Teorie per il Default - Gli errori macroscopici e microscopici del keynesismo

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    Economics Paper #1.2

     Francesco Simoncelli

    Teorie per il fallimentoGli errori macroscopici e microscopici del keynesismo

     

    1© 2011-2014 The Fielder. All rights reserved. Property of Ace Blazon Ventures Ltd.

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    1. Introduzione 

    Al cuore dell’economia moderna esiste un’unica teoria che in tutti questi anni ha

    guidato le politiche degli Stati e delle banche centrali e gli insegnamenti nelle aule

    accademiche: la teoria keynesiana. Le azioni intraprese per combattere le recessioni, perstabilizzare l’economia, per metter mano ai bilanci hanno sempre fatto riferimento agli

    insegnamenti promulgati per la prima volta nel 1936 , quand’apparve la Teoria generale

    dell’occupazione, dell’interesse e della moneta. La stampa plaude ogniqualvolta i dirigenti

    politici parlano in questi termini, perché ciò vuol dire un aumento della spesa. E molto

    probabilmente incentivi all’editoria. Siamo di fronte a una delle pietre miliari della storia

    del pensiero economico che hanno più influenzato il corso degli eventi dell’essere umano

    nell’ultimo secolo. Grazie alle teorie keynesiane o, meglio, a quelle neokeynesiane 

    propagandate da Paul Samuelson , gli Stati hanno trovato terreno fertile per radicaremeglio la propria presenza nell’immaginario collettivo come entità salvifiche. Attraverso

    le loro decisioni politiche è possibile arrivare alla salvezza economica, e perciò devono

    essere legittimati ad avere carta bianca in quei momenti in cui sono richieste decisioni

    drastiche. Quanto c’è di vero in queste asserzioni? 

    2. Prima del keynesismo 

    La teoria keynesiana arrivò in un periodo di grande caos finanziario ed economico,

    per il quale i vari Stati del mondo avevano gran parte delle responsabilità, avendo speso

    oltre le proprie capacità e abusato della stampante monetaria. Il 1914 è l’anno dello

    spartiacque, quello in cui il pensiero economico tradizionale viene messo da parte per fare

    spazio alle irresponsabilità e demenze della guerra mondiale. Tutti i Paesi del mondo

    seguono la stessa linea d’azione: spesa in disavanzo. Il sistema aureo ( gold standard) era un

    intralcio per questa linea d’azione, quindi gli Stati ne sospesero il ruolo di mezzo di

    scambio. Stampare carta era più facile; inoltre, i debiti di guerra potevano esser accollatialle nazioni perdenti. Nonostante ciò, alla fine della prima guerra mondiale, tutte le

    nazioni del mondo ne uscirono con le ossa rotte, soprattutto economicamente, perché

    pensarono di tornare al sistema aureo ai tassi di cambio prebellici. 

    Per l’Inghilterra sarebbe stato un disastro, perché si pensava di poter ignorare a

    cuor leggero l’inflazione di massa che aveva avuto luogo negli anni del combattimento.

    Questo avrebbe dovuto forzare due decisioni: vendere oro o restringere l’offerta di

    moneta. Qualsiasi delle due decisioni sarebbe stata sensata e avrebbe permesso al mercato

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    di ripulirsi dagli errori precedenti; ma lo Stato non brilla per arguzia e intelligenza.

    Montagu Norman , capo della Banca d’Inghilterra all’epoca, invitò l’amico statunitense

    Benjamin Strong , capo della Fed di New York , a persuadere il presidente della Federal

    Reserve a pompare l’offerta monetaria del Paese, così da evitare un assalto alle riserve

    auree britanniche. Strong morì nel 1928, e fino a quella data riuscì a esaudire il desiderio

    dell’amico. Poi la Fed smise di creare denaro, e questo incanalò l’economia statunitense

    verso il crollo azionario del 1929. 

    Stampar denaro è sempre stato un espediente per cercare di tassare indirettamente

    la popolazione e accentrare più risorse pecuniarie nelle mani dei primi ricevitori del

    nuovo denaro, nonché avere vita facile per ripagare i debiti. Però, prima della comparsa

    della Teoria generale , chi sosteneva una posizione simile doveva scontrarsi col pensiero

    economico dominante, dedito a promulgare una politica conservatrice nei bilanci (niente

    interferenze statali nei mercati, valuta stabile ancorata all’oro, tasse e spese al minimo,&c). Infatti, gli economisti del Settecento e Ottocento avevano dimostrato che l’intervento

    dei governi nei mercati avrebbe impedito un loro funzionamento in accordo coi desiderî

    degli attori economici che li compongono. 

