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Thomas Bernhard - Scrittore austriaco (1931 - 1989) By Andrea Gussago

Thomas Bernhard nasce a Heerlen, Olanda, il 9 febbraio 1931 da genitori austriaci. Il padre, Alois Zuckerstatter, esercita la professione di falegname a Heendorf, Salisburgo, dove incontra Herta Bernhard, figlia dello scrittore Johannes Freumbichler (che nel 1937 ricever per il romanzo Philomena Hellenhub il premio di stato austriaco). La breve relazione dei due si conclude con la gravidanza di Herta: quando Alois viene a sapere che la ragazza aspetta un figlio, scappa in Germania e di lui si perdono le tracce. Solo anni pi tardi si scoprir che si sposato con un altra donna e ha messo al mondo cinque figli prima di suicidarsi nel 1940. Bernhard scrive del rapporto tra i suoi genitori nel romanzo autobiografico Un bambino (Adelphi, 1994), quinto e ultimo, sebbene primo in ordine cronologico, dei volumi dedicati alla propria biografia. Mio padre, figlio di un agricoltore dei dintorni, che come allora si usava aveva imparato un mestiere artigianale, la falegnameria nel suo caso [...] dovette entrare in quel periodo in uno stretto contatto con lei [...]. Questo veramente tutto ci che so della storia delle mie origini . Nella ultracattolica Austria le gravidanze al di fuori del matrimonio sono considerate scandalose, cos Herta deve fuggire da casa e raggiungere l Olanda, su invito di un amica, per poter mettere al mondo Thomas. Poco dopo Herta rientra in Austria, a Vienna, dove la famiglia Freumbichler ha trovato casa. La tormentata relazione con l amante e l onta subita dalla famiglia guastano sin dal principio i rapporti della madre con il piccolo Thomas che, da parte sua, si rivela presto un bambino problematico. In Un incontro , trascrizione delle conversazioni tra lo scrittore austriaco e la giornalista Krista Fleischmann, Bernhard racconta la sua visione dell infanzia. Lo si impara gi con i genitori. Se uno non glieli ruba [i soldi] o non li minaccia, fino a mandarli in collera, non si lasciano scappare nulla. In ci i bambini sono molto raffinati, pi tardi si molto pi rozzi. [...] L infanzia non significa solo essere minacciati, ma anche minacciare. I bambini minacciano molto di pi i genitori di quanto i genitori facciano con i bambini, poich i bambini sono molto pi furbi dei genitori". Su invito del nonno scrittore intraprende l avventura scolastica con un anno di anticipo, ma i primi approcci con la scuola sono disastrosi: dopo un inizio folgorante culminato con una pagella da primo della classe, Thomas perde repentinamente interesse nello studio tanto da rischiare la bocciatura gi in terza elementare. Herta Bernhard si sposa nel 1936 con Emil Fabjan, un attivista del clandestino partito comunista austriaco. Herta ed Emil si conoscono tramite il fratello di lei, Farald, anch egli iscritto al partito comunista. L elevata disoccupazione in Austria, annessa nel 1938 alla Germania nazista, non consente a Emil di trovare lavoro in patria, e poich dal suo lavoro dipende l intera sussistenza della famiglia Freumbichler (i guadagni dello scrittore Johannes Freumbichler sono cos esigui che bastano a malapena a comperare degli abiti nuovi e un servizio di stoviglie), Emil costretto a emigrare in Baviera, a Traunstein, dove trova lavoro come parrucchiere. Di l a poco, nel 1938, lo seguono la moglie Herta e il settenne Thomas. La separazione dal nonno, il suo unico e vero educatore, procura a Thomas la prima grande sofferenza. Sempre in Un bambino scrive: Continuare a vivere, senza il nonno, sotto la giurisdizione di un uomo estraneo, il marito di mia madre, che il nonno a seconda dell umore qualificava oggi come tuo padre e domani come il tuo tutore, mi sembrava la cosa pi impossibile del mondo. Questa catastrofe voleva dire prendere congedo da tutto, tutto ci che nel suo insieme era stato in effetti

il mio paradiso. La separazione solo temporanea: in quello stesso anno infatti Emil recupera a Johannes Freumbichler e sua moglie un alloggio in un villaggio poco distante da Traunstein. Il trasferimento in Germania, patria del nazismo, vissuta dall anziano scrittore come la peggiore di tutte le condanne. Thomas prende coscienza del significato delle parole del nonno solo quando riprende la scuola: qui subisce infatti la discriminazione di insegnanti e compagni per il semplice fatto di essere austriaco e non tedesco. La situazione cos opprimente da far affiorare i primi pensieri di suicidio, a cui fanno immediatamente seguito dei tentativi concreti di togliersi la vita. In quanto austriaco, avevo grandi difficolt a farmi valere. Ero completamente in bala del sarcasmo dei miei compagni di scuola. Dimostrandomi tutto il loro disprezzo, i figli dei borghesi nei loro costosi vestiti mi punivano per qualcosa che io non sapevo cosa fosse. I maestri non mi davano una mano, anzi mi presero da subito a pretesto per le loro esplosioni di collera. Ero solo e disarmato come non mai. [...] Andavo a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre e soltanto rinviata [...] Se solo potessi morire! era il mio pensiero dominante . Il fallimento scolastico di Thomas, a cui fa da pendant il fallimento del nonno, che non riesce a portare a forma compiuta la seconda opera nonostante l impressionante mole di pagine accumulate, l origine e insieme l ossessione del Bernhard scrittore. Tutti i personaggi dei romanzi di Bernhard che cercano di compiere un impresa, il pi delle volte filosofica, isolandosi nella natura finiscono inesorabilmente con il fallire: ne sono un esempio Rudolf, protagonista del romanzo Cemento, Roithamer in Correzione, Konrad in La fornace, e soprattutto il principe Sarau in Perturbamento, che considerato il suo capolavoro. Quel che si vuole si conclude sempre in un fallimento afferma in Un incontro. La situazione scolastica di Thomas peggiora, e i suoi rapporti con la madre si deteriorano irreversibilmente; Herta Bernhard non riesce a placare l irrequietezza del figlio neppure ricorrendo quotidianamente al nerbo di bue. Le umiliazioni si fanno di giorno in giorno pi frequenti e pi intollerabili per Thomas e raggiungono l apice il giorno in cui l assistente sociale della scuola propone, alla madre del bambino, di mandarlo in un istituto di rieducazione per bambini difficili in Turingia. La madre accetta di buon grado, rinfrancata dalla prospettiva di alleviare le tribolazioni che il figlio le procura, almeno per un po di tempo. La rieducazione, naturalmente, in realt educazione al nazismo. La disciplina rigidissima dell istituto spinge Thomas, giunto all et di undici anni, a intensificare i propositi di suicidio; l unico pensiero che lo tiene in vita quello del nonno. Se non mi gettai dalla finestra della soffitta o non mi impiccai o non mi avvelenai con il sonnifero di mia madre, fu solo perch non volli dare a mio nonno il dolore di aver perso suo nipote per pura negligenza . Quando fa ritorno a casa scopre di avere un fratello; due anni dopo nascer anche la sorella. Il nonno, nonostante i fallimenti scolastici, intravede nel nipote delle potenzialit artistiche. Gli procura, con i crescenti risparmi ricavati dalla vendita del libro, dapprima un cavalletto per dipingere che va distrutto nel trasporto (la storia del cavalletto ironicamente narrata da Bernhard: Mio nonno pag il cavalletto in contanti [...] Qualche giorno dopo, come convenuto, il cavalletto da pittore fu consegnato e depositato nella Schaumburgerstrasse. Era andato in pezzi. Poco tempo dopo fu usato come legna da ardere nella stufa del nostro soggiorno ), e poi un violino. Proprio quest ultimo acquisto si riveler decisivo per la vita di Thomas Bernhard che da questo momento in avanti rester indissolubilmente legata alla musica. Il violino , inoltre, l unica arma con cui Thomas combatte l idea del suicidio, idea che ha ripreso vigore dopo l ingresso nel convitto nazionalsocialista di Salisburgo, a cui viene ammesso nel 1943. L origine, primo volume dell autobiografia, prende le mosse proprio dal racconto del periodo trascorso nel convitto nazionalsocialista che, in seguito alla ricostruzione postbellica, si trasformer in un istituto cattolico, il Johanneum. Il paragone, anche se pi corretto parlare di associazione , stabilito dallo scrittore austriaco tra il convitto nazionalsocialista e l isituto cattolico alimenter, all uscita del libro nel 1975, un ondata di polemiche che sfoceranno addirittura in una querela per diffamazione. L origine in effetti un incessante invettiva contro Salisburgo e contro i suoi abitanti; l epigrafe anticipa significativamente i contenuti del romanzo. Si tratta di un trafiletto del Salzburger Nachrichten del 6 maggio 1975. Ogni anno duemila persone tentano di porre fine alla loro esistenza nella provincia confederata di Salisburgo, e un decimo di questi tentativi di suicidio ha esito mortale. Salisburgo detiene cos in Austria che con l Ungheria e la Svezia registra le pi alte percentuali di suicidio il record nazionale. Il romanzo infila una dopo l altra accuse gravissime al popolo austriaco; i salisburghesi sono definiti, gi nella prima

