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CONCORSO PER LE SCUOLE
Il Tempo della Poesia
dedicato a Giovanni Pascoli nel centenario della sua morte (1912-2012)
Tesi Universitaria
Laurea Magistrale
Insegnamento dellitaliano come lingua
straniera
Il miele della poesia
Nome: Ana Lpez Rico
Universit per Stranieri di Perugia
Facolt di Lingua e Cultura Italiana
Anno Accademico 2012/2013
A Pascoli
Recuerdo mis caricias a tus versos aejos,
El perfume de tus cartas de amor entre mis dedos.
Mi corazn que palpita por sentimientos ajenos.
A.L.R.
Dedicatoria e ringraziamenti
Dedico la mia Tesi di Laurea al Pascoli poeta e fanciullino perch mi ha
insegnato a conoscere me stessa pi profondamente man mano che leggevo,
scoprivo e mi documentavo sugli aspetti della sua vita e opera facendo i lavori
di ricerca per completare questi saggi.
Un ringraziamento va a tutti i pascolisti, esperti di letteratura e amanti
dellopera del Nostro che ho incontrato durante il mio viaggio fra i luoghi
pascoliani, in maniera speciale a Giovanni Capecchi per avermi fatto conoscere
per primo il poeta di Castelvecchio e per il suo aiuto incondizionato nel mio
percorso letterario; alla ricercatrice Vronique Youinou per le sue conversazioni
e supporto; al prof. Philippe Gurin per linteresse costante; ai ragazzi della
Fondazione Casa Pascoli (Elisa e Roberto) per la loro piena collaborazione e per
laiuto dimostratomi in quei giorni impegnativi fra la digitalizzazione dei
documenti e la corsa contro il tempo per i preparativi del centenario, grazie per
la simpatia malgrado la confusione, stanchezza, caldo e digiuno di quei giorni
estivi; al prof. Gian Luigi Ruggio per avermi dedicato pi di unora dintervista
sotto il sole rovente di Castelvecchio; e a Giorgio Zicchetti, collaboratore di Casa
Pascoli a San Mauro, per le sue interessanti spiegazioni botaniche.
Premessa
Comincio questa premessa seguendo la consuetudine tutta pascoliana di
inserire riflessioni autobiografiche anche in pagine critiche1. Il motivo di questa
scelta ovvio: sono una studentessa di nazionalit spagnola e la rivisitazione
della poesia di Giovanni Pascoli fatta sotto lottica della mia visione personale,
diversa dai canoni tradizionali italiani e dal linguaggio critico. Un giorno il prof.
Giovanni Capecchi ha avuto il modo di dirmi: fra poeti vi intendete; un pensiero
che non deve essere escluso dalla critica letteraria poich, come diceva Pascoli
al Fanciullino in un discorso nel quale metteva a confronto la visione critica della
poesia con la visione fanciullesca di essa: Tu sei ancora in presenza del mondo
novello, e adoperi a significarlo la novella parola. [] Come sono stolti quelli
che vogliono ribellarsi alluna o allaltra di queste due necessit, che paiono
cozzare tra loro: veder nuovo e veder da antico, e dire ci che non s mai
detto e dirlo come sempre si detto e si dir! [] gli uni non intendono pi,
per senile sordit, larguto chiacchiericcio del fanciullo, gli altri non lo intendono
ancora, per quello schiamazzare che fanno, miseramente orgoglioso, intorno al
loro io giovane. [] A ogni modo, pace. Sappiate che per la poesia la giovinezza
non basta: la fanciullezza ci vuole!.2
Nellinterpretazione della poesia pu quindi risultare utile avere quella sensibilit
che nasce dalla poesia stessa, soprattutto se si studia un autore con le
caratteristiche di Giovanni Pascoli: un poeta simbolista, che fa un uso accurato
dei significati, che coccola le parole che nascono dalla sua penna come farebbe
una madre con il suo bambino, che le fa interagire nella stesura della singola
1 G. Capecchi, Giovanni Pascoli, Le Monnier, Milano 2011, p. 258. 2 G. Pascoli, Il fanciullino, Nottetempo, 2012, pp. 46-47.
poesia ma che impregna dintertestualit sia intrinseca che estrinseca anche
tutta la sua opera. Per capire un poeta che crea nuove espressioni, toponimi,
che inventa tutto un linguaggio onomatopeico (o pregrammaticale come lo
definiva Gianfranco Contini), un poeta che gioca con le parole, con i doppi sensi
e che usa un profondo carico simbolico in tutto ci che scrive dalle lettere
personali, agli articoli, passando per le poesie e le prose bisogna essere un
po poeti, e un po fanciulli, e interpretare la sua opera da una prospettiva
nuova e diversa. Ma bisogna essere anche un po critici. Non dimentichiamo il
lavoro fondamentale che hanno fatto studiosi del calibro di Cesare Garboli,
Giuseppe Nava o Nadia Ebani, per citare solo alcuni fra i pi importanti.
Studiando Il fanciullino sono arrivata alla conclusione che se io intendo alcuni
passaggi in modo diverso da come li capisce la critica perch io e la critica
parliamo due lingue diverse; la fanciullina che in me crede di capire il Pascoli
poeta in quanto a sentimenti e simbologia, e invece la studiosa critica che
prende forma piano piano nel mio carattere pi scientifica e si appoggia ai
testi di altri critici per dare delle spiegazioni; si basa sulle ricerche attuali e
soprattutto su quelle gi fatte da altri studiosi importanti. Ma, come diceva
Giovanni Pascoli, bisogna mettere le due componenti insieme per arrivare a una
percezione completa del significato dei suoi testi.
Sono una novizia in questo tema e, a rischio di non essere presa sul serio
soprattutto dai critici e studiosi che da anni lavorano nel campo della ricerca
pascoliana, mi avventuro in questo mondo, nuovo per me ma allo stesso tempo
cos familiare da permettermi di sfidare con una innocente impertinenza
giovanile i canoni tradizionali per presentare teorie fresche e nuove di zecca,
ma vecchia al punto giusto per credere, in questa mia vecchiaia riposta
ogni autorit.3
Alla mia et dantesca dei trentatr anni, fanciulla a met ma adulta al punto
giusto per capire che devo seguire il Virgilio della critica per non smarrirmi nella
selva oscura della poesia, do retta alla fanciullina che si svegliata in me e che
3 Ibidem.
mi spinge a esporre le mie teorie: assurde? bizzarre? sbagliate perch nuove?
novit? scoperte?
Purtroppo non possiamo chiedere a Giovanni Pascoli se le mie ipotesi siano
vere, ma lui ce le ha gi svelate, e forse questo mio lavoro di ricerca potrebbe
portare alla luce alcuni aspetti che finora non si conoscevano ed erano rimasti al
buio, eclissati da altre luci pi consolidate. E in fondo, lo diceva lo stesso
Pascoli: Il nuovo non sinventa: si scopre.4
In questa premessa vorrei chiarire lintenzione della mia Tesi, che non altra
che dare un piccolo contributo l dove penso ci siano interpretazioni diverse da
quelle gi proposte, senza screditare o diminuire limportanza degli studi che si
sono fatti fino a questo momento nei confronti del poeta. La critica ha realizzato
un importantissimo lavoro pascoliano e devo dire che, grazie a questo lavoro, il
Nostro non caduto nelloblio ma vive ancora nei suoi testi che vengono
studiati, commentati e rivisitati da grandi professionisti nel settore della critica
letteraria. Ed proprio questo che vuole il nostro poeta e lo esprime in alcuni
testi come nel suo meraviglioso Pensiero non so se triste o lieto5:
Quello che conta, per un poeta, lasciare qualche cosa che quando egli sia morto, resti pi
viva che mai; che quando egli non abbia pi occhi, si trovi innanzi occhi attenti, ammirati,
qualche volta pieni di lagrime
La vita del poeta comincia allora, comincia l. Che cosa tutto questo anfanare, gridare,
rissare? Comincia nel grande sopraumano oltremondano silenzio, la vita del poeta. Di qua non
cera che un pover uomo il quale tribolava e masticava tanto fiele in compenso del tanto miele
che preparava per gli altri.
Pascoli sa che morir, ma vaticina che i suoi scritti non lo faranno perch Dante
veglier su di essi, cos lo riconferma nella prosa intitolata Il tesoro pubblicata
per prima volta sulla rivista La casa nellanno 1908. Lo aveva affermato
precedentemente nella Prefazione ai Poemi conviviali; il poeta si chiedeva se la
loro fortuna sarebbe stata la stessa di altri suoi scritti conviviali, quelli danteschi
della Minerva oscura, seguiti dai volumi Sotto il velame e La Mirabile Visione:
4 Ivi, p. 47 5 Giovanni Pascoli. Prose disperse, a cura di G. Capecchi, Carabba, Lanciano, 2004, p. 528
[] Non mi dorrebbe troppo se questi Poemi [si riferisce ai Conviviali] avessero la sorte di quei
volumi. Essi furono derisi e depressi, oltraggiati e calunniati, ma vivranno. Io morr; quelli no.
Cos credo, cos so: la mia tomba non sar silenziosa. Il genio di nostra gente, Dante, la
additer ai suoi figli.6
molto interessante questo testo perch lo stesso autore quello che fa
linterpretazione critica. Lui stesso ci spiega il significato simbolico delle parole
scelte e prepara, noi studiosi, i critici del suo tempo e quelli futuri, a capire la
sua poesia, come fece anteriormente con il Fanciullino; lo possiamo notare
leggendo laffermazione di Virgilio inserita nella prosa:
Ti duole questa casa, che ti par cos bella, ti sia stata concessa cos tardi, cos per poco. Per
questo dici:
O casa mia, volta ai tramonti
del sole e della vita.7
Pi avanti, in questo testo, esiste una similitudine fra il miele e la poesia che
Pascoli spiega in una maniera straordinaria e che la base di tanti suoi poemi e
pensieri:
[] nella penombra dellarnia immensa e segreta. La fragranza del miele inebbriava il cuore.
Tutti i fiori della terra mandavano il loro piccolo alito facendo, di tutto insieme, lodor degli
odori. E il rombo che ne usciva parea un canto dinfinite note che vibravano armoniosamente a
dare la nota sola dun coro lontanissimo.
