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Alia Asquini 06/05/2015 VD L’età Augustea nelle fonti storiche, letterarie, artistiche

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Alia Asquini 06/05/2015

VD

L’età Augustea

nelle fonti storiche, letterarie, artistiche

Il potere di Ottaviano e le sue due facce

All’indomani della morte di Cesare, quando la scena politica era contesa tra Marco Antonio e Ottaviano, mentre Antonio appariva come nemico della patria legandosi a Cleopatrae all’Egitto, Ottaviano, erede di Cesare, rafforzava la sua posizione e diveniva padrone dell'Italia e delle province occidentali. Nell’ imminenza dello scontro finale con il rivale, con la Coniuratio Italiae, giuramento di fedeltà del 32 a.C. a cui sottopose il senato, l'Italia e le province, Ottaviano fu costituito capo supremo dell'Occidente, in nome dei valori italico – occidentali, contro le forze corrotte e dissolute orientali, per proteggere appunto la superiorità e la centralità dell’ Italia. Dopo la vittoria militare di Azio, eliminato l’unico grande avversario, iniziò a costruire il proprio dominio personale, senza essere mai ostacolato.

Nel 29 a.C. celebrò un grandioso trionfo per la vittoria su Marco Antonio e per la conquista dell’Egitto; la vittoria di Azio era considerata il trionfo dell’Italia e dell’ occidente romano contro la monarchia orientale, con evidente scopo propagandistico. Anche dopo il trionfo Ottaviano mantenne il titolo di imperator praticamente a vita e mantenne il comando dell’esercito, origine del suo potere.

L’anno seguente fu proclamato princeps senatus, ossia primo tra i pari, per dare l’idea che la Repubblica non fosse sovvertita, quando di fatto egli era già divenuto il padrone dello Stato; scelse questa carica, che gli permetteva di convocare l’assemblea e presiederla, nonché di orientarne le decisioni, perché era conosciuta all’interno dell’ordinamento tradizionale ed accettata dalla popolazione, in quanto non straordinaria come per esempio la dittatura. Augusto era divenuto il princeps non solo del senato, ma dello Stato intero, e il suo governo prendeva così il nome di principato.

La carica di console, che aveva rinnovato di anno in anno, non gli garantiva però il dominio sullo Stato, ma allo stesso tempo non voleva assumere una carica eccezionale, come per esempio aveva fatto il padre adottivo Giulio Cesare con la dittatura; così il 13 gennaio del 27 a.C., console per la settima volta, restituì al senato quella carica e tutti i poteri straordinari ottenendo in cambio l’imperium proconsolare di 10 anni sulle provincie non pacificate, dove quindi erano stanziate gran parte delle legioni, delle quali lui aveva il comando, e il titolo di Augustus. Il termine è connesso al verbo augeo "innalzare”, “accrescere" che indica Ottaviano come il fautore dell’accrescimento del benessere e della prosperità di Roma e richiama la sacralità della sua figura, attribuendole un’accezione sacra e divina. È inoltre collegato alla nozione di auctoritas, ovvero autorevolezza e supremazia morale, che sanciva la sua superiorità su tutti gli altri romani solo nell’ autorità, ossia nella capacità di influenzare le decisioni per via della sua persona indipendentemente dalla carica, e non nel potere, che era infatti, anche se solo in apparenza, lo stesso dei colleghi. Da quel momento in poi sostituì questo titolo al suo vero nome, Ottaviano.

Nel 23 a.C. ottenne l’imperium proconsulare maius et infinitum1 in tutto l’impero, così da comprendere anche le province senatorie; in questo modo tutte le forze armate dello stato romano erano nelle sue mani. Nello stesso anno fu anche insignito dal senato della tribunicia

1 potere illimitato su tutte le province dell’impero, superiore a quello di tutti gli altri proconsoli.

potestas a vita, la quale gli attribuiva in primo luogo lo ius intercessionis, ossia il diritto di veto, e lo ius coercitionis, ovvero la facoltà di costringere al’obbedienza e far rispettare le leggi favorevoli alla plebe, nonché il potere di convocare assemblee e far approvare plebisciti, essere protettore della plebe romana e soprattutto rendeva la sua persona sacra e inviolabile; proprio per questo ultimo motivo si può considerare la tribunicia potestas il suo potere più significativo in quanto gli consentì la maggior parte delle sue azioni, e fu usato in sua difesa per governare.

Nel 19 a.C. gli furono attribuiti l’imperium consolare a vita, che gli dava principalmente il diritto ad avere le insegne tradizionali dei consoli, che restavano comunque in carica, come la sella curule, la scorta di 12 littori e la facoltà di emettere editti, e la commendatio, ossia la facoltà di raccomandare i magistrati e quindi di controllare completamente le elezioni. Fu nominato anche curator annonae, responsabile degli approvvigionamenti di Roma, e censore, carica che gli permise di intervenire sulla composizione del senato.

Nel 12 a.C., alla morte di Marco Emilio Lepido, suo collega nel triumvirato con Marco Antonio e successivamente nominato pontefice massimo, più alta carica religiosa dello stato, gli successe diventando così di fatto la massima autorità civile e religiosa, come era il re in epoca monarchica.

Infine nel 2 a.C. gli fu conferito il titolo di Pater Patriae, che sanciva il riconoscimento della suaautorità a tutti i livelli della vita sociale; i rapporti politici, quindi, erano diventati la proiezione di quelli familiari, in quanto come il pater familias aveva potere indiscusso su tutti imembri della sua famiglia, così Augusto dai sudditi, che come figli dovevano manifestare la pietas e la fides2, pretendeva rispetto e concedeva protezione.

Augusto fu sempre molto attento a ribadire la legalità e la legittimità del suo potere, scegliendo sempre cariche conosciute all’interno dell’ordinamento tradizionale e non straordinarie, come la dittatura, per dare l’idea che lo Stato non fosse sovvertito e cercò di noncollidere mai con il senato, cercando anzi la sua più totale approvazione e mantenendo un equilibrio con esso; ci teneva dunque a ribadire che possedeva l’auctoritas ma pari potestas, pari potere a tutti gli altri di fronte alle leggi3. È però evidente una netta distinzione tra il potere di Augusto secondo le leggi e la costituzione e nella realtà dei fatti, una distinzione tra ilsuo potere de iure e de facto. De iure, secondo il diritto, Augusto restaurò le istituzioni repubblicane tradizionali, mantenne le magistrature funzionanti, inalterato il potere dei vari magistrati e non detenne alcun potere eccezionale: lo stato appariva ancora come una Repubblica a tutti gli effetti; de facto, di fatto, in realtà, le magistrature erano svuotate del loro valore, in quanto era solo il princeps che prendeva le decisioni e le approvava, e tutte le magistrature erano concentrate nelle sue mani, il governo non era più una repubblica, ma piuttosto una monarchia.

Augusto si assicurò il controllo totale dello Stato e mise mano in tutto quello che succedeva, dimostrando una grande capacità di trasformismo e grandissima destrezza politica,

2 rispetto, devozione e fiducia, lealtà

3 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Res Gestae divi Augusti, 34, … sovrastai tutti per … magistratura. …

adattandosi di volta in volta alle circostanze e modificando idee e comportamenti in base alla convenienza personale; passò da capo di un partito della guerra civile, duro, deciso e freddo calcolatore, in un principe affabile e pieno di riserbo, rispettoso della tradizione e restauratoredella morale tradizionale.

Le Res Gestae divi Augusti

Le “Res gestae divi Augusti”, anche note come “Index rerum a se gestarum”, sono incise sul Monumentum Ancyranum, con testo bilingue con traduzione greca, rinvenuto nel 1555 ad Ankara, in Turchia, e sono la copia meglio conservata dell'esemplare in bronzo, andato completamente perduto a causa di saccheggi e reimpiego, collocato all’ingresso del Mausoleo di Augusto, nel Campo Marzio.

Quest’opera narra le imprese di Ottaviano Augusto ed è un Unicum della letteratura latina4, in quanto è molto vicina ad un’autobiografia, il cui autore è quindi Augusto stesso, che è ovviamente contemporaneo e coinvolto negli avvenimenti documentati. Probabilmente, data la struttura e la complessità, il testo è frutto di una lunga elaborazione intellettuale e di frequenti modifiche e fu quindi redatto in varie fasi, la definitiva proprio nell’anno della mortedel princeps, il 14 d.C. .

Questa copia e anche tutte le altre che ci sono pervenute provengono esclusivamente dall’oriente e dalla Turchia, probabilmente perché in quel territorio erano presenti in maggiornumero che nel resto delle provincie dell’impero, siccome la Turchia fu la prima e unica acquisizione orientale di Augusto ed egli forse sentì la necessità di porvi un sigillo.

