Tina Merlin - Sulla Pelle Viva, Come Si Costruisce Una Catastrofe Il Caso Del Vajont

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Cierre Edizioni via Ciro Ferrari, 5 37060 Sommacampagna, Verona tel. 045.8581572 fax 045.8589883 [email protected] www.cierrenet.it I edizione Nuova Iniziativa Editoriale s,p.A. Edizione su licenza Tutti i diritti riservati Nuova Iniziativa Editoriale S.p.A. Iscrizione n. 243/1948 Registro Nazionale della Stampa presso il Tribunale di Roma Sede legale: via San Marino, 12 - 00198 - Roma Redazione: via dei Due Macelli, 23/13 - 00187 - Roma Direttore responsabile: Furio Colombo Condirettore: Antonio Padellaro Distribuzione: A&G Marco S.p.A. - via Fortezza, 27 - 20100 - Milano Supplemento al numero odierno de l'Unità Edizione fuori commercio riservata ai lettori de l'Unità Edizione non vendibile separatamente da l'Unità In vendita con l'Unità a j 3,30 in più Copertina: foto di Piero Ravagli Tina Merlin Sulla pelle viva Come si costruisce una catastrofe Il caso del Vajont Presentazione di Marco Paolini Ci sono incontri che ti cambiano la vita. Persone straordinarie che ti comunicano qualcosa che entra a far parte di te. A volte sono stimoli, a volte dubbi, a volte idee. Emozioni, storie, passioni. A volte sono un pugno nello stomaco che ti toglie il fiato, che ti lascia dentro una rabbia e un senso d'ingiustizia subito intollerabile, ingiusta. Questo, per me, è stata Tina Merlin. Non l'ho mai conosciuta di persona, ma l'incontro c'è stato ugualmente attraverso le pagine di questo libro. Le storie non esistono finché non c'è qualcuno che le racconta. La tragedia del Vajont esisteva, eccome! Esisteva uno spesso strato di commozione, di solidarietà, di spavento al pensiero dell'enorme distruzione, della valanga di lutti che si era abbattuta su un piccolo popolo di montagna. Esisteva nella memoria di pochi che ricordavano d'aver vissuto quel giorno ma il ricordo diventava sempre più incerto per gli altri, per quelli che non conoscevano quella valle se non per sentito dire, per tutti quelli nati dopo, che del Vajont avevano sentito parlare poco e sempre meno in occasione degli anniversari ogni 9 ottobre circa. Nel 1983, quando Tina scrive questo libro, la stagione della memoria vive forse il tempo più brutto. L'Italia degli anni Ottanta, tutta proiettata in avanti verso il sogno di entrare nell'olimpo dei paesi più potenti del mondo, non ha più tempo e voglia di guardarsi alle spalle. Insieme alla stagione della politica nelle scuole e nelle strade e a quella successiva del terrorismo, seppellisce in fretta anche la stagione del suo passato contadino, ma anche di quello industriale. Ha seppellito l'ultimo suo profeta, Pierpaolo Pasolini, e mostra una gran fretta di diventare post-qualcosa. una stagione arrogante e volgare quella in cui Tina Merlin scrive il libro. Sul Vajont sono già stati pubblicati altri libri importanti, ma non servono a rallentare la dimenticanza. Per questo, credo, è così crudo ed eloquente questo libro. Contrasta violentemente con lo stile di quegli anni. un atto di rivolta silenzioso e implacabile. un testamento amaro di chi ha vissuto e sofferto qualcosa che non si dovrà ripetere mai e vede nella dimenticanza un pericolo che ci sovrasta tutti un'altra volta, una frana più grande di quella del Toc, grande come una bugia. Perché la storia raccontata da Tina nel suo libro era così diversa da quella comunemente accettata sul Vajont nel 1983? Perché, nonostante l'evidenza dei fatti giudicati, dei responsabili condannati, delle testimonianze acquisite, era ancora possibile assimilare il Vajont alle alluvioni o ai terremoti o a una

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Vajont

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  • Cierre Edizionivia Ciro Ferrari, 537060 Sommacampagna, Veronatel. 045.8581572 fax [email protected] edizioneNuova Iniziativa Editoriale s,p.A.Edizione su licenzaTutti i diritti riservatiNuova Iniziativa Editoriale S.p.A.Iscrizione n. 243/1948 Registro Nazionale della Stampapresso il Tribunale di RomaSede legale: via San Marino, 12 - 00198 - RomaRedazione: via dei Due Macelli, 23/13 - 00187 - RomaDirettore responsabile: Furio ColomboCondirettore: Antonio PadellaroDistribuzione: A&G Marco S.p.A. - via Fortezza, 27 - 20100 - MilanoSupplemento al numero odierno de l'Unit Edizione fuori commercio riservata ailettori de l'Unit Edizione non vendibile separatamente da l'Unit In venditacon l'Unit a j 3,30 in piCopertina: foto di Piero RavagliTina MerlinSulla pelle vivaCome si costruisce una catastrofe Il caso del VajontPresentazionedi Marco PaoliniCi sono incontri che ti cambiano la vita.Persone straordinarie che ti comunicano qualcosa che entra a far parte di te. Avolte sono stimoli, a volte dubbi, a volte idee. Emozioni, storie, passioni. Avolte sono un pugno nello stomaco che ti toglie il fiato, che ti lascia dentrouna rabbia e un senso d'ingiustizia subito intollerabile, ingiusta. Questo, perme, stata Tina Merlin.Non l'ho mai conosciuta di persona, ma l'incontro c' stato ugualmenteattraverso le pagine di questo libro. Le storie non esistono finch non c'qualcuno che le racconta. La tragedia del Vajont esisteva, eccome!Esisteva uno spesso strato di commozione, di solidariet, di spavento alpensiero dell'enorme distruzione, della valanga di lutti che si era abbattuta suun piccolo popolo di montagna. Esisteva nella memoria di pochi che ricordavanod'aver vissuto quel giorno ma il ricordo diventava sempre pi incerto per glialtri, per quelli che non conoscevano quella valle se non per sentito dire, pertutti quelli nati dopo, che del Vajont avevano sentito parlare poco e sempremeno in occasione degli anniversari ogni 9 ottobre circa.Nel 1983, quando Tina scrive questo libro, la stagione della memoria vive forseil tempo pi brutto. L'Italia degli anni Ottanta, tutta proiettata in avantiverso il sogno di entrare nell'olimpo dei paesi pi potenti del mondo, non hapi tempo e voglia di guardarsi alle spalle. Insieme alla stagione dellapolitica nelle scuole e nelle strade e a quella successiva del terrorismo,seppellisce in fretta anche la stagione del suo passato contadino, ma anche diquello industriale. Ha seppellito l'ultimo suo profeta, Pierpaolo Pasolini, emostra una gran fretta di diventare post-qualcosa.

    una stagione arrogante e volgare quella in cui Tina Merlin scrive il libro.Sul Vajont sono gi stati pubblicati altri libri importanti, ma non servono arallentare la dimenticanza. Per questo, credo, cos crudo ed eloquente questolibro. Contrasta violentemente con lo stile di quegli anni. un atto di rivoltasilenzioso e implacabile. un testamento amaro di chi ha vissuto e soffertoqualcosa che non si dovr ripetere mai e vede nella dimenticanza un pericolo checi sovrasta tutti un'altra volta, una frana pi grande di quella del Toc, grandecome una bugia.Perch la storia raccontata da Tina nel suo libro era cos diversa da quellacomunemente accettata sul Vajont nel 1983? Perch, nonostante l'evidenza deifatti giudicati, dei responsabili condannati, delle testimonianze acquisite, eraancora possibile assimilare il Vajont alle alluvioni o ai terremoti o a una

  • delle tante catastrofi naturali che segnano la storia del nostro paese? Perchnon si riconosceva l'olocausto nello sterminio di un piccolo popolo di montagna,come giustamente fa osservare Pansa nella prefazione all'edizione del '93 diquesto libro.Qualcuno ci dovr aiutare capire come funziona la memoria di un popolo e qualcunaltro dovr impegnarsi a scrivere la seconda storia del Vajont, quella che vadal1963 al 2000, in cui forse troveremo spiegazioni utili a capire perch eravamocos nel 1983 e cosa siamo diventati dopo, oggi. Trentasei anni dopo il Vajont.Questo libro una testimonianza di parte, non il Vangelo, non Verbo, quellaraccontata storia recente, vissuta sulla pelle viva, raccontata dalla partedel piccolo popolo che ha subito la violenza dell'onda e l'offesa delladimenticanza. Questo libro un onesto pugno nello stomaco di chi sente vergognadi non aver saputo, vergogna dell'ignoranza collettiva intorno al Vajont.L'ho letto nel 1993. La mia copia piena di sottolineature. La copertina consumata dai viaggi. Ho preso il mio pugno nello stomaco da Tina, e da alloraho cominciato a raccontare la storia del Vajont, cercando di farlo onestamente,senza per questo essere neutrale. Non credo esista un cronista o uno storiconeutrale.Esiste un lavoro ben fatto di inchiesta, di ricerca delle fonti, di ascolto deipunti di vista diversi, ed esiste un lavoro pi comodo di chi si accontenta discrivere belle pagine ad effetto.Non so come, fra altri trent'anni, si racconter la storia dell'olocausto delVajont, ma so che se qualcuno lo far, sar anche grazie a Tina Merlin.Le storie non esistono se non c' qualcuno che le racconta*.' Presentazione dell'edizione del 1997.Una storia d'oggi

    di Giampaolo PansaOggi, chi si ricorda del Vajont? Chi conosce la sua vera storia dall'inizioalla fine? I giovani non possono sapere, perch sono nati dopo. Gli anzianihanno vissuto, in questi venti anni, tante altre tragedie. I superstiti hannorimosso quel fatto dalle loro coscienze, come unica possibilit disopravvivenza. Ma si pu dimenticare il Vajont?.Questa domanda ce la scagliava addosso, dieci anni fa, il 16 ottobre 1983, da unarticolo sul mensile Patria, una donna che il Vajont non l'aveva certodimenticato. Quella donna si chiamava Tina Merlin, una ragazza di Trichiana(Belluno), una ragazza diventata giornalista, una giornalista comunista, unagiornalista e una comunista di tipo speciale, una donna anche lei da nondimenticare.Tina aveva descritto cos quel giorno, quella sera, quell'istante che avrebbesegnato per sempre la sua vita:Inizia l'ultimo giorno. Il 9 ottobre 1963 una stupenda giornata di sole. Diquesta stagione la montagna splendida, rifulge di caldi colori autunnali. Lagente di Casso va e viene ancora dal Toc, portando via dalle case e daglistavoli pi cose possibili. Ma altra gente non vuole abbandonare le case e ibeni malgrado l'avviso fatto affiggere dal Comune, pressato dalle richiesteprovenienti dal cantiere... [Viene la sera] e la gente, adesso, tutta nei bara vedere la televisione. Sono ancora pochissimi i televisori privati, e ineurovisione c' la partita di calcio Real Madrid-Rangers di Glasgow. Duesquadre molto forti, una partita da non perdere. E infatti molta gente scesadalle frazioni a Longarone, e anche da altri paesi della valle, per godersi lospettacolo nei bar. La gente si diverte, discute, scommette sulla squadravincente. Sono le 22.39. Un lampo accecante, un pauroso boato. Il Toc frana nellago sollevando una paurosa ondata d'acqua. Questa si alza terribile centinaiadi metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull'abitato di Longarone,spazzandolo via dalla faccia della terra. A monte della diga un'altra ondataimpazzisce violenta da un lato all'altro della valle, risucchiando dentro illago i villaggi di San Martino e Spesse. La storia del grande Vajont, duratavent'anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l'olocausto di duemilavittime.Rileggo queste parole di Tina e mi chiedo: dov'ero, io, la notte dell'olocausto?Avevo ventottanni, nove meno di lei, e tremavo in un'auto che correva alla

