dell'inerzia della pubblica amministrazione sarà

subordinato alla presentazione di un ricorso al tribunale amministrativo regionale e al

pagamento di un contributo unificato di 300 euro. Insomma, trasparenza a pagamento,

Ministro Boschi, nonostante l'articolo 97 riformato. Avremo una ricentralizzazione di

molte materie in capo allo Stato che l'articolo 117 collocava nell'alveo della competenza

concorrente Stato-regioni. Ad esempio, la materia della produzione, del trasporto e della

distribuzione di energia. Di fatto, si costituzionalizza la filosofia dello «sblocca Italia»

piegando l'interesse pubblico a quello dei privati, delle cricche e delle consorterie in

nome di un'accelerazione quasi futuristica e ossessiva dei processi decisionali. È sotto

gli occhi di tutti che la politica oggi si limita ad emendare scelte prese altrove, dettate da

portatori di interessi. E a questo sistema la riforma Boschi dà nientemeno che la

copertura costituzionale. Arriveremo puntualissimi con tutti i cittadini di buona volontà

all'appuntamento del referendum (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alternativa

Libera-Possibile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Segoni. Ne ha

facoltà.

SAMUELE SEGONI.

Grazie Presidente. Presidente, membri del Governo, colleghi, questa riforma ci vede

nettamente contrari ed è per questo che Alternativa Libera rimarrà in Aula a votare

convintamente un «no» ad una riforma che svilisce e tradisce lo spirito stesso della

nostra Costituzione, a partire dal metodo. Subito il dibattito politico è stato

caratterizzato da un susseguirsi di prove di forza, colpi di maggioranza, fino ad arrivare

ad un referendum confermativo che viene venduto o fatto percepire come un plebiscito

pro o contro Renzi. Anche colloquiando con gli stessi parlamentari di maggioranza

spesso viene fuori che non sono perfettamente convinti del merito della questione, ma è

soltanto un discorso di cambiare, giusto perché è da tanto tempo che non si cambia,

perché la Costituzione è vecchia e deve essere rinnovata. Quindi «un tanto per cambià»

come si suol dire. Un cambio della Costituzione che viene effettuato da un Parlamento

di nominati, un Parlamento eletto con un Porcellum, un sistema elettorale che prevede

una scarsa rappresentatività della società, del Paese, della cittadinanza, dell'elettorato

all'interno delle Camere, in cui, ad esempio, 2,5 milioni di elettori non sono

rappresentati da nessuno qua dentro in Parlamento. Quindi, già da questo si capisce che

le forze in campo che hanno operato per questa riforma costituzionale sono

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caratterizzate da un forte disequilibrio, da un forte sbilanciamento e il disequilibrio e lo

sbilanciamento ritorneranno più avanti nel mio discorso a dimostrare come si sta nella

sostanza cambiando la nostra Costituzione.

Parliamo subito del Senato che spesso dalla maggioranza e dal Governo stesso viene

descritto come il principale argomento per cui si fa questa riforma della Costituzione.

Viene, diciamo così, venduto come una moneta di scambio all'opinione pubblica. Si

dice che si va a limitare il Senato per ridurre i costi della politica, quando in realtà viene

soltanto tagliato il numero dei senatori, quando tutto quel ramo del Parlamento, il

Senato, l'istituzione, rimane. Rimane quindi tutto l'apparato, tutti gli uffici, la

maggioranza dei lavoratori all'interno. Quindi i costi alla fine cambieranno di

pochissimo. L'unica cosa che viene limitata non sono i costi, ma viene limitata la

democrazia.

Poi si è fatto in questo periodo tanto un parlare di bicameralismo e monocameralismo.

Questa situazione ibrida che è stata partorita dalla maggioranza e dal Governo è stata

definita a volte come un bicameralismo imperfetto, a volte come un monocameralismo

imperfetto. L'unica cosa su cui c’è consenso sostanzialmente è l'imperfetto,

l'imperfezione di questa soluzione, un vero e proprio pasticcio in cui il Senato, come

detto, permane, esiste sempre come organo di secondo livello che è deputato a gestire

un grande numero di temi, talvolta anche con dei tempi strettissimi. Per alcune questioni

il Senato è chiamato ad esprimersi in dieci giorni. Ora ditemi voi come fa un ramo del

Parlamento di secondo livello, quindi costituito da persone che essenzialmente di

mestiere nella vita farebbero altro, come gli amministratori locali o come i lavoratori

all'interno dei consigli regionali o delle giunte regionali, in soli dieci giorni a scendere

nel merito delle questioni e a poter lavorare bene. Ecco, questa riforma predilige più la

velocità, il poter lavorare velocemente, piuttosto che il fare le cose bene. E lo vediamo

anche nel combinato disposto con la legge elettorale che genera una fortissima

concentrazione del potere sul capo del partito a capo della Camera unica, la Camera dei

deputati. Quindi, una grande concentrazione di potere nelle mani di una sola persona o

comunque di un ristretto gruppo di persone.

Si ha un'ulteriore riconferma di ciò nello svilimento degli organi di garanzia che

diventano più facili da eleggere in modo da poter piazzare più agevolmente le proprie

pedine all'interno delle istituzioni, dell'apparato istituzionale. Quindi, l'apparato

istituzionale italiano ridotto a una sorta di Monopoli dove si vanno a fare

sostanzialmente dei giochi di potere, dei giochi di forza e, per il tramite dello Stato e

della Camera, l'uomo forte al comando va ad entrare in pieno titolo nella sala dei bottoni

e si prende, tra l'altro, una grande quantità di bottoni da premere, una grande quantità di

leve da spingere o da tirare, togliendoli ad altri organi dello Stato, strappandoli, per

esempio, anche alle regioni e agli enti territoriali. E parlo, per esempio, delle energie,

delle materie delle infrastrutture, dell'ambiente, dove lo Stato va a farla da padrone con

questa riforma arrivando addirittura, non soltanto al livello delle competenze, ma anche

mettendo in gioco una clausola che si chiama «la clausola di supremazia dello Stato».

Sostanzialmente, per ritornare al discorso che facevo prima, si va ad accentrare tutto il

decisionismo nelle mani di poche persone, nelle mani statali di uno Stato gestito da

poche persone.

Questo è concorde con il disegno che negli anni si è venuto a creare di allontanare le

decisioni dai cittadini e dalle comunità e di spostarle sempre più lontano da essi. Tra

l'altro, questo fatto di voler gestire in proprio, a livello statale, a livello di piccolo

gruppo di potere, le materie dell'energia, delle infrastrutture e dell'ambiente è un po’ un

leitmotiv di questo Governo Renzi che si è caratterizzato, nel corso della sua azione di

Governo, per l'aver cercato, e a volte essere riuscito, a mettere in atto tutta una serie di

scorciatoie per tagliare fuori dalle decisioni che impattano sui territori i territori stessi e

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per decidere tutto in ambiti molto ristretti, molto lontani dal territorio, come in sede di

Consiglio dei ministri ad esempio. Questa è proprio una concezione che noi rifiutiamo,

una concezione sbagliata, segno di una mentalità malata.

È facile osservare che è molto più semplice disfare piuttosto che costruire, è molto più

semplice alterare gli equilibri piuttosto che trovare un equilibrio perfetto, un equilibrio

che fino a poco tempo fa a livello internazionale veniva riconosciuto alla nostra

Costituzione. Ma il problema è proprio questo: abbiamo una classe politica che si fa

vanto del disequilibrio, si fa vanto dello sbilanciamento in nome del decisionismo e del

personalismo: c’è il mito del voler fare veloce, fare velocemente, decidere velocemente,

piuttosto che bene, piuttosto che accuratamente, piuttosto che ponderatamente.

Ecco che quindi questo Governo ci sta spingendo in discesa, in discesa a velocità folle,

e io spero che il Paese si scuota da questo torpore, e capisca velocemente che sta

andando nella direzione sbagliata: se così non fosse, ci sarebbe poi da dover, dopo

essere andati in discesa in maniera così veloce, risalire una lunga e faticosa salita per

tornare ad essere una nazione governata da istituzioni normali (Applausi dei deputati del

gruppo Misto-Alternativa Libera-Possibile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Daniele

Capezzone. Ne ha facoltà.

DANIELE CAPEZZONE.

Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, come

Conservatori e Riformisti diciamo che è un tema che ci appassiona, quello delle riforme

istituzionali, ma che ci delude profondamente per come è stato sviluppato. Lo diciamo

con franchezza da subito: crediamo che su questo ci sia stato un grave errore di

impostazione del Governo, che ha fatto perdere all'Italia un anno e mezzo inchiodando

l'agenda politica e istituzionale prima all'Italicum e poi al Senato, con il pasticcetto che

sta venendo fuori. Il Presidente del Consiglio disse che quella delle riforme era a suo

avviso la password per sbloccare il sistema; e qui sta l'errore blu a nostro avviso: la

password per sbloccare il sistema sarebbe stata un'operazione shock su tasse, spese e

debito pubblico per rilanciare l'economia ed evitare il tunnel del declino; e invece si è

perso l'anno buono, il 2015, in cui l'Italia avrebbe potuto usufruire di condizioni

economiche esterne irripetibili.

Dopodiché, venendo al merito, l'operazione complessiva tra Italicum e riforme

istituzionali è pericolosa e sbagliata. Vedete, signori del Governo, in questa parte

dell'Aula, qui fra noi Conservatori e Riformisti, non troverete cultori dello status quo

costituzionale: anzi, riteniamo che tanta parte degli errori in particolare della sinistra

italiana, siano derivati per decenni proprio da un approccio immobilista, e direi feticista

rispetto alla Costituzione del 1946-48; e purtroppo, per le note ragioni storiche

(comprensibile paura per l'eredità del ventennio fascista, eccetera), quella Costituente

non fece tesoro della proposta di Calamandrei ed altri, di un vero passaggio al

presidenzialismo e ad una Repubblica decidente: si scelse purtroppo una Repubblica dei

veti, dei freni, della paralisi.

Ora quindi, settant'anni dopo, che cosa si doveva fare a nostro avviso ? Andare al cuore

del problema ! E cioè, prima scegliere lealmente una forma di Stato e una forma di

Governo. Lo dico con semplicità: decidere se andare a Washington, se andare a Londra,

se andare a Parigi, naturalmente adattando i vestiti e il modello al corpo che doveva

indossarlo; poi, solo poi, scegliere un sistema elettorale. E invece si è fatto il contrario:

Renzi non ha affrontato in modo limpido il tema della forma di Stato e della forma di

Governo, ma lo ha fatto surrettiziamente, attraverso la legge elettorale. Morale: avremo

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ancora istituzioni deboli così com'erano, e invece avremo un partito fortissimo, che in

ultima analisi potrà determinare tutto senza bilanciamenti e senza contrappesi, dal

Quirinale alla Corte costituzionale; peraltro – e questo è il tema che voi stessi, nel vostro

stesso interesse dovreste considerare – scaricando nel gioco interno delle correnti del

partito vincitore contraddizioni pericolose, perché destinate ad essere affrontate non sul

piano istituzionale, con adeguati checks and balances, ma con prove di forza extra-

istituzionali, tra correnti di partito.

Venendo ad aspetti più puntuali, noi abbiamo critiche di fondo. Intanto il Senato era

meglio abolirlo, se si voleva fare una cosa chiara e seria; se non lo abolisci, allora, per

elementari ragioni di democrazia, lo devi almeno eleggere: altrimenti avrai senza

legittimazione democratica una seconda Camera, che diventerà fatalmente una contro-

Camera, cioè un'Assemblea che, per acquisire rilievo politico, cercherà di contrapporsi

sistematicamente alla prima Camera. Pensate se un giorno riconquisterà la maggioranza

alla Camera il centrodestra: secondo voi cosa faranno al Senato le maggioranze

regionali prevalentemente di sinistra ? Giocherebbero al gioco del veto, della

contrattazione continua, del ricatto politico. Ma questo accadrà anche se vincerete di

nuovo voi ! Ecco perché era migliore la nostra impostazione: o lo abolisci, quel Senato,

o lo eleggi. E invece, ai tempi del Nazareno, il PD, e purtroppo anche pezzi di

centrodestra, che ora strillano, combinarono questo capolavoro.

Noi Conservatori e Riformisti in tutti i passaggi abbiamo proposto in positivo

emendamenti per una vera transizione alla Terza Repubblica, tutti e sempre respinti; in

particolare, tre temi centrali. Primo: proponevamo un tetto alle tasse e alla spesa in

Costituzione, per stabilire, all'interno della Costituzione, che ci dev'essere un limite

preciso al di là del quale la tassazione e la spesa pubblica non possono andare, perché

dev'essere lo Stato a servire i cittadini e non viceversa. Prendo un minuto su questo. Nel

2011-2012 si inserì in Costituzione il principio del pareggio di bilancio; un solo liberale

a quel tempo prese la parola, Antonio Martino, per esprimere perplessità, che

ovviamente non furono ascoltate. Il Parlamento di allora dimenticò un principio di

fondo: il tema non è il pareggio di bilancio, il tema è il livello a cui fai il pareggio di

bilancio. Se fai il pareggio di bilancio con tasse e spesa oltre il 50 per cento, allora sei

nella Bulgaria degli anni Settanta; se invece, come noi vorremmo, lo fai con tasse e

spesa poco sopra il 30 per cento, massimo ad un terzo, allora sei in uno Stato liberale.

Avete detto «no».

Secondo tema: proponevamo il presidenzialismo, con l'elezione popolare diretta del

Capo dello Stato, senza farlo eleggere dai partiti. La forma di Stato, la forma di

Governo: avete detto «no».

Terzo tema: dicevamo, Senato abolito o eventualmente elettivo. Avete detto «no». E ora

arriva il referendum, che sarà ridotto ad un rodeo al quale il Presidente del Consiglio

conta di arrivare accompagnato e assistito da una RAI alla venezuelana. Anche questo,

signori del Governo, è un segno di arroganza e insieme di debolezza: sei debole nel

Paese perché in economia non stai combinando granché, e allora che fai ? Occupi il

potere, metti le mani sulle aziende di Stato, lottizzi la RAI peggio di tutti i tuoi

predecessori (e non era facile fare peggio di tutti i predecessori, praticamente nessuno

escluso), e cerchi di lanciare un referendum-plebiscito accompagnato da una RAI

formato Caracas. Non so se vincerete, ma perderete comunque, perché qualunque sia

l'esito del referendum, apparirà chiaro che si tratterà di un parlare d'altro, di una vostra

PlayStation di palazzo rispetto alla reale situazione economica del Paese.

Concludo, signora Presidente. Fra qualche anno sarà impietoso il confronto tra la

Costituzione del 1946-48, della quale pure come ho già detto non siamo certamente

adoratori, e invece questo pasticcetto. Nella Costituente del 1946-48 c'erano giganti a

discutere, da De Gasperi a Togliatti, da Croce a Einaudi, da Nenni a Saragat a

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Calamandrei; stavolta, signori del Governo, questo prodotto costituzionale resterà come

un sigillo di superficialità e incompetenza di questa classe dirigente, e mi spiace per voi,

come lo ha ben definito Mauro Mellini, in particolare del suo nocciolo etrusco (Applausi

dei deputati del gruppo Misto-Conservatori e Riformisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rocco Palese. Ne

ha facoltà.

ROCCO PALESE.

