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1 LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM MASTER IN MANAGEMENT SANITARIO PER LE FUNZIONI DI COORDINAMENTO (MASA) STUDIO SUI PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI INFERMIERISTICA Direttore Scientifico: Prof. Paolo Moderato Relatore Dott. Davide Jabes Prova finale di: Marcela Hovana Carrasco Matricola 1009973 ANNO ACCADEMICO 2011/2012

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LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM

MASTER IN MANAGEMENT SANITARIO PER LE

FUNZIONI DI COORDINAMENTO

(MASA)

STUDIO SUI PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI

INFERMIERISTICA

Direttore Scientifico:

Prof. Paolo Moderato

Relatore

Dott. Davide Jabes

Prova finale di:

Marcela Hovana Carrasco

Matricola 1009973

ANNO ACCADEMICO 2011/2012

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Rare sono le persone che usano la mente.

Poche coloro che usano il cuore e

uniche coloro che usano entrambi.

Rita Levi Montalcini

Vivi come se dovessi morire domani.

Impara come se dovessi vivere per sempre.

Gandhi

Non si scoprirebbe mai niente se ci si

considerasse soddisfatti di quello che si è

scoperto.

Seneca.

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

STORIA E SVILUPPO DELL’ASSISTENZA

INFERMIERISTICA

1.1. L’Infermieristica a Traverso la Storia

1.2. L’Teorie Infermieristiche

1.2.1. Nell’Arte e Scienza del Nursing Umanistico

1.2.2. Nelle Relazioni Personal

1.2.3. I Sistemi

1.2.4. I Campi dell’Energia

CAPITOLO II

NORMATIVA INFERMIERISTICA

CAPITOLO III

SISTEMI E GESTIONE DELLA QUALITA’

DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA

3.1 La Qualità Passato e Presente in Sanità

3.2. Definizione del Concetto di Qualità in Sanità

3.3 Dimensioni della Qualità

3.4. Metodologie e Strumenti per il Miglioramento della Qualità

3.4.1. Linee Guida ed Evidence Based Medicine (EBM)

3.4.2. L’Accreditamento Professionale

3.4.3. L’Accreditamento Istituzionale

3.5. Normativa di Riferimento per la Qualità in Sanità

3.5.1. La Carta di Lubiana

3.5.2. La Carta di Porto Nuovo

CAPITOLO IV

PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI

INFERMIERISTICA

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4.1. Definizione dei Profili di Responsabilità, Autonomia e Competenze della

Professione Infermieristica

4.2. Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica

4.3. Assistenza Basata sulle Prove di Efficacia (EBN/EBM)

4.3.1. La Medicina Basata sulle Evidenze (Evidence-Based-Medicine, EBM)

4.3.2. L’Evidence Based Nursing (EBN)

4.3.3. L’Evidence Based Pratice

4.4. Processi di Standardizzazione nella Prassi Infermieristicha.

4.4.1. Le Linee Guida

4.4.2. Le Procedure Infermieristiche

4.4.3. Il Percorso Clinico Assistenziale

4.4.4. Il Protocollo

CONCLUSIONI

GLOSSARIO

BIBLIOGRAFIA

RINGRAZIAMENTI

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INTRODUZIONE

Con la riforma Sanitaria le Aziende Ospedaliere devono attuare un sistema in grado

di mantenere la qualità dell’assistenza, migliorando i livelli di efficienza e efficacia con le

risorse disponibili, le aziende devono avere una seri di requisiti organizzativi, tecnologici

e strutturali tali da assicurare ai cittadini la qualità dell’assistenza offerta.

La Standardizzazione è il processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti sulla

base di norme, tipi o modelli di riferimento appropriati per migliorare la qualità.

Spesso accade che i soggetti coinvolti nella produzione di servizi finalizzati alla

tutela, promozione e mantenimento dello stato di salute, siano poco coordinati tra loro

rendendo impossibile l’ottimizzazione dei processi lavorativi. C’è quindi l’esigenza di

porre l’attenzione alla risoluzione dei problemi organizzativi, in quanto è una delle poche

soluzioni al difficile problema della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate.

Diventa indispensabile, quindi, nelle strutture sanitarie il “Servizio Infermieristico”

quale componente della complessa organizzazione di servizio che rappresenta la struttura

sanitaria; in considerazione che l’organizzazione del lavoro è una variabile altamente

critica perché ha una notevole influenza sul processo assistenziale condizionandone

fortemente il livello di adeguatezza del servizio prestato in risposta al bisogno di

assistenza.

Indipendentemente dal modello attuato nell’organizzazione del lavoro, diventa

indispensabile dotarsi di strumenti operativi che rendano misurabile il livello di

funzionalità del modello organizzativo in modo globale.

Perché una qualunque istituzione sanitaria funzioni (ad. esempio, le strutture

sanitarie, e dal l’oro interno le singole Unità Operative), necessita della conoscenza

approfondita dei suoi elementi fondamentali (risorse umane, tecnologiche, strumentali,

protocolli, procedure operative, sistema informativo, processi decisionali, ecc.) e delle

modalità con cui tutti questi elementi si svolgono nelle situazioni lavorative concrete. Gli

interventi operativi sui processi di erogazione delle prestazioni dei servizi è solitamente

riconducibile al bisogno di mantenere i processi a quel livello di funzionalità che la prassi

fa ritenere ottimali.

Il processo di standardizzazione nella prassi infermieristica mediante la elaborazione

dei documenti aziendali, è indirizzato a trovare un punto di equilibrio tra ciò che viene

riportato nella teoria, e ciò che viene attuato con diligenza e professionalità nella pratica

clinica quotidiana, per garantire l’uniformità e omogeneità assistenziale secondo criteri

basati sull’evidenza scientifica; prevenire ed identificare le possibili cause d’infezioni

nosocomiali locale e sistemiche per il corretto impiego delle risorse e con la conseguente

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riduzione dei costi e dei tempi di degenza e sopratutto rendere documenti quali istrumenti

per l’istruzione, formazione ed informazioni degli operatori sanitari, utili a indirizzare le

decisioni verso una maggiore efficacia e appropriatezza, oltre che verso una maggiore

efficienza nell’uso delle risorse in tutte le Unità Operative delle strutture sanitarie.

Lo studio sui processi di standardizzazione nelle prassi infermieristica è stato svolto

descrivendo al primo capitolo la storia e lo sviluppo della professione infermieristica, dato

che non può parlare di una disciplina se non si conosce il suo origine. Il secondo capitolo è

riferito alla normativa infermieristica, per che sono i fondamenti legislativi a determinare i

campi di autonomia, responsabilità e le competenze della professione infermieristica. Il

terzo capitolo descrive i sistemi di qualità in ambito sanitario argomento ampiamente

discusso negli ultimi anni, e finalizzato a sviluppare una politica della qualità clinico-

assistenziale assunta in forma consapevole e realizzata in funzione di quella che è la

mission aziendale. Il quarto capitolo descrive i processi di standardizzazione nella prassi

infermieristica, come un insieme di attività che trasformano gli input in output, che

hanno valore per l’utente e seguono una sequenza di attività correlate e finalizzate ad uno

specifico risultato finale.

L’esperienza di ogni giorno ci insegna quanto sia di fondamentale importanza

l’adozione di linee guida, procedure, percorsi clinico-assistenziali e protocolli assistenziale,

per questo motivo non solo deve essere responsabilità del Servizio Infermieristico la loro

elaborazione, ma anche del singolo Coordinatore delle diverse Unità Operative, e come

professionisti dobbiamo agire sulla nostra motivazione e su quella dei nostri colleghi,

abbiamo il dovere morale di aggiornare le nostre conoscenze (SAPERE), le nostre

competenze (SAPER FARE), affinare quelle che sono le nostre capacità relazionali

(SAPER ESSERE) e mediante un percorso educativo evolversi per cambiare vecchi

modelli, abitudini, modi di vedere e trovare nuovi punti di vista e nuove mete (SAPER

DIVENIRE).

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CAPITOLO I

STORIA E SVILUPPO DELL’ASSISTENZA

INFERMIERISTICA.

Qualunque persona intraprenda lo studio di una disciplina, di una scienza o di un’arte

dovrebbe cominciare a conoscerla dalle origini seguendola nel progressivo cammino

attraverso i tempi. Nulla nasce ex novo, ma tutto si evolve, si perfeziona, si amplifica via a

via che ogni generazione porta il suo contributo di conoscenza, di attività, di amore alla

continua ascesa verso forme di vita migliore e di ideali più elevati. (F. Pittini – Manuale

di assistenza sociale)

1.1 L’Infermieristica a traverso la Storia.

Una forma di assistenza infermieristica non formalizzata è probabilmente sempre

esistita, fin dalle origini della storia dell’uomo, come un aiuto alla vita ed è stata prestata

principalmente dalle donne, le loro conoscenze si sono trasmesse di madre a figlia, basate

essenzialmente su erbe medicamentose o intrugli vari, motivo per il quale veniva

considerata “guaritrice”. Il sapere essenziale rappresenta l’elaborazione graduale di un

insieme di pratiche per assicurare il soddisfacimento dei bisogni fondamentali alla

sopravvivenza, inizia ancor prima delle più antiche civiltà mesopotamica o egiziana e

continua attraverso secoli e millenni nel continente europeo favorendo la trasmissione e la

diffusione di usi, costumi, riti e miti.

Nell’antico Egitto l’assistenza infermieristica materno-infantile era responsabilità

delle ostetriche, mentre le balie allattavano al seno i bambini. I sacerdoti erano i principali

responsabili delle pratiche sanitarie in diretta correlazione con l’appagamento degli dei.

Gli Israeliti seguivano riti di sanitizzazione, usando l’acqua filtrata o bollita e

ispezionavano la carne per verificare il deterioramento.

Nell’antica Babilonia, in Egitto e tra i sumeri (signori colti e facoltosi), le famiglie

ricche erano le principali destinatarie dell’assistenza infermieristica.

Nel 500 a C., in Asia, Egitto, Palestina, Grecia e Italia, sono già presenti luoghi di

ricovero per gli ammalati. Gli Standard Igienici, in questi primi ospedali, pur basandosi

sui rituali religiosi, erano all’avanguardia. I pazienti erano sistemati in posti letti separati

fra loro o in stanze differenti, una buona ventilazione era considerata essenziale e

venivano messi in atto molti metodi rudimentali di controllo delle infezioni, come il non

toccare le ferite, l’isolamento dei pazienti infetti e l’uso del lavaggio e di forni per la

sterilizzazione degli strumenti.

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Nel Medioevo i primi ospedali Xenodochi, nel quale si ospitavano gratuitamente

forestieri e pellegrini prima in Oriente poi si diffusero in Europa. Con i valetudinaria

romani abbiamo la prima forma rudimentale conosciuta di assistenza organizzata, erano gli

ospedali in epoca romana, dove la medicina era esercitata principalmente da medici-

schiavi greci, il cui significato derivava dal termine latino valetudo, ovvero "buona salute".

Furono costruiti lungo l'intero limes (barriere costruite dall'Impero Romano per difendere i

propri confini e i propri territori).

Grazie all’avvento del cristianesimo, l’influenza della religione migliorò la posizione

sociale dell’infermieristica, dando più valore alla vita umana. La compassione, la carità e la

dedizione al servizio erano qualità associate alle infermiere. Le prime comunità cristiane

sono caratterizzate da uno spirito di grande solidarietà reciproca ed egualitaria. Per la sua

filosofia caritatevole verso bisognosi e infermi, sorgono i primi ospedali, inizialmente non

si occuperanno di assistere i malati, ma per molto tempo accoglieranno vagabondi,

senzatetto, pellegrini, ecc.. Va inoltre sottolineato come, nei confronti degli infermi,

prevalga sull’aspetto curativo, quello caritatevole. Le diaconesse e i diaconi esercitano un

servizio, organizzato su base territoriale, per l’assistenza agli ammalati e ai poveri.

Il primo ospedale che si occupa soltanto di ammalati è stato istituito nel 390 d. C. da

una nobildonna, Fabiola. Si racconta che raccogliesse personalmente gli infermi per le

strade della città assisteva le vittime della fame e delle epidemie, i mutilati, i ciechi e gli

storpi, ripulendo le loro piaghe e ferite dando loro da mangiare.

L’assistenza è esercitata inizialmente dalle donne che, successivamente, divengono

infermiere ed ostetriche. Fino alla seconda metà del ‘900 la conoscenza infermieristica, è

maturata sulla base di un metodo empirico, per prove ed errori, resta ai margini della

cultura sanitaria e non viene considerata degna di un proprio statuto scientifico.

L’assistenza infermieristica rappresenta e si configura come una derivazione specifica e

specialistica dell’assistenza in generale, allorquando si sono verificate alcune situazioni

che hanno reso necessario il passaggio dal sapere culturale al sapere disciplinare,

richiedendo l’uso di un metodo scientifico sia nella teoria che nella pratica.

Nel Medioevo protagonisti assoluti dell’assistenza sono gli ordini monastici e

religiosi e ciò continua per molti secoli, anche quando, dal l500 in poi, il grande progresso

scientifico cambia il volto della medicina, cambiando radicalmente l’assetto ospedaliero ,

in quanto il prendersi cura non era più visto solo come un atto cristiano, ma anche in

termini di produzione di salute corporale e di idoneità fisica. E’ proprio per questo, alcuni

religiosi si distinguono per dedizione e modernità delle concezioni in campo assistenziale.

I monaci si dedicano all’anima e i conversi o i servi al corpo, nacque il termine infirmus

che designava il monaco che si occupava dell’accoglienza e dell’assistenza dei malati e

dei bisognosi. Gli ospedali erano generalmente annessi al monastero, si offriva riposo,

protezione, vitto con dieta opportuna, insieme alla cura delle ferite o delle piaghe. I farmaci

erano dispensati in speciali infermerie.

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Fra questi spicca la figura di Camillo de Lellis ( 1550 – 1614 ), fondatore dell’Ordine del

Ministri degli Infermi. Lo storico della medicina Giorgio Cosmacini definisce, ancora ai

giorni nostri, De Lellis come la figura dell’infermieri ideale, protagonista dell’utopia

ospedaliera del Seicento. Egli pensa che l’assistenza non può essere affidata agli

inservienti che abbandonano gli ammalati quando non sono sorvegliati. Raccomanda di

studiare ogni singolo caso, di imparare a rifare i letti e a pulire i pazienti quando sono

gravi e a preparare relazioni per medici sulla giornata del malato, dedica particolare

attenzione alla formazione degli infermieri e all’organizzazione del lavoro. Giovanni di

Dio, fondatore degli ospedali Fatebenefratelli, dove si contemplava la figura del’infermiere

maggiore e dell’infermiere minore, che si diffonderà in tutta Europa. Vincenzo de Paoli,

fondatore della Compagnia delle Figlie della Carità, inizialmente composto da dame della

nobiltà e della borghesia, reintroducendo le donne nell’assistenza. Prima di essere

infermieri sono stati malati, e furono i primi a comprendere che serviva un’assistenza

specifica per stare vicino al malato: L’Assistenza Infermieristica.

Nei secoli XV – XVI negli ospedali gli infermieri erano laici, in quanto nei paesi

cattolici, a causa delle severe regole di disciplina imposte agli ordini religiosi dal Concilio

di Trento (1545 – 1563) provocò una riduzione del numero delle suore e dei frati impegnati

nell’assistenza. Gli infermieri erano reclutati nelle classi inferiori donne e uomini usciti

dal carcere, di ex prostitute, di povera gente in genere.

Nei secoli XVI – XVII con il progresso scientifico si evidenzia una notevole

evoluzione della medicina, riguardanti sia le conoscenze che i rimedi pratici. Prima

dell’Ottocento gli ospedali mostravano i mansionari degli infermieri e delle altre figura.

uomini o donne, chiamarti in aiuto per la gestione di malati e si può dire che non mancava

una certa attenzione alla loro formazione teorica e pratica. La revisione dei manuali

dell’epoca permettono di conoscere i sistemi di istruzione di queste figure. Il modello di

insegnamento era basato sulla didattica per aforismi (brevi frasi) o con libri improntati al

metodo dialogistico (costruito su domande e risposte). Tra questi La Pratica

dell’Infermiere (1664).

La rivoluzione scientifica e quella industriale determinano ulteriori modificazioni

nell'organizzazione degli ospedali. Servono infermieri più preparati per svolgere un'attività

che si è fatta più complessa. La nuova temperie culturale favorisce l'apparire sulla scena di

quella che è forse il prototipo dell'infermiera: Florence Nightingale (1820-1910). Di origini

alto borghesi, la "signora della lampada" si distingue nei soccorsi ai militari feriti nella

guerra di Crimea e si rivela ben presto un genio pratico, organizzativo, teorico e didattico,

con i suoi interventi riduce la mortalità dal 42% al 2.2%. Con la Nightingale l'assistenza

infermieristica virerà in modo irreversibile verso la scienza e l'efficienza, utilizzando la

scienza della statistica sociale di cui è esperta per mettere in evidenza sia l’impatto delle

malattie sulla mortalità che gli effetti delle condizioni sanitarie. Attua provvedimenti per

prevenire le malattie e migliorare le condizioni del popolo. Nel 1859 fonda la Nightingale

Training School for Nurse presso l’ospedale St. Thomas di Londra. La formazione

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infermieristica è basata sul sapere, l’istruzione, la conoscenza, per formare una professione

autonoma e autorevole e formare delle leader per riprodurre il sistema di pensiero

formativo. L’impostazione formativa utilizzata verrà esportata in tutto il mondo. Avrà

luogo una vera e propria colonizzazione culturale.

Nel frattempo, Henry Dunant (1828-1910) nel 1864 fonderà la Croce Rossa, un

corpo di infermieri volontari che intervengono in caso di guerra o calamità naturali e che in

tempo di pace si dedicano all'istruzione del personale sanitario e al trasporto degli infermi.

Negli Stati Uniti l’indipendenza e l’evoluzione socio-culturale, favorisco una grande

evoluzione della professione infermieristica. Nel 1861 si prende coscienza della scarsità

degli infermieri e della loro insufficiente preparazione. Un notevole impulso allo sviluppo

del Nursing in america fu dato però da Clara Barton, più arguta ed emancipata delle

colleghe inglesi, tanto da diventare una delle prime sufragettes, durante un soggiorno in

Europa venne a conoscenza dell’opera della Croce Rossa per cui al suo ritorno fondò nel

1881 la American Association of the Red Cross e quindi la prima Red Cross Society degli

Stati Uniti. Per quanto riguarda la formazione delle infermiere nel 1873 furono

fondate le prime tre scuole Americane. Con un programma di istruzione completo,

efficace e sistematico, e con l’impiego di standard che garantissero la formazione di

personale in grado di rispondere ai reali bisogni di salute e di assistenza della popolazione,

si ottenne un progressivo avanzamento della professione infermieristica.

Nel 1879 vengono fondate L’AMERICAN NURSES ASSOCIATION (ANA) e LA

NATIONAL LEAGUE OF NURSINGN. Nel 1899 nascerà L’INTERNATIONAL

COUNCIL OF NURSING (ICN). Fra le acquisizioni della cultura professionale

statunitense ci sono:

1°. La produzione dei modelli concettuali dell’infermieristica.

2°. L’attenzione alla qualità dell’assistenza e alla definizione di standard su cui

fondare la sua valutazione.

3°. L’attenzione ad altre problematiche di natura gestionale, es. la definizione di

vari sistemi organizzativi (assistenza di routine, per piccoli gruppi,

personalizzata).

4°. La definizione di una metodologia di lavoro, quella del problem-solving, entro il

quale viene data una crescente importanza alle “diagnosi infermieristiche”, cioè

a quei problemi dell’utente che l’infermiere è in grado di riconoscere e di

affrontare in maniera autonoma.

Il principio fondamentale, soprattutto nella cultura americana, della tutela della

libertà individuale, senza vincoli politici o religiosi, in una ottica di pragmatismo, uniti allo

spirito scientifico, di collaborazione e all’organizzazione, ha favorito l’evoluzione della

professione infermieristica per cui dal 1899 le prime infermiere furono ammesse

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all’università presso la Columbia University e nel 1916 esistevano già tredici corsi

universitari per infermiere.

L’infermiera americana non si è quindi creata dal nulla. La maggiore unità della

categoria e il terreno favorevole ad accogliere le sue istanze hanno facilitato il notevole

sviluppo culturale della professione e di conseguenza la creazione di una gerarchia

infermieristica preparata.

L’assenza di una profonda differenza culturale con la dirigenza medica e la

indispensabile collaborazione per la soluzione di problemi comuni, ha imposto quindi la

presenza dell’infermiera, dato che non era assolutamente possibile escluderla o ignorarla,

nei vari ambiti delle stesse scelte politiche e gestionali della sanità.