  • disperata da Torino verso Belluno. Tremavo come poteva tremare, allora, ungiovane giornalista mandato in un luogo sconosciuto a raccontare una storiaorribile di cui, tuttavia, sapeva molto poco. Accanto me, Francesco Rosso, unafirma di prima grandezza, ronfava tranquillo, col Borsali-no schiacciato sugliocchi. Perch non dorme anche lei? mi diceva ogni tanto l'autista dellaStampa. Dorma dottor Pansa - mi ripeteva in dialetto torinese -perch domanimattina avr da ruscare, avr da faticare!. Ma io non potevo dormire. Sentivoproprio l, alla bocca dello stomaco, una stretta feroce che mi teneva sveglio.Sveglio per la paura dell'inferno che avrei incontrato alla fine del viaggio. Esveglio per l'angoscia di non saperlo raccontare. Cos, nella foschia notturnadella Val Padana, mentre l'auto correva e correva, cercavo di distrarmi im-10precando contro i miei capiservizio che m'avevano fatto partire. Ma s,imprecavo e nella testa mi martellavano le parole di uno dei due, BrunoMarchiaro: Appena abbiamo chiuso la ribattuta in tipografia, parti tu, colCecco Rosso. Toh, prenditi la bozza della prima pagina. C' anche una cartina:il posto si chiama Longarone.Sino a mezzanotte, quella pagina era stata molto diversa. Una pagina tranquillaper un tranquillo mercoled 9 ottobre 1963. John Kennedy vendeva il granoamericano ai sovietici. Disordini a Roma per gli edili in sciopero. Monica Vittitornava a girare un film con Michelangelo Anto-nioni. Poi, gi oltre lamezzanotte, era emerso l'inferno. Crollata una diga sopra Belluno. Centinaia dimorti. Una fiumana ha travolto un paese chiamato Longarone...Quel titolo, quelle parole, erano lampi nel buio dell'auto che correva. Fiumana.Grande muraglia. Che cede di schianto. Enorme coltre di acqua e fango. Morti.Centinaia di morti... Chiudevo gli occhi, ma le parole dardeggiavano. Frecceroventi nel mio cervello. E dentro la mia paura.Poi, con l'alba, le parole divennero immagini pietrificate. Il ponte diSusegana, carico di gente atterrita. Il Pia-ve gonfio e nero. Il blocco deicarabinieri a Ponte nelle Alpi. Un paese, Fa. Poi un altro, Pirago. Si va diqua per Longarone? S, andate dove volano i corvi. Dopo Pirago, niente pistrada. Ma non c'era la statale 51? Certo, era questa spianata di fango, pietre,detriti. Coraggio, gi dall'auto. In marcia sulla massicciata della ferrovia perCortina. Quanti chilometri? Quattro. Cinque. Forse di pi. Sino al desertolunare del Vajont.ilGli inviati dei giornali di Milano stavano gi tornando. Quelli de IL Giornoerano stati i primi ad arrivare. Guido Nozzoli, angosciato, con le bracheinfilate in stivali da cow-boy. Franco Nasi, sgomento. Giorgio Bocca,ingrugnato. Nozzoli, un romagnolo tarchiato che era stato par-tigiano conBulow, Arrigo Boldrini, dopo avermi squadrato mi chiese: Quanti anni hai?.Ventotto. Allora tu la guerra non l'hai vista. Vai avanti che la vedrai.Avanti, allora, avanti verso la mia guerra. Camminavo e scrivevo sul taccuino.Sgorbi che poi avrei decifrato con fatica. E la diga crollata? Ma quale crollo?Eccola, quella maledetta diga. Intatta. Uno scudo gigantesco, disumano nella suapotenza. Brillante nel sole. L'onda scagliata oltre quell'arco aveva generato...Generato cosa? Esisteva una parola adatta a descrivere l'inferno che ci venivaincontro tra le montagne? Le parole possibili vennero consumate tutte. Strage.Sterminio. Delitto. Grande delitto. Gigantesco crimine... A nessuno venne inmente l'immagine vera, la parola esatta. A nessuno tranne che a Tina. Lei solafu capace di pensarla e di scriverla, quella parola: olocausto. Ma inquell'ottobre 1963, Tina contava poco nel firmamento delle star giornalistiche,quasi tutte concentrate all'Hotel Cappello di Belluno. Per cominciare, era unadonna, e in quel tempo la cupola informativa italiana risultava soltantomaschile. Poi non era un inviato speciale, bens un semplice corrispondente diprovincia. Infine scriveva per un giornale di partito e, per di pi, per quelgiornale che era l'Unit di un partito che era il PCI. Nei confronti di Tina,dunque, funzionava un black-out12spesso tre volte: maschilista, di rango professionale e di avversione politica.Certe grandi firme erano implacabili in questo black-out. E a malapenaaccettavano che qualcuno del loro rango, come Nozzoli ad esempio, si dichiarassecomunista o di sinistra. Messe insieme, queste star peggioravano, dando vita

  • spesso a squadre tronfie, spocchiose, ubriache del loro primato di copievendute. Squadre, o pool come si direbbe oggi, che si buttavano sempre da unaparte sola: contro i rossi che erano sopravvissuti a Longarone e contro i rossiche da tutta Italia accorrevano a Longarone.Come non ricordarli certi dialoghi inchiodati a un'ottusa faziosit? Stannoarrivando i sindaci emiliani del PCI. Ma che ci vanno a fare a Longarone?.Sono stati partigiani da quelle parti. La gente del posto li ha sfamati, li havestiti, li ha protetti. Come potrebbero non venire nei giorni del Vajont.Balle. solo propaganda. Ne approfittano per incitare all'odio politico. Oggiandiamo a rompere i coglioni ai comunisti del Vajont!.E ci andavano davvero, anche se l'impresa non era per niente facile. ALongarone, infatti, ti tiravano le pietre. Te le tiravano tutti, rossi, bianchi,neri. I sopravvissuti avevano piantato tanti cartelli su quel deserto lunare. Uncartello per ogni casa scomparsa sotto l'ondata. E gli scampati ti gridavano:Lei non pu stare qui. Se ne vada. Qui c'era la mia famiglia!.Imparai a camminare con rispetto tra i fantasmi di quelle case. Soltanto cos lagente sembrava disposta a sopportarti. E senza guardare il tuo taccuino condiffidente rancore. Esisteva un solo giornalista accettato, e anche13amato: era Tina. S, Tina che era una di loro, figlia di quella montagna,ragazza di quelle valli. Tina che aveva vissuto sin dall'inizio l'incubo delladiga. Tina che, giorno per giorno, aveva visto crescere la paura e la rabbiadella gente in lotta contro il colosso della SADE e contro lo Stato che s'eramesso al servizio del colosso. Tina che era stata la prima a denunciare laminaccia del Vajont e dei suoi padroni. Tina che era stata processata e poiassolta per quei suoi articoli su l'Unit, ammonitori e quasi presaghidell'olocausto che si preparava.Certo, Tina sapeva molto di pi di noi. Aveva fatto quel che nessuno di noiaveva fatto. Per questo soffriva scrivendo. E scriveva piangendo con rabbia. Sisentiva una scampata, una sopravvissuta. Ma anche chiamata a rendere giustiziaper quei duemila morti. E non avrebbe pi dimenticato.Nell'ottobre del Vajont non sapevamo quasi niente di Tina Merlin. Parlo di noidella truppa informativa, s'intende. Anche per i giovani cronisti scrupolosi,come mi piccavo di essere io, era una collega di provincia sconosciuta e senzastoria. Eppure, quella donna di 37 anni, di una bellezza semplice e schietta,una storia ce l'aveva. Era stata una giovanissima partigiana. Poi, diventatagiornalista, aveva scritto migliaia di righe per raccontare i problemi, lafatica, le speranze della gente delle sue valli. Aveva stampato anche un librodi racconti sulla Resistenza, Menica. Poi s'era imbattuta nel dramma che avrebbedato una svolta alla sua vita: il Vajont. Un dramma che14per lei non si sarebbe mai pi concluso.Per noi, invece, la guerra di Longarone era destinata a finire presto.E gi dopo i primi giorni ci sorprendevamo a viverla con un distacco destinatoad aumentare sino a tramutarsi in una corazza d'indifferenza. Proprio cos: nonvolevamo soffrire, volevamo soltanto raccontare.Fu una mutazione che scoprii anche in me stesso. Passavo sbalordito tra gliorrori del Vajont e cercavo di non esserne toccato. Tentavo persino di nonriflettere. Del resto, me ne mancava il tempo. Dovevo scrivere. Scrivere ognigiorno. Poi dettare al telefono il servizio. Poi correggere. Poi ridettare. Poiripartire per il deserto di Longarone. E correre, correre. Per non mancare unanotizia. E per far meglio degli altri. O almeno come gli altri.Accettavo tutto con l'impassibilit del giovane cronista alle prese con il suoprimo grande fatto. E cos, giorno dopo giorno divenni vuoto di angosce. Diversodal me stesso del 10 ottobre all'alba. Quasi uguale a quei turisti che, disabato, intasavano la statale di Alemagna. Migliaia di auto. Ingorghi colossali.Un'occhiata al deserto. Poi tutti a Cortina. Proprio cos: di corsa verso ilweek-end. Lasciandosi alle spalle la rabbia di chi chiedeva giustizia. Contro laSADE. Contro l'ENEL. Contro lo Stato. Contro i burocrati. Contro la voglia diprofitto che aveva preparato e perpetrato l'olocausto.Poi, un giorno di fine ottobre del 1963, ce ne andammo anche noi come queituristi. Ce ne andammo senza neppure la certezza sul numero dei morti. Duemila?Di

  • 15meno? Di pi? Ma che importanza poteva avere, la dimensione esattadell'olocausto, per chi si lasciava alle spalle la guerra del Vajont, il desertodi Longarone, le cataste dei morti nei sacchi di plastica dentro i cimiteri diBelluno, di Portegna, di Ponte nelle Alpi?Qualcuno per rimase. Per esempio, rimase Tina Merlin. Non solo non volevadimenticare. Non voleva che gli altri dimenticassero. Continu a scrivere. E acombattere, o a lottare, come si poteva dire allora, a fianco dei sopravvissuti.E vent'anni dopo, Tina buss alle nostre porte con un libro bellissimo, questoche oggi viene ripubblicato. Ma troppe porte rimasero chiuse. E troppe orecchiesorde. Debbo dirlo: anche la mia porta rimase sbarrata. Quante cose accadevanonell'Italia del 1983. E quanti libri c'erano da leggere e, talvolta, dascrivere. Perch prendere in mano un libro sul Vajont? Quanti secoli prima eraaccaduto l'olocausto di Longarone? Possibile che si dovesse ancora scriverne? Echi era questa Merlin Tina? Ah, quella giornalista de l'Unit che era stataprocessata per aver raccontato della diga...L'ho letto quest'estate il libro di Tina. E ne sono uscito umiliato. Tantisermoni sul giornalismo di denuncia, sull'informazione come contro-potere, sullecarte false e le carte vere della stampa italiana, senza aver incontrato Tina inqueste pagine fatte di verit e di rabbia. Pagine come sassate contro lospecchio dove noi dei grandi giornali rimiriamo soltanto la nostra immagine.Pagine che sono un atto di amore per chi ha patito l'olocausto e un atto diaccusa per noi che non abbiamo saputo o voluto raccon-16tarlo come si doveva e si poteva. Pagine dedicate a una storia infinita che,dopo il Vajont, si ripetuta mille volte in Italia, per trent'anni. Una storia,scriveva Tina nell'introduzione, contrassegnata dallo stesso marchio: ilpotere. E dall'uso che ne fanno le classi politiche e sociali che lo detengono.Ecco, Sulla pelle viva proprio questo: un libro sul potere come arbitrio e suimostri che pu generare. In fondo, la storia di Tangentopoli, no? L'arroganzadi troppi poteri forti. L'assenza di controlli. La ricerca del profitto a tuttii costi. La complicit di tanti organi dello Stato. I silenzi della stampa.L'umiliazione dei semplici. La ricerca vana di una giustizia. Il crollo dellafiducia in una repubblica dei giusti. C' tutto questo nel racconto di Tina. Esta in questo la modernit bruciante del suo libro.Aveva scritto su Patria, dieci anni fa, la ragazza di Trichiana:I giorni dopo il Vajont la gente era convinta che la tragedia dovesse essere unpunto di partenza per una riflessione collettiva. Dalla quale partire percambiare, per mettere in discussione rapporti e metodi. C'erano duemila mortiammazzati, dei quali tutti i poteri portavano una responsabilit diretta oindiretta. La Costituzione era stata messa sotto i piedi e si era rivelataincapace di garantire perfino la vita dei cittadini. Da pi parti si proclamava,e si prometteva, che occorreva cambiare rotta. Invece, da allora, lecompromissioni del potere politico con quello economico sono state infinite escandalose. Si sono affinate nella degenerazione di ogni diritto, talch lagente, quella che paga sempre, non crede pi in niente e in nessuno. Talch lademocrazia non ha pi senso e reale consistenza in questo nostro paese governatoda gruppi di17potere palesi e occulti, dove uomini della politica e uomini dell'economia vannosotto braccio a quelli della mafia, del terrorismo, della P2, per sostenersi avicenda...Semplice, chiaro e diretto. Com'era Tina Merlin. Lei non c' pi a incontraregli amici nuovi che la conosceranno attraverso le pagine di questo libro. Cimancher anche Tina, il 9 ottobre 1993, trentesimo anniversario del Vajont. Malei, almeno, pu parlare con le parole scritte allora. E pu aiutarci a sperareche, dopo tanti olocausti, si riesca, un giorno, a vedere l'alba. Grazie, Tina.E un bacio*.* Presentazione dell'edizione del 1997.IntroduzioneVi sono due lingue in alto e in bassoe due misure per misurare,e chi ha viso umano