Signora Presidente, l'Aula oggi è chiamata in ultima lettura a esprimersi su una modifica

profonda della Costituzione. Io non ho alcuna difficoltà, avendolo sostenuto da sempre,

signora Presidente, a dire che è un errore gravissimo produrre e attuare modifiche così

profonde alla Costituzione, come è stata quella del Titolo V del 2001, come fu anche

quella proposta dal centrodestra nel 2005-2006, e così come è questa volta: perché

modifiche così profonde della Costituzione avrebbero avuto obbligatoriamente necessità

di essere fatte, prodotte, come fu la Costituzione-madre, da un'Assemblea costituente.

Un grave errore ci fu nel 2001, si continua a sbagliare anche oggi e sono errori di

metodo che poi si riflettono nel merito. Noi abbiamo avuto le bicamerali, tutte fallite, le

riforme a maggioranza, bocciate dal referendum, ma riteniamo che degli errori nel

contesto delle riforme costituzionali siano stati fatti nel nostro Paese, perché si trattava

di riforme prive di equilibrio, di equilibrio tra i poteri e di equilibrio nella gestione delle

funzioni direttamente connesse con la vita quotidiana dei cittadini. Si è convinti, a 1 del

1999 – quella che ha previsto proposito della legge costituzionale n. l'elezione diretta

dei presidenti delle regioni e che non è stata una riforma costituzionale che ha previsto

solo la disposizione dell'elezione diretta dei presidenti di regione –, che sia stato un bene

affidare al sistema delle regioni tutta l'autonomia che gli è stata affidata ? Perché

rispetto al Titolo V, è 1 del 1999, con l'autonomia ancora più federalista la riforma

costituzionale n. delle regioni a farsi le leggi elettorali, a farsi tutte le disposizioni che

hanno ritenuto, regolamentari e non, in riferimento alla tassazione continua, che è stata

in aumento, quella locale, e all'esplosione della spesa, con l'abolizione, soprattutto, dei

controlli. La modifica del Titolo V ha creato più danni delle due guerre mondiali al

nostro Paese e alla finanza pubblica, di questo ne sono tutti convinti; ha provocato una

serie enorme di conflitti rispetto a tutta quella che è stata la situazione del

decentramento dei centri di costo; l'autonomia, la responsabilità, signora Presidente, non

c’è dubbio che è un valore, un valore assoluto, ma nel nostro Paese, in questi ultimi 22

anni, sono state recepite, l'autonomia e la responsabilità, da parte della periferia, con

riferimento a tutto ciò che è pubblica amministrazione, non come responsabilità e

autonomia nella gestione oculata delle risorse pubbliche, ma soprattutto come anarchia:

ognuno ha potuto fare quello che ha voluto, tanto che non c’è nessuna difficoltà a

collegare anche l'aumento dei fenomeni di corruzione a questo. L'unico federalismo che

è andato in vigore, purtroppo, nel nostro Paese, non avendo fatto il federalismo vero, il

federalismo fiscale, cioè vero, equilibrato, solidale, è solo il federalismo della

corruzione. In tutto questo contesto, si è passati a questa riforma. Tra le situazioni che si

sono previste si parla del superamento del bicameralismo perfetto, dell'accelerazione dei

tempi di approvazione rispetto al procedimento legislativo; io non ritengo, leggendo il

testo, che ciò possa accadere. Noi abbiamo semplicemente, con questa riforma – il

Governo che l'ha proposta e la maggioranza che se l'approverà da sola, oggi, questa

riforma – provocato una sola conseguenza, quella che il conflitto che c’è stato, a causa

delle modifiche del Titolo V, tra le regioni e lo Stato e viceversa per situazioni a tutti

note, si trasferirà nel nuovo Senato. La cosa più logica sarebbe stata, sia per la riduzione

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dei costi sia per dare un segnale vero di fine a tutta questa situazione di conflitto che

sicuramente si innescherà, quella di abolire completamente il Senato. Quella sì sarebbe

stata una riforma seria, non che noi facciamo rimanere una struttura che non si capisce

che cosa dovrà fare. Una cosa accadrà sicuramente: che il conflitto che finora c’è stato

tra Stato e regioni si trasferirà in quell'Aula, con regioni, comuni, enti locali e

quant'altro che si contrapporranno comunque, perché quando ci sarà una legge di

ristrutturazione e di contenimento di finanza pubblica, quell'Aula esprimerà parere

contrario, sempre, e allora ci sarà sicuramente la continua situazione che si passerà dal

bicameralismo perfetto al bicameralismo del ricatto, del baratto, perché questo accadrà,

con un'unica vittima che è la tasca dei cittadini.

È quello che, sempre, si è determinato in questi ultimi anni. Io credo che bisogna essere

molto più trasparenti, da questo punto di vista, perché ieri, signora Presidente, lei era

presente, ha seguito tutti i lavori dell'Aula, il Presidente del Consiglio, tra le note

positive che ha citato, ha ricordato proprio quella del superamento della modifica del

Titolo V. Io dico, invece, che si ingarbuglia ancora di più, perché sarebbe stato molto

meglio definire le attuali competenze e ciò che accade tirarlo fuori per bene nella

Conferenza Stato-regioni o nella Conferenza unificata. Sarebbe stato sufficiente quello.

Adesso noi abbiamo tre livelli: la Camera, il Senato che non si capisce che cosa dovrà

fare o come verrà anche composto ed eletto, e peggio ancora i governi che comunque si

dovranno confrontare tra Governo centrale e governi regionali, all'interno della

Conferenza Stato-regioni. Sono modifiche che non risolvono il vulnus principale che era

quello di fare una riforma che doveva correggere le modifiche del Titolo V del 2001;

non interviene in maniera decisa, in maniera pertinente, c’è qualche timido tentativo di

centralizzare l'energia, ma di che cosa parliamo, signora Presidente, da centralizzare, e

per bene, sarebbe stata la spesa pubblica. Da centralizzare per bene sarebbero stati i 110

miliardi del Fondo della sanità, dove la corruzione regna giorno dopo giorno e dove non

si fa niente. Noi avremmo fatto sicuramente cosa saggia, nella modifica del Titolo V, se

fossero stati reintrodotti i controlli preventivi sulla spesa pubblica; allora, sì, che, forse,

qualche segno di cambiamento ci sarebbe stato. Perché l'abolizione dei controlli fatta,

prima, in parte, dalla «Bassanini» e, poi, successivamente, dalla modifica del Titolo V,

ha provocato l'esplosione della spesa nel nostro Paese, soprattutto quella a livello locale,

con le addizionali che non ci si capisce più niente, tra regioni, comuni, le province

stesse che questa riforma dice di abolire; bene, le province vengono abolite, ma dopo

che sono state trasformate, dopo che sono stati presi in giro tutti, dopo che i costi

continuano ad aumentare e dopo che la tassazione addizionale di competenza delle

province sull'assicurazione delle auto è stata elevata al massimo, dappertutto; di questo

noi dobbiamo parlare, altro che di riforma epocale. Non modifica assolutamente nulla,

peggiora, dal punto di vista di queste situazioni che riguardano i rapporti e le funzioni

svolte, senza avere nessuna certezza di miglioramento. E che dire poi ? Che il vero

vulnus che c’è nel nostro Paese, rispetto a tutto quello che riguarda la rivisitazione della

finanza pubblica, non è stato toccato per niente, è stato completamente eluso il

problema dei problemi delle regioni a statuto speciale. Lo sappiamo perfettamente che

le regioni a statuto speciale ricevono una valanga di risorse rispetto a tutte le altre in

riferimento a delle modifiche che sono state apportate a suo tempo. Ora di tutto questo

non si parla, non c’è niente, quindi, perché noi dovremmo dare l'apporto o consentire

queste riforme ? Per questo la componente dei Conservatori e Riformisti è molto critica,

perché non si tratta di una riforma necessaria del Paese, la si è voluta fare, ritengo che

sia una riforma monca, perché non si è affrontato un altro problema, un altro tema, che

non è solo caro al centrodestra ma è tipico delle democrazie moderne, che è quello del

presidenzialismo; non si pone rimedio rispetto a tutto quello che riguarda gli altri aspetti

principali dell'equilibrio dei poteri dello Stato all'interno di una riforma snella, di uno

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snellimento forte delle procedure. È per questo motivo, ma anche per i tanti altri che

rispetto al merito sono emersi e per i tanti altri che emergeranno nel Paese, che la nostra

posizione, quella dei Conservatori e Riformisti, così come ribadito, poco fa, anche dal

mio collega Capezzone, è di netta contrarietà. Nel merito questa riforma è una riforma

sbagliata, una riforma timida, una riforma di cui il Paese aveva, sì, bisogno, ma se fosse

stata molto più profonda e più equilibrata (Applausi dei deputati del gruppo Misto-

Conservatori e Riformisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ignazio La Russa.

Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA.

Caro Presidente, cari colleghi, noi stiamo discutendo la riforma della Carta

costituzionale che, oggi, giunge a compimento e questo dovrebbe essere, è, uno dei

momenti più nobili di un'attività parlamentare; nella storia ci sono state addirittura

rivoluzioni per ottenere la Carta costituzionale.

Lo Statuto Albertino, nel 1848, assunse il significato di un cambiamento epocale: i

cittadini cominciavano ad avere dei diritti. E, dopo la guerra, la nostra Costituzione

volle riaffermare il principio di democrazia e di libertà che, nella fase tra le due guerre,

era stato compresso in Italia, come in altri Paesi che avevano scelto una via totalitaria.

Adesso, noi, dopo anni, dopo tentativi ripetuti, dopo bicamerali, dopo possibilità di

imboccare strade diverse, arriviamo al grande evento, cambiamo la Costituzione.

Ma, leggendo il testo, ci accorgiamo che è la prima volta che cambia il testo di una

Costituzione, almeno in Italia, e va nella direzione opposta: anziché allargare i diritti dei

cittadini, i diritti di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, li restringe, li

restringe inesorabilmente. Non solo, ma rende assai più complicato e più farraginoso un

percorso legislativo che era dei nostri padri costituenti, sia pure con un bicameralismo

perfetto che andava modificato, se non altro espresso con una scelta chiara e precisa.

L'avete guardato, cari colleghi ? Sono sicuro che pochi di voi hanno guardato questa

riforma nei dettagli.

Se ci fossero Le Iene e ci interrogassero, non so quanti di voi saprebbero dire come è

cambiato l'articolo 70. L'articolo 70 della Costituzione diceva testualmente: la funzione

legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, punto. Guardate quanto è

lungo adesso: due pagine, due pagine ! E si dice che non c’è più il bicameralismo

perfetto. È vero, c’è un bicameralismo inconcludente e confusionario, in cui,

incredibilmente, sono sette le tipologie. Per una parte di materia resta tutto come è; per

una parte bisogna che il 30 per cento dei senatori chieda di poter discutere anche loro;

per un'altra parte, automaticamente, il Senato può intervenire; per una parte ancora,

quella di bilancio, lo può fare entro quindici giorni, e non entro 30.

Due pagine di dettato costituzionale, anziché due righe ! Ed era inevitabile ? No,

bastava cancellare il Senato, bastava cancellarlo e sarebbero rimaste due righe: la

funzione legislativa è esercitata dalla Camera dei deputati, punto. No ! E perché si è

tenuto in piedi il Senato, per rispetto dei cittadini ? Magari ! Ci sarebbe stata una logica.

Ma tutto si è tenuto in considerazione, tranne il diritto di partecipazione dei cittadini,

perché il Senato c’è ancora, con qualche numero minore, ma con eguali, grossomodo,

costi di struttura, con l'unica differenza che non sono più i cittadini ad eleggerlo, sono i

consiglieri regionali.

E, allora, cominciano i calcoli: chi ci guadagna in questa cosa ? Le regioni ? O i partiti

che pensano di avere una maggioranza o un approccio consociativo nei consigli

regionali ? Non lo sappiamo ! Sicuro, chi ci perde sono i cittadini, che non esprimono

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più i senatori, che continuano ad avere un peso rilevantissimo, rilevantissimo, nell'iter

legislativo. Fosse solo questo !

Il problema è che, se si mette insieme questa riforma costituzionale con la legge

elettorale, che dà la possibilità di avere una grande maggioranza anche a un solo partito

che per avventura avesse il 20 o anche, in ipotesi, meno del 20 per cento dei voti, voi

capite che lo squilibrio a danno della partecipazione e a favore di una sostanziale

dittatura oligarchica – che è assai peggio della dittatura di uno solo, che, come diceva

Pirandello, almeno sa di essere uno e rispondere ai cittadini, non che io lo voglia o lo

desideri –, che può approfittare del combinato disposto di questo nuovo testo

costituzionale con il testo della legge elettorale e può disporre di una maggioranza che

decide i componenti della Corte costituzionale, i componenti del CSM, che può avere

un grandissimo peso nell'elezione del Presidente della Repubblica.

Non può eleggerlo da solo, ma pensate adesso la difficoltà che c’è nel mettere insieme i

partiti della coalizione, quando, invece, lì un solo partito, se solo aggiunge 90 senatori...

non li può avere tutti e 90, ne avrà 50, quindi deve solo trovare 40 deputati, 40 deputati

di un altro partito, e decide da solo anche il Presidente della Repubblica. Se non è uno

stravolgimento dei diritti del cittadino questo, mi chiedo quale è ! Pensate che

l'avvisaglia l'avevamo avuta con l'eliminazione delle province: è stato il tentativo, la

prova.

Avete presente, nell'anguria, che in certi posti fanno la prova per vedere se è rossa ?

L'anguria è stata la provincia: hanno fatto la piccola prova, hanno estratto un pezzettino,

hanno visto che i cittadini hanno accettato. Sono abolite le province ! Sono abolite ? No,

solo che li eleggono i consiglieri comunali. E hanno fatto lo stesso, e stiamo facendo lo

stesso, con i tempi ristretti, con l'assenza di vera empatia con l'opinione pubblica. Ma

possibile che cambiamo la Costituzione e lo facciamo quasi di nascosto ? Dice Renzi:

«poi ci sarà il referendum», che, badate bene, vuole trasformare in una specie di

referendum pro o contro Renzi. Ministro Boschi, se così fosse, allora Renzi dovrebbe

avere il coraggio di dire, come sta facendo con il referendum delle trivelle, che, se per

caso quel referendum, anche se non è previsto, non raggiunge il 50 per cento dei

partecipanti, la sua è una sconfitta.

E, invece, lo dice perché sa che basta qualche voto, anche un solo voto a favore, nel

silenzio di tutti gli altri, perché passi. Che altro tentativo volete che sia di, in qualche

modo, cambiamento delle regole del rapporto democratico tra potere e cittadino.

Vedete, c'era una proposta che abbiamo fatto, non con la pretesa che venisse approvata,

ma con la pretesa che venisse almeno dibattuta e discussa seriamente – e mi rivolgo a

lei, per questo l'ho sottratta ai suoi colloqui con il mio amico, Ministro alla famiglia, che

è seduto vicino a lei – su cui lei ha aperto, l'altro giorno, in qualche modo, uno spiraglio,

per subito richiuderlo, immagino.

C'era una proposta, che avevamo fatto, che è quella voluta dagli italiani in maggioranza,

dall'85 per cento degli italiani, dicono i sondaggi: è l'elezione diretta del Capo dello

Stato, in cui, senza infingimenti, senza nuovi articoli 70, senza Senati fintamente aboliti,

senza premio di maggioranza, venisse scelto il Capo dello Stato, anche solo con gli

attuali, non pochi, poteri che la Carta gli riserva. Se ne è discusso in quest'Aula ?

PRESIDENTE. Concluda.

IGNAZIO LA RUSSA.