pagina irritanti e snervanti e ammorbanti e umilianti e urtanti, dotati di grande volgarit e bassezza ; Salisburgo, che come Bernhard ricorda la citt d origine dei suoi genitori, viene definita una malattia mortale, e in questa malattia i suoi abitanti vengono partoriti e avviluppati e, se non scappano via nel momento decisivo, essi compiono prima o poi, direttamente o indirettamente date le orribili condizioni che vigono nella citt - un repentino suicidio, oppure, direttamente o indirettamente, vanno verso una lenta e misera rovina in questa terra di morte, architettonicamente arcivescovile e ottusamente nazionalsocialista e cattolica, nemica dell uomo in tutto e per tutto . Gli abitanti di Salisburgo si difenderanno creando, in reazione ai contenuti del libro, un Comitato per la difesa e la valorizzazione del prestigio internazionale di Salisburgo . L agghiacciante soggiorno nel convitto nazionalsocialista si interrompe quando la guerra e i bombardamenti iniziano a devastare la citt. Il quattordicenne Bernhard assiste inorridito alle conseguenze delle bombe. Fa ritorno a Traunstein dove, su invito del nonno, continua a prendere lezioni di violino dal maestro Steiner che, da parte sua, lo incoraggia e lo rassicura attribuendogli un naturale talento per la musica. A guerra finita Bernhard riprende gli studi; frequenta il ginnasio, il Johanneum per l appunto, un istituto rigidamente cattolico sorto dalle macerie del vecchio convitto ricostruito. A sostituire il precedente direttore, la terribile SA Gurkrantz, c l altrettanto terribile sacerdote cattolico Franz. Proprio in questo personaggio, descritto con toni e parole per nulla dissimili dalla SA Gurkrantz, si riconoscer all uscita del libro il parroco di Salisburgo, Franz Wesenauer, che denuncer Bernhard per diffamazione. L avversione per la scuola, un catastrofico meccanismo di mutilazione dello spirito , si fa sempre pi aspra e intensa, fino a che, nel 1947, Bernhard decide di abbandonare gli studi. Ne La cantina la narrazione copre il periodo tra il 1947 e il 1949 in cui Bernhard, dando una svolta radicale alla propria vita, decide di diventare apprendista in un negozio di alimentari collocato non al centro, bens alla periferia di Salisburgo, in uno dei quartieri pi degradati e malfamati della citt. Qui, nella cantina adibita a spaccio di alimentari del signor Podlaha, circondato da persone definite senza mezze misure la feccia dell umanit , Bernhard trova il proprio rifugio, la propria salvezza. Affina le proprie doti di osservatore scrutando le vite dei clienti, e talvolta vi partecipa intrattenendo con loro discussioni sulla guerra e sulle storie del quartiere, il pi delle volte atroci notizie di cronaca giudiziaria. Il carattere introverso di Bernhard si trasforma, con una naturalezza inaspettata, in carattere aperto, espansivo; non solo conversa con gli abitanti del quartiere, ma lo fa adoperando il loro stesso linguaggio, un linguaggio diverso da quello imparato nelle scuole della citt, un linguaggio pi netto e pi intenso : l immedesimazione totale. ... fui in grado di parlare il loro linguaggio perch ero in grado di pensare i loro pensieri . Al lavoro nella cantina, svolto con alacrit e dal quale trae grande soddisfazione, Bernhard affianca l educazione artistica abbandonata insieme agli studi. Anche nella cantina, in fin dei conti, non riuscivo a cavarmela senza qualcosa di totalmente opposto, e cos mi venne in mente la musica e la mia carriera di violinista tanto ingloriosamente conclusa [...] Nel frattempo avevo provato un nuovo strumento, la mia voce. La pubert mi aveva regalato una voce di basso baritono . Per consentire al nipote di potenziare questa nuova dote, il nonno si rivolge a Maria Keldorfer, ex cantante lirica e insegnante di canto, che accetta di seguire il ragazzo; dopo una breve esibizione l anziana insegnante gli promette un futuro come cantante. Il talento del sedicenne Bernhard non tarda a manifestarsi, e cos, per affiancare la teoria alla pratica, il nonno lo iscrive al corso di estetica e teoria musicale presso il famoso professore Theodor W. Werner, musicologo e critico di Hannover nonch marito di Maria Keldorfer. La vita del giovane Bernhard si carica di contrasti, ma proprio di questi contrasti egli si nutre e in essi trova l insperata salvezza. Questi tre elementi, canto, musicologia e apprendistato nel commercio, avevano fatto all improvviso di me un individuo che viveva ininterrottamente nella massima tensione, un individuo in effetti oberato al massimo grado, e avevano reso possibile in me uno stato ideale di mente e corpo. Di colpo e del tutto inaspettatamente le circostanze erano diventate quelle giuste . La carriera di cantante prossima a realizzarsi: Bernhard partecipa alle prove del Festival di Salisburgo; riesce ad eseguire con la massima perizia le pi difficili arie di Mozart, Haendel, Bach; si sente pienamente soddisfatto e pronto a emergere. Di punto in bianco per un evento gli sconvolge nuovamente la vita e fa crollare tutti i sogni: un infreddatura contratta durante il lavoro nella cantina e trascurata per diverse settimane si trasforma in pleurite essudativa grave che lo tiene in bilico tra la vita e la morte. Il respiro, il terzo pannello dell autobiografia di Thomas Bernhard, inizia dall ospedale in cui il diciassettenne

ricoverato. In stato di semicoscienza, stipato in uno stanzone assieme a centinaia di altri pazienti moribondi o gi morti, Thomas Bernhard decide di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione e di attaccarsi alla sua implacabile volont di vivere per non soccombere alla malattia. Le sue condizioni per non lasciano presagire alcuna speranza. La descrizione del trapassatoio , come Bernhard definisce la stanza in cui si trova a giacere, raccapriciante e precisa al tempo stesso. Mi trovo nella stanza da bagno. So quel che significa. Ogni mezz ora entra una suora, solleva la mia mano e la lascia ricadere, si pu supporre che faccia la stessa cosa con una mano nel letto davanti al mio che gi si trova nella stanza da bagno da pi tempo del mio. Gli intervalli tra un entrata e l altra della suora si fanno pi brevi. A un certo punto entrano alcuni uomini vestiti di grigio con una bara di zinco ermeticamente chiusa, scoperchiano la bara e vi depositano dentro una persona nuda. E in questo preciso momento che la vita di Thomas Bernhard prende la piega decisiva. Volevo vivere, tutto il resto non aveva importanza. Vivere, vivere la mia vita, viverla come e fino a quando mi pare e piace. Senza essere un giuramento, questo fu ci che si propose il ragazzo quando ormai era dato per spacciato nell attimo in cui l altro, l uomo davanti a lui, aveva smesso di respirare. Quella notte, nell attimo decisivo, tra le due possibili strade io avevo deciso la strada della vita [...] Non avevo voluto smettere di respirare come l altro davanti a me, avevo voluto continuare a respirare e continuare a vivere. Il respiro, per l appunto, l atto volontario e caparbio che distanzia definitivamente Bernhard dalla morte: da questo momento in poi le condizioni del ragazzo migliorano lentamente. Nonostante gli incoraggiamenti del nonno, anch egli ricoverato nello stesso ospedale per una grave malattia polmonare, Bernhard si rende conto di non poter pi riprendere la carriera di cantante: il suo corpo distrutto il testimone di questo ennesimo fallimento: I miei respiri, cos mi sembrava, erano i respiri di un polmone completamente distrutto . Pochi giorni dopo, l 11 febbraio, gli viene comunicata la morte del nonno: Bernhard scopre di essere rimasto completamente solo. Anzich lasciarsi andare allo sconforto, Bernhard trae da questa perdita la spinta esistenziale necessaria per sconfiggere la malattia e avviarsi sulla strada della scrittura: lasciato solo e libero dall unico educatore della sua vita, consapevole della propria forza di spirito, il diciottenne Bernhard fa leva su questa nuova condizione per analizzare con occhio lucido se stesso e tutto quello che ha vissuto. A un certo punto, quando il mio processo di guarigione era gi molto avanzato, avevo riscoperto il piacere di pensare, ossia di sezionare, scomporre, dissolvere gli oggetti che avevo osservato. Adesso avevo il tempo per farlo e gli altri mi lasciavano in pace. L essere analitico aveva ripreso in me il sopravvento . Proprio nell istante in cui la malattia sembra recedere una volta per tutte, i medici dell ospedale prendono la sciagurata decisione di trasferirlo dal trapassatoio al Hotel Votterl, un convalesceziario per persone affette da malattie dell apparato respiratorio, come indica la dizione medica: in realt si tratta di un edificio riservato ai tisici, allora pressoch incurabili, dove Bernhard contrae la malattia della sua vita, quella che lo accompagner per i successivi quarant anni fino alla morte, ovvero la tubercolosi. Al culmine della disperazione Bernhard trova l appiglio a cui sostenersi: incitato da un compagno di malattia riempie le lunghe e monotone giornate al Votterl leggendo i grandi filosofi del passato, in particolare Pascal, Montaigne e Schopenhauer. In questo modo ripercorre le orme del nonno defunto, anch egli avido lettore di opere filosofiche e filosofo lui stesso. Il freddo (Adelphi, 1991) il quarto capitolo dell autobiografia, l ultimo prima di Un bambino il quale, pur chiudendo il ciclo dei cinque volumi, in realt, come visto, si riferisce alla primissima infanzia di Thomas Bernhard. Questa volta il diciottenne viene trasferito a Grafenhof, un sanatorio pubblico per tubercolotici; la situazione, se possibile, peggiora: Bernhard fatica ad accettare la malattia, contratta per inettitudine dei medici, e le regole del nuovo edificio, subisce l indifferenza degli altri tisici e finisce per trovarsi nuovamente nella completa solitudine. Anche qui, nel luogo in cui sono raccolte tutte le persone votate alla morte , i malati di cui i sani hanno un sacro terrore , Bernhard, con un moto d orgoglio e di forza di volont, racoglie le sue energie per non farsi annientare dalla morte. La salvezza si presenta sotto forma di poesia. Gi a quell epoca mi ero rifugiato nella scrittura, scrivevo, scrivevo, non so pi, centinaia e centinaia di poesie, esistevo soltanto quando scrivevo, mio nonno lo scrittore era morto, adesso ero io che potevo scrivere, adesso avevo la possibilit di poetare per mio conto, osavo farlo, adesso, avevo a disposizione questo mezzo per raggiungere i miei fini, e allora con tutte le mie forze mi gettai nella scrittura, abusavo del mondo intero per trasformarlo in versi, quei

versi, se pur privi di valore, significavano tutto per me, niente al mondo aveva per me maggiore significato, e io non avevo pi niente, non avevo altro che la possibilit di scrivere poesie . Nel frattempo la madre si spegne a causa di un tumore all utero. Bernhard, che nell ultimo anno aveva parzialmente reuperato il rapporto con lei, incassa dalla vita un altro colpo. Ancora una volta si concentra sulla propria forza e sulla propria esperienza per distaccarsi dalla sofferenza e osservarla dall esterno, come se non la morte e la malattia sua e degli altri non lo riguardassero. La decisione era stata presa da tempo, mi ero deciso per la distanza, per la resistenza, avevo deciso che me ne sarei andato, insomma avevo optato per la guarigione [...] La mia volont di esistere era pi grande della mia disponibilit a morire, ragion per cui non ero uno di loro . Fa amicizia con il direttore d orchestra Rudolf Brandle che lo incoraggia a non abbandonare la formazione musicale. La lettura de I Demoni di Dostoevskij lo spinge definitivamente verso la letteratura. Arrivato ai diciannove anni, Bernhard decide di abbandonare il sanatorio. Il freddo, e con esso le memorie giovanili, si chiude cos. Adesso avevo ampiamente superato i diciannove anni, avevo rovinato il mio pneumoperitoneo e da un momento all altro ero di nuovo al punto di dover partire per Grafenhof. Ma dissi di no e non ci tornai mai pi. Nel 1951, dimesso dal sanatorio, viene ammesso alla scuola superiore di musica e arti drammatiche di Vienna, ma costretto a lasciarla per via delle difficolt economiche. L anno seguente, il 1952, l anno in cui inizia gli studi al Mozarteum che si concluderanno nel 1957 con un analisi comparata sul teatro di Artaud e di Brecht. Durante questo lustro collabora al quotidiano socialista Demokratisches Volksblatt con recensioni su eventi culturali, reportage e cronaca giudiziaria: l apprendistato giornalistico gli offrir innumerevoli spunti per i romanzi e i racconti del periodo pi maturo (l esempio pi lampante L imitatore di voci, una raccolta di cento racconti brevissimi pubbicata nel 1978 che potrebbe apparire, a una lettura superficiale, poco pi di una collezione di trafiletti di cronaca giudiziaria locale, ma che cela in realt la trasformazione della realt in una miriade di parabole all insegna dell inesorabilit del dolore e della tragedia). Maddalena la pazza sancisce l esordio del giovane scrittore: si tratta della prima prosa d arte documentabile, pubblicata nel 1953 sullo stesso giornale di Salisburgo per il quale lavora. A questo debutto fa immediatamente seguire, nel 1954, la pubblicazione sulla rivista letteraria Stimmen der Gegenwart , la pi prestigiosa d Austria, il racconto Grande, inconcepibile fame. Nel 1955 subisce il primo processo per diffamazione: l accusa di aver criticato con troppa violenza la gestione del Landestheatre di Salisburgo. Da questo momento in avanti i processi, le querele e le accuse nei riguardi di Bernhard segneranno un escalation che si placher solo con la sua morte; il carattere dello scrittore, fondato interamente sulla resistenza e sulla ribellione a tutto, alla scuola, alla malattia, alla famiglia, alla morte, non accetta di piegarsi davanti alle intimidazioni: conscio della propria forza Bernhard assume consapevolmente il ruolo di disturbatore della pubblica quiete . Scrive, ne La cantina: Per tutta la mia esistenza non ho fatto altro che disturbare. Io ho sempre disturbato e ho sempre irritato. Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, disturbo e irritazione. Tutta la mia vita in quanto esistenza non altro che un continuo irritare e disturbare [...] Ci sono quelli che lasciano la gente in pace e ci sono altri, tra i quali anch io, che disturbano e irritano. Io non sono un uomo che lascia in pace la gente, e nemmeno vorrei avere un carattere del genere . Per tutta la vita Bernhard dovr subire le minacce e le querele delle persone colpite dalla sua feroce critica. Significativo il caso di Piazza degli eroi, un dramma scritto da Bernhard nel 1988, poco prima della morte, in cui viene affrontato il tema dell antisemitismo in Austria: addirittura prima che si conosca per intero il testo dell opera l autore, per mezzo stampa, tacciato di infamia e accusato di disonorare il paese. Il presidente Waldheim e un buon numero di politici chiedono la soppressione della rappresentazione. Alla prima, svoltasi al Burgertheater di Vienna grazie anche all intervento di numerosi intellettuali austriaci, un massiccio cordone di polizia deve placare una minoranza del pubblico che interrompe la messa in scena con urla e fischi. Alla fine dello spettacolo gli applausi si protraggono per pi di mezzora. Tra il 1957 e il 1963 Bernhard intesifica la produzione pubblicando diverse raccolte di poesie (In hora mortis, In terra e nell inferno, Sotto il coltello della luna, I folli) e un libretto per balletto, voci e orchestra intitolato Le rose del deserto. Dall amicizia con il compositore Lampensberg nascono alcuni lavori scritti da Bernhard e musicati dall amico: le rappresentazioni si tengono nel teatro all aperto di Maria-Saal.