    Era possibile non solo arrivare a questa conclusione attraverso il ragionamento, ma

    anche addurre a supporto di tale tesi una sequela d’esempi storici, come il sistema aureo

    che per secoli durò nell’Impero bizantino. Avendo come monito l’ennesimo fallimento

    della cartamoneta per gentile concessione delle strambe teorie di John Law , gli economistisapevano che il governo doveva tener le mani lontano dalla stampante monetaria affinché

    si avesse una moneta stabile. Per questo sostenevano un sistema aureo e un bilancio

    governativo in pari. 

    Infatti, i governi non hanno né la capacità né la conoscenza per poter direzionare in

    modo sano i mercati; più la loro azione è limitata a proteggere la proprietà privata e far

    rispettare i contratti, più la prosperità economica sarà una realtà per la società. È questo

    che avvenne nell’America dell’Ottocento, come spiegato nel libro di Robert Higgs TheTransformation of the American Economy, 1865–1914. Tali princìpi, nonostante la creazione

    della Fed , erano ancora vivi nella popolazione americana quando, nel 1920, il presidente

    William P. G. Harding risolse una delle depressioni più brevi nella storia del settore

     bancario centrale. Come fece? Due parole: laissez faire. 

    Il suo mandato scadde nel 1922, e con lui morì una parte di quel rigore ideologico e

    morale verso la libertà che caratterizzò gli Stati Uniti delle prime colonie. Infatti,

    l’Inghilterra tornò al sistema aureo nel 1925, e da allora la Fed iniziò la corsa verso

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    https://mises.org/books/transformation_of_american_economy_higgs_web.pdf

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    l’espansionismo artificiale perpetuo. Questa strategia andava a tutto vantaggio dello Stato,

    che si trovava a poter ampliare la propria sfera d’influenza incamerando i frutti

    dell’inflazione grazie alla Fed e quelli del clientelismo grazie alla spesa in disavanzo.  

    L’azione irresponsabile della pianificazione centrale culminò con la depressione

    degli anni Trenta, periodo in cui le politiche sconsiderate adottate fino a quel momento

    non sembravano funzionare. Che cosa successe? Perché sembrò tornare il sole tutto d’un

    tratto? Vennero infrante delle promesse. Roosevelt sospese di nuovo il sistema aureo e,

    con la creazione della FDIC, al mercato fu impedito di ripulire l’ambiente economico. Da

    quel momento in poi, l’establishment politico e bancario avrebbe agito seguendo una sola

    massima: quando niente sembra più funzionare, basta implementare di più la stessa 

    cosa che non ha funzionato. Inondarono quindi il mercato con denaro fiat. 

    Fu da questi semi che germogliò il keynesismo. Politici e banchieri centrali

    sapevano d’essersi spinti oltre e di non poter più tornare indietro, quindi avevano bisogno

    di una giustificazione agli occhi della popolazione. 

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    3. La deviazione dalla via verso la libertà: il New Deal  

    Non bisogna tralasciare uno dei capisaldi dell’attivismo burocratico e fiscale

    dell’epoca: il New deal. Questo pacchetto di misure voluto dall’amministrazione

    Roosevelt segnò profondamente il pensiero economico degli anni avvenire, perchérappresentò il primo passo concreto verso l’espansione dell’influenza dello Stato e la

    distruzione della proprietà privata. La miscela di nazionalismo e autarchia contenuta nel

    New deal serviva solo a imbastire una serie di controlli dei prezzi e della produzione. John

    T. Flynn ha scritto un favoloso libro sulla figura di Roosevelt, concentrandosi proprio

    sugli errori commessi dall’allora presidente degli Stati Uniti: Il mito di Roosevelt. Qui

    apprendiamo che lui e la sua amministrazione, avendo sperimentato un rally nel mercato

    azionario e nelle proprietà agricole, quando scoppiò la bolla pensarono d’aggredire i

    prezzi bassi come modo per curare la depressione incipiente. 

    L’aumento delle tasse, dei legacci burocratici e della propaganda anti-imprese

    peggiorò la stagnazione in cui erano entrati gli Stati Uniti; l’attività economica rallentava

    ulteriormente a causa della gestione miope di Roosevelt e dei suoi tirapiedi. Una delle

    leggi più tossiche partorite da questi ultimi fu il NIRA (National Industrial Recovery

    Act): introduzione di un salario minimo nonostante le capacità dei lavoratori, maggior

    potere ai sindacati , costi della manodopera elevati, &c. L’effetto di queste politiche fu uno

    solo: disoccupazione. Non poteva essere altrimenti, perché l’abbiccì dell’economia ce lo

    conferma: a un prezzo maggiore, la domanda diminuisce. 

    Dopo tutte queste nuove strategie e la sospensione del sistema aureo, la grande

    depressione avrebbe attanagliato il Paese per altri 15 anni. Nel 1948, infatti, con

    l’abolizione delle regole imposte dal New deal e con un taglio della spesa pubblica del

    ~60%, l’economia statunitense poté riprendersi dagli squilibri accumulati in passato. Solo

    in quell’anno, la produzione del settore privato aumentò di un terzo, e dopo 18 anni gli

    investimenti privati di capitale videro finalmente il segno positivo. Come spiega Higgs nel

    suo articolo «Regime Uncertainty: Why the Great Depression Lasted So Long and Why

    Prosperity Resumed after the War», non furono le misure adottate da Roosevelt a far tornare

    gli USA su un cammino di prosperità, bensì l’affievolimento della presa statale sul

    mercato. 