La ringrazio, Presidente. Non se ne è discusso, perché in quest'Aula non stiamo

cambiando la Costituzione per dare più potere ai cittadini, non stiamo cercando di

renderli più partecipi alla vita pubblica, non stiamo cercando di garantire più diritti ai

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nostri concittadini: stiamo cercando di assicurare a chi oggi comanda e a una ristretta

oligarchia la possibilità di continuare a farlo senza neanche avere la fiducia degli

italiani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Gian Luigi Gigli.

Ne ha facoltà.

GIAN LUIGI GIGLI.

Signora Presidente, signora Ministro, siamo all'ultimo passaggio di un percorso che è

durato alcuni anni e con il quale mettiamo mano, alla fine, al più corposo intervento di

revisione della Costituzione negli ultimi settant'anni; praticamente, dalla sua creazione.

Era una riforma costituzionale che forse poteva essere svolta per altre strade, ma che

certamente era quanto mai necessaria. Necessaria perché, come da tutte le parti era stato

ormai rilevato, il meccanismo del bicameralismo paritario aveva mostrato tutti i suoi

limiti, limiti non già di costi, che sarebbero risibili, anche perché, come è stato detto

giustamente, la struttura del Senato alla fine rimane in piedi, ed è quello il costo

principale, ma ha mostrato i suoi limiti dal punto di vista invece della rapidità del

processo legislativo, con rimandi continui, fino a veri e propri fenomeni carsici con i

quali alcuni provvedimenti legislativi finivano per perdersi, salvo riapparire a distanza.

Vi era poi certamente un problema non risolto del rapporto tra la rappresentanza e la

governabilità di questo Paese, rapporto che aveva avuto numerosi momenti di tensione,

numerosi momenti anche di contraddizione rispetto agli interessi generali del Paese e

che aveva finito alcune volte per essere affrontato nel modo sbagliato, diciamo,

dell'ostruzionismo fine a sé stesso o, all'inverso, attraverso l'abuso talora proprio dello

strumento del decreto-legge. Infine, vi era l'esigenza di un regionalismo che andava

completamente ripensato, perché certamente anche per oggettivi limiti nell'esercizio

della funzione di governo regionale e anche perché la riforma del Titolo V del 2001

aveva mostrato la possibilità di dar vita proprio ad una serie di contenziosi infiniti, che

avevano ingolfato la stessa Corte costituzionale, certamente era ormai un regionalismo

che andava ripensato, anche se a nostro avviso altrettanto certamente esso non andava e

non deve essere archiviato.

Ora, le modalità e i contenuti della riforma, al di là della strada scelta, quella appunto

dell'intervento attraverso una proposta forte dell'Esecutivo, hanno risentito certamente

di alcune anomalie politiche di questa legislatura. L'inesistenza di una maggioranza

politica in Parlamento si è tradotta in un patto con una parte dell'opposizione, quello che

è andato sotto il nome di Patto del Nazareno, disdetto poi per motivi estranei al

contenuto delle riforme a causa di un mutato approccio al tema da parte di uno dei

contraenti di quel patto, le cui conseguenze abbiamo visto ancora ieri in quest'Aula.

Come dicevo, dal punto di vista delle modalità e dal punto di vista dei contenuti,

abbiamo purtroppo alcuni eventi che si sono prodotti che certamente forse avrebbero

potuto trovare una migliore soluzione. Quanto alle modalità si è arrivati certamente alla

fine del percorso con una situazione di conflitto globale, fino all'uscita ieri dall'Aula

delle opposizioni, un conflitto tra Governo ed istituzioni, che hanno finito per paventare

in maniera certamente esagerata e strumentale un rischio per la democrazia stessa e per

la tenuta della democrazia in questo Paese.

Quanto ai contenuti, abbiamo notato certamente debolezze e contraddizioni che, forse,

se si fosse avuta la possibilità di una procedura più serena, di un confronto più sui temi e

meno gridato, forse avrebbero potuto trovare una soluzione diversa e avrebbero troppo

trovare soprattutto una migliore soluzione. Faccio solo alcuni esempi.

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Da parte nostra continuiamo a pensare che il ruolo del Senato, quale rappresentante

delle istituzioni territoriali, avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione, non già perché,

come alcune forze politiche hanno richiamato, è uno scandalo in sé l'elezione di

secondo livello, noi non ci troviamo nulla di scandaloso nel meccanismo delle elezioni

di secondo livello, ma avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione perché anche

nell'attuale configurazione certamente essa pone un problema di rappresentatività. Il

Senato non rappresenta fino in fondo le istituzioni territoriali che vorrebbe

rappresentare, cioè innanzitutto le regioni, così come la scelta del sindaco-senatore

ancor più appare priva di qualche elemento di rappresentatività.

Più in generale resta irrisolto il problema di quale sia la persona o il corpo a cui i nuovi

senatori risponderanno. Il problema che abbiamo ripreso più volte, anche con lei, sia in

Commissione che in quest'Aula, della cosiddetta accountability, cioè a chi rendono

conto i senatori. Resta irrisolto anche il tema della conflittualità tra gli impegni in

consiglio regionale e quelli in Senato per i senatori-consiglieri e tra la guida di alcune

grandi città, presumibilmente all'interno delle quali verranno scelti i sindaci-senatori e

gli impegni appunto del Senato. Tuttavia, dobbiamo dire con molta chiarezza e molta

forza che oggi un fallimento del percorso di riforma, in questa fase e in questo momento

dell'evoluzione del processo, avrebbe il senso di una sconfitta generale della politica, di

questa classe politica, di questo Parlamento, di tutti noi che a questo tema abbiamo in

fondo dedicato il significato di questa legislatura e accrescerebbe, soprattutto, ancora di

più il solco pesante che si è determinato nel corso degli anni tra le istituzioni e la

comunità e tra i partiti e la gente comune. È nell'interesse generale dunque valorizzare

gli aspetti positivi di questa riforma costituzionale, aspetti positivi che risiedono, come

ho detto, certamente nella fine del bicameralismo perfetto e risiedono altrettanto

certamente in una possibilità, per chiunque sarà chiamato alla guida di questo Paese, di

esercitare la funzione di governo in una maniera che è certamente più all'altezza della

situazione. Il tema della governabilità ha trovato una risposta forte e penso soprattutto al

meccanismo del procedimento legislativo a data certa, che dovrebbe portare ad una

effettiva riduzione della decretazione d'urgenza e al tempo stesso garantire quelle che

sono le priorità del programma di governo. Poi è nell'interesse di tutti anche valorizzare

il tentativo di ridurre l'ambito delle materie di legislazione concorrente.

Dobbiamo, quindi, adottare un approccio realistico, valutare questi aspetti positivi pur

avendo chiaro ai nostri occhi che in futuro potranno certamente essere ripensate, e

dovranno forse essere ripensate, alcune soluzioni previste nel testo. In particolare noi

riteniamo che sarà necessario rimettere mano ad alcuni aspetti; per il Senato, come ho

detto ai problemi di funzionamento, ai problemi di rappresentanza, ai problemi di

accountability, nell'attuale configurazione il Senato non corrisponde alle caratteristiche

di un Senato dei territori e lo stesso Presidente Renzi ieri si è detto interessato ad una

ridefinizione del meccanismo dei voti dei senatori secondo criteri di delegazione.

Rimane poi ancora tutto il tema, più volte discusso anche con lei personalmente, di

quello che sarà il futuro della Conferenza Stato-regioni, che vedremo se riusciremo a

ridurre davvero a funzioni di coordinamento amministrativo.

Occorreva ripensare il regionalismo, il riordino in senso centralista dei poteri e la

scomparsa delle competenze concorrenti sono la risposta al sostanziale fallimento del

regionalismo, ma non possono prefigurare l'assetto a regime in un Paese plurale come il

nostro. Sarà dunque necessario configurare forme nuove e più audaci di regionalismo

differenziato, fondate sul principio di autonomia responsabile, per le quali le esperienze

delle regioni a statuto speciale, o almeno di alcune, possono costituire modelli validi.

L'abolizione delle province inoltre, richiama il bisogno di definire i criteri per enti di

area vasta tra i comuni e le regioni, che avranno comunque bisogno di esserci. Vi è

l'esigenza di un equilibrio tra rappresentanza, pluralismo e governabilità.

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PRESIDENTE. Concluda.

GIAN LUIGI GIGLI.

Ho finito, Presidente. La questione riguarda l'intreccio tra riforma costituzionale e

Italicum: vanno trovate soluzioni adeguate, o nel senso di una revisione della legge

elettorale o nel senso di radicali riforme sul piano delle infrastrutture politiche e dei

meccanismi della rappresentanza. Siamo convinti, infatti, che o si supera l'attuale forma

di partito oppure «l'operazione premio alla lista» rischia di aprire un nuovo tipo di

deficit di rappresentanza o addirittura di ritorcersi, come sottolineava l'onorevole

Tabacci, contro magari chi l'ha immaginato. In conclusione, siamo di fronte a un

passaggio necessario, e noi, senza tifoseria, ma senza nemmeno ostracismi e

demonizzazioni, voteremo a favore di questa riforma presidenziale (Applausi dei

deputati del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Cristian Invernizzi.

Ne ha facoltà.

CRISTIAN INVERNIZZI.

Signora Presidente, onorevole Ministro, membri del Governo e onorevoli colleghi, per

una singolare coincidenza, così come anche la storia ci ha spesso abituato, l'Aula dalla

Camera esprimerà un voto definitivo sulle riforme costituzionali proprio nel

trentaduesimo anniversario dalla fondazione della Lega Lombarda. Trentadue anni fa

Umberto Bossi, a cui va pubblicamente il ringraziamento da parte della Lega Nord per

questo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi

con Salvini), proprio da un notaio di Varese decise di fondare, nel silenzio, nello

scetticismo quasi totale, per non dire proprio totale, di tutta la classe politica di allora e

dei grandi mass-media, un partito che, dopo trentadue anni, è ancora presente e che,

allora come oggi, ha tra i suoi principi fondativi proprio quello di dare all'Italia – allora

alla Lombardia, ma ancora oggi – un diverso assetto istituzionale, in grado di proiettare

le nostre comunità nel nuovo millennio, quello che stiamo vivendo ora, con ha capacità

di reggere, come sistema Stato, il confronto con i nostri più immediati competitori, che

non sono – almeno fino ad oggi, speriamo che sia così anche nei prossimi anni – gli

Stati africani o del Terzo mondo ma Stati quali la Germania, la Gran Bretagna, la

Francia, insomma Stati che hanno un'organizzazione costituzionale stabile da decenni e

che hanno dimostrato, anche in questo momento di crisi, chi meglio e chi peggio, di

poter affrontare con una certa fiducia questo periodo e guardare con speranza al futuro.

Oggi voi voterete – perché già vi annuncio che il gruppo della Lega Nord non

parteciperà al voto finale – una Costituzione che nelle vostre intenzioni dovrebbe

accompagnare l'Italia per i prossimi decenni, mentre secondo noi così non sarà.

Soprattutto, questa Costituzione nasce male e, lo sapete anche voi prima di me, ciò ci fa

pensare che questa legislatura non sarà l'ultima ad affrontare un tema importante come

quello della riforma costituzionale. È una riforma costituzionale pessima, che ha anche

una genesi assolutamente sbagliata. Stavamo parlando di storia (trentadue anni fa la

nascita della Lega Lombarda), allora parliamo di storia più recente: poco più di due anni

fa, 18 gennaio 2014, il patto del Nazareno, quando appunto nella sede dal Partito

Democratico si incontrarono l'allora neoeletto segretario del Partito Democratico, Renzi,

con il presidente di Forza Italia, alla presenza, secondo quanto riportato dai giornali, di

Guerini e di Letta, e discussero di questa riforma costituzionale, qualcosa che, come

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tutti noi possiamo capire, ha qualcosa di sbagliato, perché una riforma costituzionale

non nasce nel segreto di una stanza. Sarebbe tra l'altro anche bello e utile sapere, a

distanza di due anni, quali furono effettivamente i termini dell'accordo dal patto del

Nazareno, cosa si discusse effettivamente in quella stanza, cosa effettivamente

Berlusconi e Renzi si dissero. Sarebbe bello saperlo perché, fino a prova contraria,

siamo deputati della Repubblica e oggi siamo chiamati a votare il risultato di

quell'accordo. Non lo sappiamo, non sappiamo cosa si dissero, e non sappiamo quale fu

effettivamente il centro di quella discussione.

Sono passati quasi due anni da allora e oggi il Presidente Renzi si vanterà – così come

ha già iniziato a fare da tempo, o comunque da qualche giorno, anche perché

obiettivamente il Governo esce da una settimana che potremmo definire

eufemisticamente abbastanza difficile – del grandioso risultato portato a casa, unico

nella storia repubblicana, di una riforma costituzionale. A parte il fatto che questo non è

vero, lo diciamo anche al Ministro Boschi, che continua a ripetere che sono settant'anni

che l'Italia aspetta questo momento. La XVII legislatura non è l'unica legislatura

costituente che c’è stata in questi anni. Vorrei ricordare che nella legislatura 2001-2006

c’è stata la riforma portata avanti dall'allora maggioranza di Governo composta da

Forza Italia e Lega Nord, e allora fu molto diverso. Chi è presente in questi banchi e

allora partecipò a quella riforma può dirlo, e il metodo fu molto diverso. Innanzitutto,

non vi fu un accordo segreto ma un accordo tra coloro che allora vinsero le elezioni,

Berlusconi e Bossi, e i cittadini, che votarono un programma e, sulla base di quel

programma, l'allora maggioranza portò avanti questa riforma.

Oggi non è così, oggi siamo all'esito di un processo che definire imbarazzante per

qualunque riforma di qualunque Costituzione sarebbe riduttivo. Abbiamo assistito a

cambi repentini all'interno delle Commissioni: il Governo, il segretario del partito di

maggioranza relativa ha cambiato i commissari all'interno delle Commissioni, perché i

commissari, deputati eletti sulla base di una Costituzione vigente che non prevede il

vincolo di mandato, probabilmente non avrebbero acconsentito a quanto il novello duca

di Firenze, invece, insisteva di fare. Quindi, abbiamo visto un segretario di partito e

Presidente del Consiglio prendersela direttamente con il proprio partito; abbiamo visto

un Presidente del Consiglio schifare qualunque contributo da parte dalle minoranze. Ieri

ho sentito, in sede di discussione sulle linee generali, esponenti del Partito Democratico

accusare la minoranza – l'opposizione, sarebbe meglio dire – di non aver voluto

partecipare al processo di riforma costituzionale, ma dico che, innanzitutto, al famoso

patto del Nazareno non avete invitato nessuno se non Berlusconi (la Lega Nord, per

esempio, non è stata invitata); in secondo luogo, in sede di discussione siete arrivati con

un pacchetto già preconfezionato a firma Boschi e ci avete detto «prendere o lasciare»;

gli unici problemi che sono nati, le uniche piccolissime modifiche le avete fatte

semplicemente perché al vostro interno, all'interno del Partito Democratico, la

minoranza ha battuto i pugni e poi si è portata a casa – l'abbiamo già detto in sede di

discussione sulle linee generali, così come è stato ricordato prima – un accordo

sull'elezione dei senatori che urla vendetta di fronte a qualunque costituzionalista

mondiale, perché affermare che i senatori devono essere eletti sulla base del voto

espresso dai cittadini è chiaramente una ripetizione. Ci mancherebbe altro, da chi

dovrebbero essere eletti i senatori ? In che modo dovrebbero essere eletti, se non sulla

base del voto dei cittadini ?