Non si pu negare che, anche se si tratta di prosa, Giovanni Pascoli non scriva
semplicemente, ma canti, creando una poesia sublime, un canto paragonabile
al suono della cetra di Orfeo, e ci convinca con le parole che il miele poesia,
che abbia veramente parlato con Virgilio e con Orazio e che abbia ravvisato le
sembianze di Dante in un monte chiamato lUomo morto, giocando sempre con
il magnifico parallelismo di alcune parole, significando che Dante, anche se
morto, era l, davanti a lui, vivo, come la sua opera, come vorrebbe che fosse
anche per la propria poesia dopo la sua morte, cio viva, come il miele che
ancora oggi viene prodotto dalle sue api, che io nei miei giorni di ricerca a
6 Ivi, p. 438, nota 1 7 Ivi, p.434
Castelvecchio ho visto con i miei occhi entrare ed uscire dallalveare. Quelle
api che preparano il miele come meglio sanno, senza badare a quello che
diranno i gastronomi ma soltanto a quello che servir a mantenere per leterno
larnia e lo sciame, come deve fare il poeta con la sua poesia.
Nel testo in prosa, appena finita la parte poetica, Pascoli fa subito riferimento
allambrosia. Qui mi vorrei fermare e aprire una parentesi per spiegare la mia
ipotesi sulluso intenzionale di quella parola:
Sui dizionari enciclopedici troviamo diverse accezioni del lemma ambrosia ma a
noi interessano soltanto due di esse; la prima fa riferimento alla botanica. Il
nome scientifico stato proposto da Carl von Linn (Rshult 1707 Uppsala
1778) naturalista svedese, creatore della moderna nomenclatura binomia
(genere e specie) nella classificazione scientifica degli organismi viventi, nella
pubblicazione Species Plantarum del 1753.8 Il termine proviene dal latino
ambrosia, e a sua volta dal greco , che deriva di
immortale. Lambrosia una pianta annuale appartenente alla famiglia delle
composite, molto resistente e pu vivere in ambienti aridi e sui terreni
arenosi, ghiaiosi e anche asfaltati, quindi le si attribuivano propriet immortali.
Sicuramente queste sono state le caratteristiche che hanno propiziato il
significato mitologico della pianta, e qui entriamo nella seconda accezione della
parola che ci interessa per questa tesi.
Il termine ambrosia a volte il cibo e a volte la bevanda degli dei, ci che solo
gli immortali potevano consumare. Nella tradizione poetica greca lambrosia si
strettamente correlata al nettare degli dei, in autori come Omero, Alcmane,
Saffo e Anassandride, nettare e ambrosia sono bevanda e cibo, o cibo e
bevanda, dipendendo dai casi.
Dunque, indagando su queste due accezioni pianta e sostanza divina che
porta allimmortalit, troviamo nella tradizione popolare la credenza che ungere
8 Species Plantarum vol. II, Carl Von Linnaeus, Imprensis Laurentii Salvii, Holmiae, 1753, pp. 987988
con lambrosia rendeva le persone immortali; questo spiegabile soprattutto
per le propriet lenitive del miele9.
Nella prosa Il tesoro, Pascoli sceglie la parola ambrosia. Io mi sono
domandata il motivo di questa scelta giacch il Nostro, pur essendo simbolista,
anche il poeta delle piccole cose, il poeta della determinatezza. Che Pascoli
avesse sbagliato in questo argomento? Addirittura parlandoci delle piante del
suo giardino? Lambrosia non famosa per il suo profumo, perci facendo
alcune consultazioni ho comprovato che erroneamente si attribuito alla parola
ambrosia il significato di fragrante; questo dovuto alla grande somiglianza
della pianta dellambrosia con lartemisia vulgaris, che unaltra pianta
composita molto diffusa, ma questa perenne ed emana un profumo molto
aromatico e, al contrario dellambrosia, lartemisia non presenta un colore verde
uniforme su entrambe le pagine, ma un verde oscuro nella pagina superiore e
argenteo in quella inferiore. Ma siamo allo stesso punto iniziale: avrebbe mai
potuto sbagliare Giovanni Pascoli in un argomento del genere?
Il professore e filologo tedesco Wilhelm H. Roscher era anche uno studioso di
mitologia greca e romana; nel suo scritto del 1878 Nektar und Ambrosia
pensava che nettare e ambrosia potevano identificare dei tipi di miele, al
quale attribuivano delle propriet curative e purificanti e anche sciamaniche. Ma
anche Pindaro ha cantato lambrosia degli immortali quando Tantalo la offre ai
propri ospiti. Oppure Circe, nellOdissea, quando accenna a Ulisse che uno
stormo di rondini port lambrosia sullOlimpo.
Quindi rondini, Ulisse, Pindaro, piante miele. Tutte queste componenti
formano parte delluniverso pascoliano ma io non avevo fatto i collegamenti
giusti finch non sono andata a Castelvecchio e ho sentito lambrosia pure io.
Aveva ragione Pascoli, quellambrosia non il profumo duna pianta, e lui ce lo
dice nella prosa che precede la parte poetica del Tesoro, solo che lapparizione
di Virgilio, facendo uso di una captatio benevolentiae gi familiare a noi grazie a
Dante, attira lattenzione del lettore inesperto togliendo quel pizzico di curiosit
9 Per capire il passaggio dal nettare al miele si legga il capitolo 3 di questa tesi, nel quale
approfondisco largomento.
che il poeta ci aveva donato allinizio, parlando delle piante aromatiche che non
erano lambrosia. Ma allora, che cosera? Agli occhi di un fanciullino non
sfuggirebbe, ed io, davanti alla soglia di casa Pascoli, mentre sfioravo con un
dito la cedrina, ho sentito una fanciullina che mi parlava dallinterno e mi
avvisava di un odore diverso rispetto a quello della melissa, era un odore
dambrosia e proveniva da una cavit nel muro, un buco da dove minuscole api
entravano e uscivano, senza badare alla mia perplessit davanti allilluminazione
di quella fanciullina che si era risvegliata nellestate del 2012 a Castelvecchio.
Erano quelle api che ancora oggi fanno il miele senza pensare se sar buono
per i commensali, senza pensare che moriranno, che spariranno e andranno al
fiume delloblio dove galleggeranno sulle foglie delle rose. E questa
propriamente la morte dei singoli esseri: un dimenticarsi. Di tutto? Non forse di
tutto; s, del male soltanto.
ALR 2012 Ambrosia. Giardino di Casa Pascoli, Castelvecchio di Barga.
Dicevo, prima di aprire questa parentesi, che esiste una similitudine fra il miele
e la poesia, e non solo Pascoli ce lha spiegata, prima di lui tanti altri poeti
hanno cantato il miele della poesia, per esempio lo stesso Orazio nominato nel
Tesoro10.
Giovanni Pascoli era un grande lettore, e anche studioso dei classici. Scriveva in
greco e in latino e anche se nel Fanciullino ci dice che il vero poeta non
dovrebbe fare uso dellimitatio, gran parte della sua opera impregnata
dellepica e della mitologia greca e latina; perci possiamo affermare che si
ispirato ai grandi, alle loro idee, alla filosofia di altri tempi per creare i suoi
componimenti, e a mio avviso questo gli ha permesso di creare le fondamenta
della sua poesia; ma non limitatio ci che costituisce la base che gli permette
di arrivare a quel sentimento poetico cos difficile da trovare, a quello che si
ottiene osservando i piccoli dettagli, a ci che si scopre nelle cose vicine; no,
piuttosto una sensibilit speciale che solo chi ascolta veramente il fanciullino
riuscirebbe a provare. Per questo motivo, allinizio della premessa, dicevo che
c un vuoto non colmato nelle parafrasi e interpretazioni delle sue poesie, c
un qualcosa che soltanto un altro poeta riuscirebbe a percepire perch
consapevole di che cosa si pensa prima di creare una poesia, e mentre la si
crea, e il motivo per il quale si crea; perch sa cosa si prova giocando con le
parole e con i significati; perch sente delle emozioni indescrivibili pensando e
cercando le rime; perch rispetta il linguaggio e usa consapevolmente una
parola al posto di unaltra, con unintenzione comunicativa perfetta (ricordo ai
lettori che Pascoli era il poeta della determinatezza) oppure con unintenzione
soggettiva, ambigua o misteriosa, nascosta agli occhi dei meno attenti (ricordo
che era anche il poeta simbolista), perch sceglie la parola ambrosia proprio
allinizio della prosa, prima che Virgilio gli scoprisse il tesoro, prima ancora che
si capisse lintenzione del poeta, cio cantare il miele della poesia come fecero
Orazio e tanti altri.
Chiusa la parentesi vorrei chiudere anche il circolo ricollegando il Pensiero non
so se triste o lieto con il miele della poesia, con il fiele che prova il poeta in vita
e con la fortuna della sua opera dopo la morte, una volta superato loblio e,
come diceva lui, grazie al fatto che Dante additer il suo sepolcro.
10 Per approfondire su Orazio e il miele leggere il capitolo 3 di questa tesi.
Vorrei finire la prefazione tornando a inserire alcune riflessioni autobiografiche
in pagine che invece dovrebbero essere strettamente scientifiche.
Indagando nellarchivio di Casa Pascoli e visitando alcuni luoghi pascoliani: San
Mauro, Castelvecchio, Barga; respirando il profumo delle piante nel suo
giardino; sentendo il suono delle campane dal balcone di casa sua, posso dire
che sono diventata pi fanciullina e sono riuscita a leggere le sue opere in un
modo diverso, pi profondo, ho imparato a pensare nella sua stessa lingua,
cio, nella lingua della poesia.
Invece la mia componente studiosa e critica si sente quasi come un Ungaretti in
cerca di un faro che serva da guida, e che per non lo trova perch il porto
sepolto, perch unesule in Italia, perch a volte il fanciullino che risiede in
ogni critico si distrae o nasconde furbamente agli occhi di questi studiosi alcuni
argomenti che, umilmente, una fanciullina spagnola vorrebbe aiutarmi a portare
alla luce in questa tesi. Perci mi devo servire del mio istinto e di tanta
pazienza, lasciare la mia lingua madre a riposo e, come dice il prof. Stussi, non
dare niente per scontato e impegnarmi a studiare bene le parole, a cercare il
significato storico, letimologia, e discutere a volte lopinione degli altri,
sicuramente pi esperti di me, ma con quella patina tradizionale italiana che li
costringe a lavorare sulle solite spiegazioni e ricerche.
Ho voluto dedicare questa tesi a Pascoli perch, grazie al suo vaticinio ancora
oggi ci insegna, non morto, vive nella sua poesia, ed questo che mi ha
insegnato la fragranza del miele in quel pomeriggio rovente di estate a
Castelvecchio, mentre sentivo in lontananza lora di Barga, mentre contemplavo
fra la foschia il Monte Forato e mentre lodore della cedrina mi ricordava casa
mia, cera un brusio intorno ad una cavit nel muro e il canto che ne usciva
parea un canto dinfinite note che vibravano armoniosamente a fare la nota
dun coro lontanissimo, e allora ud il canto della poesia il suono della vita! e
Giovanni Pascoli era l, vivo, nella sua poesia.
