Tesi processo st.
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LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM
MASTER IN MANAGEMENT SANITARIO PER LE
FUNZIONI DI COORDINAMENTO
(MASA)
STUDIO SUI PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI
INFERMIERISTICA
Direttore Scientifico:
Prof. Paolo Moderato
Relatore
Dott. Davide Jabes
Prova finale di:
Marcela Hovana Carrasco
Matricola 1009973
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
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Rare sono le persone che usano la mente.
Poche coloro che usano il cuore e
uniche coloro che usano entrambi.
Rita Levi Montalcini
Vivi come se dovessi morire domani.
Impara come se dovessi vivere per sempre.
Gandhi
Non si scoprirebbe mai niente se ci si
considerasse soddisfatti di quello che si è
scoperto.
Seneca.
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INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
STORIA E SVILUPPO DELL’ASSISTENZA
INFERMIERISTICA
1.1. L’Infermieristica a Traverso la Storia
1.2. L’Teorie Infermieristiche
1.2.1. Nell’Arte e Scienza del Nursing Umanistico
1.2.2. Nelle Relazioni Personal
1.2.3. I Sistemi
1.2.4. I Campi dell’Energia
CAPITOLO II
NORMATIVA INFERMIERISTICA
CAPITOLO III
SISTEMI E GESTIONE DELLA QUALITA’
DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA
3.1 La Qualità Passato e Presente in Sanità
3.2. Definizione del Concetto di Qualità in Sanità
3.3 Dimensioni della Qualità
3.4. Metodologie e Strumenti per il Miglioramento della Qualità
3.4.1. Linee Guida ed Evidence Based Medicine (EBM)
3.4.2. L’Accreditamento Professionale
3.4.3. L’Accreditamento Istituzionale
3.5. Normativa di Riferimento per la Qualità in Sanità
3.5.1. La Carta di Lubiana
3.5.2. La Carta di Porto Nuovo
CAPITOLO IV
PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI
INFERMIERISTICA
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4.1. Definizione dei Profili di Responsabilità, Autonomia e Competenze della
Professione Infermieristica
4.2. Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica
4.3. Assistenza Basata sulle Prove di Efficacia (EBN/EBM)
4.3.1. La Medicina Basata sulle Evidenze (Evidence-Based-Medicine, EBM)
4.3.2. L’Evidence Based Nursing (EBN)
4.3.3. L’Evidence Based Pratice
4.4. Processi di Standardizzazione nella Prassi Infermieristicha.
4.4.1. Le Linee Guida
4.4.2. Le Procedure Infermieristiche
4.4.3. Il Percorso Clinico Assistenziale
4.4.4. Il Protocollo
CONCLUSIONI
GLOSSARIO
BIBLIOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI
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INTRODUZIONE
Con la riforma Sanitaria le Aziende Ospedaliere devono attuare un sistema in grado
di mantenere la qualità dell’assistenza, migliorando i livelli di efficienza e efficacia con le
risorse disponibili, le aziende devono avere una seri di requisiti organizzativi, tecnologici
e strutturali tali da assicurare ai cittadini la qualità dell’assistenza offerta.
La Standardizzazione è il processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti sulla
base di norme, tipi o modelli di riferimento appropriati per migliorare la qualità.
Spesso accade che i soggetti coinvolti nella produzione di servizi finalizzati alla
tutela, promozione e mantenimento dello stato di salute, siano poco coordinati tra loro
rendendo impossibile l’ottimizzazione dei processi lavorativi. C’è quindi l’esigenza di
porre l’attenzione alla risoluzione dei problemi organizzativi, in quanto è una delle poche
soluzioni al difficile problema della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate.
Diventa indispensabile, quindi, nelle strutture sanitarie il “Servizio Infermieristico”
quale componente della complessa organizzazione di servizio che rappresenta la struttura
sanitaria; in considerazione che l’organizzazione del lavoro è una variabile altamente
critica perché ha una notevole influenza sul processo assistenziale condizionandone
fortemente il livello di adeguatezza del servizio prestato in risposta al bisogno di
assistenza.
Indipendentemente dal modello attuato nell’organizzazione del lavoro, diventa
indispensabile dotarsi di strumenti operativi che rendano misurabile il livello di
funzionalità del modello organizzativo in modo globale.
Perché una qualunque istituzione sanitaria funzioni (ad. esempio, le strutture
sanitarie, e dal l’oro interno le singole Unità Operative), necessita della conoscenza
approfondita dei suoi elementi fondamentali (risorse umane, tecnologiche, strumentali,
protocolli, procedure operative, sistema informativo, processi decisionali, ecc.) e delle
modalità con cui tutti questi elementi si svolgono nelle situazioni lavorative concrete. Gli
interventi operativi sui processi di erogazione delle prestazioni dei servizi è solitamente
riconducibile al bisogno di mantenere i processi a quel livello di funzionalità che la prassi
fa ritenere ottimali.
Il processo di standardizzazione nella prassi infermieristica mediante la elaborazione
dei documenti aziendali, è indirizzato a trovare un punto di equilibrio tra ciò che viene
riportato nella teoria, e ciò che viene attuato con diligenza e professionalità nella pratica
clinica quotidiana, per garantire l’uniformità e omogeneità assistenziale secondo criteri
basati sull’evidenza scientifica; prevenire ed identificare le possibili cause d’infezioni
nosocomiali locale e sistemiche per il corretto impiego delle risorse e con la conseguente
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riduzione dei costi e dei tempi di degenza e sopratutto rendere documenti quali istrumenti
per l’istruzione, formazione ed informazioni degli operatori sanitari, utili a indirizzare le
decisioni verso una maggiore efficacia e appropriatezza, oltre che verso una maggiore
efficienza nell’uso delle risorse in tutte le Unità Operative delle strutture sanitarie.
Lo studio sui processi di standardizzazione nelle prassi infermieristica è stato svolto
descrivendo al primo capitolo la storia e lo sviluppo della professione infermieristica, dato
che non può parlare di una disciplina se non si conosce il suo origine. Il secondo capitolo è
riferito alla normativa infermieristica, per che sono i fondamenti legislativi a determinare i
campi di autonomia, responsabilità e le competenze della professione infermieristica. Il
terzo capitolo descrive i sistemi di qualità in ambito sanitario argomento ampiamente
discusso negli ultimi anni, e finalizzato a sviluppare una politica della qualità clinico-
assistenziale assunta in forma consapevole e realizzata in funzione di quella che è la
mission aziendale. Il quarto capitolo descrive i processi di standardizzazione nella prassi
infermieristica, come un insieme di attività che trasformano gli input in output, che
hanno valore per l’utente e seguono una sequenza di attività correlate e finalizzate ad uno
specifico risultato finale.
L’esperienza di ogni giorno ci insegna quanto sia di fondamentale importanza
l’adozione di linee guida, procedure, percorsi clinico-assistenziali e protocolli assistenziale,
per questo motivo non solo deve essere responsabilità del Servizio Infermieristico la loro
elaborazione, ma anche del singolo Coordinatore delle diverse Unità Operative, e come
professionisti dobbiamo agire sulla nostra motivazione e su quella dei nostri colleghi,
abbiamo il dovere morale di aggiornare le nostre conoscenze (SAPERE), le nostre
competenze (SAPER FARE), affinare quelle che sono le nostre capacità relazionali
(SAPER ESSERE) e mediante un percorso educativo evolversi per cambiare vecchi
modelli, abitudini, modi di vedere e trovare nuovi punti di vista e nuove mete (SAPER
DIVENIRE).
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CAPITOLO I
STORIA E SVILUPPO DELL’ASSISTENZA
INFERMIERISTICA.
Qualunque persona intraprenda lo studio di una disciplina, di una scienza o di un’arte
dovrebbe cominciare a conoscerla dalle origini seguendola nel progressivo cammino
attraverso i tempi. Nulla nasce ex novo, ma tutto si evolve, si perfeziona, si amplifica via a
via che ogni generazione porta il suo contributo di conoscenza, di attività, di amore alla
continua ascesa verso forme di vita migliore e di ideali più elevati. (F. Pittini – Manuale
di assistenza sociale)
1.1 L’Infermieristica a traverso la Storia.
Una forma di assistenza infermieristica non formalizzata è probabilmente sempre
esistita, fin dalle origini della storia dell’uomo, come un aiuto alla vita ed è stata prestata
principalmente dalle donne, le loro conoscenze si sono trasmesse di madre a figlia, basate
essenzialmente su erbe medicamentose o intrugli vari, motivo per il quale veniva
considerata “guaritrice”. Il sapere essenziale rappresenta l’elaborazione graduale di un
insieme di pratiche per assicurare il soddisfacimento dei bisogni fondamentali alla
sopravvivenza, inizia ancor prima delle più antiche civiltà mesopotamica o egiziana e
continua attraverso secoli e millenni nel continente europeo favorendo la trasmissione e la
diffusione di usi, costumi, riti e miti.
Nell’antico Egitto l’assistenza infermieristica materno-infantile era responsabilità
delle ostetriche, mentre le balie allattavano al seno i bambini. I sacerdoti erano i principali
responsabili delle pratiche sanitarie in diretta correlazione con l’appagamento degli dei.
Gli Israeliti seguivano riti di sanitizzazione, usando l’acqua filtrata o bollita e
ispezionavano la carne per verificare il deterioramento.
Nell’antica Babilonia, in Egitto e tra i sumeri (signori colti e facoltosi), le famiglie
ricche erano le principali destinatarie dell’assistenza infermieristica.
Nel 500 a C., in Asia, Egitto, Palestina, Grecia e Italia, sono già presenti luoghi di
ricovero per gli ammalati. Gli Standard Igienici, in questi primi ospedali, pur basandosi
sui rituali religiosi, erano all’avanguardia. I pazienti erano sistemati in posti letti separati
fra loro o in stanze differenti, una buona ventilazione era considerata essenziale e
venivano messi in atto molti metodi rudimentali di controllo delle infezioni, come il non
toccare le ferite, l’isolamento dei pazienti infetti e l’uso del lavaggio e di forni per la
sterilizzazione degli strumenti.
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Nel Medioevo i primi ospedali Xenodochi, nel quale si ospitavano gratuitamente
forestieri e pellegrini prima in Oriente poi si diffusero in Europa. Con i valetudinaria
romani abbiamo la prima forma rudimentale conosciuta di assistenza organizzata, erano gli
ospedali in epoca romana, dove la medicina era esercitata principalmente da medici-
schiavi greci, il cui significato derivava dal termine latino valetudo, ovvero "buona salute".
Furono costruiti lungo l'intero limes (barriere costruite dall'Impero Romano per difendere i
propri confini e i propri territori).
Grazie all’avvento del cristianesimo, l’influenza della religione migliorò la posizione
sociale dell’infermieristica, dando più valore alla vita umana. La compassione, la carità e la
dedizione al servizio erano qualità associate alle infermiere. Le prime comunità cristiane
sono caratterizzate da uno spirito di grande solidarietà reciproca ed egualitaria. Per la sua
filosofia caritatevole verso bisognosi e infermi, sorgono i primi ospedali, inizialmente non
si occuperanno di assistere i malati, ma per molto tempo accoglieranno vagabondi,
senzatetto, pellegrini, ecc.. Va inoltre sottolineato come, nei confronti degli infermi,
prevalga sull’aspetto curativo, quello caritatevole. Le diaconesse e i diaconi esercitano un
servizio, organizzato su base territoriale, per l’assistenza agli ammalati e ai poveri.
Il primo ospedale che si occupa soltanto di ammalati è stato istituito nel 390 d. C. da
una nobildonna, Fabiola. Si racconta che raccogliesse personalmente gli infermi per le
strade della città assisteva le vittime della fame e delle epidemie, i mutilati, i ciechi e gli
storpi, ripulendo le loro piaghe e ferite dando loro da mangiare.
L’assistenza è esercitata inizialmente dalle donne che, successivamente, divengono
infermiere ed ostetriche. Fino alla seconda metà del ‘900 la conoscenza infermieristica, è
maturata sulla base di un metodo empirico, per prove ed errori, resta ai margini della
cultura sanitaria e non viene considerata degna di un proprio statuto scientifico.
L’assistenza infermieristica rappresenta e si configura come una derivazione specifica e
specialistica dell’assistenza in generale, allorquando si sono verificate alcune situazioni
che hanno reso necessario il passaggio dal sapere culturale al sapere disciplinare,
richiedendo l’uso di un metodo scientifico sia nella teoria che nella pratica.
Nel Medioevo protagonisti assoluti dell’assistenza sono gli ordini monastici e
religiosi e ciò continua per molti secoli, anche quando, dal l500 in poi, il grande progresso
scientifico cambia il volto della medicina, cambiando radicalmente l’assetto ospedaliero ,
in quanto il prendersi cura non era più visto solo come un atto cristiano, ma anche in
termini di produzione di salute corporale e di idoneità fisica. E’ proprio per questo, alcuni
religiosi si distinguono per dedizione e modernità delle concezioni in campo assistenziale.
I monaci si dedicano all’anima e i conversi o i servi al corpo, nacque il termine infirmus
che designava il monaco che si occupava dell’accoglienza e dell’assistenza dei malati e
dei bisognosi. Gli ospedali erano generalmente annessi al monastero, si offriva riposo,
protezione, vitto con dieta opportuna, insieme alla cura delle ferite o delle piaghe. I farmaci
erano dispensati in speciali infermerie.
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Fra questi spicca la figura di Camillo de Lellis ( 1550 – 1614 ), fondatore dell’Ordine del
Ministri degli Infermi. Lo storico della medicina Giorgio Cosmacini definisce, ancora ai
giorni nostri, De Lellis come la figura dell’infermieri ideale, protagonista dell’utopia
ospedaliera del Seicento. Egli pensa che l’assistenza non può essere affidata agli
inservienti che abbandonano gli ammalati quando non sono sorvegliati. Raccomanda di
studiare ogni singolo caso, di imparare a rifare i letti e a pulire i pazienti quando sono
gravi e a preparare relazioni per medici sulla giornata del malato, dedica particolare
attenzione alla formazione degli infermieri e all’organizzazione del lavoro. Giovanni di
Dio, fondatore degli ospedali Fatebenefratelli, dove si contemplava la figura del’infermiere
maggiore e dell’infermiere minore, che si diffonderà in tutta Europa. Vincenzo de Paoli,
fondatore della Compagnia delle Figlie della Carità, inizialmente composto da dame della
nobiltà e della borghesia, reintroducendo le donne nell’assistenza. Prima di essere
infermieri sono stati malati, e furono i primi a comprendere che serviva un’assistenza
specifica per stare vicino al malato: L’Assistenza Infermieristica.
Nei secoli XV – XVI negli ospedali gli infermieri erano laici, in quanto nei paesi
cattolici, a causa delle severe regole di disciplina imposte agli ordini religiosi dal Concilio
di Trento (1545 – 1563) provocò una riduzione del numero delle suore e dei frati impegnati
nell’assistenza. Gli infermieri erano reclutati nelle classi inferiori donne e uomini usciti
dal carcere, di ex prostitute, di povera gente in genere.
Nei secoli XVI – XVII con il progresso scientifico si evidenzia una notevole
evoluzione della medicina, riguardanti sia le conoscenze che i rimedi pratici. Prima
dell’Ottocento gli ospedali mostravano i mansionari degli infermieri e delle altre figura.
uomini o donne, chiamarti in aiuto per la gestione di malati e si può dire che non mancava
una certa attenzione alla loro formazione teorica e pratica. La revisione dei manuali
dell’epoca permettono di conoscere i sistemi di istruzione di queste figure. Il modello di
insegnamento era basato sulla didattica per aforismi (brevi frasi) o con libri improntati al
metodo dialogistico (costruito su domande e risposte). Tra questi La Pratica
dell’Infermiere (1664).
La rivoluzione scientifica e quella industriale determinano ulteriori modificazioni
nell'organizzazione degli ospedali. Servono infermieri più preparati per svolgere un'attività
che si è fatta più complessa. La nuova temperie culturale favorisce l'apparire sulla scena di
quella che è forse il prototipo dell'infermiera: Florence Nightingale (1820-1910). Di origini
alto borghesi, la "signora della lampada" si distingue nei soccorsi ai militari feriti nella
guerra di Crimea e si rivela ben presto un genio pratico, organizzativo, teorico e didattico,
con i suoi interventi riduce la mortalità dal 42% al 2.2%. Con la Nightingale l'assistenza
infermieristica virerà in modo irreversibile verso la scienza e l'efficienza, utilizzando la
scienza della statistica sociale di cui è esperta per mettere in evidenza sia l’impatto delle
malattie sulla mortalità che gli effetti delle condizioni sanitarie. Attua provvedimenti per
prevenire le malattie e migliorare le condizioni del popolo. Nel 1859 fonda la Nightingale
Training School for Nurse presso l’ospedale St. Thomas di Londra. La formazione
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infermieristica è basata sul sapere, l’istruzione, la conoscenza, per formare una professione
autonoma e autorevole e formare delle leader per riprodurre il sistema di pensiero
formativo. L’impostazione formativa utilizzata verrà esportata in tutto il mondo. Avrà
luogo una vera e propria colonizzazione culturale.
Nel frattempo, Henry Dunant (1828-1910) nel 1864 fonderà la Croce Rossa, un
corpo di infermieri volontari che intervengono in caso di guerra o calamità naturali e che in
tempo di pace si dedicano all'istruzione del personale sanitario e al trasporto degli infermi.
Negli Stati Uniti l’indipendenza e l’evoluzione socio-culturale, favorisco una grande
evoluzione della professione infermieristica. Nel 1861 si prende coscienza della scarsità
degli infermieri e della loro insufficiente preparazione. Un notevole impulso allo sviluppo
del Nursing in america fu dato però da Clara Barton, più arguta ed emancipata delle
colleghe inglesi, tanto da diventare una delle prime sufragettes, durante un soggiorno in
Europa venne a conoscenza dell’opera della Croce Rossa per cui al suo ritorno fondò nel
1881 la American Association of the Red Cross e quindi la prima Red Cross Society degli
Stati Uniti. Per quanto riguarda la formazione delle infermiere nel 1873 furono
fondate le prime tre scuole Americane. Con un programma di istruzione completo,
efficace e sistematico, e con l’impiego di standard che garantissero la formazione di
personale in grado di rispondere ai reali bisogni di salute e di assistenza della popolazione,
si ottenne un progressivo avanzamento della professione infermieristica.
Nel 1879 vengono fondate L’AMERICAN NURSES ASSOCIATION (ANA) e LA
NATIONAL LEAGUE OF NURSINGN. Nel 1899 nascerà L’INTERNATIONAL
COUNCIL OF NURSING (ICN). Fra le acquisizioni della cultura professionale
statunitense ci sono:
1°. La produzione dei modelli concettuali dell’infermieristica.
2°. L’attenzione alla qualità dell’assistenza e alla definizione di standard su cui
fondare la sua valutazione.
3°. L’attenzione ad altre problematiche di natura gestionale, es. la definizione di
vari sistemi organizzativi (assistenza di routine, per piccoli gruppi,
personalizzata).
4°. La definizione di una metodologia di lavoro, quella del problem-solving, entro il
quale viene data una crescente importanza alle “diagnosi infermieristiche”, cioè
a quei problemi dell’utente che l’infermiere è in grado di riconoscere e di
affrontare in maniera autonoma.
Il principio fondamentale, soprattutto nella cultura americana, della tutela della
libertà individuale, senza vincoli politici o religiosi, in una ottica di pragmatismo, uniti allo
spirito scientifico, di collaborazione e all’organizzazione, ha favorito l’evoluzione della
professione infermieristica per cui dal 1899 le prime infermiere furono ammesse
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all’università presso la Columbia University e nel 1916 esistevano già tredici corsi
universitari per infermiere.
L’infermiera americana non si è quindi creata dal nulla. La maggiore unità della
categoria e il terreno favorevole ad accogliere le sue istanze hanno facilitato il notevole
sviluppo culturale della professione e di conseguenza la creazione di una gerarchia
infermieristica preparata.
L’assenza di una profonda differenza culturale con la dirigenza medica e la
indispensabile collaborazione per la soluzione di problemi comuni, ha imposto quindi la
presenza dell’infermiera, dato che non era assolutamente possibile escluderla o ignorarla,
nei vari ambiti delle stesse scelte politiche e gestionali della sanità.
