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1 ItisVolterra10/11 PROVA DI ITALIANO (per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali) Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte. TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO G. PASCOLI, Sera festiva 5 10 O mamma, o mammina, hai stirato la nuova camicia di lino? Non c’era laggiù tra il bucato, sul bossolo o sul biancospino. Su gli occhi tu tieni le mani… Perché? non lo sai che domani…? din don dan, din don dan. Si parlano i bianchi villaggi cantando in un lume di rosa: dall’ombra de’ monti selvaggi si sente una romba festosa: Tu tieni a gli orecchi le mani… tu piangi; ed è festa domani… din don dan, din don dan. 4. bossolo: bosso, arbusto. 11. romba: rumore 15 20 25 Tu pensi… oh! ricordo: la pieve… quanti anni ora sono? una sera… il bimbo era freddo, di neve; il bimbo era bianco, di cera: allora sonò la campana (perché non pareva lontana?) din don dan, din don dan. Sonavano a festa, come ora, per l’angiolo; il nuovo angioletto nel cielo volava a quell’ora; ma tu lo volevi al tuo petto, con noi, nella piccola zana: gridavi; e lassù la campana… din don dan, din don dan. 15. pieve: chiesa parrocchiale. 26. zana: culla Questo componimento è opera di Giovanni Pascoli, uno dei maggiori esponenti del Decadentismo italiano . La raccolta in cui è compreso, Myricae ha avuto la sua prima edizione nel 1892 e quella definitiva nel 1900. Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Il padre gli morì assassinato quando egli aveva solo dodici anni; a questo lutto si sommarono altre tragedie familiari (tra cui la morte della madre) che influenzarono profondamente la sua vita, la sua visione del mondo e la sua poetica. A Bologna, dopo la laurea, si avvicinò a gruppi anarchici e socialisti ma, in seguito ad una esperienza di carcere che lo segnò in maniera pesante, abbandonò la politica attiva. Decise di dedicarsi all'insegnamento universitario non tralasciando mai, però, la sua unica passione: la poesia. Giovanni Pascoli si spense nel 1912. 1. Comprensione del testo L’io lirico che parla alla mamma è un bambino. Sintetizza il contenuto del componimento e spiega quale ricordo, quale anniversario, impedisca alla mamma di partecipare alla festa che ci sarà in paese il giorno dopo. 2. Analisi del testo 2.1 Riconosci la struttura metrica del componimento, ponendo attenzione soprattutto al particolare utilizzo della rima. 2.2 Rifletti sui versi 8-11 (“Si parlano i bianchi villaggi / cantando in un lume di rosa: / dall’ombra de’ monti selvaggi / si sente una romba festosa”) e cerca di interpretarne il significato, precisando quale figura retorica riconosci. 2.3 Trova le figure di suono presenti in questa poesia. Poi spiega perché il suono delle campane assume per la mamma e per il bambino un forte valore evocativo. 2.4 Al v. 4 troviamo “bossolo”… “biancospino”; cerca di motivare la minuziosa attenzione pascoliana per la descrizione di elementi vegetali, ricordando qualche altro celebre esempio della menzione di nomi di piante . 2.5 Spiega in che senso il termine “culla” (detta zana al v. 26) assuma qui e in altre liriche pascoliane un’importante valenza simbolica. Ricorda poi altri “simboli” ricorrenti nella sua produzione poetica. 3. Interpretazione complessiva e approfondimenti 3.1 Alla luce delle tematiche trattate e dell’utilizzo della lingua e dello stile usato, collega questa poesia con la cosiddetta “poetica del fanciullino” . 3.2 Questo componimento è probabilmente ambientato di sabato, “vigilia” di un giorno festivo. C’è forse un’allusione – magari inconscia – ad una grande poesia leopardiana). Riconoscila e opera un pur sommario confronto tematico tra le due liriche.

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PROVA DI ITALIANO (per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali)

Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.

TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO G. PASCOLI, Sera festiva 5 10

O mamma, o mammina, hai stirato la nuova camicia di lino? Non c’era laggiù tra il bucato, sul bossolo o sul biancospino. Su gli occhi tu tieni le mani… Perché? non lo sai che domani…? din don dan, din don dan. Si parlano i bianchi villaggi cantando in un lume di rosa: dall’ombra de’ monti selvaggi si sente una romba festosa: Tu tieni a gli orecchi le mani… tu piangi; ed è festa domani… din don dan, din don dan. 4. bossolo: bosso, arbusto. 11. romba: rumore

15 20 25

Tu pensi… oh! ricordo: la pieve… quanti anni ora sono? una sera… il bimbo era freddo, di neve; il bimbo era bianco, di cera: allora sonò la campana (perché non pareva lontana?) din don dan, din don dan. Sonavano a festa, come ora, per l’angiolo; il nuovo angioletto nel cielo volava a quell’ora; ma tu lo volevi al tuo petto, con noi, nella piccola zana: gridavi; e lassù la campana… din don dan, din don dan. 15. pieve: chiesa parrocchiale. 26. zana: culla

Questo componimento è opera di Giovanni Pascoli, uno dei maggiori esponenti del Decadentismo italiano . La raccolta in cui è compreso, Myricae ha avuto la sua prima edizione nel 1892 e quella definitiva nel 1900. Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Il padre gli morì assassinato quando egli aveva solo dodici anni; a questo lutto si sommarono altre tragedie familiari (tra cui la morte della madre) che influenzarono profondamente la sua vita, la sua visione del mondo e la sua poetica. A Bologna, dopo la laurea, si avvicinò a gruppi anarchici e socialisti ma, in seguito ad una esperienza di carcere che lo segnò in maniera pesante, abbandonò la politica attiva. Decise di dedicarsi all'insegnamento universitario non tralasciando mai, però, la sua unica passione: la poesia. Giovanni Pascoli si spense nel 1912. 1. Comprensione del testo L’io lirico che parla alla mamma è un bambino. Sintetizza il contenuto del componimento e spiega quale ricordo, quale anniversario, impedisca alla mamma di partecipare alla festa che ci sarà in paese il giorno dopo. 2. Analisi del testo 2.1 Riconosci la struttura metrica del componimento, ponendo attenzione soprattutto al particolare utilizzo della rima. 2.2 Rifletti sui versi 8-11 (“Si parlano i bianchi villaggi / cantando in un lume di rosa: / dall’ombra de’ monti selvaggi / si sente una romba festosa”) e cerca di interpretarne il significato, precisando quale figura retorica riconosci. 2.3 Trova le figure di suono presenti in questa poesia. Poi spiega perché il suono delle campane assume per la mamma e per il bambino un forte valore evocativo. 2.4 Al v. 4 troviamo “bossolo”… “biancospino”; cerca di motivare la minuziosa attenzione pascoliana per la descrizione di elementi vegetali, ricordando qualche altro celebre esempio della menzione di nomi di piante . 2.5 Spiega in che senso il termine “culla” (detta zana al v. 26) assuma qui e in altre liriche pascoliane un’importante valenza simbolica. Ricorda poi altri “simboli” ricorrenti nella sua produzione poetica. 3. Interpretazione complessiva e approfondimenti 3.1 Alla luce delle tematiche trattate e dell’utilizzo della lingua e dello stile usato, collega questa poesia con la cosiddetta “poetica del fanciullino” . 3.2 Questo componimento è probabilmente ambientato di sabato, “vigilia” di un giorno festivo. C’è forse un’allusione – magari inconscia – ad una grande poesia leopardiana). Riconoscila e opera un pur sommario confronto tematico tra le due liriche.

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TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE” (puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti) CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», interpretando e confrontando i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell'«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo. TIPOLOGIA B 1. AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO ARGOMENTO: L'amicizia, tema di riflessione e motivo di ispirazione poetica nella letteratura e nell'arte DOCUMENTI Tutti sanno che la vita non è vita senza amicizia, se, almeno in parte, si vuole vivere da uomini liberi. […] Allora è vero quanto ripeteva, se non erro, Architta di Taranto […] "Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell'universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe,ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno a cui comunicarla". Così la natura non ama affatto l'isolamento e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più è caro l'amico. CICERONE, De amicitia

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, ch'ad ogni vento per mare andasse al voler nostro e mio; sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse 'l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch'è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d'amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i' credo che saremmo noi. DANTE ALIGHIERI, Le Rime