Concludo con una nota: non pretendo di affermare che vedo la luce in un
mondo di cechi, anzi, mi vedo riflessa nelle parole di Pascoli quando scrisse
Non solo sono un uomo io, ma un ignorante; sebbene cerchi assiduamente di
rimediare a tale mia immedicabile umanit e quasi disperata ignoranza con lo
studio paziente e con la docile riverenza ai pi saputi di me11. Infatti vorrei
evidenziare che tutti gli studi e ricerche pascoliane che si sono fatti finora mi
hanno aiutato notevolmente a capire questo complicato poeta, il poeta delle
piccole cose ma anche il poeta pi profondo, il poeta simbolista, il poeta che ci
fa riflettere sul mistero della sua poesia e ci spinge a volte ad andare contro le
regole stabilite per entrare in connessione con il mondo pascoliano, un universo
pieno di mistero, di miele, di poesia e di tanti tesori ancora da scoprire.
A.L.R.
11 In risposta alla critica di Luigi Ceci. Giovanni Capecchi, Prose disperse, Carabba, 2004.
Introduzione
Luigi Nicolais presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche nella puntata
di TV7 del 01.12.2012, aveva detto che il ricercatore non si crea allUniversit,
nel momento di fare la tesi, ma nasce in Prima Elementare, quando il bambino
comincia ad avere curiosit per conoscere e scoprire.
Accenno a queste parole nellintroduzione della mia tesi perch, per capire la
finalit delle mie ricerche e il motivo che mi ha spinto a scrivere su questi
argomenti, bisogna conoscere la mia biografia, come del resto, per riuscire a
capire approfonditamente lopera di uno scrittore, bisogna conoscere la sua
vita, i suoi pensieri, le sue esperienze. Precedentemente, nella premessa, ho
spiegato le mie intenzioni: rivisitare lopera pascoliana da una prospettiva nuova
o diversa studiata dal punto di vista di una laureanda spagnola che
cresciuta come quel bambino del quale parlava Nicolais, spinta sempre dalla
curiosit per sapere, conoscere e scoprire. Questa bambina cresciuta ed
diventata grande. Da adulta ho cominciato unerranza, una ricerca interiore che
mi ha spinta oltre al confine della mia terra e mi ha fatto diventare esule. Il mio
un esilio volontario, non politico, si tratta in particolare di un esilio
esistenziale. Fuggo forse dal sistema scolastico stabilito in Spagna (sono
insegnante nella Scuola Elementare) perci con questa tesi vorrei anche riuscire
a suscitare nei docenti la curiosit per le materie che insegnano, facendo
vedere questi insegnamenti da una prospettiva diversa e spingendo i docenti a
chiedersi se potrebbero fare di meglio o diversamente. Scappo da una Spagna
che con gli anni si trasformata da quel paese libero dopo il regime franchista
in un paese libertino e consumista. Non approfondirei i temi autobiografici se
non fosse convinta che sono necessari per la comprensione di questa tesi,
perch mi sono basata sulle mie esperienze mettendole in confronto con quelle
vissute da Giovanni Pascoli, perch in un certo modo mi vedo riflessa in lui: il
suo periodo giovanile segnato da un grande cambiamento politico e sociale,
come lo stato anche il mio. Per me Pascoli non lautore piangente, o quello
delle Myricae che inseguiva un nido frantumato e mai pi ricostruibile.
Attraverso questa tesi vorrei far capire che Pascoli era uno scrittore impegnato
politicamente, che lottava per la patria, come gli eroi, ma a differenza di essi lui
non usava la spada bens la sua penna; il Nostro era anche un poeta satirico
come vedremo pi avanti quando parler della prima stagione, dellesegesi,
dello pseudonimo Dioneo, e anche un poeta retorico che prendeva sul serio gli
insegnamenti che ci hanno tralasciato i filosofi greci e che poi ha integrato nelle
sue ultime opere.
Dicevo che questi accenni alla mia vita, alle mie esperienze, riguarderanno
soltanto questa introduzione, per rendere la finalit del mio lavoro pi
comprensibile, in seguito lintera tesi sar concentrata sui testi pascoliani
limitando o addirittura eliminando i segni della mia autobiografia.
Sono cresciuta e sono stata educata in un ambiente dinamico e aperto allo
studio, al confronto e al dubbio (inteso come non rimanere inattivi se quello che
ci viene detto non ci convince del tutto, perch nessuno ha la verit assoluta e
bisogna sempre ricercare e confrontare). Forse sar questa caratteristica della
quale parlava Nicolais quella che stuzzica la mia curiosit per sapere di pi o
reinterpretare i concetti.
Studiando Pascoli ho scoperto che la fanciullina che viveva felice negli anni di
libert ancora con me, si risvegliata, e mi spinge a scrivere questa tesi per
dimostrare a se stessa e anche alla compagna adulta che io rappresento, che
non mai tardi per scoprire, per incantarsi con il profumo di un fiore che poi
diventer poesia, che era poesia gi prima e che lo pu essere anche per la
critica se questa riesce a svegliare il fanciullino addormentato che ha dentro.
Questa tesi, nella sua dimensione meno combattiva, e meno presuntuosa,
potrebbe essere utilizzata per la didattica della letteratura, o per gli insegnanti
che impartiscono questa materia. In che modo si pu usare? Convincendo i
docenti a non fermarsi al primo manuale che capita nelle loro mani, a servirsi di
pi punti di vista, a controllare le critiche e confrontarle mostrando agli alunni
che non c soltanto uninterpretazione, e che nessuna di esse si pu affermare
giusta, a volte nemmeno quelle che gli stessi autori propongono (perch lo
scrittore, e soprattutto il poeta dice di pi con i silenzi che con le parole e sta a
ogni lettore scoprire che vogliano dire quelle parole e quei silenzi), e che quelle
interpretazioni non avranno sempre lo stesso significato, che a ogni rilettura
potrebbe cambiare, perch una parola che oggi non ci dice niente domani
potrebbe spiegarci tutto. E in questo istante della tesi potrei affermare che tutto
ci che ho affermato poesia oppure no.
Per finire con le corrispondenze autobiografiche, nel pi puro stile pascoliano,
ho voluto cominciare questa Tesi di Laurea con una mia poesia dedicata a
Giovanni Pascoli. Lho creata nellagosto del 2012, tornata in Spagna dopo aver
passato un periodo di peregrinatio attraverso i luoghi pascoliani. La dedica
nata in spagnolo, non saprei dire il motivo: chiss se dovuto al fatto che ero
in Spagna quando scrissi la poesia. Forse perch avrei intenzione di contribuire
alla divulgazione dellopera di Giovanni Pascoli nel mio Paese? Magari perch
lidea mi era venuta mentre parlavo con alcuni amici spagnoli della mia
esperienza di ricerca nellarchivio di Casa Pascoli, a Castelvecchio? Non lo so, il
fatto che la fortuna di Pascoli va oltre la siepe e il nido, oltre i confini della sua
patria. Questo grande poeta italiano di unimportanza fondamentale nella
letteratura italiana del Novecento perch con lui si apre un secolo e anche una
corrente: il Simbolismo. La sua fortuna, invece, anche se andata oltre le mura
italiane come vedremo pi avanti, nel capitolo intitolato La sfortuna spagnola,
non molto estesa. Purtroppo quella italiana non molto pi amplia. Il 2012
stato deludente malgrado sia stato lanno pascoliano; non ci aspettavamo una
martellante pubblicit come per le celebrazioni del 150 anniversario dellUnit
dItalia dellanno precedente, ma avremmo sperato almeno una partecipazione
maggiore da parte delle scuole e dellUniversit ed eventi che andassero oltre le
fondazioni e i ristrettissimi circoli pascoliani. Ma questa una questione che
ancora si pu risolvere con limpegno di tutti.
In questa tesi fa la sua comparsa il Pascoli eroe. Prendendo come spunto i
riferimenti alla filosofia del Fanciullino, faremo un viaggio attraverso la poetica,
la dialettica e la passione, tutte e tre componenti dellintera opera del Nostro.
Questo capitolo ci fa riflettere sulleroicit di un autore che si sempre pensato
fragile e depresso, ma questa componente eroica si fa pi intensa in quegli anni
pi bui, negli anni in cui la sua produzione non mirava tanto a diffondere un
messaggio ma a lottare contro il disperato pensiero della morte e del suicidio.
la stagione che ho denominato delleroe stanco, nella quale il nostro poeta parla
insistentemente con i morti. Presenter levoluzione della figura delleroe,
partendo dal guerriero mitologico e finendo con leroe decadente che cerca
invano di cambiare il mondo, evoluzione che in un certo modo subisce Giovanni
Pascoli durante tutta la sua vita letteraria.
Questa tesi rappresenta un viaggio, non solo inteso come una visita dalla
Spagna allItalia, ma anche un percorso nella storia. Il mio lavoro non ha a
che fare soltanto con Giovanni Pascoli ma centra addirittura con Omero, con
Virgilio, con Dante, e in un certo modo con me stessa. Si tratta di un itinerario
attraverso alcuni temi pascoliani: dallesegesi di alcune parole alla
decodificazione di un linguaggio inventato, dal tema dellamore a quello della
morte, dal Pascoli cupo come un mare in tempesta a quello abbagliante che
ride e scherza, passando per un autore dispettoso in grado di contraddire il
grande Leopardi o di arrabbiarsi con la critica letteraria.
Mi baser sulle biografie, soprattutto in quella che ritengo pi dettagliata e
affidabile com quella scritta da Mari a cura di Augusto Vicinelli, anche se ci
sono altre molto interessanti come quella scritta dal biografo e curatore di Casa
Pascoli a Barga il professor Gian Luigi Ruggio; proseguir tenendo conto i
commenti fatti negli studi di Garboli, Nava o Ebani, che ci hanno aiutato a
capire meglio questo contorto poeta. Ma anche se non ci fossero delle
bibliografie, non dobbiamo dimenticare come ho segnalato in precedenza
che tutta lopera del Nostro carica dinformazione autobiografica: i suoi
pensieri, i sentimenti, le vicende... Se si leggono alla lettera si potrebbe pensare
al poeta delle piccole cose, a quello delle cantilene adatte alle recite e feste
delle scuole elementari; invece la sua poesia molto pi vasta, pi densa e
profonda, se analizziamo a fondo tutta la sua opera ci rendiamo conto che
Giovanni Pascoli era gi simbolico prima dellinizio del secolo scorso; un
esempio lo troviamo in Un grillo... di giovent, e non possiamo dimenticare che
tutta la sua produzione carica di simbolismo, richiami e riferimenti a fatti,
pensieri o idee concepite previamente e durature nel tempo.