In Gran Bretagna, diverse giovane colte assumono posti di direzione nei maggiori
ospedali, alla scomparsa di F Nightingale, nel 1910, si pongono alla guida della
professione e ne determinano la politica, fondano scuole per infermiere in diversi paesi.
Nel 1919 il Parlamento approva l’istituzione dell’albo delle infermiere. Nel 1948 entra in
vigore il Servizio Sanitario Nazionale.
In Francia però l’impostazione della scuola della Nightingale non fu completamente
seguita nemmeno nella più prestigiosa scuola di Bordeaux diretta da una allieva della
stessa Nightingale, Miss Hamilton. Infatti durante il tirocinio le allieve non erano guidate
e seguite in ogni attività da infermiere capaci ed impegnate, le Sovraintendenti o Matron, e,
dopo due anni appena ottenuto il diploma, affiancando o sostituendo le infermiere che
avevano lasciato dei posti vacanti, non essendo adeguatamente preparate non riuscirono a
dare alla loro categoria quell’immagine e quella stima delle Nurses inglesi. Poco preparate
e prive di un vero spirito di corpo, dopo qualche anno venivano messe alla pari e spesso
sopravanzate dalle quelle vecchie infermiere più impegnate, sensibili e desiderose di
emanciparsi. Tutto ciò non invogliò, come in Inghilterra, le ragazze provenienti dalla
media borghesia ad intraprendere tale professione almeno negli ospedali pubblici.
All'inizio del Novecento la condizione degli ospedali italiani è terrificante. Una
visitatrice americana parlerà di totale assenza di una vera e propria assistenza
infermieristica. Ben presto subentrano anche da noi rapidi cambiamenti. I progressi
compiuti sotto l'aspetto diagnostico e terapeutico portano l'assistenza infermieristica a
cercare di adeguarsi al nuovo clima scientifico e tecnologico, le congregazioni religiose
notevolmente accresciute in numero avevano dato, specialmente in Italia, con le loro
infermiere una risposta adeguata ai tempi, questa non era più adatta alle nuove situazioni
sia per l’evidente calo progressivo delle vocazioni sia, per la loro limitata preparazione, sia
per il desiderio di un generale rinnovamento di una adeguata assistenza a quanti ne
avevano bisogno. Tutto ciò nonostante il personale infermieristico religioso avesse in
generale una dedizione e un attaccamento all’ammalato e ai suoi bisogni ed un senso del
dovere certamente impareggiabili, un costo inferiore alle infermiere laiche e, da un punto
di vista igienico sanitario, il servizio fosse meno peggio negli ospedali dove il personale
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era tutto religioso, deficiente dove era misto e decisamente scadente dove era tutto laico.
Nascono le prime scuole che cercano di reclutare le allieve infermiere tra le signorine
istruite della classe media. La "rivoluzione infermieristica" italiana sarà patrocinata da
Anna Celli, Amy Turton, Grace Baxter, Dorothy Snell; tanti nomi inglesi a testimonianza
di quanto la svolta italiana debba all'esempio, alle idee e ai metodi della Nightingale.
Nel 1919, si costituisce la Associazione Nazionale Italiana Tra Infermiere
(ANITI), con una sua rivista il “Bollettino Mensile”, che entrò nel Comitato Internazionale
delle Infermiere nella riunione tenutasi a Copenaghen nel 1922 (Sironi), 1933 si trasforma
in Sindacato Fascista Delle Infermiere Diplomate. Con l'avvento del fascismo, lo Stato
regolamenta la formazione infermieristica a livello nazionale.
Nel 1925 vengono istituite le scuole-convitto per infermiere. Nasce la figura
dell'assistente sanitaria.
Nel 1940 fa la sua comparsa l'infermiere generico. Filo conduttore dei cambiamenti
che avvengono in Italia è purtroppo, a differenza di quanto accade in altri paesi più civili,
l'assoluta subordinazione dell'infermiera al medico. Ciò determinerà guasti e ritardi che
durano tuttora.
E' del 1947, il primo contratto nazionale di lavoro per i dipendenti ospedalieri, che
pone fine alle macroscopiche disparità di trattamento economico sul territorio nazionale.
Nel 1954, nascono i collegi delle infermiere professionali e delle vigilatrici d'infanzia
(IPASVI)., nuovo ordinamento didattici triennale.
Nel 1971, viene concesso anche agli uomini l'accesso al diploma di infermiere
professionale, la durata del cui corso viene portata nel 1973 a tre anni. Mentre cambia
l'organizzazione ospedaliera, mutano pure le mansioni dell'infermiere che deve ora
occuparsi non solo dell'assistenza diretta al paziente in ospedale, ma di educazione
sanitaria, degli aspetti relazionali, del lavoro di equipe e di ricerca.
Nel 1974, nuovo mansionario che modifica le attribuzioni degli infermieri. Nel 1975
nuovo ordinamento didattico triennale.
Un'ulteriore svolta si ha nel 1978 con la legge 833, la cosiddetta "riforma sanitaria".
Viene istituito il Sistema Sanitario Nazionale che dovrebbe introdurre criteri di assoluta
equità nella cura dei malati.
Negli anni ’80 vi è la consapevolezza di essere un corpus professionale e di essere
portatori di un patrimonio conoscitivo unico e necessario alla collettività (si inizia a
importare le teorie, modelli e metodi americani).
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Nel 1992, si aprono le porte dell'Università con l'istituzione del diploma universitario
in scienze infermieristiche.
Nel 1994, il Nuovo Profilo Professionale riconosce l’infermiere responsabile
dell’assistenza generale infermieristica, precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti
operativi, la metodologia del lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti di
approfondimento culturale ed operativo, le aree di specializzazione.
Nel 1996, viene sancito il campo proprio di attività e di responsabilità
dell’infermiere, definendo che è una professione sanitaria.
Nel 1999, gli infermieri cessano finalmente, di essere considerati "personale sanitario
ausiliario", cambiando la denominazione per “personale sanitario”, sono abrogati i
mansionari e cambia il proprio campo di attività e responsabilità delle professioni sanitarie
il quale è determinato dai contenuti:
1. Dai Profili Professionali,
2. Dagli Ordinamenti Didattici,
3. Dai Corsi di Laurea,
4. Dai Codici Deontologici.
Nel 2000, riconoscimento formale della dirigenza del ruolo sanitario con
l’attribuzione della responsabilità e della gestione delle attività di assistenza
infermieristica.
Nel 2001, con la determinazione delle classi di laurea delle professioni sanitarie, si
avviano le lauree triennali e specialistiche, le quali si inquadrano nel generale processo di
riforma dell’Università, armonizzandosi con il resto d’Europa. Inizia la discussione sulla
tassonomia diagnostica e sull’evidence – based nursing.
Nel 2002, sulla problematica dell’emergenza infermieristica, si riconosce agli
infermieri, anche ai dipendenti, di svolgere l’attività libero – professionale.
Nel 2006, unifica la matrice tecnico – specialistica (infermieristica) con quella
gestionale (coordinamento) valorizza la formazione post base in ambito universitario e ne
riconosce il suo ruolo.
Nel 2008, si regolamenta la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente
delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione
e della professione di ostetrica.
Nel 2009, Nuovo Codice Deontologico Infermieristico. Disposizioni in materia di
professioni sanitarie”, segna l’inizio di una nuova era, per la sanità e per gli infermieri. E’
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una guida che permette al professionista di saper prendere decisioni adeguate. Rappresenta
un modello nel campo dei valori e delle responsabilità.
1.2. Le Teorie dell’Infermieristica.
1.2.1. Nell’Arte e Scienza del Nursing Umanistico
1.2.1.1. Florence Nightgale.
Nasce a Firenze il 12 maggio 1820, morì a 90 anni nel sonno a
Londra nel 1910, fondatrice del Nursing Moderno. Per lei, la
malattia è un processo di riparazione e l’infermiera deve agire sull’ambiente
per facilitare questo processo. Le sue istruzioni riguardanti la ventilazione, il
calore, la luce, la dieta, la pulizia ed il rumore sono annotate nel libro
“Notes on Nursing”.
1.2.1.2. Virginia Anderson.
Nasce a Kansas City 1897. Ha avuto una lunga carriera sia come
scrittrice sia come ricercatrice. La funzione peculiare dell’infermiera è
quella di assistere l’individuo, malato o sano, nello svolgimento di
quelle attività che contribuiscono alla guarigione (o che conducono ad una
morte serena) e che tale individuo svolgerebbe da solo se possedesse la forza,
la volontà o la conoscenza necessarie; l’infermiera deve inoltre aiutare
l’individuo a rendersi indipendente il più rapidamente possibile. Ha
identificato i 14 bisogni di base del paziente e tre tipi relazione infermiere-
paziente:
1°. L’Infermiere è un sostituto del paziente;
2°. L’Infermiere aiuta i paziente;
3°. L’Infermiere è un partner del paziente.
1.2.1.3. Faye Glenn Abdellah.
Ha scritto moltyo su vari argomenti sin dall’inizio degli anni
cinquanta. Insieme ad altri studiosi ha trasformato in concetti 21 problemi
infermieristici basati sull’uso sistematico dei dati di ricerca per insegnare e
valutare gli studenti. La tipologia dei 21 problemi apparve per la prima
volta nell’edizione del 1960 di “Patient- centered approaches to
Nursing”.
1.2.1.4. Lydia E.Hall.
Si è servita della sua filosofia infermieristica per progettare e
sviluppare il centro di Nursing Loeb all’ospedale Montefiore di New York.
Muore nel 1969. Riteneva che il Nursing debba operare in modo diverso nei
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tre cerchi indipendenti che costituiscono vari aspetti del paziente.
Denominò i tre cerchi il corpo (la cura), la malattia (la guarigione) e la
persona (il centro). Il Nursing opera in tutti e tre cerchi in varia misura, ma
insieme ad altri operatori sani. La Hall sosteneva che la cura infermieristica
di tipo professionale e l’insegnamento sono sempre più necessari man
mano che diminuiscono le cure mediche e che la cura infermieristica
professionale accelera la guarigione.
1.2.1.5. Dorotea E.Orem.
Ebbe un’intuizione sul concetto di Nursing nel 1958. Sin dagli
anni ’50 si era occupata in pubblicazioni della pratica infermieristica e
dell’insegnamento. Considera la propria teoria infermieristica del “self-care
deficit” (insufficiente autogestione) una teoria generale composta di tre teorie
in relazione tra loro:
1°. La teoria dell’autogestione;
2°. La teoria dell’inadeguata gestione;
3°. La teoria dei sistemi infermieristici.
La Orem identifica tre tipi di sistemi infermieristici:
1°. Sostitutivo totale del paziente;
2°. Parzialmente sostitutivo del paziente;
3°. Di supporto ed educazione all’autonomia.
Queste teorie sono ampiamente trattate nel libro “Nursing: Concepts of
Practice”. La Orem ritiene che l’infermiere abbia in comune alcune funzioni
con altri operatori sanitari.
1.2.1.6. Evelyn Adam.
Iniziò a pubblicare a metà degli anni ’70 Gran parte del suo lavoro
s’incentra sullo sviluppo di modelli e sulle teorie del concetto di Nursing. Si
serve di un modello appreso da Dorothy Johnson. Nel volume “To be a
nurse” applica la definizione di Nursing di V. Henderson a quel modello e ne
identifica i presupposti, i valori, le convinzioni e le unità principali. Nella
parte conclusiva tratta dell’obiettivo della professione, del beneficiario del
servizio, del ruolo dell’infermiere, della fonte delle difficoltà del
beneficiario, dell’intervento dell’infermiere e delle conseguenze.
1.2.1.7. Madeleine Leininger.
Ha pubblicato molto su vari argomenti sin dal 1960. Sebbene abbia
scritto molti libri sul Nursing transculturale, il resoconto più accurato della
sua teoria si trova nel volume “Transcultural case diversity and universality: a
16
theory of nursing”. Alcuni dei suoi concetti principali sono la cura, l’aver
cura, la cultura, i valori culturali e le variazioni culturali. Ha formulato molte
ipotesi e spera di stimolare ulteriormente la ricerca etnico-scientifica nel
campo etno-infermieristico.
1.2.1.8. Jean Watson.
Ha iniziato a scrivere a metà degli anni ’70. Il suo libro “Nursing:
the philosophy and science of caring” è stato pubblicato nel 1979. Il
contenuto di quel libro è stato ampliato in un successivo volume del 1985,
sino ad arrivare al testo “The Theory of Human Caring” del 1997 ed a
successive rielaborazioni della sua teoria. Nel tentativo di ridurre la
dicotomia tra teoria e pratica, ha proposto una filosofia ed una scienza del
“caring” (aver cura).
Ha identificato 10 fattori curativi:
1°. La formazione di un sistema umanistico-altruistico di valori;
2°. L’instillazione di fede e speranza;
3°. La coltivazione della sensibilità verso se stessi e verso gli altri;
4°. Lo sviluppo di una relazione tipo (avere) fiducia nell’aiuto;
5°. La promozione e l’accettazione dell’espressione di positivo e
negativo;
6°. L’uso sistematico del metodo scientifico del “problem solving”
nell’assumere decisioni;
7°. La promozione dell’apprendimento e dell’insegnamento
interpersonale;
8°. La creazione di un ambiente di supporto, protettivo o correttivo
di tipo mentale, fisico, socioculturale e spirituale;
9°. L’assistenza con la gratificazione dei bisogni umani;
10°. L’ammissione di forze di tipo fenomenologico esistenziale.
Jean Watson ritiene che l’infermiere dovrebbe favorire lo sviluppo della
salute attraverso azioni di prevenzione, come ad esempio far riconoscere le
proprie abilità di affrontare eventi e l’adattamento alla morte, insegnare
metodi di problem-solving e fornire aiuto in determinate situazioni.
1.2.1.9. Rosemarie Rizzo Parse.
Ha messo in evidenza l’importanza dell’umanesimo. Si è rifatta
all’opera di Martha Rogers e a quella dei fenomenologisti esistenziali per
sviluppare la sua teoria in: “ Man-living-health: a teory of Nursing”. I suoi
concetti principali comprendono l’immaginare, il valorizzare, comunicare, il
rivelare, nascondere, il mettere in grado-limitare, connettere-separare, dar
forza, originare e trasformare.
17
1.2.2. Nelle Relazioni Interpersonali.
1.2.2.1. Hildegard E. Peplau.
I contributi al Nursing in generale e in particolare al Nursing
psichiatrico sono stati enormi. Ha prodotto molto sin dall’inizio degli anni
’50, quando apparve il suo primo libro: “ Interpersonal relations in
Nursing”. Per la Peplau è importante che l’infermiere capisca il proprio
comportamento per poter aiutare gli altri ad identificare difficoltà dapprima
solo avvertite.
Nella relazione infermiere-paziente identifica quattro fasi:
1°. Orientamento;
2°. Identificazione;
3°. Sfruttamento;
4°. Risoluzione.
Descrive sei ruoli dell’infermiere:
1°. Straniero;
2°. persona con risorse;
3°. Insegnante;
4°. Leader;
5°. Sostituto;
6°. Consigliere.
Tratta inoltre di quattro esperienze psicobiologiche ( i bisogni, le frustrazioni,
i conflitti e le ansie) che esigono risposte costruttive o distruttive.
1.2.2.2. Joyce Travelbee.
Ha pubblicato soprattutto a metà degli anni ’60. E’ morta nel 1973
ancora giovane. Ha proposto il suo “Modello di relazione umano verso
umano” nel libro “Interpersonal aspects of Nursing”. Ha trattato di malattia,
sofferenza, dolore, speranza, comunicazione, interazione, uso terapeutico si
sé, empatia, comprensione, rapporto di amicizia. Riteneva che si dovesse
portare a termine l’assistenza infermieristica attraverso relazioni uomo-uomo
che iniziavano con:
1°. La fase iniziale di incontro;
2°. La fase di identità emergente;
3°. La fase viluppo di sentimenti di empatia e poi;
4°. La fase di comprensione,
18
5°. Nella fase finale l’infermiere e il paziente raggiungevano un
rapporto di amicizia.
1.2.2.3 Ida Jean Orlando.
Ha descritto per la prima volta la sua teoria sulla “Disciplined
Professional Response Theory”. La sua teoria mette l’accento sulla relazione
reciproca fra infermiere e paziente. Ciascuno dei due è influenzato da ciò
che fa e dice l’altro.Sottolinea l’importanza che ha l’esame delle percezioni,
dei pensieri e dei sentimenti dell’altro per una successiva verifica. Questo
processo esplorativo convalida il bisogno d’aiuto del paziente che
l’infermiere soddisfa poi direttamente o indirettamente. Le azioni (ponderate)
di tipo infermieristico identificano e soddisfano il bisogno immediato di aiuto
del paziente. Se queste azioni non sono ponderate, diventano automatiche e
può darsi che non soddisfino il bisogno d’aiuto del paziente.
1.2.2.4. Ernestine Wiedenbach.
Lavorava in un reparto di maternità. Incoraggiata dall’Ida Jean
Orlando a riflettere sull’uso del sé e su come i pensieri e i sentimenti
influiscano sulle azioni delle infermiere. Identifica e definisce molti concetti
e sottoconcetti: il paziente, il bisogno d’aiuto, l’infermiere, lo scopo, la
filosofia, la pratica (conoscenza, giudizio e abilità), il soccorso, la convalida,
il coordinamento (riferire, consultare, conferire), e l’arte ( stimolo,
preconcetto, interpretazione e azioni-razionali, di reazione e ponderate).
L’infermiere deve identificare il bisogno di assistenza del paziente:
1°. Osservando i comportamenti in armonia o non con il comfort;
2°. Indagando sul significato del comportamento del paziente nei
suoi confronti;
3°. Determinando la causa del malessere o dell’incapacità;
4°. Stabilendo se la persona è in grado di risolvere il suo problema,
ovvero se ha bisogno d’aiuto. In seguito l’infermiere darà
l’assistenza necessaria e controllerà che il bisogno d’assistenza sia
stato soddisfatto.
1.2.2.5. Joan Riehl Sisca.
Ha iniziato a pubblicare a metà degli anni ’70. Ha scritto il suo
lavoro sull’interazionismo simbolico con la Roy. Secondo la teoria
dell’interazionismo simbolico, le persone interpretano le azioni l’uno
dell’altro basandosi sul significato attribuito all’azione stessa prima di
reagire. L’interazione umana è mediata dai simboli,
19
dall’interpretazione e dal significato ed è un processo d’interpretazione tra lo
stimolo e la risposta.
1.2.2.6. H. C. Erickson, E. M. Tomlin, M. A. P. Swain.
Hanno pubblicato il loro libro “A teory and paradigm for
Nursing” nel 1983. Dare un modello significa sviluppare una
comprensione del mondo del cliente. Modellare il ruolo è un intervento
infermieristico o educativo che richiede accettazione incondizionata.
Esse ritengono che, mentre le persone sono simili a causa del oro olismo,
della l oro crescita e del loro sviluppo e per il loro individualismo; sono
anche differenti per le loro doti innate, capacità di adattamento e conoscenza
dell’auto-cura.
1.2.2.7. Kathryn E. Barnard.
Ricercatrice attiva che ha scritto molto sui bambini sin dalla metà
degli anni ’60. Ha iniziato studiare i bambini e gli adulti mentalmente
e fisicamente handicappati per poi dirigere i suoi studi sulle attività del
bambino sano ed estendere infine il suo campo di lavoro ai metodi di
valutazione della crescita e dello sviluppo dei rapporti fra bambini e tra
madre e bambino. Si è occupata inoltre di ricerca. Nonostante non abbia
mai in Nursing ha gettato le basi per il suo modello di interazione
sulla valutazione della salute del bambino. La Barnard ritiene che il
sistema genitore-bambino sia influenzato da caratteristiche individuali di
ciascun componente e che quelle caratteristiche vengano modificate per
soddisfare i bisogni del sistema attraverso comportamenti adattivi.
1.2.3. I Sistemi.
1.2.3.1. Dorothy E. Johnson.
Ha pubblicato dalla metà degli anni ’40 all’inizio degli anni ’70 e la
maggior parte della sua opera è stata pubblicata durante gli anni ’60. La
Johnson ha identificato nel suo modello sei sottosistemi del sistema
comportamentale:
1°. Attaccamento-affiliazione;
2°. Raggiungimento;
3°. Sessuale;
4°. Ingestione-eliminazione;
5°. Aggressivo;
6°. Dipendenza.