  • pi non si riconosce.Ma chi in basso, in basso e costretto,perch chi e in alto, in alto rimanga.Bertolt BrechtRester un monumento a vergogna perenne della scienza e della politica. Unconnubio che legava strettissimamente, vent'anni fa, quasi tutti gli accademiciillustri al potere economico, in questo caso al monopolio elettrico SA-DE. Che asua volta si serviva del potere politico, in questo caso tutto democristiano,per realizzare grandi imprese a scopo di pubblica utilit - si fa per dire -dalle quali ricavava o avrebbe ricavato enormi profitti. In compenso il poterepolitico era al sicuro sostenuto e foraggiato da coloro ai quali si prostituiva.La regola era - ed ancora - come in tutti gli affari vantaggiosi, quella delloscambio.Il monumento si chiama Erto. Anzi, Erto e Casso. Due agglomerati di sassi eterra che formano un Comune. Distanti l'uno dall'altro qualche chilometro,costruiti in cima a costoni di vecchie frane cadute forse millenni fa e sullequali uomini scampati da pesti o persecuzioni, o19forse fermatisi dopo lunghe peregrinazioni ed esodi, hanno dato inizio allacomunit ertocassana. L'ondata terribile, provocata dalla frana del Toc che il 9ottobre 1963 fece impazzire le acque del lago artificiale, dividendole confurore, sbatacchiandole da una sponda all'altra, facendole tracimare dalla pigrande diga del mondo, schiantandole su Longarone polverizzando il paese, haappena lambito Casso. Ha risucchiato alcune frazioni di Erto, altre case sparse.Ha sepolto case e stalle poste sotto la montagna crollata. Ma Erto rimasto inpiedi, un po' traballante, le case fessurate dalla sferza dell'acqua. rimastosu contro tutte le previsioni. Sono questi due paesi morti il monumento alVajont. Nessun'altra stele o lapide potr rendere con altrettanta raffigurazionela memoria del tremendo fatto la cui eco ha pervaso il mondo vent'anni falasciandolo stupefatto e incredulo, minando la fiducia popolare nella scienza,nella tecnica, nella politica. La SADE, il monopolio che uccise, in fondo ciinteressa poco: faceva i suoi affari come tutti gli imprenditori privati delmondo. Sapendo che li poteva impunemente fare, che glieli lasciavano fare. Erail burattinaio che tirava i fili e faceva muovere i burattini - scienziati epolitici - come voleva. Il potere era lei, perch il vero potere aveva abdicato.Erto e Casso, paesi di sopravvissuti. Non Longarone, purtroppo paese di morti.Vivi o morti, in fondo, la stessa cosa di fronte al fatto. Ma quass, sulversante friulano del grande Vajont, prima del disastro si vissuta unastoria che mancata a Longarone. Una storia di popolo, ancora sconosciuta. Dilotte, ribellioni, partecipazione ci-vile contro i potenti, le loro angherie, le loro leggi, la tra-sgressione delleleggi dello Stato, la licenza di uccidere, la difesa del diritto, larivendicazione della giustizia. L'Italia e il resto del mondo conosconosoprattutto la storia di Longarone, tragica e spietata, quella della nottetremenda. Non la storia che gener quella notte, la storia di prima: di Erto,della sua popolazione successivamente dispersa. Perch la storia vera si svolta quass. Tra questi sassi e queste antiche frane. In questo paese orasemivuoto, con le sue case di pietra, i suoi vicoli stretti, la sua unica viaprincipale che ospitava i pochi negozi e le numerose osterie, luogosocializzante, vivacissimo, di Erto. Da poco il municipio stato trasferito nelnuovo paese, pi a monte. Un edificio assurdo, senz'anima, che non ha niente incomune con l'ambiente attorno. E non solo il municipio, ma la chiesa, la scuola.Nessuno ha detto niente, neanche gli ertani, contro i progetti. In fondo statagi una fortuna che il paese incominciasse a venir su, in quota di sicurezza,vent'anni dopo. Quando met della gente era gi stata sradicata, incanalataverso altri luoghi o trapiantata di peso nella piana di Pordenone, dove hacostituito un nuovo paese: Vajont. C' chi dice che stato un bene andarsene.Cosa c'era da fare ormai a Erto e a Casso? I pascoli migliori erano statisommersi dall'acqua del bacino; i rimanenti, dalla frana. A Pordenone c'erano lefabbriche e finalmente un lavoro sicuro. Era una occasione per entrare nellacivilt dopo secoli di isolamento. Erto e Casso, soprattutto dopo lo chocdella frana, potevano anche andare in malora. Chi, invece, non ha voluto andarvia da Erto,

  • ha sopportato nuovamente anni di umiliazioni da parte di uno Stato che ancorauna volta non manteneva le sue promesse di ricostruire il paese. Se la nuovaErto sta lentamente assumendo una fisionomia, se si potuta ricostruire nellavallata, merito di una resistenza tenace e di nuove aspre lotte che qui sisono svolte per non cancellare il paese, la sua storia, la sua cultura.Ho un debito verso gli ertani: raccontare la loro storia. Oggi, dopo vent'anniin cui l'Italia e gli italiani sono stati offesi, umiliati, tiranneggiati,uccisi in mille altre maniere, forse questa storia sembrer una delle tantecasualmente accadute. Forse pi pulita di quelle che accadono oggi. Ma non cos. Assomiglia molto a quelle di oggi. E contrassegnata dallo stesso marchio:il potere. E dall'uso che ne fanno le classi politiche e sociali che lodetengono.Il paese di Erto e CassoErto e Casso, 1956. La denominazione del Comune configura il centro di Erto sededel municipio, della scuola, della posta, dei carabinieri; di Casso, la pigrossa frazione distante dal centro quattro chilometri e di altre frazioni eborgate situate all'imbocco ed entro la vallata: San Martino, Pineda, Spesse,Prada, Liron, Col della Ruava, Forcai, Val-dapont. Erto posto a 776 metri sullivello del mare. Casso un po' pi in alto, a 951. Entrambi costruiti sopra o aridosso di materiali di riporto di antiche frane, cadute nel Cinque-Seicento,assestatesi definitivamente e che fino a questo 1956 non hanno dato granchfastidio, tranne in qualche eccezionale evento di piogge torrentizie. Allora lemontagne riversano in fondovalle le acque di innumerevoli torrentelli chetrascinano una gran quantit di detriti argillosi e provocano, causa lapermeabilit del terreno, qualche piccolo franamento. Erto, 906 abitanti. Casso,456. L'intero territorio comunale 2099: 1041 maschi, 1058 femmine. I due borghisorgono sulla riva destra del Vajont, un torrente che taglia l'ampia valle amet: Da una parte il monte e i due centri pi importanti; dall'altra ipascoli, i boschi, i campi a ridosso di altre montagne, tra le quali il Toc.Anche queste montagne sono spuntoni di frana, ma lungo i loro declivi sorgonogrumi di case - Pineda, Prada, Liron - abitazioni sparse, stalle, coltivi.soprattutto da questa parteche ci sono i beni degli ertani e dei cassarli, il loro maggiore redditoderivato dalle terre e dal bestiame. Spesso anche la loro doppia casa, abitatadalla primavera all'autunno, dove si trasferiscono con gli armenti per coltivaree produrre. Non la casera, come d'uso per i contadini lungo la vallata delPiave, che adoperano questo casolare sgangherato (un unico locale fatto disassi, con soppalco, spesso senza finestre) per portare due mesi all'alpeggio ilbestiame. proprio una casa, come quella di Erto e Casso, per starci la maggiorparte dell'anno, accanto al lavoro. Costruita con le proprie mani. Per non doverscendere e salire ogni giorno i duri sentieri che attraversano la vallata dovescorre il Vajont, modesto affluente che sbocca nel Piave scrive nel 1955 CarloSemenza, il progettista della diga futura1. Anche se, all'occasione, per bisognodel medico, del veterinario, della spesa, gli uomini e le donne di Erto e Cassovanno da un versante all'altro in un batter d'occhio, spesso con grosse gerle inspalla, su sentieri conosciuti e vecchi di secoli. I bambini percorrono glistessi sentieri per recarsi alla scuola di Erto, anche quando la neve arriva anovembre e la famiglia non si ancora trasferita al di qua della valle.Insomma una doppia casa non per villeggiare ma per produrre. Gli ertani chehanno un po' di terra oltre Vajont sono considerati benestanti, anche se diversimembri della famiglia, i pi grandi, vanno via, emigrano a Milano, Torino, inSvizzera, in Belgio. una comunit che si accontenta, non chiede una vitatroppo diversa, abituata ad essere emarginata, a vivere isolata, a pensare aifatti suoi, ma anche a non accettare che altri si immischi nelle sue faccende.Sirinsalda, cos, una solidariet a difesa del proprio modo di vivere e di pensareche non ammette intrusi. I giovanotti che salgono dal versante bellunese perqualche ballo in osteria, per corteggiare le ragazze di Erto ritenute pi liberedi quelle del fondovalle, pi genuine e cerume molto belle, vengono presi asassate. Si dice, degli ertani, che sono un popolo primitivo. Cosa significa?Che sono liberi come il vento della loro vallata o come i galli cedroni cheancora stanziano sulle loro montagne? Che hanno profondo il senso dellagiustizia? Che sono sospettosi degli estranei delle loro parole, delle loro