In conclusione vorrei chiarire che le mie ipotesi nascono dalla mia realt
particolare di straniera, dal fatto che non sono stata condizionata dalle
spiegazioni e dagli studi sulla vita e poesia del Nostro e dalla maniera in cui
viene insegnato nelle scuole italiane. Questa prospettiva dalla quale vedo le
cose mi fornisce unottica diversa che risalta aspetti dellopera di Pascoli che di
solito non vengono presi in considerazione perch fuori dalla tradizione
scolastica. Anche il mio lavoro fuori dal canone per una tesi o per un saggio
scientifico, ma sarebbe troppo facile seguire la scia degli altri, camminando su
una strada senza ostacoli. Invece ho scelto laltra strada, quella dissestata.
Sicuramente pi difficile ma arricchisce e insegna di pi, malgrado i momenti
di disperazione, insicurezza e pensieri di abbandono che a volte mi spingevano
a desistere perch non trovavo un appoggio o altra luce nella direzione che
avevo preso.
O Socrate, prova di persuaderci;
o meglio non come spauriti noi,
ma forse c dentro anche in noi
un fanciullino che ha timore di siffatte cose:
costui dunque proviamoci di persuadere
a non aver paura della morte come di visacci dorchi.12
CAPITOLO 1
Il pianto degli eroi.
Lincipit di questo capitolo stato la fonte dispirazione per Pascoli per scrivere
Il fanciullino; infatti il poeta comincia il testo con le seguenti parole:
dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in s
lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. 13
Come possiamo vedere, qui si mescolano la gioia e il dolore, cio, le
componenti del teatro greco: commedia e tragedia. In una tragedia greca il
personaggio principale di solito un eroe e la storia raccontata si conclude con
una catastrofe (una morte, un suicidio). Era unusanza nel teatro greco
lesistenza dun coro attraverso cui lautore della tragedia parlava al pubblico.
Anche Il fanciullino raduna queste caratteristiche. Si profetizza una morte,
quella della poesia; lautore fa le veci di narratore e ci parla dallinterno del
libro; e infine esiste pure un eroe, che in questo caso il nostro poeta:
Giovanni Pascoli.
12 Platone, Fedro, 77 E. 13 Il fanciullino, Giovanni Pascoli, a cura di G. Agamben, Nottetempo, Roma 2012, p. 31.
Il Fanciullino una Poetica aristotelica, una sorta di manuale o arte di scrivere
poesia proposto a modo di dialogo fra il poeta e il suo fanciullino, ed questa la
caratteristica principale dei drammi: il contrasto fra almeno due elementi
differenti. Il termine teatro deriva dal latino theatrum, e questo dal greco
, che deriva del tema di guardare, essere spettatore; infatti
un testo teatrale non poteva essere letto, ma soltanto guardato e ascoltato in
una rappresentazione. quello che facciamo con il fanciullino che dentro di
noi, lo si ascolta, e Pascoli ce lo spiega nella sua composizione. Ma, soprattutto,
possiamo dire che il Nostro con il Fanciullino ci ha lasciato un trattato sulla
passione:
Quando la nostra et tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due
fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono
piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. 14
Timore, speranza, gioia e dolore. Secondo il modello nosologico dettato dallo
storico della filosofia greca, Diogene Laerzio, nel suo libro VII, queste sono i
quattro gruppi di passioni, le stesse quattro perturbazioni dellanima della
filosofia aristotelica e dellantichit.
Giovanni Pascoli inizia il Fanciullino alludendo a quelle parole di Platone, ma non
dobbiamo dimenticare che fu proprio il filosofo che mand via tutti i poeti dalla
repubblica ideale. Platone biasimava i poeti mitologici per il loro uso dellimitatio
e per la perturbazione degli affetti. Difendeva invece il sapere come credenza
vera associata a un logos 15. Per Platone e anche per Aristotele il logos filosofico
va riportato nel discorso definitorio o dichiarativo, ci che la critica ha chiamato
in Pascoli la determinatezza. Dal punto di vista dello stoicismo il logos
identificato con il fuoco. Secondo il pensiero stoico, alla fine del mondo avverr
una conflagrazione che consumer l'intero universo, si salveranno soltanto le
ragioni seminali (che sarebbero un principio attivo che si diffonde nella
materia inerte portandola alla vita), cio, il logos che presente in tutte le cose
dalle pi grandi alle pi piccole e garantisce cos l'unit razionale dell'intero
14 Ibidem. 15 Platone, Teeteto, 206d ss
cosmo per propiziare la rigenerazione di un nuovo mondo che conflagrer
nuovamente secondo un andamento ciclico:
[] e balenava all'orizzonte la conflagrazione del mondo in una guerra di tutti contro tutti e
d'ognuno contro ognuno 16
Gli stoici come il precedentemente accennato Diogene Laerzio mantengono
lidea di due tipi di logos, uno inteso come calcolo (ratio), e un altro come
discorso (oratio), ma fanno una differenza fra logos endiathetos, oratio
concepta che sarebbe il discorso razionale o interiore che Pascoli usa per
comunicare con il fanciullino , e logos prophorikos, oratio prolata, cio il
discorso proferito o parlato, che la parte filosofica che ci vuole dettare
Giovanni Pascoli, nel Fanciullino, attraverso la sua parabola, in una sorta di
dialettica.
Nella filosofia il termine logos si contrappone al termine mythos. In questa
opposizione mythos corrisponde al pensiero tradizionale, alla mitologia, quel
pensiero basato sulle immagini, sull'autorit della tradizione arcaica, e sui
princpi accettati e condivisi acriticamente; cio, il pensiero contrario a quello di
Platone. Invece logos corrisponde al pensiero critico, razionale e oggettivo,
quello che capace di sottoporre a un controllo minuzioso le antiche credenze e
i pregiudizi:
Se tu conoscessi Platone, ti direi che come egli ha ragione nel volere che i poeti facciano
mythous e non logous, favole e non ragionamenti, cos non ho torto io nel pretendere che i
ragionatori facciano logous e non mythous. Ma pur troppo difficile trovare chi si contenti di far
solo quello che deve. E Platone stesso... Ma egli era Platone. 17
Ho postulato che Pascoli ha scritto un trattato sulla passione. Nella letteratura
omerica, e secondo la filosofia dellantichit, la passione era definita come un
sentimento eccessivo di esaltazione, ma non sempre era visto come qualcosa di
negativo, anzi, di solito era proprio la passione quella che guidava il gesto
eroico (come si pu verificare in esempi della letteratura di tutti i tempi,
cominciando dal teatro greco fino allattualit). Questi eroi e personaggi del
16 Il fanciullino, G. Pascoli, Nottetempo, Roma, 2012, p. 54. 17 Ivi. p. 49
dramma presentavano una serie di caratteristiche: desiderio esagerato, gioia
eccessiva, paura paralizzante, esaltazione senza misura che li mostrava come
individui con atteggiamenti assurdi, al di fuori della normalit e come
personaggi instabili o addirittura fuori di testa. La passione diventava cos
malattia ( un male damore sul quale Petrarca descriverebbe tutte le
caratteristiche e mutamenti dei malati damore), e questa infermit damore
conduce alla follia (della quale anche Ariosto scriver i sintomi nel suo Orlando
furioso). La perdita didentit portava cos leroe alla soglia della pazzia.
Perci Platone nella Repubblica e Aristotele nellAnima spiegano che c
un grande contrasto fra la ragione e le passioni. Invece per gli stoici lanima
soltanto ragione e la passione arriva dallesterno, dalla societ.
Dunque la passione esaltazione frenetica fino allestasi o perdita dellidentit,
e questa idea offre il motore narrativo alla tragedia, giacch dona un
sentimento di eroicit ai personaggi. Come avevo anticipato, in questa tesi
Pascoli acquisisce il titolo di eroe, un eroe stanco, un eroe piangente e tutto
ci deriva dalle forti passioni che professa, sia per la letteratura e la poesia, sia
per il suo lavoro e per la politica, per la natura e soprattutto nella seconda
stagione per una persona in particolare della sua famiglia: Ida.
Con il termine eroe non mi riferisco al fiero guerriero che combatte per amore
alla patria, al suo re o alla donna amata, anzi, parlo di un altro tipo di eroe; un
uomo (e non pi un semidio o un valoroso guerriero) impegnato politicamente
nella societ, che lotta in altri modi per raggiungere i suoi ideali, ma un eroe
piangente perch queste idee sono chimere, i suoi pensieri di libert e
uguaglianza non sono capiti e quella situazione lo porta a uno stato di eterna
amarezza e incomprensione:
Cos Omero, in tempi feroci, a noi presenta nel pi feroce degli eroi, cio nel pi vero e poetico,
in Achille, un tipo di tal perfezione morale, che pot servire di modello a Socrate, quando
preferiva al male la morte. Cos Virgilio, in tempi pi gentili, avendo la mira soltanto al poetico,
ci mostra lo spettacolo tanto anticipato, ahim! , d'un'umanit buona, felice, tutta al lavoro e
alle pure gioie dei figli, senza guerre e senza schiavi. 18
Si tratta di un eroe poeta che canta alla vita, alla natura, alla bellezza:
E nell'Eneide Virgilio canta guerre e battaglie; eppure tutto il senso della mirabile epopea in
quel cinguettio mattutino di rondini o passeri, che sveglia Evandro nella sua capanna, l dove
avevano da sorgere i palazzi imperiali di Roma! 19
Il nostro eroe semoziona per le piccole cose quotidiane (qui troviamo la base
della poesia di Myricae), un uomo che non ha la spinta delleroe mitologico,
non parte con la sua ciurma in cerca della felicit, di avventure o di conoscenze,
ma rimane in terra ferma, fermo anche lui, e soltanto scrive perch la lotta
delleroe stanco una battaglia con se stesso:
Il poeta poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno
o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno , sia con pace del maestro, un artiere
che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e
ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente pi il suo sentimento e la
sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Egli, anzi, quando li
trasmette, pur essendo in cospetto d'un pubblico, parla piuttosto tra s, che a quello. Del
pubblico, non pare che si accorga.20
Achille lincarnazione del guerriero eroico ma irrazionale che si lascia guidare
dal suo istinto, che antepone lazione immediata alla riflessione e alla ragione.