In Gran Bretagna, diverse giovane colte assumono posti di direzione nei maggiori

ospedali, alla scomparsa di F Nightingale, nel 1910, si pongono alla guida della

professione e ne determinano la politica, fondano scuole per infermiere in diversi paesi.

Nel 1919 il Parlamento approva l’istituzione dell’albo delle infermiere. Nel 1948 entra in

vigore il Servizio Sanitario Nazionale.

In Francia però l’impostazione della scuola della Nightingale non fu completamente

seguita nemmeno nella più prestigiosa scuola di Bordeaux diretta da una allieva della

stessa Nightingale, Miss Hamilton. Infatti durante il tirocinio le allieve non erano guidate

e seguite in ogni attività da infermiere capaci ed impegnate, le Sovraintendenti o Matron, e,

dopo due anni appena ottenuto il diploma, affiancando o sostituendo le infermiere che

avevano lasciato dei posti vacanti, non essendo adeguatamente preparate non riuscirono a

dare alla loro categoria quell’immagine e quella stima delle Nurses inglesi. Poco preparate

e prive di un vero spirito di corpo, dopo qualche anno venivano messe alla pari e spesso

sopravanzate dalle quelle vecchie infermiere più impegnate, sensibili e desiderose di

emanciparsi. Tutto ciò non invogliò, come in Inghilterra, le ragazze provenienti dalla

media borghesia ad intraprendere tale professione almeno negli ospedali pubblici.

All'inizio del Novecento la condizione degli ospedali italiani è terrificante. Una

visitatrice americana parlerà di totale assenza di una vera e propria assistenza

infermieristica. Ben presto subentrano anche da noi rapidi cambiamenti. I progressi

compiuti sotto l'aspetto diagnostico e terapeutico portano l'assistenza infermieristica a

cercare di adeguarsi al nuovo clima scientifico e tecnologico, le congregazioni religiose

notevolmente accresciute in numero avevano dato, specialmente in Italia, con le loro

infermiere una risposta adeguata ai tempi, questa non era più adatta alle nuove situazioni

sia per l’evidente calo progressivo delle vocazioni sia, per la loro limitata preparazione, sia

per il desiderio di un generale rinnovamento di una adeguata assistenza a quanti ne

avevano bisogno. Tutto ciò nonostante il personale infermieristico religioso avesse in

generale una dedizione e un attaccamento all’ammalato e ai suoi bisogni ed un senso del

dovere certamente impareggiabili, un costo inferiore alle infermiere laiche e, da un punto

di vista igienico sanitario, il servizio fosse meno peggio negli ospedali dove il personale

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era tutto religioso, deficiente dove era misto e decisamente scadente dove era tutto laico.

Nascono le prime scuole che cercano di reclutare le allieve infermiere tra le signorine

istruite della classe media. La "rivoluzione infermieristica" italiana sarà patrocinata da

Anna Celli, Amy Turton, Grace Baxter, Dorothy Snell; tanti nomi inglesi a testimonianza

di quanto la svolta italiana debba all'esempio, alle idee e ai metodi della Nightingale.

Nel 1919, si costituisce la Associazione Nazionale Italiana Tra Infermiere

(ANITI), con una sua rivista il “Bollettino Mensile”, che entrò nel Comitato Internazionale

delle Infermiere nella riunione tenutasi a Copenaghen nel 1922 (Sironi), 1933 si trasforma

in Sindacato Fascista Delle Infermiere Diplomate. Con l'avvento del fascismo, lo Stato

regolamenta la formazione infermieristica a livello nazionale.

Nel 1925 vengono istituite le scuole-convitto per infermiere. Nasce la figura

dell'assistente sanitaria.

Nel 1940 fa la sua comparsa l'infermiere generico. Filo conduttore dei cambiamenti

che avvengono in Italia è purtroppo, a differenza di quanto accade in altri paesi più civili,

l'assoluta subordinazione dell'infermiera al medico. Ciò determinerà guasti e ritardi che

durano tuttora.

E' del 1947, il primo contratto nazionale di lavoro per i dipendenti ospedalieri, che

pone fine alle macroscopiche disparità di trattamento economico sul territorio nazionale.

Nel 1954, nascono i collegi delle infermiere professionali e delle vigilatrici d'infanzia

(IPASVI)., nuovo ordinamento didattici triennale.

Nel 1971, viene concesso anche agli uomini l'accesso al diploma di infermiere

professionale, la durata del cui corso viene portata nel 1973 a tre anni. Mentre cambia

l'organizzazione ospedaliera, mutano pure le mansioni dell'infermiere che deve ora

occuparsi non solo dell'assistenza diretta al paziente in ospedale, ma di educazione

sanitaria, degli aspetti relazionali, del lavoro di equipe e di ricerca.

Nel 1974, nuovo mansionario che modifica le attribuzioni degli infermieri. Nel 1975

nuovo ordinamento didattico triennale.

Un'ulteriore svolta si ha nel 1978 con la legge 833, la cosiddetta "riforma sanitaria".

Viene istituito il Sistema Sanitario Nazionale che dovrebbe introdurre criteri di assoluta

equità nella cura dei malati.

Negli anni ’80 vi è la consapevolezza di essere un corpus professionale e di essere

portatori di un patrimonio conoscitivo unico e necessario alla collettività (si inizia a

importare le teorie, modelli e metodi americani).

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Nel 1992, si aprono le porte dell'Università con l'istituzione del diploma universitario

in scienze infermieristiche.

Nel 1994, il Nuovo Profilo Professionale riconosce l’infermiere responsabile

dell’assistenza generale infermieristica, precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti

operativi, la metodologia del lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti di

approfondimento culturale ed operativo, le aree di specializzazione.

Nel 1996, viene sancito il campo proprio di attività e di responsabilità

dell’infermiere, definendo che è una professione sanitaria.

Nel 1999, gli infermieri cessano finalmente, di essere considerati "personale sanitario

ausiliario", cambiando la denominazione per “personale sanitario”, sono abrogati i

mansionari e cambia il proprio campo di attività e responsabilità delle professioni sanitarie

il quale è determinato dai contenuti:

1. Dai Profili Professionali,

2. Dagli Ordinamenti Didattici,

3. Dai Corsi di Laurea,

4. Dai Codici Deontologici.

Nel 2000, riconoscimento formale della dirigenza del ruolo sanitario con

l’attribuzione della responsabilità e della gestione delle attività di assistenza

infermieristica.

Nel 2001, con la determinazione delle classi di laurea delle professioni sanitarie, si

avviano le lauree triennali e specialistiche, le quali si inquadrano nel generale processo di

riforma dell’Università, armonizzandosi con il resto d’Europa. Inizia la discussione sulla

tassonomia diagnostica e sull’evidence – based nursing.

Nel 2002, sulla problematica dell’emergenza infermieristica, si riconosce agli

infermieri, anche ai dipendenti, di svolgere l’attività libero – professionale.

Nel 2006, unifica la matrice tecnico – specialistica (infermieristica) con quella

gestionale (coordinamento) valorizza la formazione post base in ambito universitario e ne

riconosce il suo ruolo.

Nel 2008, si regolamenta la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente

delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione

e della professione di ostetrica.

Nel 2009, Nuovo Codice Deontologico Infermieristico. Disposizioni in materia di

professioni sanitarie”, segna l’inizio di una nuova era, per la sanità e per gli infermieri. E’

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una guida che permette al professionista di saper prendere decisioni adeguate. Rappresenta

un modello nel campo dei valori e delle responsabilità.

1.2. Le Teorie dell’Infermieristica.

1.2.1. Nell’Arte e Scienza del Nursing Umanistico

1.2.1.1. Florence Nightgale.

Nasce a Firenze il 12 maggio 1820, morì a 90 anni nel sonno a

Londra nel 1910, fondatrice del Nursing Moderno. Per lei, la

malattia è un processo di riparazione e l’infermiera deve agire sull’ambiente

per facilitare questo processo. Le sue istruzioni riguardanti la ventilazione, il

calore, la luce, la dieta, la pulizia ed il rumore sono annotate nel libro

“Notes on Nursing”.

1.2.1.2. Virginia Anderson.

Nasce a Kansas City 1897. Ha avuto una lunga carriera sia come

scrittrice sia come ricercatrice. La funzione peculiare dell’infermiera è

quella di assistere l’individuo, malato o sano, nello svolgimento di

quelle attività che contribuiscono alla guarigione (o che conducono ad una

morte serena) e che tale individuo svolgerebbe da solo se possedesse la forza,

la volontà o la conoscenza necessarie; l’infermiera deve inoltre aiutare

l’individuo a rendersi indipendente il più rapidamente possibile. Ha

identificato i 14 bisogni di base del paziente e tre tipi relazione infermiere-

paziente:

1°. L’Infermiere è un sostituto del paziente;

2°. L’Infermiere aiuta i paziente;

3°. L’Infermiere è un partner del paziente.

1.2.1.3. Faye Glenn Abdellah.

Ha scritto moltyo su vari argomenti sin dall’inizio degli anni

cinquanta. Insieme ad altri studiosi ha trasformato in concetti 21 problemi

infermieristici basati sull’uso sistematico dei dati di ricerca per insegnare e

valutare gli studenti. La tipologia dei 21 problemi apparve per la prima

volta nell’edizione del 1960 di “Patient- centered approaches to

Nursing”.

1.2.1.4. Lydia E.Hall.

Si è servita della sua filosofia infermieristica per progettare e

sviluppare il centro di Nursing Loeb all’ospedale Montefiore di New York.

Muore nel 1969. Riteneva che il Nursing debba operare in modo diverso nei

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tre cerchi indipendenti che costituiscono vari aspetti del paziente.

Denominò i tre cerchi il corpo (la cura), la malattia (la guarigione) e la

persona (il centro). Il Nursing opera in tutti e tre cerchi in varia misura, ma

insieme ad altri operatori sani. La Hall sosteneva che la cura infermieristica

di tipo professionale e l’insegnamento sono sempre più necessari man

mano che diminuiscono le cure mediche e che la cura infermieristica

professionale accelera la guarigione.

1.2.1.5. Dorotea E.Orem.

Ebbe un’intuizione sul concetto di Nursing nel 1958. Sin dagli

anni ’50 si era occupata in pubblicazioni della pratica infermieristica e

dell’insegnamento. Considera la propria teoria infermieristica del “self-care

deficit” (insufficiente autogestione) una teoria generale composta di tre teorie

in relazione tra loro:

1°. La teoria dell’autogestione;

2°. La teoria dell’inadeguata gestione;

3°. La teoria dei sistemi infermieristici.

La Orem identifica tre tipi di sistemi infermieristici:

1°. Sostitutivo totale del paziente;

2°. Parzialmente sostitutivo del paziente;

3°. Di supporto ed educazione all’autonomia.

Queste teorie sono ampiamente trattate nel libro “Nursing: Concepts of

Practice”. La Orem ritiene che l’infermiere abbia in comune alcune funzioni

con altri operatori sanitari.

1.2.1.6. Evelyn Adam.

Iniziò a pubblicare a metà degli anni ’70 Gran parte del suo lavoro

s’incentra sullo sviluppo di modelli e sulle teorie del concetto di Nursing. Si

serve di un modello appreso da Dorothy Johnson. Nel volume “To be a

nurse” applica la definizione di Nursing di V. Henderson a quel modello e ne

identifica i presupposti, i valori, le convinzioni e le unità principali. Nella

parte conclusiva tratta dell’obiettivo della professione, del beneficiario del

servizio, del ruolo dell’infermiere, della fonte delle difficoltà del

beneficiario, dell’intervento dell’infermiere e delle conseguenze.

1.2.1.7. Madeleine Leininger.

Ha pubblicato molto su vari argomenti sin dal 1960. Sebbene abbia

scritto molti libri sul Nursing transculturale, il resoconto più accurato della

sua teoria si trova nel volume “Transcultural case diversity and universality: a

Page 16: Tesi processo st.

16

theory of nursing”. Alcuni dei suoi concetti principali sono la cura, l’aver

cura, la cultura, i valori culturali e le variazioni culturali. Ha formulato molte

ipotesi e spera di stimolare ulteriormente la ricerca etnico-scientifica nel

campo etno-infermieristico.

1.2.1.8. Jean Watson.

Ha iniziato a scrivere a metà degli anni ’70. Il suo libro “Nursing:

the philosophy and science of caring” è stato pubblicato nel 1979. Il

contenuto di quel libro è stato ampliato in un successivo volume del 1985,

sino ad arrivare al testo “The Theory of Human Caring” del 1997 ed a

successive rielaborazioni della sua teoria. Nel tentativo di ridurre la

dicotomia tra teoria e pratica, ha proposto una filosofia ed una scienza del

“caring” (aver cura).

Ha identificato 10 fattori curativi:

1°. La formazione di un sistema umanistico-altruistico di valori;

2°. L’instillazione di fede e speranza;

3°. La coltivazione della sensibilità verso se stessi e verso gli altri;

4°. Lo sviluppo di una relazione tipo (avere) fiducia nell’aiuto;

5°. La promozione e l’accettazione dell’espressione di positivo e

negativo;

6°. L’uso sistematico del metodo scientifico del “problem solving”

nell’assumere decisioni;

7°. La promozione dell’apprendimento e dell’insegnamento

interpersonale;

8°. La creazione di un ambiente di supporto, protettivo o correttivo

di tipo mentale, fisico, socioculturale e spirituale;

9°. L’assistenza con la gratificazione dei bisogni umani;

10°. L’ammissione di forze di tipo fenomenologico esistenziale.

Jean Watson ritiene che l’infermiere dovrebbe favorire lo sviluppo della

salute attraverso azioni di prevenzione, come ad esempio far riconoscere le

proprie abilità di affrontare eventi e l’adattamento alla morte, insegnare

metodi di problem-solving e fornire aiuto in determinate situazioni.

1.2.1.9. Rosemarie Rizzo Parse.

Ha messo in evidenza l’importanza dell’umanesimo. Si è rifatta

all’opera di Martha Rogers e a quella dei fenomenologisti esistenziali per

sviluppare la sua teoria in: “ Man-living-health: a teory of Nursing”. I suoi

concetti principali comprendono l’immaginare, il valorizzare, comunicare, il

rivelare, nascondere, il mettere in grado-limitare, connettere-separare, dar

forza, originare e trasformare.

Page 17: Tesi processo st.

17

1.2.2. Nelle Relazioni Interpersonali.

1.2.2.1. Hildegard E. Peplau.

I contributi al Nursing in generale e in particolare al Nursing

psichiatrico sono stati enormi. Ha prodotto molto sin dall’inizio degli anni

’50, quando apparve il suo primo libro: “ Interpersonal relations in

Nursing”. Per la Peplau è importante che l’infermiere capisca il proprio

comportamento per poter aiutare gli altri ad identificare difficoltà dapprima

solo avvertite.

Nella relazione infermiere-paziente identifica quattro fasi:

1°. Orientamento;

2°. Identificazione;

3°. Sfruttamento;

4°. Risoluzione.

Descrive sei ruoli dell’infermiere:

1°. Straniero;

2°. persona con risorse;

3°. Insegnante;

4°. Leader;

5°. Sostituto;

6°. Consigliere.

Tratta inoltre di quattro esperienze psicobiologiche ( i bisogni, le frustrazioni,

i conflitti e le ansie) che esigono risposte costruttive o distruttive.

1.2.2.2. Joyce Travelbee.

Ha pubblicato soprattutto a metà degli anni ’60. E’ morta nel 1973

ancora giovane. Ha proposto il suo “Modello di relazione umano verso

umano” nel libro “Interpersonal aspects of Nursing”. Ha trattato di malattia,

sofferenza, dolore, speranza, comunicazione, interazione, uso terapeutico si

sé, empatia, comprensione, rapporto di amicizia. Riteneva che si dovesse

portare a termine l’assistenza infermieristica attraverso relazioni uomo-uomo

che iniziavano con:

1°. La fase iniziale di incontro;

2°. La fase di identità emergente;

3°. La fase viluppo di sentimenti di empatia e poi;

4°. La fase di comprensione,

Page 18: Tesi processo st.

18

5°. Nella fase finale l’infermiere e il paziente raggiungevano un

rapporto di amicizia.

1.2.2.3 Ida Jean Orlando.

Ha descritto per la prima volta la sua teoria sulla “Disciplined

Professional Response Theory”. La sua teoria mette l’accento sulla relazione

reciproca fra infermiere e paziente. Ciascuno dei due è influenzato da ciò

che fa e dice l’altro.Sottolinea l’importanza che ha l’esame delle percezioni,

dei pensieri e dei sentimenti dell’altro per una successiva verifica. Questo

processo esplorativo convalida il bisogno d’aiuto del paziente che

l’infermiere soddisfa poi direttamente o indirettamente. Le azioni (ponderate)

di tipo infermieristico identificano e soddisfano il bisogno immediato di aiuto

del paziente. Se queste azioni non sono ponderate, diventano automatiche e

può darsi che non soddisfino il bisogno d’aiuto del paziente.

1.2.2.4. Ernestine Wiedenbach.

Lavorava in un reparto di maternità. Incoraggiata dall’Ida Jean

Orlando a riflettere sull’uso del sé e su come i pensieri e i sentimenti

influiscano sulle azioni delle infermiere. Identifica e definisce molti concetti

e sottoconcetti: il paziente, il bisogno d’aiuto, l’infermiere, lo scopo, la

filosofia, la pratica (conoscenza, giudizio e abilità), il soccorso, la convalida,

il coordinamento (riferire, consultare, conferire), e l’arte ( stimolo,

preconcetto, interpretazione e azioni-razionali, di reazione e ponderate).

L’infermiere deve identificare il bisogno di assistenza del paziente:

1°. Osservando i comportamenti in armonia o non con il comfort;

2°. Indagando sul significato del comportamento del paziente nei

suoi confronti;

3°. Determinando la causa del malessere o dell’incapacità;

4°. Stabilendo se la persona è in grado di risolvere il suo problema,

ovvero se ha bisogno d’aiuto. In seguito l’infermiere darà

l’assistenza necessaria e controllerà che il bisogno d’assistenza sia

stato soddisfatto.

1.2.2.5. Joan Riehl Sisca.

Ha iniziato a pubblicare a metà degli anni ’70. Ha scritto il suo

lavoro sull’interazionismo simbolico con la Roy. Secondo la teoria

dell’interazionismo simbolico, le persone interpretano le azioni l’uno

dell’altro basandosi sul significato attribuito all’azione stessa prima di

reagire. L’interazione umana è mediata dai simboli,

Page 19: Tesi processo st.

19

dall’interpretazione e dal significato ed è un processo d’interpretazione tra lo

stimolo e la risposta.

1.2.2.6. H. C. Erickson, E. M. Tomlin, M. A. P. Swain.

Hanno pubblicato il loro libro “A teory and paradigm for

Nursing” nel 1983. Dare un modello significa sviluppare una

comprensione del mondo del cliente. Modellare il ruolo è un intervento

infermieristico o educativo che richiede accettazione incondizionata.

Esse ritengono che, mentre le persone sono simili a causa del oro olismo,

della l oro crescita e del loro sviluppo e per il loro individualismo; sono

anche differenti per le loro doti innate, capacità di adattamento e conoscenza

dell’auto-cura.

1.2.2.7. Kathryn E. Barnard.

Ricercatrice attiva che ha scritto molto sui bambini sin dalla metà

degli anni ’60. Ha iniziato studiare i bambini e gli adulti mentalmente

e fisicamente handicappati per poi dirigere i suoi studi sulle attività del

bambino sano ed estendere infine il suo campo di lavoro ai metodi di

valutazione della crescita e dello sviluppo dei rapporti fra bambini e tra

madre e bambino. Si è occupata inoltre di ricerca. Nonostante non abbia

mai in Nursing ha gettato le basi per il suo modello di interazione

sulla valutazione della salute del bambino. La Barnard ritiene che il

sistema genitore-bambino sia influenzato da caratteristiche individuali di

ciascun componente e che quelle caratteristiche vengano modificate per

soddisfare i bisogni del sistema attraverso comportamenti adattivi.

1.2.3. I Sistemi.

1.2.3.1. Dorothy E. Johnson.

Ha pubblicato dalla metà degli anni ’40 all’inizio degli anni ’70 e la

maggior parte della sua opera è stata pubblicata durante gli anni ’60. La

Johnson ha identificato nel suo modello sei sottosistemi del sistema

comportamentale:

1°. Attaccamento-affiliazione;

2°. Raggiungimento;

3°. Sessuale;

4°. Ingestione-eliminazione;

5°. Aggressivo;

6°. Dipendenza.