20
7°. Si può analizzare ciascun sottosistema in termini di struttura ed esigenze
funzionali. I quattro elementi strutturali sono:
a) Pulsione o obiettivo;
b) Direzione, una predisposizione ad agire;
c) Scelta, alternative d’azione;
d) Comportamento.
I requisiti funzionali sono la protezione, l’educazione e la
stimolazione. Esiste il bisogno di intervento infermieristico ed è motivato
se c’è uno stato di instabilità nel sistema comportamentale.
L’infermiere deve scoprire la fonte del problema nel sistema e prendere
provvedimenti infermieristici adeguati per mantenere o ristabilire
l’equilibrio del sistema comportamentale.
1.2.3.2. Suor Callista Roy.
Ha scritto molto sin dalla fine degli anni ’60. Il suo modello
d’adattamento è stato sviluppato dopo che la Johnson l’aveva
consigliata di sviluppare un modello concettuale per il Nursing. I
principali concetti comprendono quello di sistema, adattamento,
stimoli, regolatore, affiliazione e modi di adattamento fisiologico,
concetto di sé, assunzione di ruolo ed interdipendenza. L’io
dell’uomo ed il suo ambiente sono fonti di stimoli focali, residui e
concettuali che creano i bisogni di adattamento. Le quattro modalità di
adattamento in relazione tra loro sono i bisogni fisiologici, il concetto
di sé, l’esercizio del ruolo, l’interdipendenza. I meccanismi
d’adattamento sono il regolatore ed il cognitivo. L’adattamento preserva
l’integrità. La Roy ritiene che le persone scrutino continuamente l’ambiente
alla ricerca di stimoli.
L’infermiere deve aiutare la persona a adattarsi manipolando l’ambiente.
1.2.3.3. Betty Neuman.
Ha sviluppato il suo primo modello d’insegnamento e pratica per la
consulenza nel campo della salute mentale alla fine degli anni ’60. Ha
proposto il modello dei Sistemi nel 1970 per aiutare gli studenti diplomati
a valutare i problemi infermieristici. I concetti principali del modello
comprendono l’approccio totale alle persone, l’olismo, il sistema aperto, gli
stimoli, le risorse di energia, le linee di resistenza, linee di difesa, grado di
reazione, interventi, livelli di prevenzione e ricostituzione. La Neuman
ritiene che l’infermiere dovrebbe intervenire in modo deciso e utilizzare
un approccio totale nei confronti della persona per aiutare gli individui,
le famiglie e i gruppi a raggiungere e mantenere la salute.
21
1.2.4. I Campi Dell’Energia.
1.2.4.1. Myra Estrin Levine.
Ha iniziato a pubblicare a metà degli anni ’60. Ha scritto
su numerosi argomenti, ma non ha mai voluto sviluppare una sua teoria.
I principali concetti trattati sono l’interesse, l’olismo, l’integrità e la
conservazione. L’infermiere deve servirsi dei principi di conservazione:
1°. dell’energia
2°. integrità strutturale
3°. integrità personale i
4°. ntegrità sociale per mantenere in equilibrio l’olismo
dell’individuo.
La Levine ha inoltre identificato quattro livelli di risposta dell’organismo:
timore, risposta infiammatoria, risposta allo stress e risposta sensoria e ha
raccomandato la troficognosi, un approccio scientifico che serve a
determinare la cura infermieristica, al posto della diagnosi infermieristica.
1.2.4.2. Martha E. Rogers.
E’ considerata uno dei pensatori più creativi in campo
infermieristico. Ha prodotto molto sin dagli inizi degli anni ’60. La sua
opera ha influenzato altri studiosi come la Fitzpatrick, la Newman e la Parse.
Il processo di vita è definito dai concetti di totalità, apertura,
unidirezionalità, modello e organizzazione, sentimento e pensiero. La Rogers
si occupa inoltre di campi di energia, sistemi aperti a quattro dimensionalità.
I principi sono:
1°. La complementarietà, cioè il movimento reciproco e
simultaneo di campi umani e ambientali;
2°. La risonanza, modelli d’onda che variano dai modelli a bassa
frequenza a quelli a più alta frequenza;
3°. Ottenere le variazioni di campo, caratterizzate da una sempre
maggiore diversità di modelli di campo.
1.2.4.3. Joyce J. Fitzpatrick.
Trae spunto dall’opera della Rogers per il suo modello di
Prospettiva di Vita. Ha iniziato a pubblicare nel 1970. I concetti principali
sono quelli di Nursing, persona, salute, ambiente, modelli temporali,
modelli di moto, modelli di coscienza e modelli percettivi. Ha trattato di
22
invecchiamento, problemi legati al suicidio, esperienza temporale e
comportamento motorio.
1.2.4.4. Margaret Newman.
Ha iniziato a pubblicare a metà degli anni ’60. Ha subito l’influsso
della Johnson e della Rogers, ed ha tratto spunti da vari campi di studio. I
concetti principali del suo modello di salute sono quelli di movimento, tempo,
spazio e coscienza. Questi concetti sono tutti in relazione fra di loro. “ Il
movimento è un riflesso della coscienza. Il tempo è una funzione del
movimento. Il tempo è una misura della coscienza. Il movimento è un mezzo
con cui lo spazio e il tempo diventano una realtà.” La salute viene vista come
l’espansione della coscienza e può comprendere la patologia.
23
CAPITOLO II
ASPETTI LEGISLATIVI
La tutela alla Salute è un diritto inalienabile, garantito della Carta
Costituzionale all’Art. 32, la salute è un diritto fondamentale della persona.
Dal momento che la salute è un valore fondamentale, investire nella sanità, significa
investire nel benessere dei cittadini, per una qualità di vita migliore. Con questa
motivazione il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nel corso degli ultimi anni è stato
oggetto di importanti riforme. Si sta assistendo ad una significativa evoluzione dei
componenti organizzativi ed assistenziali, ciò si rende necessario ridefinire gli ambiti di
cura e di assistenza, perseguendo processi basati sulla continuità, data dai percorsi
assistenziali tendendo da un lato, a standardizzare e sistematizzare le principali prestazioni
e dall’altro, ponendo le basi per la personalizzazione dell’assistenza.
La legislazione che inquadra i vari aspetti della professione infermieristica è in
continua evoluzione, soprattutto negli ultimi 15 anni, con le diverse riforme per la
professione infermieristica, si è reso necessario ridefinire gli ambiti di cura e di assistenza.
Investire nella professione infermieristica significa progettare le basi per una nuova
autonomia e responsabilità professionale, che consenta di favorire un sistema professionale
capace di sostenere le esigenze dei servizi della popolazione; con questo principio si è
strutturato il passaggio dall’infermieristica “Tecnica” (Infermiere professionale),
all’Infermieristica “Intellettuale” (Infermiere Professionista), si rende peculiare la
modificazione del ruolo professionale, dato delle competenze, dell’abilità e della capacità
dell’infermiere.
1°. Il D.lgs 30 dicembre 1992 n.502
L’evoluzione delle professioni infermieristiche vede il suo inizio con il D.lgs 30
dicembre 1992 n.502 che, nell’adeguare l’impianto del SSN nato dalla legge 833/78,
trasferisce la formazione infermieristica dalla sede regionale a quella universitaria e
statuisce che la conseguente ridefinizione del profilo professionale dell’infermiere e
dell’infermiere pediatrico dovrà aversi tramite specifico decreto del Ministero della
sanità (ora ministero della salute).
2°. Il Decreto 14/09/1994 n. 739
Il Ministero della Sanità con Decreto 14/09/1994 n. 739 “Regolamento
concernente all'individuazione della figura e del relativo profilo professionale
dell'infermiere”, delinea il profilo professionale dell’infermiere (che viene definito
24
responsabile dell’assistenza generale infermieristica) e specifica che l'assistenza
infermieristica, preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, è di natura tecnica,
relazionale, educativa.
3°. La Legge 26/02/1999 n. 42.
“Disposizioni in materia di professioni sanitarie” che sancisce che la
infermieristica è una professione sanitaria, abolisce e sancisce la fine del
mansionario, definendo il proprio campo de attività e responsabilità della
professione infermieristica, infatti, è definito dai contenuti del decreto
ministeriale istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti
didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-
base nonché degli specifici codici deontologici.
4°. Il D. M. 509 del 1999.
Regolamento recante norme concernenti l’autonomia degli atenei, ridisegna il
sistema della formazione universitaria c on le Lauree di primo e secondo livello, i
Master, le Specializzazioni e i Dottorati di Ricerca.
5° La Legge n. 251 del 2000.
Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica, istituisce la
dirigenza infermieristica e le Lauree Specialistiche e, inoltre, prevede l’utilizzo della
metodologia di pianificazione del lavoro per obiettivi nell’ambito operativo.
6° Il D. M. 2 Aprile del 2001.
Determinazione delle classi di Lauree Universitarie; il DU per infermiere
diventa Laurea triennale, mentre viene istituita la Laurea Specialistica delle
professione sanitarie.
7° Il D. M. n. 270 del 2004.
Attiva la Laurea Specialistica, grazie alla quale, nonostante le numerose
criticità, gli infermieri possono accedere ad un percorso formativo adeguato alle
esigenze della professione e della sua dirigenza.
8° La Legge 1 febbraio 2006.
Istituisce gli ordini e gli albi per tutte le professioni sanitarie e l’obbligatorietà
dell’iscrizione. Stabilisce che per l’accesso alla funzione di coordinamento che è
necessario il Master di Coordinamento.
9° Il D.P.C.M. 25 gennaio 2008.
Stabilisce l’accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni dell’area
infermieristica, tecnica, riabilitazione, prevenzione ed ostetrica.
25
CAPITOLO III.
SISTEMI E GESTIONE DELLA QUALITA’
DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA
3.1. La Qualità, Passato e Presente.
La Qualità e la sua valutazione nei servizi sanitari si è sviluppato in Italia in tempi
relativamente recenti e, a parere degli esperti, solo ultimamente sta acquisendo la dovuta
centralità. Nonostante la normativa nazionale e regionale in materia faccia riferimento alla
necessità di attuare sistemi di valutazione e controllo della qualità delle prestazioni erogate,
le iniziative di valutazione della qualità in sanità assumono, tuttavia, un carattere ancora
molto sperimentale. La qualità dei servizi erogati al cittadino costituisce di fatto la mission
dei sistemi sanitari nazionali ed è assunta come la funzione centrale del sistema di clinical
goverance (governo clinico).
Per esplicitare meglio e chiarire i contenuti che seguiranno relativamente all’impatto
della qualità sulle organizzazioni dei servizi, è utile ripercorrere sinteticamente le principali
tappe evolutive che il concetto di qualità ha assunto negli anni. Già ai tempi del sovrano
babilonesi Haummurabi per il suo codice (XVII secolo a. C.), esistevano prassi che
spiegavano in modo meticoloso la procedura per realizzare una costruzione priva di
sorprese. Ai tempi di Roma e dei greci l’evoluzione dell’attività metrologica, la
costruzione di nuovi strumenti di misura, l’affidabilità e la precisione crescente
comportarono ben presto l’esigenza di definire unità di misura, i relativi campioni di
riferimento, nonché metodi di fabbricazione di tali campioni, governati da procedure
scritte. Nel Medioevo nacquero le corporazioni, artigiane delle arti e dei mestieri, che
ebbero anche lo scopo di garantire la qualità del prodotto; L’artigiano doveva rispettare
delle regole ben precise durante la produzione dei manufatti perché le ispezioni dei tecnici
dell’art erano molto frequenti. Non bisogna dimenticare l’importante impulso tayloriano di
fine Ottocento, quando iniziò la prima misurazione dei tempi di lavoro, che si sviluppò in
seguito in una teoria basata sui seguenti principi fondamentali: elaborazione di una vera
scienza dell’operaio, sua educazione e suo sviluppo professionale, cooperazione tra
direzione e operai.
Dall’inizio del secolo passato, in cui essenzialmente inizia la storia della qualità in
ambito industriale, si identificano tre principali passaggi:
1. Il controllo della qualità,
2. La garanzia della qualità o quality assurance,
3. La qualità totale o total quality management.
26
Fino agli anni trenta la qualità era identificata con il concetto di ispezione e controllo
del prodotto finale, e il suo scopo era di separare i prodotti non conformi da quelli
conformi, quindi controllare e mettere a punto il processo produttivo tramite l’esame degli
errori ripetitivi e la ricerca delle cause. Negli anni cinquanta si passa poi a concentrarsi
sull’affidabilità, cioè sulla persistenza nel tempo delle prestazioni del prodotto e la qualità
quindi si estende dalla produzione alla progettazione. Negli anni settanta l’approccio alla
qualità si sposta verso il concetto della garanzia della stessa e viene introdotto il termine di
quality assurance. Questa metodologia, che nasce negli Stati Uniti, impone di intervenire
in modo sistematico sia sul processo produttivo che sul prodotto, per ottenere non solo una
ragionevole probabilità del conseguimento degli obiettivi di qualità, ma anche l’evidenza
documentata della qualità raggiunta. La garanzia della qualità comporta perciò
l’integrazione di molteplici attività che, correlate, determinano la qualità del prodotto. In
particolare, i principi che hanno ispirato la garanzia della qualità sono:
Definizione da parte della direzione della politica di garanzia della qualità;
Definizione della struttura organizzativa complessiva e della funzione aziendale
incaricata dell’implementazione, della verifica e della revisione del piano di
garanzia della qualità;
Informazione e formazione del personale;
Definizione di procedure scritte per lo svolgimento di attività rilevanti ai fini
della qualità, cioè “chi fa che cosa”;
Esecuzione delle attività come descritto dalle procedure, cioè “come, dove e
quando”, e la relativa documentazione;
Verifica e valutazione dell’efficacia del piano di garanzia della qualità ed
eventuali azioni correttive.
Rispetto all’epoca precedente si assiste a una maggiore responsabilità di tutta
l’organizzazione, partendo dal Management, alla necessità di pianificazione e
documentazione delle attività, la valutazione preventiva dei fornitori e all’oggettiva
dimostrazione dell’evidenza della qualità raggiunta. Il limite di questo approccio è
l’imposizione per legge, che ha dato origine a una seri di fenomeni:
Proliferazione di documenti e interventi per interpretazioni fiscali e
burocratiche delle norme;
L’obiettivo primario da raggiungere (la garanzia della qualità) si trasforma
nella sola necessità di dimostrare che la qualità richiesta è stata ottenuta;
Tutte queste metodologie possono rimanere patrimonio esclusivo dei
responsabili della funzione qualità.
In campo sanitario per quality si intende ogni attività sviluppata dal punto di vista
strettamente professionale sanitario in funzione del raggiungimento di obiettivi concreti di
27
miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria, miglioramento esprimibile, secondo
Donabedian (1989), “in termini di quantità di salute aggiunta ai pazienti serviti, a condizioni
soddisfacenti per questi ultimi, accettabili per la società nel suo complesso e coerenti con le conoscenze
maturate nel contesto delle discipline scientifiche di specifico riferimento”.
La quality assurance consiste di due tipi fondamentali di attività che si succedono a
livello operativo con sistematicità e senza interruzioni:
QUALITY ASSESSMENT + QUALITY IMPROVEEMENT
(VALUTAZIONE DELLA QUALITA’) (MIGLIORAMENTO DELLA
QUALITA’)
MISURA AZIONE
Ogni intervento diretto a migliorare il livello di qualità di una prestazione o di un
processo assistenziale non può, quindi, che procedere da una valutazione della situazione
esistente volta a definire i problemi cui si deve tentare di porre rimedio. Una volta
precisate le ipotesi di lavoro e gli oggetti di intervento, si deve procedere con l’azione
diretta a operare le modificazioni ritenute necessarie. Il monitoraggio dei risultati
effettivamente conseguiti e il loro confronto con quelli attesi (ovvero una successiva
attività di valutazione) forniscono elementi utili per ulteriori interventi di ottimizzazione e
di adeguamento. Per garantire tutto ciò è opportuno realizzare una serie di interventi
armonicamente coordinati, secondo Donabedian (1989), nel cosiddetto “ciclo di
monitoraggio della qualità”.
Solo a partire degli anni ottanta, seguendo l’esempio coronato dal successo del
Giappone, si è diffuso anche negli Stati Uniti e in Europa il concetto della qualità come
fattore di competizione basato sul coinvolgimento dell’intera azienda e perciò come agente
di cambiamento organizzativo. Il controllo totale della qualità o total quality management
28
e un approccio sistematico alla qualità non derivato da prescrizioni legislative, e
rappresenta una maniera di gestire la qualità in modo globale per assicurare la piena
soddisfazione del cliente, come quella della direzione e dei dipendenti. Il movimento
TOTAL QUALITY MANAGEMENT (TQM), si propongono in filosofia e stile di
direzione per il miglioramento continuo della qualità (Continuous Quality Improvement –
CQI ), è iniziato e si è sviluppato per l’impulso dato, principalmente, da Deming (1982),
Croby (1986) e Juran (Juran, Gryna,1988). Nell’approccio alla qualità totale (TQM), la
formazione è ambito privilegiato per la valorizzazione del potenziale umano, un luogo
dove creare sinergie, lavoro di gruppo, solidarietà, attraverso interventi continuativi nel
tempo, resi omogenei da un obiettivo unificante: perseguire il miglioramento
dell’organizzazione.
Deming, nel suo testo L’Impresa di Qualità, ha formulato quattordici imperativi in
cui sono delineati i capisaldi del TQM:
1. Crea fermezza di proposito per il miglioramento del prodotto e del servizio;
2. Adotta la nuova filosofia;
3. Cessa di dipendere dai controlli a tappeto;
4. Smette di premiare il lavoro solamente rispetto a obiettivi di produttività;
5. Migliora con costanza e per sempre il sistema di produzione e il servizio;
6. Da vita a pratiche di addestramento e di ri-addestramento;
7. Da vita alla leadership;
8. Aiuta a vincere i timori;
9. Abbatte le barriere tra aree operative diverse;
10. Elimina gli slogan, le esortazioni egli obiettivi destinati a chi lavora:
11. Elimina le quote numeriche (i totalizzatori di prestazioni);
12. Rimuove le barriere che impediscono a chi lavora di sentirsi orgoglioso;
13. Istituisce un energico programma di formazione e riaddestramento;
14. Effettua interventi per realizzare la trasformazione.
L’elemento nuovo che caratterizza la qualità totale è l’avere spostato il riferimento
per la qualità nella soddisfazione del cliente: essa è perciò ora interpretata come
quell’insieme di processi al cliente in cui si vengono a collocare tutte le attività aziendali,
dal momento che qualunque attività è riconducibile a un processo dove sono collocati da
un lato il fornitore e dall’altro un cliente, e che tale catena può essere creata sia all’interno
che all’esterno dell’azienda. Anche se il TQM/CQI (total quality management/controllo
quality improvement), è uno stile digestione maturato in ambiente industriale, appare
adatto a essere diffuso anche nel contesto delle aziende sanitarie per tre fondamentali
ragioni:
1. Il problema della qualità è cruciale nel campo degli interventi sanitari, dal
momento che dalle caratteristiche qualitative di questi ultimi dipende quasi
29
sempre la natura delle conseguenze che i destinatari del sistema sanitario
possono registrare sul piano del recupero o della conservazione della loro salute;
2. E’ sempre evidente, sul piano professionale ed etico, la necessità di assicurare a
chi è il principale destinatario degli interventi sanitari un ruolo fondamentale e
attivo nelle decisioni relative all’orientamento dei servizi, in funzione della
soddisfazione dei desideri e delle aspettative relativi alle modalità
dell’erogazione dei servizi stessi;
3. E’ altresì sempre più evidente che è necessario richiedere a tutti coloro che sono
coinvolti, in modo diretto o indiretto, nei processi assistenziali di sostenere un
ruolo attivo nel miglioramento della qualità del loro lavoro.
Da quanto esposto è comprensibile come gli approcci alla qualità si siano sviluppati nel
mondo manifatturiero ponendo inizialmente al centro i problemi legati ai costi, alla rapidità
di consegna, agli sprechi. Dalla metà degli anni ottanta anche il mondo dei servizi si è
trovato ad affrontare gli stessi problemi, e le organizzazioni hanno così utilizzato tecniche
già sperimentate nella produzione, ma opportunamente modificate. Ciò che è stato
scoperto sia nel mondo della produzione che in quello dei servizi è che le vere aziende
eccellenti si assomigliano ed è pertanto possibile identificare categorie comuni,
raggruppate poi nell’ambito della gestione della qualità. E’ perciò emersa l’esigenza di un
approccio alla qualità dei servizi alla salute partendo dall’interno del sistema sanitario, per
meglio cogliere le specificità di questa categoria, senza trascurare la possibilità di utilizzare
i modelli concettuali e la strumentazione metodologica efficacemente sperimentata in
altri contesti.