Pascoli ci detta che il vero poeta deve cantare senza pensare a quello che
potrebbe trasmettere e se trasmette qualcosa lo dovrebbe fare senza
accorgersene. Qui esiste una somiglianza fra leroe antico e il vero poeta, quello
che si lascia trasportare dal sentimento poetico e non da quello che dettano i
canoni o la societ. Ma leroicit del Nostro , come ho proposto anteriormente,
pi un sentimento di stanchezza e quasi di fallimento che una vera voglia di
lottare o di andare al fronte a combattere per i propri ideali. Il nostro eroe
preferisce cantare alla vita che rischiare la morte, anche se paradossalmente la
18 Il fanciullino, p. 62. 19 Ivi. p. 63. 20 Ibidem.
sua condizione di eroe stanco spesso lo porta ad avere pensieri funebri e
addirittura impulsi suicidi.
Sul tema del suicidio ci sarebbe tanto da investigare, ma per motivi di tempo e
contenuti le mie ricerche si sono fermate alla soglia dellargomento che,
senzaltro interessante, mi piacerebbe riprendere in future ricerche pi
approfondite.
Dicevo che Ida era una delle passioni di Pascoli, addirittura mi azzarderei ad
affermare che stata la scatenante di quel senso eroico del poeta nel suo
termine pi decadente. Lontana dal voler approfondire nelle teorie sullamore
incestuoso fra Giovanni e le sorelle, vorrei affermare per che Ida ha influito, in
modo molto importante, nellopera di Pascoli; sia come Musa, come amore
impossibile o come Reginella come il fratello soleva chiamarla nota la sua
presenza costante nelle poesie che occupano la seconda e la terza stagione
della vita del poeta.
Pascoli si ammala, contrae la malattia damore e perde lidentit. Il poeta
sarcastico e gioviale del periodo goliardico lascia spazio a un Pascoli diverso,
dopo Un grillo di giovent comincia a scrivere pensieri funebri, anche se
alternati da poemetti dalla tematica campestre, ma solo dopo lannuncio del
matrimonio di Ida che la malattia diventa pazzia in quello che lo stesso poeta
chiamer lanno terribile.
Per concludere questo discorso vorrei chiarire che Giovanni Pascoli il nostro
eroe stanco, quello che canta alle piccole cose, che loda la natura e piange in
continuazione e, cos facendo, pretende di essere ricordato per leternit; la
stessa ambizione che avevano gli antichi eroi, quelli che non piangevano e
uscivano di casa con la spada appesa alla cinghia in cerca di avventurose
imprese. Alcune parole di Giovanni Pascoli come quelle riportate nella
Premessa di questa tesi sul Pensiero non so se triste o lieto oppure quando
accennavo alla poesia Il tesoro e alla Prefazione ai Poemi conviviali , che ben
potrebbero essere state dette da Achille, oppure da Alessandro Magno in un
insolente vanto di aspirazioni di grandezza eterna, ci fanno riflettere sulla figura
delleroe decadente che esisteva dentro del nostro poeta. A differenza dei due
eroi dellantichit, il Nostro un pover uomo, discendente da una famiglia di
contadini romagnoli anzich dagli Dei, dalle ninfe o dai re. Ma, come loro,
Pascoli era un eroe. Lo ancora adesso, e quelle sue parole hanno vaticinato
quello che sarebbe successo dopo la sua morte, e oggi, gli occhi ammirati dei
suoi lettori si riempiono di lacrime quando leggono le sue poesie.
In Pascoli ci sono dei periodi nei quali il topos dellagreitudo amoris ricorrente,
possiamo dire che comincia nella seconda stagione, finita quella delleroe
dionisiaco, quando si reca a Sogliano a trovare le sorelle, e finisce con linizio
della terza stagione. Quello che per Montale si trasformer nel male di vivere,
nel Nostro invece un male di amore. Vorrei riportare alcune parole del
professor Massimo Ciavolella a proposito della malattia damore:
Il topos letterario dell"aegritudo amoris" ha le sue origini nellantichit con il filosofo greco
Aristotele (vissuto ad Atene e morto 322 a. C. ). Egli infatti diede una forma scientifica alla
dottrina della malattia damore usando lassioma fondamentale della sensazione come
espressione di un movimento comune sia dellanima che del corpo.
Le passioni, secondo Aristotele, sono affezioni sensibili attraverso le quali lintelletto muove i
corpi. Egli distingue fra due gruppi di passioni: le perturbazioni mentali (psicologiche) e le
perturbazioni somatiche (fisiologiche). Entrambi per sono intimamente legate fra di loro. Le
affezioni che colpiscono il corpo si ripercuotono immediatamente sulla psiche o viceversa.
Lamore parte dallappetito del soggetto di una bella forma. Una volta esistente questappetito si
intensifica in unaffezione e questa sirradia dal cuore come forza motrice (fonte di calore) e
quindi, legata al sangue, determina la costituzione fisica e mentale dellindividuo. In questo
modo la passione amorosa sbilancia la fisiologia e la psicologia delluomo. Una privazione
delloggetto di passione pu recare allindividuo un dolore inquieto, una continua insonnia,
tristezza persino un deperimento mentale o la morte perch a questo punto la sua passione
senza speranza. 21
Per Aristotele larte imitazione, non negativa come per Platone ma ha un
senso di creativit nello stesso modo in cui la natura creativa. Larte ricrea la
realt dentro del possibile e del verosimile; mentre lo storico scrive fatti che
21 M. Ciavolella, La tradizione dellaegritudo amoris nel D., in Giorn. Stor. Lett. It. LXXXVII, 1970; M. Ciavolella, La malattia damore dallAntichit al Medioevo, Bulzoni, Roma 1976
sono accaduti realmente, il poeta canta fatti che potrebbero accadere. Qui
troviamo la base del simbolismo di Pascoli giacch, secondo la filosofia
aristotelica, larte una forma di conoscenza non logica ma simbolica.
Dunque Pascoli con il Fanciullino ci propone una poetica e un trattato sulla
passione impregnati da una meravigliosa dialettica che, nel modo pi astuto, ci
fa pensare che non lo sia (quando in realt lui cerca di convincerci di quello in
cui crede e ce lo propone in modo subliminale). Inizia essendo daccordo con le
parole di un filosofo che credeva i poeti inferiori per non usare la ragione ma il
mito e limitazione, e poi riempie il testo di riferimenti bibliografici ai miti e ai
poeti dellantichit; cerca di convincerci che limitatio sia un male e che bisogna
ascoltare il fanciullino che abbiamo dentro, cio la ragione, e poi in tutta la sua
opera prende come punti di riferimento i pi grandi scrittori dellantichit e usa
come base per buona parte delle sue poesie il mythos. Cerca di convincerci
di non pretendere di trasmettere delle idee, fugge dalla retorica e afferma che,
se tuttavia essa fosse presente, dovrebbe essere fatta in modo inconsapevole,
come Virgilio: che cant, per cantare, invece la sua opera colma di quella
retorica. In questo passaggio, dove Pascoli risponde alle parole del fanciullino,
possiamo osservare come ci lascia scritto che il nostro poeta quelleroe che
combatte dalla sua scrivania (la sua trincea), con la penna e linchiostro a modo
di arme e le parole come se fossero scudi:
Tu hai cantato e detto: hai cantato strofe e detto verit. E mi viene in mente che oltre codeste
verit [] ci sia sotto il tuo dire una verit pi riposta e meno comune [] che la poesia, in
quanto poesia, la poesia senza aggettivo, ha una suprema utilit morale e sociale.
Pascoli introduce nel testo del Fanciullino delle nozioni di dialettica antica. Come
lo fa? In un modo che sembrerebbe assurdo ma che funziona. Il Nostro cerca di
convincerci del contrario a quello in cui lui crede, con lastuzia di un eroe
mitologico sfida la critica a contraddirlo per arrivare a quello che
mascheratamente pensava sin dallinizio. In realt unargutezza propria di un
eroe, anche se stanco. Si porge delle domande ed lui stesso che risponde a
quelle stesse domande; il nostro eroe fa interagire due tesi o principi
contrapposti, rappresentati simbolicamente nei dialoghi platonici da personaggi
reali, e che nel Fanciullino si personifica nellimmagine astratta del fanciullo che
dentro il poeta; sono delle conversazioni in cerca della verit, ma proprio la
verit quella che ci vuole presentare il poeta giacch il fanciullino e lui sono un
tuttuno. Si potrebbe fare una tesi che tratti soltanto sullingegno retorico usato
da Pascoli per scrivere Il fanciullino, ma sempre per motivi di tempo e di
contenuti far un breve riassunto di ci che invece dovrebbe essere preso in
considerazione e approfondito con altre ricerche pi dettagliate.
Le origini del metodo della dialettica risalgono a Zenone di Elea che, per
Aristotele, liniziatore di questa arte (secondo le testimonianze di Sesto
Empirico22 e di Diogene Laerzio).23 Usava la dialettica come strumento di
contrasto per arrivare in un modo indiretto alla verit. Per raggiungere
lobiettivo si basava sul principio di non-contraddizione e sulluso dei paradossi.
Giovanni Pascoli in tutto Il fanciullino fa uso di questa tecnica affermando la
verit della proposizione falsa (alle sue credenze) per rendere vera lopposizione
della critica, perci le due proposizioni sarebbero in un certo modo vere nel
medesimo tempo e nel medesimo oggetto in un rapporto paradossale. Anche
Socrate cercava di trovare delle contraddizioni interne nelle tesi degli
interlocutori. Se qualche critico fosse stato cos brillante da raffrontare le
enunciazioni con livelli pi elevati del sapere, Pascoli di certo sarebbe potuto
arrivare alla conclusione che cercava fin dallinizio negando le ipotesi che in
realt riteneva vere.
Sono convinta che Giovanni Pascoli cercava con la dialettica di Platone di far
risalire lidea iniziale alla meta della conoscenza (che in questo caso sarebbe il
suo stile, la sua opera); cio, Pascoli, alla stessa maniera di Platone, interpreta
la dialettica al modo di Socrate nei dialoghi del poeta con il fanciullino, nei quali
il poeta conduttore della discussione (anche se fa credere che debba esserlo il
fanciullo), concedendo importanza alla proposizione meno probabile per poi
farla smentire dalla critica; cos facendo emerge lentamente, e senza che
22 Adversus mathematicos, VII, 6-7 23 Vite dei filosofi, VIII, 2, 57; IX, 5, 25
nessuno se ne accorga di questa astuzia, la tesi portatrice della verit che
cercava il poeta.
Abbiamo parlato del Fanciullino come una sorta di Poetica aristotelica intarsiata
da componenti del teatro drammatico e anche come un trattato sulla passione.
Ma fermiamoci con maggiore attenzione sullidea del Fanciullino come una
poetica nella quale leroe sempre presente.