Page 20: Tesi processo st.

20

7°. Si può analizzare ciascun sottosistema in termini di struttura ed esigenze

funzionali. I quattro elementi strutturali sono:

a) Pulsione o obiettivo;

b) Direzione, una predisposizione ad agire;

c) Scelta, alternative d’azione;

d) Comportamento.

I requisiti funzionali sono la protezione, l’educazione e la

stimolazione. Esiste il bisogno di intervento infermieristico ed è motivato

se c’è uno stato di instabilità nel sistema comportamentale.

L’infermiere deve scoprire la fonte del problema nel sistema e prendere

provvedimenti infermieristici adeguati per mantenere o ristabilire

l’equilibrio del sistema comportamentale.

1.2.3.2. Suor Callista Roy.

Ha scritto molto sin dalla fine degli anni ’60. Il suo modello

d’adattamento è stato sviluppato dopo che la Johnson l’aveva

consigliata di sviluppare un modello concettuale per il Nursing. I

principali concetti comprendono quello di sistema, adattamento,

stimoli, regolatore, affiliazione e modi di adattamento fisiologico,

concetto di sé, assunzione di ruolo ed interdipendenza. L’io

dell’uomo ed il suo ambiente sono fonti di stimoli focali, residui e

concettuali che creano i bisogni di adattamento. Le quattro modalità di

adattamento in relazione tra loro sono i bisogni fisiologici, il concetto

di sé, l’esercizio del ruolo, l’interdipendenza. I meccanismi

d’adattamento sono il regolatore ed il cognitivo. L’adattamento preserva

l’integrità. La Roy ritiene che le persone scrutino continuamente l’ambiente

alla ricerca di stimoli.

L’infermiere deve aiutare la persona a adattarsi manipolando l’ambiente.

1.2.3.3. Betty Neuman.

Ha sviluppato il suo primo modello d’insegnamento e pratica per la

consulenza nel campo della salute mentale alla fine degli anni ’60. Ha

proposto il modello dei Sistemi nel 1970 per aiutare gli studenti diplomati

a valutare i problemi infermieristici. I concetti principali del modello

comprendono l’approccio totale alle persone, l’olismo, il sistema aperto, gli

stimoli, le risorse di energia, le linee di resistenza, linee di difesa, grado di

reazione, interventi, livelli di prevenzione e ricostituzione. La Neuman

ritiene che l’infermiere dovrebbe intervenire in modo deciso e utilizzare

un approccio totale nei confronti della persona per aiutare gli individui,

le famiglie e i gruppi a raggiungere e mantenere la salute.

Page 21: Tesi processo st.

21

1.2.4. I Campi Dell’Energia.

1.2.4.1. Myra Estrin Levine.

Ha iniziato a pubblicare a metà degli anni ’60. Ha scritto

su numerosi argomenti, ma non ha mai voluto sviluppare una sua teoria.

I principali concetti trattati sono l’interesse, l’olismo, l’integrità e la

conservazione. L’infermiere deve servirsi dei principi di conservazione:

1°. dell’energia

2°. integrità strutturale

3°. integrità personale i

4°. ntegrità sociale per mantenere in equilibrio l’olismo

dell’individuo.

La Levine ha inoltre identificato quattro livelli di risposta dell’organismo:

timore, risposta infiammatoria, risposta allo stress e risposta sensoria e ha

raccomandato la troficognosi, un approccio scientifico che serve a

determinare la cura infermieristica, al posto della diagnosi infermieristica.

1.2.4.2. Martha E. Rogers.

E’ considerata uno dei pensatori più creativi in campo

infermieristico. Ha prodotto molto sin dagli inizi degli anni ’60. La sua

opera ha influenzato altri studiosi come la Fitzpatrick, la Newman e la Parse.

Il processo di vita è definito dai concetti di totalità, apertura,

unidirezionalità, modello e organizzazione, sentimento e pensiero. La Rogers

si occupa inoltre di campi di energia, sistemi aperti a quattro dimensionalità.

I principi sono:

1°. La complementarietà, cioè il movimento reciproco e

simultaneo di campi umani e ambientali;

2°. La risonanza, modelli d’onda che variano dai modelli a bassa

frequenza a quelli a più alta frequenza;

3°. Ottenere le variazioni di campo, caratterizzate da una sempre

maggiore diversità di modelli di campo.

1.2.4.3. Joyce J. Fitzpatrick.

Trae spunto dall’opera della Rogers per il suo modello di

Prospettiva di Vita. Ha iniziato a pubblicare nel 1970. I concetti principali

sono quelli di Nursing, persona, salute, ambiente, modelli temporali,

modelli di moto, modelli di coscienza e modelli percettivi. Ha trattato di

Page 22: Tesi processo st.

22

invecchiamento, problemi legati al suicidio, esperienza temporale e

comportamento motorio.

1.2.4.4. Margaret Newman.

Ha iniziato a pubblicare a metà degli anni ’60. Ha subito l’influsso

della Johnson e della Rogers, ed ha tratto spunti da vari campi di studio. I

concetti principali del suo modello di salute sono quelli di movimento, tempo,

spazio e coscienza. Questi concetti sono tutti in relazione fra di loro. “ Il

movimento è un riflesso della coscienza. Il tempo è una funzione del

movimento. Il tempo è una misura della coscienza. Il movimento è un mezzo

con cui lo spazio e il tempo diventano una realtà.” La salute viene vista come

l’espansione della coscienza e può comprendere la patologia.

Page 23: Tesi processo st.

23

CAPITOLO II

ASPETTI LEGISLATIVI

La tutela alla Salute è un diritto inalienabile, garantito della Carta

Costituzionale all’Art. 32, la salute è un diritto fondamentale della persona.

Dal momento che la salute è un valore fondamentale, investire nella sanità, significa

investire nel benessere dei cittadini, per una qualità di vita migliore. Con questa

motivazione il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nel corso degli ultimi anni è stato

oggetto di importanti riforme. Si sta assistendo ad una significativa evoluzione dei

componenti organizzativi ed assistenziali, ciò si rende necessario ridefinire gli ambiti di

cura e di assistenza, perseguendo processi basati sulla continuità, data dai percorsi

assistenziali tendendo da un lato, a standardizzare e sistematizzare le principali prestazioni

e dall’altro, ponendo le basi per la personalizzazione dell’assistenza.

La legislazione che inquadra i vari aspetti della professione infermieristica è in

continua evoluzione, soprattutto negli ultimi 15 anni, con le diverse riforme per la

professione infermieristica, si è reso necessario ridefinire gli ambiti di cura e di assistenza.

Investire nella professione infermieristica significa progettare le basi per una nuova

autonomia e responsabilità professionale, che consenta di favorire un sistema professionale

capace di sostenere le esigenze dei servizi della popolazione; con questo principio si è

strutturato il passaggio dall’infermieristica “Tecnica” (Infermiere professionale),

all’Infermieristica “Intellettuale” (Infermiere Professionista), si rende peculiare la

modificazione del ruolo professionale, dato delle competenze, dell’abilità e della capacità

dell’infermiere.

1°. Il D.lgs 30 dicembre 1992 n.502

L’evoluzione delle professioni infermieristiche vede il suo inizio con il D.lgs 30

dicembre 1992 n.502 che, nell’adeguare l’impianto del SSN nato dalla legge 833/78,

trasferisce la formazione infermieristica dalla sede regionale a quella universitaria e

statuisce che la conseguente ridefinizione del profilo professionale dell’infermiere e

dell’infermiere pediatrico dovrà aversi tramite specifico decreto del Ministero della

sanità (ora ministero della salute).

2°. Il Decreto 14/09/1994 n. 739

Il Ministero della Sanità con Decreto 14/09/1994 n. 739 “Regolamento

concernente all'individuazione della figura e del relativo profilo professionale

dell'infermiere”, delinea il profilo professionale dell’infermiere (che viene definito

Page 24: Tesi processo st.

24

responsabile dell’assistenza generale infermieristica) e specifica che l'assistenza

infermieristica, preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, è di natura tecnica,

relazionale, educativa.

3°. La Legge 26/02/1999 n. 42.

“Disposizioni in materia di professioni sanitarie” che sancisce che la

infermieristica è una professione sanitaria, abolisce e sancisce la fine del

mansionario, definendo il proprio campo de attività e responsabilità della

professione infermieristica, infatti, è definito dai contenuti del decreto

ministeriale istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti

didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-

base nonché degli specifici codici deontologici.

4°. Il D. M. 509 del 1999.

Regolamento recante norme concernenti l’autonomia degli atenei, ridisegna il

sistema della formazione universitaria c on le Lauree di primo e secondo livello, i

Master, le Specializzazioni e i Dottorati di Ricerca.

5° La Legge n. 251 del 2000.

Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della

riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica, istituisce la

dirigenza infermieristica e le Lauree Specialistiche e, inoltre, prevede l’utilizzo della

metodologia di pianificazione del lavoro per obiettivi nell’ambito operativo.

6° Il D. M. 2 Aprile del 2001.

Determinazione delle classi di Lauree Universitarie; il DU per infermiere

diventa Laurea triennale, mentre viene istituita la Laurea Specialistica delle

professione sanitarie.

7° Il D. M. n. 270 del 2004.

Attiva la Laurea Specialistica, grazie alla quale, nonostante le numerose

criticità, gli infermieri possono accedere ad un percorso formativo adeguato alle

esigenze della professione e della sua dirigenza.

8° La Legge 1 febbraio 2006.

Istituisce gli ordini e gli albi per tutte le professioni sanitarie e l’obbligatorietà

dell’iscrizione. Stabilisce che per l’accesso alla funzione di coordinamento che è

necessario il Master di Coordinamento.

9° Il D.P.C.M. 25 gennaio 2008.

Stabilisce l’accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni dell’area

infermieristica, tecnica, riabilitazione, prevenzione ed ostetrica.

Page 25: Tesi processo st.

25

CAPITOLO III.

SISTEMI E GESTIONE DELLA QUALITA’

DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA

3.1. La Qualità, Passato e Presente.

La Qualità e la sua valutazione nei servizi sanitari si è sviluppato in Italia in tempi

relativamente recenti e, a parere degli esperti, solo ultimamente sta acquisendo la dovuta

centralità. Nonostante la normativa nazionale e regionale in materia faccia riferimento alla

necessità di attuare sistemi di valutazione e controllo della qualità delle prestazioni erogate,

le iniziative di valutazione della qualità in sanità assumono, tuttavia, un carattere ancora

molto sperimentale. La qualità dei servizi erogati al cittadino costituisce di fatto la mission

dei sistemi sanitari nazionali ed è assunta come la funzione centrale del sistema di clinical

goverance (governo clinico).

Per esplicitare meglio e chiarire i contenuti che seguiranno relativamente all’impatto

della qualità sulle organizzazioni dei servizi, è utile ripercorrere sinteticamente le principali

tappe evolutive che il concetto di qualità ha assunto negli anni. Già ai tempi del sovrano

babilonesi Haummurabi per il suo codice (XVII secolo a. C.), esistevano prassi che

spiegavano in modo meticoloso la procedura per realizzare una costruzione priva di

sorprese. Ai tempi di Roma e dei greci l’evoluzione dell’attività metrologica, la

costruzione di nuovi strumenti di misura, l’affidabilità e la precisione crescente

comportarono ben presto l’esigenza di definire unità di misura, i relativi campioni di

riferimento, nonché metodi di fabbricazione di tali campioni, governati da procedure

scritte. Nel Medioevo nacquero le corporazioni, artigiane delle arti e dei mestieri, che

ebbero anche lo scopo di garantire la qualità del prodotto; L’artigiano doveva rispettare

delle regole ben precise durante la produzione dei manufatti perché le ispezioni dei tecnici

dell’art erano molto frequenti. Non bisogna dimenticare l’importante impulso tayloriano di

fine Ottocento, quando iniziò la prima misurazione dei tempi di lavoro, che si sviluppò in

seguito in una teoria basata sui seguenti principi fondamentali: elaborazione di una vera

scienza dell’operaio, sua educazione e suo sviluppo professionale, cooperazione tra

direzione e operai.

Dall’inizio del secolo passato, in cui essenzialmente inizia la storia della qualità in

ambito industriale, si identificano tre principali passaggi:

1. Il controllo della qualità,

2. La garanzia della qualità o quality assurance,

3. La qualità totale o total quality management.

Page 26: Tesi processo st.

26

Fino agli anni trenta la qualità era identificata con il concetto di ispezione e controllo

del prodotto finale, e il suo scopo era di separare i prodotti non conformi da quelli

conformi, quindi controllare e mettere a punto il processo produttivo tramite l’esame degli

errori ripetitivi e la ricerca delle cause. Negli anni cinquanta si passa poi a concentrarsi

sull’affidabilità, cioè sulla persistenza nel tempo delle prestazioni del prodotto e la qualità

quindi si estende dalla produzione alla progettazione. Negli anni settanta l’approccio alla

qualità si sposta verso il concetto della garanzia della stessa e viene introdotto il termine di

quality assurance. Questa metodologia, che nasce negli Stati Uniti, impone di intervenire

in modo sistematico sia sul processo produttivo che sul prodotto, per ottenere non solo una

ragionevole probabilità del conseguimento degli obiettivi di qualità, ma anche l’evidenza

documentata della qualità raggiunta. La garanzia della qualità comporta perciò

l’integrazione di molteplici attività che, correlate, determinano la qualità del prodotto. In

particolare, i principi che hanno ispirato la garanzia della qualità sono:

Definizione da parte della direzione della politica di garanzia della qualità;

Definizione della struttura organizzativa complessiva e della funzione aziendale

incaricata dell’implementazione, della verifica e della revisione del piano di

garanzia della qualità;

Informazione e formazione del personale;

Definizione di procedure scritte per lo svolgimento di attività rilevanti ai fini

della qualità, cioè “chi fa che cosa”;

Esecuzione delle attività come descritto dalle procedure, cioè “come, dove e

quando”, e la relativa documentazione;

Verifica e valutazione dell’efficacia del piano di garanzia della qualità ed

eventuali azioni correttive.

Rispetto all’epoca precedente si assiste a una maggiore responsabilità di tutta

l’organizzazione, partendo dal Management, alla necessità di pianificazione e

documentazione delle attività, la valutazione preventiva dei fornitori e all’oggettiva

dimostrazione dell’evidenza della qualità raggiunta. Il limite di questo approccio è

l’imposizione per legge, che ha dato origine a una seri di fenomeni:

Proliferazione di documenti e interventi per interpretazioni fiscali e

burocratiche delle norme;

L’obiettivo primario da raggiungere (la garanzia della qualità) si trasforma

nella sola necessità di dimostrare che la qualità richiesta è stata ottenuta;

Tutte queste metodologie possono rimanere patrimonio esclusivo dei

responsabili della funzione qualità.

In campo sanitario per quality si intende ogni attività sviluppata dal punto di vista

strettamente professionale sanitario in funzione del raggiungimento di obiettivi concreti di

Page 27: Tesi processo st.

27

miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria, miglioramento esprimibile, secondo

Donabedian (1989), “in termini di quantità di salute aggiunta ai pazienti serviti, a condizioni

soddisfacenti per questi ultimi, accettabili per la società nel suo complesso e coerenti con le conoscenze

maturate nel contesto delle discipline scientifiche di specifico riferimento”.

La quality assurance consiste di due tipi fondamentali di attività che si succedono a

livello operativo con sistematicità e senza interruzioni:

QUALITY ASSESSMENT + QUALITY IMPROVEEMENT

(VALUTAZIONE DELLA QUALITA’) (MIGLIORAMENTO DELLA

QUALITA’)

MISURA AZIONE

Ogni intervento diretto a migliorare il livello di qualità di una prestazione o di un

processo assistenziale non può, quindi, che procedere da una valutazione della situazione

esistente volta a definire i problemi cui si deve tentare di porre rimedio. Una volta

precisate le ipotesi di lavoro e gli oggetti di intervento, si deve procedere con l’azione

diretta a operare le modificazioni ritenute necessarie. Il monitoraggio dei risultati

effettivamente conseguiti e il loro confronto con quelli attesi (ovvero una successiva

attività di valutazione) forniscono elementi utili per ulteriori interventi di ottimizzazione e

di adeguamento. Per garantire tutto ciò è opportuno realizzare una serie di interventi

armonicamente coordinati, secondo Donabedian (1989), nel cosiddetto “ciclo di

monitoraggio della qualità”.

Solo a partire degli anni ottanta, seguendo l’esempio coronato dal successo del

Giappone, si è diffuso anche negli Stati Uniti e in Europa il concetto della qualità come

fattore di competizione basato sul coinvolgimento dell’intera azienda e perciò come agente

di cambiamento organizzativo. Il controllo totale della qualità o total quality management

Page 28: Tesi processo st.

28

e un approccio sistematico alla qualità non derivato da prescrizioni legislative, e

rappresenta una maniera di gestire la qualità in modo globale per assicurare la piena

soddisfazione del cliente, come quella della direzione e dei dipendenti. Il movimento

TOTAL QUALITY MANAGEMENT (TQM), si propongono in filosofia e stile di

direzione per il miglioramento continuo della qualità (Continuous Quality Improvement –

CQI ), è iniziato e si è sviluppato per l’impulso dato, principalmente, da Deming (1982),

Croby (1986) e Juran (Juran, Gryna,1988). Nell’approccio alla qualità totale (TQM), la

formazione è ambito privilegiato per la valorizzazione del potenziale umano, un luogo

dove creare sinergie, lavoro di gruppo, solidarietà, attraverso interventi continuativi nel

tempo, resi omogenei da un obiettivo unificante: perseguire il miglioramento

dell’organizzazione.

Deming, nel suo testo L’Impresa di Qualità, ha formulato quattordici imperativi in

cui sono delineati i capisaldi del TQM:

1. Crea fermezza di proposito per il miglioramento del prodotto e del servizio;

2. Adotta la nuova filosofia;

3. Cessa di dipendere dai controlli a tappeto;

4. Smette di premiare il lavoro solamente rispetto a obiettivi di produttività;

5. Migliora con costanza e per sempre il sistema di produzione e il servizio;

6. Da vita a pratiche di addestramento e di ri-addestramento;

7. Da vita alla leadership;

8. Aiuta a vincere i timori;

9. Abbatte le barriere tra aree operative diverse;

10. Elimina gli slogan, le esortazioni egli obiettivi destinati a chi lavora:

11. Elimina le quote numeriche (i totalizzatori di prestazioni);

12. Rimuove le barriere che impediscono a chi lavora di sentirsi orgoglioso;

13. Istituisce un energico programma di formazione e riaddestramento;

14. Effettua interventi per realizzare la trasformazione.

L’elemento nuovo che caratterizza la qualità totale è l’avere spostato il riferimento

per la qualità nella soddisfazione del cliente: essa è perciò ora interpretata come

quell’insieme di processi al cliente in cui si vengono a collocare tutte le attività aziendali,

dal momento che qualunque attività è riconducibile a un processo dove sono collocati da

un lato il fornitore e dall’altro un cliente, e che tale catena può essere creata sia all’interno

che all’esterno dell’azienda. Anche se il TQM/CQI (total quality management/controllo

quality improvement), è uno stile digestione maturato in ambiente industriale, appare

adatto a essere diffuso anche nel contesto delle aziende sanitarie per tre fondamentali

ragioni:

1. Il problema della qualità è cruciale nel campo degli interventi sanitari, dal

momento che dalle caratteristiche qualitative di questi ultimi dipende quasi

Page 29: Tesi processo st.

29

sempre la natura delle conseguenze che i destinatari del sistema sanitario

possono registrare sul piano del recupero o della conservazione della loro salute;

2. E’ sempre evidente, sul piano professionale ed etico, la necessità di assicurare a

chi è il principale destinatario degli interventi sanitari un ruolo fondamentale e

attivo nelle decisioni relative all’orientamento dei servizi, in funzione della

soddisfazione dei desideri e delle aspettative relativi alle modalità

dell’erogazione dei servizi stessi;

3. E’ altresì sempre più evidente che è necessario richiedere a tutti coloro che sono

coinvolti, in modo diretto o indiretto, nei processi assistenziali di sostenere un

ruolo attivo nel miglioramento della qualità del loro lavoro.