3.2. Definizione del Concetto di Qualità in Sanità.
In letteratura si trovano diverse definizioni della qualità; tuttavia, una definizione di
carattere generale e quindi universalmente accettabile non è disponibile. Le difficoltà
nascono soprattutto dal fatto che la qualità non è una proprietà assoluta, intrinseca ai
servizi sanitari indipendente dalle nostre percezioni. Al contrario, essa è un fenomeno
dinamico e multidimensionale che dipende da molti fattori, più o meno correlati, ad
esempio, il tipo di prestazione ricevuta, la modalità con cui viene erogata, i costi, i risultati
da raggiungere; ma la qualità dipende anche dalle aspirazioni e dalle preferenze individuali
delle persone che sono chiamate a esprimere il giudizio. La Qualità può essere intesa,
quindi, come il risultato di una combinazione di tanti attributi, in parte oggettivi e in parte
soggettivi, non sempre tutti facilmente documentabili, ciascuno dei quali partecipa, in varia
misura, a qualificare le prestazioni sanitarie.
Alla luce delle considerazioni finora condotte, si possono dare differenti definizioni
di qualità, ciascuna delle quali è appropriata in relazione al contesto in cui viene adottata;
pertanto una definizione di qualità può contenere diverse varianti.
3.2.1. Definizione della Qualità stabilita dall’O.M.S.
30
“Un programma qualità di un sistema sanitario ha lo scopo di garantire che
ciascun paziente riceva l’insieme degli interventi diagnostici, terapeutici ed
educativi più indicati, al costo minore possibile per lo stesso risultato, con il rischio
minore possibile di complicazioni iatrogene e con la sua soddisfazione rispetto agli
interventi ricevuti, i contatti umani con il personale ed agli esiti”
3.2.2. Definizione dei Qualità secondo le Linee Guida Internazionali ISO 9000
/2005.
Nell’accezione più ampia e completa del termine, per qualità si intende
“l’insieme delle caratteristiche e degli attributi di un’entità materiale o immateriale
(prodotto o servizio) che conferiscono la capacità di soddisfare le esigenze (espresse
o implicite) associate ai processi di produzione/fornitura e utilizzo/fruizione
dell’entità medesima ”
a. Le Esigenze Implicite, sono tutte le condizioni legate alla corretta
esecuzione di attività professionali sanitarie i cui gli esiti si riflettono
direttamente sulla salute del paziente. Le esigenze implicite rimandano
al concetto di “qualità tecnica”.
b. Le esigenze Esplicite, e percepite sono invece rappresentate da tutte
quelle condizioni organizzative e relazionali del modo di erogare le
prestazioni che l’utente ritiene di poter pretendere dalla struttura
sanitaria. Le esigenze esplicite richiamano il concetto di “qualità
percepita”.
3.2.3. Definizione di Qualità secondo R. Palmer (1988).
Propone che “La qualità dell’assistenza consiste nella sua capacità di
migliorare lo stato di salute e soddisfazione di una popolazione, nei limiti concessi
dalle tecnologie, dalle risorse disponibili e dalle caratteristiche dell’utenza”
3.2.4. Definizione di Qualità per C.C. Wright e D. Whittington.
Affermano che “Dovreste comprendere che la qualità è un concetto
complesso. Dato uno specifico bisogno di assistenza è possibile elencare i caratteri
che descrivono la qualità ed elencare le attività che sono importanti per la qualità
dell’assistenza”
3.2.5. Definizione di Qualità secondo A. Donabedian.
La qualità è “Il rapporto fra i miglioramento nelle condizioni di salute ed il
massimo miglioramento raggiungibile, sulla base delle conoscenze, delle risorse
disponibili e delle caratteristiche del paziente ”.
3.2.6. Definizione del Concetto di Qualità dell’Assistenza Infermieristica per
Malinverno (2005).
31
Definisce la qualità come “L’insieme delle caratteristi che conferiscono alla
prestazione infermieristica la capacità di soddisfare in modo appropriato il bisogno
di assistenza infermieristica della persona assistita, nei limiti concessi dalla
competenza professionale dell’infermiere, dalle tecnologie e dalle risorse
disponibili”.
Questo concetto di qualità, che implica dinamicità, si associa a un agire
supportato del processo dell’EBM-EBN (Evidence-Base medicine/Evidence-Based
Nursing); infatti, lo sviluppo scientifico, culturale e sociale dell’assistenza
infermieristica è strettamente consequenziale alla piena valorizzazione di una
competenza tecnica dell’infermiere nell’ambito dell’assistenza sanitaria, in grado di
produrre, a favore delle persone assistite, propri risultati di salute sostenuti da prove
cliniche di efficacia. Si tratta cioè di fondare la valutazione , la decisione e l’azione
infermieristica sulle conoscenze prodotto dalla ricerca e su adeguati indicatori e
standard di buona qualità elaborati con riferimento a un preciso approccio
metodologico: il miglioramento della qualità.
3.3. Le Dimensioni della Qualità
Nel tentativo di oggettivare e misurare la qualità della assistenza infermieristica,
alcuni autori hanno introdotto il concetto di Dimensione della Qualità.
Efficacia Attesa. Capacità potenziale di un certo intervento di modificare in
modo favorevole le condizioni di salute delle persone a cui è rivolto, quando
viene applicato in condizioni ottimali.
Fare solo ciò che è utile.
Efficacia Pratica. Risultati ottenuti dall’applicazione di routine dell’intervento.
Nel modo migliore.
Competenza Tecnica. Livello di applicazione delle conoscenze scientifiche, delle
tecnologie disponibili.
Da parte di chi eroga le cure.
Accettabilità. Grado di apprezzamento del servizio da parte dell’utente.
Per chi riceve le cure.
Efficienza. Capacità di raggiungere i risultati attesi con il minor consto possibile.
Con il minor costo.
Adeguatezza – Accessibilità. Capacità di assicurare le cure appropriate a tutti
coloro che ne hanno veramente bisogno.
A coloro che ne hanno bisogno.
32
Appropriatezza. Grado di utilità della prestazione rispetto al problema clinico e
allo stato delle conoscenze.
Soltanto a chi ne ha bisogno.
La chiave del miglioramento della qualità dei servizi sanitari è rappresentata dalle
interdipendenze fra queste tre dimensioni:
L’utente, che trova negli aspetti soggettivi che contraddistinguono la qualità
percepita gli elementi di valutazione della prestazione;
Il professionale, che trova gli elementi con cui generare confronti e valutazioni
nell’ambito delle conoscenze consolidate dalle discipline scientifiche;
Il management, che trova nella dimensione economica e di mercato, i parametri
con cui valutare la qualità delle prestazioni erogate, come componente della
performance aziendale.
La complessità del sistema qualità è dovuta alla sua pervasività nello spazio
organizzativo, alla prospettiva temporale necessaria per cogliere la sua evoluzione nel
tempo, alla molteplicità dei soggetti che assumono prospettive diverse di valutazione, alla
sua multidimensionalità, alla valenza istituzionale e organizzativa.
3.4. Metodologia e Strumenti per il Miglioramento della Qualità.
La Qualità e la sua valutazione nei servizi sanitari si è sviluppato in Italia in tempi
relativamente recenti e solo ultimamente sta acquisendo la dovuta centralità, diventando la
mission dei sistemi sanitari nazionali.
I metodi e gli strumenti di qualità si propongono di migliorare l’appropriatezza, l’efficacia
e l’efficienza della prestazione clinico–assistenziale; e non solo, sono indirizzati a
diminuire la variabilità dei comportamenti.
3.4.1. Linee Guida ed Evidence Based Medicine.
Le Linee Guida e l’Evidence based Medicine (EMB), sono istrumenti ideati
per valutare la good practice ed il comportamento professionale nella pratica
clinica. Le Linee Guida e l’EBM hanno i loro presupposti teorici nella
epidemiologia clinica, la quale si propone di riordinare i risultati della ricerca clinica
e di definire gli effetti delle scelte cliniche sulla salute.
Le linee guida sono costituite da un insieme di indicatori riferiti a specifici
problemi clinici, elaborati da un gruppo di pari, dopo attenta revisione della
33
letteratura esistente, allo scopo di aiutare la decisione medica e di ridurre l’alta
variabilità dei comportamenti.
Il processo di sviluppo delle Linee Guida deve essere sistematico, trasparente
e deve includere tutti i possibili attori del sistema. Il livello di efficacia dimostrata
per le raccomandazioni deve essere chiaramente stabilito, come devono essere
chiaramente definite le popolazioni e le circostanze cliniche in cui le linee guida
devono essere usate.
Le Linee Guida devono essere utili, accessibili, facili da usare e comprensibili
sia per i professionisti sia per il pubblico, devono prendere in considerazione il
rapporto costi-efficacia degli interventi proposti, essere aggiornate a intervalli
regolari e soprattutto quando emergono nuove conoscenze di dimostrata efficacia o
nuove tecnologie, e devono essere disseminate in maniera pianificata. In quanto, a
gli effetti delle Linee Guida devono essere monitorati e i risultati considerati nel loro
sviluppo e disseminazione.
I critici delle Linee guida sostengono l’inapplicabilità delle stesse nella
pratica clinica, in quanto il malato è unico e di conseguenza il comportamento
medico non può che essere altamente variabili. I sostenitori delle Linee guida fanno
riferimento al fatto che la buona pratica clinica è fondata sulla consapevolezza
dell’incertezza decisionale, sulle conoscenze di fisiopatologia, sull’istinto clinico,
sulle conoscenze mediche personali, sulla pratica clinica individuale, e
sull’approccio critico della letteratura medica.
Con il Decreto Ministeriale del 30 giugno 2004, è stato istituito il Sistema
Nazionale Linee Guida (SNLG) a cui partecipano le istituzioni centrale, le regioni e
le società scientifiche. Il SNLG definisce la priorità condivise privilegiando le
tematiche associate in primo luogo a variabilità nella pratica clinica, liste d’attesa
significative, appropriatezza diagnostico-teraperutica, obiettivi individuati dal Piano
sanitario nazionale.
3.4.2. L’Accreditamento Professionale.
L’accreditamento professionale va definito come un meccanismo di
valutazione esterna tra i pari (accreditamento all’eccellenza), per accertare il grado
di corrispondenza a gli indicatori di qualità, come meccanismo di valutazione che
miglio possa rispondere alle esigenze di miglioramento continuo della prestazione
sanitaria, mediante un’organizzazione ad alta intensità di professionalità, dove il
capitale umano è l’elemento decisivo per la qualità del prodotto; di conseguenza,
un’azienda deve mantenere quanto più possibile alto il livello di competitività del
proprio prodotto (prestazione sanitaria).
34
L’accreditamento può essere ugualmente come “un’attività di valutazione
periodica e sistematica, su base volontaria, dell’effettiva corrispondenza delle prestazioni erogate ai
criteri e gli standard, de buona qualità, predefiniti; uno strumento che garantisce la qualità delle
prestazioni clinico -assistenziali in termini di continuo miglioramento e di adeguatezza ai bisogni di
salute” (Malinverno, 2002).
Gli elementi che contraddistinguono l’accreditamento professionale sono:
1°. La richiesta è effettuata dai professionisti su base volontaria;
2°. Il processo è di tipo partecipativo e coinvolge tutti i professionisti;
3°. La valutazione è continua (si tratta di un processo di autovalutazione
professionale);
4°. I criteri e gli standard di accreditamento vengono predefiniti dagli
operatori coinvolti nel processo;
5°. I risultati vengono diffusi a tutti gli interessati ai quali viene richiesto
il consenso o il dissenso motivato.
La progettazione di un processo di accreditamento professionale così intenso
presuppone necessariamente per l’infermiere una chiara identità professionale e
l’adozione di un preciso modello concettuale dell’assistenza infermieristica che
oriente tutte le fasi del processo; con l’obiettivo di migliorare la prestazione
infermieristica e la competenza professionale. L’infermiere è, quindi, accreditabile
all’eccellenza nella misura in cui dimostra:
1°. Di adottare sistematicamente metodi e strumenti operativi di provata
efficacia;
2°. Di operare sulla base del principio di parsimonia, con appropriatezza
degli interventi decisi e concentrando l’attenzione sia sul processo di
assistenza infermieristica sia sui risultati delle azioni intraprese;
3°. Di essere adeguatamente formato sul piano della competenza
richiesta.
L’infermiere in tal senso diventa soggetto e oggetto, produttore e fruitore del
percorso di accreditamento, in quanto il miglioramento dei comportamenti,
espressione delle prestazioni infermieristiche erogate, non solo è un diritto del
cittadino ma un dovere dell’infermiere.
Il processo di miglioramento continuo della qualità dei servizi erogati
nell’ambito dei Servizi Sanitari è ormai da qualche tempo avviato e dimostra la
crescita di una cultura che deve tenere conto delle strutture, delle risorse umane e dei
sistemi economi delle Organizzazioni Sanitarie, nasce così il programma nazionale
35
per le attività formative, il sistema d’Educazione Continua in Medicina (ECM),
attivo in Italia dal 2002.
L’ECM (educazione continua in medicina) è un sistema di aggiornamento
grazie al quale il professionista sanitario si aggiorna per rispondere ai bisogni dei
pazienti, alle esigenze organizzative e operative del Servizio Sanitario e del proprio
sviluppo professionale. La formazione continua in medicina (ECM) comprende
l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente
ed esperta, per poter acquisire queste conoscenze è necessario l'aggiornamento
continuo.
Il Programma Nazionale di E.C.M, riguarda tutto il personale sanitario,
medico e non medico, dipendente o libero professionista, operante nella Sanità, sia
privata che pubblica. L’obiettivo è quello di realizzare un sistema in grado di
verificare e di promuovere su scala nazionale la qualità della formazione continua,
anche attraverso l’opera di osservatori indipendenti e con criteri e modalità condivisi.
Gli operatori della salute hanno l'obbligo deontologico di mettere in pratica le nuove
conoscenze e competenze per offrire una assistenza qualitativamente utile.
L'accreditamento consiste nella assegnazione all'evento di un certo numero di
Crediti formativi E.C.M., che sono formalmente riconosciuti ai partecipanti
all'evento. E' compito degli organizzatori segnalare ai partecipanti il valore dei
Crediti formativi E.C.M. assegnati dalla Commissione Nazionale e rilasciare agli
stessi un attestato apposito; attraverso i diversi provider gli Ordine, i Collegi e
l’Associazione professionali secondo le istruzioni che indicherà la Commissione
nazionale per la formazione continua, potranno verificare i crediti acquisiti di ogni
professionista. I Crediti formativi E.C.M. sono espressi in numeri interi; ogni attività
formativa programmata, ossia ogni evento formativo, si vedrà assegnato un numero
di Crediti formativi E.C.M. Il programma nazionale prevede che l'E.C.M. deva
essere controllata, verificata e misurabile; inoltre, deve essere incoraggiata, promossa
ed organizzata.
Sono esonerati dall'obbligo dell'E.C.M. il personale sanitario che frequenta, in
Italia o all'estero, corsi di formazione post-base propri della teoria di appartenenza
(corso di specializzazione, dottorato di ricerca, master, corso di perfezionamento
scientifico e laurea specialistica, previsti e disciplinati dal Decreto del MURST del 3
novembre 1999, n. 509, pubblicato nella G.U. n. 2 del 4 gennaio 2000.
La partecipazione ai programmi d’E.M.C. è un dovere degli operatori della
Sanità, richiamato anche dal Codice Deontologico, ma è anche un diritto dei
cittadini, che giustamente richiedono operatori attenti, aggiornati e sensibili. Ciò è
oggi particolarmente importante ove si pensi che il cittadino è sempre più informato
36
sulle possibilità della medicina di rispondere, oltre che a domande di cura, a
domande più complessive di salute.
3.4.3. L’Accreditamento Istituzionale.
L’accreditamento si configura come una particolare forma di controllo della
qualità in campo sanitario, il principio che lo regola è che un risultato assistenziale di
buona qualità può essere conseguito con maggiori possibilità se vengono predefiniti i
criteri di validità riconosciuti e condivisi.
L’accreditamento è un processo di valutazione sistematico e periodico, nel
quale una organizzazione esterna alle strutture sanitarie, usualmente no governativa,
valuta un’organizzazione sanitaria per determinare se corrisponda ad un insieme di
standard finalizzati a mantenere e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.
Solitamente è volontario; gli standard di accreditamento sono normalmente
considerati ottimali e raggiungibili (JCI 1999).
L’accreditamento è dato da parte della Regione a un soggetto, già autorizzato
all’erogazione di prestazioni sanitarie, per permettergli di svolgere la propria attività
per conto del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), è una condizione necessaria per
tutti coloro che, siano soggetti pubblici o privati, vogliano erogare le prestazione del
servizio sanitario pubblico.
L’accreditamento è un percorso obbligatorio per le strutture pubbliche (ASL,
Aziende Ospedaliere), è invece facoltativo e volontaria per i soggetti privati che
però, se privi di accreditamento, non possono erogare le prestazioni in convenzione
con il SSN.
Il concetto di accreditamento è stato introdotto per la prima volta in Italia con
il D. Lgs. N. 502/92. Fino al 1996 l’accreditamento è stato automaticamente
riconosciuto per le strutture pubbliche o private con un precedente rapporto di
convenzione con il SSN. I DPR. Dal 14.01.1997, definisce i requisiti minimi
strutturali, tecnologici, organizzativi, le strutture di nuova realizzazione devono da
subito attenersi ai requisiti specificati, incluse quelle che attuano ampliamenti o
modifiche. Sono interessate tutte le strutture sanitarie che erogano prestazioni
sanitarie sia in regime ambulatoriale, da ricovero, assistenza specialistica, prestazioni
riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio e residenziale. Gli Enti di
Certificazione per l’accreditamento sono:
3.4.3.1. Il Sistema Organizzativo e Gestionale ISO 9001:2008..
Il sistema Organizzativo e Gestionale è dato delle ISO 9001:2008
(International Standards For Organizations), ed è l’accreditamento sanitario
secondo modelli organizzativi derivanti dal mondo industriale, sempre più
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applicati in Sanità, sono norme di applicazione generale che possono essere
adattate a tutti i settori produttivi di beni e servizi e sono utilizzate quando
esiste la necessità di dimostrare la propria capacità di progettazione e
fornitura di un prodotto conforme. I requisiti di tali norme sono costruiti per
fornire una garanzia al cliente non attraverso un controllo sul risultato ma,
piuttosto, sul rispetto di procedure predefinite, così da poter ridurre
drasticamente i rischi di non conformità. I sistemi qualità ispirati alla norma
ISO sono molto diffusi nelle aziende di produzione dei bene. Le norme ISO
hanno il pregio di consentire una definizione precisa dei ruoli e delle relative
modalità di comunicazione ed integrazione, riducendo i costi della “non
qualità” e migliorando il servizio reso.
3.4.3.2. L’Accreditamento D’Eccellenza.
Nel rispetto degli indirizzi dei Piani Sanitari Nazionali e delle scelte
Regionali, si sono sviluppati, in modo eterogeneo in Italia, modelli di
accreditamento secondo standard del mondo anglosassone, come
l’Accreditamento della Joint Commission of Accreditation of Hospital
(JCAH), e del Canadian Council of Health Services Accreditation (CCHSA).
La Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizazion
(JCAHO) nasce come modello negli Stati Uniti nel 1917, si impone
definitivamente nel 1951 come un’organizzazione non governativa e non
profit dedita al miglioramento della qualità e della sicurezza nei servizi
sanitari. Si presenta tra gli enti accreditanti più grandi e prestigiosi al mondo,
oggi negli Stati Uniti accredita più di 10.000 organizzazioni sanitarie.
Avvalendosi di esperti in tutte le aree specialistiche e di una straordinaria
esperienza, la Joint Commission fornisce elementi oggettivi per valutare le
organizzazioni sanitarie sulla base di criteri espliciti e condivisi.
La Canadian Council of Health Services Accreditation (CCHSA),
nacque successivamente alla Joint Commision, come un’organizzazione no
profit per l’accreditamento delle strutture sanitarie nazionali e internazionali,
con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi, basati sugli standard di
eccellenza. I programmi e le linee guida di accreditamento hanno contribuito
a promuovere l’organizzazione. Il CCHSA, considera l’accreditamento
come un processo continuo, quindi, le strutture accreditate aderiscono al
programma per mantenere e migliorare la qualità generale a lungo termine.
