TESI DOTTORATO FINALE -...

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1 INDICE Riassunto/Abstract Riassunto Pag.5 Abstract Pag.7 1. Introduzione 1.1 Epidemiologia della tubercolosi Pag .9 1.2 I Micobatteri Pag.10 1.3 L’approccio vaccino logico come profilassi della tubercolosi: Mycobacterium bovis BCG 1.4Patogenesi della tubercolosi polmonare umana Pag. 12 1.5 Condizioni ambientali nel periodo di latenza Pag. 13 1.6 Regolazione della trascrizione genica in procarioti Pag. 13 1.7 Promotori micobatterici Pag. 15 1.8 Fattori di trascrizione σ 70 Pag. 16 1.7.1 Struttura dei fattori σ 70 Pag. 17 1.7.2 Struttura dei fattori ECF Pag. 18 1.7.3 Funzione e regolazione dei fattori σ ECF Pag. 20 1.9I fattori σ micobatterici Pag. 21 1.10 Fattori σ in MTB Pag. 22 1.11 L’envelope micobatterio Pag. 26 1.12 Envelope micobatterio: modello attuale di struttura e proprietà Pag. 29 1.13Le proteine PE e PPE Pag. 30

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INDICE

Riassunto/Abstract

Riassunto Pag.5 Abstract Pag.7

1. Introduzione

1.1 Epidemiologia della tubercolosi Pag .9 1.2 I Micobatteri Pag.10 1.3 L’approccio vaccino logico come profilassi della tubercolosi: Mycobacterium bovis BCG 1.4Patogenesi della tubercolosi polmonare umana Pag. 12 1.5 Condizioni ambientali nel periodo di latenza Pag. 13 1.6 Regolazione della trascrizione genica in procarioti Pag. 13 1.7 Promotori micobatterici Pag. 15 1.8 Fattori di trascrizione σ70 Pag. 16

1.7.1 Struttura dei fattori σ70 Pag. 17

1.7.2 Struttura dei fattori ECF Pag. 18 1.7.3 Funzione e regolazione dei fattori σ ECF Pag. 20

1.9I fattori σ micobatterici Pag. 21 1.10 Fattori σ in MTB Pag. 22 1.11 L’envelope micobatterio Pag. 26 1.12 Envelope micobatterio: modello attuale di struttura e proprietà Pag. 29 1.13Le proteine PE e PPE Pag. 30

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1.14Le proteine PPE Pag. 31

2. Scopi del progetto di dottorato

2 a)Studio della regolazione trascrizionale nei micobatteri, prendendo in esame il fattore di trascrizione ECF SigE e il fattore di trascrizione SigF 2.a.1 Il fattore di trascrizione con funzione extracitoplasmatica (ECF) SigE Pag. 33 2.a.2Il fattore di trascrizione SigF Pag. 34 2 b)Studio di una coppia di proteine PE-PPE, con lo scopo di veicolare antigeni sulla superficie micobatterica tramite la fusione con una proteina PPE Pag. 34

3. Materiali e metodi

3.a) Studio della regolazione trascrizionale 3.a.1Ceppi batterici e terreni di coltura Pag. 35

3.a.2 Manipolazione del DNA Pag. 35 3.a.3Elettroporazione di M. tuberculosis e M. smegmatis Pag. 35 3.a.4 Estrazione del RNA Pag. 36 3.a.5 Retrotrascrizione del mRNA Pag. 36 3.a.6 5’RACE (Rapid Amplification of cDNA Ends) PCR Pag. 36 3.a.7 Realtime (RT) PCR quantitative Pag. 37 3.a.8 Costruzione delle fusioni con lacZ e mutagenesis sito-specifica Pag. 37 3.a.9 Saggi di beta-galattosidasi sui ceppi di MTB esprimenti le fusioni traduzionali con lacZ Pag. 39

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3.a.10 Esperimenti di doppio ibrido Pag. 39 3.b) Studio di una coppia di proteine PE-PPE, con lo scopo di veicolare antigeni Sulla superficie micobatterica tramite la fusione con una proteina PPE 3.b.1 Ceppi batterici e terreni di coltura Pag. 40 3.b.2 Manipolazione del DNA Pag. 40 3.b.3 Costruzione dei plasmidi per l’espressione di PPE17 o del suo dominio Pag. 40 PPE (dPPE17) in co-espressione o meno con PE11 3.b.4 Costruzione dei plasmidi per l’espressione di una proteina di fusione tra il dominio PPE (dPPE17) e l’antigene modello Mpt64 e l’antigene multimerico Ag85-ESAt6 di MTB o l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghii Pag. 41 3.b.5 Elettroporazione di M. smegmatis e M. bovis BCG Pag. 43 3.b.6 Saggio di sensibilità alla proteinasi K Pag. 43 3.b.7 Analisi della presenza delle chimere di PPE17 nel surnatante di coltura Pag. 44 3.b.8 Saggio ELISA (Enzyme linked ImmunoSorbent Assay) su cellule intere Pag. 44

4. Risultati e discussione: Studio della regolazione trascrizionale micobatterica

4.1) Studio della regolazione trascrizionale, traduzionale e post-traduzionale del fattore ECF σE di MTB 4.1.1 Caratterizzazione dei promotori del gene sigE Pag. 46 4.1.2 Regolazione dei promotori del gene sigE Pag. 47 4.1.3 Caratterizzazione dei siti d’inizio della traduzione di sigE Pag. 49 4.1.4 Regolazione post-traduzionale di σE Pag. 52

4.2) Studio del ruolo del fattore di trascrizione σF di M. smegmatis nella biosintesi dei carotenoidi, nell’efficienza di trasformazione e nella risposta a trattamento con perossido d’idrogeno 4.2.1 Studio del ruolo del fattore di trascrizione σF di M. smegmatis nella biosintesi dei carotenoidi Pag. 53

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4.2.2 Ruolo di σF nella suscettibilità al perossido d’idrogeno Pag. 54 4.2.3 Ruolo di σF nella frequenza di trasformazione Pag. 54 4.3 Conclusioni: studi sulla regolazione trascrizionale di due fattori σ micobatterici Pag. 54

5. Risultati e discussione: Caratterizzazione della localizzazione di PPE17, per valutare la possibilità di localizzare antigeni sulla superficie micobatteri tramite la loro fusione con il dominio PPE 5.1 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare la localizzazione delle proteine chimeriche PE11-dPPE17-HA, PE11-PPE17-HA, e dPPE17-HA, PPE17-HA Pag. 57 5.2 Analisi della presenza delle proteine di fusione di PPE17 nel surnatante di coltura in M. bovis BCG Pag. 58 5.3 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare la localizzazione delle proteine chimeriche dPPE17-(Δ)Mpt64 Pag. 58 5.4 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare un’eventuale influenza della co-espressione di PE11 nel processo di traslocazione in superficie della proteina chimerica dPPE-Mpt64 Pag. 59 5.5 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare la localizzazione delle proteine di fusione tra dPPE e l’antigene multimerico Ag85-ESAT 6 di M. tuberculosis o l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghei Pag. 60 5.6 Saggio ELISA (Enzyme Linked ImmunoSorbent Assay) su cellule intere. Pag. 61 A)ELISA effettuato sul ceppo esprimente la proteina di fusione dPPE-Mpt64 B) ELISA effettuato sul ceppo esprimente la proteina di fusione dPPE-Mpt64 in presenza/assenza di PE11 5.7 Conclusioni degli studi di caratterizzazione della proteina PPE17 Pag. 62

Bibliografia Bibliografia Pag. 64

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Riassunto

Mycobacterium tuberculosis (MTB) è l’agente eziologico della tubercolosi, patologia che nel mondo causa ogni anno due milioni di morti, con un’incidenza drammatica specie nei Paesi in via di sviluppo. Per poter trovare nuove strategie farmacologiche e vaccinali contro MTB è di fondamentale importanza lo studio dei meccanismi, che permettono la sua sopravvivenza ai vari stress ambientali, ai quali è sottoposto durante il periodo di infezione e latenza nei macrofagi dell’ospite. La fine regolazione della trascrizione di geni specifici in risposta a condizioni di stress e la peculiare struttura della sua parete giocano in merito un ruolo fondamentale. Nella prima parte del progetto di dottorato sono stati caratterizzati due fattori di trascrizione sigma micobatterici, SigE e SigF, che regolano la trascrizione di geni specifici in risposta a vari tipi di stress ambientali, come lo stress di superficie, lo stress ossidativo, il pH alcalino e lo shock termico. Anzitutto è stata studiata la regolazione trascrizionale, traduzionale e posttraduzionale del fattore di trascrizione con funzione extracitoplasmatica (ECF) SigE. Per quanto riguarda lo studio della regolazione trascrizionale, è stato possibile confermare tramite esperimenti di 5’RACE PCR e RT-PCR la presenza di tre promotori di sigE, e a dosare, a seconda delle condizioni ambientali di crescita batterica, il contributo di ciascun promotore nella trascrizione di questo gene. Dato che l’inizio della trascrizione di uno di questi promotori è sito 63 paia di basi a valle del codone di start annotato nel genoma, si è aperta l’ipotesi dell’esistenza di due isoforme di SigE. Mediante fusioni traduzionali tra specifiche sequenze di sigE con lacZ, private del proprio codone di inizio della traduzione, e successive mutagenesi sito-specifiche, è stato possibile confermare, in base all’attività beta-galattosidasica rilevata, l’esistenza di due codoni di start alternativi, un ATC ed un TTG, che codificano per un’isoforma di rispettivamente 218 e 215 di amminoacidi, oltre all’ATG già annotato nel genoma di MTB, che codifica per un’isoforma di 257 amminoacidi. Infine è stato possibile confermare, che il gene a valle di sigE codifica per il fattore anti-sigma di SigE, denominato RseA, in grado di legare entrambe le isoforme di SigE. In un secondo progetto è stato studiato anche il ruolo del fattore SigF di M. smegmatis nella biosintesi di pigmenti carotenoidi, nella resistenza a perossido d’idrogeno e nell’efficienza di trasformazione batterica. Tramite RT-PCR è stato dimostrato che SigF controlla la trascrizione di geni coinvolti nella biosintesi dei pigmenti carotenoidi, e, partendo dal presupposto che essi fungono da protezione contro i radicali liberi, è stato verificato che il mutante per il gene sigF è effettivamente più sensibile rispetto al ceppo selvatico al trattamento con perossido d’idrogeno. Infine è stato dimostrato anche, che il ceppo mutante possiede una maggiore efficienza di trasformazione rispetto al ceppo selvatico, indicando che SigF regola probabilmente la trascrizione di geni coinvolti nella permeabilità della parete. Nella seconda parte del progetto è stata caratterizzata la localizzazione della proteina PPE17 sulla superficie micobatterica. Come altri membri della famiglia PPE, la PPE17 presenta un dominio N-terminale altamente conservato, il quale, in base a diverse evidenze in letteratura, si suppone svolgere un ruolo importante per la loro traslocazione in superficie. Inoltre, si è voluto verificare un’eventuale influenza della presenza della proteina PE11 nel processo di traslocazione in o nella stabilità della PPE17, in quanto la sequenza codificante la PE11 è in tandem e co-trascritta con quella codificante la PPE17, e vi è un’interazione specifica tra queste due proteine.

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I dati ottenuti mediante saggi di sensibilità alla proteinasi K su ceppi di M. smegmatis, esprimenti la PPE17 intera o solo il suo dominio PPE (dPPE17) fuse all’epitopo HA, confermano che la PPE17 intera sia esposta in superficie, sia in presenza che in assenza di PE11. In base ai dati ottenuti si è infine tentato di veicolare un antigene modello (Mpt64) di MTB sulla superficie del ceppo vaccinale M. bovis BCG fondendolo con il dPPE17. Saggi di sensibilità alla proteinasi K e ELISA su cellule intere effettuati su culture di M. bovis BCG esprimenti questa proteina chimerica indicano, che essa sia effettivamente localizzata a livello superficiale. Allo stesso modo sono state costruite due ulteriori fusioni con il dPPE17 per esprimere sulla superficie micobatterica l’antigene multimerico Ag85-ESAT6 di MTB e l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghii. In base a saggi di sensibilità alla proteinasi K svolti su ceppi di M. smegmatis esprimenti le due fusioni anche in questo caso entrambe localizzano in superficie. I ceppi di M. bovis BCG esprimenti questi antigeni sulla loro superficie saranno testati in futuro nel modello del topo per misurare un eventuale aumento della protezione rispetto al ceppo selvatico.

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Abstract

Mycobacterium tuberculosis (MTB) is the causative of tuberculosis, a disease, which causes 2 millions of death every year, with a dramatic incidence especially in developing countries. To find new drug and vaccine strategies against MTB, it is of fundamental importance to study the mechanisms, that allow its survival to environmental stresses, to which it is subjected during the period of infection and latency in the host macrophages. The fine transcriptional regulation of specific genes in response to stress conditions and the peculiar structure of its wall play a key role on this. In the first part of the PhD project two mycobacterial sigma factors, SigE and SigF, which regulate the transcription of specific genes in response to various environmental stresses such as surface stress, oxidative stress, alkaline pH and thermal shock, have been characterized. First the transcriptional regulation, translational and post-translational regulation of the extracytoplasmic function (ECF) transcription factor SigE were studied. Regarding the study of the transcriptional regulation, it was possible to confirm by 5'RACE PCR and RT-PCR experiments the presence of three promoters of sigE, and to determine the contribution of each promoter in the transcription of this gene, depending on the environmental conditions of bacterial growth. The fact, that the transcriptional start codon of one of these promoters is located 63 base pairs downstream of the start codon annotated in MTB genome opened the possibility of the existence of two isoforms of Sige. By translational fusions between specific sequences of sigE with lacZ, deprived of its own translational initiation codon, and subsequent site-specific mutagenesis, it was possible to confirm, based on further beta-galactosidase activity detection, the existence of two alternative start codons, an ATC and a TTG, coding for an isoform of respectively 218 and 215 of amino acids, in addition to the ATG already annotated in MTB genome, which encodes for an isoform of 257 amino acids. Finally, it was possible to confirm, that the gene downstream sigE encodes for the anti-sigma factor of SigE, called RseA, capable of binding both isoforms of SigE. In a second project also the role of the factor SigF M. smegmatis in the biosynthesis of carotenoid pigments, resistance to hydrogen peroxide and in the efficiency of bacterial transformation was studied. By RT-PCR it has been shown, that SigF controls the transcription of genes involved in the biosynthesis of carotenoid pigments, and, assuming that they serve as protection against free radicals, it was verified that the sigF mutant strain is actually more sensitive compared to the wild type strain to treatment with hydrogen peroxide. Finally, we also demonstrated, that the mutant strain has a higher transformation efficiency than the wild type strain, indicating that SigF regulates the transcription of genes possibly involved in the permeability of the cell wall. In the second part of the project, the localization of the protein on the surface PPE17 mycobacteria was characterized. Like other members of the PPE family, the PPE17 has a highly conserved N-terminal domain, which, based on different evidences in literature, is assumed to play an important role in their translocation to the mycobacterial surface. Moreover, it was investigated the possible influence of the presence of PE11 in the translocation process or in the stability of PPE17, as the PE11 coding sequence is in tandem and co-transcribed with that encoding the PPE17, and there is a specific interaction between these two proteins. The data obtained by proteinase K sensitivity assays performed on M. smegmatis strains, expressing the entire PPE17 or only its domain PPE (dPPE17) fused with the HA epitope, confirm, that the entire PPE17 is exposed on the surface, both in the presence and absence of PE11.

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According to data obtained, the possibility to translocate the MTB model antigen (Mpt64) on the surface of the vaccine strain M. bovis BCG, by fusing them with the dPPE17 was tested. Proteinase K and whole cell ELISA assays performed on cultures of M. bovis BCG expressing this chimeric protein indicate, that it is indeed localized at the mycobacterial surface. Similarly, another two fusions with dPPE17 were constructed to express on the mycobacterial surface the multimeric MTB antigen AG85-ESAT6 of MTB and the Csp C3 antigen of Plasmodium bergii. According to the proteinase K sensitivity assays carried out on strains of M. smegmatis expressing the two chimeric proteins indicate that also in this case both are localized at the surface. The strains of M. bovis BCG expressing these antigens on their surface will be tested in future in the mouse model to measure any increase in protection compared to the wild type strain.

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1. INTRODUZIONE 1.1 Epidemiologia della tubercolosi Ancora oggi la tubercolosi è la maggior causa di decesso per un singolo agente infettivo (Raviglione, 2003). La sua storia risale a tempi antichi, dato che ci sono testimonianze della sua esistenza sin dal 3000-5000 a.C. A causa delle condizioni di vita poco salubri e del sovraffollamento questa malattia ha continuato a mietere numerose vittime nel corso dei secoli, in Europa in particolar modo tra il XVIII e il XIX secolo. Nel XX secolo però, grazie al miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi industrializzati e in particolar modo alla scoperta negli anni 1940-50 di vari farmaci in grado di curare questa malattia (streptomicina, isoniazide e pirazinamide), il numero di casi decrebbe fino ai primi anni ottanta, lasciando credere che questa piaga fosse davvero stata sconfitta una volta per tutte. Negli ultimi vent’anni però sono subentrati diversi fattori che hanno contribuito ad una nuova diffusione di questa malattia:

- l’ epidemia di HIV: pazienti immunodepressi hanno una maggior probabilità di essere contagiati. Inoltre corrono un rischio di 30 volte maggiore che l’infezione latente evolva nella malattia in confronto a persone sane.

- l’ aumento del numero di immigrati: essi arrivano infatti da zone dove c’è ancora un’alta

incidenza di questa malattia, e ben pochi mezzi per curarla. Inoltre le loro condizioni di vita precarie e il difficile accesso al servizio sanitario aumentano il rischio di diffusione della malattia.

- l’ aumento di emarginati sociali: anche tossicodipendenti, senza dimora, carcerati,

istituzionalizzati vivono in pessime condizioni igienico-sanitarie, incrementando il numero di contagiati.

- la comparsa di ceppi multiresistenti ai farmaci.

- la convinzione che questa malattia fosse ormai già sconfitta: l’ottimismo era tale, che se ne

prevedeva la completa scomparsa entro l’anno 2000. Secondo indagini statistiche dell’ “Organizzazione Mondiale della Sanità” (OMS) datate 2004, più di un terzo della popolazione mondiale risulta essere contagiato da questo microrganismo, che porta alla morte 3 milioni di persone ogni anno. Questi dati allarmanti hanno portato a riconoscere finalmente che la tubercolosi è ancora oggi uno dei problemi di salute pubblica più gravi e trascurati nel mondo. A causa di ciò l’ OMS ha ritenuto opportuno cambiare la sua politica e le sue strategie di controllo in merito a ciò che ora lei stessa definisce una“global health emergency”, adeguandole alle nuove scoperte scientifiche in collaborazione con l’ “International Union Against Tuberculosis and Lung Diseases”.

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1.2 I micobatteri: Mycobacterium tuberculosis (MTB) I micobatteri appartengono all’ordine degli Actinomycetales, alla famiglia delle Mycobacteriaceae e al genere Mycobacterium. Questi microrganismi sono aerobi obbligati di forma bastoncellare (2-3 µm di lunghezza e 0,3 µm di larghezza) o leggermente incurvata, e possono sviluppare strutture filamentose. Immobili e asporigeni, vengono generalmente considerati gram+, anche se la colorazione è disomogenea. La maggior parte dei micobatteri è ambientale, crescono in acqua o su suolo con una temperatura di crescita ottimale compresa tra i 30 e i 39°C, e hanno la capacità di degradare diversi composti organici (Murray, 2005). Vengono chiamati anche MOTT, ovvero “Mycobacteria Other Than Tuberculosis”. Esiste però anche un secondo gruppo di micobatteri, a cui fa capo Mycobacterium tuberculosis (MTB), in grado di divenire patogeni intracellulari dei vertebrati superiori. Il tasso di crescita e la differente pigmentazione a seconda della presenza-assenza di luce costituiscono altri due parametri usati per la classificazione delle specie di questo genere, che mostrano comunque grande variabilità. Fu Robert Koch nel lontano 1882 a isolare per primo MTB, il bacillo che provoca la tubercolosi nell’uomo (detto da allora anche “bacillo di Koch” in suo onore), e a dimostrare che esso era effettivamente l’agente eziologico di questa malattia (Kaufmann et al., 2003). Come tutti i micobatteri anch’esso è aerobio obbligato e presenta una velocità di crescita tra le più lente rispetto agli altri batteri, replicando infatti solo ogni 18-24 ore. Un’altra peculiarità che contraddistingue MTB è la sua particolare parete, uno dei fattori che contribuiscono alla sua capacità di sopravvivere in condizioni ambientali estreme, come ad esempio all’interno dei fagociti dell’ospite, nei quali è in grado di restare latente anche per anni. Inoltre, essendo molto spessa e dunque poco permeabile, la parete svolge un ruolo importante nella resistenza di MTB contro molti antimicrobici, come per esempio i β-lattamici. La parete di MTB è costituita al 60% di lipidi, ed infatti ben 250 dei geni del suo genoma codificano per proteine coinvolte nel metabolismo degli acidi grassi. L’elevato contenuto in lipidi rende i micobatteri più resistenti di altre forme vegetative al calore, all’essicamento, ai disinfettanti e ai trattamenti decoloranti effettuati con miscele acido-alcol. La struttura della parete, che verrà discussa più dettagliatamente in seguito, è composta da tre substrutture covalentemente legate tra loro, ovvero peptidoglicano, arabinogalattano (AG) e acidi micolici (Brennan et al., 1995). L’AG è costituito da un polimero di arabinosio e galattosio legato tramite legame fosfodiesterico al peptidoglicano. 2/3 delle subunità di arabinosio sono esterificate con acidi micolici, particolari acidi grassi ramificati con una coda idrocarburica insatura a 60-90 atomi di C contente anche gruppi ciclopropanici e funzioni ossidriliche, e un’altra coda idrocarburica satura più corta da 22-40 atomi di C. Lo strato più esterno è composto da glicolipidi, legati agli acidi micolici tramite interazioni idrofobiche. Il lipoarabinomannano (LAM), composto da diversi liposaccaridi fosforilati, si estende su tutto lo spessore della parete fino alla superficie esterna, alla quale esso è ancorato. 1.3 L’approccio vaccinologico come profilassi della tubercolosi: Mycobacterium bovis BCG Il ceppo di M. bovis Calmette e Guerin (conosciuto come BCG) è ad oggi l’unico vaccino

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disponibile per la prevenzione della tubercolosi. E’ stato distribuito a partire dal 1920, e a oggi più di tre miliardi di individui sono stati vaccinati con tale vaccino. Esso contiene microrganismi vivi di un ceppo attenuato di M.bovis, geneticamente identico al 99,9% a MTB, ottenuto da Calmette e Guerin attraverso passaggi seriali di colture di M.bovis su fettine di patata imbevute con il glicerolo e monitorando la riduzione della loro virulenza (Brosch et al., 2007). La maggior differenza del ceppo BCG col ceppo selvaggio è rappresentato dalla delezione di una regione genica, denominata RD1, che contiene geni essenziali per la virulenza. E’ stato dimostrato che il ceppo BCG risulta essere protettivo contro particolari forme di tubercolosi che affliggono i bambini (ad es. tubercolosi miliare e meningite tubercolare), raggiungendo una percentuale di copertura pari all’80% dei casi (Fine, 1995). Tuttavia la protezione conferita da BCG contro la tubercolosi polmonare, che rappresenta la patologia più grave e frequente nella popolazione adulta, può variare da 0% all’80% a seconda della popolazione, del paese, e del ceppo di BCG utilizzato. Sono state avanzate diverse idee per spiegare lo scarso effetto protettivo di BCG contro la tubercolosi polmonare. Infatti esistono fattori legati direttamente al vaccino come un trattamento inadeguato, condizioni scorrette di mantenimento di questo o ceppi di BCG non adeguati che possono influire pesantemente sulla capacità protettiva della preparazione di BCG utilizzata per la vaccinazione. Inoltre sono molte le ipotesi che contemplano un deficit nell’induzione di una corretta risposta immunitaria da parte di BCG. Si ritiene che ciò sia dovuto principalmente alle seguenti cause (Agger e Andersen., 2002):

- BCG non è in grado di indurre i sottogruppi di cellule T appropriati ed in particolare le cellule CD8+;

- BCG manca di importanti antigeni come l’antigene Mpt64. Questa proteina costituisce uno degli antigeni immuno dominanti di M.tuberculosis e fa parte del repertoire di antigeni secreti dal batterio durante il processo infettivo;

- Micobatteri ambientali interagiscono con BCG. Esiste la possibilità che la pre esposizione a micobatteri ambientali possa inficiare l’efficacia del vaccino.

