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Test di Coombs in gravidanza All'inizio della gravidanza, le gestanti vengono sottoposte ad un test per determinare il gruppo sanguigno ( A, B, AB, 0) e la presenza del fattore Rh (Rh positivo/ Rh negativo), altrimenti detto antigene D. Questi esami, eventualmente condotti anche sul marito o sul presunto genitore, sono importantissimi per accertare l'incompatibilità tra il sangue della madre e quello fetale . Il fattore Rh, essendo fortemente immunogeno, è in grado di stimolare la comparsa di anticorpi che possono provocare forti reazioni emolitiche. 1

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Test di Coombs in gravidanza

All'inizio della gravidanza, le gestanti vengono sottoposte ad un test per determinare il gruppo sanguigno (A, B, AB, 0) e la presenza del fattore Rh (Rh positivo/ Rh negativo), altrimenti detto antigene D. Questi esami, eventualmente condotti anche sul marito o sul presunto genitore, sono importantissimi per accertare l'incompatibilità tra il sangue della madre e quello fetale. Il fattore Rh, essendo fortemente immunogeno, è in grado di stimolare la comparsa di anticorpi che possono provocare forti reazioni emolitiche.

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Nota: autosomico. Si definisce autosoma un cromosoma che non contiene informazioni genetiche specifiche alla caratterizzazione sessuale dell'individuo.

La trasmissibilità del fattore Rh dai genitori ai figli è ben evidenziabile dalla figura successiva.

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Geneticamente il sistema Rh è determinato da tre loci genetici ognuno dei quali presenta due alleli. I loci, in ordine di potere immunogeno, sono i seguenti: D, C, E. Per ogni loco, come sappiamo, ci sono due alleli. Il gene D può presentarsi come D maiuscolo o d minuscolo, così il C, così l’E. Si avranno quindi nel genotipo una serie di patterns:

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DD Dd dd

CC Cc cc

EE Ee ee

Ognuno degli antigeni sia maiuscoli che minuscoli presenti nel genoma si esprime sulla membrana eritrocitaria venendo a costituire un pattern fenotipico caratteristico.

La scoperta del sistema Rh è probabilmente attribuita a Landsteiner (cioè allo stesso scopritore del sistema AB0) nel 1940, mentre Fisher ammette l’esistenza di tre coppie di geni alleli (Cc, Dd, Ee) che occupano, alternativamente, tre loci strettamente associati sul cromosoma Rh. Dalle loro diverse combinazioni prendono origine 8 complessi genici che, in ordine di frequenza, sono:

CDe, cde, cDE, cDe, Cde, cdE, CDE, CdE.

Questi complessi genici non sono praticamente separabili fra loro e vengono trasmessi immodificati ai figli: se un soggetto riceve da un genitore il complesso CDe e dall’altro quello cde trasmetterà ai suoi figli uno di questi due e non, ad esempio, il complesso Cde o cDe.

Poiché non esiste l’anticorpo anti-d (e quasi certamente nemmeno il relativo antigene, dato che la sigla “d” è oggi esclusivamente utilizzata per indicare assenza di D) è spesso impossibile indicare l’esatto genotipo Rh. Impiegando i cinque antisieri disponibili oggi in commercio (cioè l’anti-D, l’anti-C, l’anti-c, l’anti-E e l’anti-e) è possibile, comunque, determinare il fenotipo. Nel caso ad esempio che un campione sia positivo con i sieri anti-C, anti-c, anti-D e anti-e e negativo con l’anti-E, se ci serviamo della nomenclatura di Fisher che è la più usata, questo fenotipo va indicato con CcDee (seguendo cioè l’ordine alfabetico e non quello dei loci o del grado di immunogenicità) e indicando una sola volta l’antigene D, dato che la mancanza del siero anti-d non permette di affermare se questo antigene è in doppia o singola dose (comunque anche quando il campione non è reattivo con l’anti-D, nel fenotipo si indica il “d” una sola volta, perché, come già detto, il termine “d” significa, ormai, soltanto mancanza dell’antigene D). Sebbene il numero degli antigeni sia cospicuo, i 5 antigeni principali D,C,c,E,e e i loro rispettivi anticorpi costituiscono la maggior parte delle problematiche cliniche che coinvolgono questo sistema complesso.