Da quanto esposto è comprensibile come gli approcci alla qualità si siano sviluppati nel

mondo manifatturiero ponendo inizialmente al centro i problemi legati ai costi, alla rapidità

di consegna, agli sprechi. Dalla metà degli anni ottanta anche il mondo dei servizi si è

trovato ad affrontare gli stessi problemi, e le organizzazioni hanno così utilizzato tecniche

già sperimentate nella produzione, ma opportunamente modificate. Ciò che è stato

scoperto sia nel mondo della produzione che in quello dei servizi è che le vere aziende

eccellenti si assomigliano ed è pertanto possibile identificare categorie comuni,

raggruppate poi nell’ambito della gestione della qualità. E’ perciò emersa l’esigenza di un

approccio alla qualità dei servizi alla salute partendo dall’interno del sistema sanitario, per

meglio cogliere le specificità di questa categoria, senza trascurare la possibilità di utilizzare

i modelli concettuali e la strumentazione metodologica efficacemente sperimentata in

altri contesti.

3.2. Definizione del Concetto di Qualità in Sanità.

In letteratura si trovano diverse definizioni della qualità; tuttavia, una definizione di

carattere generale e quindi universalmente accettabile non è disponibile. Le difficoltà

nascono soprattutto dal fatto che la qualità non è una proprietà assoluta, intrinseca ai

servizi sanitari indipendente dalle nostre percezioni. Al contrario, essa è un fenomeno

dinamico e multidimensionale che dipende da molti fattori, più o meno correlati, ad

esempio, il tipo di prestazione ricevuta, la modalità con cui viene erogata, i costi, i risultati

da raggiungere; ma la qualità dipende anche dalle aspirazioni e dalle preferenze individuali

delle persone che sono chiamate a esprimere il giudizio. La Qualità può essere intesa,

quindi, come il risultato di una combinazione di tanti attributi, in parte oggettivi e in parte

soggettivi, non sempre tutti facilmente documentabili, ciascuno dei quali partecipa, in varia

misura, a qualificare le prestazioni sanitarie.

Alla luce delle considerazioni finora condotte, si possono dare differenti definizioni

di qualità, ciascuna delle quali è appropriata in relazione al contesto in cui viene adottata;

pertanto una definizione di qualità può contenere diverse varianti.

3.2.1. Definizione della Qualità stabilita dall’O.M.S.

Page 30: Tesi processo st.

30

“Un programma qualità di un sistema sanitario ha lo scopo di garantire che

ciascun paziente riceva l’insieme degli interventi diagnostici, terapeutici ed

educativi più indicati, al costo minore possibile per lo stesso risultato, con il rischio

minore possibile di complicazioni iatrogene e con la sua soddisfazione rispetto agli

interventi ricevuti, i contatti umani con il personale ed agli esiti”

3.2.2. Definizione dei Qualità secondo le Linee Guida Internazionali ISO 9000

/2005.

Nell’accezione più ampia e completa del termine, per qualità si intende

“l’insieme delle caratteristiche e degli attributi di un’entità materiale o immateriale

(prodotto o servizio) che conferiscono la capacità di soddisfare le esigenze (espresse

o implicite) associate ai processi di produzione/fornitura e utilizzo/fruizione

dell’entità medesima ”

a. Le Esigenze Implicite, sono tutte le condizioni legate alla corretta

esecuzione di attività professionali sanitarie i cui gli esiti si riflettono

direttamente sulla salute del paziente. Le esigenze implicite rimandano

al concetto di “qualità tecnica”.

b. Le esigenze Esplicite, e percepite sono invece rappresentate da tutte

quelle condizioni organizzative e relazionali del modo di erogare le

prestazioni che l’utente ritiene di poter pretendere dalla struttura

sanitaria. Le esigenze esplicite richiamano il concetto di “qualità

percepita”.

3.2.3. Definizione di Qualità secondo R. Palmer (1988).

Propone che “La qualità dell’assistenza consiste nella sua capacità di

migliorare lo stato di salute e soddisfazione di una popolazione, nei limiti concessi

dalle tecnologie, dalle risorse disponibili e dalle caratteristiche dell’utenza”

3.2.4. Definizione di Qualità per C.C. Wright e D. Whittington.

Affermano che “Dovreste comprendere che la qualità è un concetto

complesso. Dato uno specifico bisogno di assistenza è possibile elencare i caratteri

che descrivono la qualità ed elencare le attività che sono importanti per la qualità

dell’assistenza”

3.2.5. Definizione di Qualità secondo A. Donabedian.

La qualità è “Il rapporto fra i miglioramento nelle condizioni di salute ed il

massimo miglioramento raggiungibile, sulla base delle conoscenze, delle risorse

disponibili e delle caratteristiche del paziente ”.

3.2.6. Definizione del Concetto di Qualità dell’Assistenza Infermieristica per

Malinverno (2005).

Page 31: Tesi processo st.

31

Definisce la qualità come “L’insieme delle caratteristi che conferiscono alla

prestazione infermieristica la capacità di soddisfare in modo appropriato il bisogno

di assistenza infermieristica della persona assistita, nei limiti concessi dalla

competenza professionale dell’infermiere, dalle tecnologie e dalle risorse

disponibili”.

Questo concetto di qualità, che implica dinamicità, si associa a un agire

supportato del processo dell’EBM-EBN (Evidence-Base medicine/Evidence-Based

Nursing); infatti, lo sviluppo scientifico, culturale e sociale dell’assistenza

infermieristica è strettamente consequenziale alla piena valorizzazione di una

competenza tecnica dell’infermiere nell’ambito dell’assistenza sanitaria, in grado di

produrre, a favore delle persone assistite, propri risultati di salute sostenuti da prove

cliniche di efficacia. Si tratta cioè di fondare la valutazione , la decisione e l’azione

infermieristica sulle conoscenze prodotto dalla ricerca e su adeguati indicatori e

standard di buona qualità elaborati con riferimento a un preciso approccio

metodologico: il miglioramento della qualità.

3.3. Le Dimensioni della Qualità

Nel tentativo di oggettivare e misurare la qualità della assistenza infermieristica,

alcuni autori hanno introdotto il concetto di Dimensione della Qualità.

Efficacia Attesa. Capacità potenziale di un certo intervento di modificare in

modo favorevole le condizioni di salute delle persone a cui è rivolto, quando

viene applicato in condizioni ottimali.

Fare solo ciò che è utile.

Efficacia Pratica. Risultati ottenuti dall’applicazione di routine dell’intervento.

Nel modo migliore.

Competenza Tecnica. Livello di applicazione delle conoscenze scientifiche, delle

tecnologie disponibili.

Da parte di chi eroga le cure.

Accettabilità. Grado di apprezzamento del servizio da parte dell’utente.

Per chi riceve le cure.

Efficienza. Capacità di raggiungere i risultati attesi con il minor consto possibile.

Con il minor costo.

Adeguatezza – Accessibilità. Capacità di assicurare le cure appropriate a tutti

coloro che ne hanno veramente bisogno.

A coloro che ne hanno bisogno.

Page 32: Tesi processo st.

32

Appropriatezza. Grado di utilità della prestazione rispetto al problema clinico e

allo stato delle conoscenze.

Soltanto a chi ne ha bisogno.

La chiave del miglioramento della qualità dei servizi sanitari è rappresentata dalle

interdipendenze fra queste tre dimensioni:

L’utente, che trova negli aspetti soggettivi che contraddistinguono la qualità

percepita gli elementi di valutazione della prestazione;

Il professionale, che trova gli elementi con cui generare confronti e valutazioni

nell’ambito delle conoscenze consolidate dalle discipline scientifiche;

Il management, che trova nella dimensione economica e di mercato, i parametri

con cui valutare la qualità delle prestazioni erogate, come componente della

performance aziendale.

La complessità del sistema qualità è dovuta alla sua pervasività nello spazio

organizzativo, alla prospettiva temporale necessaria per cogliere la sua evoluzione nel

tempo, alla molteplicità dei soggetti che assumono prospettive diverse di valutazione, alla

sua multidimensionalità, alla valenza istituzionale e organizzativa.

3.4. Metodologia e Strumenti per il Miglioramento della Qualità.

La Qualità e la sua valutazione nei servizi sanitari si è sviluppato in Italia in tempi

relativamente recenti e solo ultimamente sta acquisendo la dovuta centralità, diventando la

mission dei sistemi sanitari nazionali.

I metodi e gli strumenti di qualità si propongono di migliorare l’appropriatezza, l’efficacia

e l’efficienza della prestazione clinico–assistenziale; e non solo, sono indirizzati a

diminuire la variabilità dei comportamenti.

3.4.1. Linee Guida ed Evidence Based Medicine.

Le Linee Guida e l’Evidence based Medicine (EMB), sono istrumenti ideati

per valutare la good practice ed il comportamento professionale nella pratica

clinica. Le Linee Guida e l’EBM hanno i loro presupposti teorici nella

epidemiologia clinica, la quale si propone di riordinare i risultati della ricerca clinica

e di definire gli effetti delle scelte cliniche sulla salute.

Le linee guida sono costituite da un insieme di indicatori riferiti a specifici

problemi clinici, elaborati da un gruppo di pari, dopo attenta revisione della

Page 33: Tesi processo st.

33

letteratura esistente, allo scopo di aiutare la decisione medica e di ridurre l’alta

variabilità dei comportamenti.

Il processo di sviluppo delle Linee Guida deve essere sistematico, trasparente

e deve includere tutti i possibili attori del sistema. Il livello di efficacia dimostrata

per le raccomandazioni deve essere chiaramente stabilito, come devono essere

chiaramente definite le popolazioni e le circostanze cliniche in cui le linee guida

devono essere usate.

Le Linee Guida devono essere utili, accessibili, facili da usare e comprensibili

sia per i professionisti sia per il pubblico, devono prendere in considerazione il

rapporto costi-efficacia degli interventi proposti, essere aggiornate a intervalli

regolari e soprattutto quando emergono nuove conoscenze di dimostrata efficacia o

nuove tecnologie, e devono essere disseminate in maniera pianificata. In quanto, a

gli effetti delle Linee Guida devono essere monitorati e i risultati considerati nel loro

sviluppo e disseminazione.

I critici delle Linee guida sostengono l’inapplicabilità delle stesse nella

pratica clinica, in quanto il malato è unico e di conseguenza il comportamento

medico non può che essere altamente variabili. I sostenitori delle Linee guida fanno

riferimento al fatto che la buona pratica clinica è fondata sulla consapevolezza

dell’incertezza decisionale, sulle conoscenze di fisiopatologia, sull’istinto clinico,

sulle conoscenze mediche personali, sulla pratica clinica individuale, e

sull’approccio critico della letteratura medica.

Con il Decreto Ministeriale del 30 giugno 2004, è stato istituito il Sistema

Nazionale Linee Guida (SNLG) a cui partecipano le istituzioni centrale, le regioni e

le società scientifiche. Il SNLG definisce la priorità condivise privilegiando le

tematiche associate in primo luogo a variabilità nella pratica clinica, liste d’attesa

significative, appropriatezza diagnostico-teraperutica, obiettivi individuati dal Piano

sanitario nazionale.

3.4.2. L’Accreditamento Professionale.

L’accreditamento professionale va definito come un meccanismo di

valutazione esterna tra i pari (accreditamento all’eccellenza), per accertare il grado

di corrispondenza a gli indicatori di qualità, come meccanismo di valutazione che

miglio possa rispondere alle esigenze di miglioramento continuo della prestazione

sanitaria, mediante un’organizzazione ad alta intensità di professionalità, dove il

capitale umano è l’elemento decisivo per la qualità del prodotto; di conseguenza,

un’azienda deve mantenere quanto più possibile alto il livello di competitività del

proprio prodotto (prestazione sanitaria).

Page 34: Tesi processo st.

34

L’accreditamento può essere ugualmente come “un’attività di valutazione

periodica e sistematica, su base volontaria, dell’effettiva corrispondenza delle prestazioni erogate ai

criteri e gli standard, de buona qualità, predefiniti; uno strumento che garantisce la qualità delle

prestazioni clinico -assistenziali in termini di continuo miglioramento e di adeguatezza ai bisogni di

salute” (Malinverno, 2002).

Gli elementi che contraddistinguono l’accreditamento professionale sono:

1°. La richiesta è effettuata dai professionisti su base volontaria;

2°. Il processo è di tipo partecipativo e coinvolge tutti i professionisti;

3°. La valutazione è continua (si tratta di un processo di autovalutazione

professionale);

4°. I criteri e gli standard di accreditamento vengono predefiniti dagli

operatori coinvolti nel processo;

5°. I risultati vengono diffusi a tutti gli interessati ai quali viene richiesto

il consenso o il dissenso motivato.

La progettazione di un processo di accreditamento professionale così intenso

presuppone necessariamente per l’infermiere una chiara identità professionale e

l’adozione di un preciso modello concettuale dell’assistenza infermieristica che

oriente tutte le fasi del processo; con l’obiettivo di migliorare la prestazione

infermieristica e la competenza professionale. L’infermiere è, quindi, accreditabile

all’eccellenza nella misura in cui dimostra:

1°. Di adottare sistematicamente metodi e strumenti operativi di provata

efficacia;

2°. Di operare sulla base del principio di parsimonia, con appropriatezza

degli interventi decisi e concentrando l’attenzione sia sul processo di

assistenza infermieristica sia sui risultati delle azioni intraprese;

3°. Di essere adeguatamente formato sul piano della competenza

richiesta.

L’infermiere in tal senso diventa soggetto e oggetto, produttore e fruitore del

percorso di accreditamento, in quanto il miglioramento dei comportamenti,

espressione delle prestazioni infermieristiche erogate, non solo è un diritto del

cittadino ma un dovere dell’infermiere.

Il processo di miglioramento continuo della qualità dei servizi erogati

nell’ambito dei Servizi Sanitari è ormai da qualche tempo avviato e dimostra la

crescita di una cultura che deve tenere conto delle strutture, delle risorse umane e dei

sistemi economi delle Organizzazioni Sanitarie, nasce così il programma nazionale

Page 35: Tesi processo st.

35

per le attività formative, il sistema d’Educazione Continua in Medicina (ECM),

attivo in Italia dal 2002.

L’ECM (educazione continua in medicina) è un sistema di aggiornamento

grazie al quale il professionista sanitario si aggiorna per rispondere ai bisogni dei

pazienti, alle esigenze organizzative e operative del Servizio Sanitario e del proprio

sviluppo professionale. La formazione continua in medicina (ECM) comprende

l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente

ed esperta, per poter acquisire queste conoscenze è necessario l'aggiornamento

continuo.

Il Programma Nazionale di E.C.M, riguarda tutto il personale sanitario,

medico e non medico, dipendente o libero professionista, operante nella Sanità, sia

privata che pubblica. L’obiettivo è quello di realizzare un sistema in grado di

verificare e di promuovere su scala nazionale la qualità della formazione continua,

anche attraverso l’opera di osservatori indipendenti e con criteri e modalità condivisi.

Gli operatori della salute hanno l'obbligo deontologico di mettere in pratica le nuove

conoscenze e competenze per offrire una assistenza qualitativamente utile.

L'accreditamento consiste nella assegnazione all'evento di un certo numero di

Crediti formativi E.C.M., che sono formalmente riconosciuti ai partecipanti

all'evento. E' compito degli organizzatori segnalare ai partecipanti il valore dei

Crediti formativi E.C.M. assegnati dalla Commissione Nazionale e rilasciare agli

stessi un attestato apposito; attraverso i diversi provider gli Ordine, i Collegi e

l’Associazione professionali secondo le istruzioni che indicherà la Commissione

nazionale per la formazione continua, potranno verificare i crediti acquisiti di ogni

professionista. I Crediti formativi E.C.M. sono espressi in numeri interi; ogni attività

formativa programmata, ossia ogni evento formativo, si vedrà assegnato un numero

di Crediti formativi E.C.M. Il programma nazionale prevede che l'E.C.M. deva

essere controllata, verificata e misurabile; inoltre, deve essere incoraggiata, promossa

ed organizzata.

Sono esonerati dall'obbligo dell'E.C.M. il personale sanitario che frequenta, in

Italia o all'estero, corsi di formazione post-base propri della teoria di appartenenza

(corso di specializzazione, dottorato di ricerca, master, corso di perfezionamento

scientifico e laurea specialistica, previsti e disciplinati dal Decreto del MURST del 3

novembre 1999, n. 509, pubblicato nella G.U. n. 2 del 4 gennaio 2000.

La partecipazione ai programmi d’E.M.C. è un dovere degli operatori della

Sanità, richiamato anche dal Codice Deontologico, ma è anche un diritto dei

cittadini, che giustamente richiedono operatori attenti, aggiornati e sensibili. Ciò è

oggi particolarmente importante ove si pensi che il cittadino è sempre più informato

Page 36: Tesi processo st.

36

sulle possibilità della medicina di rispondere, oltre che a domande di cura, a

domande più complessive di salute.

3.4.3. L’Accreditamento Istituzionale.

L’accreditamento si configura come una particolare forma di controllo della

qualità in campo sanitario, il principio che lo regola è che un risultato assistenziale di

buona qualità può essere conseguito con maggiori possibilità se vengono predefiniti i

criteri di validità riconosciuti e condivisi.

L’accreditamento è un processo di valutazione sistematico e periodico, nel

quale una organizzazione esterna alle strutture sanitarie, usualmente no governativa,

valuta un’organizzazione sanitaria per determinare se corrisponda ad un insieme di

standard finalizzati a mantenere e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.

Solitamente è volontario; gli standard di accreditamento sono normalmente

considerati ottimali e raggiungibili (JCI 1999).

L’accreditamento è dato da parte della Regione a un soggetto, già autorizzato

all’erogazione di prestazioni sanitarie, per permettergli di svolgere la propria attività

per conto del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), è una condizione necessaria per

tutti coloro che, siano soggetti pubblici o privati, vogliano erogare le prestazione del

servizio sanitario pubblico.

L’accreditamento è un percorso obbligatorio per le strutture pubbliche (ASL,

Aziende Ospedaliere), è invece facoltativo e volontaria per i soggetti privati che

però, se privi di accreditamento, non possono erogare le prestazioni in convenzione

con il SSN.

Il concetto di accreditamento è stato introdotto per la prima volta in Italia con

il D. Lgs. N. 502/92. Fino al 1996 l’accreditamento è stato automaticamente

riconosciuto per le strutture pubbliche o private con un precedente rapporto di

convenzione con il SSN. I DPR. Dal 14.01.1997, definisce i requisiti minimi

strutturali, tecnologici, organizzativi, le strutture di nuova realizzazione devono da

subito attenersi ai requisiti specificati, incluse quelle che attuano ampliamenti o

modifiche. Sono interessate tutte le strutture sanitarie che erogano prestazioni

sanitarie sia in regime ambulatoriale, da ricovero, assistenza specialistica, prestazioni

riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio e residenziale. Gli Enti di

Certificazione per l’accreditamento sono:

3.4.3.1. Il Sistema Organizzativo e Gestionale ISO 9001:2008..

Il sistema Organizzativo e Gestionale è dato delle ISO 9001:2008

(International Standards For Organizations), ed è l’accreditamento sanitario

secondo modelli organizzativi derivanti dal mondo industriale, sempre più

Page 37: Tesi processo st.

37

applicati in Sanità, sono norme di applicazione generale che possono essere

adattate a tutti i settori produttivi di beni e servizi e sono utilizzate quando

esiste la necessità di dimostrare la propria capacità di progettazione e

fornitura di un prodotto conforme. I requisiti di tali norme sono costruiti per

fornire una garanzia al cliente non attraverso un controllo sul risultato ma,

piuttosto, sul rispetto di procedure predefinite, così da poter ridurre

drasticamente i rischi di non conformità. I sistemi qualità ispirati alla norma

ISO sono molto diffusi nelle aziende di produzione dei bene. Le norme ISO

hanno il pregio di consentire una definizione precisa dei ruoli e delle relative

modalità di comunicazione ed integrazione, riducendo i costi della “non

qualità” e migliorando il servizio reso.

3.4.3.2. L’Accreditamento D’Eccellenza.

Nel rispetto degli indirizzi dei Piani Sanitari Nazionali e delle scelte

Regionali, si sono sviluppati, in modo eterogeneo in Italia, modelli di

accreditamento secondo standard del mondo anglosassone, come

l’Accreditamento della Joint Commission of Accreditation of Hospital

(JCAH), e del Canadian Council of Health Services Accreditation (CCHSA).

La Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizazion

(JCAHO) nasce come modello negli Stati Uniti nel 1917, si impone

definitivamente nel 1951 come un’organizzazione non governativa e non

profit dedita al miglioramento della qualità e della sicurezza nei servizi

sanitari. Si presenta tra gli enti accreditanti più grandi e prestigiosi al mondo,

oggi negli Stati Uniti accredita più di 10.000 organizzazioni sanitarie.

Avvalendosi di esperti in tutte le aree specialistiche e di una straordinaria

esperienza, la Joint Commission fornisce elementi oggettivi per valutare le

organizzazioni sanitarie sulla base di criteri espliciti e condivisi.