Gli anni tra il 1963 e il 1967 sono quelli della svolta per la carriera dello scrittore; la casa editrice Insel pubblica il suo primo romanzo, Gelo (1963), che ottiene un largo successo di critica e pubblico. Arrivano anche i primi premi importanti: il Premio Julius Campe (1964) e il Premio Brema per la Letteratura (1965). Nel 1964 pubblica Amras, romanzo che Bernhard definir per tutta la vita il suo preferito. Acquista, con i proventi delle vendite, un podere nell Alta Austria dove si stabilisce alternando soggiorni nelle maggiori citta europee. In merito ai viaggi, alle residenze e alla necessit di trovare il clima adatto al lavoro intellettuale, Bernhard si esprime nel libro Un incontro: Le vacanze sono sempre importanti [...] Arriva il momento in cui non si possono pi vedere le stesse facce, allora si cambia ambiente e si va in vacanza. Ma quando faccio vacanza io, in genere lavoro al massimo. A casa lavoro meno perch mi distraggono troppe cose. Durante le cosiddette vacanze posso mettermi a tavolino e fare veramente qualcosa [...] Per il lavoro, almeno per me [...] importantissimo essere in un paese di cui non si capisce la lingua, perch si ha continuamente la sensazione che la gente dica solo cose piacevoli e parli di cose importanti, filosofiche. Mentre da noi, quando si capisce la lingua, si ha la sensazione che si dicano solo delle sciocchezze assolute. [...] Una cosa ragionevole andare e tornare in continuazione, molto importante. Cambiare la cosa pi importante. Nel 1967 esce Perturbamento, che come detto ritenuto il suo capolavoro; il principe Sarau, figura paradigmatica di tutti i personaggi creati da Bernhard, che dall alto del suo castello di Hochgobernitz nella Stiria non pu smettere di incedere in un soliloquio perturbante che tutto avvolge e che si contraddice costantemente, viene interpretato dalla critica nei modi pi differenti: secondo una parte di essa il principe Sarau altri non sarebbe se non la lingua tedesca in persona. Perturbamento gli frutta il Premio di Stato austriaco per la letteraura, riconoscimento gi peraltro conquistato dal nonno trent anni prima. Alla cerimonia per la premiazione Bernhard sfrutta il palcoscenico per ingiuriare il ministro e il popolo austriaco, scatenando le ire del ministro stesso che abbandona la sala indignato. Un breve stralcio del discorso, pubblicato per intero come appendice al libro Eventi : Lo stato una creazione ineluttabilmente condannata al fallimento, il popolo una creazione infallibilmente condannata all infamia e alla stupidit [...] Noi siamo austriaci, noi siamo apatici; siamo la vita come volgare disinteresse alla vita, siamo il senso di megalomania come futuro nel processo della natura . Bernhard ricever i premi successivi senza cerimonie pubbliche oppure diserter egli stesso le celebrazioni, limitandosi a intascare gli assegni annessi ai premi. Lo stile di scrittura musicale, ossessivo (un arte dell esagerazione secondo la definizione di Bernhard stesso), inaugurato con Gelo e perfezionato in Perturbamento accompagna tutta la produzione successiva dello scrittore austriaco: dal 1969 alla morte, avvenuta il 12 febbraio 1989 per l aggravarsi di una cardiomegalia diagnosticatagli gi nel 1980, la straordinaria prolificit di Bernhard gli consente di scrivere ventun copioni teatrali, diciotto romanzi (tra i quali i cinque menzionati dell autobiografia), quattro raccolte di racconti e diverse raccolte di poesie. Da ricordare tra i romanzi in particolare La fornace (1970), Correzione (1975), Il soccombente (1983) ed Estinzione (1986), oltre Perturbamento, naturalmente. Riceve innumerevoli premi letterari in tutta Europa: in Italia, dove viene tradotto a partire dal 1981 (L italiano, Guanda; Perturbamento, Adelphi), vince il premio Prato nel 1982, il premio Mondello nel 1983 e il premio Feltrinelli nel 1987 che per rifiuta avendo deciso di non accettare pi premi letterari. La morte di Thomas Bernhard viene comunicata, per sua espressa volont solo il 16 febbraio 1989, a funerali avvenuti. Il testamento lasciato dallo scrittore reca l ultima, terribile invettiva contro lo stato austriaco. Nulla, n di quanto pubblicato da me stesso in vita, n del mio lascito, ovunque esso si trovi, indipendentemente dalla forma in cui sia stato scritto, potr essere rappresentato, stampato o soltanto letto in pubblico per la durata dei diritti d autore all interno dei confini dello Stato austriaco, comunque tale stato si definisca. Sottolineo espressamente di non voler aver nulla a che fare con lo Stato austriaco, e mi oppongo non solo a qualsiasi forma di intrusione, ma anche ad ogni avvicinamento di tale Stato austriaco alla mia persona e al mio lavoro per sempre .

UNA SCHEDA SU PERTURBAMENTO -- di Andrea Gussago (pubb. Adelphi, Milano 1995) Perturbamento non , come scrivono i compilatori sempre pi stereotipati delle quarte di copertina, un viaggio nel... o un viaggio attraverso... ; viaggiare lascia semanticamente spazio a un certo grado di libert, di autodeterminazione, di escursionismo, mentre quello che Perturbamento presenta , invece, un itinerario, un

percorso preciso e lineare; un percorso lungo il quale per ci si pu fermare solo brevemente (dunque soffermare) a contemplare i panorami e le viste offerte dall ambiente, perch subito si costretti a lasciarsi alle spalle il visto per prepararsi a quello che ancora c da vedere. Fin dalle prime righe si intuisce che quello preparato da Bernhard non affatto un itinerario consueto: infatti coincide, o meglio, rappresentato, da quello che il medico condotto, padre del ragazzo incaricato di fungere da voce narrante, propone al figlio allorch lo invita a seguirlo in un giro di visite nella Stiria, zona montuosa dell Alta Austria. Il padre porta con s il figlio con la consapevolezza di poterlo turbare, il figlio segue il padre consapevole di poterne uscire (per)turbato. Disse che per me era una tristezza continua, quando lo accompagnavo, e che per questo motivo il pi delle volte lui esitava a portarmi con s nelle sue visite agli ammalati, perch sempre e infallibilmente risultava che tutto quello che lui doveva visitare, toccare e curare era malato e triste; di qualunque cosa si trattasse, lui si muoveva continuamente in un mondo malato, fra persone e individui malati; anche se questo mondo pretendeva o fingeva di essere sano, era pur sempre un mondo malato e gli uomini, gli individui, anche quelli cosiddetti sani, erano malati. Lui ci era abituato, ma io forse potevo esserne turbato e indotto a riflessioni per me dannose. [...] Era un errore, tuttavia, osserv, chiudere gli occhi di fronte al fatto che tutto malato e triste [...] e per questo motivo, a intervalli pi o meno lunghi, era sempre di nuovo tentato di portare me o mia sorella con s nelle sue visite ai malati. Questo lungo estratto contiene in s le premesse e i motivi del romanzo: non si tratta di un romanzo di formazione del personaggio, perch sin dal principio questi afferma che non la prima volta che accompagna il padre nel suo giro di visite, bens di un romanzo di formazione del lettore: il lettore che compie il percorso che padre e figlio hanno segnato prima di lui. Come Dante nella Divina Commedia, Bernhard affigge alle porte dell inferno un insegna che monito e attrazione al tempo stesso: per chi prosegue la speranza perduta, una volta superati i cancelli non pi possibile tornare indietro. Oltre questi cancelli si stende la Stiria, una terra immersa in una natura malefica, abitata da una popolazione di malati fisici e mentali, in cui la brutalit e la solitudine feroce ammantano la campagna come una densa coltre di nebbia. L illusione di contingenza che si prova nel trovare concentrato in un preciso punto del globo la malattia e la tristezza fugata con fermezza, anche se questo mondo pretendeva o fingeva di essere sano, era pur sempre un mondo malato . Siamo perturbati anche perch le porte dell inferno non si aprono, come in Dante, di fronte a un aldil metafisico, bens dinanzi alla realt di ciascuno di noi; i pazzi e malati che popolano la zona battuta dal medico condotto e dal figlio sono persone comuni, che svolgono lavori comuni, e che vivono in un ambiente apparentemente tranquillo come lo la campagna austriaca. In questa realt tremenda si agitano le figure viventi della malattia e del dolore: la moglie dell oste, picchiata a morte dagli avventori del locale senza alcun motivo; il professore, accusato ingiustamente per un crimine mai commesso e morto nel pi totale isolamento; la vecchia maestra agonizzante a causa di una malattia incurabile; il bambino in fin di vita caduto nel mastello per maiali pieno di acqua bollente; il mugnaio e sua moglie, che strangolano uno dopo l altro i propri uccelli esotici per via dei lamenti intollerabili e incessanti; l artista storpio e pazzo che, quando non legato al letto dai familiari, scarabocchia ingiurie sui ritratti dei grandi della musica classica; l industriale, isolato in un padiglione da caccia assieme alla sorella-schiava, che si dispera per portare a termine un impresa letteraria per lui impossibile. Il percorso tracciato da Bernhard, e in parallelo il giro di visite del medico, si arresta con l entrata del medico stesso e del figlio nel castello di Hochgobernitz, residenza del delirante principe Sarau. Da questo momento in poi la narrazione sospende qualunque pretesa di farsi racconto per diventare pura trascrizione riportata dello sconvolgente soliloquio del principe; in questo soliloquio si alternano incessantemente i temi prediletti da Bernhard e figurati dai personaggi incontrati nel preparatorio giro di visite: la malattia, la morte, il dolore, l incomunicabilit e la solitudine. Attraverso giudizi, aforismi e sentenze ripetuti e varianti impercettibilmente, come in una partitura minimalista, il principe Sarau non solo trascina il lettore in un perturbamento che qui, nella dissoluzione di ogni struttura di significato, raggiunge il massimo grado, ma arriva a contraddire e quasi negare la propria identit, smentendo le sue stesse affermazioni (esemplare , come rileva Bernardi nel suo puntuale saggio Dopo l ultimo spettacolo che completa l edizione Adelphi, l esempio della richiesta di giornali che il principe avanza dopo aver proclamato la falsit della stampa). Il linguaggio utilizzato dal principe nel suo soliloquio, un viluppo dal quale impossibile estrapolare una qualsiasi consequenzialit, abbraccia tutto quello del mondo si pu dire, e che in realt gi stato detto, per farlo mulinare in un vortice in perpetuo movimento. [Andrea Gussago]