L’opera era collocata all’ingresso di monumenti importanti, era quindi destinata ad un grande pubblico, e proprio perché tutti i cittadini che erano in grado di leggere, anche i meno eruditi, fossero in grado di comprenderla, il lessico è concreto e la prosa è paratattica, molto sintetica, asciutta e lineare, senza figure retoriche, secondo lo stile attico, come quello usato da Cesare nei suoi commentarii (nonostante l’indirizzo retorico di Augusto fosse asiano). Oltre a questo lo stile semplice e chiaro e la sobrietà di fondo conferiscono all’opera maestosità e solennità, evidenziate anche dall’uso della prima persona, che accentua la soggettività dell’opera e testimonia l’auctoritas di Augusto. È quindi una fonte intenzionale, diretta ed epigrafica.

L’opera è eminentemente propagandistica, vista la natura autobiografica della narrazione, è quindi presente un’esaltazione incondizionata delle opere del princeps, senza alcuna nota negativa, pertanto la fonte è molto poco attendibile ed è quindi importante confrontare i dati presenti in questa narrazione con altre fonti per verificarne di volta in volta l’attendibilità.

4 non ha uguali come genere

Il potere di Augusto e il principato nelle Res Gestae

L'abilità di Augusto, come già detto, fu di essere riuscito a imporre un governo autocratico camuffandolo da Repubblica restaurata, per non entrare in contrasto con il popoloe il senato; mantenere quindi questa distinzione tra il suo potere de iure e de facto è una delle maggiori prerogative del princeps, tanto sentita che sono presenti frequentissimi richiami ad essa anche nelle Res Gestae.

Augusto continuamente ribadisce la legalità delle sue azioni, specificando sempre di aver agitocon l’approvazione del senato o addirittura per ordine di esso oppure per consenso universaledel popolo romano: solo per volere di questi fu reso inviolabile con la potestà tribunizia5 e gli fu attribuito il titolo di padre della patria6, gli furono concessi numerosi onori e celebrazioni per i suoi successi militari7, nonché la costruzione dell’Ara Pacis8 e moltissimi altri templi o edifici pubblici9. Per mettere in evidenza il suo rifiuto di contrastare le regole tradizionali dello stato repubblicano e di assumere poteri arbitrari in modo illegittimo, ossia che il suo potere derivava dalla volontà del popolo e del senato romano e non da un atto di forza, affermò che nonostante gli fosse stato decretato il potere supremo lui lo restituì al senato, perché troppo anticostituzionale, e per quello il popolo e il senato a gli diedero il titolo di Augusto, che precisa che lo rese superiore esclusivamente per autorità ma assolutamente non per potere10. Non accettò alcuna magistratura conferitagli contro il costume degli antenati, avvalendosi quindi solo della tribunicia potestas per tutte le sue azioni11, appunto una carica costituzionale, fu nominato console solo quando i consoli erano morti in guerra12, non usurpò loro il potere e accettò la carica di pontefice massimo solo quando colui che la occupava morì, nonostante il popolo gliel’avesse voluta attribuire già prima13. Ci tiene anche ad evidenziare la sua modestia rinunciando un numero di trionfi superiore a quelli che effettivamente celebrò14,oppure donativi in denaro che, seppur legali e rispettosi delle usanze, rimandò ai rispettivi municipi15.

5 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Res Gestae divi Augusti, 10, … fu sancito per legge … potestà tribunicia. …

6 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 35, … il senato e l’ordine equestre e … padre della patria …

7 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 4, … A causa delle imprese condotte … furono 890. …

8 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 12, … il senato decretò … nel Campo Marzio, …

9 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 20, … ho fatto ricostruire … ottantadue templi degli dei, …

10 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 34, … pur avendo ottenuto … il titolo di Augusto …

11 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 6, … nonostante l'unanime consenso … un collega. …

12 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 1, … il Popolo romano mi elesse … uccisi in guerra. …

13 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 10, … Rifiutai di diventare pontefice … aveva preso possesso …

14 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 4, … sebbene il senato deliberasse … che tutti declinai …

15 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 21, … restituii trentacinquemila … decretato in precedenza. …

Il potere di Augusto in realtà non aveva una base istituzionale, di conseguenza era come se non fosse lui l’unico detentore del potere e governatore dello Stato; è proprio questa l’idea che emerge dall’opera: un principato che si nasconde dietro l’ immagine, estremamente illusoria, di una Repubblica ancora intatta, dove il potere non era in mano a un unico uomo e ilsenato sembrava ancora esserne l’organo supremo; in mezzo a tutto questo si colloca una figura completamente a se stante e indipendente, quella del principe. Un ruolo a parte infatti sembra essere rivestito da Augusto, che pare una specie di protettore dello stato, in quanto unico responsabile del suo benessere: ha agito per salvare la situazione critica e precaria in cui esso si trovava all’indomani delle guerre civili e ha fatto rinascere lo Stato e Roma con le conquiste, gli spettacoli, le donazioni e la costruzione o il restauro di edifici pubblici, templi e infrastrutture; proprio per questo ha una posizione di prestigio, sempre solo basata sull’autorità, e riveste cariche importanti, ma sempre sotto il controllo vigile del senato. Emerge dal testo quindi l’idea di uno stato repubblicano protetto e retto dall’alto dall’ uomo che lo ha reso grande e prospero, anche se è facile intuire la vera realtà dei fatti e probabilmente se ne erano accorti anche molti dei contemporanei. Comunque l’immagine del principato che emerge dalle Res Gestae è sempre e ovviamente positiva, in quanto principale intento di Augusto era appunto quello di esaltare e giustificare se stesso e le sue azioni e soprattutto la costante legalità di queste.

Gli Annales di Tacito

Gli “Annales ab excessu divi Augusti” sono un’opera storiografica di Publio Cornelio Tacito, vissuto a cavallo tra il I e il II sec d.C. . L'opera copre il periodo che va dalla morte di Augusto nel 14 d.C., fino a quella dell'imperatore Nerone, nel 68 d.C., proprio per questo Tacito non è né contemporaneo agli avvenimenti documentati né ne è coinvolto di persona. GliAnnales sono l’ultima opera storiografica di Tacito, redatta quindi verso la fine della sua vita, circa un secolo dopo gli avvenimenti descritti.

L'opera era composta di almeno sedici libri ma ci sono pervenuti soltanto i primi 4 e parte dei due successivi. Si tratta di una fonte storiografica, quindi letteraria, indiretta e intenzionale. Tacito scrive per lasciare ai posteri un’analisi attenta della dissolutezza e corruzione della società degli albori del principato, e per comprenderla ritiene indispensabile analizzare la personalità dei principi e scavare nei loro caratteri per portare alla luce le loro ambiguità e i moventi psicologici e morali delle loro azioni. Questa sua visione desolata e cupa è combinata ad uno stile conciso e austero, che accentua le disarmonie, riflettendo l'ambiguità degli avvenimenti in un periodo nervoso e spezzato, con una frequente variatio, e in un lessico arcaico e solenne; per questa complessità e raffinatezza l’opera è indirizzata ad un pubblico colto, in grado di leggerla e apprezzarla.

Il potere di Augusto e il principato negli Annales

Tacito ha chiara coscienza della distinzione fra il potere di Augusto de iure e de facto: Augusto è formalmente un princeps, sta sopra ma non sovrasta, ha solo l’auctoritas e non una maggiore potestas, che è infatti pari a quella dei suoi colleghi man mano che ricopre le varie magistrature; ma è esattamente la concentrazione solo nelle sue mani delle magistrature e delpotere16, anche se non secondo la legge e con una parvenza di legalità, la prova della fine della Repubblica e del suo Imperium17. Nonostante ciò Tacito non è completamente contrario a questo nuovo ordinamento, ed elogia Augusto perché portatore e garante di pace. Per Tacito era appunto la pace l’unica motivazione del principato18, il bene supremo che lo giustificava, e che gli permetteva di avere pieno potere senza opposizioni; associa la pace all’ aggettivo dolcezza, parla appunto della dolcezza della pace19.

Il Prezzo da pagare per la pace era quindi il governo del principe, che segnava inevitabilmenteil tramonto dell’antica libertas repubblicana, la libertà politica dell'aristocrazia senatoria; il senato era però anch'esso coinvolto in un processo di decadenza morale e di corruzione, ed era ormai solo mero nome prestigioso senza alcun peso politico, che rappresentava solo una linea di continuità con il passato. Non c'era nemmeno nostalgia della perduta libertà, perché i più anziani erano nati durante le guerre civili e non avevano conosciuto lo Stato pacifico e la Repubblica regolare20, di conseguenza non ne erano attaccati ed erano disposti a perderla per una cosa così importante e desiderata come era la pace21, cedendo alla servitù del principato.