I tentativi attuali di sviluppare una strategia vaccinale per Mtb seguono principalmente due approcci: il primo prevede la sostituzione di BCG con un vaccino più efficace, il secondo un vaccino di richiamo che sfrutti la precedente vaccinazione effettuata con BCG durante l’infanzia dei soggetti (Andersen, 2007). Per quanto riguarda il primo approccio, quello che si cerca di ottenere sono ceppi di micobatteri ottenuti o attraverso la delezione di geni per ottenere nuovi mutanti attenuati di M.tuberculosis oppure re introducendo importanti antigeni o altri fattori nel pre esistente vaccino BCG. Tali nuovi vaccini non solo devono risultare più potenti nel generare una protezione di BCG, ma devono essere testati per valutarne la sicurezza prima di essere considerati per eventuali trials clinici. Ad oggi sono due i ceppi ricombinanti di BCG (rBCG) che hanno affrontato, o sono in procinto di farlo, test clinici: rBCG30 e rBCG ΔureC:Hly. Il primo è un ceppo di BCG che esprime sotto il controllo di un promotore forte l’antigene 85B (Ag85B). La sua aumentata espressione risulta in un aumento della risposta verso questo antigene benché esso sia già prodotto e secreto da BCG (Horwitz et al.,2003). Il secondo è progettato per aumentare la risposta delle cellule T CD8+ dovuta a BCG. Infatti tale ceppo ricombinante esprime la listerio lisina che ha il compito di perforare la membrana del fagosoma e permettere alle componenti dei micobatteri di arrivare al citosol, di essere processate dal sistema MHC-I e di essere presentate con maggiore efficacia alle cellule T CD8+. Inoltre è stato deleto il gene che codifica per l’ureasi di BCG per garantire un pH sufficientemente acido nel fagosoma e l’attività della listerio lisina (Grode et al., 2005).

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La seconda strategia prevede come detto una sorta di richiamo al primo vaccino effettuato con BCG. Lo scopo di tale metodo è quello di ottenere un aumento della risposta immunitaria e di prolungare l’immunità in modo da proteggere anche la popolazione adulta. Questo tipo di vaccinazione si ritiene possa essere sviluppata mediante la costruzione di vaccini a sub unità, basati su un numero ristretto di antigeni fusi in poliproteine in modo da amplificare le proprietà immunogene di essi. La molecola di fusione Ag85B-ESAT6 (definita H1) unisce due tra gli antigeni secreti da M.tuberculosis ed è risultata promettente se somministrata per via parenterale o mucosale (Agger et al., 2006, Dietrich et al., 2006). Tale vaccino sta affrontando un trial clinico su individui PPD positivi dopo che nel precedente su individui PPD negativi si era dimostrato sicuro e fortemente immunogenico. Eventualmente si può pensare anche ad una strategia combinata (prime-boost vaccination), che preveda una prima vaccinazione con il miglior candidato tra i vaccini vivi e un richiamo con il miglior candidato tra i vaccini a sub unità (Andersen, 2007). Ma al momento la vera questione da definire è quale sia la relazione tra la risposta immunitaria a BCG e la effettiva protezione generata nei soggetti vaccinati. Gli studi in tale direzione sono molti e fortunatamente supportati, almeno da circa dieci anni, dalla conoscenza del genoma di M.tuberculosis. Le informazioni derivanti da tale conoscenza hanno segnato un vero e proprio spartiacque nell’approccio alla comprensione della biologia di questo organismo che ha subito una sensibile accelerazione. 1.4 Patogenesi della tubercolosi polmonare umana La trasmissione di MTB da ospite ad ospite avviene tramite l’inalazione di goccioline di saliva infette: solo una piccola parte di batteri raggiunge però gli alveoli polmonari, dove i batteri si annidano, a causa dell’alta tensione dell’ossigeno, di cui necessitano, essendo aerobi obbligati. Lì si depositano innescando un processo infiammatorio, inizialmente di tipo ”essudativo”, che porta ad un intenso accumulo di cellule fagocitarie. I micobatteri vengono fagocitati dai macrofagi alveolari, nei quali possono restare latenti anche per l’intera vita dell’ospite (parassiti intracellulari). Linfociti T specifici stimolati nei linfonodi di drenaggio producono un contenimento dei batteri in piccole lesioni granumolatose a livello polmonare (tubercoli polmonari), per cui si instaura un equilibrio dinamico tra persistenza batterica e risposta immunitaria difensiva: le lesioni si trasformano in un’infezione cronica paucibacillare, assolutamente asintomatica, in cui i batteri restano latenti nei macrofagi dell’ospite fino a quando un abbassamento delle difese immunitarie porta ad una “riattivazione” dei batteri, ovvero inizia la loro fase virulenta (Smith, 2003). Essi iniziano di nuovo a moltiplicarsi con conseguente formazione di lesioni granulomatose multiple, che in seguito a necrosi e a colliquazione della porzione centrale del granuloma, possono svuotarsi e rilasciare i patogeni. La conseguenza è una diffusione metastatica dell’infezione in altre sedi sia polmonari che extrapolmonari (tubercolosi meningea, renale, miliare, etc.), ma anche nelle cavità bronchiali con l’emissione di espettorato bacillifero, che è la fonte della trasmissione della malattia da individuo ad individuo.

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1.5 Condizioni ambientali nel periodo di latenza Nel periodo di infezione dell’ospite e durante la sua latenza nei fagosomi, MTB è costretto a subire drastici cambiamenti ambientali. È infatti sottoposto a diversi tipi di stress, tra cui:

il pH acido: MTB, pur avendo la capacità di bloccare la maturazione del fagosoma non blocca completamente la sua acidificazione (Deretic et al, 1999).

Gli agenti ossidanti: nei macrofagi attivati vengono prodotti intermedi reattivi dell’ossigeno

e dell’azoto (Nathan et al., 2000).

L’ipossia (Wayne et al., 2001).

Il sulfattante alveolare a cui è sottoposto il batterio quando raggiunge i polmoni dell’ospite: essendo un detergente danneggia la struttura della parete ricca in acidi grassi (Best et al., 1990).

I peptidi e le proteine tossici rilasciati dai macrofagi attivati (Dieli et al.,2001).

La carenza di elementi necessari alla crescita all’interno del fagosoma, come il ferro e il magnesio (Gold et al., 2003 e Buchmeier et al., 2002; Piddington et al., 2000).

MTB ha la capacità di resistere ed adattarsi a questo ambiente ostile sia grazie alla peculiare struttura della sua parete, che mediante l’ attivazione trascrizionale di particolari reguloni, i cui prodotti genici sono responsabili della risposta fisiologica allo stress. Risulta dunque di vitale importanza riuscire a caratterizzare meglio sia la struttura e composizione della parete, sia i meccanismi genici che stanno dietro alla capacità di adattamento di MTB, sia per capire meglio la fisiologia del batterio e che per poter sviluppare nuovi vaccini contro la tubercolosi. 1.6 Regolazione della trascrizione genica nei procarioti La trascrizione di un gene da DNA ad mRNA viene eseguita dall’enzima RNA polimerasi (RNAP). La maggior parte delle informazioni riguardanti la struttura della polimerasi e il processo di trascrizione deriva da vari studi eseguiti su Escherichia coli (Burgess 1976), anche se la struttura base dell’enzima pare essere conservata nella maggior parte dei batteri.

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L’ RNAP procariotica è un enzima oligomerico composto da cinque subunità. Due copie di subunità α, una subunità β e una β’ formano un complesso stabile, chiamato anche core RNAP. La subunità α è coinvolta nel legame iniziale dell’enzima al DNA. Le subunità β e β’ interagiscono rispettivamente direttamente con il template e l’RNA perlomeno durante l’elongazione, e formano il canale attraverso il quale si spostano il DNA e l’RNA durante la trascrizione. Nella subunità β è contenuto il sito attivo dell’enzima (Kashlev et al., 1990). Il riconoscimento dei siti specifici dove iniziare la trascrizione avviene mediante l’interazione del complesso trascrizionale con i fattori σ (Fig. 1.1). Essi hanno la capacità di localizzare la RNAP su determinati punti del DNA, chiamati promotori. I promotori sono delle regioni a monte del punto di inizio di trascrizione dei geni, che contengono sequenze caratteristiche (dette anche sequenze consenso) riconosciute dai fattori σ. Queste sequenze si trovano generalmente a -35 e -10 bp dall’inizio della trascrizione del gene da trascrivere, anche se si è visto che la distanza dall’inizio della trascrizione è variabile nei batteri, come variabili sono anche le sequenze consenso (a dare la specificità dei diversi fattori σ), anche se sono state trovate analogie tra le sequenze riconosciute da fattori σ simili nelle varie specie. La sequenza -10 è una regione di 6 basi che può trovarsi comunque in un intervallo compreso tra le 9 e 18 basi adiacenti al sito di inizio della trascrizione. Tipicamente la sua sequenza consenso in E. coli è T77 A76 T60 A61 A56 T82, dove i pedici stanno ad indicare la percentuale di probabilità di trovare la rispettiva base: ne deriva dunque che le due basi iniziali e la T finale, altamente conservate, svolgono il ruolo più importante per il riconoscimento del fattore σ e per la conversione del complesso chiuso nel complesso aperto (attivo). La sequenza consenso -35 è invece (sempre in E. coli) T69 T79 G61 A56 C54 A54 e pare essere implicata nel riconoscimento del complesso RNAP-fattore σ. Essa si trova generalmente tra le 16 e le 18 basi prima della regione -10. La distanza tra le due regioni è importante per rispettare la geometria della polimerasi. Studi di mutazioni eseguiti sulle zone promotrici hanno dimostrato che mutazioni che portano ad un aumento dell’affinità ad una regione consenso, o ad una distanza di non più di17 basi tra le due regioni, incrementano la trascrizione (up mutation), viceversa mutazioni che abbassano l’affinità o aumentano la distanza tra le due regioni diminuiscono la quantità di trascrizione rispetto al wild type (vedi “Gene VI”).

Trascrizione nei batteri: Ciclo RNAP-fattore σ

t… filamento trascritto

p… promotore

polimerasi

σ

-35 -10

Start point

Start point

Figura 1.1: Ciclo RNAP-fattore σ durante la trascrizione genica in batteri

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Usualmente i batteri hanno un fattore σ principale, espresso costitutivamente, che è adibito al riconoscimento dei promotori responsabili dell’espressione dei geni housekeeping, più un numero variabile di fattori σ alternativi, non essenziali in condizioni fisiologiche standard, che vengono attivati in risposta a condizioni ambientali particolari e che sono responsabili della trascrizione di set genici importanti per la risposta allo stimolo ambientale dal quale sono stati attivati. Subito dopo che l’oloenzima RNAP-fattore σ si è attaccato, la subunità rappresentata dal fattore di trascrizione si stacca rendendolo libero di legarsi ad un’altra RNAP e ricominciare il ciclo, mentre l’elongazione viene portata a termine dalla sola polimerasi (Fig. 1.1). 1.7 Promotori micobatterici Il genoma dei micobatteri è molto ricco in G e C, e questo ovviamente può portare ad una variazione della sequenza delle regioni consenso (Fig. 1.2). Per questo motivo spesso è difficile riuscire a distinguerle, sia in MTB, che negli altri micobatteri, come in diversi rappresentanti degli actinomiceti in generale (p.e. in Streptomyces coelicolor). Recentemente sono stati eseguiti diversi studi, di cui uno sui promotori di 80 geni di MTB, con lo scopo di riuscire a generare una matrice per le sequenze degli esameri -10 e –35 specifiche per questo batterio. In figura 2 sono rappresentate le sequenze consenso che interagiscono rispettivamente con le subunità 4.2 e 2.4 dei fattori σ di E. coli paragonate a quelle dei micobatteri. I pedici indicano la probabilità di riscontrare una determinata base.

Figura 1. 2: ( Smith et al., 2005) Sequenze consenso di promotori micobatterici. Nella prima fila sono rappresentate le regioni consenso dei promotori di E.coli . Nella seconda e nella terza fila sono illustrate le due diverse classi di sequenze di regioni consenso riscontrate durante l’analisi di 80 geni micobatterici. Nella seconda riga sono rappresentati i risultati ottenuti in 69 geni, e nella terza quelli ottenuti dai restanti 11. I pedici indicano la frequenza con cui si è riscontrata la determinata base: R sta per A o G, S sta per C o G, M sta per A o C e W sta per A o T. Sotto sono segnate le distanze (in paia di basi) delle varie regioni dall’inizio della trascrizione. Si è potuto notare che le regioni consenso micobatteriche sono suddivisibili in due classi differenti: una di esse è rappresentata da promotori con sequenze consenso simili a quelle di E. coli (Fig. 1.2, seconda riga dall’alto). All’altra invece appartengono una serie di regioni consenso molto ricche in G e C (Fig. 1.2, terza riga dall’alto). Per questo motivo i promotori che le contengono sono stati definiti anche promotori “SigGC”. Essi sono probabilmente unici del genere micobatterico.

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Inoltre in diversi geni la -10 è situata ad una distanza dal sito di inizio della trascrizione leggermente maggiore di quella riscontrata nei geni di E. coli, ovvero a 14-16 nucleotidi. Questa caratteristica è tipica per promotori che non hanno una regione -35 conservata, come accade spesso anche per i promotori micobatterici. Sono stati svolti ulteriori studi di mutazioni in batteri, nei quali è stata deleta una delle due regioni, oppure sostituita la sola regione -35 con sequenze random di DNA, per verificare fino a che punto fossero coinvolte le due regioni nella promozione dell’inizio della trascrizione (Smith et al., 2005). I risultati dimostrano che per il funzionamento del promotore almeno una delle due regioni deve essere presente, e che, tra le due, la -10 è la più importante. Inoltre, in casi dove non sembrava esserci una precisa sequenza consenso -35, si sono osservati comunque contatti tra la polimerasi e il promotore nella regione corrispondente. Infatti studi di omologia tra sequenze consenso micobatteriche e quelle di E. coli, dimostrano che la regione -10 è altamente conservata tra le due speci, mentre la -35 è molto variabile, in modo da permettere il riconoscimento di un promotore solo ai fattori di trascrizione specifici per quella determinata -35 (Bashyam et al, 1996). Infine è importante aggiungere che in molti casi promotori micobatterici con regioni consenso simili a quelli E. coli non vengono comunque riconosciuti dalla RNAP di quest’ultimo, a dimostrazione che devono esistere anche altri fattori importanti non ancora conosciuti che influenzano il riconoscimento dei promotori nei micobatteri. Nel genoma batterico può capitare spesso di trovare due promotori adiacenti o sovrapposti, o addirittura trascritti in direzione opposta. Inoltre molti geni sono sotto il controllo di promotori multipli. L’uso di promotori diversi che però sottostanno ad un sistema di controllo comune, è un’interessante strategia del batterio per permettergli di “economizzare” sullo spazio, dato che il suo genoma è relativamente piccolo: per esempio il legame della polimerasi con un promotore può a sua volta impedire il legame ad un promotore adiacente, oppure possono esserci diverse sequenze consenso sullo stesso promotore riconosciute da fattori σ diversi, per cui la trascrizione dello stesso gene può avvenire anche in seguito a stimoli diversi. 1.8 Fattori di trascrizione σ70 I fattori σ batterici sono suddivisi in due classi distinte, che presentano una quasi nulla omologia di sequenza tra loro. Una di esse è rappresentata da fattori σ strutturalmente simili alla subunità σ70 di E. coli, denominati dunque anche fattori σ70. All’altra appartengo invece i fattori simili al fattore σ54 di E. coli (Wösten et al., 1998). La famiglia dei fattori σ70 è suddivisa in ulteriori due sottofamiglie:

Fattori σ primari: essi sono a loro volta suddivisi in due gruppi: ad uno appartengono i fattori essenziali per la trascrizione di geni housekeeping. È stato dimostrato che la presenza di questi fattori è indispensabile per la sopravvivenza dei batteri. All’altro appartengono invece i fattori σ primary-like o non essenziali: essi sono coinvolti in genere nella sopravvivenza del batterio in fase stazionaria, ma non sono essenziali in caso di crescita in condizioni fisiologiche standard. Strutturalmente assomigliano molto ai fattori σ primari.

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Fattori σ alternativi: sono coinvolti nella regolazione della trascrizione genica in risposta a variazioni ambientali. La maggiore sottofamiglia di questo gruppo è quella degli ECF o (extracytoplasmic functions), che partecipano normalmente alla risposta a stimoli ambientali che coinvolgono la superficie batterica.

1.8.1 Struttura dei fattori σ70

La struttura dei fattori σ delle diverse speci batteriche mostra un alto grado di omologia. Mediante studi comparativi di diversi fattori σ70 batterici, si è potuto identificare quattro regioni altamente conservate (Gribskov et al., 1986; Helmann et al., 1991; Stragier et al., 1985). Ognuna di esse svolge una determinata funzione, alcune sono adibite al riconoscimento delle regioni consenso specifiche dei promotori: altre hanno invece un ruolo nel legame con l’RNAP o nell’apertura del doppio filamento. Le regioni 2 e 4 sono le più conservate e tendono ad essere molto basiche, mentre è stata trovata una minor omologia tra le sequenze delle regioni 1 e 3, che sono risultate essere inoltre maggiormente acide. Si è potuto constatare anche una regione d’inserzione non conservata in molti fattori tra le zone 1 e 2. Mediante analisi delle singole strutture delle diverse regioni conservate, si è potuto risalire alle loro differenti funzioni (Lonetto et al., 1992): Regione 1: La regione 1 è ulteriormente suddivisibile in due sottoregioni, 1.1 e 1.2. La regione 1.1 è presente solo nei fattori σ primari ed è poco conservata.

La regione 1.2 è invece conservata in quasi tutti i fattori σ primari ed alternativi, lasciando ad intendere che questa zona abbia un preciso ruolo strutturale e funzionale.