LA SEDUZIONE DELL IMMAGINE Intorno al tema del compito in Thomas Bernhard* di Micaela Latini

Un germoglio di quercia piantato dentro un vaso prezioso che dovrebbe accogliere soltanto fiori delicati; le radici si espandono, il vaso si spezza -J. W. Goethe

Come stato notato un tema centrale e ricorrente nella letteratura di Thomas Bernhard pu essere individuato nella ricerca spasmodica del senso, senso che sempre, inevitabilmente, anche non-senso. Il nodo di tale problema si stringe intorno alla figura del compito, ossia a quella impresa capitale che i personaggi bernhardiani intraprendono. Nei romanzi di Bernhard il senso, ossessivamente cercato e ostinatamente perseguito, si rovescia in non-senso, la verit si rivela menzogna, la possibilit si tramuta in impossibilit, il dicibile si offre come indicibile. Di conseguenza il compito, dandosi come il compito, come l impresa capitale, e mai come un compito, si configura come un "mairealmente-eseguibile dover-essere-eseguito". Al tema del dover fare senso sempre connessa nei romanzi di Bernhard una volont di distacco dal mondo. Per crearsi le condizioni pi favorevoli alla realizzazione del loro lavoro, i "cacciatori della rappresentazione" smarriscono volontariamente i contatti con la realt e si rinchiudono in un rifugio isolato, al riparo dal contingente. Tale punto di fuga si tramuta di fatto in una prigione e ai personaggi bernhardiani non resta altro che constatare l impossibilit di pervenire all esito atteso. All "ombra della vita", infatti, il silenzio trova il terreno pi congeniale per il proprio proliferare. Come scrive Bernhard, coloro che credono di poter istituire il senso del mondo, ritirando il cervello e la testa dal mondo, elevandosi al di sopra del finito, traendosi all esterno del linguaggio, condannano la loro intelligenza all inefficienza, all atrofizzazione (Cfr. LF, p. 116). Un tale esito fallimentare porta, in quell'arte dell'esagerazione che la letteratura bernhardiana, a conseguenze tragiche: di fronte ai limiti della rappresentazione a questi eroi "sedotti dall'immagine assoluta e definitiva" sembra non restare altra possibilit che la pazzia o il suicidio. Pu essere utile, a proposito, rievocare le parole pronunciate da Bernhard in un discorso tenuto nel 1968. Il passo in questione suona: Quando siamo sulle tracce della verit senza sapere che cosa sia questa verit, che con la realt non ha nulla in comune, se non la verit che non conosciamo, allora siamo sulle tracce del fallimento, della morte [Wenn wir der Wahrheit auf dem Spur sind, ohne zu wissen, was diese Wahrheit ist, die mit der Wirklichkeit nichts als die Wahrheit, die wir nicht kennen, gemein hat, so ist das Scheitern, es ist der Tod, dem wir auf dem Spur sind] (WT, p. 347). La distanza tra Wahrheit e Wirklichkeit condanna al fallimento l impresa dei personaggi bernhardiani. Questi, infatti, portandosi sulle spalle la cancrena della verit logico-denotativa, si prefiggono lo scopo di trovare un simbolo capace di rappresentare l'assoluto. Una tale ricerca, che ha come posta in gioco la nozione di verit come assolutezza, non pu che risultare frustrata. E tuttavia in Bernhard l articolarsi di una interrogazione - e il compito non altro che questo - incontra il necessario profilarsi di un problema sul senso e non-senso, tale da coinvolgere la stessa interrogazione filosofica che lo ha fatto emergere, e quindi le condizioni dell esperienza in genere. Nella fedelt assoluta che i personaggi di Bernhard dimostrano nei confronti del compito della loro vita, trova spazio la possibilit di un apertura al senso. Il tema dell impresa deve essere quindi letto, in una diversa trama di riferimento, come una interrogazione sul senso e non-senso del mondo, come una riflessione critica capace di indicare alla mosca intrappolata nella bottiglia di vetro [Fliegenglas] la via d uscita dalla situazione di passivit, di prigionia.

1. Il peccato della rappresentazione 1.1 "Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo"

In una delle poche interviste concesse, Bernhard disse: "Ci sono schemi mentali che portano a credere di aver dato vita a qualcosa di definitivo, di immutabile e un momento dopo gi tutto finito. Una costruzione di cemento armato non molto diversa da una casa costruita con le carte da gioco. Per ognuna basta che arrivi il colpo di vento giusto" (UI, p. 217). La frase sembra riferirsi alla disavventura di Roithamer in Correzione. Il filosofo-scienziato, ideato da Bernhard sulla Gestalt di Wittgenstein, decide di costruire una casa per la sorella, allo scopo di regalare alla donna la massima felicit possibile. Fin da subito la costruzione si autodenuncia, per la forma stravagante e per la particolare collocazione, una sorta di allegoria della metafisica. Vediamo perch. La casa viene collocata, secondo il progetto di Roithamer, esattamente "al centro di Kobernausserwald", ossia oltre i limiti del rappresentabile. L'opera architettonica si presenta inoltre nella forma del cono [Kegel], ossia nella figura geometrica che, contraendo lo spazio in un punto inesteso, mira all'essenza. Queste indicazioni gi smascherano il compito roithameriano in quanto tentativo di cogliere la verit assoluta della realt oltrepassando il contingente. Lo scopo perseguito da Roithamer infatti quello di costruire una casa che corrisponda al cento per cento all'immagine della sorella, che la raffiguri nella sua pi intima essenza (cfr. C, p. 161). In altri termini si tratta di erigere la teoria referenziale, l idea del rispecchiamento a sistema: l'edificio conico si fa infatti specchio della realt. Il manifesto dell'audace progetto architettonico pu essere riassunto nei seguenti termini: "l'interno del cono come l'essere interiore di mia sorella, l'esterno del cono come il suo essere esteriore, e tutto il suo essere nell'insieme, come carattere del cono" (ivi, p. 155). A differenza di quel che accade nella maggior parte delle storie di Bernhard, in questo caso la dimostrazione architettonica riesce e la casa viene costruita. Ma il compito che il personaggio si era proposto, ossia quello di regalare la massima felicit possibile, fallisce miseramente. Le conseguenze alle quali la rappresentazione dell'essenza conduce si rivelano disastrose: la sorella di Roithamer non riesce a sopportare l idea di un edificio a sua immagine e somiglianza e quando, esattamente al centro di Kobernausserwald riceve il regalo, si ammala di una "malattia mortale". A Roithamer non resta altro da fare che seguire la donna amata. Quel che risulta che la riduzione dell'universale a qualcosa di particolare fa tutt'uno con la dissoluzione del finito. La casa conica, in quanto immagine che anela al raggiungimento dell'assolutezza, d vita a un processo di distruzione inarrestabile. Ci significa che la mora da pagare per la rappresentazione dell'irrappresentabile coincide con l'annullamento del contingente, con il venir meno del determinato. Il cono, che voleva darsi come punto di contatto tra essenza e contingenza, tra assoluto e finito, si fa simbolo di una "non-indifferenza", di un irreparabile frattura tra le due sfere. Il problema dell'inconciliabile dissonanza tra rappresentazione ed essenza si ripropone in tutta la sua valenza distruttiva nel racconto Gehen [:Camminare]. A svolgere la funzione del cono in questo caso il linguaggio logicodenotativo, che, avendo perso la coscienza dei propri limiti, pretende di cogliere definitivamente la verit. Fulcro del racconto di Bernhard l'episodio che vede impazzire il protagonista, Karrer, di fronte alla designazione di oggetti attraverso i nomi. la rigidit della connessione tra designante e designato, caposaldo nell'economia della teoria referenziale, a portare il personaggio bernhardiano alla follia. Ripercorriamo le tappe che segnano la dinamica dell'impazzire, nel tentativo di coglierne la causa scatenante. L'incidente avviene durante un litigio; Karrer, recatosi in un negozio di abbigliamento per degli acquisti, discute con il commesso circa la qualit della stoffa di un paio di pantaloni. A detta del protagonista di Gehen si tratterebbe palesemente di un "articolo difettoso cecoslovacco [tschekoslowachische Auschluware]" (G, p. 58). Diverso il parere del commesso, che si fa garante della qualit del tessuto: una "stoffa inglese di primissima classe [erstklassigste englische Stoffe]" (ibidem). La discussione tra i due personaggi, che nel frattempo si fatta animata, viene scandita dall'insopportabile e incalzante rumore della macchina usata dal proprietario del negozio, Rustenschacher, per etichettare i pantaloni. L'attenzione di Karrer si focalizza su questi martellamenti monocordi; a questo punto che sopraggiunge la pazzia. Il racconto, non privo di connotazioni ironiche, potrebbe sembrare una stravaganza. Non cos e per rendersene conto occorre cogliere a pieno il significato dell'atto di Rustenschacher. Il processo dell'etichettare rimanda, fuori di metafora, all'atto del denominare, ossia a un fissare la propria verit come universale, alla registrazione di un'identit stringente e irrevocabile tra nome e cosa. Sotto i colpi della macchina etichettatrice, linguaggio e realt vengono metafisicamente identificati; i concetti vengono cio prepotentemente inchiodati nell'immobilit di un principio di identit con i nomi. Una tale spietatezza risulta insostenibile per la mente di Karrer, dal momento che la discussione con il commesso aveva invece fatto venire al pettine quelli che sono i nodi di una concezione denotativa del linguaggio, ossia il fatto che l'essenza non direttamente attingibile. Sempre in Gehen Bernhard scrive che le designazioni che usiamo non