Ma al di là di questo, onorevole Presidente, vorrei semplicemente spiegare perché non

partecipiamo al voto. Innanzitutto, perché il Presidente del Consiglio, che viene in Aula

e dice che con questa riforma costituzionale si gioca tutto, ci fa ridere; a noi della Lega

Nord soprattutto, così come ai sessanta milioni di cittadini italiani, frega

sostanzialmente zero del futuro politico del Presidente del Consiglio. Non è che a

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ottobre parleremo del fatto che la carriera politica di Renzi debba proseguire o meno.

Speriamo che non prosegua, ce lo auguriamo tutti, e faremo di tutto perché questo

accada. Ciò perché, l'ho già detto in Commissione, però lo ripeto anche qui, il

Presidente Renzi non è De Gaulle. Il Presidente Renzi vorrebbe essere De Gaulle; il

Presidente Renzi vorrebbe essere ricordato nella storia come De Gaulle, che traghettò la

Francia dalla Quarta Repubblica alla Quinta Repubblica, ma il Presidente Renzi non ha

la storia di De Gaulle, non ha il carisma di De Gaulle e sicuramente non avrà il futuro di

De Gaulle. Gli piacerebbe, ma così non è. Mio nonno diceva e ripeteva sempre una

legge di vita, cioè che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili. Nessuno è

indispensabile, men che meno oggi è indispensabile il Presidente Renzi e la sua

democrazia decidente.

Pertanto, visto che il Presidente Renzi pone come condizione per il proseguimento della

sua carriera politica – mi avvio alla conclusione – il fatto che i cittadini italiani a ottobre

o comunque questo autunno votino favorevolmente la sua riforma, noi ci sentiamo di

consigliare una cosa: prenoti tranquillamente per questo inverno la settimana bianca a

Courmayeur, ma non faccia affidamento sul volo di Stato quest'anno. Quest'anno a

Courmayeur, Presidente Renzi, e noi faremo di tutto perché così sia, ci andrà con la sua

macchina perché a ottobre noi faremo di tutto per far capire agli italiani che del futuro

politico del Presidente Renzi, della sua maggioranza e di una Costituzione nata sul Patto

dal Nazareno noi non sappiamo cosa farcene e noi ne facciamo volentieri a meno

(Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con

Salvini).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mazziotti Di

Celso. Ne ha facoltà.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO.

Grazie Presidente. Signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, Scelta Civica

voterà a favore di questa riforma. Voterà a favore della riforma perché pensiamo che ne

esca un assetto istituzionale migliore per il nostro Paese; non il migliore evidentemente

perché come sempre quando si parla di questi argomenti è necessario discutere, è

necessario il compromesso, sono necessari gli accordi politici. E questo processo

legislativo che si conclude oggi è partito con un accordo politico, è partito con un

accordo tra la maggioranza e un pezzo rilevante dell'opposizione rappresentato da Forza

Italia a cui si devono anche una serie di modifiche al testo iniziale, modifiche in buona

parte, da parte nostra come Scelta Civica, anche non condivise – penso alla modifica

della composizione del Senato –, ma comunque modifiche che facevano parte del

normale dibattito parlamentare. Abbiamo sentito, invece, poi ieri e sentiremo

sicuramente nella dichiarazione di voto di Forza Italia la lamentela sul fatto che questo

percorso si svolge con la sola maggioranza, con decisioni della sola maggioranza, senza

l'opposizione. E questo sarebbe assolutamente lecito, sarebbe un tipo di argomento

utilizzabile, se il dissenso, se la divisione delle strade tra maggioranza e opposizione, si

fossero verificati sul merito. La realtà è che questa riforma era partita – e cito il senatore

Romani nella sua dichiarazione di voto favorevole – da un alto accordo sulle istituzioni

in un nuovo clima e si è arenato, si è bloccato sul fallimento di un tentativo di baratto

che era «vedere Presidente della Repubblica-avere riforme». Ecco, nella Costituente

nessuno ha pensato mai di condizionare il contenuto di una riforma alle alte cariche

dello Stato. La realtà è che del tutto legittimamente Forza Italia ha deciso di uscire da

questa discussione sulla base di questo solo argomento: Sergio Mattarella non era il

giusto Presidente della Repubblica.

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Per quel che riguarda l'altra grande forte opposizione che si oppone a questa riforma,

che è il MoVimento 5 Stelle, e che anch'essa ha accusato continuamente la maggioranza

di non aver voluto discutere, la realtà è che l'impostazione del MoVimento 5 Stelle è

stata fin dall'inizio contraria a questa riforma. Il Presidente Di Maio scrisse una lettera

dicendo che il bicameralismo perfetto è un sistema virtuoso da preservare. Ora è

evidente che la scelta in quel momento poteva essere quella di decidere che il

bicameralismo perfetto andava mantenuto, ma era altrettanto evidente che se si vuole

riformare un aspetto della nostra Costituzione che da sempre, fin dalla Costituente, è

stato ritenuto un problema, non si poteva scendere a compromessi con chi di fatto era

semplicemente contrario a qualsiasi riforma. Compromessi poi ce ne sono stati molti

perché il testo uscito dal Parlamento è notevolmente diverso da quello che vi era

entrato; in alcuni casi è migliorato, in altri no. Io spero che magari in futuro su alcuni

aspetti si possa ritornare. Ma la contestazione che abbiamo sentito in questi giorni e in

questi mesi sul processo, che sicuramente non è stato quello ideale, è stata dovuta

fondamentalmente a due aspetti: al fatto che i due principali partiti di opposizione erano

uno pregiudizialmente contrario e l'altro era favorevole, ma se n’è scordato per ragioni

di puro interesse di parte.

Venendo al merito, perché ho detto che questa riforma migliora l'assetto istituzionale ?

Migliora l'assetto istituzionale perché elimina il bicameralismo perfetto, come è stato

detto da tanti in questi giorni. E io credo che il tema non sia quello della velocità, ma

quello dell'efficienza e della qualità della legislazione. Questa legislatura è uno spot per

l'eliminazione del bicameralismo perfetto perché nel palleggio tra Camera e Senato

quasi tutti i provvedimenti sono peggiorati per compromessi che si sono dovuti fare,

non tra parti politiche, ma addirittura tra membri di Commissione dello stesso partito

alla Camera e al Senato. È un assurdo ed è assurdo che qualcuno ancora pensi che

quello sia un meccanismo virtuoso. Si modifica la composizione del Senato, si riduce il

numero dei senatori ed è sicuramente un fatto positivo. Noi avremmo voluto, come

Scelta Civica, un Senato, come molti altri, in stile Bundesrat. Il fatto che il Senato sia

stato composto su base proporzionale in questo modo, ripeto, è un regalo, tra virgolette,

dell'avvio della trattativa e dell'apertura all'opposizione. Ce lo siamo portato appresso.

La scelta era: rinuncio e riparto o completo la riforma in un modo che non è quello

ottimale. Noi pensiamo che sia meglio chiudere la riforma in un modo non ottimale che

non modificare un qualcosa che non funziona e che è evidente che non funziona.

Si è detto poi che la nuova struttura porta al Premier forte, al Premier dominante. Poco

fa è intervenuto l'onorevole La Russa. La realtà è che la combinazione dell'Italicum e di

questo sistema fa sì che per arrivare alla maggioranza per eleggere il Presidente della

Repubblica in teoria a chi ha 340 parlamentari servirebbero 98 senatori e non è proprio

facilissimo. L'introduzione dei tre quinti apportata al Senato per l'elezione del

Presidente della Repubblica, che noi personalmente non abbiamo condiviso perché

pensiamo che si rischi il blocco del sistema, però sicuramente conferma il fatto che qui

nessuno può controllare l'elezione del Presidente della Repubblica, nessuno può

controllare l'elezione dei giudici della Corte costituzionale. La situazione è se possibile

più garantita di prima. Poi si dice: ma l'Italicum dà a chi vince il controllo assoluto sui

parlamentari. La realtà è che l'Italicum dà a chi vince 240 parlamentari eletti con le

preferenze. Il problema semmai è un problema di autonomia e schiena dritta dei

parlamentari, ma su quella non c’è riforma costituzionale che possa intervenire.

L'altro aspetto fondamentale della riforma è la modifica del regionalismo e dei rapporti

tra Stato e regioni. Noi abbiamo sofferto per anni di un sistema impostato su delle

norme sbagliate che andavano corrette. Il riportare il commercio estero, le infrastrutture,

l'energia, il turismo, i beni culturali, materie importantissime, nel controllo dello Stato,

l'introdurre la clausola di supremazia, sono cose che consentiranno a questo Paese di

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lavorare in maniera più efficiente. Voglio citare anche un contributo diretto di Scelta

Civica: l'introduzione del principio di trasparenza della pubblica amministrazione in

Costituzione. Mai come in questi anni c’è bisogno di trasparenza. Non c’è pubblica

amministrazione, credo al mondo, che abbia più bisogno di trasparenza della nostra. Il

Governo sta cercando di apportarne con l'introduzione di nuove norme, ma sancire a

livello costituzionale questo principio è una cosa per noi fondamentale.

Concludendo, questa riforma, come ho detto all'inizio, non è la riforma migliore

possibile, non è in ogni suo aspetto la riforma che noi volevamo, ma cura due aspetti

fondamentali del nostro sistema istituzionale, che sono quello del bicameralismo

paritario e del rapporto Stato-regioni. Migliora nettamente il funzionamento delle

istituzioni sotto questi due aspetti e per questo Scelta Civica voterà a favore (Applausi

dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,02).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante

procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque

e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa dichiarazioni di voto finale – A.C. 2613-D)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Adornato. Ne ha

facoltà.

FERDINANDO ADORNATO.

Signora Presidente, grazie. Signora Ministro, la prima volta che sono entrato in

quest'Aula avevo un groppo alla gola all'idea del peso che la storia e quale storia e

quanta storia era passata qui dentro. Dopo un po’ di anni ho imparato purtroppo a capire

che la storia volentieri se ne circolava fuori da quest'Aula e solo raramente rientrava.

Sempre di più tanto da creare una frizione tra questo Palazzo e i cittadini.

Ma oggi no, oggi la storia torna a far capolino in quest'Aula e credo che chi voterà

questa riforma debba sentire tutto l'orgoglio di questo ritorno della storia e dispiace che

le opposizioni, al consueto atteggiamento antipolitico, abbiano oggi aggiunto un

atteggiamento antistorico, che è ancora più grave, e abbiano deciso di uscire dall'Aula,

dicendo che questa è una riforma improvvisata. Vediamo, improvvisata: che data

vogliamo scegliere come inizio di questa discussione ? Lasciando da parte che il

bicameralismo voleva essere superato già dai padri costituenti, ma più recentemente

quale data vogliamo scegliere per capire se la discussione è improvvisata o no ? Il 1976,

quando molti dicevano che Moro e Berlinguer, dopo il compromesso storico, avrebbero

voluto dar vita a un nuovo sistema istituzionale ? Il 1978-1979, quando Bettino Craxi

lancia l'idea della grande riforma dello Stato ? No, mettiamoci d'accordo sul 1983,

quando istituzionalmente si insedia la prima Commissione Bozzi: 1983; trentatré anni, è

una discussione improvvisata ? Dodici anni in più del regime fascista, tredici anni in più

del regime napoleonico: è una discussione improvvisata e, perché non fosse

improvvisata, l'Italia deve aspettare cento anni, dopo aver discusso, per varare una

riforma ? Ma non solo finora ogni tentativo di riforma è stato ostaggio della guerra

civile ideologica che ha diviso destra e sinistra nell'ultimo ventennio. La sinistra ha

riformato il Titolo V per pochi voti, creando innumerevoli disastri che oggi questa

riforma comincia a cambiare, contro la destra. Poi la destra ha fatto la sua riforma

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bocciata dalla sinistra nelle urne del referendum confermativo: una guerra civile e

ideologica. Ecco perché oggi la storia fa di nuovo capolino, perché per la prima volta

non si va a voti di maggioranza sinistra contro destra, ma si va a voti di una

maggioranza che unisce forze plurali, forze diverse: le forze dei moderati insieme a

quelle del PD e le forze dei moderati sono soltanto numericamente di meno qui in

quest'Aula perché c’è stato il tradimento del patto del Nazareno da parte di Forza Italia,

altrimenti anche numericamente si sarebbe verificata questa nuova evoluzione della

storia in questa Aula. Inoltre tutte le opposizioni non sono uguali. Non posso non avere

rispetto per la posizione di SEL perché riconosco un pensiero antico, uno storicismo di

estremismo parlamentare al quale va il mio rispetto. È anche luciferinamente coerente la

posizione dei Cinquestelle: essi puntano – lo dicono – al fatto che la recessione

economica non venga superata e che alla recessione economica si unisca la recessione

politica, mostrando la politica tutta la sua impotenza, perciò sono contro le riforme

perché con le riforme la politica dimostra di non essere impotente e di poter cambiare

questo Paese. Ma Forza Italia ? Forza Italia no, cari colleghi, non è comprensibile, non

c’è coerenza ma non dico solo perché ha tradito il patto del Nazareno ma perché il suo

atteggiamento ha tradito venti anni di battaglie dei moderati riformatori per cambiare la

Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)). Do you

remember, Berlusconi ? Do you remember il sogno di cambiare l'Italia ? E Zagrebelsky

che diceva: c’è un uomo solo al comando, cosa che dice ancora oggi. C’è un uomo solo

al comando, c’è una deriva plebiscitaria: dico Zagrebelsky per dire un insieme di aree e

di forze. E, se una volta Zagrebelski marciava contro Berlusconi, che tristezza oggi

vedere che Berlusconi marcia assieme a Zagrebelski: come se Dubcek avesse marciato

poi accanto a Breznev. Non c’è coerenza in questo. La verità, se vogliamo ragionare e

non andare avanti a colpi di slogan, gli uni contro gli altri, è che la fine della prima

Repubblica pretendeva un globale ripensamento delle nostre istituzioni e, invece, la

montagna ha partorito topolini quando di destra, quando di sinistra e comunque senza

aver risolto il problema. Non ci accorgiamo che la storia è uscita fuori anche perché il

pensiero politico è diventato anoressico e invece la guerra del potere, la lotta per il

potere è diventata bulimica. Sognavamo (vi ricordate, all'inizio degli anni Novanta) di

andare tutti a Filadelfia insieme ai referendum di Mario Segni, a Londra, male che

andava a Parigi. Ci siamo, invece, ritrovati in una Beirut di macerie, una libanizzazione

della politica e della democrazia entrata in stato confusionale, in un caos sistemico.

Credo che vada dato atto al Partito Democratico e a Matteo Renzi di aver posto un

argine a questo caos sistemico, avendo creato quel PD che molti di noi – compreso chi

parla – sognavano all'inizio negli anni Novanta.

Bene, ma la riforma apre dei grossi problemi anche istituzionali. Noi non ci vorremmo

limitare solo a superare il bicameralismo paritario e la forma di Governo con un

presidenzialismo o un semipresidenzialismo: è ora di ripensare il numero delle regioni

perché così la democrazia non funziona, si centralizza solo la burocrazia statale. Ma si

apre – questo voglio sottolineare in questo momento per non dire cose che sono state già

dette – un grande problema politico, cari colleghi e, Ministro Boschi, vorrei che lei ci

riflettesse insieme a Matteo Renzi. Se noi facciamo questa riforma istituzionale – e la

faremo perché il referendum sono certo che darà la vittoria – dobbiamo porci insieme un

grande problema politico: non si esce da questo caos sistemico solo con la riforma

istituzionale, ma si esce da questo stato sistemico anche se noi italiani siamo capaci di

tornare a quel sogno di Filadelfia e di avere una vera democrazia dell'alternanza.