Regione 2: La regione 2 consiste di quattro sottoregioni 2.1-2-3 e 4, ed è la regione maggiormente conservata di questa famiglia di proteine. È stato dimostrato che la delezione di questa regione porta ad una minor affinità di σ70 di E. coli alla RNAP, suggerendo che questa zona abbia la funzione di facilitare il legame del fattore di trascrizione con essa. La regione 2.2 è la maggiormente conservata, contenente 4 residui invariati e diversi altri altamente conservati. Le regioni 2.1 e 2.3 paiono svolgere un ruolo nell’apertura del filamento di DNA, essendo strutturalmente molto simili alle ribonucleoproteine eucariotiche: contengono infatti un numero considerevole di residui aromatici. È stato dimostrato inoltre che la delezione della regione 2.3 porta ad una apertura difettosa del doppio filamento (Jones et al., 1992). La regione 2.4 è implicata nel riconoscimento delle regioni consenso -10 dei promotori batterici. La struttura secondaria ad α elica contornata da diversi foglietti β è conservata in tutte le specie batteriche e crea contatti sequenza-specifici necessari per il legame del fattore σ con la specifica regione promotrice. La regione 2.4 è particolarmente conservata tra i vari fattori σ primari, che riconoscono infatti consenso -10 simili, mentre si è riscontrata una

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maggior variabilità nei riguardi dei fattori σ alternativi, che riconoscono infatti sequenze consenso diverse. Regione 3: La regione 3 è suddivisa in due sottogruppi, 3.1 e 3.2. La regione 3.1 è la più conservata, ed assume una struttura secondaria simile alla struttura helix-turn-helix (HTH) tipicamente adibita al legame con il DNA. La regione 3.2 invece contiene diversi residui acidi in posizioni conservate, e pare essere adibita al legame con la RNAP. Infatti la delezione di questa regione porta ad una minore affinità della proteina mutante alla RNAP, la quale mantiene però comunque tutte le altre funzioni della proteina nativa (Margolis et al., 1991). Questa regione è altamente conservata nei fattori σ primari, mentre nei fattori σ alternativi è poco conservata o addirittura assente, quindi pare svolgere un ruolo nel legame con la polimerasi solo per i fattori primari. Regione 4: La regione 4 è adibita al riconoscimento della consenso -35 e consiste di due sottoregioni, 4.1 e 4.2., separate da uno spaziatore di diversa lunghezza e sequenza. La regione 4.1 si presenta sotto forma di α elica, lo spaziatore in genere forma una sorta di loop, mentre la regione 4.2 contiene un motivo HTH. Queste regioni sono altamente conservate nei fattori σ primari, mentre sono abbastanza variabili in quelli alternativi, essendo diverse anche le regioni -35 da essi riconosciuti. Una rappresentazione della localizzazione delle quattro regioni in diversi fattori σ è visibile in figura 1.3. 1.8.2 Struttura dei fattori ECF Gli ECF appartengono al gruppo dei fattori σ alternativi, e dunque alla famiglia dei fattori σ70, sebbene siano stati racchiusi in un sottogruppo a se stante, a causa delle divergenze rispetto agli altri rappresentanti di questo gruppo. Studi di allineamento hanno dimostrato omologie di tre regioni su quattro rispetto ai restanti fattori σ (Lonetto et al., 1994). Infatti la maggior parte dei residui della regione 2 e tutti quelli della regione 4 sono conservati negli ECF (Fig. 1.3). Le differenze maggiori sono state riscontrate nelle regioni 2.4 e 3. La regione 1 è presente solo in alcuni degli ECF, a dimostrazione che essa non è essenziale per il funzionamento dei fattori di trascrizione. La regione 2 è la regione maggiormente conservata tra tutti i fattori σ, sebbene vi siano alcune differenze nelle regioni 2.3 e 2.4 degli ECF rispetto agli altri rappresentanti di questa famiglia.Infatti in studi di allineamento è stato necessario inserire un gap nella regione 2.3 degli ECF rispetto ai fattori σ primari, per mantenere invariata la struttura di residui aromatici adibiti all’apertura del doppio filamento (Fig. 1.3, in rosso). La regione 2.4 di alcuni ECF è carente invece del set di aa idrofobici presente negli altri fattori σ70, che svolge il ruolo di spaziatore con la regione 3.1.

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La regione 2.4 ha la funzione del riconoscimento della consenso -10, per cui è tipica per le -10 specifiche riconosciute dagli ECF. Infatti questa regione è maggiormente conservata negli esponenti degli ECF con preferenzialità per gli stessi promotori. Il fatto che gli ECF siano particolarmente più corti rispetto agli altri membri dei fattori σ70 è dovuto alla loro relativamente corta regione 3. É ipotizzabile che l’alterazione della regione 2 compensi per la regione 3 tronca in modo da rendere possibile il riconoscimento delle consenso -10 e -35 da parte delle regioni 2 e 4. La regione 4 è simile a quella degli altri fattori σ, contenendo sia l’α elica di riconoscimento della -35 in regione 4.1 che il motivo HTH in regione 4.2. Ciò nonostante sono state riscontrate differenze per quanto riguarda la struttura dell’elica adibita al riconoscimento della -35 di 4.1 e il cluster di amminoacidi basici siti a valle del motivo HTH in regione 4.2 (Lonetto et al., 1994). A scopo illustrativo delle differenze riscontrate, è stato eseguito il seguente studio di allineamento tra diversi fattori σ ECF e il fattore σ primario σA di MTB. Dato che gli studi di questo lavoro riguardano prettamente il fattore σE, sono stati evidenziati in blu gli aa degli altri fattori σ identici a quelli della suddetta proteina: multiple sequence alignment sigEMTB ------------------------------------------------------------ sigESMG ------------------------------------------------------------ sigHMTB ------------------------------------------------------------ sigRcoel ------------------------------------------------------------ sigWsubt ------------------------------------------------------------ sigEcoel ------------------------------------------------------------ sigAMTB VAATKASTATDEPVKRTATKSPAASASGAKTGAKRTAAKSASGSPPAKRATKPAARSVKP 60 sigEMTB ------------------------------------------------------------ sigESMG ------------------------------------------------------------ sigHMTB ------------------------------------------------------------ sigRcoel ------------------------------------------------------------ sigWsubt ------------------------------------------------------------ sigEcoel ------------------------------------------------------------ sigAMTB ASAPQDTTTSTIPKRKTRAAAKSAAAKAPSARGHATKPRAPKDAQHEAATDPEDALDSVE 120 sigEMTB ------------------------------------------------------------ sigESMG ------------------------------------------------------------ sigHMTB ------------------------------------------------------------ sigRcoel ------------------------------------------------------------ sigWsubt ------------------------------------------------------------ sigEcoel ------------------------------------------------------------ sigAMTB ELDAEPDLDVEPGEDLDLDAADLNLDDLEDDVAPDADDDLDSGDDEDHEDLEAEAAVAPG 180 sigEMTB ----------------------------MELLGGPRVGNTESQLCVADGDDLPTYCSANS 32 sigESMG ------------------------------------------------------------ sigHMTB ------------------------------------------------------------ sigRcoel ------------------------------------------------------------ sigWsubt ------------------------------------------------------------ sigEcoel ------------------------------------------------------------ sigAMTB QTADDDEEIAEPTEKDKASGDFVWDEDESEALRQARKDAELTASADSVRAYLKQIGKVAL 240 sigEMTB EDLNITTITTLSPTSMSHPQQVRDDQWVEPSDQLQGTAVFDATGDKATMPSWDELVRQHA 92 sigESMG ---------------MAHLEQFTDSDWVEPSDEPTGTAVFDATGDQAAMPSWDELVRQHA 45 sigHMTB ---------------MADIDGVTG----SAGLQP---GPSEET-DEELTARFERDAIPLL 37 sigRcoel ---------------MGPVTGTDAGTEHGQAEQPEGRGTGAES-TAERSARFERDALEFL 44 sigWsubt --------------------------------MEMMIKKRIKQVKKGDQDAFADIVDIYK 28 sigEcoel ---------------------------------------------MGEVLEFEEYVRTRQ 14 sigAMTB LNAEEEVELAKRIEAGLYATQLMTELSERGEKLPAAQRRDMMWICRDGDRAKNHLLEANL 300 1.2 2.1 sigEMTB DRVYRLAYRLSGNQHDAEDLTQETFIRVFRSVQNYQPGT------FEGWLHRITTNLFLD 146 sigESMG DRVYRLAYRLSGNQHDAEDLTQETFIRVFRSVQNYQPGT------FEGWLHRITTNLFLD 99 sigHMTB DQLYGGALRMTRNPADAEDLLQETMVKAYAGFRSFRHGTN-----LKAWLYRILTNTYIN 92 sigRcoel DQMYSAALRMTRNPADAEDLVQETYAKAYASFHQFREGTN-----LKAWLYRILTNTFIN 99 sigWsubt DKIYQLCYRMLGNVHEAEDIAQEAFIRAYVNIDSFDINRK-----FSTWLYRIATNLTID 83 sigEcoel DALLRSARRLVPDPVDAQDLLQTALARTYGRWETIEDKRL-----ADAYLRRVMINTRTE 69 sigAMTB RLVVSLAKRYTGRGMAFLDLIQEGNLGLIRAVEKFDYTKGYKFSTYATWWIRQAITRAMA 360

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: . * *: * : * . 2.1 2.2 2.3 2.4 sigEMTB MVRRRAR---------IRMEALPEDYDRVPADEPNPEQIYHDARLGPDLQAALASLPPE- 196 sigESMG MVRRRGR---------IRMEALPEDYDRVPAEDPNPEQIYHDSRLGADLQAALDSLPPE- 149 sigHMTB SYRKKQRQPAEYPTEQITDWQLASNAEHSSTGLRSAEVEALEALPDTEIKEALQALPEE- 151 sigRcoel SYRKKQREPQRSAAEEIEDWQLARAESHMSTGLRSAESQALDHLPDSDVKQALQAIPEE- 158 sigWsubt RIRKKKPD--YYLDAEVAGTEGLTMYSQIVADGVLPEDAVVSLELSNTIQQKILKLPDK- 140 sigEcoel WWRARKLE----------------EVPTEQLPESPMDDATEQHADRALLMDVLKVLAPK- 112 sigAMTB DQARTIRIPVHMVEVINKLGRIQRELLQDLGREPTPEELAKEMDITPEKVLEIQQYAREP 420 : . : . : 2.4 3.1 3.2 sigEMTB ------------------FRAAVVLCDIEGLSYEEIGATLGVKLGTVRSR---IHRGRQA 235 sigESMG ------------------FRAAVVLCDIEGLSYEEIGATLGVKLGTVRSR---IHRGRQQ 188 sigHMTB ------------------FRMAVYYADVEGFPYKEIAEIMDTPIGTVMSR---LHRGRRQ 190 sigRcoel ------------------FRIAVYLADVEGFAYKEIADIMGTPIGTVMSR---LHRGRRQ 197 sigWsubt ------------------YRTVIVLKYIDELSLIEIGEILNIPVGTVKTR---IHRGREA 179 sigEcoel QRSVVVLRHWEQMSTEETAAALGMSAGTVKST---LHRALAR 151 sigAMTB ISLDQTIGDEGDSQLGDFIEDSEAVVAVDAVSFTLLQDQLQSVLDTLSEREAGVVRLRFG 480 . : .. : .*: : * 4.1 4.2 sigEMTB LRDYLAAHP-EHGECAVHVNPVR------------------------- 257 sigESMG LRDYLAKHSSETAQSA-------------------------------- 204 sigHMTB LRGLLADVARDRGFARG--EQAHEGVSS-------------------- 216 sigRcoel LRGMLEDYARDRGLVPAGAGESNEAKGSGS------------------ 227 sigWsubt LRKQLRDL---------------------------------------- 187 sigEcoel LREELVARDLDARALEREERERCAA----------------------- 176 sigAMTB LTDGQPRTLDEIGQVYGVTRERIRQIESKTMSKLRHPSRSQVLRDYLD 528 * 4.2 Figura 1. 3: Allineamento di diversi fattori ECF con il fattore σ primario σA di MTB. sigEMTB... σE di MTB (ECF) sigESMG... σE di M. Smegmatis (ECF) sigHMTB... σH di MTB (ECF) sigRcoel…σR di S. coelicolor, analogo di σH in MTB (ECF) sigWsubt…σW di B. subtilis, analogo di σE in MTB (ECF) sigEcoel…σW di S. coelicolor, analogo di σE in MTB (ECF) sigAMTB…σA di MTB (fattore σ primario) In blu sono evidenziati gli aa omologhi a quelli di σE in MTB. Sotto alle sequenze sono segnate le diverse regioni strutturali. 1.8.3 Funzione e regolazione dei fattori σ ECF I fattori σ ECF controllano usualmente la sintesi della membrana cellulare, le funzioni di secrezione e la trascrizione di varie proteine specifiche in risposta a precisi segnali derivanti dall’ambiente extracellulare, come la presenza di proteine denaturate nel periplasma, la presenza di luce, le variazioni della pressione osmotica o barometrica, o la presenza di molecole peculiari all’esterno (Missiakas et al., 1998; Wösten et al., 1998) L’uso di fattori σ alternativi è quindi una strategia dei batteri per regolare la trascrizione di geni richiesti per l’adattamento a condizioni ambientali non fisiologiche, o comunque a condizioni di stress di superficie subiti dalla cellula. La loro trascrizione viene indotta a seguito di determinati stimoli provenienti dall’esterno, provocando sia induzione che repressione di determinati geni a seconda dell’organizzazione dei loro promotori (vedi capitolo 1.6). La trascrizione dei geni codificanti i fattori σ è chiaramente posta anche sotto al controllo dei fattori σ stessi, sia primari che alternativi, che inter-regolano la trascrizione dei loro geni sia in condizioni fisiologiche che in caso di stress ambientali (Manganelli et al. 2004).

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L’induzione della trascrizione di un determinato fattore ECF può essere causa dunque dell’aumento della trascrizione sia del proprio gene che del gene di un altro fattore di trascrizione. Per esempio è stato dimostrato come la trascrizione di sigE in Mycobacterium smegmatis è regolata anche dal fattore σH (Husson et al., 1999). L’incremento della trascrizione del gene sigH è a sua volta auto-regolato da un promotore σH-dipendente, dunque con un sistema di regolazione a feedback positivo (Raman et al., 2001, Manganelli et al., 2002). Oltre che a livello trascrizionale, la regolazione dei fattori ECF avviene anche a livello post-traduzionale. Infatti nell’operone di vari fattori ECF, sono stati trovati geni codificanti per proteine in grado di legarsi al fattore σ stesso, impedendone l’interazione con la RNAP (Fig. 1.4 A). Queste proteine fungono dunque da regolatori negativi dell’inizio della trascrizione dei geni riconosciuti dal fattore σ con cui esse interagiscono, per cui sono state chiamate fattori anti-sigma (Hughes et al., 1998). Ad esempio è stato dimostrato che la proteina micobatterica RshA lega σH, impedendo la formazione del complesso con la RNAP e dunque l’inizio della trascrizione (Song et al., 2003). Solo dopo che il fattore σ è stato liberato, esso è di nuovo in grado di svolgere la propria funzione. In alcuni casi il distacco dell’anti-sigma dal fattore σ può avvenire in seguito alle condizioni ambientali in cui si trova la proteina (Fig. 1.4): è stato dimostrato per esempio che RshA è in grado di legare σH solo in ambiente riducente, mentre in ambiente ossidante si stacca, liberando il fattore σ e permettendo dunque la trascrizione di geni specifici in risposta a questo tipo di stress. Esistono inoltre anche anti-anti-fattori sigma, proteine che legano i fattori anti-sigma, provocandone il distacco dal fattore σ. Generalmente l’espressione dei fattori anti-anti-sigma viene indotta da determinati stimoli esterni, a causa dei quali diviene necessario rendere nuovamente attiva la trascrizione di geni riconosciuti dal determinato fattore σ.

Figura 1. 2 Il legame dell’anti-fattore sigma al fattore σ impedisce il legame di quest’ultimo alla RNAP e dunque l’inizio della trascrizione. Determinate condizioni ambientali possono determinare una variazione conformazionale dell’anti- fattore sigma, tale per cui esso si stacca dal fattore σ, permettendo di nuovo l’inizio della trascrizione. 1.9 I fattori σ micobatterici L’uso di fattori σ alternativi è quindi una strategia dei batteri per indurre la trascrizione di geni richiesti per l’adattamento a condizioni ambientali avverse.

anti-anti-σσ σσ factorfactor RNAp NO TRANSCRIPTION

environmentalenvironmentalsignalsignal σσ factorfactor RNAp

anti-anti-σσ

TRANSCRIPTION

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In MTB sono stati trovati ben 13 fattori σ, denominati alfabeticamente dalla A alla M (Cole et al. 1998). Essi appartengono tutti alla famiglia dei fattori σ70.

Ai fattori σ primari appartengono σA e σB di MTB, di cui il primo è essenziale, mentre il secondo è dispensabile (primary-like). I restanti 11 fattori σ del batterio sono invece fattori σ alternativi. Di questi, uno σF, appartiene alla classe di fattori σ alternativi normalmente coinvolti nella risposta allo stress e nella sporulazione. I restanti 10 fattori σ appartengono invece alla famiglia degli ECF. Studi di mutazioni su questi fattori hanno dimostrato che mutanti per diversi di essi sono in grado di sopravvivere comunque in vitro, pur mostrando maggiore sensibilità a vari tipi di stress.

Mentre i fattori σA e σB sono ben conservati in tutti i membri dei micobatteri, il pool di fattori σ alternativi è molto variabile. In figura 1.5 (Manganelli et al., 2004) sono riportati la presenza/assenza dei vari fattori σ tra diversi membri dei micobatteri: Figura 1. 5: Presenza/Assenza dei fattori σ in varie speci micobatteriche. In Mycobacterium bovis ci sono 13 fattori σ, ortologhi a quelli di MTB. Il ceppo BCG Pasteur è mancante di sigI, dato che questo locus è stato deleto, ma contiene i geni sigH e sigM in duplice copia. M. smegmatis invece pare essere privo di tre dei 10 fattori ECF riscontrati in MTB, ovvero i fattori σC, I e K, ma presenta almeno altri 8 fattori σ ECF non presenti in MTB. In Mycobacterium lepreae, il cui genoma è andato incontro a decadimento genico, sono conservati solo quattro dei geni dei fattori σ: sigA, sigB, sigC e sigE, mentre sigI e sigL mancano completamente e i restanti sette sono pseudogeni. I genomi di Mycobacterium avium e Mycobacterium paratuberculosis contengono ben due geni che codificano per una proteina σF-like in loci cromosomali distinti. Inoltre non è ancora stato trovato un ortologo per sigK e sigL, mentre ci sono quattro geni codificanti per proteine simili a σI e σJ. 1.10 Fattori σ in MTB In MTB sono stati trovati dunque 13 fattori σ diversi, di cui due appartenenti al gruppo dei fattori σ principali, e gli altri a quelli alternativi. Come già detto, 10 di essi appartengono alla famiglia degli

M t b M b o B C G M l e M a v M p a M s ms i g A + + + + + + +s i g B + + + + + + +s i g C + + + + + + -s i g D + + + P + + +s i g E + + + + + + +s i g F + + + P + + +s i g F -l i k e

- - - - + + -

s i g G + + + P + + +s i g H + + 2 + P + + +s i g I + + - P + + -s i g J + + + P + + +s i g K + + + P - - -s i g L + + + - P ? + +s i g M + P ? 2 + P + + +O t h e rE C F

- - - - 3 + 3 + 8 + ?

M t b : M . t u b e r c u l o s i s ; M b o : M . b o v i s ;B C G : M . b o v i s B C G ; M a v : M . a v i u m ;M p a : M . p a r a t u b e r c u l o s i s ; M s m : M .s m e g m a t i s . + : p r e s e n c e o f t h e g e n e ;n + : p r e s e n c e o f n g e n e s ; - : a b s e n c e o ft h e g e n e ; P : p s e u d o g e n e .

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ECF (Gomez et al., 1997; Cole et al., 1998; Manganelli et al. 1999; Gomez et al, 2000), mentre σF appartiene ad una classe di fattori σ alternativi a se stante. In figura 1.6 è mostrato come essi sono correlati a livello filogenetico:

Figura 1. 6: Correlazione a livello filogenetico dei 13 fattori σ di MTB. La funzione dei 13 fattori di trascrizione di MTB è la seguente:

σA (o Rpo V): Fattore σ essenziale, l’inattivazione del suo gene non è stata possibile nè in MTB nè in M. smegmatis (J. Timms e I. Smith, comunicazione personale, Gomes et al., 1998). È stato dimostrato che è un fattore determinante non solo per la sopravvivenza, ma anche per la virulenza dei micobatteri, dato che mutazioni nella regione C terminale di questa proteina portano ad un’attenuazione della virulenza in modelli animali, nonostante essi siano in grado i crescere normalmente in vitro: è stato ipotizzato che le mutazioni subite dal fattore di trascrizione non abbiano conseguenze sulla trascrizione di geni housekeeping, ma solo sul legame con attivatori della trascrizione specifici per la virulenza (Collins et al.,1995)

σB: Fattore primary-like non essenziale. Mutanti KO di sigB hanno dimostrato di crescere normalmente in vitro, pur essendo più suscettibili a stress ambientali come lo stress da SDS, l’heat shock e lo shock ossidativo (Manganelli et al. 2004). La sua trascrizione è indotta sia in condizioni fisiologiche che in caso di stress superficiali da σE, fattore ECF che regola la risposta a questa precisa variazione ambientale (Manganelli et al., 1999), mentre in condizioni di heat shock o stress ossidativo da σH (Raivio et al., 2001). Avendo un’alta omologia con σA (le ultime 600 basi sono quasi identiche), si può ipotizzare che σB sia in grado di riconoscere promotori simili, e che esso possa dunque funzionare da back up di σA, mantenendo attiva la trascrizione di geni housekeeping in condizione di stress. Dati recenti confermano anche che esso sia implicato direttamente nell’espressione di geni adibiti alla risposta all’heat shock (P.Fontan and I.Smith, comunicazione personale).

σF: Fattore di trascrizione dalla funzione ancora poco nota in MTB. Questo fattore ha notevoli somiglianze con fattori di Bacillus subtilis e

A and B: fattori σ principali

F: risposta a stress-sporulazione

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S. coelicolor, che svolgono un ruolo nel processo di sporulazione ed infezione. In studi su M. smegmatis e M. bovis BCG si è vista una forte induzione della trascrizione del suo gene dopo l’ingresso in fase stazionaria, cold shock e deplezione di azoto, mentre in MTB la sua induzione sia in tarda fase stazionaria che dopo svariati tipi di stress, tra cui calore, alcol, stress osmotico e ipossia è molto bassa (De Majo et al., 1996). Studi su mutanti sigF hanno dimostrato che essi raggiungono la fase stazionaria un po’ più tardi rispetto al ceppo selvaggio, e che sono leggermente più sensibili alla rifampicina. Mediante esperimenti di microarray a DNA si è potuto constatare che la mancanza del fattore σF determina la repressione di numerosi geni regolatori e geni coinvolti nella biosintesi della parete, tra cui una minor espressione di sulfolipidi associati alla superficie (Geiman et al., 2004).