possono mai essere le stesse, e soprattutto si rivelano sempre come qualcosa di diverso dalle cose (ivi, p. 16). Partendo da questo assunto l'atto del denominare si configura come una "violenza" del linguaggio ai danni della realt. La distanza tra designante e designato non viene considerata se si adotta il punto di vista del linguaggio logicodenotativo, che non esita a ridurre la differenza a identit. A pagare lo scotto di tale uso rappresentativo Karrer che, mal sopportando le cosiddette etichette delle quali si vorrebbe composto il linguaggio, finisce per impazzire. Per Bernhard le frasi che usiamo si rivelano al contempo vere e false [sind gleichzeitig richtig und falsch] (ivi, pp. 16-7) e quindi ogni volta che tentiamo di "andare alla radice delle cose [...] diciamo una cosa e scopriamo subito il suo contrario" (P, p. 214). cosi che, per dirla con Wittgenstein, "ci rompiamo la testa sull'essenza del vero segnIl motivo del linguaggio referenziale come carico di minaccia dirompente emerge anche dalle pagine di Perturbamento. Il principe Saurau, nel bel mezzo del suo sterminato monologo, accusa le parole di omicidio (ivi, pp. 96, 101 e 119). Ancora una volta la nota polemica di Bernhard rivolta al linguaggio denotativo e alla sua pretesa di pervenire all'essenza. Coloro che, impigliati nella trappola della logica, credono di trovarsi nel mondo e nell'esperienza solo per il fatto di determinare i concetti mediante la rappresentazione (Cfr. ivi, p. 190 e 193), senza presupporre una preliminare condizione di senso, si condannano all impossibilit di comunicare le loro esperienze. Ognuno avrebbe infatti la propria immagine del mondo (Cfr. ivi , p. 192), immagine che finisce l dove lui stesso finisce (Cfr. Ge, p. 211), dove il suo linguaggio si arresta. A sortire gli effetti di una visione solipsistica di questo tipo la possibilit di parlare: Tutto completamente diverso, sempre tutto diverso. Farsi capire e impossibile (P, p. 33). Nessuna rappresentazione infatti tiene conto del fatto che non tutto dicibile, che il pensiero non si pu raffigurare (ivi, p. 168). Il processo di "assolutizzazione" della logica e il conseguente embargo della dimensione estetica comporta inevitabilmente l'inabissarsi del linguaggio stesso, l'azzeramento della comunicazione. E tuttavia, di fronte a una parabola di dissoluzione di questo tipo, la dimensione indicibile del linguaggio rivendica la sua presenza, dandosi sotto forma di ripetizione del gi detto. Con le parola del principe Saurau viviamo in un mondo che cita continuamente tutto, prigionieri di questa citazione continua che il mondo (ivi, p. 161). L'affermazione del castellano di Perturbamento viene ribadita in un passo di Gehen, che recita: in fondo tutto quello che viene detto citazione [Im Grunde ist alles was gesagt wird, zitiert] (G, p. 22) e ritorna in Gelo, dove si legge: Come riflessa dalle pareti di una chiesa torna l'eco di ogni singola frase (Ge, p. 166). Questa continua ripetizione, ben lontano dal voler significare un canto di morte del linguaggio, sta invece a indicare che il parlare non riducibile alla sua funzione eteroreferenziale. Non si pu infatti prescindere dall autoreferenzialit, che per il linguaggio la condizione del rimandare ad altro da s. A un medesimo sfondo problematico rimandano i due romanzi La fornace e Cemento, assimilabili per il fatto che in entrambi il tentativo di cogliere la verit definitiva passa attraverso l esigenza di scrivere la loro opera capitale. Anche nel quadro qui delineato da Bernhard troviamo prefigurasi il germe del silenzio; alla fine di un lungo e travagliato percorso i protagonisti non riescono a mettere su carta neanche una parola di quell'immenso e irripetibile lavoro intellettuale (da un lato il trattato su l'Udito, il pi filosofico di tutti i sensi, dall'altro il saggio su Mendellsohn Bartholdy) che da anni hanno in mente (Cfr. LF, pp. 117 e 125 e Ce, p. 17). In entrambi i casi la pretesa quella di riuscire a imprigionare la realt con il linguaggio, ma, al momento di annotare l'idea eccellente, che darebbe inizio al loro capolavoro, questa rifluisce nel silenzio (LF, p. 63). Ogni spiegazione verbale del pensato si rivela incompleta e quindi ridicola. Il linguaggio logico non riesce a restituire il pensiero in tutto il suo spessore, impedendogli di darsi come assoluto (Cfr. ivi, pp. 114-5). in gioco la spinosa questione della distanza tra pensare e dire: l'intelligenza come Bernhard scrive altrove - non si lascia mortificare, cristallizzare dalle morte parole scritte, non si fa trasmettere sulla carta (Cfr. PC, p. 52). Dal momento che la verit e assolutamente incomunicabile, ci che scriviamo o diciamo non pu che essere una approssimazione all'essenza della realt, come si legge in un volume della cosiddetta autobiografia di Bernhard (Cfr. LC, p. 36). E ancora nello stesso testo: Tutti qualche volta alziamo la testa, credendo di dover dire la verit o quella che sembra la verit, e poi di nuovo la incassiamo nelle spalle [ivi, p. 128]. la pretesa di scrivere il saggio della loro vita a fare del compito di Konrad e Rudolf una corsa incalzante verso la sconfitta. I due personaggi sono costretti a rilevare continuamente tracce di menzogna nella verit da loro trovata. A tarpare le ali alla ricerca dell'essenza la natura stessa della verit assoluta, la sua ineffabilit. In questi termini il pensato resta sempre un'alterit irriducibile, non abbordabile linguisticamente. L'impossibilit di rappresentare una volta per tutte e in modo assoluto l'essenza delle cose, condanna quei personaggi bernhardiani che si macchiano della colpa di metafisica, alla sconfitta. Il fallimento nel caso di La fornace e di Cemento assume le sembianze di quella ossessionante pagina bianca che Konrad e Rudolf si ritrovano continuamente davanti agli occhi. 1.2 Dichiarazione di fallimento: il ritratto e la fotografia La questione della discrepanza tra la rappresentazione e la cosa rappresentata trova il suo apogeo nel caso dell'arte mimetica. Il ritratto, nella sua pretesa di rispecchiare la realt, assimilabile al linguaggio logico-denotativo. Nella contemplazione di questa forma artistica infatti forte la tentazione di osservare la rappresentazione come se si avesse a che fare con un "trattato di meccanica" o con un documento storico, e quindi si sente l'esigenza di gettare

uno sguardo sulla realt, per confrontare l'immagine dipinta con lo stato di cose. in gioco la nozione di "verit come corrispondenza". In questi termini il ritratto rappresenta il bersaglio polemico di Bernhard nella commedia teatrale Ritter, Dene, Voss, dove il protagonista maschile inveisce contro i quadri che i suoi familiari si sono fatti fare. Leggiamo: Non vi rassomigliano per niente e sono privi di valore artistico (RDV, p. 157) e subito dopo: non posso neanche dire che vi abbia sfigurate fino a rendervi irriconoscibili, perch sarebbe gi qualcosa (ibidem). Se la pretesa del ritratto quella di rappresentare l'essenza della realt, il risultato non pu che essere una dichiarazione di fallimento [Das ist ja eine Bankrotterklrung] (ibidem). Viene in mente quella frase scritta da Bernhard altrove, dove si legge che il pensiero non si pu raffigurare (P, p. 198). in gioco l'inafferrabilit concettuale del non-identico. C' infatti sempre qualcosa che sfugge all'immagine, un'alterit ineffabile e non annullabile, capace di produrre un effetto di scardinamento rispetto a una rappresentazione immediata del reale. Nella stessa direzione del ritratto si muovono le fotografie, contro le quali Bernhard polemizza in Estinzione. Le immagini riprodotte dalla pellicola catturano un mondo perversamente deformato, che con il mondo vero non ha niente a che vedere (E, p. 27, cfr. anche ivi, pp. 1002); come sostiene Murau, le fotografie non sono altro che una mostruosa falsificazione della natura (ivi, p. 25. Cfr. anche ivi, p. 15 e 101). La rappresentazione mimetica fissa un attimo, lo paralizza per poi comunicarlo come eterno. Bernhard in una pagina di Estinzione ricorda due famose fotografie: la prima ritrae la linguaccia di Albert Einstein, mentre la seconda sorprende una smorfia di Winston Churchill. Probabilmente - nota lo scrittore i due hanno assunto quell'espressione una sola volta nella vita, eppure l'immagine di quell'attimo immortalata nella mente del mondo intero, tanto da risultare difficile scindere i nomi da tali paradossali e ironiche rappresentazioni (cfr. ivi, pp. 188-9).

2. Una necessaria "resa dei conti": la distruzione dei "castelli in aria" Alla luce del percorso finora considerato, vediamo come al fallimento dell impresa eroica sia connessa la crisi dell idea di rispecchiamento. Se la rappresentazione dell essenza si rivela di impossibile realizzazione, a meno di sacrificare la contingenza, occorre emanciparsi dalla tentazione di raggiungere la verit definitiva e disfarsi da quella che si rivelata una cattiva immagine. In tal senso deve essere intesa, a nostro avviso, quell incessante opera di correzione del manoscritto, che in Correzione Roithamer intraprende alla morte della sorella. Questa operazione non allude a un tuffo nel silenzio, ma bens muove dall'esigenza di svincolarsi dalla trappola della metafisica. Quel che pi preme al filosofo-scienziato di Correzione lo scardinamento dei meccanismi del sistema denotativo e quindi la rinuncia all'idea della fondamentalit della logica. Come la demolizione del vecchio manoscritto non porta al silenzio, ma semmai all'epifania di un nuovo lavoro intellettuale (Cfr. C, p. 258), cos sulle ceneri della verit denotativa sorge una nuova concezione della verit, lontana dalla tentazione dell assoluto. Anche il suicidio di Roithamer, correzione della correzione, deve essere inteso, a nostro avviso, come un'affermazione del finito stesso, come una dimostrazione di riconoscimento del proprio essere transeunte. Il personaggio bernhardiano, dopo aver cercato di risolvere l'universale nel particolare, a danno di quest'ultimo, restituisce il senso e conferisce dignit al suo statuto di finito proprio uccidendosi, ribadendo la valenza del suo essere mortale. Questo un punto decisivo. Stiamo dicendo che solo e proprio attraverso il finito, le determinatezze, che il senso pu darsi. Dello stesso avviso di Roithamer sembra essere Saurau in Perturbamento. Lasciamogli la parola: necessario [...] che noi distruggiamo tutte le immagini del mondo, l'importante che tutte le immagini del mondo vengano sempre da noi distrutte (P, p. 193). Anche in questo caso il discorso del castellano non vuole esprimere una vittoria del silenzio, del non-senso, ma si riferisce a quella che avverte come una necessaria operazione di scardinamento della prospettiva logico-denotativa: l uscita da quello stato di minorit a cui la dannazione della rappresentazione condanna l uomo. Il personaggio principale di Perturbamento dice: Tutto l'armamentario di parole che usiamo non esiste assolutamente pi. Tuttavia non neanche possibile ammutolire completamente (P, p. 168). Lontano dal proporre il silenzio, l intento di Saurau piuttosto volto a sottolineare l'importanza di una presa di distanze dall egemonia della prospettiva logico-denotativa, volta a riscattare il contingente dalla morsa di una visione onnicomprensiva della realt. Per guadagnare una nuova e pi proficua posizione gnoseologica, occorre in primo luogo scuotersi di dosso le ormai radicate superstizioni ed estirpare alla radice le false immagini, le illusioni.

