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  • Una introduzione alle tensostrutture Giuseppe Puglisi Guerra ingegnere in Verona Tensostrutture: che strano termine! La pri- ma volta che lo sentii studiavo allUniversi-t e lo pronunci, durante una lezione, uno degli ultimi professori che ho avuto prima della tesi. La parola magica mi incurios fin da subito e, allora, iniziai a pensare che tipo di realizzazioni fossero queste tenso-strutture. Prima di tutto, notai che la parola composta dal prefisso tenso (di origine greca) e strutture, quindi strutture che han- no gli elementi che lavorano a trazione: una follia per me abituato alle classiche travi sottoposte alla flessione, un concetto rivoluzionario per la mia mente! Ma, poi, mi sovvenne che esistono anche le volte e le cupole, le quali, fin dallantichit (le impie-gavano gi i Romani: basta ricordarsi della neroniana Domus Aurea, della basilica di Massenzio o delle Terme di Caracalla), so-no servite per coprire grandi spazi senza linterposizione di pilastri o di setti e che sviluppano un meccanismo di resistenza per forma, ovvero scompongono le forze esterne in una serie di 'forzine' di trazione e compressione agenti allinterno della membrana o lastra (a seconda dello spes-sore) che costituisce la volta o la cupola. A questo punto arriv questo ragionamento: e se invece di avere trazione e compres- sione si giungesse ad ottenere elementi che lavorano solo con la prima caratteri-stica della sollecitazione? Ecco che com- parve la grande illuminazione: ad inventare le tensostrutture non erano stati Francesco Borromini, Filippo Juvarra, Luigi Vanvitelli o qualcun altro di questi grandi ingegneri-architetti del periodo storico fra il XVII ed il XVIII secolo ma, bens, un loro contempo- raneo solo e sperduto su unisola, quel po- veraccio che tutti, quando eravamo piccoli, abbiamo sperato che non diventasse il pasto dei cannibali: il naufrago Robinson Crusoe! S, perch egli, creando una rete di funi attaccata a due alberi contigui per poterci dormire sopra, ide lamaca, la pri- ma tensostruttura cronologicamente pre- sente a questo mondo. E, adesso, posso partire a parlarvi di queste tensostrutture.

    Un po di storia e di classifica-zioni Nel mondo delle costruzioni esistono due tipi di strutture: quelle PESANTI e quelle LEGGERE. Questa distinzione prende co-me riferimento il rapporto fra PESO POR-TANTE e PESO PORTATO, intendendo col primo la somma dei pesi proprio e per-manente (PESO MORTO, dead load per gli anglosassoni) e con il secondo i carichi utili od accidentali portati dallopera; nel primo caso si ha:

    PESO PORTANTE ________________ >> 1, PESO PORTATO mentre nel secondo caso: PESO PORTANTE ________________

  • Figura 2 La fune libera: elemento a geometria variabile sotto carico: a) variazione della configurazione dovuta ai carichi distribuiti (per esempio la depressione esercitata dal vento); b) variazione della configurazione per carichi concentrati.

    Figura 3 Generica struttura strallata.

    Appare chiaro, allora, che i sistemi strallati sono adottati quando vi sono notevoli ag-getti da risolvere, come per i ricoveri degli aerei e la copertura delle tribune degli sta-di. Sistemi sospesi Partendo dal principio che una fune sospe-sa agli estremi esplica nel migliore dei mo-di la funzione di equilibrare le forze esterne in quanto, per la sua flessibilit, assume la conformazione di una funicolare dei carichi che la configurazione di equilibrio la qua-le fornisce la massima capacit portante, si sono sviluppati due tipi di sistemi struttura-li, il primo con copertura disposta inferior-mente (appesa) allelemento fune (figura 4), il secondo con copertura disposta supe-riormente (appoggiata) allelemento fune (figura 5).

    Figura 4 Sistema sospeso con copertura appesa.

    Figura 5 Sistema sospeso con copertura appoggiata.

    La prima soluzione ricalca fondamental-mente quella dei ponti sospesi, in quanto la copertura collegata alle funi portanti tramite tiranti verticali con la stessa tecno-logia adottata per limpalcato stradale; il secondo metodo costruttivo, invece, se gli elementi di copertura non sono collaboranti con le funi, stabile solamente se il peso della zavorra sufficientemente elevato per ottenere tale scopo, avendo, cos, un arco rovescio con comportamento esat-tamente speculare a quello dellarco com-presso.