σC: Fattore di trascrizione coinvolto nella regolazione dell’espressione di geni adibiti alla biosintesi di acidi grassi, di fosfolipidi e di elementi della parete cellulare, al metabolismo energetico e alla risposta a stress in generale, anche se la sua assenza non provoca differenze nella crescita del batterio. Infatti mutanti sigC hanno dimostrato avere una maggior suscettibilità al perossido d’idrogeno e alla diammide, ma anche un’inalterata crescita in macrofagi murini attivati (Sun et al., 2004). Esperimenti su modelli animali hanno dimostrato che il mutante non è in grado di provocare la morte dell’ospite, per cui il fattore σC svolge un ruolo fondamentale per la letalità del patogeno. Esso regola infatti la trascrizione di un set di geni essenziali per la virulenza di MTB, come hspX, senX3 e mtrA, che codificano rispettivamente per un omologo della alfa cristallina, per una chinasi sensore a due componenti, e per un altro regolatore della risposta a due componenti.

σD: Fattore di trascrizione che controlla la trascrizione di un piccolo set di geni ribosomiali

tipicamente espressi durante la fase stazionaria, ma anche del suo stesso gene. Esso viene indotto sia in totale assenza di nutrienti che nel mutante rel. La proteina Rel pare avere la funzione di bloccare transientemente il metabolismo attivo nella risposta immediata. In uno studio su un mutante per questo fattore, è stato dimostrato come la mancanza del fattore σD non crei alcuna differenza tra il mutante e il ceppo selvaggio cresciuti in un terreno ricco di nutrienti. Pare però che la carenza di questo fattore provochi una minor concentrazione nel macrofago del fattore di necrosi tumorale TNF-α. Inoltre si è riscontrata una minor mortalità in topi infettati con il mutante, nonostante la carica virale risultasse essere la stessa che in topi infettati con il ceppo selvaggio (Calamita et al., 2005). Infatti la virulenza nel mutante è risultata attenuata rispetto a quella del ceppo selvaggio, e sono state riscontrate anche differenze tra le risposte infiammatorie dei polmoni di topi infetti con i due patogeni (Raman et al., 2004).

σH: Fattore di trascrizione che svolge un ruolo nella riposta a stress ossidativo e a heat shock. Infatti induce la trascrizione di geni che codificano per proteine coinvolte nel metabolismo dei tioli, ovvero enzimi come la tioredoxina e la tioredoxina reduttasi, adibite alla riduzione di ponti disolfuro intracellulari. Inoltre σH regola la trascrizione di enzimi coinvolti nella biosintesi di cisteine e molibdopterina, nonché di una proteina dalla funzione sconosciuta con un sito attivo glutaredossidasico. Sottostanno al controllo di σH anche diversi geni di fattori di trascrizione, come sigB, sigE e il gene sigH stesso (Raman et al., 2001, Manganelli et al., 2002).

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Studi eseguiti su mutanti hanno dimostrato che essi sono in grado di crescere in macrofagi murini attivati esattamente come il ceppo selvaggio, pur essendo più suscettibili ad un innalzamento della temperatura o all’esposizione alla diammide (Fernandes et al., 1999). È stato però dimostrato che questo fattore è necessario per l’ immunopatogenicità di MTB, dato che in topi infetti con mutanti sigH, si è riscontrato un diverso fenotipo della malattia rispetto al ceppo selvaggio (Kaushal et al., 2002).

σJ: Fattore di trascrizione indotto dopo trattamento con perossido d’idrogeno (Hu et al.,

2004). É stato dimostrato che anche in tarda fase stazionaria vi è una forte induzione della trascrizione di questo gene. Pure dopo trattamento con rifampicina non è stata osservata alcuna variazione significativa della sua trascrizione. Ciò lascia intendere che questo fattore controlla principalmente la trascrizione genica durante la fase stazionaria del batterio. Potrebbe dunque svolgere un ruolo importante per la sopravvivenza del patogeno durante la sua lunga latenza nei macrofagi, anche in caso di trattamento con antibiotici. È stato comunque dimostrato mediante un ceppo mutante sigJ che questo fattore non è essenziale per la sopravvivenza del patogeno durante la sua latenza nei macrofagi (Hu et al., 2001).

σL: Fattore di trascrizione che regola la risposta in caso di stress quali trattamento con SDS e con plumbagina. Esso regola la trascrizione del suo stesso gene e di σB , ma è anche responsabile della regolazione della sintesi e del trasporto di sulfolipidi di superficie. La caratteristica più interessante è però il fatto che σL è implicato anche nel controllo dell’espressione di due proteine necessarie per l’invasione della cellula ospite (E. Dainese, comunicazione personale).

σE: Fattore di trascrizione adibito alla risposta di MTB a shock termico, stress ossidativo e

stress superficiale. La sua espressione viene indotta precocemente a seguito dell’internalizzazione di MTB nei macrofagi umani ed aumenta anche durante la sua crescita all’interno di essi (Schnappinger et al., 2003) . Infatti è stato dimostrato, che mutanti per il gene sigE non solo sono più suscettibili all’esposizone a detergenti (stress superficiale), alta temperatura, agenti ossidanti, e all’attività killer di macrofagi murini attivati, ma possiedono anche una minore capacità di crescita in macrofagi non attivati (Manganelli et al., 2001). Studi di genomica funzionale mediante microarray a DNA hanno evidenziato come ben 39 geni necessitino di σE per la loro piena espressione in fase esponenziale. Inoltre la trascrizione di ulteriori 23 geni viene attivata da questo fattore di trascrizione dopo trattamento con concentrazioni subinibitorie di SDS, dunque in condizioni di stress di superficie. Quest’ultimi sono suddivisi in 13 putative unità trascrizionali, nove delle quali vengono antecedute da promotori con sequenze conservate per i fattori ECF (Manganelli et al., 2001). I geni espressi durante la fase esponenziale comprendono geni coinvolti nella traduzione, nel controllo della trascrizione, nella biosintesi di acidi micolici, nel trasporto di elettroni e nella risposta da stress ossidativi. Inoltre σE è responsabile del livello basale di trascrizione di sigB. In caso di stress, come per esempio a seguito di induzione con SDS, σE attiva la trascrizione di geni che codificano per heat shock proteins, proteine adibite alla biosintesi di acidi grassi, proteine di superficie con funzione ancora ignota e regolatori trascrizionali (σB).

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Subito a valle del gene sigE si trova il gene Rv1222, denominato rseA. Si ipotizza che questo gene codifichi per l’anti-fattore di σE, ovvero per una proteina con funzione inibitoria dell’attività del fattore σ (vedi capitolo 1.8.3), sia in base all’omologia di sequenza di RseA con altri fattori anti-sigma, che al fatto che i geni codificanti questi fattori sono siti subito a valle del fattore di trascrizione che inibiscono. Per quanto riguarda la regolazione trascrizionale del gene sigE sono stati eseguiti diversi studi per caratterizzare la sua regione promotrice, anche se ad oggi questo lavoro non è stato ancora completato. Sono stati caratterizzati in letteratura due promotori (fig.1.7), che regolano la trascrizione di sigE: un promotore regolato dal sistema a due componenti MprA/B (P2), la cui trascrizione è indotta in seguito a stress di superficie, ed un promotore σH-dipendente (P3), la cui trascrizione è indotta in seguito a stress ossidativo e heat shock. Esaminando i risultati ottenuti finora è possibile notare addirittura apparenti discordanze tra di loro, in quanto l’inizio della trascrizione del promotore σH-dipendente è sito a valle dell’inizio della traduzione di σE(fig.1.7). Per questo motivo si è reso necessario svolgere ulteriori ricerche con lo scopo di riuscire a definire meglio la regolazione dell’attività trascrizionale del gene sigE.

Figura 1.7: Regolazione delle trascrizione del gene sigE: In seguito a stress di superficie vi è induzione della trascrizione di sigE mediante il fattore di trascrizione MprA. In seguito a stress ossidativo o heat shock vi è induzione della trascrizione di sigE mediante il fattore di trascrizione

1.11 L’ envelope micobatterico

La superficie cellulare dei micobatteri, vista dall’interno cellulare verso l’esterno, è schematicamente suddivisibile in: (I) la membrana plasmatica; (II) la parete cellulare; (III) la capsula; I) Membrana plasmatica

La membrana plasmatica dei micobatteri risulta non simmetrica per spessore e composizione. In particolare il foglietto esterno del bilayer lipidico è caratterizzato dalla presenza di fosfatidil inositol mannosidi (PIMs). I principali componenti oltre ai citati PIMs della membrana plasmatica sono fosfatidil e difosfatidil glicerolo (PG e DPG), fosfatidil etanol ammina (PE), fosfatidil inositolo (PI). Altri componenti associati alla membrana sono i carotenoidi, coinvolti nella protezione da

atgatgsigE

σσHH

+129 bp+129 bp

P3

MprAMprA

+1 bp+1 bp

P2

stress disuperficie

stressossidativo

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possibili danni arrecati dalla luce, e i menachinoni, legati al trasporto degli elettroni (Brennan et al., 1995). II) Parete cellulare La parete cellulare costituisce una delle peculiarità dei micobatteri, e viene ritenuta fondamentale per la sopravvivenza nell’ospite e per la patogenicità dei micobatteri patogeni come M. tuberculosis. La parete è spessa, ricca di componenti cerosi e presenta una struttura abbastanza complessa. Può essere suddivisa in due strati: il “core” costituito da peptidoglicano (PG), arabinogalattano (AG) e acidi micolici (Liu et al., 1999); uno strato di cere, composto da lipidi anfipatici, legati non covalentemente agli acidi micolici;

a) COMPONENTI del CORE Peptidoglicano

Il peptidoglicano della parete di M. tuberculosis, è strutturalmente simile a quello ritrovato degli altri batteri. Le due differenze più importanti sono le seguenti: il polimero è composto da unità disaccaridiche alternate di N-acetilglucosamina (NAG) e acido N-glicosilmuramico (MurNGly), dunque glicosilato e non acetilato come è solitamente presente in altre specie batteriche, con le catene laterali tetrapeptidiche costituite dai residui: L-alanina, acido D- glutammico, acido diaminopimelico (DAP) e D-alanina. Tali peptidi servono a mantenere insieme le catene di NAG e MurNGly, e il cross-linking è generato oltre che tra un’alanina e il DAP, anche tra due molecole di quest’ultimo. Il peptidoglicano è legato al polimero successivo, l’arabinogalattano, attraverso un ponte diglicosilfosforilico, costituito da ramnosio e N-acetil-glucosammina. (Brennan et al., 1995). Arabinogalattano L’arabinogalattano rappresenta il maggior polisaccaride nella parete. La sua struttura è alquanto singolare; si tratta infatti di un polisaccaride ramificato complesso, dove i residui di zuccheri (arabinosio e galattosio) che lo compongono, sono presenti in forma furanosinica (struttura dell’anello a cinque atomi di carbonio) piuttosto che in forma piranosinica (a sei atomi di carbonio). È’ associato al peptidoglicano attraverso un legame fosfodiesterico alla posizione 6 dei residui di ac. muramico (Brennan et al.,1995). I micobatteri sono gli unici agenti patogeni noti che contengono in un componente strutturale essenziale della parete sia il galattofuranosio, che l’arabinofuranosio. Acidi micolici Gli acidi micolici rappresentano il tratto distintivo dei micobatteri, nonché la maggiore componente della parete (Kolattukudy et al.,1997). Si tratta di acidi grassi complessi, - alchilati - idrossilati, caratterizzati da una lunga catena di atomi di carbonio (C60-C90). Essi rappresentano i costituenti base dei micosidi: infatti sono legati covalentemente tramite legame estereo alla struttura dell’esa-arabinosio, presente al termine dell’arabinogalattano ramificato, dove quattro micolati legano cinque arabinosi.

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Gli acidi micolici, se sottoposti a scissione pirolitica (300°C), formano un acido grasso - ramificato indicato come componente , ed un’aldeide indicata come componente meromicolato, che possono essere analizzati separatamente. Questi due componenti sono sintetizzati in M. tuberculosis da due diversi sistemi enzimatici e condensati insieme solo in seguito a formare un acido micolico tipico. In M. tuberculosis sono state trovate tre classi di acidi micolici che differiscono tra loro per la presenza di gruppi funzionali diversi nella componente meromicolato: 1. Acidi -micolici: presentano in forma sia cis che trans (con ramo metilico adiacente) l’insaturazione e i ciclopropani. 2. Acidi metossi-micolici: possiedono un gruppo metossi con un doppio legame o anello ciclopropanico. 3. Acidi chetomicolici: contengono un chetone ramificato - metilico. Gli acidi micolici rappresentano il 50% del peso secco dell’envelope, sono molto idrofobici e formano un guscio protettivo che conferisce rigidità alla parete;

b) Le CERE

Una caratteristica unica dell’envelope dei micobatteri, in particolar modo di quelli patogeni, è la presenza di glicolipidi complessi caratterizzati da ramificazioni carboniose molto lunghe (Jackson et al., 2007). Tali cere sono associate non covalentemente sia agli acidi micolici, attraverso le loro porzioni lipidiche, che alla capsula per mezzo della loro componente idrofila, rappresentata da uno zucchero. Un esempio di glicolipide associato, oggetto di studi approfonditi, è il dimicoil- trealoso (DAT) meglio conosciuto con il nome di fattore cordale. Nei micobatteri patogeni si è potuto constatare che su certi terreni di coltura, l’assenza di tale componente determina l’incapacità da parte del batterio di svilupparsi in fasci serpentiformi (Brennan, 2003). E’ stato dimostrato inoltre come lo ftiocerol dimicocerosato (PDIM), un ulteriore componente di superficie dei micobatteri, sia importante per la replicazione di Mtb durante le fasi acute dell’infezione in modelli murini. Inoltre tale componete dello strato esterno conferisce ai batteri una maggiore resistenza verso lo stress ossidativo provocato dall’ossido nitrico (NO) prodotto dai macrofagi attivati (Rousseau et al., 2004). Oltre ai citati componenti di superficie è importante ricordare un’altra struttura piuttosto complessa quale è quella del lipoarabinomannano: esso presenta un nucleo di residui di mannosio a cui si legano catene multiple e ramificate di arabinofuranosile ricoperte da mannosio ed una unità di fosfaditilinositolo ancorata alla membrana citoplasmatica. Tale molecola complessa attraversa l’intera parete micobatterica e la ancora covalentemente alla membrana plasmatica (Brennan et al.,1995). III) Capsula La parte più esterna dell’envelope di M. tuberculosis, cioè la capsula, è costituita da una miscela di polisaccaridi (glucano, arabinomannano, mannano, xilano), proteine e lipidi (Ortalo et al., 1995). E’ stato dimostrato che la capsula è prodotta dal batterio ed è presente in tutte le specie micobatteriche, sebbene possa presentarsi di spessore diverso a seconda della specie considerata. La composizione approssimativa per la capsula, espressa in percentuale, è riportata nella tabella sottostante:

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COSTITUENTI % Polisaccaridi Glucano Arabinomannano- mannano Xilano

30-55 % 70% 28% 2%

Proteine 55-60% Lipidi 5-8%

Tabella 1. Composizione espressa in percentuale della capsula di Mycobacterium tuberculosis.

Come è evidente dai dati riportati in tabella, nella capsula è presente una quantità esigua di lipidi, la maggior parte dei quali è presente nella parte più interna di questa, mentre abbonda di polisaccaridi e proteine. 1.12 Envelope micobatterico: modello attuale di struttura e proprietà Come descritto in precedenza l’envelope dei micobatteri possiede una struttura complessa ed è composto da differenti tipi di macromolecole. In passato il modello più accreditato per descrivere questa struttura era quello proposto per la prima volta da Minnikin all’inizio degli anni ottanta (Minnikin, 1982). In questo modello si propone la presenza di una membrana esterna atipica, costituita dagli acidi micolici (foglietto interno) e dalle cere (foglietto esterno) che si associano ad essi in modo non covalente. Lo spazio tra la membrana plasmatica e la membrana esterna, dove il peptidoglicano è legato covalentemente all’arabinogalattano, è definito periplasma (fig. 1A). Nel 2008 Zuber et al., tramite una nuova tecnica di criomicroscopia elettronica (CEMOVIS) fu in grado di visualizzare, e dunque di provare definitivamente l’esistenza della membrana esterna micobatterica in b en tre specie diverse: in base al diametro della sezione della membrana esterna, è stato possibile ipotizzare un nuovo modello strutturale, in cui gli acidi micolici componenti il foglietto interno si trovano in forma ripiegata (fig. 2A). Inoltre è stata provata la presenza di una regione granulomatosa a bassa densità che caratterizza lo spazio periplasmico. In conclusione si può affermare che l’envelope dei micobatteri costituisce una barriera protettiva formidabile e ciò è dovuto principalmente a due motivi (Niederweis, 2003): (i) la membrana esterna dei micobatteri è più spessa di qualsiasi altra membrana a causa della lunghezza degli acidi micolici e possiede uno spessore di circa 9-10 nm. (ii) Nella membrana esterna il foglietto interno di acidi micolici è ancorato covalentemente alla parete dei batteri contribuendo alla scarsa fluidità di tale struttura. Tutto ciò conferisce ai micobatteri le seguenti proprietà: resistenza alla decolorazione da parte di soluzioni alcoliche acide dopo colorazione con soluzioni calde di fucsina basica (proprietà sfruttata nella colorazione di Ziehl- Nielsen per differenziare i micobatteri da altri microrganismi); resistenza ad acidi e basi forti, alcali ed ipoclorito (sostanze presenti nei fagosomi); impossibilità di accesso a molti antimicrobici come ad esempio i β-lattamici; resistenza alle proprietà battericide delle cellule fagocitiche; permeabilità verso piccole molecole lipofiliche.

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A causa della bassa permeabilità e fluidità di superficie le porine nei micobatteri assumono un ruolo di grande importanza ai fini dell’acquisizione dei nutrienti essenziali alla sopravvivenza dei batteri.

Fig. 1A: Modello strutturale della parete secondo Minnikin Fig. 1B: Modello strutturale della parete secondo Zuber (Zipper model) In nero gli acidi micolici ripiegati a foglietto

1.13Le proteine PE e PPE Il completo sequenziamento del ceppo H37Rv di MTB ha portato all’individuazione di circa 4000 geni (complessivamente 4,411,529 nucleotidi) e circa 3986 proteine. Il 40% di queste ha

Figura 1.8: Le famiglie proteiche PE e PPE e le rispettive sottoclassi, suddivise in base al frammento variabile C-terminale.

funzione nota, scoperta grazie all’allineamento bioinformatico con sequenze polipeptidiche già conosciute.

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Un altro 44% rappresenta proteine con funzione non del tutto certa e con informazioni parziali. Per il restante 16%, la funzione proteica è del tutto ignota ma, vista la totale divergenza dalle sequenze già depositate in banche dati, si può comunque affermare che si tratta di proteine specifiche e caratteristiche di tale batterio (Cole et al., 1998). Proprio il sequenziamento del genoma di M. tuberculosis ha rivelato due grandi famiglie proteiche peculiari del genere dei micobatteri, denominate PE e PPE. La prime contengono nei primi 10 aminoacidi del dominio N-terminale il motivo altamente conservato Pro-Glu, mentre le PPE invece il motivo altrettanto altamente conservato Pro-Pro-Glu. Le famiglie PE e PPE occupano circa il 10% del potenziale codificante del genoma di MTB. Oltre al dominio N-terminale altamente conservato, PE e PPE possono presentare segmenti C-terminali variabili in sequenza e lunghezza, in base ai quali vengono suddivise in diversi sottogruppi. La famiglia delle PE comprende 98 proteine con dominio conservato N-terminale di circa 110 aa (dominio PE) (Cole et al., 1998) suddivise in 2 sottofamiglie in base alla sequenza del dominio C terminale. Le PPE invece hanno un dominio N-terminale conservato di circa 180 aa (Cole et al., 1998) e si suddividono in 4 diverse sottoclassi: La loro funzione non è ancora nota, anche se si ipotizza, che possano avere un’importante funzione immunologica come fonte di variazione antigenica. Vi sono inoltre forti evidenze in letteratura che comprovano la loro localizzazione a livello supeficiale [Sampon, 2001, Pym 2002], per cui è plausibile che svolgano anche un ruolo fondamentale per la struttura della parete micobatterica nelle speci patogene. La studio delle proteine PE e PPE di MTB rappresenta oggi una delle aree di maggior interesse per coloro che studiano la patogenesi della tubercolosi e cercano nuovi espedienti per migliorare il vaccino esistente. 1.14 Le proteine PPE Le proteine codificate dai geni PPE variano in grandezza passando dai 77 ai 3.300 amminoacidi e contengono un dominio N-terminale altamente conservato di 180 amminoacidi con un motivo Prolina-Prolina-Acido glutammico presente nei residui 7,8 o 9 di tale dominio (Cole et al., 1998). Tale famiglia di proteine può essere divisa in tre sottoclassi in base alla presenza di specifiche sequenze conservate all’interno dei loro domini C-terminali (fig.1.8). Proteine PPE-MPTR: Sono caratterizzate dalla presenza al C-terminale di esse del dominio MPTR (Major Polymorphic Tandem Repeat) ricco in Glicina e Asparagina. In particolare sono presenti in questo dominio altamente polimorfico ripetizioni multiple del motivo NxGxGNxG (Tekaia et al., 1999). Le proteine che fanno parte di questo sottogruppo sono in assoluto le più estese e questo è dovuto alla presenza del particolare dominio MPTR che può presentare fino a 3.000 amminoacidi. Proteine PPE-PPW: I membri di questo sottogruppo sono caratterizzati dalla presenza nel dominio C-terminale del motivo PxxPxxW. Proteine PPE-SVP: I membri di questo sottogruppo sono caratterizzati dalla presenza nel dominio C-terminale del motivo GxxSVPxxW situato vicino alla posizione 350 della sequenza amminoacidica. Proteine PPE NON CORRELATE: l’ultimo sottogruppo comprende proteine PPE che presentano un dominio C-terminale che non ha omologia con altri presenti nel data base. La funzione delle proteine PPE è sconosciuta ed inoltre sono molto scarse le informazioni che riguardano l’espressione e l’immunogenicità.