Dal testo di Tacito emerge un quadro oscuro del principato, dove lo Stato appare profondamente corrotto e dissoluto, in preda alla degenerazione sociale, politica e culturale e alla decadenza morale, il popolo è formato da grandi e crescenti adulatori del principe, che alla sua morte “con atteggiamento studiato per non apparire lieti per la morte di Augusto, né troppo tristi per il nuovo regno, mescolavano le lacrime alla gioia e i gemiti alle parole dell'adulazione22”. A corte si era creato un clima di sospetto e complotto: Livia, la seconda moglie di Augusto, donna di grandissima influenza e madre nefasta allo stato e alla famiglia dei Cesari23, soggiogò e manipolò talmente l’ormai anziano princeps da fargli designare come successore suo figlio Tiberio e non il legittimo nipote Postumo Agrippa24. Tiberio infatti non

16 Publio Cornelio Tacito, Annales ab excessu divi Augusti, II, … Cominciò a crescere … alcuno gli si opponesse, …

17 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., I, … Ridusse sotto il suo dominio, con il nome … disfatto dalle lotte civili. …

18 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … vi era giustizia … solo perché si potesse godere, per tutto il resto, la pace.

19 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., II

20 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., III … I più giovani erano nati … che avessero conosciuto la Repubblica? …

21 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., II ... preferivano la sicurezza delle condizioni presenti ai pericoli delle antiche ..

22 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., VII

23 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … Livia, madre nefasta allo Stato e matrigna nefasta alla casa dei Cesari. …

24 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., III, … Livia aveva talmente soggiogato … l'unico nipote figlio di Agrippa, …

era benvoluto da Augusto, che lo nominò successore solo per le pressioni di Livia, che fu la responsabile di numerose altre insidie e cospirazioni, forse anche delle morti di Marcello, GaioCesare, Lucio Cesare25, e Postumo Agrippa26, tutti ostacoli all’ascesa del figlio Tiberio, nonché di aver forse avvelenato Augusto stesso e di aver divulgato assieme al figlio sue disposizioni probabilmente false27. Questo clima a corte era dovuto al problema della successione, molto sentito da Augusto in quanto, non essendo ufficialmente imperatore, non aveva nemmeno diritto a designare legalmente un successore, doveva quindi farlo trasferendo i propri poteri nelle mani del prescelto affinché questi si trovasse alla sua morte in una situazione virtualmente identica alla sua.

Ma anche il principe stesso presenta un lato oscuro: egli è raffigurato come un tiranno e un usurpatore che non aveva esitato a far uccidere uomini, avido e bramoso di potere28 e gloria

fin da giovanissimo, che aveva carpito il consolato con la forza e contro la volontà del senato29,

aveva ingannato tutti gli uomini politici cui si era avvicinato per allearsi30, aveva nominato

come successore Tiberio perché avendo scorto in lui prepotenza e crudeltà avrebbe ottenuto gloria nel confronto con un uomo così spregevole31; la pace che aveva senza dubbio garantito a

Roma era intrisa di sangue32.

Era infatti una pax armata; Augusto controllava le repressioni e aveva fatto uccidere tutti gli avversari politici. Sempre in quest’ottica, con una politica sociale moderata, all’insegna dell’equilibrio e della concordia, attrasse a sé tutte le classi sociali con favori o donativi per mantenere una stabilità interna: i soldati con i donativi di denaro e terre, la plebe urbana con distribuzioni di grano e grandiosi spettacoli nonché opere pubbliche che fungessero da ammortizzatore sociale, il senato con onori e prestigio, e la garanzia dei loro privilegi sociali ed economici, come poter accedere alle magistrature più importanti e avere un alto stile di vita grazie alle elevate retribuzioni di queste, i cavalieri con cariche particolari e la possibilità di far carriera nell’amministrazione dello stato e infine i provinciali perché, diffidando del potere del Senato e del popolo, si dovevano rivolgere solo al principe, unico rappresentante dello stato, e questi aveva abolito le tanto invise figure dei pubblicani e aveva reso più facile la scalata sociale di questo ceto nell’amministrazione statale.

Confronto fra Res Gestae e Annales

25 Figli di Agrippa e Giulia, figlia di Augusto, terzi in linea di successione dopo loro padre e Marcello

26 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., VI, … Tiberio e Livia, … l'assassinio del giovane sospettoso ed odioso. …

27 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., VI, … fingeva che ci fossero disposizioni del padre, …

28 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … per cupidigia di dominio ….

29 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … ebbe allora con la forza il consolato … volse contro lo Stato. …

30 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … Pompeo, invece, fu tratto in … con la morte una subdola parentela. …

31 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … aggiungevano che … nel confronto con un uomo così spregevole …

32 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., X, … venne senza dubbio la pace, ma a prezzo di sangue …

Le Res Gestae e gli Annales sono entrambe opere che parlano di Augusto e degli albori del principato, ma in maniera profondamente diversa. Questo è dovuto innanzitutto allo scopodelle due opere: mentre le Res Gestae vogliono celebrare Augusto per lasciarne una buona impressione ai posteri e ribadire la legalità del suo potere, gli Annales, dettagliata opera storiografica, descrivono l’evoluzione del principato e indagano con introspezione psicologica sui comportamenti dei vari principes; vogliono lasciare una testimonianza oggettiva per i posteri, come afferma Tacito stesso all’inizio dell’opera 33. Da questo dipendono ovviamente

anche l’attendibilità, molto scarsa per le Res Gestae in quanto il protagonista è anche l’autore stesso, notevole per gli Annales, e lo stile usato dagli autori, attico per Augusto, perché vuole che i contenuti siano chiari e immediati a tutti, mentre più complesso e prolisso per Tacito. Augusto non può che parlare in modo positivo del suo principato, ed è chiaramente contemporaneo a quello che scrive, Tacito invece ne parla dopo circa 100 anni, quindi ha la possibilità di analizzare tutte le conseguenze che questo nuovo sistema di governo ha portato, e ovviamente ne parla in maniera molto più critica. Come forse già detto, queste due opere esprimono un’idea totalmente contrastante del principato, sempre basata sulla distinzione delpotere de iure e de facto, che in entrambe è molto sentita, ma diversamente: Augusto ne parla abbondantemente, ma solo del potere de iure, Tacito invece mette in evidenza soprattutto quello de facto, e il fatto che Augusto si limiti a parlare di quello de iure e camuffare la realtà.

Il programma di lavori pubblici di Augusto

Augusto, per legittimare il proprio potere, migliorò la disastrosa situazione di Roma: la divise in 14 regioni e quartieri per meglio amministrarla, delimitò e ampliò il letto del Tevere per evitare inondazioni, fece ricostruire la via Flaminia e molti ponti migliorando le vie di comunicazione e creò due nuovi acquedotti per aumentare l'approvvigionamento idrico. Curò personalmente gli approvvigionamenti di cibo attraverso l’annona, incrementò l'ordine pubblico, istituendo la praefectura Urbi e la Guardia pretoriana, e la sicurezza cittadina, istituendo la praefectura vigilum e riducendo l'altezza delle nuove costruzioni per far fronte ai frequenti incendi. Ma soprattutto trasformò radicalmente la città, rendendola simile alle più importanti città ellenistiche, facendo edificare e restaurare una grandissima quantità di monumentali templi, edifici e opere pubbliche e l'abbellì a tal punto che giustamente si potevavantare di aver trovato una Roma "di mattoni" e di averla lasciata "di marmo".

Innanzitutto completò alcuni degli interventi iniziati dal predecessore Giulio Cesare, come la nuova Curia Iulia, il Foro di Cesare sul Campidoglio, per ampliare lo spazio pubblico, ricostruì la vicina Basilica Giulia, dopo che era stata distrutta da un incendio nel 12 a.C., dedicandola ai nipoti Gaio e Lucio, e innalzò templi dedicati al Divo Giulio, per celebrare il padre adottivo e ribadire la sua discendenza “acquisita” dalla gens Iulia.