"Renzo …!" disse quello, esclamando insieme e interrogando. "Proprio," disse Renzo; e si corsero incontro. "Sei proprio tu!" disse l'amico, quando furon vicini: "oh che gusto ho di vederti! Chi l'avrebbe pensato?" […] E, dopo un'assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo d'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché all'uno e all'altro […] eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova negli altri. […] Raccontò anche lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in contraccambio cento storie, del passaggio dell'esercito, della peste, d'untori, di prodigi. "Son cose brutte," disse l'amico, accompagnando Renzo in una camera che il contagio aveva resa disabitata; "cose che non si sarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma però, a parlarne tra amici, è un sollievo". A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. XXXIII, 1827 "Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un ponte s'era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. […] Intanto Ranocchio non guariva, e seguitava a sputar sangue, e ad aver la febbre tutti i giorni. Allora Malpelo prese dei soldi della paga della settimana, per comperargli del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera poi non c'era modo di vincere il ribrezzo della febbre, né con sacchi, né coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla fiammata. Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, quasi volesse fargli il ritratto." G. VERGA, Rosso Malpelo - "Vita dei campi", 1880

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"Cerco degli amici. Che cosa vuol dire ‹addomesticare›? E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ‹creare dei legami›"… "Creare dei legami?" "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi…Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano". A. de SAINT EXUPERY, Il piccolo principe, 1943 "A me piace parlare con Nuto; adesso siamo uomini e ci conosciamo; ma prima, ai tempi della Mora, del lavoro in cascina, lui che ha tre anni più di me sapeva già fischiare e suonare la chitarra, era cercato e ascoltato, ragionava coi grandi, con noi ragazzi, strizzava l'occhio alle donne. Già allora gli andavo dietro e alle volte scappavo dai beni per correre con lui nella riva o dentro il Belbo, a caccia di nidi. Lui mi diceva come fare per essere rispettato alla Mora; poi la sera veniva in cortile a vegliare con noi della cascina". C. PAVESE, La luna e i falò, 1950 "Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato. Fino al giorno del suo arrivo io non avevo avuto amici. Nella mia classe non c'era nessuno che potesse rispondere all'idea romantica che avevo dell'amicizia, nessuno che ammirassi davvero o che fosse in grado di comprendere il mio bisogno di fiducia, di lealtà e di abnegazione, nessuno per cui avrei dato volentieri la vita. […] Ho esitato un po' prima di scrivere che "avrei dato volentieri la vita per un amico", ma anche ora, a trent'anni di distanza, sono convinto che non si trattasse di un'esagerazione e che non solo sarei stato pronto a morire per un amico, ma l'avrei fatto quasi con gioia." F. UHLMAN, L'amico ritrovato, 1971

Mio vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci conosciamo, venticinque anni son tanti e diciamo un po' retorici che sembra ieri. Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato: io appena giovane sono invecchiato tu forse giovane non sei stato mai.

Ma d'illusioni non ne abbiamo avute o forse si, ma nemmeno ricordo, tutte parole che si son perdute con la realtà incontrata ogni giorno. ................................ Quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole inseguendo la vita, come l'avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre. .............................

F. GUCCINI, Canzone per Piero, da "Stanze di vita quotidiana", 1974

2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO

ARGOMENTO: Il viaggio: esperienza dell’altro, formazione interiore, divertimento e divagazione, in una parola, metafora della vita. DOCUMENTI “Un viaggio può durare tre giorni, ma raccontare una vita intera.” (Anonimo) Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell'avere nuovi occhi. (MARCEL PROUST) «La felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo». (J. SARAMAGO, Viaggio in Portogallo, Torino, 1999) «Che cosa non è un viaggio? Per poco che si dia un’estensione figurata a questo termine – e non ci si è mai trattenuti dal farlo – il viaggio coincide con la vita, né più né meno: essa è forse altra cosa che un passaggio dalla nascita alla morte?