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La presenza del dominio polimorfico MPTR ha fatto pensare alle proteine PPE come ad una possibile fonte di variabilità antigenica per il micobatterio (Cole 1998, 1999). Recentemente è stato dimostrato come la PPE-MPTR Rv1917 di M. tuberculosis sia espressa dai batteri cresciuti in terreno liquido, sia localizzata sulla parete cellulare e parzialmente esposta sulla superficie dei micobatteri (Sampson et al., 2001). Queste evidenze sono supportate dal fatto che la proteina Rv1917 presenta un elevato polimorfismo che emerge dal confronto tra ceppi clinici di MTB, M. bovis e ceppi classici di laboratorio come H37Rv e CDC1551 e promuovono l’idea che le proteine espresse sulla parete o che vengono secrete possiedano una maggiore variabilità a causa della loro probabile interazione con il sistema immune dell’ospite. E’ stato inoltre ipotizzato che le proteine PPE possano fungere da riserva di asparagina considerando che tale amminoacido costituisce la riserva d’azoto più importante per il metabolismo di MTB e la sua relativa abbondanza nelle proteine PPE rispetto al resto del proteoma del micobatterio (Cole, 1999). La possibilità che le proteine PPE possano essere coinvolte nella crescita e sopravvivenza dei micobatteri all’interno dell’ospite è stata riportata di recente in uno studio che dimostra il coinvolgimento di una PPE di Mycobacterium avium nella crescita all’interno dei macrofagi e nella virulenza nei topi, usati come modello in questo studio (Yongjun et al., 2005). A livello genomico le sequenze codificanti PE e PPE posso essere localizzate in tandem, ovvero a valle di un gene codificante per una PE, si trova almeno un gene codificante per una PPE: in questo caso, facendo parte dello stesso operone, i rispettivi geni vengono sia co-trascritti che co-espressi. Inoltre è stato dimostrato che anche i loro prodotti genici interagiscono in maniera più o meno specifica tra di loro, svolgendo probabilmente un importante ruolo nella stabilità e/o nella localizzazione di queste proteine sulla superficie cellulare [Tundup et al.,2006]. Per esempio è stato dimostrato che PPE41 in M. marinum e M. bovis BCG si localizza sulla superficie cellulare, e che solo la co-espressione con PE25, con cui PPE41 è accoppiata, ne permette la secrezione. Questo dimostra che PE25 svolge probabilmente un ruolo fondamentale nella stabilità e/o nella secrezione di PPE41 [Abdallah et al, 2006].

Figura 1.9: Interazione tra proteine PE e PPE Lo scopo di questa parte del progetto di dottorato è stata dunque quello di dimostrare il ruolo del dominio PPE nel trasporto e localizzazione delle proteine sulla parete e di studiare la possibilità di utilizzare tale dominio come partner di fusione per veicolare antigeni sulla parete dei micobatteri. Infatti è stato dimostrato che la PPE41 in BCG è effettivamente esposta in superficie.

Stron g et al. (20 06)

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2. Scopi del progetto di Dottorato

Gli studi effettuati in questa tesi di Dottorato sono stati suddivisi nelle seguenti due aree tematiche: a) Lo studio della regolazione trascrizionale nei micobatteri, prendendo in esame il fattore di trascrizione ECF SigE ed il fattore di trascrizione SigF. b) Lo studio di una coppia di proteine PE-PPE, con lo scopo di veicolare antigeni sulla superficie micobatterica tramite la fusione con una proteina PPE. 2.a) Lo studio della regolazione trascrizionale 2.a.1 Il fattore di trascrizione con funzione extracitoplasmatica (ECF) SigE Il fattore di trascrizione ECF SigE è uno dei fattori di trascrizione sigma maggiormente studiati in MTB. Esso svolge un ruolo importante nella virulenza e nella sopravvivenza di MTB in condizioni di alta temperatura, pH alcalino e all’esposizione a detergenti ed a stress ossidativo. Sono stati identificati due promotori che regolano la trascrizione del gene sigE, che codifica per questo fattore di trascrizione: un promotore regolato dal sistema a due componenti MprA/B, ed un altro SigH dipendente. In questa parte del progetto di Dottorato si è voluto caratterizzare definitivamente i promotori che regolano la trascrizione del gene sigE a seconda delle condizioni ambientali e dei tipi di stress a cui è sottoposto MTB. Inoltre, dato che l’inizio della trascrizione del promotore SigH dipendente è sito a valle dell’inizio della traduzione di SigE annotato nel genoma di MTB (vedi fig.1.?), si è voluto verificare se il suddetto inizio di traduzione sia effettivamente funzionante. In questo caso apererebbe l’ipotesi di un secondo inizio di traduzione a valle del promotore SigH dipendente, e dunque dell’esistenza di due isoforme del fattore di trascrizione SigE: un’isoforma grande ed una più piccola. Infine si è voluto dimostare che il gene a valle di sigE, denominato rseA, codifica per il fattore anti-sigma E, denominato RseA, e che esso è in grado di legare in maniera specifica solamente il fattore di trascrizione SigE, impedendone il legame con l’RNA polimerasi.

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2.a.2 Il fattore di trascrizione SigF Una parte degli studi di Dottorato è stata dedicata anche alla collaborazione in uno studio riguardante il fattore SigF in M. smegmatis. M. smegmatis è un micobatterio ambientale a crescita rapida, utilizzato per questo motivo in diversi studi come modello per lo studio dei micobatteri patogeni, o a crescita lenta. In questo studio si è voluto dimostare che SigF è essenziale in M. smegmatis per la produzione dei pigmenti carotenoidi, partendo dal presupposto che il mutante sigF di M. smegmatis non è in grado di produrre tali pigmenti in confronto al ceppo parentale, facoltà che riacquisice Analisi in silico hanno portato infatti al ritrovamento dio diverse sequenze consensus di SigF a monte dei geni implicati nella biosintesi dei carotenoidi, avvalorando ulteriormente l’ ipotesi della regolazione di questi geni da parte di SigF. Inoltre esperimenti di RT-PCR effettuati sul ceppo mutante sigF, sul ceppo parentale e sul ceppo mutante completmentato Inoltre si è voluto dimostrare che il mutante SigF ha un’efficienza di trasformazione molto più alta del ceppo parentale, indicando che questo fattore di trascrizione potrebbe regolare anche la trascrizione di componenti che influiscono sulla permeabilità della parete cellulare micobatterica. Infine il mutante SigF dimostra avere anche una maggiore sensibilità al perossido d’idrogeno. 2.b) Studio della coppia PE11-PPE17 – localizzazione di antigeni sulla superficie micobatterica tramite la fusione con PPE17 In questa parte del progetto di dottorato si è tentato di caratterizzare la coppia PE11-PPE17, le cui sequenze codificanti si trovano in tandem nel genoma di MTB. Dati presenti in letteratura dimostrano che i loro geni codificanti non solo sono sono co-trascritti e co-espressi, ma anche che i loro prodotti genici interagiscono in maniera specifica. Utilizzando vari costrutti per l’espressione nei micobatteri della PPE17 fusa all’epitopo HA per poterne valutare la localizzazione in coespressione o meno con la PE11, si è tentato di provare la sua localizzazione a livello della superficie micobatterica sia in M. smegmatis che in M. bovis BCG, e di verificare un’eventuale influenza della presenza della PE11 nel processo di traslocazione in superficie della PPE17 Un ulteriore scopo del progetto di dottorato è stato quello di dimostrare il ruolo del dominio PPE nel trasporto e nella localizzazione di proteine sulla parete, studiando la possibilità di utilizzare tale dominio come partner di fusione per veicolare antigeni sulla parete dei micobatteri. A questo scopo sono stati creati ceppi ricombinanti sia di M .smegmatis che di M. bovis BCG esprimenti antigeni autologhi (come l’antigene modello Mpt64 o l’anrtigene multimerico Ag85-ESAT6) o eterologhi (come l’antigene Csp C3 di plasmodium berghii) fusi al dominio N-terminale della PPE17, per poter valutare un’eventuale localizzazione delle proteine chimeriche a livello della superficie micobatterica. Infatti, in base a dati presenti in letteratura, un antigene espresso sulla superficie batterica ha una maggiore capacità di stimolare la risposta immunitaria rispetto allo stesso antigene localizzato sulla membrana plasmatica o secreto (Grode et al.). Quindi la fusione di antigeni con le proteine PE/PPE potrebbe costituire sia un ottimo sistema per il delivery di antigeni eterologhi sulla superficie micobatterica, che un sistema per potenziare il potere immunogeno di M. bovis BCG.

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3. Materiali e Metodi

3.a) Studio della regolazione trascrizionale 3.a.1 Ceppi batterici e terreni di coltura Per le procedure di clonaggio sono stati utilizzati i ceppi di E. coli JM109, HB101, TOP-10, BHT101 e DH5α. I batteri sono stati fatti crescere a 37°C o 25°C a 150 rpm in terreno Luria-Bertani (LB) sia in forma liquida (1% bacto-triptone, 0.5% estratto di lievito e 1% NaCl) che in forma solida (contenente in aggiunta 1.5% di bacto-agar). Per la selezione dei ceppi batterici sono stati utilizzati a seconda del tipo di resistenza i seguenti antibiotici: streptomicina ad una concentrazione finale di 20 µg/ml, canamicina 50 µg/ml, ampicillina 100 µg/ml e igromicina 150 µg/ml. Negli esperimenti di doppio ibrido, sono stati aggiunti al terreno X-Gal (5-bromo-4cloro-3-indolil-β-D-galattopiranoside) e IPTG (isopropil-β-D-tiogalattopiranoside) ad una concentrazione finale rispettivamente di 40 µg/ml e 0.5 mM Per il lavoro su SigE è stato utilizzato il ceppo di laboratorio H37Rv e il ceppo di MTB. Per il lavoro su SigF sono stati utilizzati i ceppi ATCC607 e Mc2155 di M. smegmatis. I micobatteri sono stati fatti crescere sia in terreno liquido Middlebrock 7H9 (Difco Laboratories), contenente 0.2% di glicerolo e 0.05% di Tween 80, che in terreno solido Middlebrock 7H10 (Difco Laboratories), contenente 0.2% di glicerolo e 0.05% di Tween 80. Nel terreno dei ceppi di MTB è stato aggiunto anche l’additivo ADN (=>2% glucosio, 5% BSA, 0.85% NaCl) ad una concentrazione finale del 10 %. I ceppi di MTB sono stati fatti crescere a 37°C a 5 rpm, mentre i ceppi di M. smegmatis sono stati fatti crescere a 37°C (30?) a 150 rpm. Per la selezione sono stati utilizzati a seconda del tipo di resistenza i seguenti antibiotici: streptomicina ad una concentrazione finale di 20 µg/ml e zeocina 100 µg/ml. 3.a.2 Manipolazione del DNA Tutte le tecniche di manipolazione del DNA utilizzate sono state svolte seguendo le procedure standard, utilizzando ceppi di E. coli come ospiti iniziali. Gli enzimi di restrizione e modificazione del DNA (New England Biolabs) sono stati utilizzati seguendo le istruzioni e raccomandazioni del produttore. I primers per l’amplificazione delle regioni d’interesse utilizzati per i clonaggi e per gli esperimenti di RT-PCR sono stati disegnati-a seconda-sulla base della sequenza nucleotidica del genoma del ceppo H37Rv di MTB annotata su Tuberculist

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3.a.3 Elettroporazione di M. tuberculosis e M. smegmatis

Per l’elettroporazione di MTB, colture (30ml) di H37rv, sono state fatte crescere fino a piena fase esponenziale, sono state centrifugate a 3000g per 5 minuti, lavate due volte con un volume di glicerolo 10%. Il pellet è stato risospeso in 1 ml di glicerolo 10%, centrifugato ancora e risospeso in 800l di glicerolo 10%. Aliquote di 50l di cellule aggiunte di 2g di DNA trasformante sono state elettroporate in apposite cuvette (Cuvette Plus 0.2 cm electrode gap). Il campione è stato sottoposto a corrente elettrica usando elettroporatore 2510 (Eppendorf; capacitanza 10F; voltaggio 25kVcm-1; resistenza 600). Dopo il passaggio della corrente le cellule sono state diluite in 800l di liquido di coltura, incubate a 37°C per 18h e poi piastrate su terreno selettivo. Le piastre vengono poi incubate in sacchetti sigillati a 37°C, fino all’affiorare delle colonie (circa 3-4 settimane). Per l’elettroporazione di M. smegmatis, è stata utilizzata la stessa procedura per la preparazione e la trasformazione dei batteri come descritto per MTB. Dopo il passaggio della corrente si è aggiunto 0,5 ml di 7H10 alle cellule, che vengono successivamente lasciate incubare per 3 ore a 37°C e poi piastrate su terreno selettivo, fino all’affiorare delle colonie (circa 3-4 giorni). 3.a.4 Estrazione del RNA L’estrazione di RNA da MTB e M. smegmatis è stata effettuata seguendo il seguente protocollo: il pellet congelato, proveniente da 30 ml di coltura, è stato risospeso in 1ml di triazolo e trasferito in un tubo da 2ml contenente 0.5 ml di zirconia/silica beads del diametro di 0.1mm. Le cellule sono state lisate in un BioSpec Products bead beater. Dopo 5 minuti di incubazione a temperatura ambiente i campioni sono stati centrifugati e il sovranatante trasferito in provette da 2 ml Haevy Phase Lock Gel. I contenenti 300 l di cloroformio-alcool isoamilico (24:1). I tubi sono stati invertiti velocemente per 15 secondi e poi incubati per 2 minuti. I campioni sono stati centrifugati per 5 minuti e alla fase acquosa si sono aggiunti 270l di isopropanolo e 270l di 0.8 M sodio citrato e 1.2 M NaCl. Dopo incubazione overnight a 4°C si è centrifugato per 10 min a 4°C. Il pellet di RNA è stato lavato con EtOH 70%, asciugato all’aria, risospeso in 90 l di acqua e infine incubato per 30 min in presenza di DNase (4 unità). La purificazione finale è stata ottenuta mediante utilizzo di colonne Rneasy (Qiagen) 3.a.5 Retrotrascrizione del mRNA Reazioni di trascrizione inversa sono state condotte con l’utilizzo di random primers utilizzando la Retrotrascrittasi del virus della leucemia murina (MULV-RT, Applied Biosystems). Ciascun campione di 500 ng di RNA è stato denaturato a 98°C per due minuti in presenza dell’appropriato volume di acqua e poi raffreddato in ghiaccio. Successivamente è stata aggiunta la miscela di reazione fino a volume finale di 25 l (5.5 l of MgCl2 25 mM, 2.5 l 10x reaction buffer, 5l dNTPs 2.5 mM ciascuno, 1.25 l Random hexamer 5nmol, 0.625 l MULV 50U/l, 0.5l inibitore

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di Rnase 20 U/l: Applied Biosystems). I campioni sono stati quindi incubati a 25°C per 10 minuti poi 45°C per 50 minuti ed infine a 95°C per 5 minuti. Le sequenze dei primer utilizzati per le reazioni di retrotrascrizione si possono trovare nei seguenti lavori pubblicati: Donà et al., 2008 per σE , Provvedi et al., 2008 per σF. 3.a.6 5’ Race (Rapid Amplification of cDNA Ends) PCR Colture di H37Rv sono state fatte crescere fino alla tarda fase esponenziale e successivamente trattate o meno con diammide 5mM o SDS 0,05% rispettivamente per 60 o 90 minuti. Dopodichè si è proceduto all’estrazione del mRNA delle colture, sia trattate che non, e alla retrotrascrizione a cDNA. Gli esperimenti di 5’ Race PCR sono stati eseguiti utilizzando l’apposito 5’/3’ Race PCR kit della Roche Molecular Biochemicals, seguendo le procedure indicate dal produttore. Le sequenze dei primer utilizzati si possono trovare nel seguente lavoro pubblicato: Donà et al., 2008. 3.a.7 Realtime (RT)-PCR quantitativa La PCR quantitativa è stata condotta utilizzando il sistema Sybrgreen (master mix, Applied Biosystems) il cui ciclo di amplificazione richiede un’attivazione della polimerasi per 10 min a 95°C. Seguono poi 40 cicli di amplificazione che seguono le condizioni: 1 min di denaturazione del campione a 95°C, 30 sec di annealing a 62°C e 30 sec di estensione a 72°C. Il termociclatore usato è un Applied Biosystems 7700 Prism spectrofluorometric thermal cycler (Perkin-Elmer). La fluorescenza emessa da ciascun campione è stata misurata durante gli step di annealing e tracciata su grafico in maniera automatica. I valori risultanti sono stati normalizzati rispetto ai livelli di mRNA di sigA. Campioni di RNA non retrotrascritto sono stati utilizzati in tutti gli esperimenti per escludere significative contaminazioni di DNA. La purezza di ciascun campione è stata controllata mediante curve di melting. Le sequenze dei primer utilizzati si possono trovare nei seguenti lavori pubblicati: Donà et al., 2008 per σE , Provvedi et al., 2008 per σF. 3.a.8 Costruzioni delle fusioni con lacZ e mutagenesi sito-specifica Per le sequenze dei primers utilizzati per la costruzione delle fusioni traduzionali e per la mutagenesi sito-specifica, si possono trovare nel materiale supplementare del lavoro pubblicato (Donà et al., 2008) I costrutti per le fusioni traduzionali con il gene lacZ sono state ottenute amplificando un frammento di DNA contenente 455 paia di basi della sequenza a monte dell’inizio della traduzione di sigE annotato nel genoma di MTB (fig.? costrutto A), e un frammento di DNA di 775 paia di basi contenente oltre alle 455 paia di basi a monte dell’inizio traduzionale anche le prime 240 paia di

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basi (fig.? costrutto B1) della sequenza codificante di sigE. I frammenti sono stati clonati tramite il sito di restrizione HindIII nel plasmide pMYT131, un derivato del plasmide pSM128 (D. Ghisotti,

Figura 2.1: Rappresentazione schematica della tecnica basata su PCR sovrapposte utilizzata per le mutagenesi sito-specifiche.

non pubblicato), a monte ed in frame con la sequenza codificante di lacZ, privata della sequenza codificante i primi 5 amminoacidi al N-terminale. La mutagenesi sito-specifica dei costrutti B2-5 (fig.?) è stata ottenuta utilizzando una particolare tecnica di PCR sovrapposte (Ito et al., 1991), basata su tre primers comuni e un primer contenente la mutazione d’interesse per ogni frammento da mutagenizzare. Due dei primer comuni (RP277 e RP282) si legano sul pMYT131 rispettivamente a monte e a valle del frammento di sigE di 775 paia di basi clonato nel suddetto vettore, mentre il terzo (RP278) si lega al sito di restrizione HindIII a valle, utilizzato per clonare il frammento nel pMYT131, e contiene un mismatch, rimuovendo dunque tale sito di restrizione. RP279, RP280, RP289 e RP281 rappresentano i primer contenenti la mutazione voluta. La mutagenesi è stata ottenuta mediante due steps di PCR utilizzando il costrutto B1 (fig.2.1) come templato. Nel primo step si eseguono due distinte PCR utilizzando la coppia di primer RP277-RP278 e RP282-primer contenente la mutazione, ottenendo dunque due prodotti la cui sequenza è parzialmente sovrapposta. Dopo la purificazione da gel i prodotti vengono dunque mescolati insieme ed utilizzati come templato per il secondo step di PCR, nella quale si effettua i primi 5 cicli senza primer, in modo da ottenere il fill in della sequenza non sovrapposta. Solo in seguito vengono aggiunti i primer RP277 e RP282, in modo da amplificare l’intera regione. L’amplificato così ottenuto viene poi digerito con HindIII, partendo dal presupposto che solo il prodotto contenente la mutazione di interesse avrà entrambi i siti di restrizione funzionali, e ligato nuovamente nel pMYT131 in frame con lacZ. L’effettiva introduzione della mutazione d’interesse è stata in seguito confermata tramite sequenziamento. Il costrutto C1 (fig.2.1) è stato ottenuto tramite PCR utilizzando i primer RP120 (upper primer) e RP 406 (lower primer) per l’amplificazione ed il costrutto B2 come templato, e ligando il prodotto risultante nuovamente nel pMYT131. Questo costrutto è stato usato poi a sua volta come templato per ottenere i costrutti C2-6, usando i primer RP120 (upper primer) e RP460-RP461-RP589-RP407 o RP590 (lower primers contenenti le mutazioni puntiformi d’interesse), rispettivamente, per l’amplificazione, e ligando i prodotti risultanti nel pMYT131 tramite i siti di restrizione HindIII. L’ effettiva introduzione della mutazione d’interesse è stata in seguito confermata tramite sequenziamento.

mutationmutation

mutationmutation of the downstreamof the downstreamHindIII restrictionHindIII restriction site site

PCR 1PCR 1

PCR 2PCR 2

PCR 3PCR 3

HindIIIHindIIIsigEsigE

productproduct A A

PCR 1PCR 1PCR 2PCR 2

HindIIIHindIII

productproduct B B

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3.a.9 Saggi di beta- galattosidasi sui ceppi di MTB esprimenti le fusioni traduzionali con lacZ Le culture sono state fatte crescere fino ad una O.D.540= 0,2-0,4, a seconda del caso. I batteri sono stati successivamente suddivisi in due culture separate, di cui una è stata lasciata crescere in condizioni fisiologiche, mentre l’altra è stata indotta o con SDS ad una concentrazione finale di 0,05% di per 90 minuti, oppure con diammide ad una concentrazione finale di 2mM per 30 minuti. In questo modo è stato simulato lo stress superficiale da detergente nel primo caso e quello ossidativo nel secondo. I batteri sono stati successivamente centrifugati e lavati con terreno liquido 7H9 per eliminare eventuali tracce di SDS o diammide, ed infine risospesi in 600 µl di buffer Z (composto da NaH2PO4, Na2HPO4 e MgSO4). Dopodiché si è proceduto alla lisi cellulare che è stata eseguita tramite 3 cicli di bead-beater da 30 secondi ciascuno in appositi tubi contenenti 300 µl di beads. Del lisato sono stati messi da parte dai 20 ai 40 µl per la successiva determinazione della concentrazione proteica tramite saggio “Micro-Bradford”. Prima di eseguire il saggio è stato necessario aggiungere due volumi di NaOH 0.3 M e far bollire le proteine a 98°C per 15 minuti, in modo da essere sicuri che il contenuto fosse completamente sterile. Un’ ulteriore aliquota di 150-300 µl del lisato è stata poi portata ad un volume finale di 800 µl per lo svolgimento del saggio. Ad ogni campione sono stati aggiunti 6 µl di beta-mercaptoetanolo ed infine 200 µl di una soluzione di Orto-Nitro-Parafenol-Galattosidasi (ONPG) allo 0,4% risospeso in buffer Z. I campioni sono stati posti ad incubare a 37°C fino allo sviluppo di un pallido colore giallo. Dopo centrifugazione e filtrazione con filtri da 22 µm si può procedere alla lettura della O.D.420 allo spettrofotometro. 3.a.10 Esperimenti di doppio ibrido Un frammento di DNA di 775 paia di basi, codificante per l’isoforma grande di σE (σ267) ed un frammento di DNA di 645 paia di basi, codificante per l’isoforma piccola di σE (σ216), sono stati amplificati da DNA cromosomale del ceppo H37Rv di MTB e clonati nel vettore pUT18 per creare una fusione al 5’ in frame con la sequenza codificante il frammento T18 di CyaA di Bordetella pertussis, ottenendo rispettivamente i plasmidi denominati pEL60 e pEL58. Un frammento di 482 paia di basi, codificante per RseA, è stato clonato nel vettore pKT25 per creare una fusione al 3’ in frame con la sequenza codificante il frammento T25 di CyaA di Bordetella pertussis (pEL18). Le sequenze dei primer utilizzati si possono trovare nel materiale supplementare del lavoro pubblicato (Donà et al., 2008). Le coppie di plasmidi pEL60-pEL18, pEL58-pEL18 e pUT18-pKT25 sono state cotrasformate in ceppi BHT101 di E. coli. I ceppi risultanti sono stati in seguito analizzati tramite saggi di β-galattosidasi: le colture sono fatte crescere overnight a 25ºC o 37ºC in presenza di IPTG 0,5 mM e dell’antibiotico appropriato per la selezione. Si esegue poi il saggio di β-galattosidasi come descritto in precedenza utilizzando X-Gal 40 µg/ml.