33 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., I, … Ora, le vicende favorevoli … lontane da me le cause dell’una e dell’altra

Avviò inoltre nuovi grandi progetti urbanistici come la costruzione del Foro di Augusto, accanto a quello di Cesare, che includeva anche il tempio di Marte Ultore, una serie di archi trionfali e due colonnati nei quali collocò le statue di tutti i grandi condottieri, come ispirazione per i principi successivi, e modificò definitivamente la piazza del Foro Romano rendendola una piazza monumentale. Fece inoltre costruire il teatro di Marcello nell’11 a.C., dedicato al nipote, di evidente un influenza ellenistica, alcune biblioteche aperte al pubblico, un portico dedicato alla moglie Livia ed uno alla sorella Ottavia, madre di Marcello, la

Naumachia Augusti, una struttura per le battaglie navali sulla riva destra del Tevere, e nel 12 a.C. furono inaugurate nel Campo Marzio le Terme di Agrippa, primo edificio termale pubblicodella città. Lo scopo di queste costruzioni monumentali era principalmente quello propagandistico di celebrare la grandezza della città e del principe, ma funsero anche da importante ammortizzatore sociale per la plebe urbana, da tempo disoccupata.

Rientra in questo progetto di Augusto anche il Pantheon, che Agrippa, suo genero e generale, fece costruire nel 27 a.C., con l'intenzione di creare un luogo di culto dedicato a Marte e Venere, protettori della Gens Iulia, e che accogliesse le statue di molte divinità; questo fu in seguito distrutto da un incendio e interamente ricostruito. Augusto fece inoltre ricostruire ben82 templi, tra i più importanti i templi di Giove Tonante, Feretrio e Ottimo Massimo sul Campidoglio, il tempio di Quirino, ovvero Romolo, i templi di Minerva, Giunone regina e Giove libertà sull’Aventino, i templi dei Lari e dei Penati, il tempio di Giovinezza e il tempio della Grande Madre, divinità orientale della madre terra, sul Palatino. Tutto questo progetto rientra nella politica di Augusto sul ripristino del mos maiorum, ossia sul ripristino di antichi culti ormai quasi perduti che rimandano ad un’antichissima tradizione.

Fece edificare una serie di templi dedicati ad Apollo, perché suo protettore, come il tempio di Apollo Sosiano presso il teatro di Marcello e il vastissimo e monumentale tempio ad Apollo sulPalatino, direttamente collegato alla sua casa privata, la Domus augustea, per ribadire sempre la sua doppia origine divina, anche da parte di Apollo, che riteneva il suo vero padre.

Il Campo Marzio

Intensamente toccato dalle ricostruzioni augustee fu soprattutto il Campo Marzio, che il princeps sistemò con l'aiuto di Agrippa, suo amico e consigliere, arricchendolo di edifici pubblici e monumenti; lo stesso geografo Strabone nella sua opera “Geografia” scrisse che il Campo marzio ospitava la maggior parte delle opere di Augusto, combinando questi ornamenti alla bellezza naturale del luogo, caratterizzato da un’ampia pianura verdeggiante.

Augusto si preoccupò soprattutto della zona più periferica, a nord, tra l'antica via Flaminia e l'ansa del Tevere, che trasformò in un grande complesso celebrativo e funerario in suo onore che lo avrebbe tenuto vivo nella memoria dei posteri. Era dominata a nord dal mausoleo di Augusto, sua tomba monumentale, e dall'ustrinum, all'interno del quale avrebbe fatto bruciarele sue spoglie, a sud-est dall' Horologium Augusti, grande orologio solare formato da un esteso piano in marmo e un obelisco per gnomone, e dall’Ara Pacis, tutti questi inseriti poi in un locus

amoenus, caratterizzato da praticelli e boschetti sacri ricchi di passeggiate; tutti questi aspetti,uniti assieme, conferiscono una spiccata sacralità al luogo.

Questi edifici erano disposti secondo un complesso sistema ideologico, sempre a ribadire la sacralità del luogo e di Augusto stesso. L'Ara Pacis, simbolo della pace portata da Augusto, sorgeva circa a un miglio dall'antico Pomerium, limite della città entro in quale non era consentito all’ esercito di andare, e opposta al tempio di Giano a sud di Roma, riferimento invece alle guerre compiute dalla città; funge quindi da contraltare settentrionale a quest’ultimo, legandosi alla simbologia del passaggio guerra-pace. Lo gnomone dell' Horologium, l’obelisco oggi in piazza Montecitorio, recava sulla base un’iscrizione risalente al 9 a.C., in ricordo della vittoria sull’Egitto, e una dedica di Augusto al Sole34, e dunque ad Apollo,

nume tutelare di Augusto. Inoltre il 23 settembre, equinozio d'autunno e giorno natale dell'imperatore, l’ombra dell'obelisco raggiungeva il centro dell’Ara Pacis, in un rapporto simbolico dalle valenze politiche e religiose; l'ombra inoltre nasceva dalla sfera sull'obelisco, che oltre a rappresentare il cielo e la terra rappresentava anche il potere esercitato da Augusto nel segno della pace per volontà degli dèi. Sicuramente quindi alla base di una disposizione così attenta dei monumenti c’era un chiaro intento ideologico, con continui richiami al sole, ossia Apollo, centro della simbolicità del Campo Marzio.

Importante rivolgere qualche attenzione al mausoleo, che Augusto cominciò a far costruire intorno al 28 a.c., all’inizio della sua carriera; il primo ad esservi sepolto, nel 23 a. C., fu il genero Marcello. Si ispira alla tomba monumentale del re Mausolo di Alicarnasso, sovrano orientale (ed è un richiamo quindi alla divinizzazione), considerata una delle sette meraviglie del mondo antico. Era formato da una serie di gradoni a cerchi concentrici in calcestruzzo ricoperti in marmo e pietra con sempreverdi e cipressi, alberi dell’ immortalità, all'interno. In cima c’era un portico all’interno del quale era situata la camera mortuaria e alla sommità di questa una statua di Augusto, che traina il carro della vittoria. L’edificio era alto 44 metri e aveva un diametro di 88 metri, all’ingresso erano affisse le Res Gestae, incise su lastre di bronzo, per ricordare le grandi imprese del principe che ivi era sepolto a tutti i cittadini romani.

L’ Ara Pacis

Merita una visione attenta anche l'Ara Pacis, che rappresenta una delle più alte espressioni dell'arte augustea ed è un'opera dai profondi rimandi simbolici. La sua costruzione fu decretata dal Senato nel 13 a.C. per celebrare la conclusione delle campagne di pacificazione di Augusto, come egli stesso ricorda nelle sue Res Gestae35, e fu consacrata il 30

34 IMPERATOR CAESAR DIVI FILIUS L’imperatore Cesare Augusto, figlio del divino AUGUSTUS (Cesare), pontefice massimo, (proclamato) PONTIFEX MAXIMUS imperatore per dodici volte, console per undici volte,IMPERATOR XII CONSUL XI TRIBUNICIA POTESTAS XIV (ha rivestito la) potestà tribunizia per quattordici AEGYPTO IN POTESTATEM volte, diede (questo obelisco) in dono al sole quando POPULI ROMANI REDACTA l'Egitto ritornò nelle mani del popolo romano. SOLI DONUM DEDI

35 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 12, … il senato decretò … nel Campo Marzio, …

gennaio del 9 a.C., compleanno di Livia, divenendo a tutti gli effetti un altare sacro. Oltre ad Augusto solo Strabone menziona il monumento, del quale non ci fu poi alcuna traccia fino al 1500, quando ne fu ritrovata una parte sotto le fondamenta del palazzo Peretti, che però non erano ancora stati identificati e furono quindi sparsi per ville e musei di tutta Europa. 300 anni dopo, durante ulteriori restauri, furono rinvenuti nuovi frammenti e solo quando sotto una chiesa venne ritrovata una presunta lastra tombale i cui fregi erano collegati a quelli di questi pezzi, si sviluppò l’ipotesi che si trattasse dell’Ara Pacis. Nel 1937 per la grande celebrazione voluta dal governo fascista del bimillenario dalla nascita di Augusto il restauro fuconcluso.

L'Ara Pacis è costituita da un recinto con due fronti di metri 11,63 e due lati di metri 10,625. Al centro dei lati più lunghi due aperture, che dividono la decorazione in due pannelli, danno accesso all'altare vero e proprio, sul quale venivano compiuti i sacrifici. La decorazione esterna si svolge su due fasce: la superiore reca un fregio figurato, l'inferiore una decorazione vegetale. L'aspetto politico-propagandistico è notevole, sui fregi sono presenti infatti tutti i più importanti elementi della propaganda Augustea, non solo la Pax Augusta che l’Ara Pacis

celebrava sopra ogni cosa.