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Lo spostamento nello spazio è il primo segno… Il viaggio nello spazio simboleggia il passaggio del tempo, lo spostamento fisico, a sua volta, il cambiamento interiore; tutto è viaggio». (T. TODOROV, Le morali della storia, Torino, 1995) «Oggi più che mai vivere significa viaggiare; la condizione spirituale dell' uomo come viaggiatore, di cui parla la teologia, è anche una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone. Sempre più incerto, nelle vertiginose trasformazioni del vivere, appare il ritorno - materiale e sentimentale - a se stessi; l' Ulisse odierno non assomiglia a quello omerico o joyciano, che alla fine ritorna a casa, bensì piuttosto a quello dantesco che si perde nell' illimitato». (C. MAGRIS, Tra i cinesi che sognano Ulisse, CORRIERE DELLA SERA, 12/12/2003) «Il bambino che amerà viaggiare comincia a sei anni a guardare i mappamondi e le carte geografiche. Inginocchiato nella sua stanza, indifferente a qualsiasi richiamo della madre e del padre, segna col dito la strada lunghissima che lo conduce per mare e per terra da Roma a Pechino, da Mosca a Città del Capo, lungo gli andirivieni dei continenti e l’azzurro scuro e chiaro degli oceani. Sfoglia le carte: si innamora del nome di Bogotà o di Valparaiso, immagina di violare foreste tropicali e deserti, di scalare l’Everest e il Kilimangiàro, come gli eroi dei suoi libri d’avventura. Così l’infinito del mondo diventa famigliare e a portata di mano… Il ragazzo impara che, quando viaggiamo, compiamo sempre due viaggi. Nel primo, il più fantastico, egli legge la guida dell’Austria o della Svezia o dell’Irlanda: città, fiumi, pianure, foreste, opere d’arte, notizie storiche ed economiche. E studia il viaggio futuro. Nulla è più divertente che progettarlo: perché il ragazzo muta gli itinerari della guida, stabilisce nuovi rapporti, insegue luoghi sconosciuti, giunge in Austria dalla Baviera o dalla Boemia, evita città o regioni che non ama, stabilisce la durata dei percorsi, distingue mattine, pomeriggi e sere. Le ore sono piene di cose: in una piazza di Vienna si fermerà, chissà perché, quattro ore. Il tempo viene governato da una gioiosa pedanteria. Quando inizia il viaggio, il ragazzo si accorge che la realtà non ha nulla o poco da fare coi suoi progetti fantastici. Il paese che immaginava giallo è verde: quello che pensava rosso è celeste. I due viaggi, quello fantastico e quello reale, quello delle guide e quello del mondo, ora si accordano, ora si combattono». (P. CITATI, Le guide delle meraviglie, LA REPUBBLICA, 28/12/2004) «In definitiva, che modo di viaggiare è questo? Fare un giro per questa città di Miranda do Douro, questa Cattedrale, questo sacrestano, questo cappello a cilindro e questa pecora, dopodichè segnare una croce sulla mappa, rimettersi in marcia e dire, come il barbiere mentre scuote l’asciugamano: «Avanti un altro». Viaggiare dovrebbe essere tutt’altro, fermarsi più a lungo e girare di meno, forse si dovrebbe addirittura istituire la professione del viaggiatore, solo per chi ha tanta vocazione, è di gran lunga in errore chi crede che sarebbe un lavoro di poca responsabilità, ogni