  • carte sempre usate - parole e carte - per imbrogliarli? Che il loro isolamentoha prodotto una comunit che tenta di dirimere al suo interno le controversielocali? Che questa comunit conserva gelosamente usi e costumi antichi, di unacivilt primitiva appunto, ma basata sulla saggezza, sulla giustizia, sullaverit? La civilt che in seguito approder ad Erto con la SADE e i suoimanutengoli e si confronter con la primitivit degli ertani ne uscirmoralmente sconfitta, anche se vincer la partita. Il futuro che si prepara perErto non avr un cuore antico.Adesso, 1956, il popolo di Erto ha ancora fiducia in se stesso, malgrado tutto.Malgrado le sue ricorrenti liti interne, tra il popolo di Erto e il popolo diCasso, due comunit abbastanza diverse per crescita, influenzeesterne, dialettoErto gravita sulla Valcellina, Friuli, ha contatti con gli altri paesi dellalunga e stretta vallata. Il suo dialetto un misto fra friulano e ladino,quest'ultimo reminiscenza tramandata dai primi uomini che fondarono il borgo.Che furono, sembra, dei cimbri2. Casso, posto all'imbocco della vallata verso il25versante bellunese, parla un altro e diverso dialetto, pi vicino a quellovenato e bellunese di Longarone. Con Longarone intrattiene rapporti commercialie di amicizie personali.Le ragazze sposano giovanotti di Codissago, Dogna, Provagna, frazioni diLongarone e di Castellavazzo situate sulla sinistra del Piave, da dove partel'unica stretta strada bianca che porta ad Erto e Casso, con lunghe giravolte,rasentando burroni. Forse anche per questo i due centri si guardano spesso incagnesco. Ma anche perch Casso sorta dopo di Erto e la sua popolazione hadovuto sopravvivere cercando terre da coltivare sotto il Toc, inciampando nellagente di Erto che ne era sempre stata padrona3.Il Comune di Erto e Casso, pur appartenendo al Friuli, gravita sul distretto diBelluno per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia. Le liti traertani e cassani si discutono alla Pretura di Belluno. E ai partiti politici diBelluno stata demandata, dalle rispettive direzioni, la cura politica dellazona, essendo Erto e Casso pi vicino alle organizzazioni provinciali di Bellunoche non a quelle di Udine (la Provincia di Pordenone non stata ancora creata).D'altronde, la provincia di Belluno fa collegio circoscrizionale con Udine eGorizia. A Casso prende molti voti un deputato DC di Belluno, l'avvocato GiacomoCorona, originario del borgo, dove la maggioranza dei voti sempre stata per loscudo crociato. Dicono gli ertani: A Casso votano tutti DC; il prete li mettein fila e li porta lui al seggio elettorale. Ad Erto, invece, la gente tira pia sinistra, socialisti e comunisti che adesso, 1956, amministrano il Comune. Gliantichi rancori, le vecchie diffidenze sono forse sta-te all'origine anche di questa divisione politica, che si alimenta di polemichesui baciapile e sui rossi, perpetuando il sospetto reciproco delle duecomunit. Anche se i rispettivi portavoce in consiglio comunale si battonospesso insieme, poich gli interessi comuni lasciano poco spazio alle divisioniideologiche, riservate pi che altro alle polemiche di osteria e a qualchescontro verbale durante la campagna elettorale per le elezioni politiche.La vita sociale delle due comunit tutta nelle osterie. Ve ne sono 9 a Erto e2 a Casso: si discute animatamente e rumorosamente, si beve vino e grappa, siballa al suono della fisarmonica, si gioca a morr fino a farsi sanguinare ledita4. Gli ambulanti riportano le notizie del mondo esterno5; qualche operaio,quelle delle fabbriche di Longarone o dei cantieri edili delle due provinceconfinanti; gli emigrati, d'inverno, quelle dei paesi dell'estero6. E sibestemmia molto e molto fantasiosamente. Lo si fa senza alcuna volont dioffendere la religione; qui, a loro modo, sono tutti profondamente cristiani. Labestemmia semplicemente un modo d'intercalare qualsiasi discorso: dissentirecon forza, rafforzare una propria dichiarata convinzione, irridere qualcuno oqualcosa, insomma fa parte del linguaggio locale, del modo di esprimersi di chinon andato oltre le scuole elementari e conosce poche parole. Dio non c'entra.Lo sanno bene i parroci delle due parrocchie che malgrado gli sforzi non sonoriusciti a modificare una parlata che, tra dialetto e bestemmia, risulta tantocolorita.Dio c'entra, a Erto, per altre cose. O, meglio, c'entra ilCristo-uomo perseguitato e deriso dai potenti e alfine croce-fisso. Non si sa

  • esattamente a quando risalga la tradizione della rappresentazione della passionedi Cristo che gli ertani mettono in scena ogni Venerd santo7. Un tempo sisvolgeva partendo dalla chiesa e con l'autorizzazione delle autorit religiose.In seguito attori-comunit e prete vennero a diverbio8 e la rappresentazioneassunse l'aspetto laico. Adesso non si fa pi con la benedizione del prete, cheritiene la processione un oltraggio alla religione. solo e tutta opera degliabitanti, che la preparano accuratamente per tutto l'anno, parti e costumi, lagestiscono in proprio, gelosi di una loro autonomia nel rappresentare il fattosecondo i sentimenti propri. Per la verit di gusto un po' pagano, ma resta,forse proprio per questo, una delle pi belle che ancora sopravvivono. Inizia dipomeriggio, con i bambini che percorrono le stradine del paese battendolugubramente sui tamburi, a preparare l'atmosfera di ci che quel giorno dovraccadere, cio la morte del Giusto, con il quale la comunit si immedesima(forse per questo sacrilegio la Chiesa non vedeva la cosa di buon occhio).Appena scende la notte, la processione prende il via dalle scuole: attorivestiti da soldati romani, da Pilato, da Caifa, da Maddalena, da Giuda, daCireneo, da Ges e da Barabba percorrono il paese e si portano su un colle aridosso delle case. Qui si celebra il processo, il tradimento di Giuda, lacondanna, la crocefissione, sotto il vento che spazza la valle, nelle tenebrecirconfuse da riflettori che inquadrano le varie scene. Prima dell'ultimo attodella crocefissione, il corteo ripercorre il paese con il condannato seminudoche trascina lasua grossa croce e cade tre volte e tre volte si rialza sotto la sferza deisoldati. Alla fine della rappresentazione, tutti contenti, si torna in osteria esi ricomincia a bere e a bestemmiare. Qualche volta si dimentica il Giuda appesoall'albero sopra il colle. Fare la parte del Cristo sempre un privilegio. Sisceglie, di solito, il ragazzo fisicamente pi bello e prestante. Egli siricorder per lunghi anni di aver avuto, una volta, tale onore.Tra le storie di osteria un posto preminente hanno i racconti di guerra. LaPrima guerra mondiale ha decimato la popolazione maschile di Erto, quasi tuttaalle armi nel Corpo degli alpini. Sul monumento che sorge accanto al cimiterosono incisi ben 68 nomi di caduti. Nella Seconda guerra mondiale i cadutirisultano di meno: 13 morti sui vari fronti e 19 dispersi, quasi tutti in Russiacon la Julia. La Resistenza ha quass un capitolo a parte. In val Mesazzo,sotto il monte Toc, soggiorn nell'inverno 1943-44 un gruppo di partigianiprovenienti dal Bellunese9, che comp le prime azioni nella zona fraternizzandocon la popolazione e svolgendo cos una prima azione di orientamento politico10.Successivamente si espanse in Valcellina il movimento partigiano friulano11.Erto divenne zona di rastrellamenti e deportazioni12 e, in conseguenza, diappoggio sempre maggiore alla Resistenza. Ebbe 5 partigiani caduti, 1 disperso,11 civili uccisi, tre dei quali morti in campo di con-centramento. I discorsisulla guerra percorrono sempre due binari: quello del ricordo affettuoso deicommilitoni con i quali si vissuto tanto tempo, che magari sono morti epoteva toccare a me, il racconto orgoglioso delle gesta comu-ni; quello delle maledizioni su il per chi e il per cosa ci si fattimassacrare. Parlare di Patria quasi un insulto, anche se gli ertani vanno aqualche anniversario, pi che altro per ricordare se stessi e i loro caduti.Vanno anche alle manifestazioni degli alpini, ma la Patria non c'entra. Ci vannoper spirito di corpo e perch, quando erano militari, in guerra o in pace, sisentivano qualcuno, e quindi ricordano, di quel periodo, l'amicizia deicompagni, la vita in comune, i sacrifici e i pericoli, le baldorie. E poi,essere alpini per la gente di montagna assume anche un altro significato: essereforti e resistenti ad ogni fatica. bello sentirsi applaudire dalla gentesfilando per le vie di Roma o di Milano. Non sono molte, per i montanari, leoccasioni per farsi applaudire. Ma la Patria non c'entra proprio, anche seavevano creduto di difenderla durante la Resistenza. Difenderla per cambiarla.Probabilmente anche allora gli ertani difendevano soltanto la loro terra, comeera giusto. La Patria un'altra cosa: la guerra, le tasse da pagare, le carteda bollo, i carabinieri. La Patria, insomma, la loro controparte.Anche i rapporti politici si vivono a Erto in maniera particolare. Le listeelettorali per il Comune sono un miscuglio di nomi appartenenti a diversipartiti o orientamenti. Hanno spesso simboli neutri, raffigurano prodotti della

  • terra, arnesi di lavoro, cime di montagne, fiori. I candidati passano senzatimore da una lista all'altra, anche se due sono i raggruppamenti maggiori: lalista dei preti e quella delle sinistre. Il panorama politico si ricomponenelle elezioni per la Camera e il Senato.

    l'occasione in cui ogni partito esce alla luce del sole, con il propriosimbolo e la propria lista. Nelle votazioni per la Camera dei Deputati del 1953la DC ha preso 309 voti, il PSI 193, il PCI 98, il PSD 77. Oltre a qualche votosparso andato ai partiti costituzionali minori, le elezioni del 1953 hannoregistrato a Erto due grosse sorprese: 68 voti al MSI e ben 221 a una listadenominata Stella e Corona. Una stranezza. Che sottolinea, comunque, il modoin cui si vive e si sente la politica a Erto. Soltanto durante la campagnaelettorale arriva qualche oratore dal capoluogo di provincia, pi che altro perrincuorare gli uomini della propria lista, che fanno un po' di chiasso perpreparare il comizio. Solo in queste occasioni gli animi si accendono per ipartiti, vola qualche invettiva, regna il patriottismo e, spesso, il settarismodi partito. Il PCI non va mai a Casso; zona decisamente influenzata dalla DC edal prete. Infatti tutti i suoi voti li prende a Erto13.Questo Erto Casso nel 1956, all'inizio di questa cronistoria e della verapassione degli ertocassani. Al Comune regna una giunta di sinistra, sindacouna donna, Caterina Filippin, che i paesani chiamano familiarmente Cate, nipotedi quella Domenica Filippin morta sotto le torture nella Gendarmeria tedesca diBeiamo. E moglie del medico del paese, esponente socialista locale; gestisce ilnegozio di alimentari con annessi bar e tabacchi che fu di sua zia e ha preso ilmaggior numero di preferenze della lista unitaria. energica, come tutte ledonne di montagna; amata dalla gente. l'anno ultimo, prima che la SADEinizi a costruire la pi grande diga del mondo.NOTE1. Scritti di Carlo Semenza, a cura dell'Ufficio Studi della SADE, Venezia 1962.2. Sulle origini di Erto si sono cimentati diversi studiosi. Secondo ilsacerdote Domenico De Filippo il paese fu fondato da una colonia di cimbriscampati nel 101 a.C. allo sterminio di Mario, avvenuto presso Vercelli dove icimbri erano sconfinati dalla Spagna. La colonia si sarebbe rifugiata nellavalle del Vajont fondandovi Erto. Altri sostengono che il centro abbia originepi antica, dimostrata dal ritrovamento, alcuni anni fa, di oggetti risalentiall'epoca romana, venuti alla luce durante i lavori di sbancamento per lacostruzione di una strada. Un altro studioso, Giorgio Valussi, ritiene che ilpi antico insediamento della vallata sia quello di San Martino, oracompletamente distrutto dall'ondata del 9 ottobre 1963, risalente all'epoca deiLongobardi dal cui protettore, S. Martino, avrebbe preso il nome. Unappassionato di storia locale, Attilio Corona, suggerisce alcuneinterpretazioni, non certo da scartare, sull'origine del nome di Erto. Potrebbe,egli dice, discendere dalla dea longobarda Elerta, da cui Hen che si ritrovaancora citato in vecchi manoscritti; oppure dal latino Nertus, da cui Nert comeviene ancora chiamato il paese nel dialetto locale. ;3. Giorgio Valussi attesta che la prima prova certa dell'esistenza di uninsediamento permanente a Casso una sentenza dell'abate di Sesto in Cimolais,datata 20 settembre 1558, contro un gruppo di abitanti di Chians per il taglioabusivo del bosco di Tocco appartenente all'abbazia. Sul diritto di proprietdi questi terreni del Toc (la montagna franata il 9 ottobre 1963) nasce unalunga lite, che si tramanda negli anni. Gli uomini di Casso, secondo lecronache, erano visti come usurpatori da quelli di Erto, in quanto arrivatinella zona dopo di loro, anche se nel 1652 la localit viene accomunata a quelladi Erto in una laude del Senato Veneto a favore dell'Abbazia di Sesto e deiComuni di Erto e Casso. In un documento del 1667 risulta anche una comunanza dibeni forestali fra le due comunit. In altro documento del 1673 la RepubblicaVeneta rinnova il privilegio dei beni comunali, spartendoli tra Erto e Cassoprivilegiando, per, il primo. Nel 1674 cade una grossa frana su Casso,dimezzando seminativi e pascoli, per cui i cassani insistono presso Erto per unaparte maggiore di uso dei beni comunali situati sul versante sinistro del Vajont(Toc), da Erto negata. La lite si inasprisce e Casso chiede, nel 1688, ildistacco da Erto e una sua autonomia amministrativa. La lite dura, con alternevicende, ben 60 anni. I due Comuni si ricongiungono definitivamente nel 1866.Cfr. G. Valussi, Aspetti geografici di una vecchia lite tra due Comunit