Possiamo immaginare che il bipolarismo italiano sia oggi PD contro Cinquestelle ?

Possiamo immaginare questo futuro ? Ieri mancava la sinistra perché era attardata in

guerre ideologiche contro gli innovatori del centrodestra. Oggi manca la destra che sta

nel buio più totale e non sa che fare contro gli innovatori che oggi, anche prendendo le

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stesse parole d'ordine, si sono trovati – questo è un merito di Matteo Renzi – dietro a

Matteo Renzi. Ma ecco perché arriva il voto dei moderati, anche se pur numericamente

recintato qui in Aula, ma non nel Paese, perché non credo che i moderati si dimenticano

venti anni di battaglie quando moderati significava essere riformatori e perciò abbiamo

fatto comitati per il «sì» che si batteranno insieme a quelli del PD per il referendum. Ma

non si decide – questo voglio dire – con il referendum e con questa riforma il destino di

un leader o il destino di un Governo o non si decide soltanto questo. Matteo Renzi fa

bene in qualche misura a personalizzare – la politica è fatta anche così, non ci

scandalizziamo – ma basta non ignorare che qui si decide il destino di una nazione, non

di un leader o di un Governo soltanto e, se si decide il destino di una nazione, gli anni

che andranno dal referendum al 2020 decideranno del nostro sistema se il bipolarismo

sarà ancora una volta anomalo e Filadelfia resterà ancora una volta un sogno tra PD e

Cinquestelle o, invece, se questa fiammella che noi oggi accendiamo votando questa

riforma e poi votando il referendum, diventerà la fiamma vera di una democrazia

dell'alternanza cioè il Partito Democratico, che finalmente ha saputo andare oltre la

sinistra, come molti volevano, e un partito liberale, popolare, un soggetto moderato che

sappia rappresentare l'altro lato dello schieramento politico. Solo in questo momento,

solo allora la riforma istituzionale diventerà pienamente a regime, pienamente sistema,

pienamente funzionalità democratica. Si decide il destino di una nazione e questa

nazione è ancora a rischio. Berlusconi e Salvini da questo punto di vista, sono il

vecchio, sono ormai omologati alla sinistra dei veti e dei tabù. Ecco che allora se pure –

lo ripeto – vi sono numeri ancora non significativi o anche se alle prossime elezioni

politiche resteranno non tanto significativi, bisogna sapere che piuttosto che maledire il

buio che si è aperto nel centrodestra, è meglio accendere una candela. Ecco perché noi

votiamo «sì», ecco perché voteremo «sì» al referendum perché accendiamo questa

candela delle riforme; accenderemo la riforma al referendum, l'abbiamo accesa questa

candela appoggiando il Governo Letta e rompendo gli schemi pregiudiziali contro un

Governo di unità nazionale; l'accendiamo oggi perché io penso (e non credo di sognare)

che la democrazia italiana un giorno avrà quello che merita: il Partito Democratico che

sfiderà un grande partito liberal-popolare e il populismo sarà stato sconfitto dal senso di

responsabilità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-

UDC)).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato D'Attorre. Ne ha

facoltà.

ALFREDO D'ATTORRE.

Grazie, signora Presidente, mi consenta innanzitutto di esprimere sconcerto e amarezza

per quello che è avvenuto ieri, per l'atteggiamento del Presidente del Consiglio che è

venuto qui, non ha ascoltato un intervento, ha preferito rimanere alla buvette mentre si

teneva la parte conclusiva del dibattito e poi ha avuto la faccia tosta di dire che le

opposizioni si erano sottratte al confronto. Credo che ci troviamo di fronte a un

comportamento del tutto inadeguato per chi ha questa responsabilità istituzionale; è un

comportamento che denota, chiarisce definitivamente, qualora ce ne fosse bisogno,

l'idea del Parlamento che ha il Presidente del Consiglio.

Non tornerò oggi sulle critiche di metodo e di merito che abbiamo fatto a questo iter di

riforma; d'altra parte ieri il Presidente del Consiglio ha risposto a obiezioni che si è fatto

da solo, non avendo partecipato al dibattito e quindi il confronto diventa anche difficile.

Voglio solo dire una cosa: è stato davvero imbarazzante, credo per tutti, questo parallelo

con i lavori dell'Assemblea costituente. Ora, credo che ciascuno possa misurare l'abisso

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di statura e di leadership tra quei personaggi che seppero distinguere la divisione

rispetto al Governo, la diversa collocazione internazionale rispetto a un lavoro comune

sulla Costituzione, rispetto all'atteggiamento di chi, in ogni passaggio di questo iter, ha

minacciato i parlamentari di mandarli a casa se non si faceva come diceva il Governo.

Voglio anche dire alla Ministra Boschi con tranquillità: lasciate riposare in pace

Terracini e Dossetti (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra

Ecologia Libertà), non li scomodate con le citazioni forzate e anche un po’

sconclusionate, tornate alla vostra dimensione: questa riforma della Costituzione la state

facendo con Alfano e Verdini (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana –

Sinistra Ecologia Libertà), questa è la vostra dimensione ! Lasciate stare in pace i padri

costituenti. Il parallelo corretto ieri lo ha fatto il deputato del PD Ferrari quando,

provando a difendere il suo partito dall'accusa di una riforma imposta dal Governo, ha

detto non è una novità, c’è un precedente, il precedente del 2005, la riforma fatta dal

centrodestra. Io voglio ricordare che cosa disse il centrosinistra in quella occasione,

quali furono le parole con le quali chi intervenne a nome del centrosinistra concluse il

suo intervento il 20 ottobre del 2005: «Ancora una volta, in questa occasione, emerge la

concezione che è propria di questo Governo e di questa maggioranza, secondo la quale

chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore, una

concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al Governo e di

chi è all'opposizione. La cosa grave è che questa volta, vittima di questa vostra

concezione, è la nostra Costituzione». Sono le parole pronunciate da Sergio Mattarella

(Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) e lo

dico non per tirare in ballo la funzione di terzietà e di equilibrio del Presidente della

Repubblica, ma per misurare l'abisso che separa quella cultura delle istituzioni, che fu

una delle cifre più alte dell'Ulivo e del centrosinistra, e la pratica e i comportamenti che

voi avete messo in campo.

D'altra parte un'amnesia diffusa sembra essersi imposta nel PD. Ieri ho interrotto il

collega Sanna, mi è spiaciuto farlo, perché addirittura ha provato a dire che nel

programma elettorale della coalizione Italia Bene Comune c'era un'idea quasi di un

presidenzialismo, di un rafforzamento totalmente a favore dei poteri del Governo.

Anche qui basterebbe leggere le carte. Leggo un estratto di quel programma che sì

rivendico, onorevole Sanna; io ho dato una mano a concorrere, assieme ad altri, a

scriverlo. Quel programma col quale anche lei è stato eletto scrive: «La sola vera

risposta al populismo è la partecipazione democratica. La crisi della democrazia si

combatte non con meno, ma con più democrazia, più rispetto delle regole, una netta

separazione dei poteri, una vera democrazia paritaria e l'applicazione corretta e integrale

di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo». Questo è il

programma col quale anche lei Ministra Boschi è stata eletta nel 2013 (Applausi dei

deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà), altroché Costituzione

che si attendeva di cambiare da settant'anni; questo è il programma con il quale tutti i

parlamentari di Italia Bene Comune sono stati eletti !

D'altra parte è vero quello che avete detto: questa riforma è effettivamente la madre di

tutte le riforme che avete fatto, per il suo legame con la legge elettorale che sarà uno

degli oggetti centrali sul referendum, lo ricordano i colleghi che hanno avanzato pesanti

obiezioni sulla legge elettorale. L'unico modo per mandare in soffitta l'Italicum è

sconfiggere questo disegno nel referendum costituzionale di ottobre. Ma lo è anche per

il legame con le altre riforme economiche sociali. Infatti, per fare quello che avete fatto

sul lavoro, sulla scuola, sulle concessioni autostradali, quello che avete fatto in materia

di mancata tutela del risparmio pubblico, certo che bisognava indebolire il modello di

democrazia partecipata previsto dalla seconda parte della Costituzione.

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Questo, sappiate, sarà il cuore della nostra campagna. Voi volete destrutturare la

seconda parte della Costituzione, perché il vostro vero obiettivo è disattivare la prima

parte, come avete mostrato concretamente con la vostra azione di Governo in questi due

anni. E chi ha titolo, lo dico anche qui al collega Ferrari che rivendicava addirittura –

ahimè – una continuità tra questa riforma e la lotta partigiana, chi ha pieno titolo

politico, culturale e morale per rivendicare quell'eredità, l'eredità della Costituzione

repubblicana e antifascista, mi riferisco all'ANPI, sarà schierato nei comitati per il «no»

(Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) per

impedire che questa riforma passi. Comincia una stagione diversa finalmente, comincia

una stagione, a partire da domenica prossima, in cui la parola torna ai cittadini. Ieri

abbiamo perfino ascoltato il Presidente del Consiglio che ha avuto la spudoratezza di

rivendicare il fatto che la nuova riforma abbassa il quorum per la validità del

referendum, nello stesso momento in cui invita i cittadini a non partecipare, invita i

cittadini all'astensione. È dovuto intervenire il Presidente della Corte costituzionale,

Paolo Grossi, insigne storico del diritto e faro della cultura giuridica italiana, per

ricordarvi che cosa dice la Costituzione, che cosa dice l'articolo 48: il voto è un dovere

civico, il voto è un dovere civico (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana –

Sinistra Ecologia Libertà) ! Prima di provare a stravolgerla questa Costituzione, provate

a rispettarla. Domenica avremo un primo passo, avremo un primo test, in cui ci sarà un

pronunciamento dei cittadini che non sarà certo soltanto sui temi importantissimi del

referendum, la tutela del mare e dell'ambiente, una politica energetica che guardi al

futuro e non al passato, ma sarà a questo punto, per quello che è emerso, anche un

pronunciamento per la pulizia e la trasparenza della politica. Sarà anche un

pronunciamento di un pezzo di società italiana che dice «no» alla vostra idea di politica

e democrazia, quella che invita i cittadini a starsene a casa, perché così magari poi le

vostre trattative con i petrolieri, con i banchieri, con i concessionari autostradali, con un

pezzo di grande industria, riuscite a farle con più tranquillità (Commenti dei deputati del

gruppo Partito Democratico – Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana –

Sinistra Ecologia Libertà). Allora più trasparenza, più pulizia della politica ! Provate ad

ascoltare Ministra Boschi la voce dei cittadini, provate ad ascoltarla e magari evitate

anche nel momento in cui la magistratura sta lavorando di voler dare l'idea di ostacolare

il lavoro dei magistrati, di introdurre una stretta delle intercettazioni. Il Governo pensi

piuttosto a ritirare quell'emendamento vergogna – l'emendamento di Tempa Rossa, che

si è rivelato del tutto funzionale agli interessi privati (Applausi dei deputati del gruppo

Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà), agli interessi privati di pochi.

Quello che è avvenuto qui è chiaro, lo testimonia questo dibattito, quante voci critiche,

perplesse abbiamo ascoltato anche nell'ambito della maggioranza, non c’è convinzione

su questa riforma. Avete piegato i parlamentari, anche della maggioranza,

semplicemente con la minaccia dello scioglimento anticipato della legislatura. Ma i

cittadini, cara Ministra Boschi, voteranno per convinzione e con convinzione, si

terranno la Costituzione repubblicana.

Noi vi lasciamo qui a portare a termine questa prevaricazione del Governo sul

Parlamento e ci impegneremo tra i cittadini, perché con la forza della partecipazione

popolare si possa restituire centralità, dignità e autonomia al Parlamento; viva la

Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia

Libertà) !

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Brunetta. Ne ha

facoltà.

RENATO BRUNETTA.

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Signora Presidente, onorevoli colleghi, signori Ministri, noi diciamo «no» a questa

riforma della Costituzione per ragioni che riguardano anzitutto il cuore stesso della

nostra democrazia. Il Governo Renzi che si è intestato questo orrore ha usato la

Costituzione contro se stessa, ha usato il voto di parlamentari che, a norma di sentenza

della Corte Costituzionale, non dovrebbero sedere in quest'Aula, lei compresa, Ministra

Boschi; ha usato questi parlamentari per modificarla. È come costruire il palazzo della

democrazia truccando i calcoli del cemento armato, o meglio ancora, fare rinascere la

Costituzione con una violenza, colpendola nella sua essenza. Ricordo che la riforma

della Costituzione repubblicana comporta un esercizio di sovranità che necessita di un

Parlamento autorevole, pienamente legittimato dal voto popolare, in grado di

rappresentare democraticamente tutti i cittadini. L'attuale Parlamento è invece stato

eletto in forza di una legge elettorale che la Consulta ha giudicato incostituzionale; tale

circostanza, indebolendo significativamente la legittimità morale e politica del

riformatore costituzionale, avrebbe dovuto indurre, signora Presidente, le Camere ad

intervenire solo attraverso un'ampia condivisione dell'impianto di riforma. Come si fa a

fingere di non capire ? Ripeto: il processo parlamentare, che ha fatto arrivare fin qui per

l'ultimo voto questa riforma, è in se stesso lesivo dei valori fondanti che devono

presiedere a un passo così decisivo della vita della Repubblica, trasformandolo in un

atto eversivo, eversivo anche se per fortuna il popolo avrà il diritto di dire di «no».

Questo articolo, il 138 della Costituzione, che prevede il referendum, è stato davvero

una saggia uscita d'emergenza voluta dai padri costituenti e ci impegneremo perché

questo accada, nonostante Renzi abbia voluto falsificare anche il significato del

referendum, facendolo coincidere con se stesso, con un plebiscito sul suo nome. Nei

fatti, questa riforma è diventata un ologramma di Renzi e noi ci impegneremo a farlo

svanire. Certo, noi abbiamo un giudizio variamente negativo sui contenuti e il

Presidente ieri si è vantato davanti a un'Aula quasi vuota di aver voluto, per una volta,

entrare nel merito, ma il merito di una riforma costituzionale in un Paese democratico,

signora Ministra Boschi, coincide con il metodo con cui si è arrivati ad elaborarlo: i

contenuti esprimono la forma mentis di chi li ha voluti. Una minoranza nel Paese, che è

maggioranza solo grazie a un furto di democrazia, denunciato dalla Corte costituzionale,

e aggiungo anche da sessanta senatori eletti nello schieramento opposto, sta imponendo

una riforma che, in congiunzione di una legge elettorale su misura, vuole dare un potere

senza contrappesi a quella stessa minoranza che l'ha fatta votare dalle Camere senza

averne il diritto. La Costituzione di uno Stato, di una Nazione, di un popolo, almeno in

Occidente, riflette e deve riflettere valori condivisi dalla larghissima parte di quel

popolo. Così è accaduto in Italia nel 1947, oggi vediamo accadere il contrario. Poteva

non essere così, c’è stato un momento di questo processo di riforma che ha avuto un

altro respiro e Renzi lo ha troncato, mi riferisco al Patto del Nazareno: il Patto del

Nazareno si poneva infatti come soluzione ad un vulnus costituzionale venutosi a creare

dopo la sentenza della Corte. Berlusconi e Forza Italia accettarono il ruolo di

interlocutori, la legittimità di un processo di riforma costituzionale era così recuperata

per la forza, non tanto dei numeri parlamentari, ma dei voti popolari. La rottura del

Patto in sé, persino al di là delle versioni fantasiose fornite dallo stesso Renzi, la fine di

quel Patto, per il fatto stesso che si è rotto, ha eliminato qualsiasi giustificazione morale

e politica a questa riforma, rivelandone la natura strumentale alla corsa di un uomo solo

al comando verso un regime sulla sua misura. E questa è diventata la riforma di una

minoranza che è diventata maggioranza solo sulla carta, non per il volere dei cittadini. È

vero, la Consulta ha fatto salvo l'attuale Parlamento, malgrado esso fosse stato eletto

con una legge incostituzionale, ma non bisogna dimenticare su quali ragioni essa è

pervenuta a tali conclusioni: non perché il Parlamento fosse legittimamente composto,

ma perché, di fronte alla constatazione drammatica del vizio delle elezioni, un valore

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superiore sarebbe dovuto prevalere, quello della continuità dello Stato. Oggi, in

discussione, è la legittimità storico-politica dell'operazione in corso, perché tale

legittimità, se viziata, può corrodere il senso di appartenenza ad un comune destino

politico del popolo italiano, quel destino che è scritto nella nostra Carta fondamentale,

in cui tutti sono chiamati a riconoscersi.