La Canadian Council of Health Services Accreditation (CCHSA),

nacque successivamente alla Joint Commision, come un’organizzazione no

profit per l’accreditamento delle strutture sanitarie nazionali e internazionali,

con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi, basati sugli standard di

eccellenza. I programmi e le linee guida di accreditamento hanno contribuito

a promuovere l’organizzazione. Il CCHSA, considera l’accreditamento

come un processo continuo, quindi, le strutture accreditate aderiscono al

programma per mantenere e migliorare la qualità generale a lungo termine.

Sullo stesso modello si sviluppò all'inizio degli anni '70, un'agenzia simile

anche in Australia (Australian Council on Healthcare Standards, ACHS).

3.5. Normativa di Riferimento per la Qualità in Sanità.

Page 38: Tesi processo st.

38

A livello europeo e nazionale numerosi sono i documenti normativi sulla la qualità;

si tratta di norme sempre più rispondenti alle esigenze del cittadino, al passo con il

progresso scientifico e conforme ai profondi cambiamenti riguardanti l’assetto

istituzionale e organizzativo sanitario.

La Qualità in Sanità inizia nel 1992 con il D.L. 502 e nel l993 con il D. L. 517.

Nasce così il complesso fenomeno dell’innovazione resasi necessaria per configurare un

disegno generale di riforma per migliorare il Servizio Sanitario. I successivi D. P. R. 14

gennaio 1997 n° 801 (che introduce il concetto di accreditamento delle strutture sanitarie e

ed i sistemi di valutazione e miglioramento delle attività) e D. L. 229/99 (che ribadisce la

necessità di garantire la qualità dell’assistenza e propone il metodo di verifica e revisione,

prevedendo accordi tra Regione ed Aziende Sanitarie) definiscono meglio i campi

d’azione.

3.5.1. La Carta di Lubiana.

L’approvazione della Carta di Lubiana, sulla riforma dei sistemi sanitari da

parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a Lubiana, Slovenia, il 19

di giugno 1996. Con la presente Carta l’Unione Europea si propone di

definire e coordinare un insieme di principi che emergono dagli attuali diversi

sistemi sanitari e che comunque permettono di migliorate l’assistenza sanitaria in

tutti gli Stati membri dell’OMS nella regione europea. Tali principi si fondano

sull’esperienza e sulla strategia europea della “Salute per Tutti”.

In questo documento si fa riferimento alle riforme sanitarie nello specifico

contesto europeo ed è centrato sul principio secondo il quale “l’assistenza

sanitaria deve innanzitutto e soprattutto portare ad un miglioramento dello stato di

salute e della vita delle persone”.

3.5.2. La Carta di Portonovo.

La Società Italiana per la Qualità dell’assistenza sanitaria (verifica e

revisione della qualità, SIQUAS-VRQ), società scientifica multidisciplinare e

interprofessionale fondata nel 1984, propone, la Carta di Portonovo. In questo

documento sono riportati i principi a cui dovrebbero ispirarsi le organizzazioni e in

singoli professionisti che intendono offrire servizi di buona qualità e promuovere il

miglioramento verso l’eccellenza.

I principi della qualità sono:

1°. Centralità della persona. Progettare e realizzare le attività ei servizi sulla base

dei bisogni del singolo e della comunità.

Page 39: Tesi processo st.

39

2°. Etica ed equità. Rispettare i principi universali e la tutela della dignità della

persona. Garantire che i cittadini abbiano pari opportunità di accesso a servizi

di uguale qualità.

3°. Condivisione, coerenza e uniformità. Sviluppare le attività in un sistema

integrato e coerente basato su criteri e standard espliciti e riconosciuti.

4°. Valutazione. Valutare sistematicamente i risultati delle attività attraverso

l’utilizzo di indicato ridi processo e di esito.

5°. Leadership, apertura, trasparenza e collaborazione. Progettare, organizzare,

confortare e scambiare informazioni ed esperienze in un clima di collaborazione

e di supporto reciproco.

6°. Efficacia e appropriatezza. Realizzare interventi basati su prove di efficacia e

secondo criteri di appropriatezza. Riferire ogni azione clinica e organizzativa ai

dati e al metodo scientifico.

7°. Sicurezza. Promuovere la cultura della sicurezza, prevenire gli eventi e

realizzare un ambiente sicuro. Individuare i rischi e le possibili cause di errore.

8°. Efficienza. Utilizzare con responsabilità le risorse disponibili.

9°. Integrazione e continuità assistenziale. Promuovere la collaborazione tra

discipline, professione, organizzazioni e istituzioni secondo modalità esplicite e

condivise.

10°. Informazione, comunicazione e partecipazione. Garantire l’informazione e

la comunicazione con il paziente, i cittadini e i professionisti. Favorire la

partecipazione dei cittadini alle scelte e diffondere la cultura scientifica

sull’efficacia degli interventi.

11°. Innovazione e creatività. Stimolare la ricerca di soluzioni innovative e

sostenere il cambiamento.

12°. Competenze e formazione. Considerare la formazione continua come parte

integrante della professione e dell’organizzazione. Adeguare competenze,

conoscenze e abilità agli obiettivi delle professioni e delle organizzazioni.

Page 40: Tesi processo st.

40

CAPITOLO IV

PROCESSI DI STANDARDIZZAZIONE NELLA PRASSI

INFERMIERISTICA

La Professione Infermieristica influenzata sia per lo sviluppo scientifico, culturale e

sociale e sia per la piena valorizzazione delle competenze dell’infermiere nell’ambito

della assistenza sanitaria, è in grado di produrre i propri risultati, sostenuti da prove

cliniche di efficacia (Evidence Based Nursing). Con un nuovo contesto giuridico e

professionale che regolamenta il ruolo e le funzioni dell’infermiere; di conseguenza, il

consolidamento della sfera di autonomia e di responsabilità professionale nell’assistenza,

impone all’infermiere il possesso di un articolato bagaglio metodologico, tecnico e

relazionale da utilizzare in ambito clinico ed organizzativo.

E’ importante orientare la pratica professionale verso appropriatezza, l’efficacia e

l’efficienza delle prestazioni; di organizzare l’assistenza infermieristica secondo modelli

gestionali e per processi.

4.1. Definizione dei Profili di Responsabilità,Autonomia e Competenze della

Professione Infermieristica.

L’evoluzione del quadro normativo infermieristico, negli ultimi anni ha raggiunto

obiettivi importanti, delineano importanti cambiamenti per l’infermiere, che impongono

una reinterpretazione del concetto di responsabilità professionale, come conseguenza di un

lungo percorso di emancipazione professionale.

In un quadro generale notevolmente modificato basta pensare all’aziendalizzazione

delle strutture sanitarie, alla regionalizzazione del servizio sanitario nazionale,

all’accreditamento istituzionale, alle disposizioni in tema di qualità dei servizi. Tali

cambiamenti densi di novità, hanno comportato un processo di crescita culturale

professionale di straordinario rilievo, caratterizzato dall’abolizione del mansionario, dalla

definizione del profilo, dal riordino dell’esercizio professionale con l’istituzione della

dirigenza infermieristica, dal passaggio della formazione a livello universitario, con

l’introduzione della laurea di primo livello e della laurea specialistica, dalla

riclassificazione dei professionisti sanitari.

Il Decreto 14/09/1994 n. 739 definisce il Profilo Professionale dell’Infermiere,

“Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale

dell'infermiere”, delinea il profilo professionale dell’infermiere ( che viene definito

responsabile dell’assistenza generale infermieristica) e specifica che l'assistenza

infermieristica, preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, è di natura tecnica,

Page 41: Tesi processo st.

41

relazionale, educativa. Introduce in modo importante il concetto di responsabilità,

l’autonomia professionale e la specificità disciplinare dell’assistenza infermieristica.

“L’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”, anche se utilizza

ancora il termine di “operatore sanitario” e non di “professionista sanitario”.

La Legge 26/02/1999 n. 42. “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”

sancisce che la infermieristica è una professione sanitaria, abolisce e sancisce la fine del

mansionario, definendo il proprio campo de attività e responsabilità della professione

infermieristica, infatti, è definito dai contenuti del decreto ministeriale istitutivi

dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di

diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici

deontologici.

L’Autonomia professionale e la specificità disciplinare dell’assistenza infermieristica

sono i presupposti dell’attività infermieristica dal punto di vista giuridico e disciplinare e

ne definiscono l’assunzione della responsabilità professionale. Con l’importante

passaggio da “Professione Sanitaria Ausiliaria” a “Professione Sanitaria” a tutti gli effetti.

L’ultimo passaggio a completamento di questo percorso e rappresentato dalla Legge

251/2000; da rilevata importanza, primo perché in linea con la L. 42(99, ribadisce il

concetto che gli operatori devono agire con “Autonomia Professionale”, e secondo

passaggio fondamentale per cui questa norma viene ricordata come la “Legge della

Dirigenza”.

La Professione Infermieristica, oggi è riconosciuta a pieno titolo tra le professioni

intellettuali, è stato sancito normativamente il precorso della professione infermieristica

che passa da un concetto di responsabilità sugli atti ad una responsabilità sui risultati,

peculiare dell’agire professionale, e per la quale è necessaria l’iscrizione all’albo

professionale ed è richiesta una formazione di tipo universitario (Libro V, titolo III, Capo

II, Art. 2229 del Codice Civile).

Le Professioni intellettuali definite così per che lo svolgimento delle loro attività

sono di natura prevalentemente intellettuale, il loro esercizio richiede il possesso di

particolari ed idonei requisiti di formazione culturale, scientifica e tecnica ed è

caratterizzato da autonomia decisionale nella determinazione delle modalità di

perseguimento dei risultati, nonché dall’assunzione di responsabilità dirette e personali in

relazione alle prestazioni svolte; quindi, la Professionalità è la capacità di esercitare una

personale funzione complessa disponendo di conoscenze generali e specifiche, con

competenza (conoscenza, esperienza, e creatività), responsabilità (attribuita dalla

funzione); ed Autonomia; rimanendo costantemente orientati all’’aggiornamento e alla

ricerca.

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42

Con la nuova normativa quattro sono i pilastri della Professione Infermieristica,

che determinano il campo di Responsabilità; Autonomia e Competenza,

1°. Il Codice Deontologico.

2°. Il Profilo Professionale.

3°. L’Ordinamento Didattico.

4°. La formazione Post – Base.base

La Responsabilità come concetto generale, si riferisce all’effetto determinato dall’agire di

un soggetto da cui deriva l’obbligo di rispondere del proprio operato se eseguito in modo

non corretto. Il termine di responsabilità ha insita in sé una doppia valenza: quella che

rende evidente l’intellettualità della professione così come delineata dalla legge

42/99, che richiama alla consapevolezza degli obblighi connessi all’esercizio professionale

e all’implicito ed esplicito impegno ad operare nell’interesse del soggetto a cui la

professione si rivolge,tenuto conto delle norme etiche e deontologiche. Operare

nell’interesse del soggetto assistito significa avere consapevolezza delle possibili

conseguenze a cui l’esercizio professionale espone; farsi carico della propria responsabilità

ed operare in modo da poter sistematicamente e proattivamente dare risposta, a chi ne

dovesse chiedere conto,sulle decisioni assunte e sulle modalità prestazionali adottate.

L’infermiere, come tutti gli altri professionisti, è soggetto a diverse tipologie di

responsabilità:

1°. Responsabilità Penale,

2°. Responsabilità Civile,

3°. Responsabilità Amministrativa,

4°. Responsabilità Ordinistica.

Le diverse responsabilità si differenziano, in relazione alla sanzione prevista, nonchè

al giudice che la applica.

1°. La Responsabilità Penale.

La Responsabilità Penale è personale e non è trasferibile a terzi e deriva da un

comportamento attivo o omissivo previsto come reato dal codice penale. Quando

l’infermiere realizza una condotta caratterizzata da un inescusabile errore

professionale colpevole (derivante da negligenza, imprudenza o imperizia o dal non

aver osservato le regole proprie della disciplina infermieristica) da cui è derivato un

danno per il paziente, realizza un reato e conseguentemente può essere assoggettato a

procedimento penale. Nel momento in cui è dimostrata la sussistenza del reato, in

quanto tale, sanzionato dal codice penale con pene detentive (arresto e reclusione) e

pecuniarie (ammenda e multa).

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43

La pena si identifica quale sanzione erogata tramite un processo, è

proporzionata al fatto commesso ed è prevista dalla legge ( legale). Il reato si

individua quando il realizzarsi di un evento dannoso o pericoloso sia stato causato da

un comportamento commissivo od omissivo.

I reati si distinguono, a seconda dell’elemento psicologico presente, in reato

doloso o secondo l’intenzione, in reato colposo o contro l’intenzione ed in reato

preterintenzionale o oltre l’intenzione.

Nel reato colposo ( più importante nella responsabilità professionale) le

fattispecie previste sono quelle dovute a comportamenti fondati su:

a. Negligenza, danno causato da trascuratezza, superficialità, mancanza

di attenzione e di diligenza, condotta omissiva (non fare quello che si

deve fare);

b. Imprudenza, danno dovuto a comportamento avventato, condotta

commissiva (fare quello che non devi fare);

c. Imperizia, danno provocato da insufficiente capacità o preparazione,

(fare quello che non si sa fare).

Tra i reati imputabili all’infermiere ci sono:

a. L’Esercizio abusivo della professione;

b. Detenzione e somministrazione di farmaci guasti;

c. Rilevazione di segreto professionale;

d. Omissione di soccorso;

e. Omissione di referto.

2°. La Responsabilità Civile.

La responsabilità civile presuppone un danno patrimoniale da riparare con il

risarcimento. È una responsabilità patrimoniale e consiste nell’obbligo di risarcire il

danno conseguente ad un comportamento illecito o perché il danno è ingiustamente

derivante dalla realizzazione di un reato (lesione o morte del paziente) o perché

l’attività posta in essere dall’infermiere non risponde ai requisiti minimi di diligenza

previsti dalle regole fondanti la professione infermieristica.

3°. La Responsabilità Amministrativa.

E’ conseguente ai casi di condanne degli infermieri pubblici dipendenti per“colpa

grave” ed è di competenza della Corte dei Conti. L’infermiere pubblico dipendente

(o comunque operante per conto di una struttura sanitaria pubblica/convenzionata) è

soggetto al regime di responsabilità dei dipendenti civili dello Stato (Dpr 761/79;

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44

Dpr 3/57; Rd 1214/34; Rd 2440/23). Il regime di responsabilità dei dipendenti civili

dello Stato comporta che qualora l’Azienda sanitaria sia condannata a risarcire ad un

paziente (direttamente o per il tramite dell’assicurazione) un danno derivante da dolo

o “colpa grave”, ha l’obbligo di richiedere al dipendente (nel nostro caso

all’infermiere) la restituzione della somma di denaro versata a titolo di risarcimento

al paziente (la cosiddetta azione di “rivalsa”). La violazione dell’obbligo

dell’Azienda alla rivalsa integra un danno erariale da parte dell’Ente la cui

competenza è del giudice contabile: la Corte dei Conti.

4°. La Responsabilità Ordinistica

La normativa in materia ordinistica descrive le principali norme di legge e

regolamentari che riguardano l'attività dell'Ordine; oltre alle sanzioni applicate dal

giudice, altre sanzioni possono essere irrogate all’Infermiere e sono quelle derivanti

dal proprio Collegio professionale per violazioni inerenti ad inadempienze di tipo

deontologico, riguardanti il mantenimento del decoro della professione.

L’infermiere dipendente della Pubblica Amministrazione può essere sottoposto

ad un duplice potere disciplinare; dall’ente da cui dipende e dall’Ordine

professionale a cui è iscritto.

La Competenza come concetto generale è il risultato della conoscenza, elaborazione,

comprensione e giudizio; insieme alle abilità psicomotorie, interpersonali, cognitive, e

tecniche; e non solo, ma anche agli attributi ed attitudini personali, è il valore aggiunto del

professionista, che viene messa in atto in un determinato contesto per raggiungere un

determinato scopo, e non solo riferito a quello che è di pertinenza, ma anche quello di cui

si è competenti; ossia, è la capacità che deriva dall’aggiornamento delle conoscenze,

attraverso la formazione permanente, e la riflessione critica sull’esperienza.

La competenza può essere definita come l’essere in grado di rispondere delle

proprie azioni e comporta che vengano fornite ragioni e spiegazioni soddisfacenti per le

proprie azioni o per come è stato eseguito il proprio dovere.

Il concetto di competenza può identificarsi in due aspetti fondamentali:

La capacità di rispondere;

La responsabilità.

La responsabilità non comprende solamente “la propria condotta intenzionale” ma

anche “qualsiasi cosa nei confronti della quale si ritiene che il soggetto in questione abbia

una relazione di tipo causale (indipendentemente dal fatto che tale percezione sia

giustificata o meno). Secondo il Code of Ethics for Nurses dell’ICN16 (2000) è

responsabilità dell’Infermiere:

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45

1°. Promuovere la salute

2°. Prevenire la malattia

3°. Ristabilire la salute

4°. Alleviare la sofferenza

L’infermiere è competente quando è in grado di spiegare come queste responsabilità

vengano espletate, giustificando le scelte e le azioni conformemente alle norme o agli

standard morali accettati.

La competenza è un concetto etico importante poiché la pratica infermieristica

implica un rapporto tra infermiere e persona assistita. La competenza infermieristica va

ben oltre la relazione individuale infermiere-paziente fino al rapporto con altri che possono

non essere infermieri e con i datori di lavoro . L’infermiere può dover rispondere al

paziente, alla professione, al datore di lavoro e alla comunità per quanto è stato fatto (o

omesso) nel prestare assistenza infermieristica.

La competenza rappresenta una nozione centrale per la pratica della professione

infermieristica un concetto dal quale traggono origine valori importanti e dal quale

derivano dei principi fondamentali. La competenza insieme all’advocacy (definita come il

supporto attivo dato a una causa importante). Nel contesto legale il termine “advocacy” si

riferisce alla difesa dei diritti umani primari, a nome di coloro che non sono in grado di

farlo per se stessi. Il termine a, viene usato per descrivere la natura del rapporto

infermiere- paziente, e favorisce la costituzione di un modello concettuale relativo alle

dimensioni etiche della pratica infermieristica.

La disciplina infermieristica ha come oggetto di studio i bisogni di assistenza

infermieristica della persona e della sua famiglia, nelle loro dimensioni bio-fisiologiche,

psicologiche e socio-culturali; la ricerca si concentra sullo sviluppo delle conoscenze

dell’infermieristica e della sua pratica per rafforzare ed allargare le conoscenze attuali

riguardanti le cure infermieristiche , al fine di contribuire al miglioramento delle

prestazioni erogate.

Le cure infermieristiche offrono un servizio specifico ai singoli e alla comunità,

attraverso un’assistenza “complessa”: “ richiede, da parte dell’infermiere un giudizio

autonomo, decisioni ponderate basate sulla conoscenza del proprio lavoro e sulle

informazioni che possiede, e inoltre doti di creatività e iniziativa”. l’infermiere, in base

alla sua competenza disciplinare e alla normativa di riferimento, ha la responsabilità

totale della propria atività decidendo la tipologia d’intervento infermieristico (cosa),la

modalità di azione (come,i tempi di erogazione e di valutazione dei risultati (quando).La

responsabilizzazione ha come punto di riferimento l’attività connessa al caso trattato e

quindi l’efficacia delle prestazioni. L’infermiere è responsabile del modo con cui conduce

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un’azione scelta per intervenire, ma soprattutto del risultato conseguito”. (Cantarelli,

1996).

La pratica del professionista infermiere si fonda sulla conoscenza scientifica , che

permette attraverso ragionamenti induttivi-deduttivi di identificare i problemi dell’ assistito

e trovare soluzione e/o risposte assistenziali : nella pianificazione assistenziale vengono

messi in atto processi decisionali complessi che richiedono implicitamente la conoscenza

dei più appropriati interventi assistenziali erogabili «allo stato dell’arte». I risultati della

ricerca si articolano in diverso modo con il processo di assistenza infermieristica, nelle sue

diverse fasi; è possibile una relazione a livello di raccolta dati (individuazione di specifiche

situazioni reali o potenziali), a livello di obiettivi (quali sono i possibili benefici

ipotizzabili), nella definizione degli interventi e nella loro attuazione.

Nella società attuale “essere competenti” significa anche e soprattutto il

riconoscimento della necessità di imparare ed apprendere. E’ fondamentale la capacità di

costruire il proprio sapere. Migliorare la propria capacità di apprendere in modo

personalizzato, costruttivo e mirato, aumenta a livello professionale il senso di efficacia.