  • prealpine (Erto e Casso), estratto da Ce fa-stu, Udine 1962. Sempre secondo ilValussi probabile che i cassani siano arrivati nell'Alta Valcellina provenendodal versante bellunese e precisamente dal villaggio di Codissago che confina conil territorio di Erto, da cui le affinit con il dialetto bellunese. Casso,inoltre, sempre stato sotto la giurisdizione ecclesiastica di Castella-vazzo,al contrario di Erto che apparteneva e appartiene a una diocesi friulana. Altrisostengono che i primi a stabilirsi sul luogo siano stati pastori e carbonaiprovenientida San Cassiano del Meschio nelle vicinanze di Vittorio Veneto; da qui il nomedi Casso dato al paese. certo, comunque, che nel primo documento rintracciatodal Valussi la localit definita Chians, parola friulana, che divenne Casdurante la Repubblica Veneta e fu poi italianizzata in Casso.4. Il gioco della morr in uso, con qualche variante, in tutte le zone dimontagna dell'Italia settentrionale. Ci vogliono arguzia e destrezza di mani. Sifa in due persone o in gruppo e consiste nel chiamare ad alta voce dei numeri -fino a dieci - battendo contemporaneamente sul tavolo le dita e presupponendoche il partner o i partners stendano a loro volta un numero di dita da formare,insieme, il numero chiamato. Il gioco si svolge velocissimo. Chi fa il puntorilancia immediatamente il gioco e cos via. Per il continuo uso della voce,quasi gridata, i giocatori hanno bisogno di bere molto. Il gioco statoproibito, anche se non d'azzardo (chi perde paga ai compagni il bicchiere divino) per le ricorrenti risse che provocava, causa il gran bere dei giocatori.Ma il divieto non viene quasi mai rispettato nelle zone emarginate di montagnadove non c' nessun altro svago, tutt'al pi qualche carabiniere ogni tanto fail giro delle osterie a controllare che non si accendano liti. In ogni caso ilgioco della morr va diminuendo ed ormai solo una tradizione degli anziani.Ha subito un ribasso con l'apertura di strade di collegamento con il fondovallee con la motorizzazione.5. Il commercio ambulante una caratteristica degli ertocassani fin dagli annidell'annessione del Friuli all'Italia. Prima ancora era praticato dagli abitantidegli altri paesi della Valcellina che gravitavano su Maniago, dove era fiorenteun'industria di coltelli che venivano venduti in varie province d'Italia ed'Austria dai Valcelline-si. Partivano a piedi con una cassetta in spalla,stavano fuori una stagione, dormivano nei fienili, ritornavano in autunno connuove ordinazioni per la primavera successiva. Gli ertocassani arrivano pitardi a questo commercio, che trasformano soprattutto nella vendita di cucchiaie altri utensili in legno e di pantofole di stoffa, oggetti da loro stessiconfezionati durante l'inverno. Anche le donne sono dedite a tale commercio, cheintegra il magro reddito dell'agricoltura. Anche loro percorrono con la cassettao la gerla in spalla o un carrettino a mano le contrade delle provincevicine, spingendosi fino in Lombardia. Il fenomeno aveva assunto alla finedel secolo scorso proporzioni rilevanti in tutta la Valcellina, come si desumeda uno studio del ministero dell'Agricoltura del 1882. Centinaia di personeerano occupate a fabbricare questi utensili che ricavavano dal legno dei boschilocali. Solo nei Comuni di Claut e Cimolais si fabbricarono in quell'anno 8.500zoccoli, 10.000 mastelli, 16.000 cucchiai, mestoli e tappi, 20.000 coppe,scodelle portabicchieri e vasi da pepe e sale, 8.000 spinelli, manette e fusi,4.600 rastrelli e candelieri; in totale oltre 67.000 pezzi (G. Valussi,L'emigrazione in Valcellina, Udine). Con il tempo l'automobile ha sostituito ilcarretto. Gli ertocassani, quelli di Nert come vengono chiamati in fondovalle,sono conosciuti in tutti i mercati e le fiere dove espongono la loro mercanzia.Dopo la sciagura del Vajont questo commercio andato quasi spegnendosi, ancheper il trasferimento altrove di molti abitanti. \? nirsj6. Come in tutte le zone di montagna anche in Valcellina il fenomenodell'emigrazione di casa. Non si tratta solo degli ambulanti, ma anche dialtre categorie, soprattutto boscaioli, minatori, operai edili e, dopo laSeconda guerra mondiale, anche unit lavorative che emigrano nelle fabbriche diMilano e Torino, specializzandosi. Il primo tipo di emigrazione (minatori,boscaioli, edili) ha inizio ancora sotto l'Impero austro-ungarico e vede ilavoratori friulani spostarsi anche verso l'Ungheria, la Transilvania, la Boemiae perfino in Russia. Ancora oggi si trovano comunit friulane e venete neiterritori magiari e rumeni (Carpazi) e anche in Unione Sovietica. L'emigrazionedel secondo dopoguerra verso l'Europa centrale (Belgio, Germania, Francia) ed

  • ancora stagionale. Un'altra corrente migratoria, soprattutto di Erto e Casso, invece verso l'interno, nel triangolo industriale e tende sempre pi adivenire stabile con il trasferimento definitivo dei nuclei familiari, chetuttavia ritornano ogni anno a fare le vacanze nelle vecchie case del paese.Dal 1945 al 1960 il Comune di Erto e Casso ha perso il 25,2% della suapopolazione, emigrata stabilmente altrove. Cfr. G. Valussi, L'emigrazionecit.7. Secondo una Relazione storico illustrativa della sacra rappresentazione delvenerd santo di Erto, del Comitato pr venerd santo di Erto, larappresentazione sarebbe frutto di un voto espresso dalla comunit ertana perscongiurare la peste. Lo stesso voto venne fatto dalla popolazione diOberammergau, in Alta Baviera, nel 1633, dove una analoga manifestazione vieneancora ripetuta ogni 10 anni. Non fuori luogo - scrive il Comitato - pensareche la data di nascita della manifestazione Ertana sia molto vicina a quella diOberammergau, quando si consideri che le epidemie di peste dilagate nel Venetosono comprese fra gli anni 1550 e 1650.8. Accadde nel 1946 con un provvedimento dell'autorit ecclesiastica cheescludeva dalle cerimonie religiose del Venerd santo la rappresentazione dellamorte del Cristo in quanto secondo la Chiesa aveva assunto caratteristicheassai poco spirituali e di troppo richiamo spettacolare per un gran numero dipersone che vi assistevano, provenienti dal Bellunese, dal Friuli e da altreprovince venete.9. Si tratta del gruppo garibaldino Boscarin proveniente dalla valle del Misnel Bellunese, che arriv nella zona del Toc, spostandosi in seguito in valMesazzo, il 25 dicembre 1943, dopo una difficile e lunga marcia attraverso alteforcelle ricoperte di neve. Da questo momento ha inizio la collaborazione degliertocassani alla Resistenza, attraverso aiuti alimentari e ospitalit ai gruppie alle formazioni che si succederanno nella valle per tutto il periodopartigiano, informazioni, collegamenti, afflusso di uomini alle formazioni. Suquesti avvenimenti cfr. M. Bernardo, Il momento buono, Ideologie, Roma 1969; GGaddi, La Spsema, Nuovi Sentieri, Belluno 1981; R. Cessi, La. Resistenza nelbellunese, Editori Riuniti, Roma 1960; A. Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista,Milano 1972; Riservato a Mussolini, Feltrinelli, Milano 1974.10. Il primo contatto pubblico tra partigiani e popolazione locale ebbe luogo il9 febbraio 1944 nel paese di Cimolais dove una quarantina di partigiani delBoscarin- nel frattempo ingrossatesi con nuovi arrivi e divenuto Distaccamento TinoFerdia-ni dal nome del suo primo caduto impediscono la consegna del bestiameall'ammasso tedesco. Sul pi bello della faccenda, inaspettati, entrarono inscena i nostri uomini i quali, dopo aver bloccato le vie di accesso al paese, lacaserma dei carabinieri e quella della milizia forestale, si presentarono sulluogo dell'ammasso, sequestrarono e bruciarono davanti ai contadini, subitorianimati alla vista delle mostrine tricolori, i documenti relativi e, portatisial Comune distrussero gli archivi concernenti l'ufficio leva, quello delleimposte e quello degli accertamenti agricoli. Uno dei nostri tenne una specie dicomizio ai contadini per illustrare il significato di quel gesto e per spiegarecome ora potessero nascondere tranquillamente quanto volevano perch i tedeschierano ormai privi di ogni documentazione sul loro conto e li invit a riportarsia casa le bestie. Cosa che questi fecero fra il grande entusiasmo (G. Gaddi, LaSpase-ma cit., pp. 60-61). Sul fatto cfr. anche M. Bernardo, IL momento buonocit.; R. Cessi, La. Resistenza cit.; A. Clocchiatti, Cammina cit.11. Il movimento partigiano friulano, il primo nato in Italia, prese contattocon il gruppo di Val Mesazzo nel mese di marzo 1944. ...non eravamo ancoraproprio una formazione partigiana, eravamo un certo gruppo: questo dimostra chei partigiani del Friuli avevano gi chiara e consapevole la necessit distabilire dei contatti con qualsiasi altra formazione che poteva svilupparsinella zona e che comunque era l segnalata (I. Mestre [Diego], in La Resistenzanel Vittoriese e sul Cansiglio, Vittorio Veneto 1976). Il gruppo di cui parlaMestre era garibaldino. Successivamente nella Valcellina si arrivall'unificazione tra le forze garibaldine (di orientamento comunista) e quelleosovane (Dc-Partito d'Azione) in un'unica Brigata, la Ippolito Nie-vo A, ilcui comando ebbe sede a Claut. La Brigata ebbe giurisdizione su tutta laValcellina fino alla fine della guerra. Nella dislocazione dei reparti, allaconca del Vajont vennero destinati, il 20 luglio 1944, il Distaccamento osovano

  • di Raui e il Battaglione garibaldino Granisci (che in seguito vennerosostituiti da altri reparti, sempre misti). Alla fine di luglio 1944 le forzepartigiane che occupavano ormai stabilmente la Valcellina e la conca del Vajonterano circa 600 uomini (320 garibaldini, 260 osovani, 20 uomini addetti alComando di Claut) (M. Candotti, La lotta partigiana in Valcellina, in Storiacontemporanea in Friuli, n. 10, Udine 1979).12. Il primo attacco nazifascista alla val Mesazzo ebbe luogo nella seconda metdi marzo 1944. Vennero incendiate case e stavoli e rastrellate oltre 100persone, che vennero portate come ostaggi nelle carceri di Belluno e Pordenone.Molte vennero rilasciate dopo un mese di detenzione; alcune avviate ai campi diconcentramento in Germania. Erto sub un altro grosso rastrellamento il 9ottobre 1944, nel quadro di massicce operazioni militari tendenti ad annientareil movimento partigiano della Valcellina. Il centro di Erto e la valle delVajont furono sottoposti ad un ininterrotto cannoneggiamento per una settimanada un presidio nemico che si era installato a Monte Pul, sopra Casso. Sotto ilToc vennero distrutti 140 edifici tra case, stalle e fienili. I tedeschiminacciarono di incendiare anche Erto se la popolazione non aves-se ricostruito in 48 ore il ponte del Colomber, fatto saltare dai partigiani il20 settembre. Il ponte era l'unico collegamento tra la Valcellina e la valle delPiave, ed era costruito sopra una profonda forra che il torrente Vajont si erascavata tra le rocce nel corso dei secoli. Era alto 136 metri. L'impresa erapraticamente impossibile. ... gli abitanti terrorizzati dalla minaccia tedesca,sentendosi ormai in completa balia del nemico, accettarono e in 17 ore di lavoroossessionante e disperato contro il tempo, col lancio di 14 cordate d'acciaio,molto prima del tempo fissato, gettarono sopra l'abisso del Colomber, a fiancodel vecchio ponte distrutto, un nuovo ponte su corde tanto resistente da potersostenere il passaggio anche di mezzi pesanti (M. Candotti, La lottapartigianacit., p. 190). Cfr. anche Testimonianze sulla liberazione di Erto e Casso,Comune di Erto e Casso, Pordenone 1975. Nuove incursioni nemiche sul paeseebbero luogo nel corso dell'inverno 1944-45. In una di queste vennero prelevatediverse persone sospettate di collaborare con i partigiani. Fra queste DomenicaFilippin di 50 anni. Tradotta nella Gendarmeria tedesca di Belluno, venneorrendamente seviziata e mor sotto le torture. da ricordare che le dueprovince di Udine e Belluno non facevano parte del territorio della Repubblicadi Sal ma, con altre province, di due distinte zone di operazione, la primadenominata Litorale Adriatico che comprendeva anche la provincia di Udine, laseconda chiamata Prealpi che comprendeva anche la provincia di Belluno, eranosotto la diretta giurisdizione politica, amministrativa e militare tedesca. Nelcaso di vittoria del terzo Reich queste province erano destinate ad essereannesse alla Germania.13. Nelle elezioni per la Camera del 1958 il PCI ottenne solo 2 voti a Casso,contro i 189 della DC.