chilometro non vale meno di un anno di vita. Alle prese con questo filosofare, il viaggiatore finisce per addormentarsi, e quando al mattino si sveglia, ecco davanti agli occhi la pietra gialla, è il destino delle pietre, sempre nello stesso posto, a meno che non venga il pittore e se le porti via nel cuore». (J. SARAMAGO, Viaggio in Portogallo, Torino, 1999) «Il viaggiatore aveva un pregiudizio favorevole nei confronti di popoli di contrade lontane e cercava di descriverli ai suoi compatrioti;… ora l’uomo moderno è incalzato. Il turista farà quindi, un’altra scelta: le cose, e non più gli esseri umani, saranno oggetto della sua predilezione: paesaggi, monumenti, rovine… Il turista è un visitatore frettoloso …non solo perché l’uomo moderno lo è in generale, ma anche perché la visita fa parte delle sue vacanze e non della sua vita professionale; i suoi spostamenti all’estero sono limitati entro le sue ferie retribuite. La rapidità del viaggio costituisce già una ragione della sua preferenza per l’inanimato rispetto all’animato: la conoscenza dei costumi umani, diceva Chateaubriand, richiede tempo. Ma c’è un’altra ragione per questa scelta: l’assenza di incontri con soggetti differenti, è molto riposante, poiché non mette mai in discussione la nostra identità; è meno pericoloso osservare cammelli che uomini». (T. TODOROV, Noi e gli altri, “L’Esotico”, Torino, 1991, passim) «Ero a Volgograd…Ero a Benares…Ero a Ketchum…Ero a Jàsnaja Poljana…Ero a Colonia…Ero sull’Ortigara… Tutti gli spostamenti fisici, se l’intelligenza vuole e il cuore lo concede, possono assomigliare a splendidi incroci magnetici. Attraversare lo spazio eccita il tempo. Sarà per questo che, quando parto, cerco sempre di trovare, innanzitutto, le ragioni del ritorno? Non erano così i viaggi del Novecento! Molti di quelli che li compivano avrebbero voluto smarrirsi in un altrove fantastico capace di garantire, a poco prezzo e senza troppi disagi, chissà quali clamorose scoperte e fulgide ebbrezze… In classe abbiamo una bella carta geografica. Molti miei alunni, slavi, arabi, africani e asiatici, possono considerarsi esperti viaggiatori. Hanno mangiato la polvere dei deserti, il catrame delle autostrade. Conoscono la vernice scrostata delle sbarre doganali, i sonni persi con la testa appoggiata al finestrino dell’autobus, i documenti stropicciati fra le mani… Adesso sono loro a spiegarmi, con pazienza e lungimiranza, lasciando scorrere il dito sulla mappa, le scalcinate periferie di Addis Abeba, la foresta pluviale poco distante da Lagos, i mercati galleggianti di Dacca, gli empori di Herat, le feste di Rabat, gli scantinati di Bucarest. Ed io compio davvero insieme a loro, senza pagare il biglietto, il giro del mondo in aula». (E. AFFINATI, Viaggiare con il cuore, CORRIERE DELLA SERA, 4/2/2005) «Si vorrebbe sempre essere: essere stati, mai. E ci ripugna di non poter vivere contemporaneamente in due luoghi, quando e l’uno e l’altro vivono nel nostro pensiero, anzi nel nostro sistema nervoso: nel nostro corpo… Possiamo infatti metterci in viaggio. Ma mentre la meta si avvicina e diventa reale, il luogo di partenza si allontana e sostituisce la meta