Saper contestualizzare la propria azione professionale, saper affrontare situazioni di

incertezza, situazioni problematiche, situazioni di complessità e saper relazionarsi con gli

altri, sono caratteristiche del vero professionista.

La conoscenza deve essere continuamente aggiornata ma la crescita esponenziale

dell’informazione biomedica (volume e complessità), ha reso sempre più difficile

l’aggiornamento professionale; inoltre vi è un limitato trasferimento dei risultati della

ricerca all’assistenza sanitaria che è documentato da diversi fattori: ampia variabilità della

pratica professionale, persistente utilizzo di trattamenti inefficaci, elevato livello di

inappropriatezza in eccesso, scarsa diffusione di trattamenti efficaci ed appropriati.

La Professione Infermieristica, in quanto tale sono riconosciute:

1°. Competenze di Base, capacità che tutti i professionisti devono possedere

all’ingresso nel mondo del lavoro e comprendono l’inglese,

l’informatica, l’organizzazione aziendale e il diritto del lavoro;

2°. Competenze Trasversali, capacità comunicative e relazionali che ogni

professionista deve possedere in qualunque settore professionale e che

acquisisce durante l’arco della vita in contesti di educazione formale, non

formale e informale. Queste riguardano l’area gestionale, innovativa e

relazionale.

3°. Competenze Tecnico Professionali, capacità distintive identificate da

diverse funzioni in base alla figura professionale che caratterizzano.

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4°. Competenze Tecnico Professionali Trasversali, funzioni che descrivono le

competenze comuni ad ogni professionista dell’ambito sanitario e

comprendono la gestione, la formazione, la ricerca e la consulenza.

I concetti esposti hanno l’obiettivo di stimolare gli infermieri a operare per il bene degli

utenti e per il successo dell’azienda e della professione, abbiamo il dovere morale di

aggiornare le nostre conoscenze (SAPERE), le nostre competenze (SAPER FARE),

affinare quelle che sono le nostre capacità relazionali (SAPER ESSERE), e mediante un

percorso educativo evolversi per cambiare vecchi modelli, abitudini e modi di vedere e

trovare nuovi punti di vista e nuove mete (SAPER DIVENIRE).

IDENTITA’ DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

ORDINAMENTI DIDATTICI

SAPERE

PROFILO PROFESSIONALE SAPER FARE CODICE DEONTOLOGICO SAPER ESSERE FORMAZIONE CONTINUA E FORMAZIONE POST-BASE SAPER DIVENIRE

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48

DIMENSIONI DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

L’esercito dei professionisti sanitari si prepara a marciare con passo sicuro nel Ssn.

Ad aprirgli la strada è il tavolo Ministero della Salute-Regioni che dal 15 dicembre 2012,

sta lavorando alla ridefinizione dei profili delle professioni sanitarie per individuare quelle

maggiormente strategiche per il Ssn ed intervenire in un’ottica di ampliamento delle

competenze e della specializzazione dei professionisti.

Il lavoro del tavolo parte dalla considerazione, ormai evidente da anni, che l’aumento

dell’età media della popolazione, delle fragilità e delle malattie cronico - degenerative,

associata alla constante evoluzione scientifica e tecnologica, richiedono significativi

cambiamenti assistenziali, strutturali, organizzativi e formativi. Quindi di rivedere ruoli e

competenze dei professionisti che ne sono protagonisti.

In questo contesto, secondo il tavolo, è "peculiare la modificazione del ruolo

professionale, dato dalle competenze, abilità e capacità dell’infermiere”. "Investire nella

professione infermieristica ponendo le basi per una nuova autonomia e responsabilità

professionale” può consentire infatti di creare “un sistema professionale capace di

RESPONSABILITA'

COMPETENZA AUTONOMIA

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49

sostenere e soddisfare le esigenze dei servizi e della popolazione”, affermano ancora i

tecnici nella relazione che accompagna la bozza d’accordo.

Ma significa anche realizzare “un sistema di flessibile dinamicità, escludendo

ingessature organizzative, nelle progressioni di carriera e favorendo meccanismi di

valorizzazione professionale capacità di riconoscere il valore e il contributo posto da parte

del singolo professionista nel processo assistenziale/organizzativo per il tempo di effettivo

e positivo esercizio della competenza”.

Tutto questo non dovrà comunque prescindere dalla collaborazione con le altre figure

professionali. Andranno quindi rinnovati anche i rapporti tra le diverse professionalità

sanitari e sociosanitari e l’organizzazione dei processi produttive. In particolare, la

ridefinizione, l’implementazione e l’approfondimento delle competenze e responsabilità

professionali degli infermieri riguarderà, in una prima fase, le seguenti aree con le seguenti

competenze attribuite all'infermiere:

1° Area delle Cure Primarie (cronicità, sanità pubblica, comunità e fragilità).

Cure primarie: gestire i bisogni socio-sanitari e sanitari delle persone nelle

cure primarie con un approccio integrato, gestire il processo infermieristico

nell'ambito della continuità assistenziale, comunità e domiciliarità.

Educazione: promuovere il processo educativo.

2° Area Critica e dell’Emergenza Urgenza:

Gestire l'intervento di emergenza, gestire l'intervento nel contesto

extraospedaliero, garantire la presa in carico del paziente attraverso il triage

ospedaliero, garantire l'intervento assistenziale nel contesto del DEA, garantire

l'assistenza in età pediatrica in emergenze-urgenza, garantire l'intervento nelle

maxiemergenze. Terapia intensiva: gestire i percorsi assistenziali in terapia

intensiva, gestire il trattamento sulla base di valori di monitoraggio e la terapia

intensiva in un'ottica multi-professionale, gestire l'educazione e la relazione.

3° Area chirurgica.

Gestire percorsi perioperatori e di preospedalizzazione, gestire l'assistenza in

degenza, gestire l'assistenza negli ambulatori di follow up, gestire l'assistenza in sala

operatoria.

4° Area di Neonatologia e Pediatria.

Gestire percorsi di assistenza per bambini affetti da patologia oncologica, gestire

percorsi di assistenza per il neonato ad alta intensità di cura, gestire percorsi di

assistenza del bambino con malattia cronica.

5° Area di Salute Mentale e delle Dipendenze.

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Salute mentale: effettuare la diagnosi infermieristica, gestire la terapia.

Dipendenze: gestire l'assistenza nell'ambito delle dipendenze patologiche,

effettuare monitoraggio.

A cui si uniranno competenze tecnico professionali trasversali di:

1°. Gestione. Pianificare il lavoro, analizzare il contesto socio-sanitario.

2°. Formazione. Sviluppare percorsi formativi nel gruppo di lavoro, gestire l'ambito

di approfondimento.

3°. Qualità e sicurezza. Analizzare i percorsi per la qualità, gestire il rischio clinico.

4°. Ricerca applicata. Sviluppare progetti di ricerca.

5°. Consulenza. Fornire supporto tecnico in qualità di esperto.

A questo scopo, però, sarà necessario anche rivedere il percorso formativo degli

infermieri. A partire da quello universitario, “dove ridefinire i piani di studio della laurea

triennale e magistrale, nonché dei master condivisi in accordo tra ministeri e regioni al fine

di rispondere alle necessità di sviluppo della professione infermieristica percorrendo in tal

modo positive esperienza già maturate in ambito internazione”. Ma si dovrà puntare anche

sulla formazione regionale “dove – spiegano i tecnici – attivare una formazione modulare

che risponda alla professionalizzazione degli infermieri in conformità agli obiettivi posti in

programmazione”. Il tutto, sottolineano i tecnici, attraverso “una forte integrazione tra

Università e servizio sanitario regionale”.

4.2. Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica.

Nel V secolo a. C., Ippocrate di Coo, fu una delle prime persone al mondo a

studiare il concetto di assistenza sanitaria, guadagnandosi così il titolo di "padre della

medicina moderna". Nella nostra società la storia dell’assistenza infermieristica viene di

norma strettamente correlata, sia alla storia delle istituzioni ospedaliere e sia agli ordini

religiosi.

E’ abbastanza discusso il ruolo da attribuire a Florenze Nightingatle nella storia

dell’emancipazione femminile. E’ indubbio che ha aperto alle donne del suo tempo,

comprese quelle di classe sociale medio-medio alta la strada di un’attività professionale per

certi aspetti nuova. A parere di alcune femministe impronta l’assistenza infermieristica

con il marchio indelebile dei pregiudizi della loro classe sociale; l’infermiera era solo la

signora trapiantata della casa all’ospedale, al medico ella portava la virtù caratteristica di

una moglie dell’obbedienza assoluta, al paziente portava l’abnegazione devota di una

madre, ai lavoratori dell’ospedale di livello più basso ella portava la disciplina, rigorosa

ma cortese di chdi governa una casa ed è abituato a trattare con persone di servizio.

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51

Prima della creazione del concetto moderno di assistenza infermieristica, suore e

soldati spesso provvedevano ad una forma di assistenza simile. Le radici religiose e militari

dell'assistenza infermieristica moderna rimangono evidenti in molti paesi, ad esempio in

Gran Bretagna le infermiere anziane sono conosciute come sorelle.

L’Assistenza Infermieristica moderna e professionale, nasce con queste

contraddizioni e non mancheranno di influire sullo sviluppo della professione.

La professione infermieristica si caratterizza come professione intellettuale, per

essere fondata su un sapere proprio e sulla discrezionalità nell’agire, si richiama

necessariamente all’applicazione di un metodo scientifico, valido, attendibile ed

intersoggettivo. Esso è il punto di riferimento permanente del professionista che assicura

prestazioni infermieristiche e costituisce la base per produrre strumenti informativi per la

gestione e la verifica dei risultati dell’azione professionale, poiché solo attraverso un

trattamento razionale e sistematico dei dati è possibile condurre indagini scientifiche.

La preoccupazione della comunità scientifica è quella di rispettare una serie di regole

imposte dal pensiero logico al fine di salvaguardare la realtà e l’obiettività dei fenomeni

studiati, preoccupazione che si traduce in uno studio del metodo scientifico, cioè delle

modalità con cui vengono costruite teorie capaci di spiegare gli eventi presenti e passati e

di prevedere eventi futuri.

La Professione Infermieristica non può, quindi, sottrarsi all’adozione di un metodo

scientifico finalizzato all’identificazione e alla risoluzione di una particolare categoria di

problemi, senza perdere per il fatto stesso il carattere di scientificità. IL metodo

scientifico, è lo studio sistematico, controllato, empirico e critico di ipotesi formulate sulle

relazioni supposte tra vari fenomeni, ed è usato in particolare dalle scienze sperimentali.

La essenza del metodo scientifico risiede nella ricerca della conoscenza della verità sui

fenomeni percepiti ed applicabile alle cosiddette scienze naturali, forma di conoscenza

basata su due elementi fondamentali: l’oggetto di studio e il metodo impiegato.

La Professione Infermieristica analizzando i postulati a supporto della scienza, a

portato ad approfondire lo studio del modo in cui si struttura il discorso scientifico, dei

concetti basilari, dei requisiti che devono possedere gli enunciati per essere considerati

scientifici, del rapporto teoria-esperienza, ovvero della struttura logica del ragionamento

scientifico e dei criteri in base ai quali accettare ipotesi scientifiche.

I Teorici dell’infermieristica hanno identificato il Nursing come un insieme costituito

da due componenti inscindibili, l’arte e la scienza (Benner, 1984), che applicate al contesto

delle relazioni interpersonali raggiungono lo scopo di favorire il benessere bio-psico-fisico

della persona.

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Il Nursing è Arte, in quanto capacità di sviluppare relazioni significative con

l’assistito, di cogliere il significato dalle relazioni con il paziente, di svolgere attività

assistenziali con competenza , di utilizzare i pensiero razionale e critico per decidere il

percorso d’azione adeguato, di erogare una prestazione assistenziali nel rispetto dei

principi etici. Sensibilità ed empatia sono elementi essenziali di questa forma di

conoscenza (o arte) tanto da consentire all’infermiere di cogliere il punto di vista del

paziente e di concentrarsi sul senso del linguaggio verbale e non verbale espresso durante il

perso assistenziale.

Il Nursing è Scienza, in quanto possiede tutti gli elementi necessari per affermarsi

come tale, ha uno scopo, un campo materiale di studio, un metodo di lavoro.

Il Nursing è l'uso del giudizio clinico nell'erogazione della cura, per consentire alle

persone di migliorare, mantenere o recuperare la salute, affrontare problemi di salute e

realizzare la miglior qualità di vita possibile, quale che sia la malattia o l'incapacità, fino

alla morte (Royal College of Nursing, aprile 2002).

Il Processo di Assistenza Infermieristica o Processo di Nursing, è un metodo

particolare di pensare e di agire, un approccio sistematico e creativo usato per identificare,

prevenire e trattare problemi di salute reali o potenziali, per identificare le potenzialità del

paziente e promuovere autonomia e benessere (George, 1990).

La Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica, indica la sostanza ed il modo

dell’assistenza infermieristica; personalizzare significa dunque adattare l’azione

professionale ai costituenti soggettivi che la persona esprime come portatrice di bisogni.

La Personalizzazione dell’Assistenza Infermieristica si fondamenta nel

riconoscimento del bisogno di assistenza del singolo paziente-cliente, in rapporto al quale

le dimensioni psicologica e socio-culturale sono responsabili della traduzione in una

domanda di assistenza di tipo fondamentalmente soggettivo. Non è dunque il paziente che

può o deve adattarsi all’offerta sanitaria dell’infermiere o dell’istituzione preposta alla sua

cura, ma il contrario.

L’Infermiere è chiamato a modulare l’intervento professionale e le variabili

organizzative in funzione della particolare persona umana che ha preso in carico,

riconoscendo nella relazione che pratica, l’alterità di cui essa è portatrice.

4.3. Assistenza Basata sulle Prove di Efficacia (EBM).

4.3.1. La Medicina Basata sulle Evidenze (Evidence-Based-Medicene, EBM).

Page 53: Tesi processo st.

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La denominazione Evidences Based Medicine ( Ebm) fece la sua comparsa,

per la prima volta, in una pubblicazione sul JORURNAL OF American Medical

Association (JAMA), nel 1992.

Secondo la celebre definizione di David Sackett (Nato 17 Nov. 1934.

Medico canadese pioniere nella medicina basata sull’evidenza, ha fondato il primo

dipartimento di Epidemiologia Clinica in Canada alla Mc.Master University,

L’Oxford Centre for Evidence-Based Medicine.), nasce “dell’integrazione delle

migliori evidenze scientifiche con l’esperienza clinica e i valori del paziente”.

l’Ebm rappresenta la ricerca (condotta secondo specifiche metodologie) della

migliore soluzione possibile ad un problema clinico. Soluzione che viene

analizzata in relazione alla propria validità, impatto e applicabilità attraverso le

prove di efficacia più valide e coerenti emerse dalla letteratura corrente,

raccolte e interpretate criticamente alla luce dell’esperienza e delle competenze del

professionale sanitario.

La Medicina Basata sulle Evidenze (Ebm), si fonda sul principio della

valutazione dei migliori risultati della ricerca disponibili in quel preciso momento di

ricerca scientifica. In pratica ciò significa che ciò che interessa specificatamente

l’Ebm non è semplicemente ciò che deriva da ricerche, bensì prevalentemente da

studi clinici (Clinical Trials) controllati e linee-guida di pratica clinica; dati quindi

ottenuti mediante una valutazione critica degli studi esistenti.

L’Ebm riconosce che molti aspetti dell'assistenza sanitaria dipendono da

fattori individuali come il giudizio di qualità e valore della vita, che sono solo in

parte soggetti a quantificarsi con metodi scientifici, tutto ciò in funzione

dell’assistenza mirata sul singolo paziente in un contesto legato ai concetti

di rischio/beneficio e di costo/efficacia. In tale contesto l’esperienza dell’operatore

ricopre un ruolo fondamentale, altrettanto l’opinione dell’utente al quale spetta

sempre l’ultima parola in merito alla propria salute, quindi, l’applicazione dei dati

dell’EBM dipende dalle circostanze e le preferenze del paziente, e le cure mediche

restano soggette a contributi personali, valori politici, filosofici, etici, economici, ed

estetici.

Nell’Italia sebbene rudimentale era limitato al campo medico, per una

pratica clinica basata sulla dimostrata efficacia, risale alla pubblicazione, avvenuta

nel 1978, all’interno della fortunata collana Medicina e Potere di Feltrinelli, de

L’inflazione medica, traduzione di Effictiveness and Efficiency (1972)

dell’epidemiologo scozzese Archibald L. Cochrane (1909-1988), è stato un pioniere

della medicina basata sulle evidenze.

In questo libro Cochrane sottoponeva a rigorosa verifica una serie di atti

preventivi e diagnostici e di interventi terapeutici, dimostrando come molti non

avessero una solida giustificazione scientifica. Il libro venne osteggiato, o

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54

semplicemente ignorato, da molti professionisti, perché veniva a status quo fatto di

tranquilla consolidata e routinaria pratica.

Gli oppositori della medicina fondata sulla validazione statistica

dell’efficacia rivendicavano alla professione medica lo stato di arte, mentre coloro

che erano più in malafede intendevano continuare a trattare i propri pazienti secondo

un comodo paternalismo, difendendo nel contempo i propri privilegi e quelli di

un’industria farmaceutica spesso impegnata a sfornare farmaci inutili o addirittura

dannosi, per aumentare i profitti.

Ancor oggi non sono pochi i medici che mantengono un atteggiamento

critico nei confronti dell’Ebm, sostenuti di argomentazioni questa volta razionali. Si

contesta all’Ebm una certa rigidità e un’eccessiva standardizzazione. Si obietta che

la medicina occidentale, da almeno due secoli, si basa sul metodo scientifico e che

l’’Ebm non è altro che la ricerca scientifica (che già esisteva), più il computer (come

la vera novità), l’Ebm enfatizza eccessivamente il valore degli aggiornamenti e degli

articoli delle riviste mediche: la medicina secondo la loro opinione, non cambia con

così grande rapidità le proprie acquisizioni e, se da un lato è impossibile seguire alle

migliaia di articoli pubblicati annualmente, dall’altro i testi di medicina tradizionali,

l’esperienza clinica, l’intuizione conservano il loro valore irrinunciabile nella

formazione del professionista abile e competente.

La Cochrane Collaboration nata nel 1992 è un’ associazione inglese no-

profit di gruppi diffusi a livello mondiale che si occupano di produrre revisioni

sistematiche e meta-analisi che permettano ai clinici di prendere delle decisioni

basate sull’evidenza, provvedono a raccogliere gli studi randomizzati e controllati,

effettuando revisioni sistematiche nella propria area di competenza. La Banca Dati

Cochrane pubblica protocolli di ricerca, raccoglie revisioni sistematiche, meta-

analisi, oltre a censire i trial clinici in corso. The Cochrane Library contiene

raccolte di evidenze utili al processo decisionale clinico nei campi della terapia,

prevenzione e miglioramento della qualità.

La GIMBE, Fondazione Italiana nata nel 1996 con l’obiettivo di

diffondere in Italia l'Evidence-based Medicine, attraverso iniziative di formazione,

editoria e ricerca. E’ una Banca Dati in lingua italiana delle migliori evidenze

scientifiche selezionate dalla letteratura internazionale secondo criteri espliciti; per

ciascun articolo viene fornito un abstract strutturato integrato da un commento

metodologico. L’accesso a riviste e banche dati biomediche è progettato sulle

esigenze delle varie tipologie di utenti.

4.3.2. L’Evidence-Based Nursing (EBN.)

E’ una espressione in lingua inglese che può essere tradotta in italiano

come “assistenza infermieristica basata sulle prove di efficacia”. Nasce nel 1998

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come “Il processo per mezzo del quale gli infermieri assumono le decisioni cliniche

utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza clinica e le preferenze

del paziente, alla luce delle risorse disponibili”.

L'EBN rifiuta pertanto la pratica infermieristica fondata su un blocco

cristallizzato di conoscenze e sostiene la necessità che ogni infermiere compia una

rivalutazione continua della propria pratica professionale, in considerazione di

questo principio, gli infermieri hanno avvertito l’esigenza di fondare l’assistenza alla

persona, le tecniche e le procedure inerenti il proprio operare, su una solida base

scientifica, su studi controllati che ne attestino l’efficacia.

Di conseguenza, possiamo dire che l’EBN è un processo di autoapprendimento

continuo dell’infermiere in cui l’assistenza al singolo paziente stimola la ricerca dalla

letteratura biomedica di informazioni rilevanti per la pratica assistenziale stessa.