    Arriva la SADELa Societ Adriatica di Elettricit arriva in forze a Erto nel 1956. Tecnici,operai, macchine, strumenti. l'anno precedente l'inizio della costruzionedella diga, vanto degli imprenditori elettrici veneziani, dei tecnici, degliscienziati che concorsero, in perfetta divisione di ruoli e di prebende, allaportata a termine dell'opera, dal progetto alla realizzazione. Nel 1956 la SADEha quasi tutte le carte in regola, o almeno cos fa capire: la concessionegovernativa per la derivazione delle acque del Vajont, i progetti di costruzionedel bacino artificiale e della diga, terreni pubblici del Comune di Erto giespropriati e che sono destinati ad andare sott'acqua. Per arrivare a questomomento ha fatto lunghissimi studi sul posto e lunghe trafile nei corridoiministeriali, fin dal lontano autunno 1943, quando i ministeri si erano dissoltinel nulla e negli uffici romani erano rimasti forse gli uscieri. L'Italia eraprecipitata nel caos, ma la SADE era all'erta. Il capo dello Stato VittorioEmanuele III fuggiva di nascosto, di notte, portandosi dietro il capo delgoverno Ba-doglio, ma la SADE poteva fare a meno dei governanti. A Roma, in queigiorni, gli ebrei venivano rastrellati dai tedeschi, ma gli uomini della SADEtrafficavano indisturbati dentro i ministeri deserti. Le donne di Ertorivestivano di abiti borghesi i soldati sbandati che transitavano numerosiattraverso la Valcellina, provenienti dalle molte caserme del Friuli e

  • soprattutto dai territori jugoslavi, ma la SADE stava salda nella capitale adaccaparrarsi il suo futuro. Gli antifascisti pensavano a riunirsi, aorganizzarsi, ad armarsi, per poter difendere la Patria. La SADE pensava adaltro. Il 22 giugno 1940 aveva chiesto al ministero dei Lavori Pubblici diutilizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vajont e altri minoriper scopi idroelettrici. Con tale domanda era prevista fra l'altrol'utilizzazione dei deflussi regolati da un serbatoio della capacit di 50milioni di metri cubi, creato mediante la costruzione, nel Vajont, di una digaalta 200 metri sottendente un bacino imbrifero di 52 chilometri quadrati1. Gliaffari sono affari. Nessuno meglio del conte Volpi di Misurata, fondatore dellaSADE, sapeva che gli affari migliori si compiono sempre con le protezioni e lecomplicit politiche, con gli intrallazzi, con l'inganno. Fin che fu in vitaegli serv fedelmente - se cos si pu dire -ogni governo, in cambio diprotezioni, finanziamenti, prebende e titoli nobiliari. Costru un imperoeconomico personale, specialmente sotto il fascismo (del quale fu ministro delleFinanze), appropriandosi di terre, banche, stampa, industrie2. Sempre pronto adannusare i cambiamenti politici, dopo l'8 settembre 1943 assume una posizioneantifascista scappando in Svizzera, dove si mette in contatto con uomini dellaResistenza. Offre ricovero nelle sue ville di campagna ai partigiani e soldi alCLN, allo scopo di rifarsi una verginit politica per il dopo-Liberazione. Unacommissione d'inchiesta lo assolve infatti dopo la guerra, proprio tenendo contodelle sue benemerenze resistenziali3.Aveva fondato la SADE giovanissimo, nel 1905, ad appena 27 anni. In questo ramodiviene il pi importante imprenditore idroelettrico del paese4 e mette in piediuno staff di tecnici e scienziati ai suoi ordini. Questi percorrono le vallatein lungo e in largo in cerca di materia prima da sfruttare e tradurre in denaro.Ne nascono progetti di dighe e bacini capaci di fornire all'industria italianain via di sviluppo l'energia necessaria. Le zone di montagna, gi pove-rissime,vengono depredate dell'unica risorsa - l'acqua - e delle terre coltivabili difondovalle. I montanari-contadini vengono spinti sempre pi verso le grandicitt o all'estero. Il territorio subisce un'aggressione traumatica: in parteper le oscillazioni provocate alle sponde montagnose dagli invasi e dagli svasidei bacini; in parte per l'abbandono di una manutenzione idraulica dei corsid'acqua che i contadini, lavorando la terra, avevano interesse a curare, comecuravano, in proprio.Le province di Belluno e di Udine sono seminate di impianti idroelettrici divaria grandezza. Sono quasi tutti della SADE o incorporati nella SADE. Ma il piimportante di tutti doveva risultare, negli anni e per successive modificazioni,quello del grande Vajont. L'idea geniale era venuta alla Societ nel 1939-40. Si trattava di convogliare e sfruttare le acque residue del Piave e dialcuni suoi affluenti, dopo averle gi sfruttate a monte5, incanalandole in ununico grande serbatoio chiamato di riserva, da usare nei periodi di magra,cio di siccit, nelle due grandi centrali di Soverzene e della Gardona. Inquesto caso le due centrali potranno funzionare e produrre energia incontinuazione.Secondo i calcoli della SADE, a impianto ultimato, le centrali avrebberosviluppato complessivamente 800 milioni di kWh6. La prospettiva era affascinante e la SADE inoltr subito domanda alministero. Abbiamo detto che era il 22 giugno 1940 e Volpi era allora presidentedella Confederazione fascista degli industriali. Ma le carte si arenarono aRoma. Con lo scoppio della guerra altri pensieri occupavano le menti deigovernanti e dei dirigenti ministeriali. La SADE aspett con pazienza. Fino almomento in cui credette di perdere la partita. Il fascismo la partita l'avevagi persa. Cosa sarebbe avvenuto dopo la guerra? Chi avrebbe guidato il Paese?Era meglio premunirsi. Volpi traffic freneticamente per riuscire a strapparel'autorizzazione, che gli fu concessa con un atto illegale. Il 15 ottobre 1943,nelle giornate tragiche che seguirono l'8 settembre, in un momento del tuttoanormale nella vita dello Stato, la SADE riusciva ad ottenere una adunanza ed unvoto della IV Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici con il qualesi esprimeva parere favorevole all'accoglimento dell'istanza [...]. E risultatoche all'adunanza di cui sopra parteciparono solo 13 su 34 componenti, i qualinon costituivano il numero legale, rendendo cos illegale quella decisione7.

  • La prima autorizzazione al progetto Vajont fu quindi ottenuta con l'ingannoverso la nazione. Ma dovette costituire, tuttavia, un precedente credibile dopola guerra per l'allora presidente della Repubblica, il liberale Luigi Einau-di,che, con proprio decreto n. 729 del 21 marzo 1948 accordava alla SADE laconcessione definitiva.40E intanto la gente cosa sapeva? Il Comune di Erto e Casso era stato informatoche sul suo territorio una Societ privata poteva rubargli l'acqua percostruire, proprio ai piedi del paese, un grande lago artificiale? Gli era statochiesto il permesso? Se n'era discusso in consiglio comunale? C'era stataqualche delibera? Era stato domandato ai piccoli pro-prietari degli appezzamentiagricoli che dovevano andare sommersi se accettavano di vendere i terreni allaSADE? Fino all'inizio del 1948, no. Tutto era stato studiato, progettato, dettoe scritto all'insaputa dei diretti interessati. S, certo, i tecnici delmonopolio erano stati sul Vajont, avevano scandagliato la valle, misuratolunghezze e larghezze, tastato la roccia delle montagne. Se qualcuno li ha vistiintenti ad osservare acque e materiali, forse li ha presi per amanti dellamontagna e delle sue bellezze naturali. Il geologo Giorgio Dal Piaz el'ingegnere Carlo Semenza sono stati sul posto a pi riprese, a partire daglianni '20 in poi. Pi delle bellezze naturali sono amanti delle risorsenaturali della montagna. E scarpinano per tutti i monti, curvi come rabdomanti,a cercare l'oro nascosto. Dal Piaz, in quegli anni, dirige i rilievi e i lavorigeologici del Magistrato alle Acque di Venezia, non ancora un cattedraticoillustre. Quando lo diventer, non avr nessuna remora ad offrire ai monopoliprivati, dietro parcella, il tempo e la scienza che dovrebbe usare per lo Statoda cui pagato. Semenza fa la sua carriera nella grande e potente societidroelettrica fino a diventare direttore del Servizio costruzioni idrauliche. Ilprogettista lui. Sogna e costruisce bacini e dighe ovunque il monopolio abbiamesso le mani sulle acque. Lui progetta41e Dal Piaz conferma che si pu costruire. Magari con qualche accorgimento,forzando un po' la montagna, rinforzandola se necessario, ma si pu costruire,cos come vuole il padrone, anche se qualche volta confessa che certi problemigli fanno tremare le vene e i polsi8. Sulla valle del Vajont avevano fatto iloro rilievi, naturalmente, prima di chiedere a Roma l'autorizzazione asfruttarne le acque. L'avevano presa in considerazione nel '20, poi nel '25, nel'30, per giungere nel '40 alla conclusione del progetto.Nel 1948 tutto pronto e lo stato maggiore della SADE mobilitato. Ma primabisogna convincere i contadini a vendere. La SADE ha in mano un'arma potente: laconcessione governativa a costruire il grande bacino e la diga ritenuti dipubblica utilit. Di fronte al decreto deve, prima di tutti, ubbidire ilComune, allora amministrato da una giunta DC. La SADE ha gi fatto tutto: elencodei beni da espropriare, intestazione catastale, perizia estimativa, attraversoun suo dipendente, il geometra Manlio Olivotto di Longarone9. La giuntacomunale viene finalmente investita. Il 5 ottobre 1948 prende in esame ladomanda della SADE presentata nell'agosto, la stima del geometra, e delibera diprocedere alla vendita dei terreni situati in "Val Vajont" di propriet comunaledi ha 88.66.40 e della rendita di lire 126,50 mediante trattativa privata con laSociet Adriatica di Elettricit di Venezia. Salvo, naturalmente, ratificaconsiliare. Che avviene il 23 gennaio 1949 per la somma indicata in perizia di3.500.000 - esattamente 3,94 lire il metro quadro - da vincolare in Titoli diStato al ministero dell'Agricoltu-42ra e Foreste trattandosi di terreni sottoposti ad usi civici. Il Comune,quindi, perde le terre e non ci guadagna nulla; gli abitanti di Erto e Cassovengono espropriati dal ricavo derivato dall'uso dei beni comunali.Per le famiglie di Casso la questione assume un aspetto addirittura grottesco.Una parte della propriet comunale venduta alla SADE, nella zona denominataMoliesa, era stata dal Comune ceduta in godimento, verso un certo corrispettivoin denaro, ai frazionisti di Casso ancora nel 166510. Nel 1908 il Comuneperfezionava la pratica, incaricando un geometra di Barcis di frazionare lapropriet. I terreni vennero ufficialmente consegnati ai frazionisti che negodettero come di loro propriet - avendoli pagati - nel corso degli anni. Pu