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nell’irrealtà dei ricordi; guadagniamo una, e perdiamo l’altro. La lontananza è in noi, vera condizione umana… Laggiù si sognava la patria, come dalla patria si sogna l’estero. Ma il primo grande viaggio lascia nei giovani, di qualunque levatura e sensibilità, un dissidio che le abitudini non possono comporre; precisa l’idea degli oceani, dei porti, dei distacchi; crea quasi, nella mente, una nuova forma, una nuova categoria: la categoria della lontananza; la considerazione, ormai, di tutte le terre lontane. È forse un vizio. Chi è stato in Cina vorrebbe provare l’Argentina, il Transvaal, l’Alaska. Chi è stato al Messico si commuove anche quando sente parlare dell’India, dell’Australia, della Cina. Questi nomi, una volta al più colorate e melanconiche geografie, sono ora possibili, reali, affascinanti. Chi ha provato la lontananza difficilmente ne perde il gusto. Il primo viaggio, la prima sera che il novo-peregrin è in cammino, nasce la nostalgia, per sempre. Ed è il desiderio di tornare non soltanto in patria; ma dappertutto: dove si è stati e dove non si è stati. Due grandi direzioni si alternano: verso casa, verso fuori… Non capisce, forse, non ama il proprio paese chi non l’ha abbandonato almeno una volta, e credendo fosse per sempre». (M. SOLDATI, America primo amore, “Lontananza”, 1935) 3. AMBITO STORICO - POLITICO ARGOMENTO: Origine e sviluppi della cultura giovanile. DOCUMENTI «Gli stili della gioventù americana si diffusero direttamente o attraverso l’amplificazione dei loro segnali mediante la cultura inglese, che faceva da raccordo tra America ed Europa, per una specie di osmosi spontanea. La cultura giovanile americana si diffuse attraverso i dischi e le cassette, il cui più importante strumento promozionale, allora come prima e dopo, fu la vecchia radio. Si diffuse attraverso la distribuzione mondiale delle immagini; attraverso i contatti personali del turismo giovanile internazionale che portava in giro per il mondo gruppi ancora piccoli, ma sempre più folti e influenti, di ragazzi e ragazze in blue jeans; si diffuse attraverso la rete mondiale delle università, la cui capacità di rapida comunicazione internazionale divenne evidente negli anni ’60. Infine si diffuse attraverso il potere condizionante della moda nella società dei consumi, una moda che raggiungeva le masse e che veniva amplificata dalla spinta a uniformarsi propria dei gruppi giovanili. Era sorta una cultura giovanile mondiale.» E.J. HOBSBAWM, Il secolo breve, trad. it., Milano 1997 «La cultura giovanile negli ultimi quattro decenni s’è mossa lungo strade nuove, affascinanti, ma al tempo stesso, anche pericolose. I diversi percorsi culturali che i giovani hanno affrontato dagli anni cinquanta ad oggi sono stati ispirati soprattutto dai desideri e dalle fantasie dell’adolescenza; anche i rapporti spesso conflittuali con gli adulti e l’esperienza culturale delle generazioni precedenti, tuttavia, hanno profondamente influenzato la loro ricerca. Essi sono andati fino ai limiti estremi della propria fisicità, hanno esplorato nuove dimensioni della mente e della realtà virtuale, hanno ridisegnato la geografia dei rapporti sessuali, affettivi e sociali, hanno scoperto, infine, nuove forme espressive e comunicative. [...] Le strategie sperimentate dai giovani, in sostanza, propongono tre differenti soluzioni. La prima, di marca infantile, è fondata sulla regressione e sulla fuga dalla realtà per affrontare il dolore ed il disagio della crescita. Essa, quindi, suggerisce di recuperare il piacere ed il benessere nell’ambito della fantasia e dell’illusione. L’esperienza eccitatoria della musica techno e d’alcune situazioni di rischio, il grande spazio onirico aperto dalle droghe e dalla realtà virtuale, la dimensione del gioco e del consumo, sono i luoghi privilegiati in cui si realizza concretamente questo tipo di ricerca. [...] La seconda strategia utilizza la trasgressione e la provocazione per richiamare l’adulto alle sue responsabilità e per elaborare le difficoltà dell’adolescenza. [...] La terza strategia, infine, la più creativa, prefigura un modo nuovo di guardare al futuro, più carico d’affettività, pace e socialità. Essa s’appoggia sulle capacità intuitive ed artistiche dei giovani, e lascia intravedere più chiaramente una realtà futura in cui potranno aprirsi nuovi spazi espressivi e comunicativi.» D.MISCIOSCIA, Miti affettivi e cultura giovanile, Milano 1999 «Oggi il termine “cultura giovanile”, quindi, non ha più il significato del passato, non indica più ribellione, astensionismo o rifiuto del sistema sociale. Non significa più nemmeno sperimentazione diretta dei modi di vivere, alternativi o marginali rispetto ad un dato sistema sociale. Cultura giovanile sta ad indicare l’intrinseca capacità che i giovani hanno di autodefinirsi nei loro comportamenti valoriali all’interno della società della quale sono parte.» L. TOMASI, Introduzione. L’elaborazione della cultura giovanile nell’incerto contesto europeo, in L. TOMASI (a cura di), La cultura dei giovani europei alle soglie del 2000, Milano 1998