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Per i gruppi sanguigni invece la distribuzione geno-fenotipica è evidenziata in figura

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Genetica e Biochimica del sistema Rh

Le più recenti conoscenze sulla genetica e sulla natura degli antigeni Rh “normali” e dei vari fenotipi “parziali”, “difettosi” o “ deleti” del sistema RH sono derivate dai contributi che la genomica ha saputo offrire in questi ultimi anni.Attualmente si ritiene che l’ereditarietà degli antigeni del sistema Rh sia determinata da un complesso di 2 geni strettamente associati situati sul cromosoma 1 (teoria formulata da P. Tippet nel 1989) :

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a) un gene RHD che codifica la proteina D che conferisce la specificità antigenica D. Negli individui caucasoidi D negativi il gene RHD è deleto mentre in altre popolazioni (africane, asiatiche) il fenotipo D negativo è associato ad un gene RHD inattivo, mutato o parzialmente attivo;

b) un gene RHCE, che invece codifica per proteine che conferiscono le specificità antigeniche C,c,E,e. Gli alleli sono RHCe, RHCE, RHcE e RHce.

Entrambi i geni vengono trasmessi insieme di generazione in generazione.L’ereditarietà del fenotipo Rh segue un modello dominante, per cui è sufficiente una copia del gene RHD per esprimere il carattere.

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Gli individui D+ o Rh+ possono essere DD (omozigote) oppure Dd (eterozigote) , mentre gli individui D- o Rh- (recessivo) solo omozigoti dd.

I prodotti di entrambi i geni RHD e RHCE chimicamente sono proteine disposte sulla superficie dei globuli rossi (proteine trans membrana) di 417 aminoacidi. I loro terminali –NH2 e –COOH attraversano, infatti, il doppio strato lipidico eritrocitario, formando una struttura costituita da 12 domains o domini transmembrana, collegati tra loro da loops : 6 loops sporgono verso lo strato extracellulare della membrana detto glicocalice e 6 sporgono verso l’interno citoplasmatico.

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Diversamente, poi, dalla maggioranza delle proteine associate ai gruppi sanguigni le proteine Rh non sono glicosilate.

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Esiste una elevata omologia di sequenza (92%) tra i prodotti dei geni RHD e RHCE mentre tale omologia di sequenza è ancora più elevata tra i prodotti dei differenti alleli RHCE . Le proteine C e c si differenziano una dall’altra ad esempio per 4 aminoacidi nelle posizioni 16, 60, 68 e 103 mentre la presenza di una prolina o di una alanina nella posizione 226 differenzia la proteina E da quella e.

All’interno della membrana eritrocitaria le proteine Rh formano un complesso con una proteina Rh-associata detta RhAG (codificata dal gene RHAG situato sul cromosoma 6) che per il 37% della sequenza risulta omologa con le proteine Rh.

L’antigene D, come già anticipato, è il più immunogeno degli antigeni del fenotipo Rh, causando un’immunizzazione in almeno il 50% dei casi nei quali un soggetto Rh negativo riceve una singola unità Rh positiva. La lettera “d” è comunemente utilizzata per indicare la mancanza della sostanza D nei soggetti Rh negativi. La maggior parte degli individui D- (D negativo) risultano omozigoti per l’allele RHce, il gene che codifica per gli antigeni c ed e ; inoltre presentano con meno frequenza gli

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alleli RHCe o RHcE. Per quanto riguarda l’allele RHCE che codifica gli antigeni C ed E è molto raro sia negli individui D- (D negativi) e D+ (D positivi).

Ora, sempre con riferimento al fattore Rh, in caso di incompatibilità, la madre può sviluppare una risposta immunitaria contro i globuli rossi del feto, producendo anticorpi in grado di attaccare e distruggere le emazie del giovane organismo; la possibile e pericolosa conseguenza è un'anemia, nota come malattia emolitica del feto (MEN), che nei casi più gravi può condurre a morte intrauterina.

Una incompatibilità verso i canonici gruppi sanguigni AB0 può causare invece ittero.