  • il Comune vendere un bene non suo? I cassani vanno da un legale che scopre glialtarini. Il Comune scopre a sua volta che la pratica di frazionamento del 1908non era stata registrata al catasto dal geometra incaricato, essendosi il Comunerifiutato di pagargli la parcella. La SADE si era basata sui dati catastali enon poteva sapere altro. Il Comune deve deliberare e dare a Cesare quel che diCesare.Passano due anni dalla vendita delle terre comunali alla SADE. Il Commissarioper gli usi civici di Venezia reclama i 3.500.000 che la municipalit ertanadoveva accreditare presso il ministero dell'Agricoltura e delle Finanze. IlComune, pressato da necessit urgenti ed indifferibili ha adoperato i soldicon l'intento di versarli, a chi di dovere, appena possibile. Adesso lo devefare se non vuol andare incontro al peggio. Tanto pi che dovr restituirneparte alla SADE, che a sua volta dovr tacitare i cassaniper le terre di Moliesa. Per il Commissario, invece, tutto chiaro: lavolturazione non c' stata, quindi tutti i soldi devono andare al suo ufficio.un bel pasticcio, che comporter lunghe pratiche da parte di tutti. Intantobisogna ubbidire. Ma dove trovare i soldi? La giunta arranca nel buio picompleto. Magnanimamente la SADE corre in suo aiuto. (Se non ci fossero questipadroni!). Anticipa al Comune la somma necessaria senza carico di interessi,salva restituzione rateale, appena possibile ed in ogni caso con inizio almomento della percezione da parte del Comune dei sovracanoni che la SADE verserper diritti rivieraschi in conseguenza dell'uso dell'acqua del torrente11. Non solo la politica del bastone e della caro-. ta. anche un legare le mani alComune, metterlo nella condizione di non nuocere a qualsiasi atto che la SADE,dentro e fuori della legge, andr a compiere sul Vajont. E ancora di pi:costringerlo ad allearsi al monopolio.Questa serie di episodi contribuiscono a far nascere i primi sospetti e le primediffidenze tra la gente. Non solo contro l'esiguo prezzo degli espropripraticato dalla SADE, ma anche contro il Comune che accetta di scendere acompromessi tanto pericolosi da porlo in assoluto stato di soggezione neiconfronti della Societ elettrica. La SADE sa quel che fa.Il braccio di ferro con i proprietari diventa pi duro. La SADE tiraal ribasso. Essendo terreni poveri vengono poveramente valutati. Cosa conta, peril monopolio, che un piccolo appezzamento integri il reddito familiare - lapossibi-lit di mantenere una mucca o una capra e quindi il latte, il burro,il formaggio? O che sia, in qualche caso, l'unico mezzo di sussistenza? E cheabbia anche un valore affettivo? Sono argomentazioni che non entrano nellalogica del grande monopolio, abituato a fare ben altri conti, soprattutto ipropri. Toccano per gli ertocassani che si irrigidiscono sul loro dirittonaturale alla vita. Anche perch i continui sondaggi preliminari in roccia, pertastarne la consistenza al fine di costruire la diga, hanno gi provocato danniai beni della popolazione: impaurimento del bestiame che non rende pi comeprima, divieti al transito, piccoli franamenti, tremolo di terreni e case.Singoli cittadini inoltrano i primi ricorsi per danni alla SADE e al GenioCivile12. Adesso la giunta comunale cambiata. Il sindaco Caterina Filip-pin dalla parte degli espropriati e dei danneggiati. Come Comune deve soggiacere acerte imposizioni, ma come privato cittadino si batte coraggiosamente contro lamisera cifra che la SADE offre ai contadini. Parlamenta con i tecnici della SADEe riesce a far rialzare il prezzo dei terreni. Finora i prati zappativi sonostati pagati 35-40 lire al metro quadro, gli altri 18-30. Con la mediazione delsindaco si raggiunge un prezzo unitario di 100 lire, che resta tuttavia molto aldi sotto del valore unitario della libera contrattazione locale che di 150-200lire il metro quadro. Scrive una lunga lettera, in difesa dei suoi concittadini,al parlamentare socialdemocratico Ceccherini di Udine. Prepara una dettagliatarelazione per i parlamentari delle due pro-\ince, nella quale illustra leprepotenze della SADE13. Nasce anche un Comitato - il primo - di difesa controlaSADE, presieduto da Paolo Gallo, marito della sindachessa. un uomoesuberante, in paese tiene banco su tutto: sulla politica, sulle cose locali.molto ascoltato, non solo perch uno che ha studiato, ma anche perch fa ilmedico e tutti hanno bisogno di lui. Per questo stato eletto presidente delComitato e anche perch la moglie-sindaco possiede i migliori appezzamenti di

  • terra che devono andare sott'acqua. Gli ertani sono convinti che assieme ai suoiinteressi difender anche i loro. Infatti si da un gran daffare. Convocaassemblee, invita sul posto onorevoli, promuove petizioni.La SADE fa finta di non sentire. Rifiuta di incontrarsi con il Comitato, tempoperso, tanto prima o poi far valere il diritto della pubblica utilit, magaricon i carabinieri. I carabinieri, appunto. Prima che arrivasse la SADE a Ertonon c'erano, non ce n'era bisogno. La stazione della Benemerita pi vicina era aCimolais, decentrata di 5-6 chilometri. Ma i padroni non possono vivere senza igendarmi, pubblici o privati che siano.Oltre all'arrivo della SADE, un'altra novit per Erto quindi rappresentatadall'installazione di una caserma dei carabinieri. l'anno 1956. La sededell'Arma viene ospitata in un'ala del nuovo municipio che s'inaugura proprioquell'anno. Gli uomini della SADE sono sul posto gi da un pezzo. Ancora primadi ottenere la concessione a derivare l'acqua del Piave, del Boite, del Vajont,la vallata gi stata scandagliata, sondata, progettata per il grande bacino.Planimetrie, piante, profili, tracciati, rilievi sono gi pronti dal 1947, unanno prima della concessione. La SADE tanto sicura di ottenere ci che vuole,che qualche an-no dopo verr definita dal presidente della Provincia di Bel-luno, Alessandro DaBorso, democristiano, in pubblica seduta di Consiglio, un vero organismodominante la vita stessa dello Stato.I carabinieri arrivano quindi al momento giusto e nel 1956 sono agli ordinidella SADE per ammonire contadini restii a vendere le loro terre, per sfrattarefamiglie dalle case che non vogliono abbandonare, per denunciare giornalisti chepropagano notizie esagerate, false e tendenziose sui pericoli che l'invasoartificiale rappresenta per la vita e per i beni degli ertani, per lo stessopaese di Erto costruito su terreno di frana.Improvvisamente Paolo Gallo cambia atteggiamento. E anche il sindaco. Diventanoentrambi sfuggenti alle domande dei contadini. Il presidente non convoca pi ilComitato. La Cale non vuole pi parlare con la cronista de l'Unit che spessova a trovarla nella sua tabaccheria-bar o in municipio, e che aveva salutato congrande soddisfazione la sua nomina a sindaco. Non la saluta neppure sel'incontra per la strada. Cambia parere anche sui comunisti che la sostengono ingiunta. Dice che sono servi di Krusciov. E che l'Unit il giornale deimalcontenti14.Sono le stesse cose che vanno dicendo i dirigenti della SADE, aggiungendomormorazioni insultanti contro gli er-tocassani: cosa vogliono ancora questimorti di fame, non sono mai contenti, non hanno mai visto un soldo e adessovogliono mungere il pi possibile, esosamente, ingordamente. Non li sfioraminimamente l'idea, a questi dirigentiben pagati, a questi consulenti da parcelle universitarie, che il popolo di Ertoviene depredato di tutto: dell'acqua, della terra, della casa, del suo passato edella sua cultura, forse anche del suo avvenire, per questo monumento allatecnica e alla scienza che qui si vuol costruire, che arricchisce solo gliazionisti del monopolio, che svilupper - per stare dentro alla logicaproduttiva - certamente la nazione, alla quale in questo momento gli ertani nonappartengono. La nazione che conta si trova in zone gi sviluppate - Marghera,Milano - che devono ulteriormente progredire sulla pelle dei poveri diavoli dimontanari, che in virt di chiss quale maledizione sono sempre chiamati a daretutto senza mai una contropartita. Per il governo italiano, per i padroni, Erto come l'Abissinia: terra di conquista.L'assenteismo del presidente Gallo, proprio in presenza degli espropri, provocala protesta dei membri del Comitato che gli inviano una dura letterarichiamandolo alle sue responsabilit15. Anche perch si scoperto che lamoglie - il sindaco - ha venduto nel frattempo le sue terre alla SADEall'insaputa di tutti.NOTE1. Le cause e le responsabilit della catastrofe del Vajont, relazione diminoranza presentata alla Commissione d'Inchiesta Parlamentare dai parlamentaridel Partito comunista italiano, Roma 1965.2. Giuseppe Volpi si iscrive subito al PNF, nel gennaio 1922. Nello stesso annoviene nominato senatore del Regno. E governatore della Tripoli-tania fino al1925. Ha sottomesso tanto bene quei territori che il re lo ricom-

  • jfensa col titolo di Conte di Misurata. Dal 1925 al 1928 ministrodelle Finanze nel governo Mussolini. E in questo periodo che ilgoverno fascista appronta un Testo unico delle leggi sulle acque esugli impianti elettrici, approvato con regio decreto l'11 dicembre1933 che concede importanti agevolazioni alle societ idroelettriche ecio contributi a fondo perduto variabili dal 30 al 60 per cento dellaspesa, salva la possibilit di sfruttare gli impianti per 30 anni.Negli stessi anni Volpi riveste diverse cariche, soprattutto in campofinanziario e industriale. presidente di numerose societ perazioni, del Porto industriale d Venezia, della GIGA (Compagnia Italiana GrandiAlberghi), delle Assicurazioni Generali, della Biennale; controlla numeroseindustrie e banche; presente in quasi tutte le societ per azioni italiane ein molte estere; nel 1926 compra, attraverso la SADE, la Gazzetta di Venezia enel 1939 diventa proprietario de IL Gazzettino. E interessante riportare ildocumento di trapasso della propriet, dagli eredi del fondatore Talamin ainuovi soci. Nella premessa si scrive: Sotto gli auspici della Confederazionefascista degli industriali in conformit con le direttive delle superiorigerarchie (cio del PNF, n.d.r.), si stipula la presente convenzione per unaistituenda societ il cui capitale sar sottoscritto da un gruppo diindustriali, i quali, aderendo alla richiesta ad essi rivolta dalla direzionedella Confederazione stessa hanno assicurato il finanziamento all'uopooccorrente. I proprietari de Il Gazzettino risulteranno: la Fiat con 1291azioni, la SADE con 1000 azioni, Volpi con 800, Cini con 854. Cini e Volpi,padroni della SADE, diventeranno perci padroni de Il Gazzettino. Cfr. M. DeMarco, Il Gazzettino. Storia di un quotidiano, Marsilio, Venezia 1976, pp.111-113. Tutti sanno quale sia stata la funzione de Il Gazzettino nel Veneto asostegno del fascismo e degli interessi padronali. Dal 1934 al 1943 Volpi appunto presidente della Confederazione

    fascista degli industriali. Per le notizie su Volpi cfr. C. Chinello, PortoMarghera, Marsilio, Venezia 1979, pp. 86-87.3. Cfr. M. Reberschak, La propriet fondiaria nel Veneto tra fascismoe Resistenza, in Societ rurale e Resistenza nelle Venezie,Feltrinelli, Milano 1978. E utile, per capire gli indirizzi della politicaitaliana nell'ultimo dopoguerra e anche per la particolare collocazione dellaSADE all'interno dello Stato, riportare alcuni riferimenti di Reberschak cheriguardano i rapporti Volpi-DC. Nel 1944, esiliato in Svizzera, Volpi prendecontatto con l'esponente DC Piero Mentasti, molto legato ai grandi industrialiper conto dei quali visita l'America nel 1938, al fine di studiarne leristrutturazioni economiche. Mentasti aveva gi allora particolari legami conl'imprenditore veneziano. Che vengono riallacciati, dopo una breve sospensione,nell'agosto 1944 in Svizzera, dove Volpi cede a Mentasti, che ora opera perconto della DC, il pacchetto azionario de Il Gazzettino. In quell'incontro,ovviamente, si prendono anche altri accordi. Mentasti insegna - o Volpi offre -la possibilit di49/uscire dalla incresciosa situazione in cui quest'ultimo personaggio sitrova, attraverso una serie di atti da gettare sul piatto dellabilancia al momento della resa dei conti. Primo, la cessione de Il Gazzettino,che non sar poca cosa per la DC nel dopoguerra come principale veicolo, nelVeneto, facilitato dall'assenza di altri organi d'informazione,dell'organizzazione del consenso elettorale al partito dello scudo crociato. Eil versamento di 20 milioni al CLN. Ma anche l'ospitalit ai partigiani nelletenute di campagna che Volpi possiede nel Veneto e nell'Emilia, che sono benfornite di generi alimentari necessari alla sopravvivenza dei reparti armati, mache rappresentano soprattutto basi sicure. E ancora, opere di carit, comequelle effettuate per suo conto a Venezia nell'inverno 1945-46 per mettere adisposizine 100.000 minestre ai poveri della citt, ai disoccupati del centrourbano di Marghera e ai bambini profughi giuliani. Tutto allo scopo di salvareun uomo che, per i progetti futuri della DC, significa ben altro. Significa iltramite per la ricostituzione di un blocco di potere economico-politico, di cuisi facevano garanti sia la DC sia gli industriali, che condizioner la vita