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(8/2/31-1955) Attore

americano. Icona del ribelle neglu USA lanciati verso l’opulenza. Fece soli tre film da protagonista (“La valle dell’Eden”, “Gioventù bruciata”, “Il Gigante”) per poi morire a 24 anni, schiantandosi in auto. Da allora è un mito. Fu definito “Rebel without cause”, letteralmente “ribelle senza motivo”: una decina d’anni dopo i motivi della ribellione si capirono tutti.

(Scrittori e poeti americani degli anni ’50, anticonformisti e critici della società dei consumi)

(Stilista inglese, inventrice della

minigonna-1964)

(La rivolta

studentesca) (The Doors)

(Moda giovanile degli anni ’80 basata sul disimpegno politico e l’attenzione alle griffe)

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4. AMBITO TECNICO SCIENTIFICO ARGOMENTO: L’attualità di Charles Darwin [anniversari: 2009=150 anni dalla pubblicazione dell’Origine delle specie, 200 dalla nascita di Darwin] DOCUMENTI: Se in condizioni mutevoli di vita gli esseri viventi presentano differenze individuali in quasi ogni parte della loro struttura, e ciò non è discutibile; se a ragione del loro aumento numerico in progressione geometrica si determina una severa lotta per la vita in qualche età, stagione o anno, e ciò certamente non può essere discusso; allora, considerando la infinita complessità delle relazioni di tutti gli esseri viventi fra di loro e con le loro condizioni di vita, la quale fa sì che un’infinita diversità di struttura, costituzione e abitudini, sia per essi vantaggiosa, sarebbe un fatto quanto mai straordinario che non avessero mai avuto luogo variazioni utili al benessere di ciascun individuo, allo stesso modo con cui hanno avuto luogo tante variazioni utili all’uomo. Ma se mai si verificano variazioni utili ad un qualsiasi essere vivente, sicuramente gli individui così caratterizzati avranno le migliori probabilità di conservarsi nella lotta per la vita; e per il saldo principio dell’eredità, essi tenderanno a produrre discendenti analogamente caratterizzati. Questo principio della conservazione, o sopravvivenza del più adatto, l’ho denominato selezione naturale . Esso conduce al miglioramento di ciascuna creatura in relazione alle sue condizioni organiche ed inorganiche di vita, e di conseguenza, nella maggioranza dei casi, a ciò che può essere considerato come un progresso nella organizzazione. (CHARLES DARWIN, L’origine delle specie, Bollati Boringhieri, 2006) Collegando il concetto dell’accrescimento della popolazione a quello della variabilità, Darwin annunciò la sua teoria della “selezione naturale”: l’ambiente sceglie fra gli individui di una specie quelli che meglio riescono a adattarvisi e i loro caratteri, così selezionati, vengono trasmessi alle generazioni successive. Il processo selettivo si ripeterà ogni qualvolta cambieranno le condizioni ambientali e ciò può avvenire, sia nell’area occupata da tempo dalla specie, sia quando essa cercherà di espandersi per conquistare nuove aree geografiche. A ogni cambiamento di ambiente consegue un cambiamento nel patrimonio ereditario della specie, patrimonio che a sua volta si rifletterà sia sulla morfologia degli individui che compongono la specie, sia sui comportamenti biologici vitali per la sua sopravvivenza: questo significa “evoluzione”. (GIAMPIERO FRIZZI, GUIDO FRIZZI, Breve storia della biologia, in La Scienza, vol. 4, Utet, 2005 A mio avviso, sono due le ragioni per cui Darwin è ancora così visibile. Dal punto di vista intellettuale, la sua meticolosa dimostrazione della verità stessa dell'evoluzione - vale a dire che le specie oggi viventi discendono tutte da un antenato comune nel remoto passato geologico - ottenuta da montagne di prove, unite a una feconda intuizione teorica, ha sostanzialmente forgiato lo stampo della teoria evoluzionistica con la quale continuiamo a lavorare. E tutto ciò nonostante grandi passi in avanti, specialmente nella genetica e nella sua forma moderna, la genetica molecolare. Darwin ci ha insegnato che tutto ciò che è necessario per comprendere il nocciolo del processo evolutivo è che «i nipoti assomigliano ai nonni», ovvero che i caratteri anatomici sono ereditabili, a prescindere da come si sono formati, e che i caratteri tendono a variare nelle popolazioni. La seconda ragione per cui Darwin giganteggia ancora è che la sua dimostrazione, innegabile, che la vita si è evoluta, e in particolar modo che noi umani facciamo parte del grande arazzo della vita, deve ancora essere incorporata nella cultura occidentale, dove forte è la resistenza all'idea che la specie umana si sia evoluta insieme a ogni altra forma di vita. E' come se la nostra cultura non avesse «metabolizzato» Darwin e le sue idee evoluzionistiche. (NILES ELDREDGE, tratto da Darwin. La scoperta dell’albero della vita, riportato in “La stampa.it”, 4/2/09) [paleontologo, American Museum of Natural History, New York] Nei 150 anni trascorsi dal debutto della teoria di Darwin, le questioni centrali sulle modalità di trasmissione dei caratteri attraverso le generazioni e su come i caratteri subiscono cambiamenti evolutivi sono state risolte dai progressi nello studio dei geni e dei genomi. Oggi i discendenti scientifici di Darwin che studiano la biologia evolutiva conoscono almeno i più semplici meccanismi molecolari della splendida diversità delle piante e degli animali che ci circondano. Proprio come la teoria di Darwin, le cause della variazione sono spesso semplici, ma i loro effetti sono profondi. Appropriatamente, queste intuizioni sono arrivate gradualmente, e molte di esse quasi in concomitanza delle tre ricorrenze cinquantennali del libro di Darwin. DAVID M. KINGSLEY, Dagli atomi ai caratteri, “Le scienze” febbraio 2009) [prof. Di biologia dello sviluppo Stanford University] Una delle più epiche espressioni di modestia intellettuale è stato certamente il commento di Charles Darwin verso al fine dell’Origine della specie, il suo capolavoro del 1859, quando scrive che la teoria dell’evoluzione “dovrebbe fare luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia”. In effetti, un secolo e mezzo dopo, le sue idee continuano a sorreggere la scienza della paleoantropologia ancora in pieno rigoglio, una vasta impresa multidisciplinare con una potente presa sull’immaginazione del pubblico. Nessun’altra area della scienza risponde in modo così diretto al bisogno viscerale dell’uomo di sapere chi siamo e da dove veniamo, né dipende più direttamente nei suoi fondamenti teorici dalla visione