Per questo, intendiamo rispondere alla replica tecnica punto per punto del Presidente del

Consiglio svolta ieri, con un'unica grande questione metodologica, signora Ministra

Boschi: un Parlamento privo della legittimazione giuridica, politica e morale ci

consegna una riforma viziata ab origine e di per sé già fallita, un Parlamento

irrimediabilmente illegittimo ci consegna una Costituzione che divide, anziché unire,

frutto di una serie di forzature politiche e regolamentari inaccettabili, che produrrà

l'ennesima lacerazione, l'ennesima occasione di conflitto. Noi, signora Ministra Boschi,

la nostra riforma l'avevamo fatta validare dal voto politico del 2001. E il tutto è ancora

più grave, surreale e scorretto nei confronti dell'intero Paese perché avviene in un tempo

in cui la democrazia è sospesa, con un Governo, il suo Governo, Ministra Boschi, con

un programma, questo sì, che non è mai stato validato dagli elettori, con un programma

di riforma costituzionale che non è mai stato validato degli elettori e che, oggi più che

mai, mostra tutti i suoi conflitti interni, i ricatti che riceve dall'esterno e a cui

consapevolmente soggiace, la sua incapacità di gestire la crisi e le vere questioni che

attanagliano il nostro Paese.

Davanti a una violenza costituzionale siffatta, Forza Italia non può che dire di «no» con

fermezza e con semplicità. Il nostro «no» è a questo Governo, a questa maggioranza, a

questa riforma, alla Costituzione ad immagine e somiglianza di un Presidente del

Consiglio che non è il Presidente dei cittadini italiani, che non è il Presidente di tutti gli

italiani. La Carta costituzionale di oggi e di domani deve continuare ad essere un

patrimonio comune di tutto il popolo italiano, la Carta costituzionale deve essere e

continuare ad essere la Carta di tutti. Per questo, il gruppo di Forza Italia non

parteciperà al voto, con l'impegno solenne a sostegno dei comitati per il «no» al

referendum, per mandare a casa il Governo Renzi e per tornare alla democrazia (La

Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in

calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della dichiarazione di voto.

Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi

Presidente).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Danilo Toninelli.

Ne ha facoltà.

DANILO TONINELLI.

La ringrazio, Presidente. Diciamolo subito: nell'intervento del Presidente del Consiglio

fatto ieri, in mezzo alle tante inesattezze e alle tantissime falsità, una cosa è stata detta

correttamente: era una giornata storica, una giornata storica non per il Paese, non per la

democrazia, non per il Parlamento, come ha affermato il Presidente del Consiglio, ma

una giornata storica per i banchieri...

PRESIDENTE. Scusate, colleghi, nel defluire, se potete abbassare il tono della voce.

DANILO TONINELLI.

Una giornata storica, Presidente, per coloro che, grazie a queste riforme che accentrano

il potere nelle mani del Presidente del Consiglio che va a braccetto con i poteri forti dei

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lobbisti, dei banchieri e dei finanzieri, potranno avere quell'emendamento più

facilmente, potranno scrivere loro stessi quelle leggi. Quelle persone oggi festeggeranno

questa riforma e, insieme a loro, sa chi festeggerà ? Festeggeranno i consiglieri

regionali, coloro che prenderanno il treno dalla loro regione e verranno a Roma, in

qualità di senatori che si vestiranno dell'immunità; festeggerà, ad esempio, quel

Mantovani, festeggerà ad esempio quel Rizzi della regione Lombardia da cui provengo,

che sono stati arrestati per reati contro la pubblica amministrazione e che, grazie alla

casacca di senatori, verranno a Roma per l'immunità. Questa è una giornata storica, per

queste persone è una giornata storica.

Per questi motivi, Presidente, io non posso rivolgermi ai membri di questa maggioranza,

che hanno il fucile puntato nei confronti della Costituzione; io mi rivolgo, Presidente, a

quei cittadini – e sono tanti e sono milioni di cittadini – che credono nei principi

fondamentali della nostra Costituzione, che si ricordano che cos’è la Costituzione, si

ricordano chi l'ha scritta e perché è stata scritta, non per rubarci la democrazia, ma per

darci la democrazia, per uscire da un periodo buio di violenza e di regime e per dare

democrazia e libertà ai cittadini. Quindi, Presidente, piano piano, andiamo ad affrontare

e a smontare pezzo per pezzo la retorica dei figli deformatori, che siete voi, dei nostri

padri costituenti.

Il primo punto: il Presidente del Consiglio e i figli deformatori affermano che questa

revisione è legittima; stiamo attenti a chiamarla «revisione» perché riforma porta in sé

un'accezione di cambiamento in positivo e questa è una regressione della democrazia e

della libertà e non porterà sviluppo democratico sociale ed economico. Ebbene, «questa

revisione è legittima». Ci sono tre punti e tre secondi per dire che questa revisione di un

terzo degli articoli della Costituzione è illegittima: la prima motivazione è che la

maggioranza che la propone e che si accinge a sparare col proprio dito sul pulsante «via

dalla Costituzione» è illegittima ed incostituzionale nella propria composizione

numerica. Perfino la prima firmataria, Presidente, la Ministra Guidi è un'abusiva: la sua

poltrona di parlamentare, di deputata della Repubblica non è tale, perché lei è stata

eletta con un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale, così come altri 148,

principalmente del Partito Democratico. E arriva da lì quella riforma, arriva da una

maggioranza incostituzionale. Come fa una maggioranza incostituzionale ad essere

legittimata a cambiare le regole democratiche fondamentali del nostro Paese? Vengo ora

al secondo aspetto, Presidente. Questa riforma viene approvata grazie alla

trasmigrazione di ben 250 parlamentari della Repubblica eletti con una casacca partitica,

con un colore politico, e che sono passati da altre parti. È grazie ad uno di questi

trasmigratori, tra l'altro condannato in concorso in corruzione e plurindagato, Verdini (e

i suoi), che al Senato, pochi mesi fa, questa riforma è stata approvata in seconda lettura,

approvata con i voti di un condannato che è stato eletto, tra l'altro, in un'altra forza

politica e che poi è migrato.

Terzo punto. Questo è un Governo sotto sfiducia, Presidente, un Governo sotto sfiducia

per uno scandalo che ha la stessa portata di Tangentopoli e all'interno del quale ci sono

parlamentari, come la Ministra Boschi, ci sono Ministri che si sono dimessi, ci sono

consiglieri e presidenti di regione, sindaci, impiegati pubblici, funzionari. C’è di tutto e

ci siete dentro voi ed è appena iniziato questo scandalo; si chiama «Trivellopoli», e voi

avrete una mozione di sfiducia la prossima settimana e questo Parlamento, al Senato,

non ha dato la possibilità di votare prima quella. Le sembra normale che oggi questo

Parlamento voti definitivamente la riforma di 40 dei 139 articoli della Costituzione e

magari domani chi propone questa modifica, schifosa e offensiva per la Costituzione,

anche per la sgrammaticatura (è un antilingua, così come l'avete scritta), se ne vada a

casa ? A noi sembra che non sia legittimo tutto questo.

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Il secondo aspetto, Presidente. «Questa revisione non tocca i principi fondamentali della

nostra Costituzione, primo fra tutti la sovranità popolare». Come vi permettete, come si

permette il Presidente del Consiglio di dire che non va a toccare i principi fondamentali

? Ma voi lo sapete che i senatori non saranno più eletti dal popolo ? E, quindi, non è

stata toccata la sovranità popolare ? Non è stato toccato l'articolo 1 della Costituzione ?

I senatori non sono più eletti dal popolo, ma i senatori sono nominati dai consiglieri

regionali, che sono la classe politica più corrotta della storia della Repubblica ! E non è

stata toccata la sovranità popolare...

Con l'Italicum le liste sono bloccate, Presidente. I segretari di partito, capi politici,

nominano il 75 per cento di coloro che occuperanno l'unica Camera politica che, se

passa questa «deforma della Costituzione», rimarrà in vita. E non sono stati toccati i

principi fondamentali della Costituzione ? Si sono innalzate da 50 a 150 mila le firme

necessarie per le leggi popolari e voi avete il coraggio di dire che non sono stati toccati i

principi fondamentali. Siete vergognosi !

Il terzo aspetto è quello che il Presidente del Consiglio andò a sbandierare in diretta

televisiva appena insediato: «Sino al 2014 si risparmierà un miliardo di euro». Ha poco

da ridere la Ministra Boschi, c’è da piangere. Dunque, «si risparmierà un miliardo di

euro». I soldi che si risparmiano sono zero, Presidente. Il Senato, con tutta la sua

macchina burocratica, rimane in piedi e se ne spenderanno tanti in corruzione, perché

coloro che diverranno senatori – l'abbiamo già detto – saranno quei consiglieri regionali

tra cui, magari, ci sono persone sotto processo, indagate o addirittura condannate. E sa

cosa succederà, Presidente ? Che queste cento persone – e la maggioranza assoluta fa 51

al Senato – terranno in mano Costituzione, legge elettorale, referendum e ordinamenti

locali, perché su queste leggi fondamentali della democrazia c’è il bicameralismo

paritario. Quindi, questi svenderanno un voto per una riforma della Costituzione e della

legge elettorale, svenderanno un voto perché loro hanno, in quel momento, il coltello

dalla parte del manico. Sono 51 persone, tra cui la maggior parte consiglieri regionali,

che tengono in pugno la Costituzione. E secondo voi questo è un risparmio.

Il quarto aspetto: «La revisione di questa Costituzione migliorerà la macchina pubblica

rendendo più semplice ed efficiente il potere legislativo» affermano la Ministra Boschi e

il suo compare, il Presidente del Consiglio Renzi. Presidente Boldrini, oggi l'articolo 70

della Costituzione è composto da una riga e mezza.

Il vostro articolo è composto da 79 righe e il titolo è: «Formazione delle leggi». Si

formano le leggi in dieci modi diversi; oggi si formano in un modo, domani se ne

formeranno in 10. Si creerà il caos e nel caos ci si bloccherà ulteriormente, si regredirà

nello sviluppo economico. Quando le imprese guarderanno alla finestra dell'Italia

vedranno che le modalità per scrivere le leggi sono infinite e gli intralci del Senato, nei

confronti della Camera, saranno infiniti. Sarà ancora più complicato produrre le leggi,

più complicato scriverle meglio, in maniera più leggibile e comprensibile. Si bloccherà

l'economia e si fermeranno ancora i diritti civili dei cittadini.

Ma, allora, perché questa maggioranza di figli deformatori, questa maggioranza e questo

Governo, che è talmente analfabeta costituzionalmente parlando, si fanno promotori di

una riforma del patto sociale che lega i cittadini, del patto di convivenza sociale ?

Perché l'hanno fatto ? Presidente, ci permettiamo di dirlo noi perché questa riforma è

stata portata avanti, perché questa revisione è stata portata avanti per accentrare il

potere, Presidente, per mettere il potere nelle mani di pochi, per permettere che

l'emendamento «Tempa Rossa» diventi una prassi scontata, diventi un'immediatezza,

per non permettere che la democrazia blocchi il processo decisionale di coloro che sono

portatori di interessi dei potenti. Avete fatto 11 provvedimenti in un anno sulle banche;

state facendo provvedimenti a favore delle compagnie petrolifere; non fate un

provvedimento a favore dei cittadini e, limitando gli spazi di democrazia e accentrando

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il potere in pochi, voi cosa farete ? Fate in modo che quegli aiuti alla parte forte della

società, che calpesta i diritti dei cittadini, sarà più facile portarli avanti.

Il secondo motivo, Presidente, è un motivo subdolo, è un motivo vergognoso. Il motivo

è lo stesso per cui avete scritto l'Italicum. Un vostro ex Viceministro in diretta televisiva

affermava: «L'Italicum è stato scritto per non far vincere il MoVimento 5 Stelle».

Ebbene, Presidente, questa deforma, questa revisione della Costituzione è stata scritta

per non far governare il MoVimento 5 Stelle, perché al Senato ci sarà la maggior parte

di consiglieri regionali del centrosinistra e di questa maggioranza che, quindi, non

permetteranno al MoVimento 5 Stelle, che vincerà ugualmente le elezioni con

l'Italicum, di governare al Senato e di poter intervenire sulla riforma della Costituzione,

per far tornare migliori le cose, o sulla legge elettorale. Sono queste le motivazioni per

le quali è stata effettivamente fatta questa modifica della Costituzione.

Ma, signora Presidente, anche se questa maggioranza ha i soldi e l'informazione dalla

sua parte, sta commettendo un enorme errore: sta sottovalutando i cittadini italiani,

l'intelligenza dei cittadini italiani, dei milioni di cittadini italiani che hanno capito che

questa vostra richiesta di modifica non porta a nulla. Saranno quei cittadini, che ad

ottobre andranno alle urne, a votare contro questa riforma...

PRESIDENTE. Concluda.

DANILO TONINELLI.

... perché sanno perfettamente che questo non è un andare avanti, ma sono il peggiore

conservatorismo e antipolitica che ci possano essere

Noi, Presidente – e concludo –, non vogliamo sporcarci le mani con questo obbrobrio e

lo lasciamo votare solo a voi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ettore Rosato. Ne

ha facoltà.

ETTORE ROSATO.

Grazie, signora Presidente. Cari colleghi, care colleghe, con il voto di oggi si premia

l'ambizione di quanti hanno creduto che si potesse cambiare davvero il Paese e lo si può

fare partendo da quest'Aula, la stessa che 70 anni fa votò una Costituzione forte e giusta.

Dire che quello che stiamo facendo sia un momento storico non è un abuso letterario.

Questa è la conclusione di un percorso iniziato molti anni fa. «Il Senato dovrà essere 4

del programma trasformato in una Camera delle regioni», recitava la tesi n. dell'Ulivo

del 1996; «i senatori dovranno essere e restare esponenti delle istituzioni regionali». Se

quelle tesi per qualcuno sono valse allora, non si capisce perché oggi non valgano.

Eppure, si è trattato solo di passare dalle parole ai fatti. Insomma, trasformare il Senato,

mettere mano alla seconda parte della Costituzione, così come oggi facciamo – lo dico

ai colleghi di Sinistra Italiana – era ed è un progetto di sinistra. Mai a sinistra qualcuno

lo contestò veramente e oggi chi lo fa usa un pretesto per attaccare la maggioranza. Sì,

un pretesto, perché abbiamo fatto una buona riforma, più condivisa di quanto abbiamo

ascoltato ora.