E’ importante evidenziare che l’EBN, fornisce una strategia, una

metodologia operativa per trovare le risposte ai bisogni di sapere che nascono dalla

nostra attività assistenziale; ci mette nelle condizioni di formulare nel modo corretto

un quesito per cui si può trovare una risposta. Ma , attenzione a non confonderla con

la ricerca scientifica, che è la metodologia per accrescere le conoscenze di una

disciplina. La ricerca è un’indagine sistematica intrapresa per scoprire fatti o

relazioni e raggiungere conclusioni usando un metodo scientifico, mente nell’EBN la

ricerca è bibliografica ed è basata sulla identificazione e sul recupero più o meno

sistematico della letteratura su uno specifico tema per uno specifico obiettivo.

Come prima fase occorre convertire il bisogno di informazione in quesiti

clinici ben definiti, a cui è possibile tentare di fornire una risposta.

La seconda fase prevede la ricerca delle migliore prove di efficacia

disponibili nelle banche dati biomediche, per cercare le risposte. In questo caso è

importante conoscere, oltre alle modalità di accedere alle banche dati quali Medline

(per tutte le scienze biomediche in generale), e Cinahl (per le scienze

infermieristiche in particolare), la tipologia di studio da ricercare, sempre sulla base

del quesito formulato.

La terza fase è di integrazione di quanto appreso nella nostra pratica clinica e la

rivalutazione continua della nostra performance professionale.

In considerazione, alla sensibilità degli infermieri verso le tematiche

dell’evidence-based, questa si è tradotta in un incremento di lavori scientifici, nella

pubblicazione di interessanti testi sull’argomento, nella sensibilizzazione e

formazione specifica degli operatori, che già alcune Regione stanno implementando.

4.3.3. L’Evidence Based Practice.

Non è altro che l’estensione “pratica” del concetto di EBM. Riguarda a

tutti i professionisti sanitari, che consapevolmente prendono decisioni

Page 56: Tesi processo st.

56

riguardosa salute del paziente devono essere prese dopo aver considerato

numerose variabili (la condizione clinica del paziente, l’efficacia delle possibili

soluzioni al problema, le preferenze del paziente riguardo al trattamento) alla luce

dell’esperienza clinica, che in ultima istanza ha lo scopo di sintetizzare tutti questi

aspetti per raccomandare il trattamento migliore che il paziente è disposto ad

accettare.

L’Evidance Based Practice (EBP), stabilisce la necessità di un approccio alla

pratica clinica dove le decisioni cliniche risultano dall’integrazione tra l’esperienza

del professionista sanitario e l’utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso delle

migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente”.

Ma il professionista sanitario deve avvertire “bisogno d’informazione”, al

fine di soddisfare i gap di conoscenza emersi dall’incontro con il paziente e

convertire tale bisogno in quesiti clinico-assistenziali ben definiti in modo da andare

a ricercare con la massima efficienza le migliori evidenze disponibili in letteratura, di

interpretarle criticamente e deve valutare il “peso decisionale” di tali evidenze nella

decisione clinica, tenendo conto, sia delle preferenze ed aspettative del paziente, sia

del contesto sociale, organizzativo ed economico in cui opera. Lo stimolo principale

alla ricerca di conoscenze per i professionisti sanitari è rappresentato dai quesiti

clinico-assistenziali. Di conseguenza, l’EBP è la metodologia ottimale per integrare

pratica professionale e formazione permanente, alimentando continuamente il

processo di lifelong and self-directed learning.

Le conoscenze reperite con l’ EBP orientano la pratica clinica , ma sono

anche la base di diversi strumenti operativi di standardizzazione di quelle stesse

conoscenze e dei comportamenti professionali per le loro applicabilità.

L’elaborazione e l’implementazione di linee guida, procedure, percorsi clinico

assistenziali, e protocolli; permettono di standardizzare il quadro di riferimento

entro cui il professionista eroga assistenza, pur mantenendo un elevato livello di

discrezionalità decisoria, che si esplicita nell’analisi della situazione , scelta delle

modalità più congrue in relazione alla persona e alle variabili presenti; permette di

condividere e integrare le conoscenze con gli altri professionisti e di sviluppare

processi condivisi di prese di decisioni per rispondere alla complessità della persona

assistita.

Basare la propria pratica sulle prove di efficacia significa, per l’operatore

sanitario, rinunciare a una comoda autoreferenzialità e richiede invece spirito critico,

capacità di mettersi in discussione, metodo, lavoro, fatica, studio, aggiornamento

continuo. La ricerca, l’audit clinico, il confezionamento di linee guida, l’approccio

multidisciplinare, lo scrutinio di migliaia di articoli scientifici, la valutazione della

loro appropriatezza, le necessarie ed evolute nozioni di statistica richieste per

produrre lavori apprezzabili dalla comunità scientifica rappresentano un vero salto di

paradigma.

Page 57: Tesi processo st.

57

La Gerarchia delle Evidenze, per definizione non tutte le evidenze

scientifiche hanno lo stesso “peso”, cioè possiedono una diversa capacità di

dimostrare l’effettiva efficacia di un determinato fenomeno. Sulla base di ragioni

legate alla metodologia della ricerca e alle elaborazioni statistiche ad essa correlate,

si può stilare una lista degli “strumenti” più accurati e precisi attraverso i quali è

possibile “dare risposte” più o meno certe a un determinato quesito clinico in merito

a un determinato quesito di efficacia. Maggiore sarà il numero di evidenze “di alto

livello” a favore de un determinato argomento e maggiore sarà la “certezza” di aver

trovato uno strumento efficace e valido. Per questo motivo si riconosce una

gradazione, convenzionalmente indicata con lettere maiuscole dalla A alla E, per

esprimere la valutazione circa il grado di efficacia o di inefficacia di un determinato

intervento clinico.

4.4. Processi di Standardizzazione nella Prassi Infermieristica.

La Standardizzazione è il processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti sulla

base di norme, tipi o modelli di riferimento appropriati (sistemi di qualità).

Il processo di standardizzazione è un insieme di attività che trasformano gli input

in output, che hanno valore per l’utente e seguono una sequenza di attività correlate e

finalizzate ad uno specifico risultato finale

Tale processo può è deve applicarsi seguendo la logica propria dei sistemi di qualità,

infatti, nel momento della pianificazione e dell’organizzazione degli interventi da

realizzare in risposta ai bisogni della persona assistita, costruire ed adottare standars,

significa riferirsi ad un complesso di elementi che rappresentano le caratteristiche

appropriate ed ottimali di una determinata prestazione o di un determinato processo.

La Standardizzazione nella pratica infermieristica, è la scelta di un percorso clinico

assistenziale uniformato che abbia come finalità il recupero della salute e dell’autonomia

dell’assistito; con la consapevolezza della direzione alla scelta di determinati interventi

da realizzare che abbiano dimostrato reali efficacia.

L’etimologia del termine standard richiama il vocabolo di lingua francese ‘etendard’

(stendardo - bandiera): ciò che può essere esposto. In Sanità si riferisce a ciò che può

essere reso pubblico e garantito all’utente. Standardizzare, è migliorare l’appropriatezza

della gestione delle situazioni cliniche diminuendo la variabilità di comportamenti, troppo

spesso fonte di errori. Non significa ridurre la prassi ad una routine indifferenziata che non

tenga in giusta considerazione la soggettività della persona che si assiste, ma assicurare

tutti coloro che beneficiano di un servizio circa il livello di qualità della prestazione resa.

In tal senso, ci sono esempi di standard, per una determinata Unità Operativa:

Standard di Risultato; il mancato sviluppo (per tutte le persone allettate) di lesioni

da pressione;

Standard di Processo; il colloquio infermieristico a scopo anamnestico nelle prime

ore dall’ingresso in reparto, per tutte le persone ricoverate;

Page 58: Tesi processo st.

58

Standard di Struttura; la disponibilità di un’apposita saletta per garantire la privacy

durante la tricotomia in preparazione all’intervento chirurgico.

La controversia all’interno alla professione infermieristica sulle prospettive e sulle

problematiche connesse all’attività di standardizzazione riconosce un punto di origine nella

natura stessa dell’assistenza infermieristica. Essa, infatti, si occupa della salute secondo

una visione olistica e non parcellizzata dei problemi di salute del singolo e della collettività

ed assume il principio della personalizzazione quale elemento centrale di una relazione

professionale basata sulla comprensione e sul riconoscimento della dimensione soggettiva

(bio-fisiologica, psicologica e socioculturale) dei bisogni di cui il malato è portatore.

Spesso si è osservata un’eccessiva e non giustificata polarizzazione delle opinioni

verso due estremi: da un lato, lo scadimento della standardizzazione nella formalistica

traduzione di un giusto principio (la volontà di codificare modalità di intervento razionali,

intersoggettive ed efficaci) in una prassi attenta alla sola sfera biologica dei problemi

clinici, cioè più facilmente oggettivabile secondo i canoni metodologici propri di un tale

approccio, imponendo così un’organizzazione rigida e routinaria delle attività; dall’altro,

l’assunzione di una sorta di “ideologia della personalizzazione”, che comporta il rifiuto a

standardizzare qualsiasi intervento assistenziale (“Ogni malato è diverso dagli altri, non si

possono dare ricette”) e spesso è utilizzata come vero e proprio alibi per legittimare

l’indisponibilità a misurare l’efficacia delle proprie attività.

La standardizzazione e personalizzazione non necessariamente devono essere

considerate come approcci contrapposti e tra loro inconciliabili: è possibile, infatti,

concepire e praticare l’assistenza infermieristica come attività personalizzata, cioè rivolta

alla persona intesa nella sua totalità ed unicità e nella sua peculiare esperienza di malato, e

(ove possibile) standardizzata, cioè orientata alla scelta di quegli interventi che hanno già

dimostrato, in situazioni cliniche analoghe, una reale efficacia.

Occorre, considerare la standardizzazione come processo rivolto non solo alle

attività, a “ciò che si deve fare”, ma anche (e soprattutto) agli esiti, a “ciò che si deve

raggiungere” ed ai modi per controllarli e valutarli.

L’infermiere deve porsi non solo come esecutore, ma anche come decisore e

valutatore, cioè come professionista autonomo e responsabile. è questa, in sintesi, la

‘strategia basata sul risultato’, che promuove una gestione del risultato in forma non

separata dagli aspetti operativi che concorrono al suo raggiungimento, allo scopo di

impedire la rottura fra aspetti decisionali ed aspetti esecutivi che spesso disconoscono il

valore sociale del ruolo e della funzione infermieristica.

La standardizzazione assume rilevanza professionale nella misura in cui gli

infermieri si impegnano a dimostrare l’efficacia delle proprie azioni ed evidenziano il

contributo concreto e specifico del nursing, mediante:

La promozione,

Il recupero, ed

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59

Il mantenimento della salute.

Gli obiettivi dei Processi di Standardizzazione nelle prassi infermieristiche sono:

Consolidare l’autonomia e responsabilità professionale.

Pianificare l’assistenza infermieristica secondo modelli gestionali “per processi”

attraverso criteri integrati e multidisciplinari.

Orientare la pratica professionale verso l’appropriatezza, l’efficacia e l’efficienza

delle prestazioni.

Definire, introdurre, sperimentare nuovi modelli applicativi quali linee guida,

procedure infermieristiche e/o protocolli.

I Processi di Standardizzazione a traverso gli Strumenti Operativi, propongono di

migliorare l’efficacia della gestione delle situazioni cliniche e diminuire la variabilità di

comportamenti. L’adozione combinata di tali strumenti richiede, un puntuale

inquadramento concettuale e metodologico, ed il loro corretto posizionamento in una

definitiva organizzazione funzionale e gerarchica. Ancora oggi, infatti, la probabilità che

un malato riceva un intervento sanitario efficace dipende troppo spesso dalla singola realtà

ospedaliera in cui viene ricoverato (o addirittura dai singoli professionisti), piuttosto che

alle reali condizioni di salute che manifesta. Gli Strumenti Operativi possono costituire la

base per la produzione di materiale informativo per l’utenza.

I principali Strumenti Operativi dei Processi di Standardizzazione nella prassi

infermieristica, sono:

4.4.1. Le Linee Guida.

La definizione più nota delle Linee Guida è quella formulata dall’Institute of

Medicine nel 1992 che le definisce come “raccomandazioni sviluppate in modo sistematico

per assistere medici e pazienti nelle decisioni sulla gestione appropriata specifiche condizioni

cliniche”. Il termine linee guida è spesso usato in modo impreciso e scambiato con

altri quale, protocollo, standard, procedura e percorso diagnostico terapeutico.

Le linee guida si caratterizzano innanzitutto per che sono elaborate a traverso

un processo sistematico, è l’elemento che le contraddistinguono rispetto ai

protocolli, quali strumenti di maggiore rigidità, finalizzati alle azioni ritenute

ottimali e quasi obbligate. Una linea guida deve sostanzialmente assistere al

momento della decisione clinica ed essere di ausilio alla pratica professionale come

risultato di un preciso percorso sistematico di analisi dei processi clinici orientato

alla definizione della “best practice”. L’enorme popolarità che le linee guida hanno

conquistato può essere spiegata per le funzioni e ruoli che queste svolgono.

Il primo è connesso alla funzione di educazione, formazione ed

aggiornamento in quanto rappresentano una sintesi critica delle informazioni

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60

scientifiche disponibili sulla efficacia degli interventi sanitari. Il momento di

elaborazione di una linea guida rappresenta un eccezionale momento formativo ed

educativo per chi vi partecipa.

Il secondo ruolo è di creare le condizioni per rendere possibile il

monitoraggio della pratica clinica individuando i comportamenti clinici più

appropriati, il loro utilizzo ed i conseguenti risultati ottenuti.

Una terza funzione è la promozione del miglioramento continuo dell’attività

assistenziale in quanto le linee guida sono fondamentali strumenti a base di una

azione di governo clinico.

Le linee guida orientano ad una attività clinica più omogenea riducendo la

variabilità dei comportamenti, quando questi non siano motivati e, per questo, deve

essere sottolineato l’interessante legame fra le linee guida e attività di audit clinico.

Infatti gli indicatori “derivabili” dalle linee guida dovrebbero essere tra gli standard

di riferimento per le attività di audit, poiché consentono un approccio non

conflittuale e limitano l’autoreferenzialità dei giudizi sulla pratica assistenziale nel

momento dell’audit stesso.

Alla luce delle osservazioni precedenti si può meglio comprendere la

definizione di linee guida intese come:

“Raccomandazioni elaborate a partire da una interpretazione multidisciplinare e condivisa

delle informazioni scientifiche disponibili, per assistere medici e pazienti nelle decisioni che

riguardano le modalità di assistenza appropriate in specifiche circostanze cliniche” come proposto

da R. Grilli nel Piano Nazionale Linee Guida.

“Le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un

processo sistematico, coerenti con le conoscenze sul rapporto costo/beneficio degli interventi sanitari,

per assistere medici e pazienti nella scelta delle modalità di assistenza più appropriate in specifiche

circostanze cliniche” come proposto da Antonio Cartabellotta”.

Le Linee guida non vengono concepite come uno schema di sequenze

comportamentali da applicare in modo rigido, ma come una sintesi ragionata delle

migliori informazioni scientifiche disponibili circa le modalità di diagnosi, cura e

assistenza secondo il criterio di appropriatezza.

4.4.2. Le Procedure Infermieristiche.

Le procedure infermieristiche rappresentano la forma di standardizzazione più

elementare, poiché si riferiscono ad una successione logica di azioni tecnico-

operative, più o meno rigidamente definite, allo scopo di raccomandare la modalità

ottimale di eseguire una tecnica infermieristica semplice (es. radiografia del torace) o

complessa (es. biopsia chirurgica).

L’obiettivo delle Procedure Infermieristiche è la riduzione della variabilità

ingiustificata ed il perseguimento di una relativa uniformità dei comportamenti. Il

fatto che tali strumenti riguardino unità anche elementari di un determinato processo

Page 61: Tesi processo st.

61

assistenziale (ad esempio, il posizionamento di dispositivi intravascolari nella

preparazione all’angiografia venosa, la sostituzione dei contenitori di raccolta dei

sistemi di drenaggio toracico, ecc.), rende possibile (e spesso auspicabile) una loro

trasversalità di utilizzo, cioè l’adozione o lo ‘scambio’ della procedura tra differenti

unità operative ed il loro inserimento all’interno di specifici percorsi clinico-

assistenziali.

Oltre alle procedure dirette alla standardizzazione della pratica

infermieristica, si possono costruire procedure dirette alla standardizzazione dei

metodi e degli strumenti (ad esempio, le modalità per il passaggio delle informazioni

al cambio del turno di servizio) o, ancora, procedure dirette alla standardizzazione

dell’organizzazione delle attività infermieristiche e domestico-alberghiere (ad

esempio, la documentazione infermieristica da rilasciare alla dimissione o

l’acquisizione e la distribuzione dei pasti dalla cucina centralizzata).

Uno schema generale per la costruzione di procedure deve considerare:

1°. La definizione di un titolo, descrittivo del campo di applicazione della

procedura e dei suoi scopi;

2°. La formulazione di un glossario delle sigle e delle definizioni utilizzate nel

testo della procedura;

3°. La definizione delle responsabilità e delle competenze degli operatori

coinvolti nell’esecuzione della procedura;

4°. La definizione della sequenza, delle modalità, della tempistica e

dell’impiego di risorse e materiali per ciascuna attività che compone la

procedura;

5°. La segnalazione delle possibili complicanze;

6°. Le eccezioni alla sua applicazione;

7°. La bibliografia di riferimento;

8°. L’indicazione degli a u t o r i che hanno formulato la procedura;

9°. La data della stesura e delle eventuali revisioni.

Le attività che meritano di essere oggetto di una specifica procedura devono

essere strettamente legate ciò che i professionisti ritengono realmente utile o

necessario al miglioramento dell’attività clinica e di équipe. Infatti, il percorso di

costruzione, applicazione e verifica continua delle procedure è comunque complesso

e richiede un investimento di risorse (tempo, materiali, energie intellettuali, accordo

tra professionisti, ecc.) e non può essere destinato ad ‘oggetti ’ non percepiti come

prioritari o magari ‘imposti’da altre figure professionali o dalle direzioni. Alcune

teorie manageriali forniscono numerose tecniche per ‘scovare’ l’attività su cui è

necessario, o più utile, o più conveniente orientarsi. Ad esempio, il cosiddetto

“incidente critico”, che può essere utilizzato in qualsiasi ambito o specialità: tutti gli

operatori si impegnano a monitorare, per un certo periodo di tempo, l’attività di

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62

reparto allo scopo di registrare (meglio per scritto) eventuali errori, mal practices, e

lamentele e di individuare i problemi più gravi o più frequenti di una realtà. Questa

tecnica è facilmente applicabile anche se ha dei limiti.

Il problema individuato diviene il punto di partenza per la costruzione delle

procedure: il passaggio successivo consiste nel cercare di standardizzare tutte le

attività che incidono sul manifestarsi di quel determinato problema. Naturalmente,

non c’è un’unica modalità che deve essere adottata per costruire una procedura. Ad

ogni modo, è indispensabile che alla sua redazione concorrano in primo luogo i

‘clinici’ e che si evitino approcci top-down (dall'alto verso il basso) generati da

coordinatori, dirigenti, docenti o altro … Ugualmente, è necessaria una piena

condivisione da parte di tutti gli utilizzatori, non serve formalizzare una procedura se

poi è rispettata solo da alcuni; a questo proposito, la migliore garanzia della massima

condivisione è data dal lavoro di gruppo.

Infine, devono essere codificate e condivise non solo le modalità di

applicazione (quando la si applica, in quali situazioni, per quali assistiti, ecc.), ma,

anche le modalità di aggiornamento continuo e revisione: anche su questo aspetto

non esistono regole fisse, vale la ricerca della massima partecipazione e del massimo

coinvolgimento possibili degli utilizzatori.

Esistono pareri discordanti sui ruoli e sulle funzioni di controllo, verifica e

certificazione delle procedure e dei diversi strumenti della metodologia e della pratica

di nursing. Per molti versi, è un aspetto che attiene in primo luogo la politica

professionale e, dunque, risente delle diverse concezioni che i professionisti hanno di

figure, istituti ed organi quali i Collegi, le associazioni professionali, i propri

dirigenti, ecc. Tuttavia, se è vero che una gestione verticistica della fase produttiva

può risultare scarsamente motivante, è altrettanto vero che un’efficace forma di

controllo al di sopra della singola unità operativa consente una più ampia diffusione e

condivisione delle esperienze maturate a livello locale.