Sullo stesso modello si sviluppò all'inizio degli anni '70, un'agenzia simile
anche in Australia (Australian Council on Healthcare Standards, ACHS).
3.5. Normativa di Riferimento per la Qualità in Sanità.
38
A livello europeo e nazionale numerosi sono i documenti normativi sulla la qualità;
si tratta di norme sempre più rispondenti alle esigenze del cittadino, al passo con il
progresso scientifico e conforme ai profondi cambiamenti riguardanti l’assetto
istituzionale e organizzativo sanitario.
La Qualità in Sanità inizia nel 1992 con il D.L. 502 e nel l993 con il D. L. 517.
Nasce così il complesso fenomeno dell’innovazione resasi necessaria per configurare un
disegno generale di riforma per migliorare il Servizio Sanitario. I successivi D. P. R. 14
gennaio 1997 n° 801 (che introduce il concetto di accreditamento delle strutture sanitarie e
ed i sistemi di valutazione e miglioramento delle attività) e D. L. 229/99 (che ribadisce la
necessità di garantire la qualità dell’assistenza e propone il metodo di verifica e revisione,
prevedendo accordi tra Regione ed Aziende Sanitarie) definiscono meglio i campi
d’azione.
3.5.1. La Carta di Lubiana.
L’approvazione della Carta di Lubiana, sulla riforma dei sistemi sanitari da
parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a Lubiana, Slovenia, il 19
di giugno 1996. Con la presente Carta l’Unione Europea si propone di
definire e coordinare un insieme di principi che emergono dagli attuali diversi
sistemi sanitari e che comunque permettono di migliorate l’assistenza sanitaria in
tutti gli Stati membri dell’OMS nella regione europea. Tali principi si fondano
sull’esperienza e sulla strategia europea della “Salute per Tutti”.
In questo documento si fa riferimento alle riforme sanitarie nello specifico
contesto europeo ed è centrato sul principio secondo il quale “l’assistenza
sanitaria deve innanzitutto e soprattutto portare ad un miglioramento dello stato di
salute e della vita delle persone”.
3.5.2. La Carta di Portonovo.
La Società Italiana per la Qualità dell’assistenza sanitaria (verifica e
revisione della qualità, SIQUAS-VRQ), società scientifica multidisciplinare e
interprofessionale fondata nel 1984, propone, la Carta di Portonovo. In questo
documento sono riportati i principi a cui dovrebbero ispirarsi le organizzazioni e in
singoli professionisti che intendono offrire servizi di buona qualità e promuovere il
miglioramento verso l’eccellenza.
I principi della qualità sono:
1°. Centralità della persona. Progettare e realizzare le attività ei servizi sulla base
dei bisogni del singolo e della comunità.
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2°. Etica ed equità. Rispettare i principi universali e la tutela della dignità della
persona. Garantire che i cittadini abbiano pari opportunità di accesso a servizi
di uguale qualità.
3°. Condivisione, coerenza e uniformità. Sviluppare le attività in un sistema
integrato e coerente basato su criteri e standard espliciti e riconosciuti.
4°. Valutazione. Valutare sistematicamente i risultati delle attività attraverso
l’utilizzo di indicato ridi processo e di esito.
5°. Leadership, apertura, trasparenza e collaborazione. Progettare, organizzare,
confortare e scambiare informazioni ed esperienze in un clima di collaborazione
e di supporto reciproco.
6°. Efficacia e appropriatezza. Realizzare interventi basati su prove di efficacia e
secondo criteri di appropriatezza. Riferire ogni azione clinica e organizzativa ai
dati e al metodo scientifico.
7°. Sicurezza. Promuovere la cultura della sicurezza, prevenire gli eventi e
realizzare un ambiente sicuro. Individuare i rischi e le possibili cause di errore.
8°. Efficienza. Utilizzare con responsabilità le risorse disponibili.
9°. Integrazione e continuità assistenziale. Promuovere la collaborazione tra
discipline, professione, organizzazioni e istituzioni secondo modalità esplicite e
condivise.
10°. Informazione, comunicazione e partecipazione. Garantire l’informazione e
la comunicazione con il paziente, i cittadini e i professionisti. Favorire la
partecipazione dei cittadini alle scelte e diffondere la cultura scientifica
sull’efficacia degli interventi.
11°. Innovazione e creatività. Stimolare la ricerca di soluzioni innovative e
sostenere il cambiamento.
12°. Competenze e formazione. Considerare la formazione continua come parte
integrante della professione e dell’organizzazione. Adeguare competenze,
conoscenze e abilità agli obiettivi delle professioni e delle organizzazioni.
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CAPITOLO IV
PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI
INFERMIERISTICA
La Professione Infermieristica influenzata sia per lo sviluppo scientifico, culturale e
sociale e sia per la piena valorizzazione delle competenze dell’infermiere nell’ambito
della assistenza sanitaria, è in grado di produrre i propri risultati, sostenuti da prove
cliniche di efficacia (Evidence Based Nursing). Con un nuovo contesto giuridico e
professionale che regolamenta il ruolo e le funzioni dell’infermiere; di conseguenza, il
consolidamento della sfera di autonomia e di responsabilità professionale nell’assistenza,
impone all’infermiere il possesso di un articolato bagaglio metodologico, tecnico e
relazionale da utilizzare in ambito clinico ed organizzativo.
E’ importante orientare la pratica professionale verso appropriatezza, l’efficacia e
l’efficienza delle prestazioni; di organizzare l’assistenza infermieristica secondo modelli
gestionali e per processi.
4.1. Definizione dei Profili di Responsabilità,Autonomia e Competenze della
Professione Infermieristica.
L’evoluzione del quadro normativo infermieristico, negli ultimi anni ha raggiunto
obiettivi importanti, delineano importanti cambiamenti per l’infermiere, che impongono
una reinterpretazione del concetto di responsabilità professionale, come conseguenza di un
lungo percorso di emancipazione professionale.
In un quadro generale notevolmente modificato basta pensare all’aziendalizzazione
delle strutture sanitarie, alla regionalizzazione del servizio sanitario nazionale,
all’accreditamento istituzionale, alle disposizioni in tema di qualità dei servizi. Tali
cambiamenti densi di novità, hanno comportato un processo di crescita culturale
professionale di straordinario rilievo, caratterizzato dall’abolizione del mansionario, dalla
definizione del profilo, dal riordino dell’esercizio professionale con l’istituzione della
dirigenza infermieristica, dal passaggio della formazione a livello universitario, con
l’introduzione della laurea di primo livello e della laurea specialistica, dalla
riclassificazione dei professionisti sanitari.
Il Decreto 14/09/1994 n. 739 definisce il Profilo Professionale dell’Infermiere,
“Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale
dell'infermiere”, delinea il profilo professionale dell’infermiere ( che viene definito
responsabile dell’assistenza generale infermieristica) e specifica che l'assistenza
infermieristica, preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, è di natura tecnica,
41
relazionale, educativa. Introduce in modo importante il concetto di responsabilità,
l’autonomia professionale e la specificità disciplinare dell’assistenza infermieristica.
“L’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”, anche se utilizza
ancora il termine di “operatore sanitario” e non di “professionista sanitario”.
La Legge 26/02/1999 n. 42. “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”
sancisce che la infermieristica è una professione sanitaria, abolisce e sancisce la fine del
mansionario, definendo il proprio campo de attività e responsabilità della professione
infermieristica, infatti, è definito dai contenuti del decreto ministeriale istitutivi
dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di
diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici
deontologici.
L’Autonomia professionale e la specificità disciplinare dell’assistenza infermieristica
sono i presupposti dell’attività infermieristica dal punto di vista giuridico e disciplinare e
ne definiscono l’assunzione della responsabilità professionale. Con l’importante
passaggio da “Professione Sanitaria Ausiliaria” a “Professione Sanitaria” a tutti gli effetti.
L’ultimo passaggio a completamento di questo percorso e rappresentato dalla Legge
251/2000; da rilevata importanza, primo perché in linea con la L. 42(99, ribadisce il
concetto che gli operatori devono agire con “Autonomia Professionale”, e secondo
passaggio fondamentale per cui questa norma viene ricordata come la “Legge della
Dirigenza”.
La Professione Infermieristica, oggi è riconosciuta a pieno titolo tra le professioni
intellettuali, è stato sancito normativamente il precorso della professione infermieristica
che passa da un concetto di responsabilità sugli atti ad una responsabilità sui risultati,
peculiare dell’agire professionale, e per la quale è necessaria l’iscrizione all’albo
professionale ed è richiesta una formazione di tipo universitario (Libro V, titolo III, Capo
II, Art. 2229 del Codice Civile).
Le Professioni intellettuali definite così per che lo svolgimento delle loro attività
sono di natura prevalentemente intellettuale, il loro esercizio richiede il possesso di
particolari ed idonei requisiti di formazione culturale, scientifica e tecnica ed è
caratterizzato da autonomia decisionale nella determinazione delle modalità di
perseguimento dei risultati, nonché dall’assunzione di responsabilità dirette e personali in
relazione alle prestazioni svolte; quindi, la Professionalità è la capacità di esercitare una
personale funzione complessa disponendo di conoscenze generali e specifiche, con
competenza (conoscenza, esperienza, e creatività), responsabilità (attribuita dalla
funzione); ed Autonomia; rimanendo costantemente orientati all’’aggiornamento e alla
ricerca.
42
Con la nuova normativa quattro sono i pilastri della Professione Infermieristica,
che determinano il campo di Responsabilità; Autonomia e Competenza,
1°. Il Codice Deontologico.
2°. Il Profilo Professionale.
3°. L’Ordinamento Didattico.
4°. La formazione Post – Base.base
La Responsabilità come concetto generale, si riferisce all’effetto determinato dall’agire di
un soggetto da cui deriva l’obbligo di rispondere del proprio operato se eseguito in modo
non corretto. Il termine di responsabilità ha insita in sé una doppia valenza: quella che
rende evidente l’intellettualità della professione così come delineata dalla legge
42/99, che richiama alla consapevolezza degli obblighi connessi all’esercizio professionale
e all’implicito ed esplicito impegno ad operare nell’interesse del soggetto a cui la
professione si rivolge,tenuto conto delle norme etiche e deontologiche. Operare
nell’interesse del soggetto assistito significa avere consapevolezza delle possibili
conseguenze a cui l’esercizio professionale espone; farsi carico della propria responsabilità
ed operare in modo da poter sistematicamente e proattivamente dare risposta, a chi ne
dovesse chiedere conto,sulle decisioni assunte e sulle modalità prestazionali adottate.
L’infermiere, come tutti gli altri professionisti, è soggetto a diverse tipologie di
responsabilità:
1°. Responsabilità Penale,
2°. Responsabilità Civile,
3°. Responsabilità Amministrativa,
4°. Responsabilità Ordinistica.
Le diverse responsabilità si differenziano, in relazione alla sanzione prevista, nonchè
al giudice che la applica.
1°. La Responsabilità Penale.
La Responsabilità Penale è personale e non è trasferibile a terzi e deriva da un
comportamento attivo o omissivo previsto come reato dal codice penale. Quando
l’infermiere realizza una condotta caratterizzata da un inescusabile errore
professionale colpevole (derivante da negligenza, imprudenza o imperizia o dal non
aver osservato le regole proprie della disciplina infermieristica) da cui è derivato un
danno per il paziente, realizza un reato e conseguentemente può essere assoggettato a
procedimento penale. Nel momento in cui è dimostrata la sussistenza del reato, in
quanto tale, sanzionato dal codice penale con pene detentive (arresto e reclusione) e
pecuniarie (ammenda e multa).
43
La pena si identifica quale sanzione erogata tramite un processo, è
proporzionata al fatto commesso ed è prevista dalla legge ( legale). Il reato si
individua quando il realizzarsi di un evento dannoso o pericoloso sia stato causato da
un comportamento commissivo od omissivo.
I reati si distinguono, a seconda dell’elemento psicologico presente, in reato
doloso o secondo l’intenzione, in reato colposo o contro l’intenzione ed in reato
preterintenzionale o oltre l’intenzione.
Nel reato colposo ( più importante nella responsabilità professionale) le
fattispecie previste sono quelle dovute a comportamenti fondati su:
a. Negligenza, danno causato da trascuratezza, superficialità, mancanza
di attenzione e di diligenza, condotta omissiva (non fare quello che si
deve fare);
b. Imprudenza, danno dovuto a comportamento avventato, condotta
commissiva (fare quello che non devi fare);
c. Imperizia, danno provocato da insufficiente capacità o preparazione,
(fare quello che non si sa fare).
Tra i reati imputabili all’infermiere ci sono:
a. L’Esercizio abusivo della professione;
b. Detenzione e somministrazione di farmaci guasti;
c. Rilevazione di segreto professionale;
d. Omissione di soccorso;
e. Omissione di referto.
2°. La Responsabilità Civile.
La responsabilità civile presuppone un danno patrimoniale da riparare con il
risarcimento. È una responsabilità patrimoniale e consiste nell’obbligo di risarcire il
danno conseguente ad un comportamento illecito o perché il danno è ingiustamente
derivante dalla realizzazione di un reato (lesione o morte del paziente) o perché
l’attività posta in essere dall’infermiere non risponde ai requisiti minimi di diligenza
previsti dalle regole fondanti la professione infermieristica.
3°. La Responsabilità Amministrativa.
E’ conseguente ai casi di condanne degli infermieri pubblici dipendenti per“colpa
grave” ed è di competenza della Corte dei Conti. L’infermiere pubblico dipendente
(o comunque operante per conto di una struttura sanitaria pubblica/convenzionata) è
soggetto al regime di responsabilità dei dipendenti civili dello Stato (Dpr 761/79;
44
Dpr 3/57; Rd 1214/34; Rd 2440/23). Il regime di responsabilità dei dipendenti civili
dello Stato comporta che qualora l’Azienda sanitaria sia condannata a risarcire ad un
paziente (direttamente o per il tramite dell’assicurazione) un danno derivante da dolo
o “colpa grave”, ha l’obbligo di richiedere al dipendente (nel nostro caso
all’infermiere) la restituzione della somma di denaro versata a titolo di risarcimento
al paziente (la cosiddetta azione di “rivalsa”). La violazione dell’obbligo
dell’Azienda alla rivalsa integra un danno erariale da parte dell’Ente la cui
competenza è del giudice contabile: la Corte dei Conti.
4°. La Responsabilità Ordinistica
La normativa in materia ordinistica descrive le principali norme di legge e
regolamentari che riguardano l'attività dell'Ordine; oltre alle sanzioni applicate dal
giudice, altre sanzioni possono essere irrogate all’Infermiere e sono quelle derivanti
dal proprio Collegio professionale per violazioni inerenti ad inadempienze di tipo
deontologico, riguardanti il mantenimento del decoro della professione.
L’infermiere dipendente della Pubblica Amministrazione può essere sottoposto
ad un duplice potere disciplinare; dall’ente da cui dipende e dall’Ordine
professionale a cui è iscritto.
La Competenza come concetto generale è il risultato della conoscenza, elaborazione,
comprensione e giudizio; insieme alle abilità psicomotorie, interpersonali, cognitive, e
tecniche; e non solo, ma anche agli attributi ed attitudini personali, è il valore aggiunto del
professionista, che viene messa in atto in un determinato contesto per raggiungere un
determinato scopo, e non solo riferito a quello che è di pertinenza, ma anche quello di cui
si è competenti; ossia, è la capacità che deriva dall’aggiornamento delle conoscenze,
attraverso la formazione permanente, e la riflessione critica sull’esperienza.
La competenza può essere definita come l’essere in grado di rispondere delle
proprie azioni e comporta che vengano fornite ragioni e spiegazioni soddisfacenti per le
proprie azioni o per come è stato eseguito il proprio dovere.
Il concetto di competenza può identificarsi in due aspetti fondamentali:
La capacità di rispondere;
La responsabilità.
La responsabilità non comprende solamente “la propria condotta intenzionale” ma
anche “qualsiasi cosa nei confronti della quale si ritiene che il soggetto in questione abbia
una relazione di tipo causale (indipendentemente dal fatto che tale percezione sia
giustificata o meno). Secondo il Code of Ethics for Nurses dell’ICN16 (2000) è
responsabilità dell’Infermiere:
45
1°. Promuovere la salute
2°. Prevenire la malattia
3°. Ristabilire la salute
4°. Alleviare la sofferenza
L’infermiere è competente quando è in grado di spiegare come queste responsabilità
vengano espletate, giustificando le scelte e le azioni conformemente alle norme o agli
standard morali accettati.
La competenza è un concetto etico importante poiché la pratica infermieristica
implica un rapporto tra infermiere e persona assistita. La competenza infermieristica va
ben oltre la relazione individuale infermiere-paziente fino al rapporto con altri che possono
non essere infermieri e con i datori di lavoro . L’infermiere può dover rispondere al
paziente, alla professione, al datore di lavoro e alla comunità per quanto è stato fatto (o
omesso) nel prestare assistenza infermieristica.
La competenza rappresenta una nozione centrale per la pratica della professione
infermieristica un concetto dal quale traggono origine valori importanti e dal quale
derivano dei principi fondamentali. La competenza insieme all’advocacy (definita come il
supporto attivo dato a una causa importante). Nel contesto legale il termine “advocacy” si
riferisce alla difesa dei diritti umani primari, a nome di coloro che non sono in grado di
farlo per se stessi. Il termine a, viene usato per descrivere la natura del rapporto
infermiere- paziente, e favorisce la costituzione di un modello concettuale relativo alle
dimensioni etiche della pratica infermieristica.
La disciplina infermieristica ha come oggetto di studio i bisogni di assistenza
infermieristica della persona e della sua famiglia, nelle loro dimensioni bio-fisiologiche,
psicologiche e socio-culturali; la ricerca si concentra sullo sviluppo delle conoscenze
dell’infermieristica e della sua pratica per rafforzare ed allargare le conoscenze attuali
riguardanti le cure infermieristiche , al fine di contribuire al miglioramento delle
prestazioni erogate.
Le cure infermieristiche offrono un servizio specifico ai singoli e alla comunità,
attraverso un’assistenza “complessa”: “ richiede, da parte dell’infermiere un giudizio
autonomo, decisioni ponderate basate sulla conoscenza del proprio lavoro e sulle
informazioni che possiede, e inoltre doti di creatività e iniziativa”. l’infermiere, in base
alla sua competenza disciplinare e alla normativa di riferimento, ha la responsabilità
totale della propria atività decidendo la tipologia d’intervento infermieristico (cosa),la
modalità di azione (come,i tempi di erogazione e di valutazione dei risultati (quando).La
responsabilizzazione ha come punto di riferimento l’attività connessa al caso trattato e
quindi l’efficacia delle prestazioni. L’infermiere è responsabile del modo con cui conduce
46
un’azione scelta per intervenire, ma soprattutto del risultato conseguito”. (Cantarelli,
1996).
La pratica del professionista infermiere si fonda sulla conoscenza scientifica , che
permette attraverso ragionamenti induttivi-deduttivi di identificare i problemi dell’ assistito
e trovare soluzione e/o risposte assistenziali : nella pianificazione assistenziale vengono
messi in atto processi decisionali complessi che richiedono implicitamente la conoscenza
dei più appropriati interventi assistenziali erogabili «allo stato dell’arte». I risultati della
ricerca si articolano in diverso modo con il processo di assistenza infermieristica, nelle sue
diverse fasi; è possibile una relazione a livello di raccolta dati (individuazione di specifiche
situazioni reali o potenziali), a livello di obiettivi (quali sono i possibili benefici
ipotizzabili), nella definizione degli interventi e nella loro attuazione.
Nella società attuale “essere competenti” significa anche e soprattutto il
riconoscimento della necessità di imparare ed apprendere. E’ fondamentale la capacità di
costruire il proprio sapere. Migliorare la propria capacità di apprendere in modo
personalizzato, costruttivo e mirato, aumenta a livello professionale il senso di efficacia.
Saper contestualizzare la propria azione professionale, saper affrontare situazioni di
incertezza, situazioni problematiche, situazioni di complessità e saper relazionarsi con gli
altri, sono caratteristiche del vero professionista.