Pascoli soffre le tribolazioni della vita, le penurie e miserie che gli scrittori
patiscono vivendo soltanto delle lettere, nonostante ci continua a preparare
del miele, cio delle poesie, per rendere pi dolce lesistenza umana, anche se
poi questi altri, gli umani, lo abbiano fatto soffrire in tutti i sensi: possiamo
ricordare le sofferenze provate per le morti dei suoi cari, o gli allontanamenti
delle persone amate, oppure i giudizi negativi subiti dai critici come quelle di
Benedetto Croce o di Luigi Ceci, per citare alcuni fra i tanti.
Nel seguente testo, tratto dal Fanciullino, Pascoli parla di Parthenias, cio di
Virgilio, e ci spiega che cosa abbia pi potere se la forza o larte. In questo
passaggio possiamo osservare accenni alla figura delleroe come lo intendiamo
in questa tesi, al pensiero filosofico degli stoici, alla dialettica e, soprattutto, alla
poesia:
Gi in altri tempi vide un Poeta (io non sono degno nemmeno di pronunziare il tuo santo nome,
o Parthenias!), vide rotolare per il vano circolo della passione le quadriglie vertiginose; e quei
tempi erano simili a questi, e balenava all'orizzonte la conflagrazione del mondo in una guerra
di tutti contro tutti e d'ognuno contro ognuno; e quel Poeta sent che sopra le fiere e i mostri
aveva ancor pi potere la cetra di Orfeo che la clava d'Ercole. E fece poesia, senza pensare ad
altro, senza darsi arie di consigliatore, di ammonitore, di profeta del buono e del mal augurio:
cant, per cantare. E io non so misurare qual fosse l'effetto del suo canto; ma grande fu certo,
se dura sino ad oggid, vibrando con dolcezza nelle nostre anime irrequiete. 24
Pascoli ci prepara un paesaggio degno della migliore letteratura epopeica; il
vano circolo della passione ci trasporta a uno dei gironi danteschi o addirittura
ai poemi cavallereschi dove tutta la storia gira intorno ai personaggi (donne e
cavalieri) e a due temi principali (le armi e gli amori), in una specie di topos
24 Ivi. p. 54.
dellagreitudo amoris. Il Nostro fa notare come i problemi del mondo sono
sempre gli stessi e finisce facendo un paragone fra due personaggi mitologici:
Orfeo ed Ercole. Il primo era un poeta e musicista, figlio di Calliope; il mito
narra che con la sola musica della sua lira salv gli Argonauti dal canto delle
Sirene, e anche negli Inferi riusc a convincere Caronte, le bestie, i dannati e i
demoni ad aiutarlo nel riportare sua moglie alla vita. Invece la figura di Ercole
viene rappresentata nelle arti figurative molto spesso coperto con la pelle
indistruttibile del leone Nemeo e con una clava in mano in posizione di attacco,
per uccide Idra (mostro mitologico). Per Pascoli ha pi potere la cetra di Orfeo
che la clava di Ercole.
ALR 2012 Hercule tuant lhydre de Lerne. Louvre, Parigi.
Di Virgilio Pascoli ci dice che fece poesia spensieratamente: cant per cantare e
leffetto di quella poesia dura fino ad oggi. Virgilio non parla mai di schiavi n
servi (soltanto due volte riprendendo frasi omeriche) e proclama nelle
campagne italiche la libert di gente che non lavora per gli altri. Virgilio forse
era inconsapevole di quella libert che proclamava. La servit non era poetica e
il divino fanciullo, che non vede se non ci che poetico, non la vedeva.
NellItalia virgiliana non c la schiavit, n il salariato, n il mezzadro. Giovanni
Pascoli dice che quei tempi erano come quelli suoi perch si trova in un periodo
della storia dItalia molto importante: dopo tanti secoli di assedi, frontiere e
regni, lItalia finalmente unita, anche se si tratta di ununit chimerica perch
il popolo non si sente del tutto italiano e ci sono tanti vestigi dei vecchi tempi
ancora da limare. In questo ambiente di bollore politico e sociale il nostro eroe
si sente quasi nellobbligo di fare qualcosa, di lottare per quello che lui crede
giusto, per il benessere dei suoi fratelli italiani, ma la sua condizione di eroe
stanco lo trattiene dal comportarsi come Ercole e lo spinge a fare come Orfeo, e
combattere con la penna e la poesia.
Vediamo pi dettagliatamente che cos un eroe.
Si potrebbe spiegare in tanti modi diversi che cosa rappresenta leroe di questa
tesi. Ho scelto quella pi tradizionale per cominciare, cio, ricorrere al
dizionario. Secondo la definizione che danno alcuni vocabolari un eroe un
semidio al quale attribuiscono gesta eccezionali; e per estensione si tratta di
una persona che, per latteggiamento valoroso in imprese belliche o di altro
genere, compie azioni straordinarie. Si tratta anche del personaggio
protagonista di un poema o di un dramma.
Abbiamo visto precedentemente che Giovanni Pascoli un eroe diverso a quello
che definisce il dizionario, non pi il valoroso guerriero ma un uomo che,
anche se allinizio mostrava segni di quelleroe mitologico, la sua visita alle
sorelle lo convertiranno in un eroe decadente.
Il fanciullino come Poetica pascoliana
In precedenza abbiamo visto come le perturbazioni dellanima influiscono
gravemente nella vita e opera di Giovanni Pascoli, inoltre abbiamo scoperto
come il nostro poeta sia un arguto eroe che ci parla dellimportanza e del peso
della sua opera usando metodi retorici. Che Il fanciullino sia una sorta di Poetica
risaputo, molti sono i critici e gli studiosi che hanno parlato sullargomento.
Anchio, in questa tesi, vorrei commentare questa idea parlando dellopera
pascoliana nelle diverse stagioni della sua vita.
Incominciamo con la Prima stagione. Le ricerche in questo campo sono
ristrette e non si pu dare ancora nessun accertamento al peso di certe ipotesi.
Comunque sia io vorrei fissare il periodo della prima stagione di Giovanni
Pascoli scrittore, che ho voluto denominare la stagione delleroe dionisiaco,
in quello che va dal Nebulone a Un grillo di giovent. Il motivo di questo
appellativo un omaggio a uno degli pseudonimi usati da Giovanni Pascoli
quando scriveva i fogli socialisti. Dioneo, nome boccacciano, era stato ripreso
dal Nostro per firmare alcuni suoi scritti politici. Erano gli anni goliardici, Pascoli
si trovava a Bologna come studente. Non erano tempi facili, i gravi problemi
economici lo mettevano in una situazione di disagio, subiva la fame e il freddo,
ma queste penurie non distoglievano lautore dal suo impegno civile. Era un
giovane attivo in materia politica, scriveva per alcuni giornali e assisteva a
riunioni e discorsi dindole socialista. Giovanni Pascoli frequentava alcuni caff
letterari nei quali altri giovani si radunavano per parlare non solo della
situazione politica ed economica, ma anche di arte, letteratura, metrica. Il
circolo di conoscenze di Pascoli era vasto, ma era soprattutto con gli amici pi
intimi con i quali soleva scambiare delle lettere o poesie di tono scherzoso e
gioviale.25
25 Per approfondimenti sul rapporto epistolare fra G. Pascoli e gli amici Severino Ferrari, Ugo Brilli, Raffaelo Marcovigi, Sveno Battistini, si vedano le lettere conservate nellArchivio di
Castelvecchio.
proprio in questi anni di attivit politica e sociale che Pascoli crea soprattutto
scritti di natura civile (come aveva cominciato a fare gi negli anni di Rimini,
con Nebulone) ma anche un periodo di scrittura sarcastica, beffarda, erotica e
spensierata, da qui la scelta dello pseudonimo Dioneo e il motivo che mi ha
spinto a nominare questa stagione dionisiaca. Dionisio era una divinit legata
alla vegetazione, rappresenta in particolare la parte pi selvaggia e istintiva
delluomo ed era visto come colui in grado di offrire cultura e ordine sociale e
civile. Chiamato anche Bacco (che a Roma assume aspetti sfrenati e orgiastici)
oppure Liber Pater (dio della fecondit, del vino e dei vizi), dopo la
soppressione del culto di Bacco, da parte del Senato romano, gli italici
trasformarono i suoi riti in costumi pi quieti. La presenza di Dionisio
simboleggiata dallimmagine della maschera e, se vogliamo chiudere il cerchio,
dovremmo sapere che sono proprio le maschere del culto di Dionisio le
precorritrici della nascita della tragedia greca tanto presente nella filosofia del
Fanciullino, e quindi del pensiero di Giovanni Pascoli. Curiosamente un altro
appellativo di Dionisio Iacco, secondo alcuni riti annunciava lavvenimento del
fanciullo divino o era identificato lui stesso con il fanciullo. Nella commedia Le
rane di Aristofane, Iacco porta luce alle tenebre, nelle vesti di un imitato Orfeo,
che nelliniziale tentativo di salvare il teatro, cercher infine di salvare anche
Atene, sperando che nessuno venga privato dei diritti civili in quella citt caduta
nelle mani delle persone sbagliate. Per tutto ci Pascoli sceglie questo
pseudonimo per scrivere i fogli socialisti. Lui, come Orfeo o Dionisio, cerca con il
potere della sua poesia (allo stile delle rane-cigni) di salvare il paese dalle mani
sbagliate.
Ma torniamo a Nebulone, un personaggio creato da Giovanni Pascoli in
giovent. Si trattava di una parodia di quegli scrittori che cercavano soltanto la
fama, quindi come facevano gli autori che godevano di un mecenate doveva
adulare i potenti, ma adulava anche il popolo giacch la sua sete di denaro (pi
forte dellansia di gloria) lo spingeva a farlo. Tuttavia Nebulone ha unaltra
caratteristica tuttaltro che frivola come quella di pensare a questioni
economiche, ed era quella di scrivere e parlare senza pensare (proprio come
detta il Fanciullino) ma, per uno scrittore che scrive a richiesta, le parole del
fanciullo rimangono sorde. Questa componente spensierata nello esprimersi
prende unaltra rotta, verso la banalit e il disinteresse. Per uno scrittore civile,
impegnato in politica, come si dimostrer poi Giovanni Pascoli, quel periodo
fond i pilastri di quella che dopo sar la stagione delleroe stanco. Pascoli si
trovava a Rimini, correva lanno 1872 e il nostro poeta frequentava ai suoi 17
anni lultimo corso del liceo. In quegli stessi mesi la cittadina romagnola
accoglieva i primi incontri repubblicani e internazionalisti: sotto la guida di
Cofiero, nasceva proprio a Rimini, nellagosto del 1872, il movimento anarchico
organizzato.26
Era un periodo nel quale i discorsi politici, in Romagna, si erano esaltati.