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    http://www.independent.org/pdf/tir/tir_01_4_higgs.pdfhttps://mises.org/books/rooseveltmyth.pdf

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    4. Le prescrizioni del keynesismo 

    L’arrivo della Teoria generale di Keynes rappresentò una manna dal cielo. I dirigenti

    politici si sarebbero trovati per le mani una dottrina che avrebbe predicato esattamente il

    loro corso d’azione: controllo centrale dell’economia, irresponsabilità fiscale, consumismosfrenato. Passo dopo passo, le mani dello Stato erano finite sull’economia, conquistandone

    ogni giorno un pezzo in più. Erano state fatte troppe promesse, e le risorse per mantenerle

    non c’erano. Si scelse la via più facile nel breve termine: ignorarle. Come? Sei parole, le

    più insensate e irresponsabili mai pronunciate nella storia del pensiero economico: «Nel

    lungo periodo saremo tutti morti». La classe dirigente aveva ora la giustificazione che

    tanto bramava dalla classe accademica; poteva innalzare un simbolo attraverso il quale

    continuare ad agire secondo i propri capricci. Il prezzo da pagare sarebbe stato salato. Ma

    non sarebbe arrivato allora. C’erano carriere da seguire. Denaro da raccogliere. È così che

    il mondo ha abbracciato il keynesismo. 

    La teoria introdotta da Keynes colpiva le basi del libero mercato , accusandolo

    d’esser irrazionale e prigioniero degli «spiriti animali» degli imprenditori, i quali

    provocavano ampie fluttuazioni nella produzione, nell’occupazione e nei prezzi. Stava

    sovvertendo quella rivoluzione nel pensiero e nel sistema produttivo che aveva dato vita a

    uno dei periodi più floridi nella storia dell’uomo. Keynes non stava facendo altro che

    ribaltare le convinzioni che avevano generato questa crescita senza precedenti, elevando il

    governo a figura onnisciente in grado di salvare le sorti dell’economia attraverso deficit 

    durante le fasi di depressione (per stimolare una crescita) e surplus durante le fasi di boom 

    (per tenerla a bada). 

    Per esser liberi d’agire in tal modo, gli Stati dovevano innanzitutto liberarsi dalle

    «manette» dell’oro, così da poter gestire una moneta elastica e manipolarne l’offerta, il

    tasso d’interesse e il valore di cambio nei mercati esteri. Queste prescrizioni erano

    necessarie perché potevano garantire un certo ammontare di spesa pubblica da usare per

    investimenti e per far lavorare un bacino crescente di lavoratori. Keynes stava

    chiaramente sovvertendo l’abbiccì dell’economia, ma ciò non importava: la sua era una

    giustificazione plausibile all’operato di una classe dirigente disposta a far di tutto pur di

    rimanere al proprio posto. 

    Non solo credeva che economisti brillanti come lui potessero aiutare i politici a

    uscire da situazioni difficili, ma accusava il libero mercato d’esser incapace di ripulire

    l’ambiente economico dagli errori accumulati. Domanda e offerta passavano in secondo

    piano, lasciando campo libero ai capricci di una cerchia d’individui che si ritrovavano

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    http://www.huffingtonpost.com/2009/09/07/priceless-how-the-federal_n_278805.html

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    l’«obbligo morale» di fissare i prezzi su basi «giuste» e «ragionevoli». Anche se si voleva

    ignorare l’abbiccì dell’economia, quest’ultima non ignorava la realtà: carenze ed

    eccedenze. Alla domanda dei sindacati d’aumentare i prezzi dei salari, lo Stato

    rispondeva con una dose maggiore di quelle stesse politiche che avevano causato i

    problemi economici. L’obiettivo era la «piena occupazione» delle risorse umane inattive,

    che vennero incanalate oltreoceano a ricoprire il ruolo di carne da macello. 

    Ma andiamo con ordine. Lo stimolo attraverso la spesa, nell’ottica keynesiana,

    serve a infondere nel governo la capacità d’entrare in possesso di fondi che possono essere

    spesi per creare nuovi lavori. La teoria definita «moltiplicatore keynesiano» recita che la

    spesa che finisce nelle tasche di qualcuno diventerà il reddito di qualcun altro quando

    spenderà quel denaro. Qual è il problema? Il denaro speso dallo Stato non cade dagli

    alberi; lo Stato ha tre modi per entrarne in possesso: tasse, prestiti, stampa di denaro.