La conoscenza deve essere continuamente aggiornata ma la crescita esponenziale
dell’informazione biomedica (volume e complessità), ha reso sempre più difficile
l’aggiornamento professionale; inoltre vi è un limitato trasferimento dei risultati della
ricerca all’assistenza sanitaria che è documentato da diversi fattori: ampia variabilità della
pratica professionale, persistente utilizzo di trattamenti inefficaci, elevato livello di
inappropriatezza in eccesso, scarsa diffusione di trattamenti efficaci ed appropriati.
La Professione Infermieristica, in quanto tale sono riconosciute:
1°. Competenze di Base, capacità che tutti i professionisti devono possedere
all’ingresso nel mondo del lavoro e comprendono l’inglese,
l’informatica, l’organizzazione aziendale e il diritto del lavoro;
2°. Competenze Trasversali, capacità comunicative e relazionali che ogni
professionista deve possedere in qualunque settore professionale e che
acquisisce durante l’arco della vita in contesti di educazione formale, non
formale e informale. Queste riguardano l’area gestionale, innovativa e
relazionale.
3°. Competenze Tecnico Professionali, capacità distintive identificate da
diverse funzioni in base alla figura professionale che caratterizzano.
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4°. Competenze Tecnico Professionali Trasversali, funzioni che descrivono le
competenze comuni ad ogni professionista dell’ambito sanitario e
comprendono la gestione, la formazione, la ricerca e la consulenza.
I concetti esposti hanno l’obiettivo di stimolare gli infermieri a operare per il bene degli
utenti e per il successo dell’azienda e della professione, abbiamo il dovere morale di
aggiornare le nostre conoscenze (SAPERE), le nostre competenze (SAPER FARE),
affinare quelle che sono le nostre capacità relazionali (SAPER ESSERE), e mediante un
percorso educativo evolversi per cambiare vecchi modelli, abitudini e modi di vedere e
trovare nuovi punti di vista e nuove mete (SAPER DIVENIRE).
IDENTITA’ DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA
ORDINAMENTI DIDATTICI
SAPERE
PROFILO PROFESSIONALE SAPER FARE CODICE DEONTOLOGICO SAPER ESSERE FORMAZIONE CONTINUA E FORMAZIONE POST-BASE SAPER DIVENIRE
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DIMENSIONI DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA
L’esercito dei professionisti sanitari si prepara a marciare con passo sicuro nel Ssn.
Ad aprirgli la strada è il tavolo Ministero della Salute-Regioni che dal 15 dicembre 2012,
sta lavorando alla ridefinizione dei profili delle professioni sanitarie per individuare quelle
maggiormente strategiche per il Ssn ed intervenire in un’ottica di ampliamento delle
competenze e della specializzazione dei professionisti.
Il lavoro del tavolo parte dalla considerazione, ormai evidente da anni, che l’aumento
dell’età media della popolazione, delle fragilità e delle malattie cronico - degenerative,
associata alla constante evoluzione scientifica e tecnologica, richiedono significativi
cambiamenti assistenziali, strutturali, organizzativi e formativi. Quindi di rivedere ruoli e
competenze dei professionisti che ne sono protagonisti.
In questo contesto, secondo il tavolo, è "peculiare la modificazione del ruolo
professionale, dato dalle competenze, abilità e capacità dell’infermiere”. "Investire nella
professione infermieristica ponendo le basi per una nuova autonomia e responsabilità
professionale” può consentire infatti di creare “un sistema professionale capace di
RESPONSABILITA'
COMPETENZA AUTONOMIA
49
sostenere e soddisfare le esigenze dei servizi e della popolazione”, affermano ancora i
tecnici nella relazione che accompagna la bozza d’accordo.
Ma significa anche realizzare “un sistema di flessibile dinamicità, escludendo
ingessature organizzative, nelle progressioni di carriera e favorendo meccanismi di
valorizzazione professionale capacità di riconoscere il valore e il contributo posto da parte
del singolo professionista nel processo assistenziale/organizzativo per il tempo di effettivo
e positivo esercizio della competenza”.
Tutto questo non dovrà comunque prescindere dalla collaborazione con le altre figure
professionali. Andranno quindi rinnovati anche i rapporti tra le diverse professionalità
sanitari e sociosanitari e l’organizzazione dei processi produttive. In particolare, la
ridefinizione, l’implementazione e l’approfondimento delle competenze e responsabilità
professionali degli infermieri riguarderà, in una prima fase, le seguenti aree con le seguenti
competenze attribuite all'infermiere:
1° Area delle Cure Primarie (cronicità, sanità pubblica, comunità e fragilità).
Cure primarie: gestire i bisogni socio-sanitari e sanitari delle persone nelle
cure primarie con un approccio integrato, gestire il processo infermieristico
nell'ambito della continuità assistenziale, comunità e domiciliarità.
Educazione: promuovere il processo educativo.
2° Area Critica e dell’Emergenza Urgenza:
Gestire l'intervento di emergenza, gestire l'intervento nel contesto
extraospedaliero, garantire la presa in carico del paziente attraverso il triage
ospedaliero, garantire l'intervento assistenziale nel contesto del DEA, garantire
l'assistenza in età pediatrica in emergenze-urgenza, garantire l'intervento nelle
maxiemergenze. Terapia intensiva: gestire i percorsi assistenziali in terapia
intensiva, gestire il trattamento sulla base di valori di monitoraggio e la terapia
intensiva in un'ottica multi-professionale, gestire l'educazione e la relazione.
3° Area chirurgica.
Gestire percorsi perioperatori e di preospedalizzazione, gestire l'assistenza in
degenza, gestire l'assistenza negli ambulatori di follow up, gestire l'assistenza in sala
operatoria.
4° Area di Neonatologia e Pediatria.
Gestire percorsi di assistenza per bambini affetti da patologia oncologica, gestire
percorsi di assistenza per il neonato ad alta intensità di cura, gestire percorsi di
assistenza del bambino con malattia cronica.
5° Area di Salute Mentale e delle Dipendenze.
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Salute mentale: effettuare la diagnosi infermieristica, gestire la terapia.
Dipendenze: gestire l'assistenza nell'ambito delle dipendenze patologiche,
effettuare monitoraggio.
A cui si uniranno competenze tecnico professionali trasversali di:
1°. Gestione. Pianificare il lavoro, analizzare il contesto socio-sanitario.
2°. Formazione. Sviluppare percorsi formativi nel gruppo di lavoro, gestire l'ambito
di approfondimento.
3°. Qualità e sicurezza. Analizzare i percorsi per la qualità, gestire il rischio clinico.
4°. Ricerca applicata. Sviluppare progetti di ricerca.
5°. Consulenza. Fornire supporto tecnico in qualità di esperto.
A questo scopo, però, sarà necessario anche rivedere il percorso formativo degli
infermieri. A partire da quello universitario, “dove ridefinire i piani di studio della laurea
triennale e magistrale, nonché dei master condivisi in accordo tra ministeri e regioni al fine
di rispondere alle necessità di sviluppo della professione infermieristica percorrendo in tal
modo positive esperienza già maturate in ambito internazione”. Ma si dovrà puntare anche
sulla formazione regionale “dove – spiegano i tecnici – attivare una formazione modulare
che risponda alla professionalizzazione degli infermieri in conformità agli obiettivi posti in
programmazione”. Il tutto, sottolineano i tecnici, attraverso “una forte integrazione tra
Università e servizio sanitario regionale”.
4.2. Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica.
Nel V secolo a. C., Ippocrate di Coo, fu una delle prime persone al mondo a
studiare il concetto di assistenza sanitaria, guadagnandosi così il titolo di "padre della
medicina moderna". Nella nostra società la storia dell’assistenza infermieristica viene di
norma strettamente correlata, sia alla storia delle istituzioni ospedaliere e sia agli ordini
religiosi.
E’ abbastanza discusso il ruolo da attribuire a Florenze Nightingatle nella storia
dell’emancipazione femminile. E’ indubbio che ha aperto alle donne del suo tempo,
comprese quelle di classe sociale medio-medio alta la strada di un’attività professionale per
certi aspetti nuova. A parere di alcune femministe impronta l’assistenza infermieristica
con il marchio indelebile dei pregiudizi della loro classe sociale; l’infermiera era solo la
signora trapiantata della casa all’ospedale, al medico ella portava la virtù caratteristica di
una moglie dell’obbedienza assoluta, al paziente portava l’abnegazione devota di una
madre, ai lavoratori dell’ospedale di livello più basso ella portava la disciplina, rigorosa
ma cortese di chdi governa una casa ed è abituato a trattare con persone di servizio.
51
Prima della creazione del concetto moderno di assistenza infermieristica, suore e
soldati spesso provvedevano ad una forma di assistenza simile. Le radici religiose e militari
dell'assistenza infermieristica moderna rimangono evidenti in molti paesi, ad esempio in
Gran Bretagna le infermiere anziane sono conosciute come sorelle.
L’Assistenza Infermieristica moderna e professionale, nasce con queste
contraddizioni e non mancheranno di influire sullo sviluppo della professione.
La professione infermieristica si caratterizza come professione intellettuale, per
essere fondata su un sapere proprio e sulla discrezionalità nell’agire, si richiama
necessariamente all’applicazione di un metodo scientifico, valido, attendibile ed
intersoggettivo. Esso è il punto di riferimento permanente del professionista che assicura
prestazioni infermieristiche e costituisce la base per produrre strumenti informativi per la
gestione e la verifica dei risultati dell’azione professionale, poiché solo attraverso un
trattamento razionale e sistematico dei dati è possibile condurre indagini scientifiche.
La preoccupazione della comunità scientifica è quella di rispettare una serie di regole
imposte dal pensiero logico al fine di salvaguardare la realtà e l’obiettività dei fenomeni
studiati, preoccupazione che si traduce in uno studio del metodo scientifico, cioè delle
modalità con cui vengono costruite teorie capaci di spiegare gli eventi presenti e passati e
di prevedere eventi futuri.
La Professione Infermieristica non può, quindi, sottrarsi all’adozione di un metodo
scientifico finalizzato all’identificazione e alla risoluzione di una particolare categoria di
problemi, senza perdere per il fatto stesso il carattere di scientificità. IL metodo
scientifico, è lo studio sistematico, controllato, empirico e critico di ipotesi formulate sulle
relazioni supposte tra vari fenomeni, ed è usato in particolare dalle scienze sperimentali.
La essenza del metodo scientifico risiede nella ricerca della conoscenza della verità sui
fenomeni percepiti ed applicabile alle cosiddette scienze naturali, forma di conoscenza
basata su due elementi fondamentali: l’oggetto di studio e il metodo impiegato.
La Professione Infermieristica analizzando i postulati a supporto della scienza, a
portato ad approfondire lo studio del modo in cui si struttura il discorso scientifico, dei
concetti basilari, dei requisiti che devono possedere gli enunciati per essere considerati
scientifici, del rapporto teoria-esperienza, ovvero della struttura logica del ragionamento
scientifico e dei criteri in base ai quali accettare ipotesi scientifiche.
I Teorici dell’infermieristica hanno identificato il Nursing come un insieme costituito
da due componenti inscindibili, l’arte e la scienza (Benner, 1984), che applicate al contesto
delle relazioni interpersonali raggiungono lo scopo di favorire il benessere bio-psico-fisico
della persona.
52
Il Nursing è Arte, in quanto capacità di sviluppare relazioni significative con
l’assistito, di cogliere il significato dalle relazioni con il paziente, di svolgere attività
assistenziali con competenza , di utilizzare i pensiero razionale e critico per decidere il
percorso d’azione adeguato, di erogare una prestazione assistenziali nel rispetto dei
principi etici. Sensibilità ed empatia sono elementi essenziali di questa forma di
conoscenza (o arte) tanto da consentire all’infermiere di cogliere il punto di vista del
paziente e di concentrarsi sul senso del linguaggio verbale e non verbale espresso durante il
perso assistenziale.
Il Nursing è Scienza, in quanto possiede tutti gli elementi necessari per affermarsi
come tale, ha uno scopo, un campo materiale di studio, un metodo di lavoro.
Il Nursing è l'uso del giudizio clinico nell'erogazione della cura, per consentire alle
persone di migliorare, mantenere o recuperare la salute, affrontare problemi di salute e
realizzare la miglior qualità di vita possibile, quale che sia la malattia o l'incapacità, fino
alla morte (Royal College of Nursing, aprile 2002).
Il Processo di Assistenza Infermieristica o Processo di Nursing, è un metodo
particolare di pensare e di agire, un approccio sistematico e creativo usato per identificare,
prevenire e trattare problemi di salute reali o potenziali, per identificare le potenzialità del
paziente e promuovere autonomia e benessere (George, 1990).
La Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica, indica la sostanza ed il modo
dell’assistenza infermieristica; personalizzare significa dunque adattare l’azione
professionale ai costituenti soggettivi che la persona esprime come portatrice di bisogni.
La Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica si fondamenta nel
riconoscimento del bisogno di assistenza del singolo paziente-cliente, in rapporto al quale
le dimensioni psicologica e socio-culturale sono responsabili della traduzione in una
domanda di assistenza di tipo fondamentalmente soggettivo. Non è dunque il paziente che
può o deve adattarsi all’offerta sanitaria dell’infermiere o dell’istituzione preposta alla sua
cura, ma il contrario.
L’Infermiere è chiamato a modulare l’intervento professionale e le variabili
organizzative in funzione della particolare persona umana che ha preso in carico,
riconoscendo nella relazione che pratica, l’alterità di cui essa è portatrice.
4.3. Assistenza Basata sulle Prove di Efficacia (EBM).
4.3.1. La Medicina Basata sulle Evidenze (Evidence-Based-Medicene, EBM).
53
La denominazione Evidences Based Medicine ( Ebm) fece la sua comparsa,
per la prima volta, in una pubblicazione sul JORURNAL OF American Medical
Association (JAMA), nel 1992.
Secondo la celebre definizione di David Sackett (Nato 17 Nov. 1934.
Medico canadese pioniere nella medicina basata sull’evidenza, ha fondato il primo
dipartimento di Epidemiologia Clinica in Canada alla Mc.Master University,
L’Oxford Centre for Evidence-Based Medicine.), nasce “dell’integrazione delle
migliori evidenze scientifiche con l’esperienza clinica e i valori del paziente”.
l’Ebm rappresenta la ricerca (condotta secondo specifiche metodologie) della
migliore soluzione possibile ad un problema clinico. Soluzione che viene
analizzata in relazione alla propria validità, impatto e applicabilità attraverso le
prove di efficacia più valide e coerenti emerse dalla letteratura corrente,
raccolte e interpretate criticamente alla luce dell’esperienza e delle competenze del
professionale sanitario.
La Medicina Basata sulle Evidenze (Ebm), si fonda sul principio della
valutazione dei migliori risultati della ricerca disponibili in quel preciso momento di
ricerca scientifica. In pratica ciò significa che ciò che interessa specificatamente
l’Ebm non è semplicemente ciò che deriva da ricerche, bensì prevalentemente da
studi clinici (Clinical Trials) controllati e linee-guida di pratica clinica; dati quindi
ottenuti mediante una valutazione critica degli studi esistenti.
L’Ebm riconosce che molti aspetti dell'assistenza sanitaria dipendono da
fattori individuali come il giudizio di qualità e valore della vita, che sono solo in
parte soggetti a quantificarsi con metodi scientifici, tutto ciò in funzione
dell’assistenza mirata sul singolo paziente in un contesto legato ai concetti
di rischio/beneficio e di costo/efficacia. In tale contesto l’esperienza dell’operatore
ricopre un ruolo fondamentale, altrettanto l’opinione dell’utente al quale spetta
sempre l’ultima parola in merito alla propria salute, quindi, l’applicazione dei dati
dell’EBM dipende dalle circostanze e le preferenze del paziente, e le cure mediche
restano soggette a contributi personali, valori politici, filosofici, etici, economici, ed
estetici.
Nell’Italia sebbene rudimentale era limitato al campo medico, per una
pratica clinica basata sulla dimostrata efficacia, risale alla pubblicazione, avvenuta
nel 1978, all’interno della fortunata collana Medicina e Potere di Feltrinelli, de
L’inflazione medica, traduzione di Effictiveness and Efficiency (1972)
dell’epidemiologo scozzese Archibald L. Cochrane (1909-1988), è stato un pioniere
della medicina basata sulle evidenze.
In questo libro Cochrane sottoponeva a rigorosa verifica una serie di atti
preventivi e diagnostici e di interventi terapeutici, dimostrando come molti non
avessero una solida giustificazione scientifica. Il libro venne osteggiato, o
54
semplicemente ignorato, da molti professionisti, perché veniva a status quo fatto di
tranquilla consolidata e routinaria pratica.
Gli oppositori della medicina fondata sulla validazione statistica
dell’efficacia rivendicavano alla professione medica lo stato di arte, mentre coloro
che erano più in malafede intendevano continuare a trattare i propri pazienti secondo
un comodo paternalismo, difendendo nel contempo i propri privilegi e quelli di
un’industria farmaceutica spesso impegnata a sfornare farmaci inutili o addirittura
dannosi, per aumentare i profitti.
Ancor oggi non sono pochi i medici che mantengono un atteggiamento
critico nei confronti dell’Ebm, sostenuti di argomentazioni questa volta razionali. Si
contesta all’Ebm una certa rigidità e un’eccessiva standardizzazione. Si obietta che
la medicina occidentale, da almeno due secoli, si basa sul metodo scientifico e che
l’’Ebm non è altro che la ricerca scientifica (che già esisteva), più il computer (come
la vera novità), l’Ebm enfatizza eccessivamente il valore degli aggiornamenti e degli
articoli delle riviste mediche: la medicina secondo la loro opinione, non cambia con
così grande rapidità le proprie acquisizioni e, se da un lato è impossibile seguire alle
migliaia di articoli pubblicati annualmente, dall’altro i testi di medicina tradizionali,
l’esperienza clinica, l’intuizione conservano il loro valore irrinunciabile nella
formazione del professionista abile e competente.
La Cochrane Collaboration nata nel 1992 è un’ associazione inglese no-
profit di gruppi diffusi a livello mondiale che si occupano di produrre revisioni
sistematiche e meta-analisi che permettano ai clinici di prendere delle decisioni
basate sull’evidenza, provvedono a raccogliere gli studi randomizzati e controllati,
effettuando revisioni sistematiche nella propria area di competenza. La Banca Dati
Cochrane pubblica protocolli di ricerca, raccoglie revisioni sistematiche, meta-
analisi, oltre a censire i trial clinici in corso. The Cochrane Library contiene
raccolte di evidenze utili al processo decisionale clinico nei campi della terapia,
prevenzione e miglioramento della qualità.
La GIMBE, Fondazione Italiana nata nel 1996 con l’obiettivo di
diffondere in Italia l'Evidence-based Medicine, attraverso iniziative di formazione,
editoria e ricerca. E’ una Banca Dati in lingua italiana delle migliori evidenze
scientifiche selezionate dalla letteratura internazionale secondo criteri espliciti; per
ciascun articolo viene fornito un abstract strutturato integrato da un commento
metodologico. L’accesso a riviste e banche dati biomediche è progettato sulle
esigenze delle varie tipologie di utenti.
4.3.2. L’Evidence-Based Nursing (EBN.)
E’ una espressione in lingua inglese che può essere tradotta in italiano
come “assistenza infermieristica basata sulle prove di efficacia”. Nasce nel 1998
55
come “Il processo per mezzo del quale gli infermieri assumono le decisioni cliniche
utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza clinica e le preferenze
del paziente, alla luce delle risorse disponibili”.
L'EBN rifiuta pertanto la pratica infermieristica fondata su un blocco
cristallizzato di conoscenze e sostiene la necessità che ogni infermiere compia una
rivalutazione continua della propria pratica professionale, in considerazione di
questo principio, gli infermieri hanno avvertito l’esigenza di fondare l’assistenza alla
persona, le tecniche e le procedure inerenti il proprio operare, su una solida base
scientifica, su studi controllati che ne attestino l’efficacia.
Di conseguenza, possiamo dire che l’EBN è un processo di autoapprendimento
continuo dell’infermiere in cui l’assistenza al singolo paziente stimola la ricerca dalla
letteratura biomedica di informazioni rilevanti per la pratica assistenziale stessa.