I punti cardine, infatti, sono stati fissati nella «commissione dei saggi» insieme alle altre

forze politiche del centrodestra, come il dibattito che si è sviluppato e il voto finale che

ne è seguito in prima lettura hanno potuto testimoniare.

Lo aveva bene sottolineato, anzi rivendicato, Paolo Romani, nella sua dichiarazione di

voto dell'8 agosto 2014, quando rivendicava il valore di una riforma scritta insieme; una

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collaborazione che, come sappiamo, poi svanisce non sul merito della riforma ma

quando la destra non accetta più di votare il Presidente della Repubblica, un uomo delle

istituzioni come Sergio Mattarella. Che sia una riforma condivisa lo testimoniano anche

le tante modifiche apportate al testo, perché tra i milioni di emendamenti presentati

abbiamo lavorato insieme per trovare le cose coerenti e condivisibili, a prescindere da

chi le aveva presentate; non è certo questa la sede, ormai, per articolare il contenuto

della riforma. Lo ha fatto molto bene il nostro relatore, Fiano, che ringrazio per la

competenza e l'impegno che ha messo nel provvedimento, così come gli altri colleghi

che sono intervenuti nella discussione sulle linee generali. Però, alcuni aspetti mi preme

ribadirli: è una riforma che cambia profondamente le nostre istituzioni senza toccare i

principi fondamentali e la forma di Governo; nessun potere in più al Presidente del

Consiglio, nessuno, in nessuna formula, però via il bicameralismo, fiducia solo alla

Camera, taglio di un terzo dei parlamentari – quello che si è sempre promesso e non si è

mai fatto –, via il CNEL, le province, un nuovo rapporto tra Stato e regioni; nasce il

Senato delle autonomie, vero luogo di rappresentanza territoriale, con eletti scelti

direttamente dai cittadini, come scrivevamo nel 1996: consiglieri regionali che restano

tali e fanno anche i senatori. È una riforma che, come PD, sentiamo veramente nostra.

Non è solo nostra, certamente, ma è molto nostra. Consentitemi su questo di dare merito

anche alle voci dissonanti interne al gruppo del Partito Democratico, che ci sono state,

anche forti; queste voci e le modifiche che ne sono derivate hanno consentito di arrivare

ad una sintesi più alta, che oggi tutti possiamo sostenere con più forza.

Ciò premesso, so bene che non è una riforma perfetta; le riforme perfette non esistono,

le riforme perfette restano nei cassetti, non arrivano mai all'approvazione. Ognuno di

noi, dal proprio punto di vista, potrebbe scorgerne limiti e difetti, qui però ognuno di noi

ci ha messo la passione e la competenza per costruire la migliore mediazione possibile.

Per questo, fatemi anche ringraziare i presidenti delle Commissioni che si sono

succeduti, il presidente Sisto e il presidente Mazziotti Di Celso, e con loro naturalmente

tutti gli uffici del Parlamento che hanno lavorato, tutti gli uffici della Camera. Nel

dibattito abbiamo sentito interventi e osservazioni appassionate, interventi di merito,

alcuni condivisibili, altri meno; soprattutto in Commissione, abbiamo sentito molti

interventi di merito appassionati, ognuno ci ha messo del suo. Ne porto e ne portiamo

grande rispetto, anche per chi oggi è uscito dall'Aula. È il modo più bello di vivere la

nostra Costituzione, lì proprio dove in essa si legge la difesa del pluralismo, della

diversità, del dissenso, delle minoranze, prerogative e diritti che escono rafforzati dal

nostro lavoro.

Siamo un grande Paese che ha delle solide basi democratiche proprio nella Carta

costituzionale, che oggi siamo qui a difendere, ad adeguare, in quello spirito che i

costituenti hanno previsto. Anche per questo, ho un grande rammarico nel vedere i

banchi vuoti di un pezzo delle opposizioni. È una scelta incoerente, proprio incoerente,

rispetto al loro dovere di rappresentanza. Oggi, invece, c’è un riscatto della buona

politica. Andiamo al voto dopo tante promesse mancate, sono state ricordate qui in tanti

interventi. Andiamo al voto nella legislatura che è iniziata nell'incapacità di eleggere un

Presidente della Repubblica e costretti a richiamare il Presidente Napolitano a questo

incarico. Siamo qui anche per mantenere quell'impegno preso in quest'Aula, preso

all'indomani della sua rielezione. Ci siamo arrivati con tanta determinazione e tenacia,

in questi due anni di lavoro del Parlamento, dei nostri gruppi, come ha ricordato il

Presidente Renzi nel suo intervento di ieri, ma anche del Governo, in particolare del

Ministro Boschi; chi ha lavorato in Parlamento lo sa. Classe 1981, giovane e donna: in

questi luoghi bisogna essere doppiamente bravi. Senza la sua competenza, la sua

capacità di ascolto e determinazione oggi non saremmo a questo punto delle riforme.

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Adesso ci aspetta il responso dei cittadini. Lo avevamo detto dall'inizio del nostro

percorso: ci vuole comunque il referendum. È il giudizio dei cittadini quello che conterà

davvero; un giudizio sul merito, non sulla politica del Governo o sul Presidente del

Consiglio; un giudizio su quello che noi oggi approviamo.

Siamo certi che comprenderanno la posta in gioco: tenere fermo il Paese nel passato o

permettergli di voltare pagina. Noi vogliamo voltare pagina e, nel voltare pagina,

vogliamo stare a testa alta in Europa, guidando anche lì il cambiamento. Per questo,

annuncio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico (Applausi dei deputati

del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Giuseppe

Lauricella. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE LAURICELLA.

Presidente, avrei voluto esprimere in quest'Aula oggi le ragioni, la ratio e la natura delle

scelte che ci hanno condotto al testo di riforma che ci accingiamo ad approvare,

ricordando però sin d'ora che l'eventuale richiesta di referendum sposterà l'approvazione

al momento del voto referendario, affidando al popolo la decisione finale. Condividendo

e attendendomi alla decisione dei gruppi e nel rispetto anche della dichiarazione del mio

capogruppo, le chiedo di essere autorizzato a consegnare il testo del mio intervento.

PRESIDENTE. D'accordo (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente

seguiti).

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Adriana Galgano. Ne ha

facoltà.

ADRIANA GALGANO.

Signora Presidente, membri del Governo, voterò contro la riforma costituzionale, per

molti motivi. Ne cito due per tutti, particolarmente significativi. La riforma contiene

diversi pasticci: non cancelliamo il Senato, anzi manteniamo a una Camera non elettiva

competenze importanti come quella europea, con la conseguenza di indebolire la nostra

posizione in Europa, e non ne abbiamo certo bisogno; il nuovo testo è in diverse parti

incomprensibile in italiano e rende incerto il diritto degli elettori. Cito, a titolo di

esempio, il comma 5 dell'articolo 2: La durata del mandato dei senatori coincide con

quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti in conformità

alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei

medesimi organi secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.

Colleghi, qualcuno di noi ha il coraggio di sostenere che in questo comma è chiaro e

comprensibile che spetta agli elettori scegliere i consiglieri regionali che andranno a fare

i senatori ? Io no davvero.

Scrivere leggi che i cittadini comprendano con facilità dovrebbe costituire una

condizione irrinunciabile perché possa essere loro imposto il rispetto delle leggi.

Dovremmo sentirci obbligati prima di tutto dalla nostra coscienza a formulare sempre

norme chiare e comprensibili a garanzia della stessa libertà dei cittadini, ma soprattutto

in una Costituzione. Non lo abbiamo fatto e per me non è proprio possibile votarla.

Altro che sentire orgoglio, caro collega Adornato, io sento il peso della molta normativa

sgangherata con la quale opprimiamo tutti i giorni i cittadini e che adesso pretendiamo

di elevare a Costituzione. Segnalo anche che, se avessimo voluto essere più veloci ed

efficienti da subito, bastava fare la riforma del Regolamento della Camera e del Senato.

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Mi domando e vi domando: come mai siamo così restii ad utilizzare e potenziare la

funzione legislativa delle Commissioni, che nei Parlamenti contemporanei è una delle

vere chiavi di volta della velocità e dell'efficienza ? Si usano la velocità e l'efficienza

per giustificare una compressione pasticciata dei diritti degli elettori, quando la velocità

e l'efficienza le avremmo potute ottenere in altro modo molto più semplice. Così

avremmo potuto concentrarci sulla qualità di ciò che facciamo, perché la qualità della

politica e del suo operare è la vera sfida oggi per il nostro Paese. L'esperienza infatti

insegna che velocità senza qualità crea spesso molti più problemi di quanti pensava di

risolverne. Voterò quindi contro convintamente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Eugenia Roccella.

Ne ha facoltà. Colleghi, per favore, abbassate il tono della voce. Prego, deputata

Roccella.

EUGENIA ROCCELLA.

Grazie Presidente. Io intervengo per portare in quest'Aula la voce dei cittadini che non

sono in quest'Aula e che hanno riempito per due volte, prima a gennaio e poi a giugno,

prima la piazza di San Giovanni e poi la piazza del Circo Massimo. La voce di questi

cittadini, più di un milione, non è stata ascoltata nel merito, cioè nell'opposizione al

testo di legge sulle unioni civili e oggi vorrei leggere il comunicato che è uscito da parte

di Massimo Gandolfini, che è il portavoce del Family Day...

PRESIDENTE. Mi scusi, però, deputata, non capisco l'inerenza di questo suo intervento con

quanto stiamo trattando ora.

EUGENIA ROCCELLA.

Se mi lascia finire lo capisce perché è su questo. È una dichiarazione di voto anche

personale. Allora, l'appello di Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day e

presidente del Comitato «Difendiamo i nostri figli» è questo: «Faccio un appello a tutti i

deputati che hanno a cuore il futuro della democrazia in Italia: votate no alla riforma

costituzionale. La recente vicenda dell'approvazione del DDL Cirinnà al Senato – io

l'avrei definito più correttamente il DDL Renzi-Alfano-Verdini – senza che sia stato

possibile un dibattito serio e rigoroso su una legge estremamente delicata e divisiva

come quella sulle unioni civili induce a un comportamento di garanzia nei confronti

della tutela del dibattito democratico parlamentare. Qualora passasse la riforma con

un'unica Camera sentiamo l'enorme pericolo che leggi di grande peso etico e

antropologico potrebbero essere approvate con un atto di imperio da parte del Governo.

Pertanto, facciamo un forte appello a tutti i deputati perché si oppongano a una riforma

che renderebbe di fatto il Governo decisore unico delle leggi dello Stato. La storia delle

unioni civili sia di monito a tutti e per tutti». Ecco, personalmente e anche come

rappresentante del Movimento Idea aderisco a questo appello e, quindi, voterò contro la

riforma.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione – A.C. 2613-D)

PRESIDENTE.

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Passiamo alla votazione finale.

Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di

legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in

prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato,

approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in

seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi 2613-D, di cui si è testé

concluso l'esame. Ricordo componenti, dal Senato, che per l'approvazione occorre la

maggioranza assoluta dei componenti la Camera.

Dichiaro aperta la votazione. (Segue la votazione).

Votazione nominale finale Disegno di legge costituzionale C. 2613-D

Carbone, Catania, Burtone, Di Salvo, Cassano, Vecchio, Dellai... Dichiaro chiusa la

votazione.

Comunico il risultato della votazione:

Presenti 370

Votanti 368

Astenuti 2

Maggioranza 316

Hanno votato Si 361

Hanno votato No 7

La Camera approva

(Vedi votazioni – Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare

(NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Democrazia Solidale-Centro Democratico,

Misto-Minoranze Linguistiche, Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie-ALA-MAIE-

Movimento Associativo Italiani all'Estero e Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) –

Liberali per l'Italia (PLI)).

(I deputati Giulietti e Gasparini hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere

voto favorevole).

Colleghi, la seduta non è terminata e, dunque, invito a rimanere chi vuole rimanere e a

defluire gli altri. Devo dare delle comunicazioni a quest'Aula.

La seduta termina alle 17,55.

TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI

DEPUTATI RENATO BRUNETTA E GIUSEPPE LAURICELLA SUL DISEGNO DI

LEGGE COSTITUZIONALE (A.C. 2613-D)

RENATO BRUNETTA.

Signora Presidente, onorevoli colleghi !

Votiamo no, noi diciamo no a questa riforma della Costituzione. Per ragioni che

riguardano anzitutto il cuore stesso della nostra democrazia. Il Governo Renzi, che si è

intestato questo orrore, ha usato la Costituzione contro se stessa. Ha usato il voto di

parlamentari che a norma di Costituzione non dovrebbero sedere in quest'Aula per

modificarla. È come costruire il palazzo della democrazia truccando i calcoli del

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cemento armato. O meglio ancora: vuole far rinascere la Costituzione con una violenza,

colpendola nella sua essenza.

Ricordo che la riforma della Costituzione repubblicana comporta un esercizio di

sovranità che necessita di un Parlamento autorevole, pienamente legittimato dal voto

popolare, in grado di rappresentare democraticamente tutti i cittadini.

L'attuale Parlamento è invece stato eletto in forza di una legge elettorale che la Consulta

ha giudicato incostituzionale. Tale circostanza, indebolendo significativamente la

legittimità morale e politica del riformatore costituzionale, avrebbe dovuto abilitare le

Camere ad intervenire solo attraverso un'ampia condivisione dell'impianto di riforma,

senza scardinare il sistema della forma di Stato e di governo vigenti, cosa che invece

non è avvenuta.

Come si fa a fingere di non capire ?

Ripeto. Il processo parlamentare che ha fatto arrivare fin qui per l'ultimo voto

parlamentare questa riforma è in se stesso lesivo dei valori fondanti che devono

presiedere a un passo così decisivo della vita della Repubblica, trasformandolo di fatto

in un atto eversivo. Eversivo però fino a un certo punto, perché per fortuna il popolo ha

diritto di dire no. Questo articolo della Costituzione che prevede il referendum è stato

davvero una saggia uscita d'emergenza voluta dai padri costituenti.

E ci impegneremo perché questo accada. Nonostante Renzi abbia voluto falsificare il

significato del referendum, facendolo coincidere con se stesso, con un plebiscito sul suo

nome. Nei fatti, questa riforma è diventata un ologramma di Renzi, e noi ci

impegneremo a farlo svanire.

Il referendum è il modo ex post con cui Renzi vuole legittimare la maniera

antidemocratica con cui ha afferrato il timone del governo e ha imposto una riforma

fatta per ribaltare l'idea stessa di democrazia parlamentare, trascinando il nostro sistema

verso gravi rischi autoritari.

Certo noi abbiamo un giudizio variamente negativo sui contenuti, e il presidente ieri si è

vantato davanti a un'aula vuota di aver voluto per una volta entrare nel merito. Ma il

merito di una riforma costituzionale in un Paese democratico coincide con il metodo

con cui si è arrivati ad elaborarlo. I contenuti esprimono la forma mentis di chi li ha

voluti.

Una minoranza nel Paese, che è maggioranza solo grazie a un furto di democrazia

denunciato dalla Corte costituzionale, sta imponendo una riforma che in congiunzione

di una legge elettorale su misura, vuole dare un potere senza contrappesi a quella stessa

minoranza che l'ha fatta votare dalle Camere senza averne il diritto.

La Costituzionale di uno Stato, di una nazione, di un popolo almeno in Occidente

riflette valori condivisi dalla larghissima parte di quel popolo, così è accaduto in Italia

nel 1947. Oggi vediamo accadere il contrario. Poteva non essere così. C’è stato un

momento di questo processo di riforma che ha avuto un altro respiro. E Renzi lo ha

troncato.