    Qualunque modo prediliga, il risultato è lo stesso: lo Stato distrugge i lavori. O, meglio,sposta denaro da un lavoro a un altro senza preoccuparsi della produttività e

    dell’efficienza di tale mossa. Non c’è correlazione tra crescita economica e crescita della

    spesa pubblica. [1] 

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    L’illusione di poter conferire un alone magico alla spesa del governo è forviante. Lo

    Stato si appropria delle risorse che spende attraverso la coercizione, quindi non deve fare

    alcuna fatica per guadagnarsele. Espande solamente la sua sfera d’azione cercando di

    capire, attraverso il suo punto di vista ristretto, che cosa può essere «utile» alle persone.

    Inutile dire che fallisce miseramente. 

    La classe dirigente è incapace d’operare un calcolo economico in accordo coi

    desiderî del mercato. La sua natura predatoria gliel’impedisce. Anche quando prende in

    prestito denaro attraverso l’emissione di pagherò , abbiamo a che fare con la stessa

    situazione. Quando lo Stato spende più soldi di quelli che incassa, esso sta commettendo

    un atto fraudolento nei confronti dei contribuenti che sta vessando. Per poter proseguire

    le proprie attività, va sul mercato e offre dei pagherò come promessa di pagamenti futuri.

    Cioè spende nel breve termine e prende in prestito nel lungo termine. Una «linea

    d’investimento» assai criticabile, e che non può portare che a una lunga agonia,culminante nel default. Ma andiamo avanti. Lo Stato promette a chi gli concede credito un

    ripagamento sicuro alla scadenza. Aspettate un momento, però: chi paga? Perché, da

    quanto appreso finora, il finanziamento cui fa ricorso lo Stato non produce alcun bene o

    servizio (cioè la ricchezza totale della nazione non aumenta). Se, ad esempio,

    concedessimo credito a un’azienda neonata che volesse acquistare macchinari per

    realizzare un’idea ritenuta tecnologicamente rivoluzionaria, il calcolo imprenditoriale alla

     base di quest’attività ci conferirebbe enormi guadagni dalla resa futura dell’investimento,

    perché sarebbero soddisfatti i desiderî dei consumatori, che sono i decisori ultimi delsuccesso e del fallimento di qualsiasi attività imprenditoriale, in un mercato libero.  

    Quindi, l’interesse generato dalle obbligazioni private è ripagato attraverso un

    aumento della produzione. Lo Stato, invece, spende semplicemente quel che incassa. Lo

    definireste «investimento», questo? Non solo: prendendo in prestito dalla popolazione

    autoctona, esso devìa risorse reali verso settori che non sarebbero mai stati finanziati

    volontariamente dagli attori di mercato. Il presunto investimento si trasforma: da giudizio

    di mercato, diventa giudizio politico. Gli investimenti improduttivi cui s’è dedicato ilsistema statale in tutti questi anni non hanno fatto altro che distruggere ricchezza reale:

    spese per un sistema di welfare crescente e per guerre sanguinose. Questo è ciò che fa lo

    Stato, e i debiti accumulati finora non saranno mai ripagati. Saranno rinnovati negli anni.

    Altrimenti, perché il debito pubblico starebbe ancora crescendo, se l’impegno dello Stato

    fosse davvero di ripagarlo? Peggio ancora: non solo l’investitore non riceve alcun bene o

    servizio in cambio, ma parte dell’investimento dev’essere ripagata da lui stesso attraverso

    il sistema fiscale. 

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    http://www.ambienteambienti.com/news/2014/03/news/bari-smantellamento-telecamere-progetto-poma-112895.html

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    Ma se ci trovassimo in un periodo recessivo, e questo denaro venisse usato per

    stimolare l’economia, ritardando il giorno della resa dei conti, lo Stato sarebbe costretto ad

    attuare una serie crescente di manipolazioni e interferenze con la struttura produttiva e

    sociale, fino a sprofondare in una spirale dittatoriale. Tutti quei settori che avevano

    prosperato grazie al falso boom indotto dall’espansione monetaria finirebbero sotto

    pressione e necessitanti di un salvataggio. Non solo per rimanere in attività, ma anche per

    correggere i salari all’interno della loro presunta attività imprenditoriale. Il mancato

    aggiustamento degli errori diffonde falsi segnali in tutto il panorama economico,

    distorcendo sempre di più la struttura produttiva di un Paese. Sempre più individui si

    presenteranno alle porte dello Stato per essere salvati, perché incapaci d’organizzare le

    proprie attività. La pianificazione centrale espande la sua cecità al resto dell’economia ,

    decretando la fine della democrazia di mercato e inaugurando un’economia di controllo.

    [2] 

    5. Rincarare la dose 

    Oltre alla spesa pubblica e ai prestiti, la classe dirigente venne incitata, nella Teoria

     generale , a manipolare i tassi d’interesse armeggiando con l’offerta di moneta [3]: 

    «Il giusto rimedio per il ciclo economico non si deve cercare abolendo i boom e quindi

     facendoci navigare in uno stato di semidepressione; ma si deve cercare abolendo le

    depressioni per mantenerci in uno stato permanente di quasi-boom.» 