3. Tentativo di salvezza. Dalla ricerca dell errore alla ricerca del senso Il nucleo problematico unitario che emerge dall'analisi degli scritti bernhardiani finora considerati risulta essere quello di un collasso della nozione di verit come rispecchiamento. Si tratta di una prospettiva che sembrerebbe comportare,

come abbiamo visto, un accettazione passiva dell'impossibilit di comunicare. Assistiamo .invece a qualcosa di ben diverso; proprio nel momento che dovrebbe sancire la vittoria del non-senso, emerge, a nostro avviso, un inaspettato emanciparsi dal vincolo della verit assoluta e un successivo affacciarsi sulla scena del senso, senso che si d sempre come intimamente connesso al non-senso. In vista di tale riscatto si fa necessario un cambiamento d'orizzonte, l'abbandono di quell'atteggiamento conoscitivo che pretendeva di venire a capo delle cose in modo definitivo e indiscutibile. L'interrogazione sul senso del mondo, attuandosi nel non-senso del mondo stesso, deve rinunciare a darsi nei termini dell assolutezza. Questo tuttavia non vuol dire rinunciare all'essenza, per mantenersi nei limiti del contingente, ma piuttosto capire che la verit resta sempre qualcosa di altro rispetto al dire, che tuttavia solo nel contingente pu darsi. Solo indagando la contingenza possiamo cogliere quell'alterit ineffabile che, come abbiamo visto, sancisce la condanna a morte della figura del "compito" nei romanzi di Bernhard. L'importante allora non il riconoscimento della verit, quanto la ricerca di questa, pur nella consapevolezza che l'assoluto di impossibile lettura. In questa ottica dovrebbe essere letto il tema del compito, ossia come una necessaria interrogazione sulla propria contingenza. proprio per questo motivo che i personaggi bernhardiani si lasciano travolgere da quell inquietudine che li spinge a lottare contro tutto e tutti per il raggiungimento del loro obiettivo. Nella figura del compito ineseguibile, ma perseguito fino allo spasimo, si rivela la domanda capitale sulle condizioni di possibilit del perseguire uno scopo determinato, il che ben diverso dal porsi un fine e cercare di raggiungerlo. l'atteggiamento interrogativo nei confronti della propria contingenza ad aprire la via d'accesso, in ogni momento conoscitivo determinato, allo sfondo garante del nostro operare e del nostro riflettere. Sotto questa nuova luce il tema del compito assume una valenza diversa. Si tratta, a ben vedere, di un luogo di interrogazione, di messa-in-questione della contingenza, in uno sforzo di comprensione dell'esperienza in genere, che si muove nell'assenza di garanzie. La ricerca del senso e dei limiti della propria esistenza, del proprio agire, dall'interno della contingenza, espone inevitabilmente al rischio del non-senso, a un salto nel buio, e tuttavia si tratta di un pericolo da correre. Se vero che non riusciamo a cogliere la verit in tutto il suo spessore, ci che conta per Bernhard la nostra ricerca, in quanto riflessione che permette di uscire dal mondo, stando nel mondo (Cfr. LC, p. 116). Non un caso se spesso ricorre nella letteratura bernhardiana l'immagine di uomini in equilibrio su una fune o sull'orlo di un abisso, comunque nel luogo-non luogo del limite, del margine, della distanza, della quasi instabilit, del rischio. Si tratta di metafore che alludono al luogo di confine tra il dentro ed il fuori, tra il contingente e il necessario, tra senso e non-senso. Siamo nel contingente e di qui, nel perseguimento del compito della vita, possiamo distanziarci per risalire alla comprensione del senso. Se nessun tipo di rappresentazione permette il raggiungimento diretto dell'essenza, anche vero che offre la possibilit di gettare uno sguardo sull'irrappresentabile. Tale funzione viene svolta, nel caso del linguaggio, da quelli che Bernhard chiama i concetti d'uso. Leggiamo quanto scrive lo scrittore austriaco, sulla scorta delle sollecitazioni offerte dalle Ricerche filosofiche di Wittgenstein: Quando camminiamo si tratta di cosiddetti concetti d'uso [...] quando pensiamo si tratta del tutto semplicemente di concetti [...] Attraverso il mondo dei concetti d'uso o dei concetti d'aiuto andiamo avanti, non attraverso il mondo dei concetti [Wenn wir gehen [...] handelt es sich um sogennante Gebrauchsbegriffe [...] wenn wir denken, handelt es sich ganz einfach um Begriffe [...] Durch die Welt der Gebrauchsbegriffe oder der Hilfsbegriffe, kommen wir weiter, nicht durch die Welt der Begriffe] (G., p. 91). Quel che Bernhard ci sta dicendo che sono i concetti d'uso (nel registro wittgensteiniano giochi linguistici), a gettare luce, nella loro molteplicit, sull uso, ossia sulla condizione interna, pragmatica, del nostro parlare, del nostro uso effettivo del linguaggio . Lasciamo per un attimo la parola a Bernhard, il quale in un'intervista afferma: Una descrizione non corrisponde mai al dato di fatto [...] se dico "tre persone sono morte" una cosa ben diversa che se rappresentassi la morte vera e propria, ci che del resto impossibile (CTB, p. 18). in gioco la problematica della rappresentazione. Se il linguaggio denotativo non pu rappresentare l'essenza della realt, occorre abbandonare l'approccio in forma di presa diretta, per alludere all'unit trascendentale attraverso la molteplicit dei giochi linguistici, delle metafore, degli esempi. Una tale alterit, che in ambito logico si sarebbe configurata come il limite della rappresentazione, qui finisce per svolgere la funzione di una sorta di trampolino di lancio. Come Bernhard scrive in Gehen, la sopravvivenza ci resa possibile dal fatto che le designazioni non coincidono mai totalmente con le cose, e che quindi ci impossibile pensare in modo assoluto (Cfr. G, p. 32). Nel dire qualcosa alludiamo sempre, contemporaneamente, a qualcos'altro, a quello che Bernhard chiama ora il contenuto di verit della menzogna, ora lo sfondo sul quale la verit giace come l'inesplorabile (Cfr. Ge, p. 195). Per questa ragione ogni dire anche un non-dire e ogni comprensione sempre anche noncomprensione. In questo senso va ancora letta la ricerca dell'errore palese da parte di Reger, in Antichi maestri. Il personaggio bernhardiano passa le sue giornate nella sala Bordone del "Kunsthistorisches Museum" di Vienna, allo scopo di individuare nel quadro di Tintoretto, quella imperfezione che rende l'immagine sopportabile al suo sguardo (AM, pp. 30-1). Il protagonista di Antichi maestri cerca nel quadro un "che" di oscillante tra l'essere un "di meno" rispetto al ritratto e un "di pi" rispetto alla raffigurazione. Si tratta di quell'aspetto irraffigurabile, indicibile, che si d attraverso

il rappresentato e che rende l'opera un capolavoro artistico, al di l del suo essere documento storico: la condizione estetica. L'errore palese un opacit, un alterit che eccede dal quadro e che tuttavia attraverso l immagine si d, proprio come mancanza, come ritrarsi. Sulla stessa linea si pone l'Io-narrante di Correzione, che si assume l'incarico di riordinare il lascito sotto forma di appunti dell amico suicida Roithamer. Mentre questi rimanda, nella sua presunzione di cogliere la verit definitiva al mondo della scienza, la posizione dell Erzhler-lch piuttosto assimilabile al punto di vista dell'estetica. Vediamo perch. L anonimo personaggio bernhardiano si rende conto del fatto che proprio l asistematicit, l'incompletezza, il disordine che regna negli scartafacci a costituire il loro peculiare ordine, l'unico possibile, dal momento che nessuna sistemazione pu darsi come definitiva. Non si tratta di contrapporre ordine e disordine, quanto piuttosto di riconoscere l'uno nell'altro, nel loro inevitabile e continuo ribaltarsi. Attraverso la pluralit di possibili percorsi che il testo offre, si esibisce quell'unit trascendentale che anche la loro condizione di possibilit. Si collegano i fatti in un certo modo, si d un ordine, uno dei tanti possibili, e non l'ordine, la sistematizzazione definitiva. Il rappresentabile, il dicibile, viene organizzato in quel modo che ci permette la scoperta delle connessioni illuminanti, e quindi fa emergere, dal suo stesso interno, la condizione indicibile, irrappresentabile, irriducibile a molteplicit, che d senso a ogni possibile riformulazione del dato. Per capire il senso di pi oggetti collegati tra loro non si deve intraprendere una ricerca storica e quindi logica, volta verso l'essenza di ogni singolo oggetto (Cfr. P., p. 204-216), ma ricercare le analogie, le interrelazioni tra un oggetto e un altro. proprio questo secondo tipo di indagine filosofica che permette l'accesso all'orizzonte ineffabile e necessario del contingente. forse alla luce dell'importanza di un'indagine che passa per il contingente che possiamo interpretare le parole di Saurau: Da molto tempo mi interessa non tanto chi arriver per primo sulla luna, quanto piuttosto chi attraverser per primo la terra (ivi, p. 215), ossia colui che, vivendo, soffrendo, riflettendo e soprattutto lavorando al proprio compito, cerca di prendere-le-distanze da quella situazione di passivit, alla quale la nascita lo avrebbe condannato, per risalire al senso, non-senso, ma pur sempre senso della propria vita.

---------------------------------NOTE * Queste pagine traggono spunto da un lavoro di pi ampio respiro, riguardante l'influenza che la filosofia di Ludwig Wittgenstein ha esercitato sulla letteratura di Thomas Bernhard. In questa sede si invece cercato di delimitare il campo di indagine alla problematica del senso nella narrativa bernhardiana. Il riferimento a Wittgenstein ci tuttavia sembrato in alcuni casi non del tutto eludibile. [1] stato Emilio Garroni ad aver messo in luce il ruolo centrale che il tema del compito gioca nella narrativa di Bernhard. Si rimanda il lettore alla sezione dal titolo Sul senso, sul non-senso e sull arte oggi in Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano: Garzanti, 1992 (1 a ed.), pp. 241-3. [2] Pensiamo in primo luogo a quel passo di Cemento, dove, come ha notato Emilio Garroni, viene tematizzata la problematica dell arte-senso come, insieme, non-senso e ricerca ossessiva del senso. L attenzione del personaggio bernhardiano Rudolf sembra cadere non tanto sulla realizzazione del compito - ossia in questo caso la stesura del saggio su Mendellsohn Bartholdy - quanto sul senso-non-senso di una tale impresa. Cfr a proposito Estetica cit., p. 242-43. [3] La nota metafora di Wittgenstein. Cfr. Ricerche filosofiche [Philosophische Untersuchungen, 1945-49]. Trad. it. di Mario Trinchero, Torino: Einaudi, 1991 (1a ed.: 1967), 309, p. 137. [4] Per quanto detto siamo ancora debitori a Emilio Garoni. Cfr. Id., Un esempio di interpretazione testuale: "Korrektur" di Thomas Bernhard in AA.VV., Il testo letterario. Istruzioni per l'uso, a cura di Mario Lavagetto, Roma-Bari: Laterza, 1996, (1a ed.), pp. 245-282. [5] Si tratta della variante riportata da Rhees in Ludwig Wittgenstein, Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica e la credenza religiosa [Lectures and Conversations on Aestetics, Psycologhy and Religious Belief , 1929-30], trad. it. di