La decorazione naturalistica è formata da elaborati girali d'acanto che celano nel fogliame piccoli animali, come lucertole, serpenti, scorpioni e rane, o si intrecciano con rami di altre piante, come uva, edera ed alloro, sormontati da cigni ad ali spiegate. L'eleganza e la finezza diquesta decorazione, uno dei capolavori della scultura classica, riconducono all'arte alessandrina, con tutta probabilità infatti fu realizzata da scultori greci, molto più abili e raffinati di quelli romani. Gli intrecci di piante e animali alludono alla prosperità della natura ead una rinnovata età dell’oro e della rinascita, in richiamo agli ideali di Augusto.

Sui pannelli del fronte occidentale, quello principale, dal quale si accedeva all'altare, sono rappresentati Enea, con il capo velato e un mantello, assieme al figlio Ascanio che sacrifica primizie e una scrofa ai penati e Romolo e Remo allattati dalla lupa e assistiti da Marte, loro padre, e dal pastore che in seguito li allevò. La prima formella celebra la discendenza della gens Iuilia, la famiglia di Augusto, da Julo Ascanio, figlio di Enea, mentre la seconda formella, molto frammentata, celebra la discendenza di tutti gli uomini romani dai mitici fratelli Romolo e Remo, fondatori della città; in questo modo si celebrava la doppia origine divina del principe: da Marte, come anche tutto il popolo romano, e da Venere, madre di Enea e quindi ditutti i membri della Gens Iulia nel corso dei secoli.

Sul fronte orientale il pannello di destra, estremamente frammentato, probabilmente rappresenta la dea Roma vincitrice, personificazione di Roma, seduta su un blocco d’armi, ad indicare la fine delle guerre e la conseguente grande pace portata da Augusto. Il pannello di sinistra rappresenta la cosiddetta Saturnia Tellus, di evidente stile ellenistico, simbolo della terra fertile e dei suoi frutti, che sono rappresentati dai due putti che le siedono in grembo. Ai lati si trovano due ninfe, una seduta su un cigno in volo e l'altra su un drago marino, a simboleggiare l'aria e l’acqua e a riecheggiare la serenità della pace onnipresente, sia in terra che in mare. Sullo sfondo spighe, piante, animali agresti, allegorie della fertile terra dell'Età dell'oro, cantata anche da Orazio. Secondo alcuni la figura femminile è Rea Silvia con Romolo eRemo, piuttosto improbabile in quanto i gemelli sono già rappresentati in un altro fregio;

probabilmente la donna simboleggia la prosperità e la pace, concetti che possono essere uniti, siccome è la pace che fa prosperare l'Italia e la sua terra.

Sui lati corti invece è rappresentata una processione divisa in due parti: la prima, sul lato sud, ritrae Augusto a capo velato e coronato di alloro, assieme ai membri delle principali cariche sacerdotali dello Stato e ai membri più importanti della gens Iulia e familiari più stretti, per primo Agrippa, poi il nipote Gaio Cesare, la moglie Livia, Tiberio e il fratello Druso con il figlio Germanico e Giulia, che sono stati identificati grazie alla notevole verosimiglianza della ritrattistica romana. Nel lato nord invece compaiono gli altri membri della famiglia imperiale, quelli di minore spicco. Forse questi due pannelli rappresentano il corteo immaginario della futura celebrazione per la consacrazione dell’ Ara, dove la sequenza dei famigliari probabilmente mette in luce il vero e proprio programma dinastico di Augusto al tempo della costruzione del monumento; Augusto immagina il futuro del suo regno, in maniera piuttosto azzeccata in quanto tutti gli imperatori romani della dinastia Giulio-Claudia discendono dalle persone qui raffigurate.

La decorazione scultorea corre anche all’interno del recinto, ma visto l’evidente intento propagandistico le decorazioni più belle ed elaborate si trovano solo al’esterno, siccome solo i sacerdoti potevano entrare nell’edificio; quelle interne quindi sono di certo più semplici e meno simboliche. Queste decorazioni, formate da festoni sorretti da bucrani e ghirlande inframmezzati da patere, tipici elementi sacrificali, sono le stesse dei templi greci, e rendono ancora più evidente lo stile ellenistico del monumento.

Culto imperiale e ritratti del principe

La figura di Augusto assunse con il tempo contorni quasi sacri, ma il princeps con calcolata modestia pose dei limiti alla propria venerazione finché era ancora in vita, per non entrare in contrasto con il senato e la tradizione, quindi nel culto pubblico fu associato alla dea Roma e cominciarono ad essere venerati i Lari della famiglia imperiale e il Genio di Augusto; solo dopo la sua morte il senato gli rese gli onori dell'apoteosi e lo divinizzò. Permisela venerazione solo in oriente; lì il culto imperiale si diffuse senza problemi data la tipica usanza di adorare il sovrano come un dio. L’imperatore nominò l’ottavo mese dell’anno “Augustus ” in suo onore e gli furono inoltre dedicate nella sola Roma più di 80 statue, tra queste spicca fra tutte la statua dell’Augusto loricato o di Prima porta.

La statua di Augusto dalla villa di Livia a Prima Porta, detta anche di Augusto loricato, èuna copia di marmo di una statua bronzea che celebra il 20 a.C., quando le insegne militari dei romani, rubate dai Parti nel 53 a.C. dopo la sconfitta di Crasso a Carre, furono restituite a Roma; di conseguenza proprio il 20 a.C. è il terminus post quem per datare questa statua, che risale infatti circa al 15 a.C. . La statua è alta 2.08 m, circa 38 cm in più del vero Augusto, e lo ritrae come un giovane uomo nella divisa militare, molto più giovane di quanto non fosse al tempo e con una fisionomia che, seppur fedele nelle forme, ricorda Alessandro Magno. È

ritratto senza calzature, come segno del suo status divino, in quanto solo gli dei erano ritratti scalzi e con un bambinetto su un delfino a fianco che è Eros, a ricordare l’origine divina sua e di tutta la gens Iulia, in quanto figlio di Venere, progenitrice della gens, e quindi suo fratello. Augusto ha una lancia nella sua mano sinistra, e la sua mano destra è tesa come ad arringare l’esercito, la sua posizione è infatti quella del Doriforo di Policleto, perfettamente bilanciato nella posizione del corpo. È soprattutto questo il più evidente segno dell’influenza greca che ha subito questa statua, che forse è stata addirittura realizzata da scultori greci, in quanto la ritrattistica romana rappresentava solo il mezzobusto.

Sulla corazza sono presenti numerosi elementi simbolici , carichi di valore propagandistico. Lefibbie sulle spalle della corazza raffigurano una Sfinge, immagine presente anche sul sigillo di Augusto, in ricordo della vittoria e della conquista dell’ Egitto, come propaganda contro il dissoluto regime orientale. Nel centro della corazza è raffigurato il re dei Parti che consegna lostendardo romano con l’aquila a Romolo, personificazione dello Stato, o a Tiberio, comandante della spedizione romana nel 20 a.C. . A destra e a sinistra di queste figure sono raffigurate delle donne che rappresentano le province romane conquistate, la Gallia, la Spagna, e i popoli Germanici, e quindi simboleggiano la potenza di Roma. Sul pettorale sono rappresentati Apollo che traina il carro del sole, una divinità che personifica il cielo e Aurora con un vaso; sul fondo della corazza invece c’è la madre terra con una cornucopia, ad indicare la prosperità della terra.

Altra famosa statua è quella che rappresenta Augusto capite velato, col capo velato, che lo ritrae nelle sembianze del pontefice massimo; per questo motivo il terminus post quem è il 12 a.C. . Il princeps è anche avvolto da una veste drappeggiata e nella mano andata perduta forse reggeva qualcosa necessario al sacrificio. È inoltre presente anche una statua che ritrae Augusto nelle vesti del magistrato.

Queste tre immagini sintetizzano rispettivamente la somma del potere militare, religioso e politico detenuto da Augusto, che viene rappresentato in tutti gli aspetti della sua vita pubblica e del suo potere, come un re dell’antica tradizione monarchica romana.

Propaganda augustea, temi e valori

L’intelligenza politica di Augusto era consistita soprattutto nel sapersi circondare di collaboratori fedeli e capaci: Agrippa e Mecenate. Agrippa, suo genero, si occupò di tutte le questioni militari dell’impero, fu infatti artefice di molte vittorie militari di Ottaviano, compresa la più celebre, quella su Antonio con la battaglia di Azio. Mecenate, di ricchissima famiglia equestre di antiche e nobili origini etrusche, si occupò del difficile compito di curare l’immagine pubblica di Augusto e gestire la propaganda; aveva infatti compreso quale rilievo avessero l'arte figurativa e la poesia presso l'opinione pubblica e che queste potessero influenzare il popolo e orientarlo a favore del regime.