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3.b) Studio di una coppia di proteine PE-PPE, con lo scopo di veicolare antigeni sulla superficie micobatterica tramite fusione con una proteina PPE 3.b.1 Ceppi batterici e terreni di coltura Per le procedure di clonaggio sono stati utilizzati i ceppi di E. coli JM109, HB101, TOP-10 e DH5α. I batteri sono stati fatti crescere a 37°C a 150 rpm in terreno Luria-Bertani (LB) sia in forma liquida (1% bacto-triptone, 0.5% estratto di lievito e 1% NaCl) che in forma solida (contenente in aggiunta 1.5% di bacto-agar). Il ceppo Mc2155 di M. smegmatis e M .bovis BCG sono stati fatti crescere sia in terreno liquido Middlebrock 7H9 (Difco Laboratories), contenente 0.2% di glicerolo e 0.05% di Tween 80, che in terreno solido Middlebrock 7H10 (Difco Laboratories), contenente 0.2% di glicerolo e 0.05% di Tween 80. Nel terreno dei ceppi di M .bovis BCG è stato aggiunto anche l’additivo ADN (=>2% glucosio, 5% BSA, 0.85% NaCl) ad una concentrazione finale del 10 %. I ceppi di M .bovis BCG sono stati fatti crescere a 37°C in standing, mentre i ceppi di M. smegmatis sono stati fatti crescere a 37°C (30?) a 150 rpm. Per la selezione è stata utilizzata l’igromicina ad una concentrazione finale di 50 µg/ml. 3.b.2 Manipolazione del DNA Tutte le tecniche di manipolazione del DNA utilizzate sono state svolte seguendo le procedure standard, utilizzando ceppi di E. coli come ospiti iniziali. Gli enzimi di restrizione e modificazione del DNA (New England Biolabs) sono stati utilizzati seguendo le istruzioni e raccomandazioni del produttore. I primers per l’amplificazione delle regioni d’interesse utilizzati per i clonaggi sono stati disegnati sulla base della sequenza nucleotidica del genoma del ceppo H37Rv di MTB annotata su Tuberculist. 3.b.3 Costruzione dei plasmidi per l’espressione di PPE17 intera o del suo dominio PPE (dPPE17) in co-espressione o meno con PE11 É stato creato un vettore per l’espressione della PPE17 o del suo solo dominio PPE (dPPE17) in co-espressione o meno con PE11. Entrambe le proteine di fusione sono state inoltre marcate al C terminale con l’epitopo HA. L’espressione delle proteine chimeriche è stata posta sotto al controllo del promotore forte di hsp60 mediante il clonaggio tramite sito di restrizione XbaI nel plasmide pMV10-25.

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Tra la sequenza codificante la PPE17 o dPPE17 e l’epitopo HA è stato inserito un sito PacI, in modo da poter eventualmente clonare in frame la sequenza codificante un antigene. Per l’amplificazione della sequenza codificante il dominio PPE o l’intera PPE17 di MTB si è amplificato una regione di 530 paia di basi e di 1037 paia. Il lower primer conteneva oltre alla sequenza per il sito XbaI anche una coda contenente la sequenza codificante l’epitopo HA. I frammenti così ottenuti sono stati clonati tramite il sito unico di restrizione XbaI all’interno del vettore pMV10-25. Allo stesso modo, per l’amplificazione della sequenza codificante la PE11 e il dominio PPE o l’intera PPE17 di MTB, si è amplificato una regione di 850 paia di basi e di 1357 paia di basi rispettivamente. Il lower primer conteneva oltre alla sequenza per il sito XbaI anche una coda contenente la sequenza codificante l’epitopo HA. I frammenti così ottenuti sono stati clonati tramite il sito unico di restrizione XbaI all’interno del vettore re plicativo pMV10-25.

PPE17 HAPE11Hsp60 Pr

Hsp60 Pr HAPE11 dPPE17

dPPE17

PPE17 HAHsp60 Pr

HAHsp60 Pr

dPPE17

dPPE17

Figura 3.1: Schema dei vettori esprimenti le due proteine di fusione tra dPPE17 e Mpt64 deleto dei primi 23 o 80 aa al N teriminale.

I vettori sono stati successivamente elettroporati secondo le procedure standard sia in M. smegmatis che in M. bovis BCG. 3.b.4 Costruzione dei plasmidi per l’espressione di una proteina di fusione tra il dominio PPE (dPPE17) e l’antigene modello Mpt64 e l’antigene multimerico Ag85-ESAt6 di MTB o l’antigene Csp C3 di plasmodium berghii É stato creato un vettore per l’espressione di una proteina di fusione tra il solo dominio della PPE17 (dPPE) e l'antigene Mpt64, deleto dei primi 23 o 80 aa al N terminale (fig.3.2), in modo da eliminare la sequenza del peptide segnale per la secrezione dell’antigene MPT64 nativo, sia in presenza che in assenza di PE11. Entrambe le proteine di fusione sono state inoltre marcate al C terminale con l’epitopo HA. L’espressione delle proteine chimeriche è stata posta sotto al controllo del promotore forte di hsp60 (vedi fig.3.2).

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Per l’amplificazione della sequenza codificante l’antigene modello Mpt64 di MTB deleto dei primi 23 o 80 aa al N terminale si è amplificato una regione di 660 paia di basi e di 505 paia di basi rispettivamente. I frammenti così ottenuti sono stati clonati tramite il sito unico di restrizione PacI all’interno del vettore pMV10-25::dPPE17 o pMV10-25::PE11-dPPE17 (vedi fig.3.2 a) e b)). Per l’amplificazione della sequenza codificante l’antigene multimerico Ag85-ESAT6 di MTB, si è amplificato una regione di 1185 paia di basi, utilizzando come templato un vettore topo, in cui era stato inserito il frammento codificante l’antigene Ag85-ESAT6. Il frammento così ottenuti è stato clonato tramite il sito unico di restrizione PacI all’interno del vettore pMV10-25::dPPE17 (vedi fig.3.2 c)). Per l’amplificazione della sequenza codificante l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghii, si è amplificato una regione di 642 paia di basi, utilizzando come templato un vettore topo, in cui era stato inserito il frammento codificante l’antigene Csp C3 con un codon usage micobatterio. Il frammento così ottenuti è stato clonato tramite il sito unico di restrizione PacI all’interno del vettore pMV10-25::dPPE17 (vedi fig.3.2 c)).

a)

mpt64 HAdPPEHsp60 Pr

N-term

Mpt64

120 aa100 aa C-term

Δmpt64 HAdPPEHsp60 Pr

b) c)

Figura 3.2: a) Schema dei vettori esprimenti proteine di fusione tra dPPE17 e Mpt64 deleto dei primi 23 o 80 aa al N teriminale.

b) Schema del vettore esprimenti la proteina di fusione tra dPPE17 e Mpt64 in co-espressione con PE11.

c) Schema dei vettori esprimenti proteine di fusione tra dPPE17 e Ag85-Esat6 o CspC3

mpt6 HA PE11 Hsp60 Pr dPPE17

csp c3

HA dPPE17 Hsp60 Pr

esat

HA dPPE17 ag85Hsp60 Pr

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I vettori sono stati successivamente elettroporati secondo le procedure standard sia in M. smegmatis che in M. bovis BCG.

3.b.5 Elettroporazione di M smegmatis e M. bovis BCG

La preparazione delle cellule competenti e l’elettroporazione di M. smegmatis sono stati eseguiti come descritto nel capitolo 3.a.3. Per l’elettroporazione di M. bovis BCG una cultura di 30 ml viene posta ad incubare a 37°C in standing fino ad una OD600= 0,4-0,6. Alla coltura viene poi aggiunta glicina 2M in quantità pari ad 1/10 del volume della coltura. Si incuba poi la coltura nuovamente a 37°C per altre 24 ore. La coltura viene successivamente lavata due volte con 10 mL di acqua contenente tween80 0,05%, centrifugando ogni volta per 10 minuti a 3000 g-1 a temperatura ambiente. Successivamente si risospende la cultura in 10 ml di glicerolo contenente tween80 0,05% e si centrifuga di nuovo. Il pellet viene infine risospeso in 500 µL di glicerolo 10%. Suddivisi poi in aliquote da 50 µL pronte per l’elettroporazione. Dopo l’aggiunta di 1 o 2 µg di DNA plasmidico alle singole aliquote, le cellule vengono elettroporate attraverso una singola scarica generata dall’elettroporatore Gene Pulser Transfection Apparatus, impostato con 25 µF di capacitanza, 2.5 KV cm-1 di voltaggio e 1000 Ohm di resistenza. Subito dopo il passaggio di corrente, si aggiunge 900 µL di 7H9/ADC nella cuvetta, e si lascia incubare le cellule in standing in tubi a 37°C overnight. Il giorno seguente le cellule vengono piastrate su 7H10/ADC/Hyg50, e le piastre vengono postead incubare in sacchettini di plastica sigillati a 37ºC fino all’affiorare delle colonie (in genere circa 4 settimane). 3.b.6 Saggio di sensibilità alla proteinasi K I ceppi di M. smegmatis sono fatti crescere a 37ºC sotto agitazione (150 rpm) in 5 ml di 7H9 addizionato di Tween80 0.05%, glicerolo 0.2% e igromicina alla concentrazione finale di 50 µg/ml. Le colture vengono poi ringiovanite nello stesso terreno ad OD 0.1 e successivamente fatte crescere nuovamente a 37ºC sotto agitazione a 150 rpm fino a raggiungere la tarda fase esponenziale (OD 0.6-0.8). Vengono poi prelevati 20 ml di ciascuna coltura, lavati una volta in TBS (Tris pH 8.0 10mM, NaCl 150 mM, KCl 3 mM) freddo e infine risospesi in 1ml di TBS. Si prepara per ogni ceppo due aliquote da 200 µl della sospensione così ottenuta in tubi Eppendorf. Ad una delle due aliquote si aggiunge poi la proteinasi K (Sigma) ad una concentrazione finale di 100µg/ml, mentre l’altra aliquota viene posta direttamente in ghiaccio senza l’aggiunta di proteinasi K, in modo che possa successivamente fungere da controllo non trattato. Tutti i campioni vengono poi incubati in ghiaccio per trenta minuti. La reazione è arrestata aggiungendo 8 µl di “Complete cocktail di inibitori di proteasi” (Roche) ad ogni campione. I campioni sono poi centrifugati a 5000 rpm per 5 minuti a 4°C e lavati due volte con TBS freddo. I campioni vengono quindi risospesi in 50 µl di TBS, addizionati di loading buffer 5x e bolliti per 10 minuti prima della corsa elettroforetica su gel di acrilammide.

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Successivamente viene effettuato un western blot per poter visualizzare i risultati del saggio. Brevemente: le proteine separate in base al peso molecolare vengono trasferite su membrana PVDF (Biorad). Si sviluppa poi la membrana utilizzando come anticorpo primario un anticorpo anti-HA monoclonale di topo (Sigma) e come anticorpo secondario un anticorpo anti-topo coniugato alla perossidasi (Sigma). Dopo l’aggiunta dell’apposito substrato per la perossidasi (Pierce) si rileva il segnale di fluorescenza rilasciato in seguito alla reazione enzimatica della perossidasi con il “Versadoc”: la visualizzazione dei risulatai avviene poi tramite il programma “Quantity one”. 3.b.7 Analisi della presenza delle chimere di PPE17 nel surnatante di coltura in M. bovis BCG Colture di M. bovis BCG esprimenti le varie fuisoni di PPE17 sono state fatte crescere in 20 mL di terreno 7H9/ADC/Hyg50 fino ad una OD600=0.8.. I campioni vengono poi fatti centrifugare a 3500 rpm a RT per 10 minuti. Si suddivide il pellet e il surnatante. Il pellet viene provvisoriamente posto in ghiaccio. Preparazione del surnatante: Si preleva 10 mL di surnatante e lo si filtra con filtri a bassa affinità per le proteine (diametro pori di 0,22 µm). 5 mL del filtrato ottenuto vengono quindi concentrati con colonnine Amicon, centrifugandole a 4000g a RT per circa 20 minuti. Si ottengono quindi circa 500 µL di soluzione proteica, che viene fatta precipitare con TCA 10% per 30 minuti. Si centrifuga poi 10 minuti a 13000 rpm, a 4°C. Si elimina il surnatante e si lavano le proteine precipitate con acetone 80%. Si centrifuga nuovamente e, dopo l’eliminazione del surmatante, si asciuga il pellet a 40°C per 2 o 3 minuti. Si risospendono le proteine in 50 µL di PBS+PMSF 1 mM, e si aggiungono 8 µL di loading buffer. Preparazione dei pellet mantenuti precedentemente in ghiaccio: Si lavano i pellet in 10 mL di PBS+PMSF 1mM e si centrifuga a 3000 g, a 4°C per 10 minuti. Si risospende il pellet in 1 mL della stessa soluzione di lavaggio e si sonicano i campioni 3 volte a RT, con pause da 5 minuti ciascuna, in ghiaccio. Si prepara un’aliquota da 80 µL e si aggiungono 20 µL di loading buffer. Tramite la marcatura dei ceppi con l’epitopo HA sarà possibile visualizzare i campioni tramite western blot. 3.b.8 Saggio ELISA (Enzyme Linked ImmunoSorbent Assay) su cellule intere I ceppi esprimenti la proteina di fusione dPPE-Mpt64 in presenza/assenza di PE11 sono stati messi a crescere in 40 ml di terreno 7H9 fino ad un OD600= 0.8 assieme ai ceppi esprimenti:

PE-Mpt64 come controllo positivo, in quanto è stato dimostrata la sua localizzazione in superficie (Cascioferro et al., 2007)

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Mpt64 deleto del peptide segnale come controllo intracellulare

dPPE17 come controllo del sistema I batteri sono stati centrifugati a 4000 rpm per 10 minuti e lavati 2 volte con TBST (Tris HCl pH 8.0 50 mM, NaCl 150 mM, MgCl2 1mM, tween80 0.05%). Sono stati successivamente concentrati in NaHCO3 a pH= 9.6 ad una concentrazione di 10-9 cellule/ml. In una piastra per ELISA (Maxisorp, Nunc) sono stati posti 100 ul di ogni coltura per pozzetto. La piastra è stata fatta incubare a 4ºC ON per il processo di coating. Successivamente la piastra viene centrifugata a 2800 rpm per 3 minuti, si elimina il surnatante e si aggiunge 200 ul di buffer di bloccaggio (TBST+ latte 5%) per pozzetto. Dopo un'incubazione a RT per 1 ora, si centrifuga nuovamente per eliminare il surnatante e si aggiunge 100 ul di anticorpo primario anti-Mpt64, diluito 1:6000 in TBST+ latte 1%). Si incuba 1 ora a RT, poi la piastra viene centrifugata e i pozzetti lavati 3 volte con TBST. Dopodiché si aggiunge 100 ul di anticorpo secondario coniugato alla fosfatasi alcalina (Sigma) e si lascia incubare 1 ora a RT. Si centrifuga e si lava i pozzetti 4 volte con TBST. Si aggiunge poi 200 ul per pozzetto di substrato per la fosfatasi alcalina pNPP (p- nitrofenil fosfato) 1 mg/mL, precedentemente sciolto in TBS, e si lascia incubare al buio fino allo sviluppo di un pallido colore giallo. Si blocca la reazione con 50 ul di NaOH 0.3 M. Si misura infine la OD405nm per ogni pozzetto. Questo saggio è stato eseguito sia su culture di M. smegmatis che su culture di M. bovis BCG.

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4. Risultati e discussione:

Studio della regolazione trascrizionale micobatterica 4.1) Studio della regolazione trascrizionale, traduzionale e post-traduzionale del fattore ECF σE di MTB 4.1.1 Caratterizzazione dei promotori del gene sigE In letteratura sono stati precedentemente caratterizzati due promotori che regolano la trascrizione del gene sigE in MTB: un promotore regolato positivamente in condizioni di stress di superficie tramite il sistema a due componenti MprA/B, ed un altro promotore regolato dal fattore sigma ECF σH, la cui trascrizione viene indotta in condizioni di stress ossidativo o in seguito a heat shock. Inoltre, in un lavoro pubblicato antecedentemente su σE in M. bovis BCG (Wu et al., 1997), in cui sia la sequenza codificante che la regione promotoriale a monte sono identiche al 100% a quelle di sigE in MTB, sono stati identificati anche altri due promotori, siti 223 e 117 paia di basi a monte del sito di inizio della traduzione annotato nel genoma di MTB. Per definire dunque definitivamente i promotori che regolano la trascrizione di sigE in MTB, sono stati eseguiti esperimenti di 5’-RACE PCR su cellule cresciute sia in condizioni fisiologiche, che soggette a stress di superficie o stress ossidativo. Brevemente, si estrae il mRNA dalle cellule, che viene poi retro-trascritto utilizzando un primer specifico interno ai messaggeri di interesse. In seguito viene aggiunta una coda di poli(A) al cDNA, ed eseguita una PCR nested utilizzando un upper primer contenente una sequenza di poli(T) ed un lower primer interno alla sequenza del cDNA. In seguito ad una seconda PCR nested, utilizzando un upper primer, che lega la sequenza di poli(T), ed un lower primer interno, il frammento amplificato viene poi sequenziato, in modo da poter risalire all’inizio della trascrizione dei messaggeri, partendo dal presupposto che esso coinciderà con la sequenza subito a valle della sequenza di poli(A). Per il primo esperimento è stato utilizzato per la retro-trascrizione il primer RT1 (RP226, Donà et al., 2008) che si lega a valle dell’inizio della trascrizione del promotore σH-dipendente (fig.4.1, pannello A). In questo caso si è potuti risalire sia in caso di cellule cresciute in condizioni fisiologiche, che trattate per 90 minuti con SDS 0.05% per mimare uno stress di superficie, nuovamente all’inizio della trascrizione del promotore regolato dal sistema a due componenti MprA/B. Abbiamo proposto di nominare questo promotore P2. Interessantemente, l’inizio della trascrizione di P2 equivale proprio all’inizio della traduzione di sigE: è possibile riscontrare questa caratteristica anche per altri geni di MTB, che svolgono un ruolo importante nella risposta a stress ambientali. Infatti, vi sono evidenze in letteratura, che in condizioni di stress la traduzione di questa tipologia di messaggeri, denominati anche leaderless mRNA, è decisamente favorita rispetto a mRNA che non presentano questa caratteristica (He et al., 2006). Nel caso di cellule soggette a trattamento con diamide 5 mM per 30 minuti per mimare uno stress ossidativo, la banda corrispondente all’amplificato del promotore MprA-dipendente scompare

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completamente a favore di una banda che migra più velocemente: in seguito al sequenziamento si è potuto confermare, che essa risulta dal messaggero del promotore σH-dipendente, il cui inizio della trascrizione è sito 63 paia di basi a valle dell’inizio traduzionale di sigE. Abbiamo proposto di nominare questo promotore P3. Lo stesso esperimento è stato ripetuto utilizzando però per la retro-trascrizione il primer RT2 (RP124, Donà et al., 2008), che lega una sequenza a monte dei due promotori appena descritti, in modo da verificare l’eventuale presenza dei due promotori caratterizzati in M. bovis BCG (fig. 4.1, pannello B). In questo caso è stato possibile localizzare sia nel caso di batteri cresciuti in condizioni fisiologiche, che soggetti a stress di superficie o stress ossidativo, un terzo promotore, denominato P1, il cui inizio della trascrizione è sito 55 paia di basi a monte dell’inizio traduzionale. Non è invece stato possibile risalire ai due promotori caratterizzati in precedenza in M. bovis BCG. L’ipotesi che questi due promotori non siano effettivamente funzionanti in MTB è supportata anche da esperimenti di RT-PCR, svolti appositamente in seguito. a) b)

Figura 4.1: Risultati ottenuti in seguito ad esperimenti di 5’RACE PCR Nel pannello A sono rappresentate le bande ottenute dall’amplificazione mediante due PCR nested (lane 1- lane 2) del cDNA ottenuto mediante retrotrascrizione con il primer RT1 Nel pannello B sono rappresentate le bande ottenute dall’amplificazione mediante due PCR nested (lane 1- lane 2) del cDNA ottenuto mediante retrotrascrizione con il primer RT2. Nella figura sottostante è schematizzata la localizzazione dei tre promotori di sigE 4.1.2 Regolazione della trascrizione del gene sigE Dato che la 5’RACE PCR, utilizzata per localizzare i promotori P1, P2 e P3, non è una tecnica quantitativa, sono stati svolti esperimenti di RT PCR quantitativa per dosare l’effettivo contributo dei diversi promotori alla trascrizione di sigE, nuovamente sia in caso di crescita dei batteri in condizioni fisiologiche, che in seguito a stress di superficie o stress ossidativo. Sono state dunque disegnate tre coppie di primer: la prima per permettere l’amplificazione del cDNA derivante dal mRNA di tutti e tre i promotori, la seconda per l’amplificazione del cDNA

sigER T 1R T 2

P1 P 2 P 3

1 2 2 ’ 1 2 2 ’ 1 2 2 ’1 2 2 ’ 1 2 2 ’1 2 2 ’

p h ys io log icalp hy sio lo g icalco n ditio n sco n ditio n s

diam id ed iam id e1 m M1 m M

SD SSD S0 .05 %0 .05 %

R T 1

1 2 2 ’1 2 2 ’ 1 2 2 ’ 1 2 2 ’1 2 2 ’1 2 2 ’

p hy sio lo g icalph y sio lo g ic alco n ditio n sco nd itio n s

diam id ed iam id e1 m M1 m M

SD SS D S0.0 5 %0 .0 5 %

R T 2

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derivante dai messaggeri di P1 e P2, e la terza per l’amplificazione del cDNA derivante solo dal messaggero di P1 (vedi fig.4.2). In seguito è stato estratto il RNA da culture cresciute sia in condizioni fisiologiche, che soggette a trattamento con SDS 0.05% per 90 minuti (stress di superficie) o diammide 2 mM per 30 minuti (stress ossidativo). I messaggeri di P1, P2 e P3 sono stati poi retro-trascritti specificatamente utilizzando un primer che lega una sequenza a valle di P3. La quantità dei messaggeri trascritti dai tre differenti promotori a seconda delle condizioni di crescita dei batteri è stata in seguito dosata mediante RT-PCR, e normalizzata in base al livello di mRNA di sigA, che viene utilizzato come controllo interno, in quanto la sua trascrizione resta invariata in qualsiasi condizione di crescita dei batteri.