Michele Ranchetti, Milano: Adelphi, 1992 (1a ed. 1967), p. 53. [6] Oltre a cono il termine tedesco Kegel, che soprattutto si incontra nella formula Kegel und Kind, sta a significare figlio illegittimo. Alla luce di questa precisazione possiamo leggere il rapporto tra Roithamer e la sorella come una relazione incestuosa, che porta la donna al suicidio, quando scopre di aspettare un figlio dal fratello. In questi termini il romanzo ricalca la dinamica del racconto bernhardiano dal titolo Al limite boschivo. Cfr. Thomas BERNHARD, LB, pp.44-55. [7] L'allusione alla proposizione 5.64 del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, dove si legge: L io del solipsismo si contrae in un punto inesteso e resta la realt coordinata ad esso. Cfr. Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, trad. it. di A. G. Conte: Tractatus logico-philosophicus e Quaderni, Torino: Einaudi, 1994, (1a ed. 1964). [8] qui sicuramente riconoscibile il piglio polemico di Wittgenstein nei confronti della teoria denotativa. Quando Bernhard scrisse le pagine di Gehen che affrontano l impazzire di Karrer (cfr. Bernhard, G., pp. 53-73), aveva sicuramente presente quei paragrafi delle Ricerche filosofiche, dove il filosofo austriaco, intento a denunciare gli errori della sua prima concezione linguistica, paragona il denominare al processo dell etichettare. Cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche op. cit., 15, 26-27 e 449, pp. 16, 23 e 173. Il motivo polemico rivolto all indirizzo della filosofia del linguaggio del Tractatus, e a quei paragrafi della Grammatica filosofica, dove viene teorizzata l analogia tra il benennen e il einem Ding ein Namelstfelchen anheften (cfr. L. Wittgenstein, Grammatica filosofica [Philosophische Grammatik]. Trad. it. di Mario Trinchero, Firenze, La Nuova Italia, 1990, (1a ed.), I, 56 e 81, pp. 6290). Si rimanda il lettore interessato allo studio di Wendelin Schmidt-Dengler, Der bertreibungsknstler. Studien zu Thomas Bernhard, Wien: Sonderzahl, 1989 (1a ed. 1986), pp. 26-41 e a quello di Peter Kampits, Wittgenstein. Wege und Umwege zu seinem Denken, Graz-Wien-Kln: Styria, 1985, pp. 199-204. [9] Gehen non l unico luogo dove Bernhard polemizza contro le cosiddette etichette . Ricordiamo che lo scrittore disse a Kurt Hoffman durante un intervista: Quando a uno stata messa l etichetta bue rimane un bue fino al banco del macellaio. [BERNHARD, CTB, p. 53]. Al di l del dettato bernhardiano vediamo come il tema dei limiti della rappresentazione emerge in un passo del romanzo di Garcia Marquez Cent anni di solitudine. Qui vengono messe in luce quelle che lo scrittore avverte come le possibili conseguenze di un uso referenziale del linguaggio: Jos Arcadio con uno stesso inchiostrato segna ogni cosa con il suo nome: tavole, sedia, orologio [...] a poco a poco [...] si accorse che poteva arrivare un giorno in cui si sarebbero individuate le cose dalle loro iscrizioni, ma non se ne sarebbe ricordata l utilit. Allora fu pi esplicito. Il cartello che appese alla nuca della vacca era un modello esemplare [...]: Questa la vacca, bisogna mungerla tutte le mattine in modo che produca latte e il latte farlo bollire per aggiungerlo al caff e fare il caffelatte. Cos continuarono a vivere in una realt sdrucciolosa [Cfr. Gabriel Garcia Marquez, Cent anni di solitudine [Cien aos de soledad, 1967], trad. it. di Enrico Cicogna, Milano: Mondadori, 1983 (1a ed.), pp. 48-9]. [10] Ci sembra interessante notare che il racconto di Arthur Schnitzler, Io, pu essere considerato una vera e propria anticipazione della vicenda narrata da Bernhard. Il protagonista della novella, alla vista di una scritta PARCO fuori di un parco, impazzisce e cerca di etichettare ogni oggetto e persona che incontra Cfr. Arthur Schnitzler, Opere, Milano: Mondadori, 1988, pp. 608-619. [11] Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche cit., 105, p. 64. [12] molto significativo a proposito un breve racconto di Bernhard dal titolo L imitatore di voci, dove la dimensione eteroreferenziale del linguaggio, escludendo l autoreferenzialit, si autocondanna al silenzio. Cfr. Thomas BERNHARD, IV, pp. 11-12. [13] L'esigenza avvertita da Roithamer di liberarsi dal manoscritto contenente tutti gli studi sul cono, e quindi dal cono stesso, rimanda d un paragrafo delle Ricerche filosofiche, dove Wittgenstein, nel porre l'accento sull'importanza della pars destruens nell'indagine filosofica, usa la metafora della demolizione della casa. Tale operazione potrebbe sembrare ad un primo sguardo un passo indietro, perch riduce gli edifici a rottami e calcinacci. In realt, come il filosofo precisa, quelli che vengono demoliti sono solo castelli in aria [Luftgebude], ossia illusioni che, con la loro presenza, impediscono il vero progresso filosofico [Cfr. L. Wittgenstein, Ricerche cit., 118, p. 68]. Come Wittgenstein corresse la lettura con la quale aveva creduto di risolvere i problemi principali della filosofia e che invece li aveva creati (cfr. ivi, 133, p. 171), cos la correzione di Roithamer pu essere letta come una liberazione dalla tentazione di rappresentare l'assoluto.

[14] Si rimanda allo studio di A.G. Gargani, La frase infinita [vedi sotto], Roma-Bari: Laterza, 1990 (1a ed.) e all articolo di Guido Brivio, Dire di s al male, in Rivista di Estetica, Torino: Rosenber & Sellier, 1999.

Studi di Estetica III serie anno XXX, fasc. I 25/2002

THOMAS BERNHARD E IL RETROSCENA DELLA SCRITTURA Davide Sparti (Gennaio 2002) Introduzione Il 10 Febbraio del 2001 Thomas Bernhard avrebbe compiuto settant anni. Per celebrare l anniversario, l editore Suhrkamp ha pubblicato l insieme di tutte le sue opere, di prosa, teatro e poesia, mentre l editore Residenz ha proposto un diario segreto , tenuto di nascosto da un amico intimo, vicino di casa e uomo di fiducia di Bernhard, Karl Ignatz Hennetmair.[i] Il diario offre la cronaca giorno per giorno di un anno intero della vita di Bernhard, consentendo al lettore di entrare nei suoi tre cascinali austriaci e di seguire lo scrittore passo dopo passo nella vita quotidiana; mentre mangia, passeggia, impreca, guarda la televisione, lava i panni e li stira, gioca a carte, si gode un film di Godard in televisione (29/5), lavora con grande abilit a maglia.[ii] Mentre ricerca il punto preciso del terreno adiacente la sua cascina Krucka per farsi seppellire (19 e 21/9), fa la spesa all ingrosso di Wells (9/11), o mentre opera con la cura e l energia di un mastro nel restaurare la casa. E soprattutto mentre scrive e commenta le critiche che riceve, permettendo di conoscerne le manie, le ossessioni, le debolezze. Siamo nel 1972, Kalkwerk uscito da poco pi di anno e Bernhard lavora al romanzo Korrektur (11/2), che Suhrkamp pubblicher tuttavia quasi tre anni dopo. anche l anno della famosa e discussa messa in scena a Salisburgo del primo dei tre pezzi teatrali scritti su commissione dei Festspiele, ossia Der ignorant und der wahnsinnige, per la regia di Carl Peymann, con Bruno Ganz come attore protagonista e l artista Jean Tinguely fra coloro che contribuiscono alla scenografia. Bernhard e Hennetmair si conoscono dal 1965 (anno dell acquisto della prima e pi abitata cascina di Bernhard, quella quadrangolare nell Obernnathal, presso Ohlsdorf), ma proprio nel 1972 l amicizia si stringe al punto scrive Hennetmair (11/2) da poter emettere tranquillamente flatulenze l uno davanti all altro. Pi significativamente, Hennetmair assolve in qualche modo la funzione di riportare Bernhard con i piedi per terra , anche in senso letterale, aiutandolo a trovare, acquistare, restaurare ed arredare tutte e tre le sue propriet. Questa funzione esplicitamente riconosciuta da Bernhard, al punto che egli, alcuni anni dopo, creer una figura letteraria corrispondente a Hennetmair, ossia Moritz, nel romanzo Ja. Come Hennetmair, Moritz un agente immobiliare; come Hennetmair, Moritz costringe il narratore senza nome (alter ego di Bernhard) a uscire di casa e a staccarsi dal lavoro, accompagnandolo nei suoi giri d affari. Giri grazie ai quali Bernhard viene a conoscere nuove persone, e nuovi luoghi, ed anche nuovi aspetti ripugnanti dell esistenza umana, giri che hanno sempre al tempo stesso tonificato e oppresso Bernhard, ispirando molti suoi romanzi. In breve, Hennetmair, come Moritz, rappresenta un realittsvermittler per Bernhard, qualcuno che lo lega alla realt quotidiana, e dunque un lebensretter, un salvatore. Pur accogliendo il senso di intimit che il diario di Hennetmair riesce a restituire, in questo mio contributo mi soffermer non tanto sul ritratto umano di Bernhard quanto sullo sguardo che il libro consente di gettare nel retroscena dello scrittore e della scrittura. Uno sguardo privilegiato anche per il paragone che consente di tracciare fra il processo di scrittura di Bernhard e quello di alcuni dei suoi pi noti personaggi, mettendoci in condizione di apprezzare fino a che punto questi riflettano l autore nella sua concreta individualit biografica, fino a che punto, cio, Bernhard ed i suoi personaggi fossero vicini.[iii] Per motivi espositivi, il rapporto parallelo fra Bernhard ed i suoi personaggi verr talvolta intrecciato, altre volte sovrapposto (un paragrafo su Bernhard, a cui segue un paragrafo sul