E’ importante evidenziare che l’EBN, fornisce una strategia, una
metodologia operativa per trovare le risposte ai bisogni di sapere che nascono dalla
nostra attività assistenziale; ci mette nelle condizioni di formulare nel modo corretto
un quesito per cui si può trovare una risposta. Ma , attenzione a non confonderla con
la ricerca scientifica, che è la metodologia per accrescere le conoscenze di una
disciplina. La ricerca è un’indagine sistematica intrapresa per scoprire fatti o
relazioni e raggiungere conclusioni usando un metodo scientifico, mente nell’EBN la
ricerca è bibliografica ed è basata sulla identificazione e sul recupero più o meno
sistematico della letteratura su uno specifico tema per uno specifico obiettivo.
Come prima fase occorre convertire il bisogno di informazione in quesiti
clinici ben definiti, a cui è possibile tentare di fornire una risposta.
La seconda fase prevede la ricerca delle migliore prove di efficacia
disponibili nelle banche dati biomediche, per cercare le risposte. In questo caso è
importante conoscere, oltre alle modalità di accedere alle banche dati quali Medline
(per tutte le scienze biomediche in generale), e Cinahl (per le scienze
infermieristiche in particolare), la tipologia di studio da ricercare, sempre sulla base
del quesito formulato.
La terza fase è di integrazione di quanto appreso nella nostra pratica clinica e la
rivalutazione continua della nostra performance professionale.
In considerazione, alla sensibilità degli infermieri verso le tematiche
dell’evidence-based, questa si è tradotta in un incremento di lavori scientifici, nella
pubblicazione di interessanti testi sull’argomento, nella sensibilizzazione e
formazione specifica degli operatori, che già alcune Regione stanno implementando.
4.3.3. L’Evidence Based Practice.
Non è altro che l’estensione “pratica” del concetto di EBM. Riguarda a
tutti i professionisti sanitari, che consapevolmente prendono decisioni
56
riguardosa salute del paziente devono essere prese dopo aver considerato
numerose variabili (la condizione clinica del paziente, l’efficacia delle possibili
soluzioni al problema, le preferenze del paziente riguardo al trattamento) alla luce
dell’esperienza clinica, che in ultima istanza ha lo scopo di sintetizzare tutti questi
aspetti per raccomandare il trattamento migliore che il paziente è disposto ad
accettare.
L’Evidance Based Practice (EBP), stabilisce la necessità di un approccio alla
pratica clinica dove le decisioni cliniche risultano dall’integrazione tra l’esperienza
del professionista sanitario e l’utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso delle
migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente”.
Ma il professionista sanitario deve avvertire “bisogno d’informazione”, al
fine di soddisfare i gap di conoscenza emersi dall’incontro con il paziente e
convertire tale bisogno in quesiti clinico-assistenziali ben definiti in modo da andare
a ricercare con la massima efficienza le migliori evidenze disponibili in letteratura, di
interpretarle criticamente e deve valutare il “peso decisionale” di tali evidenze nella
decisione clinica, tenendo conto, sia delle preferenze ed aspettative del paziente, sia
del contesto sociale, organizzativo ed economico in cui opera. Lo stimolo principale
alla ricerca di conoscenze per i professionisti sanitari è rappresentato dai quesiti
clinico-assistenziali. Di conseguenza, l’EBP è la metodologia ottimale per integrare
pratica professionale e formazione permanente, alimentando continuamente il
processo di lifelong and self-directed learning.
Le conoscenze reperite con l’ EBP orientano la pratica clinica , ma sono
anche la base di diversi strumenti operativi di standardizzazione di quelle stesse
conoscenze e dei comportamenti professionali per le loro applicabilità.
L’elaborazione e l’implementazione di linee guida, procedure, percorsi clinico
assistenziali, e protocolli; permettono di standardizzare il quadro di riferimento
entro cui il professionista eroga assistenza, pur mantenendo un elevato livello di
discrezionalità decisoria, che si esplicita nell’analisi della situazione , scelta delle
modalità più congrue in relazione alla persona e alle variabili presenti; permette di
condividere e integrare le conoscenze con gli altri professionisti e di sviluppare
processi condivisi di prese di decisioni per rispondere alla complessità della persona
assistita.
Basare la propria pratica sulle prove di efficacia significa, per l’operatore
sanitario, rinunciare a una comoda autoreferenzialità e richiede invece spirito critico,
capacità di mettersi in discussione, metodo, lavoro, fatica, studio, aggiornamento
continuo. La ricerca, l’audit clinico, il confezionamento di linee guida, l’approccio
multidisciplinare, lo scrutinio di migliaia di articoli scientifici, la valutazione della
loro appropriatezza, le necessarie ed evolute nozioni di statistica richieste per
produrre lavori apprezzabili dalla comunità scientifica rappresentano un vero salto di
paradigma.
57
La Gerarchia delle Evidenze, per definizione non tutte le evidenze
scientifiche hanno lo stesso “peso”, cioè possiedono una diversa capacità di
dimostrare l’effettiva efficacia di un determinato fenomeno. Sulla base di ragioni
legate alla metodologia della ricerca e alle elaborazioni statistiche ad essa correlate,
si può stilare una lista degli “strumenti” più accurati e precisi attraverso i quali è
possibile “dare risposte” più o meno certe a un determinato quesito clinico in merito
a un determinato quesito di efficacia. Maggiore sarà il numero di evidenze “di alto
livello” a favore de un determinato argomento e maggiore sarà la “certezza” di aver
trovato uno strumento efficace e valido. Per questo motivo si riconosce una
gradazione, convenzionalmente indicata con lettere maiuscole dalla A alla E, per
esprimere la valutazione circa il grado di efficacia o di inefficacia di un determinato
intervento clinico.
4.4. Processi di Standardizzazione nella Prassi Infermieristica.
La Standardizzazione è il processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti sulla
base di norme, tipi o modelli di riferimento appropriati (sistemi di qualità).
Il processo di standardizzazione è un insieme di attività che trasformano gli input
in output, che hanno valore per l’utente e seguono una sequenza di attività correlate e
finalizzate ad uno specifico risultato finale
Tale processo può è deve applicarsi seguendo la logica propria dei sistemi di qualità,
infatti, nel momento della pianificazione e dell’organizzazione degli interventi da
realizzare in risposta ai bisogni della persona assistita, costruire ed adottare standars,
significa riferirsi ad un complesso di elementi che rappresentano le caratteristiche
appropriate ed ottimali di una determinata prestazione o di un determinato processo.
La Standardizzazione nella pratica infermieristica, è la scelta di un percorso clinico
assistenziale uniformato che abbia come finalità il recupero della salute e dell’autonomia
dell’assistito; con la consapevolezza della direzione alla scelta di determinati interventi
da realizzare che abbiano dimostrato reali efficacia.
L’etimologia del termine standard richiama il vocabolo di lingua francese ‘etendard’
(stendardo - bandiera): ciò che può essere esposto. In Sanità si riferisce a ciò che può
essere reso pubblico e garantito all’utente. Standardizzare, è migliorare l’appropriatezza
della gestione delle situazioni cliniche diminuendo la variabilità di comportamenti, troppo
spesso fonte di errori. Non significa ridurre la prassi ad una routine indifferenziata che non
tenga in giusta considerazione la soggettività della persona che si assiste, ma assicurare
tutti coloro che beneficiano di un servizio circa il livello di qualità della prestazione resa.
In tal senso, ci sono esempi di standard, per una determinata Unità Operativa:
Standard di Risultato; il mancato sviluppo (per tutte le persone allettate) di lesioni
da pressione;
Standard di Processo; il colloquio infermieristico a scopo anamnestico nelle prime
ore dall’ingresso in reparto, per tutte le persone ricoverate;
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Standard di Struttura; la disponibilità di un’apposita saletta per garantire la privacy
durante la tricotomia in preparazione all’intervento chirurgico.
La controversia all’interno alla professione infermieristica sulle prospettive e sulle
problematiche connesse all’attività di standardizzazione riconosce un punto di origine nella
natura stessa dell’assistenza infermieristica. Essa, infatti, si occupa della salute secondo
una visione olistica e non parcellizzata dei problemi di salute del singolo e della collettività
ed assume il principio della personalizzazione quale elemento centrale di una relazione
professionale basata sulla comprensione e sul riconoscimento della dimensione soggettiva
(bio-fisiologica, psicologica e socioculturale) dei bisogni di cui il malato è portatore.
Spesso si è osservata un’eccessiva e non giustificata polarizzazione delle opinioni
verso due estremi: da un lato, lo scadimento della standardizzazione nella formalistica
traduzione di un giusto principio (la volontà di codificare modalità di intervento razionali,
intersoggettive ed efficaci) in una prassi attenta alla sola sfera biologica dei problemi
clinici, cioè più facilmente oggettivabile secondo i canoni metodologici propri di un tale
approccio, imponendo così un’organizzazione rigida e routinaria delle attività; dall’altro,
l’assunzione di una sorta di “ideologia della personalizzazione”, che comporta il rifiuto a
standardizzare qualsiasi intervento assistenziale (“Ogni malato è diverso dagli altri, non si
possono dare ricette”) e spesso è utilizzata come vero e proprio alibi per legittimare
l’indisponibilità a misurare l’efficacia delle proprie attività.
La standardizzazione e personalizzazione non necessariamente devono essere
considerate come approcci contrapposti e tra loro inconciliabili: è possibile, infatti,
concepire e praticare l’assistenza infermieristica come attività personalizzata, cioè rivolta
alla persona intesa nella sua totalità ed unicità e nella sua peculiare esperienza di malato, e
(ove possibile) standardizzata, cioè orientata alla scelta di quegli interventi che hanno già
dimostrato, in situazioni cliniche analoghe, una reale efficacia.
Occorre, considerare la standardizzazione come processo rivolto non solo alle
attività, a “ciò che si deve fare”, ma anche (e soprattutto) agli esiti, a “ciò che si deve
raggiungere” ed ai modi per controllarli e valutarli.
L’infermiere deve porsi non solo come esecutore, ma anche come decisore e
valutatore, cioè come professionista autonomo e responsabile. è questa, in sintesi, la
‘strategia basata sul risultato’, che promuove una gestione del risultato in forma non
separata dagli aspetti operativi che concorrono al suo raggiungimento, allo scopo di
impedire la rottura fra aspetti decisionali ed aspetti esecutivi che spesso disconoscono il
valore sociale del ruolo e della funzione infermieristica.
La standardizzazione assume rilevanza professionale nella misura in cui gli
infermieri si impegnano a dimostrare l’efficacia delle proprie azioni ed evidenziano il
contributo concreto e specifico del nursing, mediante:
La promozione,
Il recupero, ed
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Il mantenimento della salute.
Gli obiettivi dei Processi di Standardizzazione nelle prassi infermieristiche sono:
Consolidare l’autonomia e responsabilità professionale.
Pianificare l’assistenza infermieristica secondo modelli gestionali “per processi”
attraverso criteri integrati e multidisciplinari.
Orientare la pratica professionale verso l’appropriatezza, l’efficacia e l’efficienza
delle prestazioni.
Definire, introdurre, sperimentare nuovi modelli applicativi quali linee guida,
procedure infermieristiche e/o protocolli.
I Processi di Standardizzazione a traverso gli Strumenti Operativi, propongono di
migliorare l’efficacia della gestione delle situazioni cliniche e diminuire la variabilità di
comportamenti. L’adozione combinata di tali strumenti richiede, un puntuale
inquadramento concettuale e metodologico, ed il loro corretto posizionamento in una
definitiva organizzazione funzionale e gerarchica. Ancora oggi, infatti, la probabilità che
un malato riceva un intervento sanitario efficace dipende troppo spesso dalla singola realtà
ospedaliera in cui viene ricoverato (o addirittura dai singoli professionisti), piuttosto che
alle reali condizioni di salute che manifesta. Gli Strumenti Operativi possono costituire la
base per la produzione di materiale informativo per l’utenza.
I principali Strumenti Operativi dei Processi di Standardizzazione nella prassi
infermieristica, sono:
4.4.1. Le Linee Guida.
La definizione più nota delle Linee Guida è quella formulata dall’Institute of
Medicine nel 1992 che le definisce come “raccomandazioni sviluppate in modo sistematico
per assistere medici e pazienti nelle decisioni sulla gestione appropriata specifiche condizioni
cliniche”. Il termine linee guida è spesso usato in modo impreciso e scambiato con
altri quale, protocollo, standard, procedura e percorso diagnostico terapeutico.
Le linee guida si caratterizzano innanzitutto per che sono elaborate a traverso
un processo sistematico, è l’elemento che le contraddistinguono rispetto ai
protocolli, quali strumenti di maggiore rigidità, finalizzati alle azioni ritenute
ottimali e quasi obbligate. Una linea guida deve sostanzialmente assistere al
momento della decisione clinica ed essere di ausilio alla pratica professionale come
risultato di un preciso percorso sistematico di analisi dei processi clinici orientato
alla definizione della “best practice”. L’enorme popolarità che le linee guida hanno
conquistato può essere spiegata per le funzioni e ruoli che queste svolgono.
Il primo è connesso alla funzione di educazione, formazione ed
aggiornamento in quanto rappresentano una sintesi critica delle informazioni
60
scientifiche disponibili sulla efficacia degli interventi sanitari. Il momento di
elaborazione di una linea guida rappresenta un eccezionale momento formativo ed
educativo per chi vi partecipa.
Il secondo ruolo è di creare le condizioni per rendere possibile il
monitoraggio della pratica clinica individuando i comportamenti clinici più
appropriati, il loro utilizzo ed i conseguenti risultati ottenuti.
Una terza funzione è la promozione del miglioramento continuo dell’attività
assistenziale in quanto le linee guida sono fondamentali strumenti a base di una
azione di governo clinico.
Le linee guida orientano ad una attività clinica più omogenea riducendo la
variabilità dei comportamenti, quando questi non siano motivati e, per questo, deve
essere sottolineato l’interessante legame fra le linee guida e attività di audit clinico.
Infatti gli indicatori “derivabili” dalle linee guida dovrebbero essere tra gli standard
di riferimento per le attività di audit, poiché consentono un approccio non
conflittuale e limitano l’autoreferenzialità dei giudizi sulla pratica assistenziale nel
momento dell’audit stesso.
Alla luce delle osservazioni precedenti si può meglio comprendere la
definizione di linee guida intese come:
“Raccomandazioni elaborate a partire da una interpretazione multidisciplinare e condivisa
delle informazioni scientifiche disponibili, per assistere medici e pazienti nelle decisioni che
riguardano le modalità di assistenza appropriate in specifiche circostanze cliniche” come proposto
da R. Grilli nel Piano Nazionale Linee Guida.
“Le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un
processo sistematico, coerenti con le conoscenze sul rapporto costo/beneficio degli interventi sanitari,
per assistere medici e pazienti nella scelta delle modalità di assistenza più appropriate in specifiche
circostanze cliniche” come proposto da Antonio Cartabellotta”.
Le Linee guida non vengono concepite come uno schema di sequenze
comportamentali da applicare in modo rigido, ma come una sintesi ragionata delle
migliori informazioni scientifiche disponibili circa le modalità di diagnosi, cura e
assistenza secondo il criterio di appropriatezza.
4.4.2. Le Procedure Infermieristiche.
Le procedure infermieristiche rappresentano la forma di standardizzazione più
elementare, poiché si riferiscono ad una successione logica di azioni tecnico-
operative, più o meno rigidamente definite, allo scopo di raccomandare la modalità
ottimale di eseguire una tecnica infermieristica semplice (es. radiografia del torace) o
complessa (es. biopsia chirurgica).
L’obiettivo delle Procedure Infermieristiche è la riduzione della variabilità
ingiustificata ed il perseguimento di una relativa uniformità dei comportamenti. Il
fatto che tali strumenti riguardino unità anche elementari di un determinato processo
61
assistenziale (ad esempio, il posizionamento di dispositivi intravascolari nella
preparazione all’angiografia venosa, la sostituzione dei contenitori di raccolta dei
sistemi di drenaggio toracico, ecc.), rende possibile (e spesso auspicabile) una loro
trasversalità di utilizzo, cioè l’adozione o lo ‘scambio’ della procedura tra differenti
unità operative ed il loro inserimento all’interno di specifici percorsi clinico-
assistenziali.
Oltre alle procedure dirette alla standardizzazione della pratica
infermieristica, si possono costruire procedure dirette alla standardizzazione dei
metodi e degli strumenti (ad esempio, le modalità per il passaggio delle informazioni
al cambio del turno di servizio) o, ancora, procedure dirette alla standardizzazione
dell’organizzazione delle attività infermieristiche e domestico-alberghiere (ad
esempio, la documentazione infermieristica da rilasciare alla dimissione o
l’acquisizione e la distribuzione dei pasti dalla cucina centralizzata).
Uno schema generale per la costruzione di procedure deve considerare:
1°. La definizione di un titolo, descrittivo del campo di applicazione della
procedura e dei suoi scopi;
2°. La formulazione di un glossario delle sigle e delle definizioni utilizzate nel
testo della procedura;
3°. La definizione delle responsabilità e delle competenze degli operatori
coinvolti nell’esecuzione della procedura;
4°. La definizione della sequenza, delle modalità, della tempistica e
dell’impiego di risorse e materiali per ciascuna attività che compone la
procedura;
5°. La segnalazione delle possibili complicanze;
6°. Le eccezioni alla sua applicazione;
7°. La bibliografia di riferimento;
8°. L’indicazione degli a u t o r i che hanno formulato la procedura;
9°. La data della stesura e delle eventuali revisioni.
Le attività che meritano di essere oggetto di una specifica procedura devono
essere strettamente legate ciò che i professionisti ritengono realmente utile o
necessario al miglioramento dell’attività clinica e di équipe. Infatti, il percorso di
costruzione, applicazione e verifica continua delle procedure è comunque complesso
e richiede un investimento di risorse (tempo, materiali, energie intellettuali, accordo
tra professionisti, ecc.) e non può essere destinato ad ‘oggetti ’ non percepiti come
prioritari o magari ‘imposti’da altre figure professionali o dalle direzioni. Alcune
teorie manageriali forniscono numerose tecniche per ‘scovare’ l’attività su cui è
necessario, o più utile, o più conveniente orientarsi. Ad esempio, il cosiddetto
“incidente critico”, che può essere utilizzato in qualsiasi ambito o specialità: tutti gli
operatori si impegnano a monitorare, per un certo periodo di tempo, l’attività di
62
reparto allo scopo di registrare (meglio per scritto) eventuali errori, mal practices, e
lamentele e di individuare i problemi più gravi o più frequenti di una realtà. Questa
tecnica è facilmente applicabile anche se ha dei limiti.
Il problema individuato diviene il punto di partenza per la costruzione delle
procedure: il passaggio successivo consiste nel cercare di standardizzare tutte le
attività che incidono sul manifestarsi di quel determinato problema. Naturalmente,
non c’è un’unica modalità che deve essere adottata per costruire una procedura. Ad
ogni modo, è indispensabile che alla sua redazione concorrano in primo luogo i
‘clinici’ e che si evitino approcci top-down (dall'alto verso il basso) generati da
coordinatori, dirigenti, docenti o altro … Ugualmente, è necessaria una piena
condivisione da parte di tutti gli utilizzatori, non serve formalizzare una procedura se
poi è rispettata solo da alcuni; a questo proposito, la migliore garanzia della massima
condivisione è data dal lavoro di gruppo.
Infine, devono essere codificate e condivise non solo le modalità di
applicazione (quando la si applica, in quali situazioni, per quali assistiti, ecc.), ma,
anche le modalità di aggiornamento continuo e revisione: anche su questo aspetto
non esistono regole fisse, vale la ricerca della massima partecipazione e del massimo
coinvolgimento possibili degli utilizzatori.
Esistono pareri discordanti sui ruoli e sulle funzioni di controllo, verifica e
certificazione delle procedure e dei diversi strumenti della metodologia e della pratica
di nursing. Per molti versi, è un aspetto che attiene in primo luogo la politica
professionale e, dunque, risente delle diverse concezioni che i professionisti hanno di
figure, istituti ed organi quali i Collegi, le associazioni professionali, i propri
dirigenti, ecc. Tuttavia, se è vero che una gestione verticistica della fase produttiva
può risultare scarsamente motivante, è altrettanto vero che un’efficace forma di
controllo al di sopra della singola unità operativa consente una più ampia diffusione e
condivisione delle esperienze maturate a livello locale.
La conformità delle singole procedure dovrebbe essere definita dagli standard
di competenze professionale (in particolare le skills), che rappresentano il "buco
nero" della qualità assistenziale. In Italia infatti, a differenza di altri paesi, non esiste
una collaborazione strutturata tra sistema sanitario, università, scuole di
specializzazione e società scientifiche in grado di definire e implementare criteri di
training e accreditamento professionale per misurare le dimensioni della competenze.