Mecenate raccolse intorno a sé i grandi geni dell’arte e della letteratura del tempo, come Virgilio, Orazio, Tito Livio, Ovidio, Properzio e Vario Rufo. Li sosteneva con doni e aiuti

finanziari affinché potessero dedicarsi unicamente alla loro arte e questi poi contraccambiavano celebrando nei loro versi Augusto e il suo programma politico e anche lo stesso Mecenate. Eppure mantennero tutti gran parte della loro indipendenza intellettuale, senza che fosse loro imposta un’unica linea culturale, tanto che infatti nessuno celebrò Augusto con un’epopea o in maniera eclatante, come forse lui avrebbe voluto; solo Virgilio, sebbene molto indirettamente, lo fa, esaltando Enea, e quindi la Gens Iulia, con l’Eneide. Questo perché Mecenate ritenne importante soprattutto fare in modo che in tutti quei versi aleggiasse, come immersa in un humus culturale, la somma degli ideali della restaurazione augustea, i poeti e i letterati, quindi, contribuirono nell'essere portavoci del programma politico e culturale del princeps, nonché sostenitori di tutti i suoi valori e della sua politica culturale.

La celebrazione del princeps era quindi presente, ma restava sempre implicita, forse sempre in rispetto della politica di mantenimento dell’apparente legalità del potere da parte di Augusto: come detenere tutte le cariche secondo la legge sarebbe stato segno dell’effettiva potestas, così forse lo sarebbe stato un’esaltazione troppo esplicita della sua persona, per questo probabilmente Mecenate scelse sempre un’esaltazione piuttosto implicita, che celebrasse i valori di Augusto, piuttosto che la sua persona. Ma forse Augusto avrebbe voluto una celebrazione letteraria più esplicita, che esaltasse quello che aveva compiuto e giustificasse il suo operato ribadendo la superiore auctoritas ma non potestas, sempre in rispetto della distinzione del suo potere de iure e de facto, come aveva fatto lui nelle sue Res Gestae.

Fu proprio in'età augustea che fiorirono i maggiori poeti di Roma; la letteratura latina aveva raggiunto il suo apice, si stava sviluppando con una nuova impronta classicistica e sfidava quella greca, allora considerata insuperabile; si era sviluppata con una forma sempre più raffinata, caratterizzata dal gusto dell'armonia, della giusta misura, di quella fluida eleganza che fa scorrere la poesia con apparente semplicità e naturalezza.

I motivi di quest’epoca d’oro della letteratura, che non a caso coincide con il principato di Augusto, sono da ricercare nel tipo di propaganda che Mecenate effettuò: stimolò sempre i poeti a comporre opere nel modo più elevato possibile perché alla base di tutto stava la sua idea che questa propaganda di tipo letterario fosse indirizzata solo ad un’elite ristretta. Le opere di questi grandi poeti venivano divulgate con letture pubbliche in ristretti circoli culturali, la letteratura romana di quest’epoca è una letteratura d'elite, destinata alle classi superiori, che di fatto erano quelle che guidavano e influenzavano con il loro pensiero le classiinferiori. A queste ultime era comunque destinata propaganda, di livello molto più basso e forse anche esplicito, come l’iconografia, i mimi, la pantomimica; neppure il teatro era più usato come principale strumento di propaganda, ma era rimasto solo un mezzo di intrattenimento. È quindi per questo che la letteratura del periodo augusteo è la più alta forma di letteratura latina, perche era indirizzata solo alle persone colte, ai ricchi che avevano il potere, persone che avevano ricevuto un’istruzione completa e di tipo elevato, e che potevano capire i testi così complessi e ammirarne le caratteristiche e i contenuti colmi di richiami propagandistici.

La Pax Augusta

Il tema forse più forte di tutta la politica di propaganda, più sentito e caro alla popolazione e anche agli stessi letterati, era sicuramente quello della Pax Augusta, la pace che Augusto riportò in patria a partire dalla sconfitta di Antonio e Cleopatra nel 31 a.C. 36, ponendofine a un periodo di angosce, di pericoli, di tormentosa incertezza del domani e di continuo mutamento della situazione, dovuto alla grande guerra civile e alle lotte intestine che straziarono Roma per un secolo. Nel 17 a.C. Augusto celebrò l’inizio di questo nuovo e lungo periodo di pace con i ludi saeculares, antica celebrazione che si svolgeva ogni 100 anni per ringraziare gli dei del benessere di Roma; chiuse le porte del tempio di Giano37 e fece costruirel’Ara Pacis nel Campo Marzio, simbolo per eccellenza della Pax Augusta. Questo periodo di pace interna diede nuova solidità e prosperità ad una Roma che in questo periodo raggiunse ilsuo massimo splendore economico, militare ed intellettuale; fu un'epoca di relativa tranquillità, nella quale Augusto impose la pacificazione alle terre conquistate38 e Roma non subì né grandi guerre civili né gravi invasioni, ma poiché era ferma l’opinione che la guerra fosse l'unico strumento per garantire la pace, anche in questo periodo furono condotte alcune campagne militari, sia per consolidare i confini che per espandere l’impero, in Spagna, Gallia, Egitto e contro le tribù germaniche e il regno dei Parti. Questo tema, carissimo a tutti i poeti, aleggia in tutti gli scritti di Virgilio e di Orazio, con frequenti brevissimi riferimenti alla tanto desiderata pace e all’antimilitarismo, come inizio della prosperità e dell’età dell’oro39.

Il ripristino del mos maiorum

Secondo importante tema propagandistico, molto sentito da Augusto, era quello della restaurazione di quegli antichi valori morali e civili40, il mos maiorum (costume degli antenati),che avevano garantito per secoli la solidità e la potenza di Roma, contrassegnato l’identità delle persone e collegato il presente al grandioso passato mitico della città. Augusto attribuì il lungo periodo di guerre civili e la conseguente decadenza della città proprio al declino e alla perdita di questi valori etici della romanità, causati dell’influsso della cultura orientale.

Primi tra questi valori tradizionali erano la religione e tradizione antica, che proprio per l’influsso orientale si stavano perdendo. Augusto, per frenare questa tendenza attuò una politica incentrata sul ripristino degli antichi culti romano-italici tramite un vasto programma di ricostruzione di templi a Roma41, molti dei quali dedicati ad antiche divinità, anche familiari,e riprese la celebrazione di antiche feste e giochi, trai quali rientrano anche i Ludi Saeculares.

36 Orazio, Odi, I, 37, … Ora si deve bere, ora si deve danzare a piede libero … dei Salii, o sodali. …

37 Orazio, Epodo 7, … ha rinchiuso il tempio di Quirino in pace, … Virgilio, Eneide, I, 254-296, … funeste, con duri chiavistelli di ferro, saranno chiuse le porte della guerra; …

38 Orazio, Epodo 7, … non violeranno la legge di Cesare … né quelli nati sul Tanai. …

39 Virgilio, Georgiche, II, vv. 136-176 …. Mancano tigri feroci … dalla contrazione così ampia. …

40 Orazio, Epodo 7, … ha rimesso in vita le antiche virtù, … dal letto del sole fino all’oriente. Virgilio, Eneide, I, 254-296 … Remo con il fratello Quirino daranno le leggi, …

41 Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Op. Cit., 19 e 21

Inoltre contrastò in parte i culti misterici di recente provenienza orientale, fondati su un rapporto privato e individuale con la divinità, in contrasto con il rapporto pubblico con la divinità della religione degli avi, gestito dalle diverse caste di sacerdoti strettamente legate all’amministrazione statale.

Non solo si dedicò al ripristino di antichi culti ma anche di antichi miti della tradizione romana, questo attraverso soprattutto le opere dei poeti, che inserivano spesso nei loro testi richiami ad antiche vicende, prime fra tutte il mito di Romolo e Remo42 ma anche Enea e avvenimenti legati alla guerra di Troia, potenti roccaforti antiche come Argo, personaggi mitici come Medea, eroi omerici come Ulisse43 e Laomedonte44, i 7 tradizionali colli di Roma, Febo Apollo e Diana, le Parche45 e le Ninfe46.

L’aurea mediocritas e la centralità della famiglia

Altro importante valore tradizionale era quello dell’ ”aurea mediocritas”47,ottimale moderazione, ossia il tenersi lontano da ogni forma di eccesso, nei costumi e nei modi di vita, nel pensiero e anche nella vita amorosa; il principio morale di giusta moderazione, modestia ed equilibrio in ogni situazione, per il quale conviene appagarsi serenamente di quanto offre la vita comune, evitando ogni ambizione eccessiva. Fu in quest’ottica di recupero della tradizionale moralità romana, la quale con il contatto con la cultura dissoluta orientale andavasvanendo, che Augusto rinnovò l’antica legislazione contro l’ostentazione lusso.