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darwiniana del mondo. […]Oggi, sempre più numerosi reperti documentano ampiamente che, se pur Homo sapiens è insolito e senza precedenti come singola entità, il pattern [schema, modello di riferimento] essenziale dell’evoluzione umana è stato molto simile a quello degli altri gruppi di mammiferi di successo. (IAN TATTERSALL, Ecce homo, disse Charles, “Il domenicale” suppl. del “Sole 24 ore”, 8/2/09) [paleoantropologo] Charles Darwin non aveva idea delle innovazioni tecnologiche a cui un giorno avrebbero portato i suoi studi su scarafaggi e uccelli. Eppure i progressi nella comprensione della storia e dei meccanismi dell’evoluzione hanno condotto allo sviluppo di applicazioni oggi fondamentali in moltissimi ambiti. Per esempio –come hanno insegnato a tutti le serie televisive sulle indagini di polizia scientifica- oggi l’analisi evoluzionistica è parte integrante delle investigazioni criminali. La conoscenza delle modalità evolutive dei diversi geni determina il tipo di informazioni che è possibile estrarre dai campioni di DNA. In campo sanitario l’analisi filogenetica (lo studio delle sequenze di DNA per dedurne la parentela evolutiva, o genealogia) di un agente patogeno come l’influenza aviaria o il West Nile virus può portare a vaccini e linee guida per minimizzare la diffusione della malattia. L’evoluzione molecolare diretta, una procedura che consiste nel far evolvere rapidamente le proteine in laboratorio, può migliorare i vaccini e altre proteine utili. E non solo gli unici esempi. Gli informatici hanno adattato i concetti e i meccanismi dell’evoluzione allo sviluppo di un sistema generale noto come programmazione genetica, che è in grado di risolvere complessi problemi di ottimizzazione e progettazione. (DAVID P. MINDELL, Evoluzione e tecnologia, “Le scienze”, febbraio 2009

TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO

La Prima Guerra Mondiale secondo molti storici si può considerare veramente la prima guerra del Novecento (cioè della società di massa tecnologica). Illustra le vicende e le peculiarità della Grande Guerra che ci permettono di configurarla come il primo conflitto “moderno”.

TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE

Il principio della legalità, valore universalmente condiviso, è spesso oggetto di violazioni che generano disagio sociale e inquietudine soprattutto nei giovani. Sviluppa l'argomento, discutendo sulle forme in cui i vari organismi sociali possono promuovere la cultura della legalità, per formare cittadini consapevoli e aiutare i giovani a scegliere un percorso di vita ispirato ai valori della solidarietà, della giustizia e del rispetto delle regole.