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Madre con gruppo 0 positivo: è consigliabile che il padre esegua l'esame perché, se fosse A, B o AB il bambino alla nascita potrebbe presentare l'ittero da incompatibilità AB0.

Se il gruppo dei genitori è lo stesso, non ci sono problemi per il bimbo. I globuli rossi presentano sulla superficie degli antigeni (A e B) che determinano l’appartenenza di ciascuno di noi ad un gruppo sanguigno (A, B, AB in caso di presenza contemporanea e 0 in caso di assenza).

L’incompatibilità tra madre e feto si può verificare più comunemente se la madre è di gruppo 0 ed il feto di gruppo A o B; tuttavia, anche in caso di madre di gruppo A e feto di gruppo B e viceversa (madre B, feto A) tale evenienza è possibile. Sebbene l’incompatibilità AB0 si verifichi nel 20-25% delle gravidanze, la malattia si manifesta solo nel 10% di tali parti. In questi casi, anche alla prima gravidanza, la madre produce anticorpi immuni (di classe IgG, in grado di attraversare la placenta) che

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passano nel circolo sanguigno del feto provocando emolisi, cioè distruzione dei globuli rossi, con conseguente anemizzazione ed ittero (colorazione giallastra della cute e delle mucose), conseguente all’accumulo di bilirubina, prodotto di degradazione della emoglobina.

L’ittero, indipendentemente dalle cause che lo hanno provocato, e che nel neonato possono essere di diversa natura, è pericoloso per valori di bilirubina superiori a 20 mg/ml, in grado di provocare danni cerebrali.

La diagnosi di certezza di incompatibilità AB0 è difficile, perché i test in uso non forniscono sempre dati totalmente dirimenti. In ogni caso, rispetto all’incompatibilità Rh, quella AB0 è di solito molto meno grave, non comporta compromissione fetale né importante anemizzazione; si manifesta di solito esclusivamente con un ittero che raramente (10% degli affetti) supera i valori di 20 mg/ml e di solito viene ben contrastato dalla fototerapia (esposizione del neonato a luce ad alta intensità) che converte la bilirubina in una forma non tossica e facilmente eliminabile (probabilmente la luce modifica la struttura molecolare della bilirubina in modo da renderla solubile in acqua eliminandola attraverso bile e urine). Dopo 2-4 settimane l’emolisi può provocare una diminuzione dell’emoglobina detta "anemia tardiva del neonato" o anemia di Ecklin.

La malattia si risolve poi spontaneamente con la scomparsa degli anticorpi materni.

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La malattia emolitica del neonato (MEN) si caratterizza per la distruzione dei globuli rossi fetali, a causa del passaggio transplacentare dei corrispondenti alloanticorpi di tipo IgG prodotti dalla madre. Nella forma più grave e caratteristica, la malattia emolitica del neonato è provocata da immunoglobuline dirette contro antigeni del sistema Rh, ma può essere provocata anche da anticorpi diretti contro altri antigeni dei globuli rossi (antigeni dei Sistemi Kell, Duffy, Kidd, MN Ss, Lutheran).

Le conseguenze della malattia emolitica durante la vita fetale spaziano dalle manifestazioni cliniche di un'anemia lieve sino alla morte "in utero". Dopo la nascita i problemi principali sono legati all'iperbilirubinemia con forte itterizia (Per ittero si intende la colorazione giallastra ed uniforme che la cute, le sclere ed altri tessuti assumono in risposta ad un innalzamento patologico dei valori ematici di bilirubina, con conseguente accumulo della sostanza a livello locale) e possibili danni neuronali.

Per controllare la presenza e la concentrazione di eventuali anticorpi materni contro i globuli rossi del feto, viene eseguito il cosiddetto Test di Coombs che può essere:

diretto: ricerca degli auto-anticorpi adesi sulla superficie degli eritrociti

indiretto: ricerca degli anticorpi nel siero della madre.

Il test diretto viene eseguito cimentando il sangue intero del paziente con il siero di Coombs (siero di coniglio con Ab anti-autoanticorpi).