Nellattualit la Romagna non famosa per limpegno civile dei cittadini e, a
parte un circolo ristretto dintellettuali che cercano di portare avanti iniziative
culturali soprattutto nella zona del cesenate una terra dove lunico
interesse per il quale i cittadini lottano con passione per la difesa e
conservazione del loro dialetto; il resto del territorio manca di quella vecchia
predisposizione che avevano reso nota la capitale, Ravenna che viene cantata
da Dante Alighieri ed stata Musa ispiratrice (a volte soltanto per pochi versi)
di scrittori della taglia di Cecco dAscoli, Cino da Pistoia, Boccaccio, Virgilio, Lord
Byron, Thomas S. Eliot, Carducci, Wilde, DAnnunzio, Hesse, Luigi Valli e lo
stesso Pascoli27 (per citare solo alcuni) , o di Cesena, citt malatestiana che
ospita una meravigliosa biblioteca purtroppo non molto considerata e nota nel
resto dItalia. Giovanni Pascoli si trovava in una Rimini diversa da quella di oggi,
dove la speculazione e la politica mirata a interessi turistici ed economici pi
che ad aspetti culturali e sociali, non esisteva ancora, o esisteva in una minor
percentuale, essendo appunto Nebulone, il personaggio criticato dal Pascoli
studente. Era un periodo di forte impegno civile e la societ partecipava a
questo movimento tramite dibattiti: si parlava in tutto il territorio di anarchia, di
comunismo e internazionalismo. Il giovane Pascoli, in un ambiente politico cos
attivo, invent un personaggio che denomin Nebulone, lantieroe per
26 Giovanni Capecchi, Voci dal nido infranto, Le lettere, 2011 Firenze, p. 53. 27 Ravenna. Poeti per una citt a cura di Tino Dalla Valle, Longo Editore, Ravenna, 1993, edizione ampliata dalla prima e precedente del 1968
antonomasia, lo scrittore che per interessi economici e individuali adulava i
potenti indipendentemente dalla loro ideologia, perch per Nebulone
limportanza risiedeva nei risultati redditizi dei suoi scritti e nella ricerca di un
titolo nobiliare, senza aiutare, in tempo di carestia, i bisognosi, essendosi
arricchito grazie anche a loro.
Nebulone, dunque, sarebbe lantagonista del Pascoli dei primi anni, del periodo
che io chiamo la stagione delleroe dionisiaco. Si tratterebbe dellantieroe che,
purtroppo, nellattualit e seguendo la cronologia dellevoluzione e
trasformazione della figura delleroe fino ai nostri giorni, diventato il
personaggio che vince la gloria e la fama senza lottare contro i Proci; questo
eroe non si sacrifica per salvare il re dai Saraceni, n si suicida per
limpossibilit di stare con la donna amata, questo eroe non si angoscia per non
riuscire ad essere capito e non si amareggia perch non riesce a cambiare il
mondo. Questo eroe come Nebulone, diventa uno scrittore di best-sellers,
studia la societ e le d quello di cui ha bisogno: una letteratura facile, libri di
lettura veloce e spensierata e poesie senza metrica n ritmo che diventano
prosa (per niente lirica) ma che raccontano storie che, il popolo di oggi (con
poco tempo libero a disposizione e con la fretta e lo stress che provoca la vita
moderna) vuole leggere, storie che non impegnino troppo le menti occupate dai
tanti pensieri e problemi. Sono letture che non obbligano ad alzarsi dalla
poltrona per controllare nel dizionario le parole che non si capiscono o di
prendere lenciclopedia e informarsi del motivo per il quale alcuni scrittori come
Pascoli, era pi importante la cetra di Orfeo che la clava di Ercole.
Questo eroe, questo scrittore, fa s che si produca un mutamento che
arrivato ai giorni doggi e sta propiziando la creazione di un nuovo eroe che,
paradossalmente, chiuder il cerchio ritornando a scrivere sulla mitologia,
sullepopea, sugli eroi classici, forse con la sola speranza di vedere la propria
opera trasposta in un film per arricchirsi ancora di pi.
Chiss se lultimo di questi eroi moderni, che non ha pi niente di nuovo da
raccontare e fa un uso eccessivo dellimitatio, porter la curiosit dei lettori e li
far alzare dal divano o, magari sempre seduti ma con il cellulare di nuova
generazione in mano vicino al libro storico di turno, di connettersi a Internet e
fare ricerche su Orfeo e su Ercole?
Seconda stagione. Leroe piangente
La seconda stagione comincia con Il pellegrino, nel 1882. Dopo il
conseguimento della Laurea, con la sua tesi su Alceo, Pascoli fa una visita alla
famiglia ed amici in Romagna. Si reca poi a Sogliano per salutare la zia che
gentilmente si era offerta a ospitare le sorelle appena uscite dal convento, a
condizione che le ragazze contribuissero alleconomia familiare dando alla zia il
capitale rimasto della vendita del podere e della casina della madre. In quel
momento nella psiche di Pascoli si sconvolge qualcosa. La mia ipotesi la
seguente: il giovane Pascoli, ventisettenne, rincontra quella sorella bionda che
aveva salutato quando era ancora una bambina, trovandosi davanti una
persona ben diversa da quella sorellina che ricordava: una donna adulta, bella,
formosa, piena di salute. Nel poeta si scaturiscono sentimenti che andavano pi
in l di quello che lamore fraterno considererebbe lecito. Su questo argomento
critici, studiosi e professori hanno parlato molto e purtroppo i pettegolezzi sono
stati tanti, aiutando in modo negativo la fortuna del poeta, e conferendogli
nominativi tali come il poeta piangente, o colui che aveva un rapporto
incestuoso con le sorelle; attributi che poco hanno a che fare con il vero Pascoli.
Vorrei parlare di un poeta che invece era stato segnato da uninfanzia
tormentata e che aveva vissuto lontano da quasi tutta la sua famiglia ed era
stato cos coraggioso di portare i suoi studi avanti con degli ottimi risultati.
Contraddir anche laffermazione di Luigi Baldacci che definisce lultimo periodo
di vita dellautore la stagione delleroe stanco come il non-Pascoli. Vorrei
sostenere il contrario: se c una stagione che si possa considerare come non-
Pascoli sarebbe inquadrata nel secondo periodo, nella stagione delleroe
piangente; quella che comincia con Il pellegrino, il periodo nel quale il poeta
diventa cupo, parla con i defunti e rammenta la notte e la morte. Questa
stagione obbliga il poeta a creare un nido, com stato chiamato il nucleo
familiare inseguito dal Giovannino orfanello, colui che molto probabilmente
cercava la madre nelle attenzioni delle sorelle. Un Pascoli quasi bambino,
lontano dalluomo adulto e professore e dallo scrittore di greco e latino. Nella
mente di Pascoli, dicevo, si erano create delle idee contraddittorie: da un lato
perch cercava di unire una famiglia ormai sciolta da anni, frantumata sin dalla
morte dei genitori; questa una famiglia che non esiste pi e che non dovrebbe
pi esistere nel momento del ritrovo a Sogliano, con due sorelle in et da
maritare anzich da andare a vivere con un fratello maggiore. Laltra idea che
questo nucleo familiare Pascoli lo vorrebbe per leternit e non concepisce
entrate o uscite da esso (ad eccezione del cuginetto Placido David); noto il
contorto rapporto con il fratello Giuseppe, e Pascoli non sembrava avere
nessuna intenzione di sposarsi. la passione quella che lo porta ad avere
pensieri ed atteggiamenti al di fuori della norma, perdendo cos la sua vera
identit e accettando, in un certo modo, lipotesi del periodo di non-Pascoli, ma
tradotta nella seconda stagione e non pi nella quarta come postulava Baldacci.
Il carattere eroico del Nostro evolve dallo spirito goliardico degli anni
universitari al personaggio profondo e attento alle piccole cose della stagione
del pianto. Per dimostrare questa affermazione vorrei fare una sintesi di un
periodo della sua vita smentendo anche unidea che condivide la critica.
I critici hanno parlato dellanno 1882 come del ritorno ai doveri familiari, ma
non sono daccordo con questa affermazione perch Pascoli non aveva mai
dovuto aiutare la famiglia prima di allora. Aveva soltanto undici anni alla morte
del padre, e in quel periodo si trovava in collegio con gli altri tre fratelli:
Giacomo, Luigi e Raffaele. Giacomo era il fratello pi grande e perci fu lui a
prendere in qualche modo il posto di capo famiglia. Lo racconta cos Maria
Pascoli quando parla della morte del padre.28 Dora in poi per confermare la mia
affermazione mi baser su di un solo dato bibliografico, quello che ritengo pi
opportuno in questo aspetto: la biografia scritta da Maria Pascoli nella quale
racconta, in un modo abbastanza vicino alla realt e pieno di dettagli, date e
riferimenti importanti della sua vita e di quella della sua famiglia:
28 Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, memorie curate e integrate da Augusto Vicinelli, Mondadori, Milano 1961
[] Per dare loro il funesto annunzio della irreparabile sventura, fu mandata Margherita col
canonico Federico Balsimelli, intimo di casa. Essi appena videro la sorellina vestita a lutto,
pallida e mesta, le si strinsero intorno scoppiando in pianto disperato. Avevano intuito subito
che il loro buon pap non cera pi. Giacomo fu condotto a casa (improvvisamente, a 15 anni, si
trov a essere il capo della famiglia) e gli altri tre, Luigi, Giovannino e Falino rimasero in collegio
col cuore spezzato. Ad essi non fu detto ancora in che modo il babbo era morto: lo seppero poi.
Fu Giacomo quello che tronc gli studi liceali con lidea di ottenere in solo due
anni il diploma di perito agrimensore e limpiego alla Torre Torlonia, potendo
cos sollevare economicamente le sorti della famiglia. Quindi vediamo che era in
Giacomo dove si ponevano tutte le speranze per il sostenimento della famiglia e
non in Giovanni, che malgrado la morte del padre, e secondo il manifesto
lasciato dalla sorella Maria nella biografia, riprese gli studi senza disturbo
apparente:
Iniziato il nuovo anno scolastico, che per lui era di terza ginnasiale, Giovannino pot, nello
studio che amava, riaversi dal suo grande turbamento e riprendere con serenit la vita del
collegio. Continu a essere il primo della sua classe, nonostante che avesse un bravo
compagno, Cesare Mavarelli, che se la batteva con lui.