La conformità delle singole procedure dovrebbe essere definita dagli standard

di competenze professionale (in particolare le skills), che rappresentano il "buco

nero" della qualità assistenziale. In Italia infatti, a differenza di altri paesi, non esiste

una collaborazione strutturata tra sistema sanitario, università, scuole di

specializzazione e società scientifiche in grado di definire e implementare criteri di

training e accreditamento professionale per misurare le dimensioni della competenze.

4.4.3. I Percorsi Clinico-Assistenziale (Clinical Pathway, in lingua inglese)

I Percorsi Clinico-Assistenziale, sono l’integrazione di piani di cura che orientano un uso

più efficiente ed appropriato delle risorse nel trattamento della maggioranza dei pazienti. (Franc e

Meyer, 1991).

Page 63: Tesi processo st.

63

Da decenni in discipline come l’ingegneria e l’economia, sono in uso degli

strumenti manageriali atti a monitorare il tempo dell’evoluzione di un dato progetto.

Nel mondo sanitario anglosassone, sin dal 1985 si è iniziato ad importare tali

strumenti sviluppandoli ed adattandoli al contesto sanitario, sono stati sviluppati

presso il New England Medical Center, da Kathlen Bower e Karen Zander,

partendo dal presupposto di creare consenso nel team professionale sugli Standard di

Cura e sui risultati attesi per un target predefinito di un gruppi di pazienti. Lo scopo

principale è stato quello di costruire dei procedimenti in grado di prevedere e

descrivere in anticipo le necessità e le richieste d’assistenza dei pazienti, nell’ambito

di specifiche e varie tipologie di casi.

Il Percorso Clinico Assistenziale, in lingua inglese Clinical Pathway, per

alcuni autori Protocollo; invece, prestabilisce uno schema ottimale della sequenza

dei comportamenti in relazione a un determinato iter diagnostico, terapeutico ed

assistenziale, da attivare a fronte di una situazione clinica tipica. Allo scopo di

massimizzare l’efficacia e l’efficienza delle attività. Tali schemi sono da considerarsi

comunque flessibili e non statici, presuppongono, perciò, la possibilità di essere

impiegati nella maggior parte dei casi in cui si presenta una determinata situazione o

patologia. Ad esempio con tale strumento, può essere codificato il percorso

necessario alla preparazione ad un determinato intervento chirurgico o ad una

determinata indagine diagnostica; oppure, quello per recuperate l’autonomia

nell’alimentazione e nel movimento delle persone colpite da ictus con emi-sindrome.

Il Percorso Clinico-Assistenziale, pertanto, riguarda il controllo sia della

qualità, sia dell’appropriatezza di un insieme di attività, a volte maggiormente legate

alla diagnosi e alla cura della malattia o, in altri casi, concernenti la sfera autonoma

dell’assistenza infermieristica. Poiché spesso non è possibile separare nettamente la

competenza medica da quella infermieristica, un efficace strategia per la costruzione

dei clinical pathway e rappresentata dall’approccio interdisciplinare. Tali strumenti

assumono spesso una forte connotazione locale, in ragione delle specifiche

condizioni strutturali anche di carattere extra-scientifico in cui si realizza l’assistenza

medica ed infermieristica nelle diverse realtà sanitarie.

La condizione di applicabilità del percorso clinico-assistenziale prevede un

percorso metodologico basato sui seguenti aspetti principali:

1°. Il Problema, originato dall’individuazione delle caratteristiche cliniche (o

patologiche) del paziente a cui si riferisce il percorso clinico assistenziale

(clinical pathway);

2°. L’Intervento, dato della specificazione delle azioni diagnostiche,

terapeutiche ed assistenziali e alla loro sequenza;

Page 64: Tesi processo st.

64

3°. L’Esito, prevede la definizione dei risultati attesi della salute, in termini

di promozione, miglioramento o mantenimento della situazione clinica

presente, all’inizio del ricovero. (Indicatori di Risultato)

I Percorsi Clinico-Assistenziale (clinical pathway) in ambito infermieristico,

devono seguire una sequenza logica e cronologica di attività e procedure ritenute

necessarie sulla base delle conoscenze scientifiche e delle risorse disponibili in un

certo periodo storico:

1°. Percorso Diagnostico (ad esempio, la valutazione dei bisogni di assistenza

infermieristica della donna portatrice di tumore alla mammella);

2°. Percorso Terapeutico (ad esempio, il recupero dell’autonomia nel

soddisfacimento del bisogno di eliminazione dopo un intervento chirurgico

di gastrectomia);

3°. Percorso Assistenziale da condurre in collaborazione con altre figure

sanitarie.

La concezione del percorso clinico-assistenziale come strumento metodologico

di pianificazione dell’assistenza infermieristica, impone l’esame delle condizioni

operative che ne rendono possibile ed utile, la costruzione e l’applicazione a

specifiche situazioni cliniche. Occorre cioè individuare correttamente le

circostanze in presenza delle quali è possibile definire un profilo di assistenza

infermieristica standardizzato per situazioni cliniche prevedibili, le sole che possono

essere oggetto della costruzione di protocolli sono:

1°. L’emergere di una situazione clinica sufficientemente ed univocamente

delineata;

2°. La prevedibilità, in tale situazione, di uno più bisogni di assistenza

infermieristica, della loro modalità di manifestazione, delle loro eventuali

cause;

3°. La possibilità di esplicitare uno o più esiti finali;

4°. La possibilità di scegliere ed indicare atti da esegui la possibilità di scegliere

ed indicare atti da eseguire e specifiche procedure da rispettare,

specificando modalità, tempi, repertorio di risorse, ecc.;

5°. La possibilità di definire criteri (indicatori e standard ) per valutare

l’efficacia dell’intervento professionale;

6°. La possibilità di personalizzare il protocollo, cioè di realizzare la flessibilità,

modificando alcune sue parti, affinché si adatti meglio alle particolari

esigenze manifestate dalla persona assistita.

L’adozione dei percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway), rappresenta

una fondamentale strategia per governare il sistema organizzativo ed informativo di

una determinata unità operativa, poiché orienta la prassi infermieristica in funzione

del controllo dei risultati degli esiti assistenziali e, quindi, della qualità delle

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prestazioni. Inoltre, la diffusione di tali strumenti potenzia e favorisce l’integrazione

interdisciplinare ed il ruolo degli infermieri nell’organizzazione dell’assistenza

infermieristica e nel controllo della qualità.

Negli ultimi anni all'interno della professione infermieristica, si è delineata e

diffusa la convinzione che la crescita culturale e la valorizzazione sociale

dell'assistenza infermieristica, sia possibile a partire da risultati infermieristici

“propri”, basati su evidenze scientifiche e dimostrati mediante specifici percorsi di

ricerca clinica (Evidence Based Nursing).

4.4.4. I Protocolli

Può identificare un percorso clinico assistenziale , un processo, una procedura.

Il Protocollo è un documento di procedura (formale) che riguarda una condizione

clinica con un comportamento diagnostico terapeutico predefinito o una sequenza

prescrittiva di comportamenti ben definiti, ritenuti ottimali.

Le linee guida pratiche offrono un’ampia definizione della buona pratica

professionale, corredata da pochi dettagli operativi, mentre i protocolli sono il

risultato dell’adattamento delle linee guida all’uso in contesti locali.

Nell’interpretazione giuridica, il contenuto di un protocollo è vincolante per i

professionisti; in altre parole, se le LG forniscono raccomandazioni cliniche,

flessibili per definizione, il termine protocollo implica, senza precisarlo, che deve

essere applicato a tutti i pazienti, esponendo il professionista e l’organizzazione a

potenziali rischi medico-legali se questo non avviene. Pertanto, “protocollo”

dovrebbe essere utilizzato solo se viene condiviso l’obbligo di applicarne i contenuti

a tutti i pazienti (target 100%).

Il protocollo infermieristico, come qualsiasi strumento di pianificazione

dell'assistenza infermieristica, segue un percorso clinico-assistenziale, con

l’obiettivo di far fronte un particolare problema di salute; deve perciò assumere le

categorie offerte da un modello concettuale come elementi indispensabili alla sua

costruzione, indica uno schema di comportamento predefinito nell’attività clinico

diagnostica, descrivendo una rigida sequenza di comportamenti. E’ un documento

dove si formalizza la sequenza delle azioni che debbono essere fatte per conseguire

l’obiettivo dato e per migliorare lo standard di qualità.

L’adozione dei protocolli rappresenta una strategia fondamentale per gestire

ed uniformare un’unità operativa. In considerazione del fatto che, il protocollo

orienta la prassi dei processi assistenziali e l’appropriatezza delle prestazioni.

Il protocollo assistenziale è uno strumento informativo che definisce un

modello formalizzato di comportamento professionale; esso descrive una successione

di azioni fisiche, mentali, verbali con le quali l’infermiere/gli operatori raggiunge/

raggiungono un determinato obiettivo.

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66

Le finalità dei protocolli sono molteplici; di seguito vengono elencate le principali:

1°. Migliorare l’assistenza infermieristica e sanitaria;

2°. Assicurare alle persone assistite interventi basati sulla più recente evidenza

scientifica;

3°. Integrare ed uniformare i comportamenti assistenziali;

4°. Coinvolgimento/confronto/motivazione degli operatori;

5°. Definire e valutare la pratica assistenziale oggetto del protocollo;

6°. Documentare le responsabilità degli infermieri e degli altri operatori;

7°. Tutelare l’ utenza e di conseguenza il personale, attraverso la dichiarazione di

come si intende svolgere una determinata attività;

8°. Ridurre gli errori.

I protocolli, inoltre, aiutano nella trasformazione di studi e conoscenze in

comportamenti formalizzati di riferimento, facilitando il trasferimento delle evidenze

scientifiche (Casati, Lazzari, 2000) nella pratica clinica e sono uno strumento di

integrazione orizzontale, cioè tra professionisti; i medesimi utilizzatori devono essere

coloro che li elaborano su basi scientifiche ed esperienziali; pertanto è utilizzabile

solo nel contesto in cui viene elaborato.

La stesura del protocollo è responsabilità degli operatori che lo utilizzano; un

protocollo è valido quando:

1°. la revisione della letteratura è stata ampia;

2°. la stessa è stata sottoposta a valutazione critica;

3°. periodicamente si rivalutano le indicazioni presenti, alla luce delle più

recenti acquisizioni sull’argomento.

Il protocollo per essere definito tale, deve essere:

Valido,

Riproducibile,

Applicabile,

Flessibile,

Chiaro,

Completo,

Conciso,

Contestuale,

Fondato.

I protocolli possono o si devono sviluppare per:

Prestazioni standardizzabili e prevedibili.

Situazioni assistenziali complesse.

Problemi poco frequenti in una determinata realtà assistenziale.

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67

I Protocolli possono essere presentati in formati diversi, tra cui i più utilizzati sono:

1°. Il Formato Gantt, la cui struttura grafica prevede sull’asse orizzontale la

variabile tempo ) può essere espressa in minuti, ore, giorni o settimane) e

su quella verticale le fasi della malattia e le attività che spesso sono

raggruppate in aree.

2°. Il Formato Flowchart, che illustra graficamente le relazioni tra le attività,

ma non mostra la distribuzione delle attività giorno per giorno.

Nel Protocollo devono essere indicati i seguenti elementi:

1°. Titolo del Protocollo.

2°. Popolazione di riferimento.

3°. Ambito di applicazione.

4°. Introduzione (indicazione del problema e sintesi degli elementi di

contesto).

5°. Obiettivi.

6°. Risorse (indicatori di risorsa).

7°. Fasi e azioni (con eventuali note aggiuntive e motivazioni scientifiche e

normative).

8°. Responsabilità.

9°. Misure di prevenzione delle complicanze.

10°. Eccezioni.

11°. Indicatori di esito.

12°. Bibliografia.

13°. Allegati.

Sulla base di quanto riportato, la Standardizzazione dei Processi mediante i Percorsi

Clinico-Assistenziale e Protocollo, possono essere definiti così:

1°. Il Percorso Clinico-Assistenziale rappresenta la formalizzazione dell’Intero

Iter del paziente, pertanto, deve essere considerato uno strumento

rigorosamente multidisciplinare.

2°. Il Protocollo di Assistenza Infermieristica applica la logica della

standardizzazione di processo a un particolare aspetto clinico, di stretta

pertinenza infermieristica. Ad esempio, può riferirsi a una singola diagnosi

infermieristica.

“Per la pratica infermieristica esperta, la professione si trova dover rispondere a due imperativi in conflitto

tra loro:

1°. Personalizzare l’assistenza infermieristica ai pazienti;

2°. Ridurre al minimo gli errori in un contesto di standard assistenziali minimi.

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La conoscenza racchiusa nell’esperienza clinica dell’esperto va oltre le regole e le procedure attese.

Gli standard, le regole e le linee guida adattate in modo da raggiungere un livello accettabile di standard

assistenziali possono, al tempo stesso, impedire la personalizzazione dell’assistenza . La ricerca dimostra

che un infermiere esperto può interpretare le situazioni particolari e operare le necessarie eccezioni e

modifiche alle regole al fine di ottenere la personalizzazione dell’assistenza”. (Benner Patricia,2003,

University of California, San Francisco).

CONCLUSIONI

Il presente studio è stato realizzato a seguito del mio tirocinio per il Master nella

Azienda dove lavoro, il Policlinico San Donato, sono stata inserita un progetto per

l’elaborazione dei protocolli aziendali, lavoro abbastanza impegnativo per chi non ha

dimestichezza con la ricerca, ma per me è stata una sfida, fare qualcosa per la prima volta

e soprattutto farlo bene.

La formazione dell’individuo sul piano intellettuale, morale e all’acquisizione della

consapevolezza del ruolo che gli compete nella società, sono presupposti che gli infermieri

possono mettere a disposizione insieme a quello che hanno studiato, approfondito,

progettato, sperimentato ed esperito nell’assistenza, nell’organizzazione, nella didattica,

nella ricerca e nelle complesse e reticolate relazioni interpersonali.

L’infermiere è consapevole che la relazione che stabilisce con la persona assistita è

una relazione d’aiuto (di sostegno) e come tale volta ad ottenere una maggiore

valorizzazione delle risorse personali.

La standardizzazione della prassi infermieristica non deve significare fare tutti le

stesse cose, ma significa essere dentro un processo dove è quello che si deve fare,

palesemente legato a quello che si vuole raggiungere. Chiaramente è un processo rivolto ai

risultai nel quale le singole attività siano sempre valutabili e misurabili in funzione degli

obiettivi che l’infermiere si è posto per risolvere un determinato problema.

La Standardizzazione dei processi di qualità sono uno strumento che rende

evidente e razionale i legami tra i suoi strumenti (linee guida, procedure, percorsi clinico-

assistenziali e protocolli) ed il metodo clinico (processo di assistenza infermieristica). E’

importante seguire una metodologia e degli strumenti operativi prestabiliti per indirizzarsi

verso la personalizzazione dell’assistenza infermieristica.

Gli oppositori della medicina fondata sulla validazione statistica dell’efficacia

rivendicavano alla professione medica lo stato di arte, mentre coloro che erano più in mala

fede intendevano continuare a trattare i propri pazienti secondo un comodo paternalismo,

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difendendo nel contempo i propri privilegi e quelli di un’industria farmaceutica spesso

impegnata a sfornare farmaci inutili o addirittura dannosi, per aumentare i profitti.

Ancor oggi non sono pochi i medici che mantengono un atteggiamento critico nei

confronti dell’Ebm, sostenuti di argomentazioni questa volta razionali. Si contesta

all’Ebm una certa rigidità un’eccessiva standardizzazione. Si obietta che la medicina

occidentale, da almeno due secoli, si basa sul metodo scientifico e che l’’Ebm non è altro

che la ricerca scientifica (che già esisteva), più il computer (come la vera novità), l’Ebm

enfatizza eccessivamente il valore degli aggiornamenti e degli articoli delle riviste

mediche: la medicina secondo la loro opinione, non cambia con così grande rapidità le

proprie acquisizioni e, se da un lato è impossibile seguire alle migliaia di articoli

pubblicati annualmente, dall’altro i testi di medicina tradizionali, l’esperienza clinica,

l’intuizione conservano il loro valore irrinunciabile nella formazione del professionista

abile e competente.

Spesso le linee guida, procedure assistenziali, percorsi clinico-assistenziali e

protocolli, sono utilizzati dandole lo stesso significato nella pratica clinica infermieristica,

pur possedendo una struttura e requisiti molto diversi fra loro. Questi strumenti

d’integrazione organizzativa, oggi sono considerati anche strumenti per la pratica clinica

sull’evidenza, non solo, per il miglioramento delle prestazioni erogate ma soprattutto per

che permette la valutazione delle stesse in base a standard e indicatori di qualità, con

questa motivazione le aziende ospedaliere cercano dove è possibile regolamentare la

pratica clinica infermieristica.

Frequentemente si osserva un’eccessiva e non giustificata polarizzazione delle

opinioni verso due estremi: da un lato, lo scadimento della standardizzazione nella

formalistica traduzione di un giusto principio (la volontà di codificare modalità di

intervento razionali, intersoggettive ed efficaci) in una prassi attenta alla sola sfera

biologica dei problemi clinici, cioè più facilmente oggettivabile secondo i canoni

metodologici propri di un tale approccio, imponendo così un’organizzazione rigida e

routinaria delle attività; dall’altro, l’assunzione di una sorta di “ideologia della

personalizzazione”, che comporta il rifiuto a standardizzare qualsiasi intervento

assistenziale (“Ogni malato è diverso dagli altri, non si possono dare ricette”) e spesso è

utilizzata come vero e proprio alibi per legittimare l’indisponibilità a misurare l’efficacia

delle proprie attività.

La standardizzazione e personalizzazione non necessariamente devono essere

considerate come approcci contrapposti e tra loro inconciliabili: è possibile, infatti,

concepire e praticare l’assistenza infermieristica come attività personalizzata, cioè rivolta

alla persona intesa nella sua totalità ed unicità e nella sua peculiare esperienza di malato, e

(ove possibile) standardizzata, cioè orientata alla scelta di quegli interventi che hanno già

dimostrato, in situazioni cliniche analoghe, una reale efficacia.

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In conclusione, la assistenza infermieristica è scienza, arte, etica e tecnica coltivata e

sono la essenza che caratterizzano gli infermieri e che determinano la sua professionalità.

Per finire, quando l’infermiere, al di là dei limiti strutturali entro cui si trova ad

operare, riesce a porre la sua umanità al servizio di questo meraviglioso progetto d’aiuto,

non solo la condizione della persona assistita migliora, dove c’è responsabilità e umanità

nell’agire professionale, migliora anche la qualità di lavoro.

GLOSSARIO

1°. Appropriatezza, è la condizione adatta e adeguata, che abbia il carattere di efficacia ed

efficienza .

2°. Efficacia, significa ottenere un risultato con il massimo beneficio, attraverso gli

interventri sanitari (output) mirati a favorire il miglioramento dello stato di salute.

3°. Efficienza, significa ottenere un risultato tenendo conto dei costi e dei tempi associati

e presuppone la valutazione dei livelli di produttività.

4°. Razionalizzazione, è il criterio metodologico ragionevole, ordinato, facile, funzionale

e sistematico.

5°. Performance, è il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del risultato) che

un‟entità (individuo, gruppo di individui, unità organizzativa, organizzazione,

programma o politica pubblica) apporta attraverso la propria azione al raggiungimento

delle finalità e degli obiettivi ed, in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i

quali l‟organizzazione è stata costituita. Pertanto il suo significato si lega strettamente

all'esecuzione di un'azione, ai risultati della stessa e alle modalità di rappresentazione.

Come tale, pertanto, si presta ad essere misurata e gestita.

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RINGRAZIAMENTI

Dopo quindici anni ho ricominciato a studiare, con fatica, ma con molto entusiasmo.

Se sono arrivata alla fine il merito non è solo mio, ma soprattutto di chi mi ha dato

sostegno nei momenti di insicurezza, coraggio nei momenti di sconforto, consigli per

essere più ragionevole e tranquillità nell’agitazione; ognuno a modo suo ha contribuito a

farmi arrivare alla fine del mio percorso.

A conclusione di questo lavoro ringrazio il Rettore dell’Università Prof. Giovanni

Puglisi, al Direttore del Master Prof. Paolo Moderato, al tutor del master Dott.ssa. Giulia

Sangermani, ai docenti per la loro competenza ed in particolare modo al relatore Dott.

Davide Jabes.

Desidero ringraziare di cuore alla mia famiglia che ha rappresentato il punto fermo in

questo cammino, aiutandomi a superare i momenti di sconforto e trasformandogli in

momenti di tranquillità e sicurezza.

Sono arrivata alla fine e con soddisfazione posso solo dirvi:

GRAZIE!