Figura 4.2: Rappresentazione delle coppie di primer utilizzate in RT PCR I risultati ottenuti sono illustrati nel grafico di figura 4.3, in cui è rappresentato il rapporto tra i livelli di mRNA trascritti in condizioni di stress con quelli trascritti in condizioni fisiologiche. Come atteso in base ai dati presenti in letteratura, la quantità totale dei trascritti derivanti dalla trascrizione cumulativa di tutti e tre i promotori aumenta sia in caso di stress di superficie, che in caso di stress ossidativo, rispetto a quella rilevata in condizioni fisiologiche. In seguito a stress di superficie si può notare una forte diminuzione della quantità del mRNA di P1, mentre vi è un aumento della quantità di messaggeri risultante da entrambi i promotori P1 e P2, che resta pressoché invariata alla quantità dei messaggeri risultante da tutti e tre i promotori: questi dati indicano dunque che in condizioni di stress di superficie l’induzione della trascrizione di sigE è dovuta quasi esclusivamente all’induzione della trascrizione di P2, e che in queste condizioni la trascrizione di P1 e P2 è inversamente regolata. Analizzando la localizzazione dei siti di legame di MprA alla regione promotoriale di sigE, è possibile formulare una plausibile spiegazione per la concomitante repressione di P1 e induzione di P2 in caso di stress di superficie: infatti, uno dei siti di legame di MprA è sovrapposto proprio al sito di inizio della trascrizione di P1. Quindi MprA, mentre lega il suo operatore per indurre la trascrizione di P2, impedisce probabilmente a sua volta la trascrizione di P1. In seguito a stress ossidativo vi è invece una leggera diminuzione della quantità dei trascritti di P1 e P2, indicando che in questo caso l’aumento della trascrizione di sigE è dovuta esclusivamente all’induzione della trascrizione di P3.

sigERT

P1 P2 P3

P1 P1

P1+P2P1+P2

P1+P2+P3P1+P2+P3P3 P3 mRNAmRNA

P2 P2 mRNAmRNA

P1 P1 mRNAmRNA

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Figura 4.3: Rapporto tra le quantità di mRNA proveniente da culture batteriche in condizioni fisiologiche rispetto a culture indotte con SDS 0.05% per 90 minuti (strisce grigie) o diammide 2mM per 30 minuti (puntini grigi) Infine, si è voluto verificare, se vi fosse una correlazione tra la quantità di SDS e diamide utilizzati per l’induzione e l’aumento della trascrizione di sigE. Come si può vedere in figura 4.4, la quantità di mRNA di sigE aumenta in maniera lineare rispetto al logaritmo della concentrazione di diamide. Non vi è invece induzione fino ad una concentrazione di SDS pari a 0.025%, mentre per concentrazioni maggiori vi è nuovamente una correlazione lineare tra l’aumento della quantità di mRNA di sigE e il logaritmo della concentrazione di SDS.

Figura 4.4: Correlazione tra l’induzione delle trascrizione di sigE e la quantità di diammide (pannello a sinistra) e SDS (pannello a destra) utilizzata per l’induzione. 4.1.3 Caratterizzazione dei siti di inizio della traduzione di sigE Il fatto che il sito di inizio della traduzione dei promotori P1 e P2 è sito rispettivamente in posizione +1 e +63 rispetto all’ATG annotato nel genoma di MTB, ha aperto l’ipotesi della presenza di un secondo inizio della traduzione, localizzato a valle del promotore P3. Per verificare che il sito di inizio della traduzione di sigE annotato in letteratura sia effettivamente funzionante, è stata creata una fusione traduzionale tra sigE e lacZ, privato del proprio inizio della traduzione.

0. 1

1

1 0

Rela

tive

amou

nts

of m

RNA

P 1 P 1 + P 2 + P 3P 1 + P 2

1

3

5

7

9

11

13

0,1 1 10

Diamide conce ntration (mM )

Rel

ativ

e am

ount

s of

mRN

A

1

3

5

7

9

11

13

0,01 0,1 1

SDS concentration (%)

Rela

tive

amou

nts

of m

RNA

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A questo scopo è stato amplificato un frammento contenente la sequenza della regione promotoriale di sigE comprendente il solo codone di inizio della traduzione, che è stato poi subclonato in un vettore integrativo in frame con la sequenza codificante lacZ, privato del proprio codone di inizio. Questo costrutto è stato poi elettroporato nel ceppo H37Rv di MTB, ed i ceppi così ottenuti utilizzati per saggi di β-galattosidasi, partendo dal presupposto che solo in caso di un inizio della traduzione funzionante, vi sarà espressione della β-galattosidasi e dunque un’attività enzimatica rilevabile in presenza di un substrato. Il saggio è stato eseguito su culture cresciute in condizioni fisiologiche oppure soggette a stress di superficie mediante trattamento per 30 minuti con SDS 0.05%. In entrambi i casi è stato possibile rilevare attività di β-galattosidasi, provando definitivamente la presenza di traduzione a partire dall’ATG annotato in letteratura (fig.4.5 A). Inoltre, è stato possibile constatare un aumento dell’attività enzimatica in seguito a trattamento con SDS, provando che il mRNA di P2 è tradotto a partire da questo codone di inizio. Dato che l’inizio della traduzione di P3 è sito a valle di questo codone di inizio della traduzione, si è voluto verificare l’eventuale presenza di codoni di start alternativi localizzati a valle di P3. Per testare questa ipotesi un frammento, contenente la sequenza della regione promotoriale e delle prime 260 paia di basi della sequenza codificante di sigE, è stato nuovamente clonato in frame con la sequenza codificante lacZ, privato del proprio codone di inizio della traduzione. in un vettore integrativo, in seguito elettroporato in H37Rv. Questo plasmide è stato poi utilizzato anche per effettuare la mutagenesi sito-specifica del codone di start di sigE: l’ATG è stato dunque mutagenizzato ad ATC, a valle del quale sono stati inseriti un frameshift seguito e uno stop codon, in modo da eliminare sicuramente la traduzione a partire da questo sito di inizio. Sono stati poi svolti saggi sui ceppi esprimenti entrambe le fusioni con lacZ per determinare l’attività β-galattosidasica in condizioni fisiologiche (fig.4.5 B1 e B2): il fatto che vi sia attività β-galattosidasica anche in caso di mutagenesi del codone di inizio della traduzione, indica che vi debba essere effettivamente anche un secondo inizio della traduzione più a valle. Analizzando la regione a valle di P3, è stato possibile trovare due possibili inizi della traduzione alternativi, siti, rispettivamente, 142 e 240 paia di basi a valle dello start codon della sequenza codificante annotata. Seguendo lo schema precedentemente descritto, è stata effettuata nuovamente la mutagenesi sito-specifica per abolire un’ipotetica traduzione a partire da questi due codoni. In entrambi i casi non è però stato possibile rilevare una diminuzione dell’attività β-galattosidasica, escludendo l’ipotesi che questi due inizi alternativi della traduzione siano effettivamente funzionanti (fig.4.5 B3 e B4). Solo in seguito all’inserzione di un frameshift subito a valle del codone in posizione +142 l’attività β-galattosidasica viene eliminata completamente (fig.4.5 B5), indicando che lo start codon alternativo deve essere localizzato a monte, in una posizione compresa tra +63 (P3) e +142 paia di basi rispetto all’ATG annotato. Analizzando questa regione, sono stati identificati due ulteriori possibili inizi traduzionali, ovvero un ATC in posizione +118 e un TTG in posizione +127, e un ribosome binding site (GGAGG), ben conservato anche in altre specie micobatteriche (fig.4.5 C), localizzato, rispettivamente, 18 e 27 paia di basi a monte dei due putativi codoni di inizio della traduzione alternativi. Per verificare se questi due codoni fossero effettivamente codoni di inizio della traduzione, è stata amplificata la regione promotoriale e la sequenza codificante di sigE, privato dell’inizio traduzionale annotato tramite mutagenesi sito-specifica, comprendente i due putativi codoni di start. Il frammento ottenuto è stato nuovamente clonato in frame con la sequenza codificante lacZ, privato del proprio codone di inizio della traduzione. In seguito sono stati inseriti tramite mutagenesi sito-specifica due frameshift subito a monte o subito a valle del codone ATC (fig.4.5 C2 e C3). Le fusioni traduzionali così ottenute sono state nuovamente introdotte in H37Rv per effettuare saggi di β-galattosidasi: nel caso della fusione contenente il frameshift a monte dell’ATC, l’attività β-galattosidasica rilevata era paragonabile a quella ottenuta nel caso della fusione non contenente frameshift, mentre l’inserzione di un frameshift a valle dell’ATC porta ad

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una riduzione circa del 50% dell’attività enzimatica, suggerendo che questo codone è solo in parte responsabile della traduzione di un isoforma più piccola di σE. Per studiare il ruolo del secondo putativo codone di inizio della traduzione (TTG), sono state costruite due ulteriori fusioni traduzionali con lacZ: nella prima è stato inserito un frameshift subito a valle del TTG, mentre nella seconda il TTG è stato mutagenizzato a TTA (fig.4.5 C4 e C5). Nel primo caso non è stato possibile rilevare alcuna attività β-galattosidasica, indicando dunque che non vi è inizio della traduzione a valle del TTG. Nel secondo caso invece è stata determinata una diminuzione dell’ attività β-galattosidasica circa del 50% rispetto a quella determinata per la fusione, in cui entrambi i codoni di inizio della trascrizione sono funzionanti. Per dimostrare definitivamente che l’ATC e il TTG sono i due codoni di inizio della traduzione alternativi di sigE, è stata costruita un’ulteriore fusione con lacZ, in cui tutti e tre i codoni di start sono stati mutagenizzati. In questo caso è stato possibile determinare una diminuzione dell’attività β-galattosidasica rispetto al costrutto wild-type pari a circa il 90% (fig.4.5 C6). In conclusione, esistono quindi due isoforme del fattore di trascrizione σE: un’isoforma grande, denominata σE257, tradotta a partire dall’ATG annotato nel genoma di MTB, ed espressa in condizioni fisiologiche dai trascritti di P1 e over-espressa in seguito a stress di superficie dai trascritti di P2, ed un’isoforma piccola, tradotta in maniera equivalente a partire da due codoni non canonici, ovvero un ATC e un TTG, denominata, a seconda, σE215 o σE218, che viene espressa probabilmente quasi esclusivamente in seguito a stress ossidativo o shock termico dai trascritti del promotore P3.

Figura 4.5: Schema rappresentante le seuqenze fuse a lacZ, privato del proprio inizio della traduzione. I codoni mutagenizzati sono evidenziati in box grigi. I frameshift sono rappresentati tramite triangoli capovolti.

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4.1.4 Regolazione post-traduzionale di σE

I fattori σ sono regolati negativamente a livello post-traduzionale dai cosiddetti fattori anti-σ: ogni fattore anti-σ riconosce in maniera specifica un fattore σ, e, legandosi ad esso, impedisce il legame del fattore di trascrizione alla RNA polimerasi, e di conseguenza quindi anche la trascrizione dei geni posti sotto al suo controllo. Il gene Rv1222, sito a valle del gene sigE nel genoma di MTB, è stato ipotizzato codificare per il fattore anti-σE, in quanto il gene codificante un fattore anti-σ è generalmente localizzato subito a valle del gene codificante il fattore σ. Inoltre, studi di allineamento della sequenza amminoacidica del prodotto genico di Rv1222 hanno confermato un’alta omologia di sequenza e struttura con altri fattori anti-σ. Per confermare questa ipotesi sono stati svolti da un gruppo canadese che ha collaborato a questo progetto, saggi di trascrizione in vitro e esperimenti di GST pull-down (Donà et al., 2008). È stato così possibile dimostrare che Rv1222, denominato rseA, codifica per il fattore anti-σE, denominato RseA, che è in grado di legare in maniera specifica l’isoforma grande di σE, impedendo la trascrizione dei geni riconosciuti da questo fattore σ. Per valutare se RseA è in grado di legare anche l’isoforma piccola, è stata utilizzata la tecnica del doppio ibrido, basata sulla ricostruzione in E. coli del dominio catalitico dell’adenilato ciclasi CyaA di B. pertussis, formato dai due sotto-dominii indipendenti T18 e T25. Sono stati costruiti appositi vettori per l’espressione del dominio T25 fuso a RseA, e del dominio T18 è fuso all’isoforma σ257 o σ215, che sono stati in seguito co-trasformati nel ceppo BTH101 di E. coli. Sui ceppi ottenuti sono stati svolti saggi di β-galattosidasi, partendo dal presupposto che solo in caso di interazione tra RseA e σ257 o σ215 vi sarà la ricostruzione del dominio catalitico di CyaA, e dunque attività β-galattosidasica rilevabile. Come si può vedere in figura 4.6 quando i batteri vengono fatti crescere a 25ºC, è stato possibile determinare un’attività β-galattosidasica pressoché simile sia per T18 fuso a σ257 che fuso a σ215, a dimostrazione che RseA è in grado di legare entrambe le isoforme di σE. Nel caso in cui i batteri vengono fatti crescere a 37ºC, l’attività β-galattosidasica crolla a livelli paragonabili al controllo negativo, indicando che l’interazione tra RseA e le due isoforme di σE è temperatura-sensibile (fig.4.6).

Figura 4.6: Esperimenti di doppio ibrido effettuati in E. coli: nel grafico a sinistra è rappresenta i dati ottenuti crescendo i batteri a 25ºC, mentre a destra i dati ottenuti crescendo i batteri a 37C.

25°C

0

500

1000

1500

2000

2500

Neg SigE-257 SigE-215

Mill

er U

nits

37°C

0

500

1000

1500

2000

2500

Ne g SigE-257 SigE-215

Mill

er U

nits

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,

4.2) Studio del ruolo del fattore di trascrizione σF di M. smegmatis nella biosintesi dei carotenoidi, nell’efficienza di trasformazione e nella risposta a trattamento con perossido d’idrogeno 4.2.1 Studio del ruolo del fattore di trascrizione σF di M. smegmatis nella biosintesi dei carotenoidi La biosintesi del carotene aromatico isorenieratene è ristretta ai batteri verdi fotosintetici ed alcuni actinomiceti: questo pigmento è caratteristico di quasi tutti i micobatteri presentanti pigmenti arancioni, come M. avium e M. intracellulare. Tramite studi biochimici sono stati documentati i singoli steps metabolici che portano alla biosintesi di questo pigmento a partire dal farnesil-pirofosfato mediante gli enzimi codificati dai geni crtE, crtB, crtI, crtY e crtU. In M. aurum la biosintesi dell’isorenieratene è diretta da un cluster genico contenente 8 open reading frames trascritti nella stessa direzione. In M. smegmatis è stato possibile trovare un cluster di geni contenente 6 ortologhi dei geni coinvolti nella biosintesi dei carotenoidi presenti in M. aurum, mentre il gene crtE è localizzato a ben 1.8 Mb di distanza da questo cluster. Dato che il mutante per il gene sigF del ceppo ATCC607 di M. smegmatis perde la facoltà di produrre pigmenti carotenoidi, caratteristica riacquisita in seguito a complementazione tramite l’introduzione di una copia funzionante di sigF, è stato ipotizzato che σF svolga un ruolo fondamentale per la trascrizione dei geni coinvolti nella sintesi dei carotenoidi. Per verificare questa ipotesi, sono stati svolti esperimenti di RT-PCR su mRNA estratto dal ceppo selvatico, dal ceppo mutante sigF e dal ceppo complementato, per dosare la quantità di trascritti dei geni crt, uitilizzando nuovamente sigA come controllo interno non variabile. I risultati indicano che non vi è differenza nella quantità di crtE trascritto, mentre la trascrizione di crtB diminuisce di circa 29 volte nel ceppo mutante rispetto al ceppo selvatico. Nel ceppo complementato la trascrizione di crtB è invece quasi completamente ristabilita (80%), a conferma del fatto che la trascrizione di questo gene è sotto al controllo del fattore σF(fig.4.7)

Figura 4.7: Quantità di mRNA di crtI ottenute dal ceppo mutante e dal ceppo complementato rispetto al ceppo selvatico

0,035

0,18

0,001

0,01

0,1

1

10

1

Rela

tive

amou

nts

of c

rtB m

RNA

sigF mutantsigF complemented

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4.2.2 Ruolo di σF nella suscettibilità al perossido d’idrogeno Dato che i carotenoidi svolgono un ruolo importante per la protezione dei batteri dai radicali liberi, si è voluto testare un eventuale aumento della suscettibilità del ceppo mutante al perossido d’idrogeno. A questo proposito, il ceppo selvatico, il ceppo mutante sigF e il ceppo complementato sono stati fatti crescere in presenza di H2O2 5 mM, e la morte cellulare valutata tramite conta delle unità formanti colonia (cfu). Dopo 2 ore di trattamento vi è una diminuzione della soppravvivenza cellulare ben di 104 nel ceppo mutante, mentre non vi è una diminuzione significativa della sopravvivenza cellulare del ceppo selvatico e del ceppo complementato. Questi dati indicano nuovamente un importante ruolo del fattore σF nella regolazioni di geni in risposta a stress ossidativo. 4.2.3 Ruolo di σF nella frequenza di trasformazione È stato osservato, che il ceppo mutante sembrava mostrare un aumento della frequenza di trasformazione: per verificare questa osservazione, un plasmide replicativo è stato elettroporato nel ceppo mutante, nel ceppo selvatico e nel ceppo complementato, e calcolata la rispettiva efficienza di trasformazione. L’efficienza di trasformazione del ceppo selvatico è risultata essere inferiore a 10/µg DNA, contro un’efficienza di 9.5X104/µg DNA del ceppo mutante sigF. Nel ceppo complementato l’efficienza diminuisce nuovamente di più di 100 volte rispetto al ceppo mutante, a dimostrazione che l’assenza di σF è direttamente correlata con l’efficienza di elettroporazione in M. smegmatis, 4.3 Conclusioni: studi sulla regolazione trascrizionale di due fattori σ micobatterici In questa parte di progetto sono stati svolti studi per approfondire le conoscenze riguardo al fattore SigE di MTB e SigF in M. smegmatis, e del loro ruolo nella regolazione della trascrizione di geni specifici in risposta a condizioni di stress. A questo proposito è stata studiata la regolazione trascrizionale, tradizionale e post-traduzionale di questo fattore di trascrizione. Per quanto riguarda gli studi sulla regolazione trascrizionale effettuati sul fattore SigE, è stato possibile risalire anzitutto alla presenza dei tre promotori, che regolano la trascrizione del gene sigE, a seconda del tipo di stress a cui è soggetto il batterio: un promotore sito 55 paia di basi a monte della sequenza codificante di sigE, denominato P1, trascritto in condizioni fisiologiche, un secondo promotore, il cui inizio della trascrizione equivale all’inizio traduzionale del gene, denominato P2, trascritto tramite il sistema a due componenti MprA/B in seguito a stress di superficie, ed un terzo promotore, il cui inizio della trascrizione è sito 63 paia di basi a valle del codone di start annotato nel genoma di MTB, la cui trascrizione avviene in seguito a stress ossidativo e shock termico tramite il fattore SigH.