    Questa politica tenta di ridurre gli interessi sui debiti attraverso una tassazione

    indiretta della popolazione, mascherando una linea d’azione truffaldina con una patina

    d’altruismo. Giacché la tassazione diretta rende visibile il dolore economico, la classe

    dirigente parla di «giustizia sociale» quando deve ricorrere alla stampante monetaria,

    promettendo un eldorado di prosperità a tutti coloro che si fideranno dei loro eletti. Inrealtà, in virtù dell’«effetto Cantillon», i piccoli risparmiatori verranno pesantemente

    puniti, mentre verranno premiati, ad esempio, i possessori d’azioni. 

    L’illusione di un miglioramento delle condizioni economico-finanziarie dura solo

    temporaneamente, o almeno finché i prezzi non si aggiustano al nuovo equilibrio,

    riportando a galla la situazione iniziale con tutta una serie di nuovi problemi. Sopprimere

    i tassi d’interesse attraverso uno stimolo dell’offerta di moneta distorce la struttura della

    produzione e dei finanziamenti, lanciando nel panorama economico il falso segnale

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    secondo cui i risparmiatori sono ancora disposti a elargire nuovi fondi. È un bluff ;

    l’espansione monetaria in un sistema monetario fiat non è coperta da risparmi reali, e

    devìa le risorse scarse verso attività che molto probabilmente le sprecheranno.  

    Una volta che il nuovo denaro scorre nell’economia più ampia, i prezzi si aggiustanoal margine fino a intaccare ogni settore; si viene a creare una situazione alquanto

    sgradevole per coloro che ricevono per ultimi (o non ricevono affatto) il denaro fiat di

    nuova creazione. Ciò richiede l’ulteriore intervento del governo, che impone controlli dei

    prezzi nel vano tentativo di tappare una falla con un dito. L’economia inizia a viaggiare su

     binari separati: uno ufficiale (manipolato), uno ufficioso (mercato nero). Quest’ultimo

    tenta di sopperire ai desiderî degli attori di mercato, i quali attraverso le loro azioni

    mantengono vivo il libero mercato. Benché le prime fasi della produzione possano vedere

    un miglioramento dal punto di vista dei costi e dei salari, questo stato di cose non rimane

    sempre così, perché a un’espansione artificiale del denaro fiat non segue un aumento della

    produzione, la quale viene deviata verso settori non richiesti dalle necessità sane degli

    attori economici. Scrive Ludwig von Mises [4]: 

    «Il corso espansionistico non è sostanzialmente influenzato dal fatto che alla sua vigilia

    vi siano capacità inutilizzate, scorte eccedenti invendute e lavoratori disoccupati.

    Supponiamo che vi siano attrezzature non usate per l’estrazione del rame, scorte di

    rame invendute e lavoratori disoccupati delle miniere cuprifere. Il prezzo del rame sia aun livello al quale l’estrazione non è conveniente per alcune miniere, i cui lavoratori

    vengano licenziati; vi siano speculatori che si astengano dal vendere le loro scorte. Ciò

    che è necessario per rendere nuovamente redditizie queste miniere, per dar lavoro ai

    disoccupati e per esitare le scorte senza ridurre i prezzi al di sotto di costi di produzione,

    è un incremento p dell’ammontare di beni capitali disponibili, abbastanza grande perché

    ne segua un aumento dell’investimento, della produzione e del consumo tale da

     provocare un aumento adeguato nella domanda del rame. 

    Se peraltro quest’aumento non appare, e gli imprenditori, illusi dall’espansione del

    credito, agiscono nondimeno come se p fosse realmente disponibile, le condizioni sul

    mercato del rame durante l’espansione sono come se p fosse stato realmente aggiunto

    all’ammontare dei beni capitali disponibili. Ma tutto ciò che s’è detto circa le inevitabili

    conseguenze dell’espansione del credito vale anche per questi. La sola differenza è che,

     per il rame, l’espansione inadeguata della produzione non occorre sia raggiunta con la

    sottrazione di capitale e lavoro da impieghi in cui questi avrebbero soddisfatto meglio i

    bisogni dei consumatori. La nuova espansione incoccia in un cattivo investimento di

    capitale e di lavoro già influenzati dall’espansione precedente che il processo di

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    raggiustamento non ha ancora assorbito.» 

    In realtà, il vero spettro che aleggia durante i periodi in cui la classe dirigente tenta

    di reflazionare l’economia attraverso uno stimolo monetario non è quello di costi e prezzi

    in aumento nel presente, bensì di un loro ulteriore aumento nel futuro. Quando i

     banchieri centrali avviano le rotative per mantenere artificialmente in piedi investimenti

    decotti, lo fanno in un panorama perlopiù deflazionistico. [5] Quando il denaro di nuova

    creazione, dopo un certo lasso di tempo, inizia a fluire nell’economia più ampia, ha un

    effetto antideflazionistico , non inflazionistico. In un certo modo, rassicura la

    popolazione: scongiura un aumento futuro dei prezzi facendole credere che i prezzi non

    scenderanno più. 