Nel caso in cui siano presenti auto-Ab adesi alla membrana dei globuli rossi, gli anticorpi presenti nel siero di Coombs creerebbero dei legami a ponte responsabili dell'agglutinazione dei globuli rossi e formazione di precipitato (test di Coombs diretto positivo); in caso in cui non fossero presenti, il campione non subirebbe alcuna modifica (test di Coombs diretto negativo).

Il test di Coombs diretto è utilizzato nella diagnosi di MEA (Malattie emolitiche autoimmuni), MEN (Malattia emolitica del neonato) e per la visualizzazione delle reazioni trasfusionali.

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Al test di coombs indiretto, che di regola dovrebbe dare risultati negativi, dovrebbero essere sottoposte tutte le gestanti nel primo trimestre di gravidanza (entro la 16 esima settimana), soprattutto quando il gruppo sanguigno della madre è Rh negativo e quello del padre è Rh positivo. In tal caso, infatti, è assai probabile che il sangue del feto presenti l'antigene D (quindi Rh positivo) e che l'organismo materno (Rh negativo) sviluppi di conseguenza anticorpi anti-Rh.

Il problema, in tal senso, non si pone se entrambi i partner sono Rh negativi (perché il figlio sarà anch'esso Rh negativo, quindi privo di antigene D), oppure se la madre è Rh positiva indipendentemente dal padre.

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Sulla base di queste premesse, nelle donne Rh negative il test di Coombs viene ripetuto ogni mese, mentre in quelle Rh positive viene ripetuto nel terzo trimestre di gravidanza. Qualora durante i vari controlli si evidenzino anticorpi, occorre monitorarne il titolo con esami quindicinali nel corso della gravidanza. Se poi si nota

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un aumento progressivo del titolo anticorpale, con molta probabilità si sta sviluppando una malattia emolitica nel feto.

Quando il test di Coombs indiretto ha esito positivo è necessario procedere con l'identificazione e la titolazione degli anticorpi antieritrocitari; una volta identificati, molto importanti sono anche i controlli incrociati sul partner, in modo da valutare la possibile presenza nel feto dell'antigene verso cui è rivolto l'anticorpo materno titolato.

La malattia emolitica del feto da incompatibilità materno-fetale D (da anti-Rh) è la forma più grave e fino a pochi decenni orsono rappresentava un grosso problema di sanità pubblica.

Quindi ricapitolando abbiamo

Il test di Coombs indiretto dà risultati positivi se nel circolo sanguigno materno sono presenti anticorpi liberi contro altri globuli rossi. In caso di positività, è possibile identificare e quantificare l'anticorpo in questione; esiste infatti la possibilità che la madre sviluppi anticorpi anche per fattori sanguigni minori rispetto al fattore Rh (anti-Kell, anti-c, anti-E, ecc.). Si tratta di casi piuttosto rari, che a differenza di quanto vedremo per il fattore Rh, non sono prevenibili tramite immunoprofilassi. La loro frequenza è pari allo 0.05% delle nascite e solo il 10% ha una rilevanza clinica tale da richiedere un intervento trasfusionale. Gli anticorpi anti-c e anti Kell provocano le MEN clinicamente più significative di questo gruppo.

La MEN dovuta a incompatibilità AB0 fra madre e figlio è piuttosto frequente, non si manifesta nel feto ma è causa importante di ittero neonatale, generalmente senza complicazioni significative

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Un test di Coombs positivo è quindi preoccupante solo in alcuni casi, e solo se la presenza di anticorpi supera certi livelli: sarà il curante a fornire maggiori indicazioni a riguardo.

Test di Coombs, fattore Rh e malattia emolitica del neonato

Durante la gravidanza, piccole quantità di sangue fetale possono entrare nella circolazione materna, ma grazie alla placenta si tratta in genere di quantità insufficienti ad evocare una risposta immunitaria aggressiva. La situazione si capovolge al momento del parto, specie se vengono effettuate manovre ostetriche traumatiche (ad esempio la versione cefalica del feto), o in caso di aborto; in simili circostanze, quantità importanti di sangue fetale entrano in contatto con quello materno, stimolando un lento processo di alloimmunizzazione con sintesi di alloanticorpi (così chiamati perché destinati a combattere antigeni provenienti da un individuo appartenente alla medesima specie).