Inoltre per frenare la decadenza dell'istituzione familiare, cellula base della tradizione romana, sempre in rispetto dell’aurea mediocritas sopra citata, tra il 18 e il 17 a. C., Augusto emanò due provvedimenti legislativi noti come Leges Iuliae: la Lex Iulia de maritandis

ordinibus, che conteneva disposizioni per scoraggiare il divorzio, il celibato e la mancanza di prole e attribuiva vantaggiosi premi alle famiglie numerose48 e la Lex Iulia de coercendiis

adulteriis, che puniva gli adulteri con l’esilio49, della quale fece le spese anche la figlia Giulia nel2 d. C. . Questi provvedimenti però non ebbero molto effetto e non modificano i comportamenti dei Romani, in quanto la famiglia stava ormai profondamente cambiando: le donne avevano raggiunto una maggiore emancipazione e parità, diventando così più indipendenti. Il divorzio poteva essere chiesto anche da una donna ed essa era soprattutto libera dalla tutela, poteva disporre liberamente dei suoi beni, farli amministrare da chi voleva

42 Orazio, Epodo 7, … L’infamia di aver ucciso un fratello … il sangue di Remo bagnò innocente la terra. …

43 Orazio, Epodo 16, … Laggiù mai non giunse nave d’Argo … la schiera di Ulisse. …

44 Virgilio, Georgiche, libro I, vv. 463-514 … Gli spergiuri di Laomedonte, di Troia; …

45 Orazio, Carmen Saeculare, … Febo e Diana, dea delle foreste … … Per gli dei che i sette colli hanno cari … … voi che veraci annunziaste, o Parche, gli eterni fati …

46 Virgilio, Georgiche, libro II, vv. 490-502, … E le ninfe sorelle …

47 Orazio, Odi, 2, 10, 5

48 Orazio, Carmen Saeculare, … Cresci la prole, prospera i decreti … e la legge maritale di nuova prole feconda …

49 Orazio, Epodo 7, … Ha frenato la licenza che andava oltre il segno …

e lasciarli in eredità ai figli. Questo cambiamento fu comunque molto ridotto e marginale, si verificò solo nelle classi più elevate e istruite e comunque fu molto graduale, perché il potere del marito restava ancora molto forte.

Critica alla cultura orientale

Altro tema sempre legato al ripristino dei valori tradizionali romani era la critica alla cultura dissoluta orientale, che stava ormai prendendo il sopravvento a Roma a causa dei troppi contatti con il mondo ellenistico, e aveva favorito un clima di corruzione e dissolutezza profondamente contrario agli antichi valori repubblicani. Questo interesse di Augusto era cominciato già nel 36 a.C., quando per sconfiggere il grande rivale Marco Antonio, approfittò del fatto che quest’ultimo si fosse avvicinato sempre di più a Cleopatra, regina dell’Egitto, per promuovere se stesso come paladino e difensore dell’occidente e della centralità dell’Italia, dove ormai aveva un potere assoluto e grande popolarità, contro Antonio, nemico di Roma perché avrebbe fatto di Alessandria la nuova capitale dell’impero. Ovviamente facevano parte di quest’abile campagna diffamatoria anche una serie di critiche a Cleopatra delle quali è portavoce Orazio, che parla dei danni nefasti che la regina con la sua follia avrebbe portato al Campidoglio e all’impero, sfrenata e inebriata dal suo potere in patria e dalla sua immensa ricchezza di sovrana50. La regina, però, si riscatta infine come donna coraggiosa, perché morì con fierezza, uno degli ideali fondamentali della virtus del cittadino romano, preferendo il morso letale di serpenti velenosi piuttosto che essere condotta in trionfo a Roma e umiliata51.

Una rinnovata età dell’oro

Altro valore sempre legato alla politica di ripristino del mos maiorum di Augusto è un ritorno alla semplice vita agreste, basata sulla piccola proprietà e sull’autarchia. La prosperità della terra e questa rinnovata età dell'oro sono frutto della pace portata dal princeps52; con la fine delle sterili guerre civili non solo sono rinate le persone ma anche i campi, devastati dai continui saccheggi e dal sangue. Senza il contatto con le guerra e con la morte la vita trascorreva serena nella campagna, la terra era tornata feconda e ricca di pascoli e armenti e aveva ricominciato a produrre piante rigogliose53, e a restituire all’Italia, centro geografico ed ideologico dell’Impero romano, la bellezza di un tempo54. Virgilio, con le Bucoliche e le Georgiche, scrive i poemi della terra e dell'uomo, l'apoteosi del lavoro umano, l'agricoltore è l'eroe glorioso per la sua quotidiana fatica. Nelle sue opere la terra feconda produce messi

50 Orazio, Odi I, 37, … la regina preparava nella sua follia … inebriata dalla sua fortuna favorevole …

51 Orazio, Odi I, 37, … ed essa, cercando di morire con una certa fierezza … donna di non umili natali. …

52 Orazio, Epodo 7, … Cesare ha ridato ai campi ricche messi … Virgilio, Eneide, VI, vv. 781-886, … L’Augusto Cesare, … che fonderà di nuovo il secolo d’oro nel Lazio …

53 Virgilio, Georgiche, II, vv. 136-176, … Non le hanno arate tori spiranti fuoco … e di fitte aste … Virgilio, Bucolica IV, … Finirà in tutto il mondo l’età del ferro e rinascerà l’età dell’oro …

54 Virgilio, Georgiche, II, vv. 136-176, … Aggiungi a tutto …. E fluì abbondantissima d’oro nelle sue vene ….

spontaneamente, senza fatica55, senza il duro lavoro dell’agricoltore, messi che sono esageratamente abbondanti e rigogliose, frutti copiosi che pendono dai rami56. Ma anche Orazio canta l’abbondanza57 ,seppure con toni non così epici come quelli di Virgilio, e anche luipassa ad un’esaltazione smisurata di una natura che produce senza sforzo e in grande abbondanza tutti i suoi frutti, senza più nemmeno la presenza elementi nocivi, come bestie feroci o piante parassite, perché ormai allontanati da un’idilliaca pace58.

Celebrazione di Augusto e Roma

Infine, come ultimo tema della propaganda Augustea, è sempre presente, seppur quasi sempre piuttosto implicita e camuffata, la celebrazione di Augusto stesso e della gens Iulia, unita a quella della grandezza e dell’illustre discendenza divina di Roma59. Si celebra il primatodell’Italia sulle province e si celebrano di Roma i progenitori, uomini forti ed eroici che con la loro tempra hanno gettato le fondamenta del nuovo impero60. In quasi tutti i testi però ci sono sempre un ristrettissimo numero di versi dedicati ad una brevissima seppur mirata esaltazione del princeps, dove viene effettivamente menzionato assieme alla sua grandezza e ai suoi meriti61. L’esaltazione di Augusto raggiunge il culmine nell’Eneide di Virgilio, epopea sull’eroe troiano Enea, dove non solo è piuttosto esplicito il collegamento tra Enea, mitico progenitore della Gens Iulia, il cui nome nasce appunto da suo figlio Iulo, e Augusto stesso, secondo quella propaganda di continuità tra la storia mitica di Roma e il presente, ma sono presenti alcuni paragrafi di magniloquente esaltazione del princeps62, che vede in quest’opera sopra ogni altra la più elevata celebrazione.

Paura dopo le guerre civili e ricerca della sicurezza

55 Virgilio, Georgiche, libro II, vv. 490-502, … Coglie i frutti che i rami … spontaneamente producono … Virgilio, Bucolica IV, … La terra per prima, senza nessuna coltivazione … trasuderanno rugiadosi mieli … … Ogni terra produrrà tutte le cose: … coprirà gli agnelli mentre sono al pascolo ….