Mi riferisco al famoso Patto del Nazareno. Il cosiddetto Patto del Nazareno si poneva

infatti come soluzione ad un vulnus costituzionale venutosi a creare dopo la sentenza

della Corte. Berlusconi e Forza Italia accettarono il ruolo di interlocutori. La legittimità

di un processo di riforma costituzionale era così recuperata per la forza non tanto dei

numeri parlamentari ma dei voti popolari.

Purtroppo, con il consenso dello stesso Napolitano, quando si è reso conto di poter

contare sullo scisma di comodo e il passaggio al suo campo di 60 senatori transfughi,

oltre che su numeri gonfiati alla Camera grazie al premio elettorale incostituzionale,

Renzi si è tuffato nell'ultimo miglio della sua corsa. Ma chi sta vincendo questa corsa è

dopato, è stato sleale. E ora toccherà al popolo mandarlo a casa.

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La rottura del Patto in sé, persino al di là delle versioni fantasiose fornite dallo stesso

Renzi, la fine di quel Patto, per il fatto stesso che si è rotto, ha eliminato qualsiasi

giustificazione morale e politica a questa riforma, rivelandone la natura strumentale alla

corsa di un uomo solo al comando, verso un regime sulla sua misura.

E questa è diventata la riforma di una minoranza che, grazie alla sovra rappresentazione

parlamentare fornita da una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte

costituzionale, è divenuta maggioranza solo sulla carta.

È vero, la Consulta ha fatto salvo l'attuale Parlamento, malgrado esso fosse stato eletto

con una legge incostituzionale, ma non bisogna dimenticare su quali ragioni essa è

pervenuta a tali conclusioni. Non perché il Parlamento fosse legittimamente composto,

ma perché di fronte alla constatazione drammatica del vizio delle elezioni, un valore

superiore sarebbe dovuto prevalere: quello della continuità dello Stato.

Questo Parlamento, insomma, è legittimato a funzionare solo in ragione dell'emergenza

di salvaguardare la vita dello Stato. Ma se questa è la ragione, la legittimazione ad

esistere del Parlamento attuale non è illimitata e piena. Il mandato parlamentare è

dunque limitato a conservare lo Stato, e non può spingersi fino a cambiarne i connotati,

con un violento colpo di mano di una minoranza che artificiosamente è divenuta

maggioranza, mediante l'intervento costituzionale ai massimi livelli. Questo nei fatti si

traduce in un tradimento del limitato mandato che, a seguito della sentenza della Corte,

grava su questo parlamento illegittimo.

Proprio sulla base di quanto affermato, oggi non sono solo in discussione questo o

quell'aggiustamento tecnico, che peraltro hanno suscitato tante perplessità tra moltissimi

costituzionalisti. Oggi in discussione è la legittimità storico-politica dell'operazione in

corso. Perché tale legittimità, se viziata, può corrodere il senso di appartenenza ad un

comune destino politico del popolo italiano: quel destino che è scritto nella nostra Carta

fondamentale, in cui tutti sono chiamati a riconoscersi.

Quindi intendiamo rispondere alla replica «tecnica», «punto per punto» del Presidente

del Consiglio, svolta ieri in un'Aula in cui erano presenti circa 160 membri della sua

claque personale, con un'unica grande questione metodologica: un parlamento privo

della legittimazione giuridica, politica e culturale ci consegna una riforma viziata ab

origine, e di per se già fallita; un parlamento irrimediabilmente illegittimo, ci consegna

una Costituzione che divide anziché unire, frutto di una serie di forzature politiche e

regolamentari inaccettabili, che produrrà l'ennesima lacerazione, l'ennesima occasione

di conflitto, con l'aggravio che essa parte dai livelli apicali dell'ordinamento.

E il tutto è ancora più grave, surreale e scorretto nei confronti dell'intero Paese, perché

avviene in un tempo in cui la democrazia è sospesa, con un Governo con un programma

che non è mai stato votato dagli italiani, e che oggi più che mai mostra tutti i suoi

conflitti interni, i ricatti che riceve dall'esterno e a cui consapevolmente soggiace, la sua

incapacità di gestire la crisi, e le vere questioni che attanagliano il Paese. La nostra

mozione di sfiducia presentata al Senato contiene tutti questi elementi: elementi sui

quali il Governo dovrà rispondere dinanzi ai cittadini italiani, gli stessi chiamati nel

prossimo autunno a decidere il destino di questa riforma attraverso il referendum

confermativo.

Poche battute sui contenuti della riforma, su cui tanto è stato detto nel corso della

discussione generale di ieri, e su cui tanto diremo nel corso dei prossimi mesi, per

premettere agli italiani di comprendere a fondo perché è necessario votare no al

referendum costituzionale.

Se è vero che sull'equilibrio complessivo della riforma inciderà il meccanismo di

elezione dei senatori che dovrà essere elaborato dal legislatore sulla base di una formula

equivoca contenuta nel testo di riforma, è altrettanto vero che ancor più

drammaticamente lacerante, fino a rasentare la crisi costituzionale, è la sommatoria tra

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riforma costituzionale e il cosiddetto «Italicum», ovvero la legge che regola l'elezione

della Camera dei deputati.

Questo «combinato disposto» ci consegna di fatto un sistema che sarà oggetto di

contestazione perenne. L’«Italicum», infatti, aggiunge all'azzeramento della

rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale,

l'indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei deputati. E ne esce

indebolita la stessa Costituzione. Un sistema complessivo che risulterebbe quindi privo

di bilanciamento, ovvero di quei pesi e contrappesi necessari per garantire l'equilibrio

politico istituzionale tra poteri, e tra le diverse forze politiche in campo, a piena garanzia

del popolo sovrano.

Non basta l'argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con

scelte diverse. Né basta l'intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica

delle autonomie, smentito dal complesso e farraginoso procedimento legislativo, e da un

rapporto Stato-Regioni che solo in piccola parte realizza quegli obiettivi di

razionalizzazione e semplificazione che pure erano necessari, determinando, senza

valorizzare per nulla il principio di responsabilità, per contro fortissimi rischi di

inefficiente e costoso neo-centralismo.

C’è stato un momento in cui avevamo davvero sperato di dare avvio ad una grande

stagione di riforme condivise, ma il dialogo con il Presidente del Consiglio si è rivelato

nei fatti un percorso senza via d'uscita, ingabbiato nell'egoismo di Matteo Renzi, troppo

impegnato a far quadrare la sua traballante maggioranza e il suo desiderio di controllo

maniacale sul destino delle nostre istituzioni, a discapito di qualsiasi valore.

Trasformando di fatto la discussione sulla riforma in una direzione del PD, o al

massimo in una riunione di maggioranza, il Presidente del Consiglio ha lanciato un

messaggio chiaro: il partito viene prima del Paese, la poltrona viene prima del Paese.

Davanti a tale modus operandi, Forza Italia non può che dire «no»: con fermezza, con

semplicità, il nostro «no» è a questo Governo, a questa maggioranza, a questa riforma,

alla Costituzione ad immagine e somiglianza di un Presidente del Consiglio che non è il

Presidente dei cittadini italiani. La Carta costituzionale di oggi e di domani deve

continuare ad essere un patrimonio comune di tutto il popolo italiano; la Carta

costituzionale deve continuare ad essere la Carta di tutti. Per questo, il Gruppo Forza

Italia non parteciperà al voto, con l'impegno solenne a sostegno dei comitati per il «no»

al referendum, per mandare a casa il Governo Renzi e per ritornare alla democrazia.

GIUSEPPE LAURICELLA.

Il disegno di legge che siamo, oggi, chiamati ad approvare in seconda lettura è frutto di

un lungo e discusso percorso che ha visto modificare, in alcuni aspetti – anche

radicalmente – l'originaria proposta presentata dal governo.

Le modifiche apportate – grazie alla tenacia di quanti hanno sempre concepito questo

compito con il senso di responsabilità istituzionale e dei principi costituzionali che

ancora caratterizzano la nostra Costituzione – hanno evitato, almeno nei punti

essenziali, una distorsione che avrebbe potuto dare effetti certamente negativi, sia sul

piano della rappresentanza, sia sul piano delle garanzie.

Voglio essere chiaro: mi rifiuto di stare al gioco di chi ancora oggi continua a

qualificare ostruzionistica ogni posizione o ogni genuina forma di contributo. Almeno,

per quel che è ed è stato il mio atteggiamento, ho soltanto cercato di suggerire e

sostenere quelle correzioni che ho ritenuto essenziali per mantenere il nostro sistema

nell'alveo dei principi democratici e delle libertà fondamentali, anche attraverso la

salvaguardia dei diritti della minoranza parlamentare.

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Qui si sta parlando e stiamo modificando la Costituzione della nostra Repubblica e,

dunque, non si tratta di essere fedeli comunque ad una posizione piuttosto che ad

un'altra, ma si tratta di essere fedeli al principio democratico e alla dignità del nostro

Paese.

Si tratta anche – come ho tenuto a ripetere in ogni occasione – di pensare ad un sistema

che garantisca il miglioramento e l'efficienza delle nostre istituzioni, ma pensandolo

nell'interesse della maggioranza come della minoranza, sapendo che domani il rapporto

potrebbe essere invertito e nessuno debba, a quel punto, pentirsi di non aver garantito il

diritto e la capacità di condivisione delle minoranze, sia nell'azione di Governo, sia

nell'azione degli organi di garanzia costituzionale.

Quando tocchiamo temi come la rappresentanza, il ruolo delle due Camere, il modo di

eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici costituzionali, le competenze dello

Stato e delle regioni, stiamo incidendo sul sistema fondamentale che regolerà la vita

istituzionale dei prossimi decenni, con tutti gli effetti politici, economici e sociali,

conseguenti.

I nostri Padri costituenti, quando concepirono la Costituzione che oggi stiamo

cambiando, non pensarono ad essi stessi o all'interesse di Governo contingente ma

offrirono alle generazioni di allora e a quelle future un modello democratico, fondato

sulla solidarietà e sulla libertà, che, insieme al sistema proporzionale, diede voce a tutte

le parti politiche e sociali, dalle più grandi alle più piccole. Quel sistema pluralistico

fece crescere l'Italia.

Non so se, oggi, noi ci siamo riusciti. Lo vedremo. Lo spero.

Siamo stati tutti d'accordo nel superare il bicameralismo paritario, prevedendo il

rapporto di fiducia tra una Camera e il governo.

Probabilmente, in nome della non condivisibile spending review istituzionale se

applicata agli organi legislativi dello Stato, avremmo potuto diminuire il numero dei

deputati a 530 e prevedere un Senato dimezzato, ma con membri eletti con sistema

proporzionale e diretto, senza sbarramenti, ed altri di rappresentanza territoriale e di

categorie (sull'idea suggerita a suo tempo da Ambrosini e da Mortati), facendolo

divenire una camera in cui avrebbero trovato rappresentanza tutte le componenti

politiche, sociali ed economiche, comunque fuori dal rapporto di fiducia.

Avremmo potuto introdurre un sistema di rappresentanza e di espressione tipo

Bundesrat, con voto unico.

Abbiamo, per fortuna, superato – anche se non del tutto – la presenza dei sindaci, che

l'esperienza francese ci aveva sconsigliato.

In compenso, nei vari passaggi parlamentari, è migliorata l'identità del Senato, che in

alcuni casi avrà gli stessi poteri legislativi della Camera.

Non senza difficoltà, in nome della condivisione delle scelte che riguardano gli organi

di garanzia costituzionale e politica, abbiamo restituito un ruolo alle minoranze

nell'elezione del Presidente della Repubblica e non abbiamo modificato le vigenti norme

costituzionali in tema di elezione dei giudici costituzionali, che, atteso il sistema

elettorale introdotto, avrebbe altrimenti creato una potenziale prevaricazione da parte

del partito di maggioranza.

Non siamo, però, riusciti ad eliminare una incoerenza evidente: la presenza dei senatori

di nomina presidenziale che nulla hanno a che vedere con un Senato di rappresentanza

delle istituzioni territoriali. Per senso di dignità istituzionale, avrei mantenuto soltanto

gli ex Presidenti della Repubblica, spostandoli magari alla Camera dei deputati.

Erano state suggerite altre modifiche, sempre nel segno dell'equilibrio del sistema. Per

esempio, si era proposto di prevedere il divieto per il governo di porre la questione di

fiducia su disegni di legge-delega presentati dal governo stesso: un modo per evitare che

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il delegato predisponga la delega e poi eviti ogni ingerenza del parlamento ponendo

pure la questione di fiducia.

Di contro, abbiamo evitato di introdurre espressamente nella Costituzione il «voto

bloccato», prevedendo che dovrà essere il regolamento parlamentare a stabilirne

modalità, limiti e omogeneità in ordine al disegno di legge del Governo, magari

indicando anche il numero massimo di volte, cui il governo potrà ricorrere a tale

procedura.

Non abbiamo introdotto il controllo preventivo di costituzionalità sulle leggi ma siamo

riusciti a prevederlo per le leggi che disciplinano l'elezione dei membri di Camera e

Senato. Anzi, transitoriamente, tale controllo è previsto anche per la legge elettorale già

entrata in vigore per l'elezione della sola Camera.

Avrei preferito che in tema di autorizzazione alla ratifica dei trattati con l'Unione

europea, oltre a prevedere l'approvazione delle due Camere, si fosse data la possibilità

di richiedere un referendum «confermativo», in modo da far partecipare il Popolo in

scelte di tale importanza che spesso, come abbiamo ormai compreso, sono passate senza

la dovuta consapevolezza e con norme che hanno prodotto il sistema che oggi stiamo

faticosamente cercando di cambiare. D'altro canto, mi auguro che siamo riusciti,

comunque, a mantenere quel residuo di sovranità che ci possa far ancora resistere ai

continui tentativi di annientare la volontà della rappresentanza e, dunque, del

Parlamento. Insomma, spero che siamo ancora in tempo – e, soprattutto, consapevoli –

per non cedere al sentimento di fastidio che a livello europeo si è espresso nei confronti

dei Parlamenti, che si vorrebbe fossero ridotti a meri organi di ratifica delle scelte

esterne, le loro.

Lo richiamai, l'anno scorso, in commissione ma penso che vada la pena tenere presente

il monito di Spencer, secondo cui «la funzione del liberismo in passato fu quella di

porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberismo in futuro sarà quella di

porre un limite ai poteri del Parlamento».

E per tali ragioni che – dovendola affrontare – preferisco avere una riforma della

Costituzione discussa e costruita dal Parlamento, piuttosto che – come si era tentato nel

2013 – una riforma che, a seguito della manomissione dell'articolo 138, avrebbe

esautorato il Parlamento, chiamato a quel punto alla mera ratifica.

Infine, da partito di maggioranza non richiederei il referendum costituzionale, in

quanto concepito quale strumento della minoranza. Ma se il Partito democratico dovesse

comunque richiederlo, significherebbe spostare la definitiva approvazione della riforma,

affidandola al Popolo direttamente al momento del voto referendario.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta dell'11 aprile 2016: a pagina 88, prima colonna,

alla ventesima, trentesima, trentaquattresima, trentottesima e quarantatreesima riga e

seconda colonna alla terza, settima e decima riga, sostituire il numero «LII» con il

seguente «LVII»; a pagina 88, seconda colonna, alla sesta riga, sostituire la parola

«dell’» con la parola «all’».

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO

ELETTRONICO