  • italiana - economica, politica sociale - fino ai nostri giorni. E allora sicapisce perch la commissione d'inchiesta, composta dai rappresentanti deipartiti del CLN, che doveva giudicare Volpi nel 1945 avesse timore dipronunciarsi come dir uno dei commissari, e si sciogliesse senza nulla difatto.4. Dal capitale iniziale di 300.000 lire all'atto della sua fondazione nel 1905,la SADE perviene, nel 1960, a un capitale di 72 miliardi. Il gruppo SADEcomprende, al 31 dicembre 1958, a parte la Societ Adriatica di Elettricit, leseguenti societ elettriche e non: Acqua Pia Antica Marcia, Bellunese IndustriaElettrica, Bolognese Elettricit, Idroelettrica Alto Savio, ElettricaInterprovinciale, Elettrica Romagnola, Elettrica Trevigiana, Elettrica VeneziaGiulia, Friulana Elettricit, Elettrica Carnia, Idroelettrica Grappa,Idroelettrica Adriatica, Galileo Battaglia Terme, Galileo Firenze, GalileoMarghera, Galileo Milano, Termoelettrica Veneta, Veneta Acquedotti. Secondo unostudio del maggio 1960 della Lega Regionale Veneta dei Comuni democratici, chedefinisce il gruppo SADE una grande holding, esso avrebbe assommato, alla datadello scritto, un capitale sociale di 95,4 miliardi di lire, con un complesso diattivit di 404,2 miliardi. Oltre alle 18 imprese citate, nelle quali la SADEdetiene la maggioranza azionaria e quindi il completo controllo, la Societ,attraverso il Gruppo Nazionale Sviluppo Imprese Industriali a caratterefinanziario, controlla altre 10 societ: GIGA, Industriale Camuzzi, IndustrieElettri-che di Legnano, Officine Meccaniche Stanga, SAGA, Cerreto Alto, SADE-Automobilistica Dolomiti, SOPIGE (Finanziaria gestioni), Stucky, Superpila. Idirigenti della SADE sono anche presidenti, vicepresidenti, consiglieri inqueste e in tante altre societ finanziarie, industriali, immobiliari. GiuseppeVolpi riuscito a mettere in piedi le basi di un impero che si costruir perintero dopo la sua morte, avvenuta il 16 novembre 1947 a Roma.505. Si tratta del Piave e del suo affluente Ansici, gi sfruttati a Pieve diCadore; del Boite, gi sfruttato a Borea di Cadore e le cui acque residuesfociano nell'asta superiore del Piave. Nel tratto inferiore, sotto Longarone,il Piave riceve sulla destra il torrente Mae, gi sfruttato a Forno di Zoldo, esulla sinistra il Vajont. I residui dell'alto Piave e degli affluenti inferiorifanno parte del progetto del grande Vajont.6. C. Semenza, Impianto idroelettrico Piave-Boite-Ma-Vajont. Criterigeneralidella progettazione e dell'esecuzione, in Scritti di Carlo Semenza cit.7. Le cause e le responsabilit cit. La prima domanda della SADE (1940)prevedeva un invaso di 50 milioni di metri cubi e una diga di 200 metrid'altezza. Negli anni seguenti la Societ modificher diverse volte il progetto.Nel 1957 present l'ultima domanda di modificazione e chiese l'innalzamentodella diga fino a 266 metri e l'aumento della capacit del bacino fino a 150milioni di metri cubi. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici diede la suaapprovazione il 15 giugno, malgrado mancasse al progetto una relazione geologicasulla situazione del bacino. L'organismo ministeriale si limit a far rilevarela necessit di completare le indagini geologiche nei riguardi della sicurezzadegli abitati e delle opere pubbliche che venissero a trovarsi in prossimit delmassimo invaso.8. Lo scriver in una lettera indirizzata a Carlo Semenza il 15ottobre 1948, in risposta a una richiesta di parere sulla tenuta delserbatoio del Vajont in caso di innalzamento dell'invaso oltre i 730metri: cfr. Elenco documenti processuali, documento n. 5103 (d'ora in poi Doc.),raccoglitore n. 149 (d'ora in poi Racc.). Il documento riportato in A.Gervasoni, Il Vajont e le responsabilit dei manager, Bramante, Milano 1969, pp.23-24. Sull'argomento cfr. anche M. Passi, Morire sul Vajont, Marsilio, Venezia1968, p. 10.9. Risulter essere uno dei duemila morti nella catastrofe.10. Lettera del sindaco di Erto e Casso alla Prefettura di Udine, 2 aprile 1951,attestante che il fondo era di propriet dei cassani e che erroneamente per lamancata volturazione era ancora intestato al Comune (Arch. comunale di Erto eCasso).11. Arch. comunale di Erto e Casso, Registro deliberazioni consiliari, anno1950.12. Elenco documenti processuali; Doc. n. 4712, Racc. n. 140, 6.5.1955.

  • 13. Nella relazione si dice che il costruendo bacino artificiale comporta lasommersione di oltre 170 ettari di terreno e di oltre 40 case di abitazione.51;'Tutta la relazione una appassionata difesa dei contadini di Erto e una accusaai metodi della SADE. Quello che ha maggiormente disgustato questi abitanti il modo in cui gli incaricati della SADE procedono ai concordati, nelle qualioperazioni non c' via di discussione, non c' mezzo di difendere i pro-pridiritti. Alle volte per arrivare ad un combinamento si usa una vera violenzamorale e contro i pi ragionevoli, i pi obiettivi, onde farli divenire piremissivi, viene usato lo spavento dell'esproprio forzoso ed il deposito dellasomma alla Cassa DD.PP. Arma che gli incaricati adoperano con secondo fine inquanto ne sanno l'efficacia e l'effetto sicuro verso i proprietari, essendo lepropriet plurintestate e un domani gli interessati faticosamente potrannoritirare la somma liquidata. La relazione si conclude con un accorato appelloalla giustizia e al dovere dello Stato democratico: Al fine di cancellare ogniombra di risentimento in questa popolazione verso le autorit tutorie, alloscopo di togliere il senso di diffidenza gi insito per natura nella mentalitdel montanaro circa l'interessamento del governo verso i problemi dellamontagna, onde dimostrare che in uno Stato democratico di fronte alla legge ognicittadino ha gli stessi diritti e doveri e che nel clima attuale assurdopensare all'esistenza della legge del forte e che anzi lo Stato il tutoreimparziale e massimo degli interessi dei singoli, al fine di dimostrare che neirapporti del Governo sono sullo stesso piano il misero montanaro e la grandeSociet Idroelettrica, si confida nella sensibilit ed in un sollecitointeressamento dei Parlamentari e del Governo stesso (Arch. comunale di Erto eCasso).14. A Erto vL 11.9.1958.io di montagna la SADE ha il suo sindaco, l'Unit,15. A conoscenza che la SADE ha emesso polizza di esproprio nei confronti divari proprietari di terreni che dal costruendo bacino verranno sottesi, isottoscritti, membri del Comitato, essendo preoccupati della cosa e nello stessotempo constatando con un certo senso di delusione come la s.v., nella suaqualit di Presidente del Comitato, non abbia convocato i componenti delloStesso dal settembre u.s. per metterli al corrente dell'attuale situazione deilavori della SADE nei confronti degli espropriandi, pregano la s.v. di radunare,entro otto giorni dalla presente, il Comitato, i cui sottoscritti componentidesiderano sapere dalla s.v. se Ella abbia ricevuto comunicazioni in merito allafaccenda degli espropri. Quanto sopra, prima che i sottoscritti abbiano aprendere una eventuale decisione, a scanso di ogni responsabilit verso gliespropriandi i quali, in forza del loro mandato, stanno attendendo da parte delComitato un intervento ed una soluzione in favore dei loro interessi (Ar-eh.PCI, Belluno).Gli espropri delle terreIL 7 aprile 1954, in una manifestazione di coltivatori diretti che si tiene allostadio di Domiziano a Roma, il ministro dell'Agricoltura Medici esorta icontadini a fare di ogni meta il punto di partenza per pi alti destini1. Aparte lo stile fascistizzante, la vacuit della frase rispetto a quanto sta peravvenire sul Vajont davvero esemplare. La meta che i contadini di Ertostanno per raggiungere l'esproprio forzoso. Il punto di partenza della loromorte per gli alti destini della SADE. Quando riceve la lettera del Comitato,Paolo Gallo s'adombra. Non si ha pi fiducia in lui? Bene, dar le dimissioni.In effetti quello che vuole. Ormai la moglie ha venduto le sue terre e non hapi senso che lui rappresenti un comitato di espropriandi. In paese si formanodue fazioni: una sostiene che il sindaco si fatto corrompere dalla SADE chegli ha pagato profumatamente le terre per estrometterlo assieme al Gallo, dallalotta; l'altra convinta che se il sindaco ha ceduto significa che non c' pinulla da fare e bisogna seguirne l'esempio. Prendere ci che si pu con latrattativa, prima di essere forzosamente espropriati. Delusione,disorientamento, rassegnazione aggrediscono gli ertani. La comunit si divide.La manovra della SADE riuscita. La societ approfitta del nemico che fugge persconfiggerlo del tutto. Avvicina i dubbiosi e gioca con loro al rialzo deiprezzi. Inutilmente il nuovo presidente52

  • 534del Comitato, Pietro Carrara, esorta all'unit, a una trattativa comune. Incapo a qualche mese la SADE ha portato a termine il suo disegno. Si acquistatala complicit e l'omert di alcuni proprietari che ora fanno la propaganda perla Societ. I contadini pi deboli crollano. Si presentano spontaneamente allaSADE che paga i loro terreni al prezzo pi basso: 18 lire il metro quadro. Maalcuni ancora resistono attorno al Comitato. La SADE gioca l'ultima carta. Fasapere a quanti ancora non mollano che devono decidersi. O accettare con lebuone, oppure l'esproprio forzoso. In questo caso la Societ verser i soldi inbanca, a nome del titolare catastale del fondo. E la fine per i contadini. Resi-, stere ancora significa non vedere forse mai quei pochi denari. I terreni, inmoltissimi casi, sono ancora intestati al primitivo proprietario, morto da moltianni: gli eredi sono molti e sparsi un po' dappertutto, a Erto, in altre cittitaliane e straniere. Molti terreni sono intestati a pi persone. Per entrare inpossesso del ricavato della vendita, in caso di esproprio, tutta questa gentedovrebbe fare lunghe pratiche burocratiche e procure notarili. Spendere moltidenari, certamente pi di quelli che avrebbe ricevuti. Alcuni cedono al ricatto.Altri resistono ancora per una questione di principio. E vengono espropriatid'ufficio2.La SADE ha finalmente via libera e pu iniziare la costruzione dell'impianto.Nell'aprile 1957 presenta al ministero un nuovo progetto per l'innalzamentodella diga da 200 a 266 metri, il conseguente innalzamento del livello del lagoartificiale fino a quota 722,50 (45,50 metri in pi) contenente il triplod'acqua rispetto ai calcoli iniziali di 58 mi-54lioni di metri cubi. La richiesta adesso di portare il volume a 150 milioni.un'opera di grandezza favolosa e impressionante. La diga ad arco pi grande delmondo, vanto della Societ e del suo ideatore Carlo Semenza. Egli sta per andarein pensione e il suo nome sar per sempre legato, nella storia della tecnica, aquesto grande impianto. L'impresa tanto ardita che perfino il geologo Dal Piazne turbato. Gi il primo progetto gli aveva fatto tremare le vene e i polsi,quest'ultimo lo pone addirittura in uno stato confusionale. A Semenza, che glichiede di stendere una relazione geologica da allegare alla domanda ministerialescrive: Ho tentato di stendere la dichiarazione per l'alto Vajont, ma leconfermo sinceramente che non m' riuscita bene, e non mi soddisfa. Abbia lacortesia di mandarmi il testo di quella ch'Ella mi ha esposto a voce, che mipareva molto felice [,..]3. Esempio illuminante della prostituzione dellascienza accademica al monopolio privato. Siamo in presenza