Dunque ci troviamo davanti ad un bambino senza altri impegni o preoccupazioni
che di essere il migliore della sua classe. Intanto Giacomo era rimasto vicino
alla madre, facendo le veci di capo famiglia. Nel frattempo Margherita, la sorella
maggiore, si ammal di tifo e mor poco dopo. Fu un doppio colpo per tutti ma
soprattutto per la madre che delegava in lei molte delle faccende di casa, la
cura dei fratellini e soprattutto era stata il suo supporto, aiutandola a tirarsi su
con il suo carattere gioviale. Caterina Vincenzi Allocatelli aveva perso il marito e
poi la figlia primogenita, i due pilastri maestri della sua vita, forzandola a gestire
tutta la famiglia. Sicuramente per una donna che aveva sofferto due traumi
importanti come la morte di due familiari strettissimi e lincertezza del proprio
futuro e quello dei suoi figli la fecero cadere in unamarezza cos forte dalla
quale non si riprese mai pi. Mor il 18 dicembre del 1868, lasciando a Giacomo
le redini della famiglia. Delle ultime conversazioni con il figlio pi grande Maria
Pascoli nella biografia del fratello scrive:
[] La mamma intanto si aggravava ogni giorno, ogni ora pi; ed essa capiva di essere
prossima alla fine e pregava che Dio volesse tenerla ancora quaggi. Non avrebbe voluto morire
allora, no, perch pensava ai figli ancora piccoli che lasciava quaggi, soli, senza assistenza,
senza guida. Come si raccomandava al suo Giacomo (che aveva 16 anni, che era sempre al suo
letto con la zia) perch tenesse uniti e daccordo i fratelli, li guidasse, li consigliasse e facesse
loro le veci di padre! E si raccomandava che tanto lui che gli altri figliuoli amassero,
proteggessero e aiutassero le sorelline. Per queste si rivolgeva particolarmente alla zia Rita,
perch le tutelasse, le assistesse, non le perdesse di vista... e cos fino a che il suo mesto cuore
non cess di battere e la sua dolce anima non sinvol da questo atomo opaco del male.
In questo frammento di testo vediamo che sempre Giacomo quello che
prende il compito di badare alla famiglia, escluse le sorelline che sarebbero
state accudite dalla zia Rita, a Sogliano.
Anche se con mezzi finanziari molto ridotti la retta veniva pagata puntualmente
e i tre fratelli continuarono a studiare nel collegio. Purtroppo in altri aspetti le
condizioni economiche della famiglia venivano alla luce come nelle pessime
condizioni delle uniformi, motivo per il quale i fratelli venivano derisi. Malgrado
latteggiamento dei compagni e la notizia delle morti della sorella e della madre,
Giovanni continu ad essere uno dei primi della classe riportando dei voti molto
alti, dimostrando cos che le disgrazie familiari non avevo turbato il suo animo
per lo studio. Tanto pi che, come si riporta nella biografia scritta da Maria
Pascoli, il professor Cei
[] si raccomand con viva premura a Giacomo (il piccolo padre) perch facesse il possibile
per far proseguire gli studi classici a Giovannino, che sarebbe stato un vero peccato farglieli
interrompere, riuscendovi tanto bene ed avendo di pi una facile e ricca vena poetica.
Considerando tutti questi frammenti della biografia sembra evidente chi fosse
il piccolo padre, il capo famiglia nei Pascoli, cio Giacomo e non Giovanni.
Nellestate del 1871 i fratelli ritornarono finalmente a casa, ormai vuota senza i
genitori n Margherita, e senza le due sorelline che si trovavano a Sogliano
dalla zia Rita. Cera soltanto Giacomo, che a 19 anni aveva la responsabilit dei
suoi fratelli. In quel periodo Giovanni accusava dolori al piede destro dovuti alla
malformazione del dito mignolo e a un incidente avvenuto mesi prima con una
scarpa troppo stretta. Nonostante ci andava a Bellaria con i fratelli a farsi il
bagno al mare e, alla fine dellestate, il professor Cei si rec da loro con
lintenzione di visitare la Repubblica di San Marino e lo fece insieme a Giovanni
e Luigi, una faticosa passeggiata per un ragazzino che rischiava lamputazione
del piede. Intanto le sorelle rimanevano nelloblio pi completo a Sogliano.
Dopo la diagnosi della meningite cerebrale di Gigino, Giovanni Pascoli fu
allontanato dal fratello e ospitato da una famiglia amica dei parenti. Invece le
sorelline erano sempre a Sogliano, dalla zia Rita, che non torn pi a San Mauro
come spiegato dalle parole di Mari quando parla della morte del fratello
Luigi, che avvenne il 18 ottobre 1871:
Povero piccolo padre, cos duramente provato! Era scesa da Sogliano, appena seppero del
grave stato di Gigino, la nostra buona Rosa (mandata dalla zia Rita, la quale non era pi
tornata, e non ebbe il coraggio di ritornare mai pi a San Mauro, dopo la morte di nostra
madre) per prestare assistenza al malato e aiutare in tutte le cose di casa.
Ancora una volta si dimostra che n Giovanni era andato a Sogliano n la zia
aveva portato le sorelline a visitare i fratelli. Dopo la morte di Gigino, e fino al
1873, Giacomo si trasfer con tutti i fratelli a Rimini. Poco dopo anche le due
sorelline che in quel periodo stavano per compiere 8 e 10 anni andarono a
vivere con loro. Questa la prima volta dopo la morte della mamma che si
incontrano tutti i fratelli. Sempre Mari, nella biografia del fratello, ci racconta
che a Rimini si rec il professor Cei con un progetto da proporre a Giacomo:
[] mandare, cio Giovannino a compiere il Liceo a Firenze presso gli Scolopi al San
Giovannino, potendo, se voleva, alloggiare e prendere i pasti nella sua casa dove erano soltanto
i suoi genitori.
Cos dopo le vacanze riminesi Giovanni part per Firenze per continuare i suoi
studi, salutando la famiglia (comprese le due sorelle). Alla fine di quellanno
scolastico Giovanni torn a casa da Firenze. Ida e Maria erano ancora due
bambine, e il periodo di assenza del fratello fu cos lungo per le sorelline che
quando egli torn a casa, gli diedero del Lei. Questa lultima volta in cui
hanno convissuto fino al 1882. Giacomo si fidanz e Bibbiana la custode e
donna di servizio della famiglia Pascoli spos un vedovo. In quella situazione
Giacomo pens che la soluzione migliore sarebbe stata mandare le due sorelline
in convento, come aveva gi suggerito la zia Rita in passato. Intanto Giovanni si
era preparato per un concorso per una borsa di studi allUniversit di Bologna,
vincendola quando ancora non aveva compiuto i diciotto anni e si era iscritto,
nel 1873, nella Facolt di Lettere dellUniversit di Bologna. Anche Falino vinse
un sussidio per proseguire il diploma di perito a Forl. Cos Giacomo riusc a
sistemare tutti i fratelli e finalmente ebbe del tempo per s. Si spos nel 1874
(Mari afferma che il matrimonio avvenne durante le vacanze estive, alla
presenza dei fratelli), Ida e Maria per non furono presenti alle nozze perch
dal 3 marzo erano in convento.
Qui vorrei fare un inciso: per i nostri costumi attuali si potrebbe pensare che
non invitare le sorelle al matrimonio possa essere un atteggiamento egoistico o
fuori luogo, ma dobbiamo pensare nellottica di quei tempi e tenendo conto
della storia e della situazione di quella famiglia. Ida e Maria si trovavano a
Sogliano, non erano pi a casa con loro, erano ancora piccole e in qualche
modo rappresentavano un peso per i fratelli maschi, che erano impegnati a
trovarsi un futuro che li facesse guadagnare abbastanza per poter permettersi
di vivere. Giacomo aveva sofferto penurie economiche per poter sostenere i
propri studi e quelli dei fratelli, oltre a procurare il vitto e lalloggio, e poi
cerano le sorelline che ancora troppo piccole non potevano aiutare in casa,
anzi, rappresentavano una zavorra dovendo essere curate e assistite. Perci
non far partecipi le sorelline al matrimonio non sarebbe stato un
comportamento strano o mal visto in quella situazione.
Vorrei aggiungere anche che gli affetti di allora erano gli stessi, o forse lamore
fraterno era pi forte che oggigiorno, e le sorelline prive di una mamma
avevano bisogno di questo amore, ma il sentimento dei fratelli maggiori non era
lo stesso, loro avevano altri interessi ed andare a prendere due bambine al
convento per riunire quello che rimaneva della famiglia non era una delle
preoccupazioni dei fratelli.
Unaltra confessione di Maria Pascoli nella biografia del fratello Giovanni ci fa
capire chi era il capo famiglia e chi sinteressava realmente alle sorelline in
convento. Giacomo, molto impegnato con i suoi doveri, chiese a Giovanni di
scrivere una lettera per le sorelle da consegnare insieme a una scatola con dei
pensieri e ricordi della famiglia (foto, oggetti). Ancora una volta Giacomo a
pensare alle sorelle. Ma alla morte di Giacomo, il piccolo padre, la famiglia
rimase distrutta e le propriet divise fra i fratelli e la moglie. Neanche in questa
occasione Ida o Maria furono presenti:
Si arriv pertanto alle divisioni della roba e dei mobili di casa, divisioni che simponevano perch
la vedova voleva la parte che le spettava. Furono fatte il 31 ottobre del 1876, presenti i fratelli,
la cognata e il tutore Luigi Scardovi. A rappresentare noi sorelle, che eravamo in convento, cera
Emilio David, figlio della zia Rita nostra tutrice, non avendo essa avuto il coraggio di recarsi in
quella casa per assistere a un atto cos doloroso, sebbene necessario, che per lei significava la
disunione della famiglia e la dispersione di tante cose amate.
Era il 1877 e per quellanno e gli altri due successivi Giovanni Pascoli,
abbastanza a corto di soldi, soffr la fame. Si recava come uditore alle lezioni di
Carducci e di altri professori, frequentava il ritrovo serale carducciano e
continuava ad andare a mangiare alla trattoria del Foro Boario (quando il suo
portafoglio glielo permetteva). In quegli anni dedicava quasi tutto il suo tempo
libero a scrivere propaganda socialista per alcuni giornali. Lontani erano i
pensieri per le sorelle quando i rumori del suo stomaco vuoto erano i soli a
creargli preoccupazioni, oltre allossessione di scoprire lassassino di suo padre.
Per Giovanni era importante fare luce sullassassinio del padre, anche se per
quello che racconta Mari, le sue sembrano pi delle indagini spericolate che
una vera ansia di sapere e vendicare: Tentava tutte le vie con un ardimento e
unimprudenza da mettere a rischio la vita. Tra laltro diventava pericoloso
approfondire largomento e una lettera anonima arriv a Giacomo consigliando
di lasciar perdere laccaduto, altrimenti la sua