    Questa situazione è temporanea perché, al continuo fluire del nuovo denaro, il

    panorama economico inizia a esser pungolato dagli effetti inflazionistici dell’espansione

    monetaria. Se la testardaggine dei pianificatori centrali li conduce a creare quantità

    sempre crescenti di denaro e credito, il processo finisce per sfuggir di mano, portando a

    un’ingente svalutazione della valuta nazionale (a tutto vantaggio delle nazioni estere, le

    quali, se si sono astenute dal perseguire politiche simili, possono comprare merci e servizi

    a prezzo scontato). Sovvenzionando indirettamente il mercato estero, quello interno inizia

    a subire gli aumenti dei costi derivanti da un’inflazione dei prezzi perpetua.  

    L’insostenibilità della situazione generata dal denaro fiat porta la realtà a scontrarsi

    con l’illusione monetaria, generando un solo possibile evento: aumento dei tassi

    d’interesse. Infine, anche i salari subiscono le stesse pressioni, perché, come scrisse Adam

    Smith, «sebbene i salari dei lavoratori siano pagati in denaro, il loro reddito reale […] non

    consiste nel semplice denaro, ma nel valore del denaro; non nei pezzi di metallo, ma in ciò

    che si può acquisire con essi». [6] Le misure monetarie servirebbero solo ad abbassare il

    costo della manodopera in modo silenzioso senza che gli interessati se ne possanoaccorgere. 

    La Teoria generale , come abbiamo detto, rappresentava un ribaltamento delle teorie di

    libero mercato che fino al 1914 avevano garantito una certa prosperità alla popolazione

    americana, ma che nella grande depressione furono messe in discussione, dato il

    persistere della stessa. Keynes accusava il libero mercato di non esser in grado di ripulire

    il panorama economico dagli errori commessi in precedenza, creando una serie di risorse

    inattive senza uno scopo. Queste risorse comprendevano il mondo del lavoro. Sebbene la

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    Teoria generale sia stata seguìta da altri libri (come The Great Depression di Lionel Robbins 

    nel 1934) che davano una spiegazione alla grande depressione con approcci diversi,

    Keynes ottenne tutte le attenzioni. È ovvio: giustificò tutto quello che fino a quel momento

    avevano fatto i governi — contrarre deficit. Sebbene Keynes avesse affermato che la sua

    teoria era di carattere generale e applicabile in periodi transitori, i suoi discepoli si

    spinsero oltre, facendole assumere un carattere permanente. 

    Ma che cosa succederebbe qualora, per esempio, lo Stato ritirasse la propria

    influenza diminuendo spesa, tasse e finanziamenti attraverso i prestiti? Secondo i

    keynesiani, ci sarebbe una recessione. Questo è vero nel breve termine: la disoccupazione

    aumenterebbe. Ma cambierebbero anche i destinatari della spesa degli individui, i quali si

    ritroverebbero molti più fondi in tasca. Il mercato non presenta risorse inattive, ma

    individui che scelgono che cosa (non) fare. Le interferenze della pianificazione centrale

    canalizzano i lavori verso settori della produzione praticamente inefficienti, i quali non

    solo drenano risorse, ma inglobano sempre più manodopera che sarà destinata alla

    disoccupazione nella fase di bust. La resa dello Stato a intervenire ulteriormente non

    dobbiamo definirla come recessione, bensì come il superamento stesso della recessione.

    Una volta che vengono liquidati quegli investimenti decretati dal mercato come

    improduttivi, saranno sostituiti da attori economici che invaderanno la scena e faranno ciò

    per cui esistono gli imprenditori: soddisfare il cliente. 

    Avendo più soldi in tasca e una visione più chiara dell’ambiente economico (scevra

    da interferenze centrali), gli individui faranno le loro scelte premiando quelle attività che

    più soddisfaranno i loro desiderî. L’abbassamento del costo della manodopera, dovuto

    alla riallocazione delle risorse umane, sarà controbilanciato nel tempo da un potere

    d’acquisto stabile della moneta e da una produzione industriale in rapida ascesa. Il

    keynesismo poggia su un grande inganno: «La spesa pubblica può far funzionare il

    mercato, mentre non può farlo quella dei privati». 