personaggio di cui parla). Fra tali personaggi, mi concentrer soprattutto sulla vicenda del musicologo Rudolf e sulla sua impossibilit di iniziare uno studio su Mendelssohn-Bartholdy (in Beton), sulla vicenda di Konrad (Das Kalkwerk), il quale da anni lavora ad un saggio sull udito che non riuscir mai a stendere su carta, e su quella di Roithamer, il protagonista di Korrektur, che si uccide dopo aver finalmente realizzato il progetto che aveva orientato la sua intera esistenza. Pure la realizzazione del diario di Hennetmair ha richiesto un peculiare sforzo di scrittura, soprattutto a causa della necessit di stare costantemente all erta affinch Bernhard non lo sorprendesse. Abitando a poche centinaia di metri da Hennetmair, capitava non raramente che Bernhard compisse delle incursioni improvvise dal vicino. Mentre Hennetmair scrive, la moglie fa la guardia appostandosi presso la finestra e dando l allarme ( arrivaaa! ) in caso di avvistamento (27/4). Anche per questo Hennetmair, dopo undici mesi di 'attivit', confessa di essere sull orlo di un collasso per la tensione provocata dallo sforzo di memorizzare e poi trascrivere conversazioni ed avvenimenti, per di pi alle spalle di Bernhard. E ammette di essere in grado di portare a termine il diario solo perch si tratta di un anno di vita con Thomas Berhnard, ma non un giorno di pi (il 2 Gennaio 1973 il diario viene depositato presso un notaio dove resta sigillato per trent anni). E cos il diario acquista un interesse ulteriore, poich i tre assi della scrittura si incrociano: Hennetmair che scrive di Bernhard che scrive di quei suoi personaggi (come Konrad o Rudolf) i quali scrivono a loro volta (o falliscono nel farlo). Utilizzando l opportunit offerta dal diario, vorrei quindi affrontare uno dei temi fondamentali di molti romanzi di Bernhard, evidentemente un ossessione dello stesso autore: quello della ricerca delle condizioni ideali per gli scopi creativi, una ricerca che finisce per diventare essa stessa un scopo primario. Anche se con Hennetmair Bernhard non si quasi mai voluto esprimere direttamente sui contenuti del lavori in gestazione ( das ist meine sache ; sono affari miei), il contesto della creazione, ossia i luoghi, i tempi, le distrazioni, le ispirazioni, ecc. viene illuminato in modo esemplare dal diario. Quella che perci offrir in pratica una circostanziata disamina degli infiniti fattori interni ed esterni che si frappongo alla stesura di un lavoro creativo, ostacolandolo. I motivi sono quelli che ricorrono sempre nei romanzi di Bernhard: la relazione di odio-amore con le persone che lo circondano, con la solitudine, con la casa, con i luoghi ed il loro clima. Tali motivi verranno analizzati sempre in rapporto al processo della scrittura nell atto del suo formarsi, delineando cos una sorta di autoritratto spesso ironico, tragico e comunque grottesco dello scrittore impegnato a creare. Dico ironico poich esattamente come Kafka ebbe a dire dei suoi racconti (nella testimonianza di Max Brod), anche Bernhard ammette di scoppiare in risate fragorose gi quando scrive, ed anche dopo, durante la revisione (cfr. Bernhard 1993, p. 26. Cfr. anche Meyerhofer, 1988). Bench molti lettori trovino che non vi sia proprio nulla da ridere in Bernhard, egli stesso confessa di aver sempre descritto situazioni comiche nei suoi lavori (26/1). Che Bernhard fosse anche una persona con doti comiche lo testimonia a pi riprese Hennetmair, descrivendo come Bernhard, con le sue battute, cantando, imitando e prendendo in giro i presentatori televisivi, suscitasse attacchi di risa isteriche tali da provocare crampi allo stomaco, o da costringere non solo Hennetmair ma anche sua moglie, sua madre, e i suoi figli a sdraiarsi per terra (25/2, 26/6, 22/8, 4/9, 27/9, 7/11, 11/11).[iv] DELL INIZIO Una delle difficolt maggiori dei personaggi di Bernhard quella di iniziare a scrivere. Che occorresse cogliere il momento propizio Bernard lo sapeva bene: per poter scrivere si deve saltare subito fuori dal letto (1993, p. 39). Ed in effetti Bernhard un mattiniero. Egli scrive molto presto al mattino, dalle cinque alle nove (anzi: solo se cos presto, 31/12), esattamente come l amato nonno materno, Johannes Freumbichler, a sua volta scrittore. Dopo di che va a spasso, legge i giornali, assapora l ozio, mangia abbondantemente e poi eventualmente di nuovo, dalle quattro alle sette, lavora e va a fare due passi prima di consumare una cena leggera (18/9, 19/12). Nonostante numerosi tentativi, n Rudolf n Konrad riescono a cominciare a scrivere. Per iniziare a scrivere tutto sta nel trovare il momento giusto. Quello era il momento che lui aspettava, ecco il momento [...], ed effettivamente quel momento si presenta ogni giorno, non passa giorno senza che si presenti il momento nel quale io cedo di poter incominciare il saggio Sull udito e completarlo , dichiara Konrad (1984, p. 54). In quei momenti Konrad credeva che gli sarebbe stato possibile mettersi a tavolino e incominciare a stendere il saggio, e lui si sedeva, e nonostante la sensazione di riuscire a incominciare, non riusciva a incominciare (1984, p. 207). Proprio quando Konrad al culmine, nel momento cruciale, convinto di poter mettere d un tratto il saggio nero su bianco, di stenderlo su carta, ecco che tutto si gi frantumato... Come migliaia di altri prima di lui, anche Konrad era stato vittima della follia di credere che un bel giorno in un unico istante (il cosiddetto istante ottimale) sarebbe riuscito a realizzare il saggio mettendolo in

forma scritta (1984, p. 211). Come iniziare?, si chiede anche Rudolf. la cosa pi semplice e si deprime per il fatto che la cosa pi semplice non gli sia ancora riuscita. Arriva il momento di avvicinarsi alla scrivania, sedersi ed iniziare. La scrivania in ordine? S, lo . Vai alla scrivania e ti siedi e scrivi la prima frase del tuo studio. Non con cautela, con decisione! , ordina Rudolf a se stesso (1990, p. 17). Ma se mi siedo arriva un imprevisto, un contrattempo, un vicino grida, qualcuno bussa alla porta, il postino, la sorella... Partita la sorella, ritrovata la pace, Rudolf pensa finalmente di poter iniziare. Ma si rende conto di non aver ancora fatto colazione. La fa, e poi si pente. Non si pu iniziare un saggio a stomaco pieno!, casomai a stomaco vuoto. Come potuta venirgli l idea di cominciare dopo colazione?! In Thomas Bernhard ritroviamo queste difficolt. In estate fa troppo caldo, deve nuotare, o farsi la doccia ogni due ore. In autunno il tempo cos bello che lo sospinge fuori (26/9; 4/10). Si propone di lavorare. Si alza presto. Ma poi gli vengono in mente le cose pi assurde da poter fare in casa pur di non iniziare a scrivere (7/9). Rispetto all occupazione principale (scrivere) finisce cos per impegnarsi in una moltitudine di occupazioni secondarie: raccogliere le prugne, tagliare la legna (15/8), restaurare una cornice, fare i lavoretti di casa (2/10), ascoltare la radio e guardare la televisione (15/11). Tanto che ad un certo punto Bernhard decide di rimandare il tutto a fine autunno, a Bruxelles, dove potr isolarsi come un prigioniero e dedicarsi interamente alla scrittura (8/9), isolamento che tuttavia lo costringe poi a trasferirsi a Vienna, dove di nuovo, dopo alcuni giorni, non regge pi e deve scappare via. Forse a cause di tutte queste difficolt nell avviare un libro, Bernhard confessa che il mestiere dello scrivere va paragonato ai lavori pi duri (30/12). In ogni caso, a differenza di Konrad o Rudolf, quando finalmente Bernhard inizia a lavorare, in poche settimane l intero romanzo o pezzo teatrale scritto (13/8).[v] QUIETI E SOLI Quali possono essere i requisiti ideali per scrivere? Anzitutto quelli esterni, per esempio l assenza di rumore. Il 23 Aprile Bernhard si precipita da Hennetmair e dichiara animosamente di doversi trasferire da Nathal, e per anni! Una ditta intende fare delle perforazioni per ricercare olio proprio accanto al suo terreno. La battaglia legale per salvare una delle pi fondamentali condizioni di possibilit dello scrivere la quiete va avanti per mesi (con tanto di scavi avviati), ma viene vinta. Poi una seconda minaccia (anch essa infine sfumata) in Ottobre: la costruzione di un allevamento intensivo di maiali da macello, proprio accanto alla cascina. Il rumore e l odore rappresenterebbero un piaga tale da rovinare interamente la mia esistenza, spiega Bernhard, preoccupato al punto da non riuscire a dormire (10/10, 18/10). Il rumore, la puzza ed il chiasso sono fastidiosi, ma come sottolinea d altra parte lo stesso Bernhard, anche la quiete pu essere insopportabile. Basta rigirarsi nel letto e si sobbalza pensando che ci siano i ladri. Si sceglie la quiete estrema e poi succede il contrario di quello che si sarebbe voluto ottenere grazie a quella scelta; non ci si tranquillizza, si diventa sempre pi inquieti, scoprendo che la quiete estrema non genera affatto calma interiore (1984, p. 145). Un altra costellazione ideale quella dell isolamento. Ne Il soccombente l io-narrante dichiara di volersi chiudere nella casa di Calle del Prado e scrivere il suo saggio su Glenn (Gould) (1985, p. 172). Anche Konrad credeva che proprio l isolamento della fornace lo avrebbe produttivamente protetto dal resto del mondo, ma finisce per diventare prigioniero di una vita intollerabile. A momenti credo che sia colpa della fornace se non riesco a mettere il saggio per iscritto, a momenti credo che proprio perch vivo nella fornace che ho ancora la possibilit di mettere il saggio per iscritto. Cos si alternano i due pensieri, uno, il pensiero che riuscir a mettere il saggio per iscritto perch vivo nella fornace, e l altro, il pensiero che non riuscir a mettere il saggio per iscritto, che non ci riuscir mai, perch vivo nella fornace (1984, p. 166). Rudolf terrorizzato dalla presenza della sorella, la quale annienta sul nascere l idea stessa di poter iniziare il suo saggio: occorre essere soli per dare avvio ad un lavoro intellettuale. In effetti, lo stesso Bernhard non riesce a lavorare sapendo che amiche come la signora Hufnagl, o la signora Maleta, o anche effettivamente sua sorella(stra) possano farsi viva da un momento all altro in casa (27/9). Finalmente la sorella di Rudolf parte. Sei di nuovo solo, solo!, sii contento!, dice a se stesso. Ma tormentato dall idea che lei possa tornare in qualsiasi istante per un qualunque motivo ed annientare il suo progetto. Non riesce a dormire, teso com a sentire se lei non fosse alla porta. Poi, estenuato, si appisola. Si risveglia di soprassalto e constata che sono gi le cinque del mattino, mentre aveva deciso di iniziare il lavoro alle quattro. Spaventato da questa negligenza nell aver tardato a cogliere il momento giusto Rudolf, non riesce ad iniziare. Il tentativo di iniziare fallito. Albeggia: non pi possibile incominciare. Ma anche quello dell isolamento dello scrittore un ideale ambiguo. vero che Rudolf odia la presenza della sorella,

ma questa stata pur sempre chiamata dallo stesso Rudolf per liberarsi da una solitudine altrettanto nociva e paralizzante: Da soli a lungo non si resiste, e in due nemmeno (1993, p. 47).

I LUOGHI DELLA SCRITTURA Fra i requisiti ideali per poter scrivere vi anche il clima. Nei castelli e nei borghi austriaci, ad esempio, l umidit dei muri arreca danni irreparabili. Il clima freddo e nebbioso (anche a Nathal Bernhard si lamenta dopo quattordici giorni di nebbia continua, 10/11). Il muro della casa accanto a solo venti metri eppure non si vede: esistere da solo in un nebbia del genere folle! (1990, p. 31). D altra parte, il riscaldamento eccessivo o la presenza opprimente di persone indesiderate possono rendere il clima soffocante e l aria irrespirabile, tanto che uno dei gesti caratteristici di Rudolf quello di spalancare le finestre per dare aria alla casa (una vera e propria mania dello stesso Bernhard, 21/9). Dopo averlo fatto per la terza volta, l odore penetrante e sgradevole della sorella si attenuato, ma il freddo in casa diventata improvvisamente insopportabile, tanto che Rudolf corre il rischio di congelare. In queste condizioni non pu nemmeno pensare di accingersi a scrivere. Il clima rimanda direttamente al luogo, ed il primo luogo della scrittura quello domestico. All interno della casa i personaggi di Bernhard passano continuamente da una stanza all altra, scendono di sotto e poi risalgono, socchiudono la porta, aprono e chiudono le finestre, non trovano requie. L uno ha bisogno di camere grandi, si sente sollevato, l altro si sente oppresso nelle camere grandi. Per l uno abitare in una camera sopra un cortile o rivolta verso una parete di roccia costituisce una scelta rovinosa, per l altra rappresenta una scelta ideale. Anche Bernhard triangola sempre pi frequentemente, e freneticamente, fra le sue tre case.[vi] Il cascinale in Obernathal la base di Bernhard, ma quando ha bisogno di movimento fisico o di maggiore isolamento per lavorare meglio, si rifugia su alla Krucka (8/7, 11/8). Quando l isolamento inizia ad opprimer