4.4.3. I Percorsi Clinico-Assistenziale (Clinical Pathway, in lingua inglese)
I Percorsi Clinico-Assistenziale, sono l’integrazione di piani di cura che orientano un uso
più efficiente ed appropriato delle risorse nel trattamento della maggioranza dei pazienti. (Franc e
Meyer, 1991).
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Da decenni in discipline come l’ingegneria e l’economia, sono in uso degli
strumenti manageriali atti a monitorare il tempo dell’evoluzione di un dato progetto.
Nel mondo sanitario anglosassone, sin dal 1985 si è iniziato ad importare tali
strumenti sviluppandoli ed adattandoli al contesto sanitario, sono stati sviluppati
presso il New England Medical Center, da Kathlen Bower e Karen Zander,
partendo dal presupposto di creare consenso nel team professionale sugli Standard di
Cura e sui risultati attesi per un target predefinito di un gruppi di pazienti. Lo scopo
principale è stato quello di costruire dei procedimenti in grado di prevedere e
descrivere in anticipo le necessità e le richieste d’assistenza dei pazienti, nell’ambito
di specifiche e varie tipologie di casi.
Il Percorso Clinico Assistenziale, in lingua inglese Clinical Pathway, per
alcuni autori Protocollo; invece, prestabilisce uno schema ottimale della sequenza
dei comportamenti in relazione a un determinato iter diagnostico, terapeutico ed
assistenziale, da attivare a fronte di una situazione clinica tipica. Allo scopo di
massimizzare l’efficacia e l’efficienza delle attività. Tali schemi sono da considerarsi
comunque flessibili e non statici, presuppongono, perciò, la possibilità di essere
impiegati nella maggior parte dei casi in cui si presenta una determinata situazione o
patologia. Ad esempio con tale strumento, può essere codificato il percorso
necessario alla preparazione ad un determinato intervento chirurgico o ad una
determinata indagine diagnostica; oppure, quello per recuperate l’autonomia
nell’alimentazione e nel movimento delle persone colpite da ictus con emi-sindrome.
Il Percorso Clinico-Assistenziale, pertanto, riguarda il controllo sia della
qualità, sia dell’appropriatezza di un insieme di attività, a volte maggiormente legate
alla diagnosi e alla cura della malattia o, in altri casi, concernenti la sfera autonoma
dell’assistenza infermieristica. Poiché spesso non è possibile separare nettamente la
competenza medica da quella infermieristica, un efficace strategia per la costruzione
dei clinical pathway e rappresentata dall’approccio interdisciplinare. Tali strumenti
assumono spesso una forte connotazione locale, in ragione delle specifiche
condizioni strutturali anche di carattere extra-scientifico in cui si realizza l’assistenza
medica ed infermieristica nelle diverse realtà sanitarie.
La condizione di applicabilità del percorso clinico-assistenziale prevede un
percorso metodologico basato sui seguenti aspetti principali:
1°. Il Problema, originato dall’individuazione delle caratteristiche cliniche (o
patologiche) del paziente a cui si riferisce il percorso clinico assistenziale
(clinical pathway);
2°. L’Intervento, dato della specificazione delle azioni diagnostiche,
terapeutiche ed assistenziali e alla loro sequenza;
64
3°. L’Esito, prevede la definizione dei risultati attesi della salute, in termini
di promozione, miglioramento o mantenimento della situazione clinica
presente, all’inizio del ricovero. (Indicatori di Risultato)
I Percorsi Clinico-Assistenziale (clinical pathway) in ambito infermieristico,
devono seguire una sequenza logica e cronologica di attività e procedure ritenute
necessarie sulla base delle conoscenze scientifiche e delle risorse disponibili in un
certo periodo storico:
1°. Percorso Diagnostico (ad esempio, la valutazione dei bisogni di assistenza
infermieristica della donna portatrice di tumore alla mammella);
2°. Percorso Terapeutico (ad esempio, il recupero dell’autonomia nel
soddisfacimento del bisogno di eliminazione dopo un intervento chirurgico
di gastrectomia);
3°. Percorso Assistenziale da condurre in collaborazione con altre figure
sanitarie.
La concezione del percorso clinico-assistenziale come strumento metodologico
di pianificazione dell’assistenza infermieristica, impone l’esame delle condizioni
operative che ne rendono possibile ed utile, la costruzione e l’applicazione a
specifiche situazioni cliniche. Occorre cioè individuare correttamente le
circostanze in presenza delle quali è possibile definire un profilo di assistenza
infermieristica standardizzato per situazioni cliniche prevedibili, le sole che possono
essere oggetto della costruzione di protocolli sono:
1°. L’emergere di una situazione clinica sufficientemente ed univocamente
delineata;
2°. La prevedibilità, in tale situazione, di uno più bisogni di assistenza
infermieristica, della loro modalità di manifestazione, delle loro eventuali
cause;
3°. La possibilità di esplicitare uno o più esiti finali;
4°. La possibilità di scegliere ed indicare atti da esegui la possibilità di scegliere
ed indicare atti da eseguire e specifiche procedure da rispettare,
specificando modalità, tempi, repertorio di risorse, ecc.;
5°. La possibilità di definire criteri (indicatori e standard ) per valutare
l’efficacia dell’intervento professionale;
6°. La possibilità di personalizzare il protocollo, cioè di realizzare la flessibilità,
modificando alcune sue parti, affinché si adatti meglio alle particolari
esigenze manifestate dalla persona assistita.
L’adozione dei percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway), rappresenta
una fondamentale strategia per governare il sistema organizzativo ed informativo di
una determinata unità operativa, poiché orienta la prassi infermieristica in funzione
del controllo dei risultati degli esiti assistenziali e, quindi, della qualità delle
65
prestazioni. Inoltre, la diffusione di tali strumenti potenzia e favorisce l’integrazione
interdisciplinare ed il ruolo degli infermieri nell’organizzazione dell’assistenza
infermieristica e nel controllo della qualità.
Negli ultimi anni all'interno della professione infermieristica, si è delineata e
diffusa la convinzione che la crescita culturale e la valorizzazione sociale
dell'assistenza infermieristica, sia possibile a partire da risultati infermieristici
“propri”, basati su evidenze scientifiche e dimostrati mediante specifici percorsi di
ricerca clinica (Evidence Based Nursing).
4.4.4. I Protocolli
Può identificare un percorso clinico assistenziale , un processo, una procedura.
Il Protocollo è un documento di procedura (formale) che riguarda una condizione
clinica con un comportamento diagnostico terapeutico predefinito o una sequenza
prescrittiva di comportamenti ben definiti, ritenuti ottimali.
Le linee guida pratiche offrono un’ampia definizione della buona pratica
professionale, corredata da pochi dettagli operativi, mentre i protocolli sono il
risultato dell’adattamento delle linee guida all’uso in contesti locali.
Nell’interpretazione giuridica, il contenuto di un protocollo è vincolante per i
professionisti; in altre parole, se le LG forniscono raccomandazioni cliniche,
flessibili per definizione, il termine protocollo implica, senza precisarlo, che deve
essere applicato a tutti i pazienti, esponendo il professionista e l’organizzazione a
potenziali rischi medico-legali se questo non avviene. Pertanto, “protocollo”
dovrebbe essere utilizzato solo se viene condiviso l’obbligo di applicarne i contenuti
a tutti i pazienti (target 100%).
Il protocollo infermieristico, come qualsiasi strumento di pianificazione
dell'assistenza infermieristica, segue un percorso clinico-assistenziale, con
l’obiettivo di far fronte un particolare problema di salute; deve perciò assumere le
categorie offerte da un modello concettuale come elementi indispensabili alla sua
costruzione, indica uno schema di comportamento predefinito nell’attività clinico
diagnostica, descrivendo una rigida sequenza di comportamenti. E’ un documento
dove si formalizza la sequenza delle azioni che debbono essere fatte per conseguire
l’obiettivo dato e per migliorare lo standard di qualità.
L’adozione dei protocolli rappresenta una strategia fondamentale per gestire
ed uniformare un’unità operativa. In considerazione del fatto che, il protocollo
orienta la prassi dei processi assistenziali e l’appropriatezza delle prestazioni.
Il protocollo assistenziale è uno strumento informativo che definisce un
modello formalizzato di comportamento professionale; esso descrive una successione
di azioni fisiche, mentali, verbali con le quali l’infermiere/gli operatori raggiunge/
raggiungono un determinato obiettivo.
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Le finalità dei protocolli sono molteplici; di seguito vengono elencate le principali:
1°. Migliorare l’assistenza infermieristica e sanitaria;
2°. Assicurare alle persone assistite interventi basati sulla più recente evidenza
scientifica;
3°. Integrare ed uniformare i comportamenti assistenziali;
4°. Coinvolgimento/confronto/motivazione degli operatori;
5°. Definire e valutare la pratica assistenziale oggetto del protocollo;
6°. Documentare le responsabilità degli infermieri e degli altri operatori;
7°. Tutelare l’ utenza e di conseguenza il personale, attraverso la dichiarazione di
come si intende svolgere una determinata attività;
8°. Ridurre gli errori.
I protocolli, inoltre, aiutano nella trasformazione di studi e conoscenze in
comportamenti formalizzati di riferimento, facilitando il trasferimento delle evidenze
scientifiche (Casati, Lazzari, 2000) nella pratica clinica e sono uno strumento di
integrazione orizzontale, cioè tra professionisti; i medesimi utilizzatori devono essere
coloro che li elaborano su basi scientifiche ed esperienziali; pertanto è utilizzabile
solo nel contesto in cui viene elaborato.
La stesura del protocollo è responsabilità degli operatori che lo utilizzano; un
protocollo è valido quando:
1°. la revisione della letteratura è stata ampia;
2°. la stessa è stata sottoposta a valutazione critica;
3°. periodicamente si rivalutano le indicazioni presenti, alla luce delle più
recenti acquisizioni sull’argomento.
Il protocollo per essere definito tale, deve essere:
Valido,
Riproducibile,
Applicabile,
Flessibile,
Chiaro,
Completo,
Conciso,
Contestuale,
Fondato.
I protocolli possono o si devono sviluppare per:
Prestazioni standardizzabili e prevedibili.
Situazioni assistenziali complesse.
Problemi poco frequenti in una determinata realtà assistenziale.
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I Protocolli possono essere presentati in formati diversi, tra cui i più utilizzati sono:
1°. Il Formato Gantt, la cui struttura grafica prevede sull’asse orizzontale la
variabile tempo ) può essere espressa in minuti, ore, giorni o settimane) e
su quella verticale le fasi della malattia e le attività che spesso sono
raggruppate in aree.
2°. Il Formato Flowchart, che illustra graficamente le relazioni tra le attività,
ma non mostra la distribuzione delle attività giorno per giorno.
Nel Protocollo devono essere indicati i seguenti elementi:
1°. Titolo del Protocollo.
2°. Popolazione di riferimento.
3°. Ambito di applicazione.
4°. Introduzione (indicazione del problema e sintesi degli elementi di
contesto).
5°. Obiettivi.
6°. Risorse (indicatori di risorsa).
7°. Fasi e azioni (con eventuali note aggiuntive e motivazioni scientifiche e
normative).
8°. Responsabilità.
9°. Misure di prevenzione delle complicanze.
10°. Eccezioni.
11°. Indicatori di esito.
12°. Bibliografia.
13°. Allegati.
Sulla base di quanto riportato, la Standardizzazione dei Processi mediante i Percorsi
Clinico-Assistenziale e Protocollo, possono essere definiti così:
1°. Il Percorso Clinico-Assistenziale rappresenta la formalizzazione dell’Intero
Iter del paziente, pertanto, deve essere considerato uno strumento
rigorosamente multidisciplinare.
2°. Il Protocollo di Assistenza Infermieristica applica la logica della
standardizzazione di processo a un particolare aspetto clinico, di stretta
pertinenza infermieristica. Ad esempio, può riferirsi a una singola diagnosi
infermieristica.
“Per la pratica infermieristica esperta, la professione si trova dover rispondere a due imperativi in conflitto
tra loro:
1°. Personalizzare l’assistenza infermieristica ai pazienti;
2°. Ridurre al minimo gli errori in un contesto di standard assistenziali minimi.
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La conoscenza racchiusa nell’esperienza clinica dell’esperto va oltre le regole e le procedure attese.
Gli standard, le regole e le linee guida adattate in modo da raggiungere un livello accettabile di standard
assistenziali possono, al tempo stesso, impedire la personalizzazione dell’assistenza . La ricerca dimostra
che un infermiere esperto può interpretare le situazioni particolari e operare le necessarie eccezioni e
modifiche alle regole al fine di ottenere la personalizzazione dell’assistenza”. (Benner Patricia,2003,
University of California, San Francisco).
CONCLUSIONI
Il presente studio è stato realizzato a seguito del mio tirocinio per il Master nella
Azienda dove lavoro, il Policlinico San Donato, sono stata inserita un progetto per
l’elaborazione dei protocolli aziendali, lavoro abbastanza impegnativo per chi non ha
dimestichezza con la ricerca, ma per me è stata una sfida, fare qualcosa per la prima volta
e soprattutto farlo bene.
La formazione dell’individuo sul piano intellettuale, morale e all’acquisizione della
consapevolezza del ruolo che gli compete nella società, sono presupposti che gli infermieri
possono mettere a disposizione insieme a quello che hanno studiato, approfondito,
progettato, sperimentato ed esperito nell’assistenza, nell’organizzazione, nella didattica,
nella ricerca e nelle complesse e reticolate relazioni interpersonali.
L’infermiere è consapevole che la relazione che stabilisce con la persona assistita è
una relazione d’aiuto (di sostegno) e come tale volta ad ottenere una maggiore
valorizzazione delle risorse personali.
La standardizzazione della prassi infermieristica non deve significare fare tutti le
stesse cose, ma significa essere dentro un processo dove è quello che si deve fare,
palesemente legato a quello che si vuole raggiungere. Chiaramente è un processo rivolto ai
risultai nel quale le singole attività siano sempre valutabili e misurabili in funzione degli
obiettivi che l’infermiere si è posto per risolvere un determinato problema.
La Standardizzazione dei processi di qualità sono uno strumento che rende
evidente e razionale i legami tra i suoi strumenti (linee guida, procedure, percorsi clinico-
assistenziali e protocolli) ed il metodo clinico (processo di assistenza infermieristica). E’
importante seguire una metodologia e degli strumenti operativi prestabiliti per indirizzarsi
verso la personalizzazione dell’assistenza infermieristica.
Gli oppositori della medicina fondata sulla validazione statistica dell’efficacia
rivendicavano alla professione medica lo stato di arte, mentre coloro che erano più in mala
fede intendevano continuare a trattare i propri pazienti secondo un comodo paternalismo,
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difendendo nel contempo i propri privilegi e quelli di un’industria farmaceutica spesso
impegnata a sfornare farmaci inutili o addirittura dannosi, per aumentare i profitti.
Ancor oggi non sono pochi i medici che mantengono un atteggiamento critico nei
confronti dell’Ebm, sostenuti di argomentazioni questa volta razionali. Si contesta
all’Ebm una certa rigidità un’eccessiva standardizzazione. Si obietta che la medicina
occidentale, da almeno due secoli, si basa sul metodo scientifico e che l’’Ebm non è altro
che la ricerca scientifica (che già esisteva), più il computer (come la vera novità), l’Ebm
enfatizza eccessivamente il valore degli aggiornamenti e degli articoli delle riviste
mediche: la medicina secondo la loro opinione, non cambia con così grande rapidità le
proprie acquisizioni e, se da un lato è impossibile seguire alle migliaia di articoli
pubblicati annualmente, dall’altro i testi di medicina tradizionali, l’esperienza clinica,
l’intuizione conservano il loro valore irrinunciabile nella formazione del professionista
abile e competente.
Spesso le linee guida, procedure assistenziali, percorsi clinico-assistenziali e
protocolli, sono utilizzati dandole lo stesso significato nella pratica clinica infermieristica,
pur possedendo una struttura e requisiti molto diversi fra loro. Questi strumenti
d’integrazione organizzativa, oggi sono considerati anche strumenti per la pratica clinica
sull’evidenza, non solo, per il miglioramento delle prestazioni erogate ma soprattutto per
che permette la valutazione delle stesse in base a standard e indicatori di qualità, con
questa motivazione le aziende ospedaliere cercano dove è possibile regolamentare la
pratica clinica infermieristica.
Frequentemente si osserva un’eccessiva e non giustificata polarizzazione delle
opinioni verso due estremi: da un lato, lo scadimento della standardizzazione nella
formalistica traduzione di un giusto principio (la volontà di codificare modalità di
intervento razionali, intersoggettive ed efficaci) in una prassi attenta alla sola sfera
biologica dei problemi clinici, cioè più facilmente oggettivabile secondo i canoni
metodologici propri di un tale approccio, imponendo così un’organizzazione rigida e
routinaria delle attività; dall’altro, l’assunzione di una sorta di “ideologia della
personalizzazione”, che comporta il rifiuto a standardizzare qualsiasi intervento
assistenziale (“Ogni malato è diverso dagli altri, non si possono dare ricette”) e spesso è
utilizzata come vero e proprio alibi per legittimare l’indisponibilità a misurare l’efficacia
delle proprie attività.
La standardizzazione e personalizzazione non necessariamente devono essere
considerate come approcci contrapposti e tra loro inconciliabili: è possibile, infatti,
concepire e praticare l’assistenza infermieristica come attività personalizzata, cioè rivolta
alla persona intesa nella sua totalità ed unicità e nella sua peculiare esperienza di malato, e
(ove possibile) standardizzata, cioè orientata alla scelta di quegli interventi che hanno già
dimostrato, in situazioni cliniche analoghe, una reale efficacia.
70
In conclusione, la assistenza infermieristica è scienza, arte, etica e tecnica coltivata e
sono la essenza che caratterizzano gli infermieri e che determinano la sua professionalità.
Per finire, quando l’infermiere, al di là dei limiti strutturali entro cui si trova ad
operare, riesce a porre la sua umanità al servizio di questo meraviglioso progetto d’aiuto,
non solo la condizione della persona assistita migliora, dove c’è responsabilità e umanità
nell’agire professionale, migliora anche la qualità di lavoro.
GLOSSARIO
1°. Appropriatezza, è la condizione adatta e adeguata, che abbia il carattere di efficacia ed
efficienza .
2°. Efficacia, significa ottenere un risultato con il massimo beneficio, attraverso gli
interventri sanitari (output) mirati a favorire il miglioramento dello stato di salute.
3°. Efficienza, significa ottenere un risultato tenendo conto dei costi e dei tempi associati
e presuppone la valutazione dei livelli di produttività.
4°. Razionalizzazione, è il criterio metodologico ragionevole, ordinato, facile, funzionale
e sistematico.
5°. Performance, è il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del risultato) che
un‟entità (individuo, gruppo di individui, unità organizzativa, organizzazione,
programma o politica pubblica) apporta attraverso la propria azione al raggiungimento
delle finalità e degli obiettivi ed, in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i
quali l‟organizzazione è stata costituita. Pertanto il suo significato si lega strettamente
all'esecuzione di un'azione, ai risultati della stessa e alle modalità di rappresentazione.
Come tale, pertanto, si presta ad essere misurata e gestita.
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12°. www.snlg-iss.it
13°. www.wikipedia.it
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RINGRAZIAMENTI
Dopo quindici anni ho ricominciato a studiare, con fatica, ma con molto entusiasmo.
Se sono arrivata alla fine il merito non è solo mio, ma soprattutto di chi mi ha dato
sostegno nei momenti di insicurezza, coraggio nei momenti di sconforto, consigli per
essere più ragionevole e tranquillità nell’agitazione; ognuno a modo suo ha contribuito a
farmi arrivare alla fine del mio percorso.
A conclusione di questo lavoro ringrazio il Rettore dell’Università Prof. Giovanni
Puglisi, al Direttore del Master Prof. Paolo Moderato, al tutor del master Dott.ssa. Giulia
Sangermani, ai docenti per la loro competenza ed in particolare modo al relatore Dott.
Davide Jabes.
Desidero ringraziare di cuore alla mia famiglia che ha rappresentato il punto fermo in
questo cammino, aiutandomi a superare i momenti di sconforto e trasformandogli in
momenti di tranquillità e sicurezza.
Sono arrivata alla fine e con soddisfazione posso solo dirvi:
GRAZIE!