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Tramite esperimenti di RT-PCR è stato possibile saggiare il contributo dei diversi promotori nella trascrizione di sigE in condizioni fisiologiche o in seguito a stress di superficie ed heat shock. Il fatto che in seguito a stress di superficie, vi è una concomitante repressione di P1 ed induzione di P2, suggerisce che questi promotori siano inversamente regolati. Analizzando la sequenza di legame di MprA, si può notare che cade esattamente sopra all’inizio di trascrizione di P1, percui è ipotizzabile, che MprA, legandosi, induce da una parte la trascrizione di P2, ma impedisce dall’altra anche la trascrizione di P1. Il fatto che l’inizio della trascrizione di P3 sia sito a valle dell’ATG annotato per il gene sigE, ha aperto l’ipotesi dell’esistenza di un secondo inizio tradizionale a valle di P3. Tramite fusioni tradizionali con la beta-galattosidasi, è stato anzitutto possibile dimostrare, che l’ATG annotato nel genoma di MTB è funzionante, permettendo la traduzione del trascritto di P1 in un’isoforma grande di SigE, denominata SigE257. Dato che è stato possibile rilevare un’induzione dell’attività beta-galattosidasica in seguito a trattamento con SDS 0.05%, è ipotizzabile che il trascritto di P2 rappresenti un leaderless mRNA, codificante sempre per l’isoforma grande. In base a dati in letteratura, i leaderless mRNA vengono tradotti in maniera più efficiente rispetto a mRNA canonici in condizioni di stress, a cui possono essere soggetti i batteri (He et al., 2006): essi vengono infatti tradotti preferibilmente dalla subunità 70S del ribosoma, presente in maniera prevalente in condizioni di stress. Per risalire all’inizio della traduzione alternativa di sigE, sono state costruite altre fusioni traduzionali, nelle quali i putativi codoni di start alternativi sono stati selettivamente mutagenizzati. In questo modo è stato possibile risalire a due codoni di inizio della traduzione non canonici, ovvero un ATC ed un TTG, che permettono l’espressione di un’isoforma più piccola di SigE, ovvero di 218 e 215 amminoacidi rispettivamente. Inoltre, in base a dati ottenuti da nostri collaboratori, è stato possibile confermare, che il gene a valle di sigE codifica per il fattore anti-SigE. Esperimenti di doppio ibrido, basato sulla ricostruzione dominio catalitico dell’adenilato ciclasi di B. pertussis hanno permesso di dimostrare che RseA è in grado di legare entrambe le isoforme di SigE, e che questo legame è temperatura-sensibile. Questa osservazione è coerente col fatto che SigE svolge effettivamente un ruolo importante anche nella risposta a shock termico. In futuro si tenterà di complementare il mutante sigE di MTB sia solo con l’isoforma grande, che solo con l’isoforma piccola di SigE, in modo da verificare in seguito tramite DNA microarray, se le due isoforme siano in grado di regolare la trascrizione di geni diversi specifici a seconda del tipo di stress, a cui è soggetto il batterio. Inoltre è stato studiato anche il ruolo del fattore SigF nella produzione di beta-carotenoidi in M. smegamtis, partendo dal presupposto che il mutante per questo gene non presenta la classica pigmentazione arancione del ceppo selvatico, mentre la complementazione del mutante con una copia funzionale di sigF porta a riacquisire questa caratteristica. A questo proposito sono stati localizzati i geni crt contenuti nel genoma di M. smegmatis, i cui prodotti genici sono implicati nella sintesi dei carotenoidi, ed i livelli di trascrizione di questi geni nel ceppo selvatico, nel ceppo mutante sigF ed nel ceppo complementato, dosati tramite RT-PCR. I risultati indicano che nel caso del gene crtE non vi è differenza tra i tre ceppi nei livelli di mRNA trascritto, mentre la trascrizione di crtI è fortemente repressa nel ceppo mutante, mentre nel ceppo complementato viene la facoltà di trascrivere questo gene viene riacquisita al 80%. Dato che i pigmenti carotenoidi svolgono un ruolo importante nella protezione contro i radicali liberi, si è saggiata anche un’eventuale sensibilità dei tre ceppi a trattamento con perossido d’idrogeno: anche in questo caso solo il ceppo mutante sigF ha mostrato avere una maggiore suscettibilità a questo trattamento. Infine è stato dimostrato che il ceppo mutante sigF presenta una maggiore efficienza di trasformazione, indicando che SigF regola probabilmente anche la trascrizione di geni coinvolti nella permeabilità della parete micobatterica.

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In conclusione, sono stati ulteriormente caratterizzati due fattori di trascrizione micobatterici, con lo scopo di capire meglio i meccanismi che regolano la trascrizione micobatterica in risposta a stress, e dunque la capacità di questi microorganismi di sopravvivere anche in condizioni ambientali avverse.

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5. Risultati e discussione:

Caratterizzazione della localizzazione di PPE17, per valutare la possibilità di localizzare antigeni sulla superficie micobatterica

tramite la loro fusione con il dominio PPE 5.1. Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare la localizzazione delle proteine chimeriche PE11-dPPE17-HA, PE11-PPE17-HA, e dPPE17-HA, PPE17-HA Al fine di verificare la localizzazione a livello superficiale della proteina PPE17 e un’eventuale influenza della PE11 nel processo di traslocazione della PPE17, sono stati eseguiti dei saggi di sensibilità alla proteinasi K sui lisati dei ceppi di M. smegmatis esprimenti l’intera proteina PPE17 o solo il suo dominio PPE (dPPE17) fuse all’epitopo HA con o senza la co-espressione di PE11 (vedi fig.5.1) Il saggio di sensibilità alla proteinasi K si basa infatti sul principio che solo proteine esposte sulla superficie micobatterica possono essere accessibili alla attività proteolitica della proteinasi K e dunque degradate in seguito a trattamento con questo enzima, mentre non vi sarà degradazione di proteine localizzate all’interno delle cellule. Mediante analisi su western blot delle proteine contenute nei lisati dei campioni trattati e non con proteinasi K, è stato possibile vedere che vi è una degradazione parziale dei campioni trattati con proteinasi K e dunque traslocazione in superficie della PPE17 intera sia con che senza la PE11, mentre il solo dominio PPE17 sia con che senza la PE11 pare non venire degradato (figura 5.1). Figura 5.1. Western blot effettuati su ceppi di M. smegmatis esprimenti le proteine di fusione (PE11)-(d)PPE17. I batteri sono stati incubati per 30’ con (+) e senza (-) proteinasi K. Corsie 1-2-3-4 da sinistra (d)PPE. Corsie 5-6-7-8 (PE11)-(d)PPE17; corsie 9-10 controllo negativo Mpt64 citosolico; corsie 11-12 controllo positivo PE-PGRS33.

15 kDa

25 kDa

35 kDa

45 kDa

55 kDa

PE - PPE PE - dPP

+ + -

- - +

+ +

+ -

- -

Proteinase K

PPE dPPE

Ct - Mpt64c

Ctr - PE-PGRS33

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Dai dati ottenuti si può dedurre che la proteina PPE17 intera sia esposta in superficie, in quanto parzialmente degradata in seguito a trattamento con proteinasi K. Il fatto che il solo dPPE17 non venga degradato, potrebbe invece dipendere dal fatto che la proteina è troppo corta per essere esposta in superficie al punto da essere raggiunta dalla proteinasi K. In entrambi i casi non vi è comunque anlcuna differenza in caso di coespressione di PE11.

5.2 Analisi della presenza delle proteine di fusione di PPE17 nel surnatante di coltura in M. bovis BCG Dati in letteratura indicano che nel caso della PPE41, la PE29 è necessaria per la sua secrezione (Abdallah et al., 2006). Per questo motivo sono stati analizzati i surnatanti presi dalle colture dei ceppi di M. bovis BCG esprimenti le varie proteine chimeriche di PPE17 tramite western blot, per verificare la presenza/assenza delle proteine chimeriche. Come è possibile vedere ad esempio in figura 7, nel caso della PPE17 non vi è secrezione nemmeno in presenza di PE11. Infatti, non è stato possibile trovare proteine chimeriche nel surnatante in nessuno degli 8 casi (dato non mostrato). Figura 5.2: Analisi della presenza di PPE17 nel surnatante nel caso di coespressione con PE11. Corsie 1-2 Mpt64 wt contenuto nel surnatante-pellet Corsie 3-4 Mpt64 citosolico contenuto nel surnatante-pellet. Il surnatante è in rapporto al pellet 1:5. Corsie 5-6 PPE17 contenuta nel surnatante-pellet 5.3 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare la localizzazione delle proteine chimeriche dPPE17-(Δ)Mpt64 Al fine di verificare la possibilità di veicolare antigeni sulla superficie cellulare mediante la loro fusione al dominio PPE della PPE17 (dPPE), sono stati creati ceppi di M. smegmatis esprimenti le

15 kDa

25 kDa

35 kDa 45 kDa 55 kDa

1

2 3 4

5 6

PE - PPE Ctr –

Mpt6 citosol

Ctr +

Mpt64

23%

7

1%

99% 0%

100%

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proteine di fusione dPPE-Mpt64 deleto dei primi 23 aa al N terminale e dPPE-Mpt64 deleto dei primi 80 aa al N terminale (dPPE-ΔMpt64). Sono stati poi eseguiti saggi di sensibilità alla proteinasi K su questi ceppi. Come si può vedere in fig.5.4, in entrambi i casi vi è degradazione delle proteine chimeriche dovuta all’azione della proteinasi K, ad indicazione che esse siano effettivamente esposte in superficie. La validità del saggio è garantita tramite l’utilizzo di un controllo positivo, rappresentato da un ceppo esprimente la proteina PE_PGRS33, in quanto è stato dimostrato in letteratura, che è esposta sulla superficie micobatterica (Cascioferro et. al., 2007), e di un controllo negativo, rappresentato da un ceppo esprimente l’antigene Mpt64 deleto della sequenza codificante il peptide segnale per la secrezione contenuta nella proteina nativa (Mpt64 IC), in quanto questa proteina si localizza dunque all’interno delle cellule. Entrambe le proteine sono state inoltre fuse anche all’epitopo HA al C terminale per la marcatura. In seguito a trattamento con proteinasi K vi è una chiara degradazione della PE_PGRS in confronto al campione non trattato (controllo+), mentre in seguito a trattamento con proteinasi K del non vi è degradazione di Mpt64 IC rispetto al campione non trattato (controllo-): ciò indica che i risultati del saggio sono attendibili, e che la degradazione delle proteine dipende dunque esclusivamente dal fatto che sono esposte in superficie e non da un artefatto, come per esempio in seguito a lisi cellulare. Figura 5.4 Western blot effettuati su ceppi di M. smegmatis esprimenti la proteina di fusione dPPE17-Mpt64 e dPPE17-ΔMpt64. Tutti i ceppi sono stati incubati per 30’ con (+) e senza (-) proteinasi K. 5.4 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare un’eventuale influenza della co-espressione di PE11 nel processo di traslocazione in superficie della proteina chimerica dPPE-Mpt64 Al fine di verificare la possibilità di un’eventuale influenza della co-espressione di PE11 nel processo di traslocazione in superficie della proteina chimerica dPPE-Mpt64, è stato creato un ceppo di M. smegmatis esprimente la proteina di fusione dPPE-Mpt64 in concomitanza alla PE11. Sono stati poi eseguiti saggi di sensibilità alla proteinasi K su questi ceppi.

15 kDa

25 kDa

35 kDa

45 kDa

55 kDa

+ + + + - - - - Proteinase K

dPPE-ΔMpt64 dPPE-Mpt64 Ctr- Ctr+

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Come si può vedere in fig.5.5, sia in presenza che in assenza della PE11 vi è degradazione dovuta all’azione della proteinasi K, indicando che il processo di traslocazione in superficie avviene indipendentemente dalla presenza della PE11. Figura 5.5. Western blot effettuati su ceppi di M. smegmatis esprimenti la proteina di fusione dPPE17-Mpt64 in presenza o assenza di co-espressione di PE11. I ceppi sono stati trattati (+) o non trattati (-) con proteinasi K per 30 minuti. Come controlli per la validità del saggio sono stati utilizzati i medesimi controlli del saggio di sensibilità alla proteinasi K descritto in precedenza. 5.5 Saggi di sensibilità alla proteinasi K per verificare la localizzazione delle proteine di fusione tra dPPE e l’antigene multimerico Ag85-ESAT 6 di M. tuberculosis o l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghei Al fine di verificare la possibilità di veicolare sulla superficie cellulatre anche altri antigeni, sia autologhi che eterologhi, mediante la loro fusione con dPPE, sono stati creati ceppi di M. smegmatis esprimenti proteine di fusione tra il dPPE e l’antigene multimerico Ag85-Esat6 di M. tuberculosis e l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghei. Sono stati poi eseguiti saggi di sensibilità alla proteinasi K. Come si può vedere in fig.5.6, in entrambi i casi vi è degradazione dovuta all’azione della

(PE) dPPE -Mpt64

dPPE -Mpt64

PE_PGRS33

Mpt64 IC

pro te inase K + - + - - + + -

0 .43 0 .26 0 .24 0 .94t/n t

1 5 kD a

2 5 kD a3 5 kD a4 5 kD a5 5 kD a

T N T T N T T N T T N T

PE_PGRS33

Mpt64 IC

dPPE -Csp C3

dPPE -Ag85-Esat6

0 .3 0 .2 4 0 .2 8 0 .9t/n t

1 5 k D a

2 5 k D a

3 5 k D a

4 5 k D a

5 5 k D a

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proteinasi K, il che indica che anche in questo caso le proteine di fusione sono effettivamente Figura 5.6. Western blot effettuati su ceppi di M. smegmatis esprimenti le proteine di fusione dPPE17-Ag85-ESAT 6 e dPPE17-CSP C3. I batteri sono stati incubati per 30’ con (+) e senza (-) proteinasi K. esposte in superficie. Come controlli per la validità del saggio sono stati utilizzati i medesimi controlli del saggio di sensibilità alla preoteinasi K descritto in precedenza. 5.6 Saggio ELISA (Enzyme Linked ImmunoSorbent Assay) su cellule intere. Per avere un ulteriore conferma della localizzazione in superficie di dPPE-Mpt64, sono stati eseguiti dei saggi ELISA su cellule intere su colture di M. smegmatis o M. bovis BCG esprimenti la proteina di fusione dPPE-Mpt64 assieme ai ceppi esprimenti: PE-Mpt64 come controllo positivo, in quanto è stato dimostrata la sua localizzazione in

superficie (Cascioferro et al., 2007) Mpt64 deleto del peptide segnale come controllo intracellulare (Mpt64 ic) dPPE17 come controllo del sistema

Il saggio è stato svolto utilizzando un anticorpo policlonale di topo diretto contro il Mpt64. A) ELISA effettuato sul ceppo esprimente la proteina di fusione dPPE-Mpt64 Ad ulteriore conferma del fatto che la proteina dPPE-Mpt64 è esposta sulla superficie micobatterica, è stato svolto anzitutto un esperimento di ELISA su cellule intere sul ceppo esprimente la suddetta proteina di fusione sia in M. smegmatis che in M. bovis BCG Come si può vedere dai grafici (fig.5.7), in entrambi i casi il segnale di assorbanza del campione dPPE-Mpt64 è paragonabile a quello del controllo positivo PE-Mpt64, mentre i due controlli negativi danno un segnale molto più basso.

Figura 5.7: Grafici rappresentanti l’assorbanza misurata utilizzando per il saggio ceppi di M. smegmatis e M. bovis BCG esprimenti dPPE-Mpt64, PE-Mpt64 (controllo positivo), Mpt64 citosolico (controllo negativo intracellulare) e dPPE17 (controllo del sistema), in seguito a sviluppo con anticorpo primario anti-Mpt64 e secondario coniugato alla fosfatasi alcalina.

whole cell ELISA - M.bovis BCG

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

dPPE-Mpt64 PE-Mpt64 Mpt64 ic dPPE

OD

405

nm

whole cell ELISA - M.smegmatis

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

dPPE-Mpt64 PE-Mpt64 Mpt64 ic dPPE

OD

405

nm

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Anche i risultati di questi saggi confermano che la proteina dPPE-Mpt64 è effettivamente localizzata in superficie, sia in M. smegmatis che in M. bovis BCG. B) ELISA sui ceppi esprimenti la proteina di fusione dPPE-Mpt64 in presenza/assenza di

PE11 Ad ulteriore conferma del fatto che la proteina chimerica dPPE-Mpt64 è esposta sulla superficie micobatterica, indipendentemente dalla presenza della PE11, è stato svolto un esperimento di ELISA su cellule intere su ceppi di M. smegmatis e in M. bovis BCG esprimenti la suddetta proteina sia in presenza che in assenza di PE11. Come si può vedere dai grafici (fig.5.8), in entrambi i casi il segnale di assorbanza derivante dai campioni dPPE-Mpt64, con e senza espressione di PE11, è paragonabile a quello del controllo positivo PE-Mpt64, mentre i due controlli negativi danno un segnale decisamente minore. Figura 5.8: Grafici rappresentanti l’assorbanza misurata utilizzando per il saggio ceppi di M. smegmatis e M. bovis BCG esprimenti dPPE-Mpt64 in presenza o assenza di espressione di PE11, PE-Mpt64 (controllo positivo), Mpt64 citosolico (controllo negativo intracellulare) e dPPE17 (controllo del sistema), in seguito a sviluppo con anticorpo primario anti-Mpt64 e secondario coniugato alla fosfatasi alcalina. Dunque i risultati di questi saggi confermano i risultati ottenuti dai saggi di sensibilità alla proteinasi K in M. smegmatis, ovvero che la proteina dPPE-Mpt64 è effettivamente localizzata in superficie, e ciò indipendentemente dalla presenza di PE11. Inoltre i dati ottenuti indicano che vi è una situazione analoga anche in M. bovis BCG . 5.7 Conclusioni degli studi di caratterizzazione della proteina PPE17 In questo studio abbiamo indagato le proprietà fisiologiche del dominio PPE della PPE17 di MTB con lo scopo di sfruttare la loro capacità di localizzarsi sulla superficie micobatterica per ottenere ceppi ricombinanti di M. bovis BCG, che espongano antigeni autologhi o eterologhi sulla loro superficie. Tramite saggi di sensibilità alla proteinasi K è stato anzitutto possibile determinare la localizzazione della PPE17 sulla superficie micobatterica. La traslocazione avviene sia in presenza che in assenza

whole cell ELISA M. bovis BCG

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

dPPE-Mpt64 (PE)dPPE-Mpt64

PE-Mpt64 Mpt64 ic dPPE

abso

rban

ce 40

5 nm

anti-Mpt64

whole cell ELISA M. smegmatis

00,10,20,30,40,50,60,70,8

(PE)dPPE -M pt64

PE-M pt64 Mpt64 ic dPPE

abso

rban

ce 4

05 n

m

anti-Mpt64

dP PE -Mpt64

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della co-espressione della proteina PE11, che in base a dati presenti in letteratura interagisce in maniera specifica con la PPE17. L’analisi del surnatante di culture di M. bovis BCG, esprimenti la PPE17 o il solo dPPE17, ha inoltre escluso la possibilità che la PPE17 venga secreta nel mezzo di cultura, ciò sia in presenza, che in assenza di co-espressione di PE11, a differenza della PPE41, che viene secreta in presenza della PE25. Per verificare dunque la possibilità di veicolare antigeni sulla superficie micobatterica, sono state create fusioni tra il dominio della PPE17 (dPPE17) e l’antigene modello Mpt64, deleto degli ultimi 23 o 80 aa al N terminale, in modo da eliminare la sequenza del peptide segnale, che permette la secrezione della proteina nativa. La localizzazione delle proteine di fusione a livello superficiale è stata verificata mediante saggi di sensibilità all’azione proteolitica della proteinasi K effettuati su ceppi di M. smegmatis esprimenti entrambe le proteine di fusione. Il fatto che in entrambi i casi vi sia una chiara degradazione delle proteine di fusione in seguito a trattamento con la proteinasi K indica che devono essere localizzate sulla superficie micobatterica, in quanto solo in questo caso sono accessibili all’attività proteolitica della proteinasi K. Per verificare che la proteina chimerica dPPE-Mpt64 si localizzi in superficie anche in M. bovis BCG, si è ripetuto i saggi ELISA su cellule intere anche su ceppi di M. bovis BCG esprimenti la suddetta proteina, sia in presenza che in assenza di espressione di PE11. I risultati ottenuti indicano che anche in M. bovis BCG la proteina di fusione è esposta in superficie, e che la presenza di PE11 non influenza il processo di traslocazione della proteina chimerica. Infine si è voluto verificare la possibilità di veicolare anche altri antigeni, sia autologhi che eterologhi, sulla superficie micobatterica, sempre mediante la fusione degli stessi con il dPPE. A questo proposito sono stati creati ceppi di M. smegmatis e di M. bovis BCG esprimenti l’antigene multimerico Ag85-Esat 6 di M. tuberculosis o l’antigene Csp C3 di Plasmodium berghei fusi al dPPE. Saggi di sensibilità alla proteinasi K effettuati su ceppi di M. smegmatis esprimenti entrambe le proteine chimeriche indicano che anche in questo caso tutte e due le proteine si localizzano in superficie. Inoltre sono in corso ulteriori saggi ELISA su cellule intere per verificare la localizzazione delle due proteine di fusione anche in M. bovis BCG. Dai risultati ottenuti in questo studio si può concludere che è effettivamente possibile creare ceppi ricombinanti di M. bovis BCG che espongono antigeni sia autologhi che eterologhi sulla loro superficie, semplicemente mediante la fusione degli stessi con il dPPE. Sarà dunque interessante valutare quantitativamente e qualitativamente la risposta immunitaria indotta dai ceppi ricombinanti M. bovis BCG: a questo proposito sono già in corso studi nel modello del topo. Inoltre sono in corso esperimenti per la valutazione dell’efficienza di protezione dei ceppi ricombinanti, sempre in topo. Questo studio rappresenta dunque un primo passo verso la comprensione del ruolo dei domini PE e PPE delle omonime famiglie di proteine micobatteriche. Inoltre è stato dimostrato che è possibile sfruttare la loro capacità di localizzarsi a livello superficiale per veicolare antigeni ricombinanti, sia autologhi che eterologhi, sulla superficie di M. bovis BCG a scopo vaccinale.

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