56 Virgilio, Georgiche, II, vv. 136-176, … Le bestie sono due volte gravide … sono adatti per i frutti …

57 Orazio, Carmen Saeculare, … Di messi e greggi fertile la terra …. E le salubri aure di Giove … … Già beata col suo corno pieno viene l’abbondanza …

58 Orazio, Epodo 16, … Dove il suolo dà i suoi frutti senza essere arato …. Né si riempie la terra di vipere. …

59 Virgilio, Bucolica I, … Questa tanto emerse tra le altre città quanto i cipressi sogliono tra i flessibili viburni … Virgilio, Eneide, VI, vv. 781-886, … La gloriosa Roma uguaglierà il suo dominio … feconda d’una stirpe d’eroi … Virgilio, Eneide, I, 254-296, … A costoro io non pongo né limiti … ho assegnato un dominio illimitato …

60 Virgilio, Georgiche, II, vv. 136-176, … Questa generò anche i Deci … e i restanti Scipioni durante la guerra …

61 Orazio, Epodo 7, … Con cesare alla guida dello stato … Orazio, Odi I, 37, … Cesare, incalzando a forza di remi …. Respinse alla paurosa realtà la mente sconvolta … Virgilio, Georgiche, libro I, vv. 463-514, … Non impedite almeno che questo giovane … società in rovina … Virgilio, Georgiche, II, vv. 136-176, … E te o grandissimo, … tieni lontano l’imbelle Indo dalle rocche romane … Virgilio, Bucolica I, … Un dio creò per me questa pace … … egli sarà per me sempre un dio …

62 Virgilio, Eneide, I, 254-296, … Nascerà troiano di splendida origine Cesare … chiuse le porte della guerra … Virgilio, Eneide, VI, vv. 781-886, … Qui è Cesare, e tutta la progenie di Iulo … sbocchi del Nilo dalle sette foci …

Il tema dominante delle opere dell’età Augustea, che però non fa strettamente parte della propaganda del principe, si potrebbe definire quello della grande paura dopo le guerre civili, e quindi del rifiuto della guerra e della conseguente ricerca di sicurezza e tranquillità, dell’otium, e della speranza in Augusto come portatore di pace. Questo perché autori come Tacito, Virgilio e Orazio erano nati in piene guerre civili63, ed erano cresciuti in quel clima di

paura e angoscia64, desiderando immensamente un momento di pace. Orazio infatti esalta

spesso un immaginario futuro di pace e tranquillità65, che non è altro che l’età Augustea, e solo

quando questo evento ritenuto estremamente impossibile, vista la situazione di continue rivolte in cui scrive 66, accadrà sarà lecito tornare dopo essere fuggiti dalle guerre civili67.

Questi autori poi condannano la guerra, come mezzo di autodistruzione di un popolo grande come quello Latino68 e che mina la tranquilla vita agreste dei contadini69, non solo per le

incursioni dei nemici e le guerre ma anche per l’esproprio delle loro terre a favore dei veterani70 ; Virgilio stesso subì l’esproprio di un podere, a cui fa chiaro riferimento nella

Bucolica I, dimostrando che questo è un tema a lui molto caro. Parlano inoltre della pace comequalcosa di duraturo, e che sarà ottimamente mantenuto da Augusto71; pur credendo nella sua

missione però, non vogliono che si dimentichi il passato, perché deve rimanere come monito per i posteri.

La necessità dell’Impero

Già Tacito sente la necessità, storica e politica, dell’Impero, e del governo di un solo, e ritiene il passaggio dalla travagliata età repubblicana all'età imperiale inevitabile perché unicomezzo per mantenere la pace, l’unità e l’ordine dell’Impero, e questo suo pensiero è universalmente riconosciuto.

63 Orazio, Epodo 16, … Di nuovo il mio tempo si logora in guerre civili e Roma di suo pugno rovina ….

64 Virgilio, Georgiche, libro I, vv. 463-514, … Da tempo ormai e quanto basta abbiamo pagato col nostro sangue …

65 Orazio, Epodo 16, … In cerca andremo di isole felici e di campi, campi beati …

66 Orazio, Epodo 16, … Sia lecito tornare solo quando …. E un caprone liscio s’innamorerà del mare …

67 Orazio, Epodo 16, … Poi dal bronzo il tempo s’indurì nel ferro … fuggono i giusti in pace ….

68 Orazio, Epodo 7, … Perché impugnate le spade in disarmo? …. Perisse questa città di propria mano? …

69 Virgilio, Georgiche, libro I, vv. 463-514, … Tempo verrà in cui il contadino … nell’alveo dei sepolcri. … … privati dei coloni giacciono incolti … trasformate in rigide spade …

70 Virgilio, Bucolica I, … L’empio soldato avrà questi tanto coltivati campi, … per questi noi seminammo i campi …

71 Orazio, Epodo 7, … Né guerra civile né alcuna violenza potrà scacciare la pace …

Prima, e più valida motivazione dell’Impero era appunto la pace, unica forza in grado di salvare uno stato sempre più accumunato da un forte desiderio di riconciliazione dal caos delle guerre civili72. Nella popolazione, stremata dal sangue e dalla distruzione delle secolari guerre civili, c’era appunto un fortissimo desiderio di sicurezza, stabilità e pace, che solo il principato era in grado di fornire e mantenere, e che avrebbero accettato pur perdendo la lorotradizionale libertà repubblicana.

Inoltre è evidente che il dominio di Roma ormai si estendeva su un territorio troppo vasto, e gestirlo era diventato troppo complicato per un ordinamento ancora repubblicano, basato sull’estensione di Roma nel III secolo a.C.; era quindi anche la vastità stessa dell'impero che esigeva il governo di un princeps, altrimenti Roma sarebbe crollata a causa della sua estensione. L’impero, ormai vastissimo, si era difatti col tempo trasformato in un'ecumene di popoli e di tradizioni diverse, che trovano in Roma e nell'Italia il proprio centro direttivo, e che non sarebbero state in grado di equilibrarsi senza un reggitore.

Ultimo motivo per il quale ormai il principato era divenuto necessario era l’ormai completo snaturamento delle tradizionali istituzioni repubblicane, che non potevano più essere ripristinate. La repubblica era ormai giunta a un punto di non ritorno, ed era troppo corrotta: un ritorno alla libertà e all’ uguaglianza, principi fondamentali che essa professava, erano ormai irrealistici dopo le trasformazioni avvenute nell'ultimo secolo, lo strapotere e l’egemonia del senato prima e poi tutti i poteri personali e di tipo dittatoriale che si erano alternati, per brevi periodi, durante tutto il secolo precedente alla presa di potere di Augusto. Le ragioni di questo sono da ricercare innanzitutto e soprattutto nella riforma dell’esercito di Gaio Mario e poi anche in una diffusione di un sempre più marcato senso individualistico a Roma, in concomitanza con la penetrazione, grazie alla politica di espansionismo romana, dei valori dalle tendenze corrotte e dissolute della civiltà ellenistica. Con la riforma di Mario infatti, che prevedeva l’arruolamento volontario con salario fisso, nacque un esercito professionistico legato sempre di più al comandante piuttosto che allo stato e al senato, disposto quindi a seguire gli ordini del suo generale, spesso con la promessa di un compenso in terre o denaro, anche quando il senato si opponeva. E fu appunto questo che diede inizio ad un ricorso sempre più assiduo alla dittatura, la cui portata costituzionale prevista dall'ordinamento repubblicano venne così stravolta, stravolgendo poi l’intero apparato repubblicano nonché l’intera società romana.

In questo complesso quadro di continue guerre e prese di potere e declino della repubblica si inserì Augusto, che concentrato il potere nelle sue mani senza però l’uso della dittatura, che al suo predecessore aveva portato ad un risultato opposto a quello desiderato, rispose in maniera ottimale al bisogno dello Stato romano di una figura di guida e di ispirazione politica. Si prodigò però di non farlo notare, rifacendosi al passato e ripristinando tutti quegli antichi e anacronistici valori repubblicani che il caos aveva turbato, solo per compiacere il senato, suo unico e grande avversario, e organizzare un più forte consenso. Sembra quindi questo principato moderato e contenuto, camuffato da repubblica restaurata data l’incompatibilità

72 Publio Cornelio Tacito, Op. Cit., IX, … Nessun altro rimedio era rimasto per porre fine alle discordie della

patria, fuorché il governo di un solo …

della monarchia con la mentalità romana, l'unica soluzione per reggere la compagine imperiale, una politica completamente nuova, che si adatta alla realtà di un Impero divenuto oramai virtualmente universale.

Fonti:

• Publio Cornelio Tacito, Annales ab excessu divi Augusti

• Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Res Gestae divi Augusti

• Orazio, Epodo 7; Epodo 16; Odi I, 37; Carmen Saeculare

• Virgilio, Georgiche, libro I, vv. 463-514; libro II, vv. 136-176; libro II, vv. 490-502,

• Virgilio, Bucolica I; Bucolica IV,

• Virgilio, Eneide, VI, vv. 781-886; Virgilio, Eneide, I, 254-296

Bibliografia:

• L. Marisaldi, M. Dinucci, C. Pellegrini, Storia e geografia, vol 2, Zanichelli

• Materiale didattico fornito dall’insegnante

• www.wikipedia.org

• www.italiadonna.it

• www.treccani.it

• www.cronologia.leonardo.it

• www.progettovidio.it