Il rischio di malattia emolitica da anticorpi anti Rh è quindi modesto per il primo figlio, ma piuttosto elevato per le gravidanze successive (a patto che il padre sia Rh positivo). In effetti, l'eventuale riesposizione all'antigene (emazie fetali Rh-positive), scatena una risposta immunitaria secondaria con produzione di anticorpi IgG, in grado di attraversare la placenta e danneggiare i globuli rossi del feto.

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NOTA BENE: già nella prima gravidanza la madre può essere immunizzata nei confronti di antigeni eritrocitari fetali come l'antigene D, ad esempio per pregresse trasfusioni di sangue o emoderivati, oppure per uso promiscuo di siringhe infette.

Per questo motivo il test di Coombs viene eseguito ad inizio gravidanza su tutte le gestanti, indipendentemente dal gruppo sanguigno.

Giusto per informazione sui gruppi sanguigni riporto una tabella per evidenziare le modalità di ricezione o donazione del sangue.

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Durante l’analisi sierologica di soggetti D+ (D positivi) cioè (DD o Dd) è possibile osservare una certa diversa intensità o dose dell’antigene D, da chiare agglutinazioni ad altre in cui l’antigene viene

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riconosciuto sulla membrana dei globuli rossi solo per mezzo di tecniche più sofisticate come le indagini molecolari basate sulla tecnica della reazione polimerasica a catena o PCR. Per motivi genetici, l’espressione dell’antigene Rh può subire alterazioni strutturali che possono riguardare la sua espressione fenotipica. E’ possibile, quindi, riconoscere diverse situazioni :

a) assenza di antigene D

b) antigene D debolmente espresso (D debole o Du). Il termine Du oggi è stato abbandonato, in quanto non ritenuto appropriato.

Geneticamente esistono tre categorie di antigeni D deboli:

1. D deboli per effetto posizone in combinazione con l’antigene C in posizione trans (se l’interazione avviene tra geni o tra loro prodotti posti sullo stesso cromosoma si parla di effetto cis se invece l’interazione avviene tra un gene o il suo prodotto con un altro gene posizionato sul cromosoma omologo si parla di effetto trans);

2. D deboli per effetto di geni trasmissibili che corrisponde alla situazione un tempo definita come Du ereditaria

3. D parziale, in passato noto come D mosaici o D variant che indica la situazione di una variante genica qualitativa che a volte si esprime anche con un indebolimento della reazione con sieri anti-D per cui i globuli rossi si comportano come D deboli. La causa risiede in un difetto strutturale che conduce all’assenza di epitopi antigenici (quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico e possono essere sequenziali cioè caratterizzati da una specifica sequenza lineare aminoacidica oppure conformazionali, riconosciuti dal sistema immunitario come complessi tridimensionali ) di cui è costituito l’antigene D.

La distribuzione del fattore Rh a livello mondiale è rappresentato dalla figura sottostante

Altri sistemi gruppo-ematici

Oltre agli antigeni del sistema AB0 e Rh esistono sui globuli rossi numerosissimi altri antigeni raggruppati o no in sistemi: Kell, Duffy, Kidd, MNSs, P, Lutheran, Lewis, Diego, Auberger, Scianna, Sid ecc. Tutti gli antigeni eritrocitari vengono ereditati come caratteri mendeliani semplici autosomici , eccetto l’antigene Xgª, il cui gene è associato al cromosoma X.

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Tra gli antigeni elencati, sono implicati in problemi trasfusionali e nella malattia emolitica da incompatibilità materno fetale principalmente il Kell (K), il Duffy (Fy) e il Kidd (Jk).

GENETICA DEL FATTORE Rh

Il Fattore Rhesus (Rh) è, come visto, un antigene eritrocitario di superficie. Il locus Rh si trova sul cromosoma 1 (1p34-p36) braccio corto, ed è costituito da due geni omologhi RHD e RHCE (96% di omologia).

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La delezione del gene RhD si verifica nel 15% della popolazione caucasica, il cui gruppo sanguigno viene definito Rh negativo (Rh-).

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