    6. Say o non Say 

    L’altro argomento che diede lustro alla Teoria generale fu la presuntaconfutazione della legge di Say. Secondo Keynes, la legge di Say era vera solo quandol’economia aveva una piena occupazione, mentre cessava d’esser valida in periodicaratterizzati da risorse inattive. È davvero così? Innanzitutto, vediamo di capire che

    cosa dice la legge di Say [7]: 

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    http://mises.org/books/depression-robbins.pdf

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    «Un prodotto terminato offre da quell’istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la

    somma del suo valore. Difatti, quando l’ultimo produttore ha terminato un prodotto, il

    suo desiderio più grande è di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto

    nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli

     procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora, non ci si può liberare del proprio

    denaro se non cercando di comprare un prodotto qualunque. Si vede, dunque, che il

     fatto solo della formazione di un prodotto apre all’istante stesso uno sbocco ad altri

     prodotti.» 

    A prima vista sembrerebbe un dilemma riconducibile all’uovo e alla gallina. In

    effetti, le persone vorrebbero sempre saziare la loro fame attraverso un buon pranzo. Il

    problema è: se lo possono permettere? Che cosa possono offrire in cambio al contadino, adesempio, per entrare in possesso delle sue merci? Ad esempio, per permettere al contadino

    d’allevare i capi di bestiame che producono latte e carne, coloro intenzionati ad acquistare

    i suoi prodotti potrebbero costruirgli un recinto di legno in cui far pascolare gli animali. La

    produzione di una cosa (recinto/offerta) permette a un individuo d’acquistare vettovaglie

    (latte o carne/domanda). 

    Qui in gioco ci sono i desiderî degli attori economici che, entrando in uno scambio,

    cercano d’entrare in possesso di quegli oggetti che più daranno loro soddisfazione. Sonoloro, quindi, che decidono come allocare le risorse nel panorama economico.

    Immaginiamo ora che qualcuno sia in grado di creare un mezzo di scambio dal nulla.

    Perché darsi la pena di produrre qualcosa, quando si può avviare uno scambio fasullo

    (qualcosa in cambio di niente)? Viene quindi a mancare un pezzo della produzione

    (offerta) e, più questa convinzione dello scambio fasullo permea l’ambiente economico,

    più la produzione incasserà colpi deleteri. 

    La legge di Say ha smesso d’esser vera? Non credo proprio. Nell’equazione del liberomercato s’è inserito un parametro esterno che perturba l’equilibrio tra domanda e offerta,

    creando squilibri crescenti e duraturi se non ripuliti. Infatti, il produttore che è entrato in

    possesso di beni in cambio di cartamoneta priva di valore ha diminuito la ricchezza della

    società, perché ha consumato quegli asset. Nonostante l’interdipendenza di tutte le attività

    economiche, Keynes si sbagliava quand’affermava che era il consumo la loro forza

    motrice. È la produzione. 

    Al progredire della situazione iniziale e al continuo consumo di beni e servizi, arriva

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    teorie keynesiane, oltre a essere propugnate dall’ambiente accademico, sono state

    assimilate per osmosi anche dalla popolazione. O perlomeno la versione iper-semplificata

    delle fallacie economiche keynesiane. Tutto ciò grazie al lavoro di propaganda promosso

    da Paul Samuelson , che in veste di promotore del neokeynesismo ha fornito una traduzione

    della Teoria generale secondo linee più comprensibili. Quest’ambiente ha permesso ai

    pianificatori centrali di spingersi oltre, di varcare quei limiti che anche gli accademici

    sostenitori della teoria keynesiana credevano non potessero essere varcati. 

    Gli stimoli monetari senza precedenti cui abbiamo assistito fin dallo scoppio della

     bolla immobiliare statunitense sono qualcosa di mai visto prima nella storia

    dell’economia. Queste misure hanno spiazzato il mondo accademico, che si ritrova suo

    malgrado a sostenere una linea d’azione mai tentata prima d’ora. In realtà, tutto ciò

    sottolinea come le intenzioni dello Stato fossero ben altre rispetto a quelle propagandate

    nel corso degli anni. Il mondo accademico è stato innalzato agli allori della fama per il suosostegno; ora ne pagherà le conseguenze. È inutile sbracciarsi dicendo che, questo, Keynes

    non l’avrebbe mai approvato: questo invece è esattamente l’esito della sua giustificazione

    originale. Il mondo accademico, nonostante qualche titubanza, è intrappolato nelle

    disilluse strategie autodistruttive dello Stato. Anch’esso è intrappolato nelle sue stesse

    menzogne. I keynesiani sono intrappolati in quello stesso sistema che per anni hanno

    difeso. Periranno insieme a esso. Quando accadrà, gli austriaci saranno lì a ricordare: «Ve

    l’avevamo detto, e vi avevamo detto anche perché». 

    La ZIRP che la maggior parte dei Paesi sta perseguendo, seppur apparentemente

     benefica nel breve periodo, porta con sé i semi della sua stessa distruzione. In un ambiente

    pervaso da tassi artificialmente bassi, gli investitori sono alla disperata ricerca

    d’investimenti che possano render loro un ritorno decente. Questo li spinge sempre di più

    verso quegli asset altamente pericolosi , emessi da imprese bisognose di finanziamenti in

    un ambiente pervaso da tassi bassi. Anche le banche sono dei giocatori in questo mercato,

    dato il tasso d’interesse reale negativo. C’è fame di rendimenti nel mercato d’oggi, e

    questa fame sta direzionando la banderuola verso un’errata valutazione del rischio. Ilrisultato sarà un nuovo bust , poiché la manipolazione del tasso d’interesse conduce

    sempre a distorsioni economiche e squilibri artificiali nel sistema dei prezzi. Ogni boom 

    può anche esser differente, ma la caratteristica comune rimane sempre la politica

    monetaria allentata da parte della banca centrale. 

    Alla fine le bolle scoppiano sempre, portandosi dietro il loro carico d’errori e

    manipolazioni. Più si ritarda quest’inevitabilità, più dolore economico sarà percepito.

    Perché? Quattro parole: non esistono pasti gratis. Uno scambio di qualcosa per niente è

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    http://www.cnbc.com/id/101238174

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    semplicemente un controsenso, e va contro qualsiasi ragionamento umano sensato.

    (Pensate un momento al Baltic Dry Index, un termometro sulla produzione globale: è ai

    minimi storici dall’inizio della recessione, e prosegue a far registrare record negativi.)

    Come sosteneva Friedrich Hayek, più la società si dirige verso una centralizzazione dei

    poteri, più diviene difficile per il singolo individuo agire in conformità con le proprie

    azioni. La crescita economica non si può pianificare a tavolino. Richiede risparmi, capitale

    e investimenti in un ambiente di mercato non ostacolato. In assenza di questi requisiti, la

    condanna è una lunga e decrepita stagnazione. 

    8. Conclusione 

    Il keynesismo sarà chiamato al banco dei testimoni per rispondere delle propriecolpe: la giustificazione di un positivismo presumibilmente saggio consegnato nelle mani

    della pianificazione centrale. Il treno dell’economia è lanciato a tutta velocità verso un

    cavalcavia in fiamme. I banchieri centrali non sanno come fermarlo. Il compito dei

    keynesiani è di far credere ai passeggeri che il fumo che si vede in lontananza è quello di

    una grigliata che li aspetta arrivati in città. Stanno sudando freddo. Sanno che cosa li

    aspetta. L’hanno sempre saputo. 

    16© 2011-2014 The Fielder. All rights reserved. Property of Ace Blazon Ventures Ltd.

    http://www.zerohedge.com/news/2014-03-12/baltic-dry-plunges-8-near-most-6-years

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    Note & Approfondimenti 

    [1] Antony Davies, Bruce Yandle, Derek Thieme, Robert Sarvis, «The U.S. Experience with Fiscal

    Stimulus: A Historical and Statistical Analysis of U.S. Fiscal Stimulus Activity, 1953–2011», aprile 2012. 

    [2] Ludwig von Mises, Il caos pianificato , in appendice a Id., Socialismo. Analisi economica e sociologica. 

    [3] John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money , Amherst (NY),

    Prometheus Books, 1997, p. 322. 

    [4] Ludwig von Mises, L’azione umana , capitolo XX, sezione 9. 

    [5] Allo scoppio di una bolla alimentata dal denaro fiat , s’innesca un processo purgativo che fa calare

     bruscamente i prezzi di quegli asset che avevano beneficiato dell’espansione monetaria. Le forze di mercato

    riportano i prezzi laddove sarebbero dovuti stare in assenza di una manipolazione artificiale. Il buon

    economista non dovrebbe «tifare» per o lodare questo tipo di deflazione, perché è il risultato d’interferenzeesterne nelle decisioni individuali degli attori economici. Dovrebbe limitarsi a dire che questo non è che il

    risultato inevitabile di un boom artificiale alimentato dalla stampante monetaria. Un evento doloroso ma

    necessario. Discorso diverso per la deflazione dei prezzi in un sistema aureo, la quale non è che il risultato

    augurabile di un aumento dell’offerta di beni e servizi di un Paese a fronte di un’offerta di moneta pressoché

    stabile. Cfr. George Selgin , «A Plea for (Mild) Deflation». 

    [6] Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations , Londra, 1796, libro I, p.

    440. 

    [7] Jean-Baptiste Say, Trattato d’economia politica , libro I, capitolo XV. 

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    http://www.cato.org/sites/cato.org/files/serials/files/policy-report/1999/5/cpr-21n3.htmlhttp://mercatus.org/sites/default/files/publication/US-Experience-Fiscal-Stimulus.pdf

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    Francesco Simoncelli, Economics Paper #1.1: Teorie per il fallimento - Gli errorimacroscopici e microscopici della MMT  

    Giovanni Barone, Luca Troiano, Santo Scarfone, International Studies Paper #1: Capireil Brasile - Passato, presente e futuro del gigante sudamericano 

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