    Sistemi piani di funi Si pu facilmente capire che il modo pi economico, e, quindi, il pi utilizzato per ri-durre la notevole deformabilit intrinseca delle funi quello di introdurre una rigidez-za artificiale attraverso unadeguata pre- tensione iniziale. In genere, tale stato coat-tivo si materializza introducendo, in ag-giunta alle funi portanti con curvatura rivol-ta verso lalto, altre funi dette stabilizzanti o di tensione, possedenti curvatura rivolta verso il basso. La pretensione scaturisce dal mutuo contrasto fra i due ordini di funi. Nei sistemi piani le funi, portanti e stabiliz-zanti, sono poste nello stesso piano verti-cale coincidente con il piano dei carichi (si parla di tensostrutture piane o travi in fu-ne). Lirrigidimento del sistema, ottenuto per mutuo contrasto tra le funi aventi cur-vatura contrapposta, realizzato tramite elementi verticali paralleli fra loro o con collegamenti diagonali. Sistemi piani a collegamenti verticali Se la connessione tra la fune portante e la stabilizzante avviene con aste verticali, i sistemi di stabilizzazione sono tre: a) sistema aperto; b) sistema misto; c) sistema chiuso. a) Sistema aperto lo schema maggiormente usato. La fune superiore portante e quella inferiore sta-bilizzante. I collegamenti tra le due funi sono soggetti a trazione. Allatto dellapplicazione di un carico esterno rivolto verso il basso, si ha una diminuzione della trazione nella fune stabilizzante, con conseguente incremento di sforzo nella fune portante (figura 6a): da ci emerge la necessit di calcolare oppor-tunamente la pretensione iniziale della tra-ve in modo da garantire, anche per casi di carico gravosi, un residuo di tensione nella fune stabilizzante. Nel caso di depressione dovuta al vento, le funzioni assunte dalle due funi si invertono (figura 6b).

    Figura 6 Sistema aperto.

    b) Sistema misto La fune portante e quella stabilizzante si intersecano. Gli elementi di collegamento sono compressi se posti nel fuso centrale e tesi se esterni. In questo caso si ha biso-gno di un irrigidimento trasversale per im-pedire lo svergolamento della trave di funi (figura 7).

    Figura 7 Sistema misto.

    c) Sistema chiuso Gli elementi verticali di connessione sono racchiusi entro le due funi principali. La fu-ne portante quella di intradosso mentre quella stabilizzante disposta superior-mente. I collegamenti verticali lavorano co-me puntoni, tengono in tensione i due cavi e trasferiscono alla fune portante i carichi agenti sulla copertura. Nel momento nel quale il carico esterno inverte il suo segno (ad esempio per depressione dovuta al vento), le due funi principali cambiano la lo ro funzione (figura 8). Perch la struttura si comporti sempre co-me previsto e perch essa non abbia mai problemi, le aste verticali dovranno trovar-si, in qualsiasi condizione di carico, in com-pressione. Inoltre, il sistema instabile fuori dal piano dov e necessita di contro-venti trasversali.

    Figura 8 Sistema chiuso.

    Sistemi piani a collegamenti inclinati (o dia-gonali) Lo schema strutturale che adotta collega-menti verticali stato il primo ad essere impiegato, per ha un difetto: i collega-menti e le funi formano maglie facilmente deformabili per carichi asimmetrici. Infatti, lazione del vento, che pu originare defor-mate asimmetriche (figura 9), si dimostra, con tale tipologia, particolarmente pericolosa e crea serie difficolt nella rea-lizzazione dei manti di copertura e dei rela-tivi giunti elastici. Questi seri problemi sono stati studiati e risolti da un progettista sve-dese, David Jawerth, il quale ha proposto una soluzione, che ha il suo cognome, con collegamenti inclinati. Tale modifica, rispet-to a prima, ostacola efficacemente gli spo-stamenti orizzontali e conferisce al com-plesso una notevole rigidezza anche in presenza di azioni non simmetriche crean-do i seguenti schemi: a) schema simmetrico con collegamento in mezzeria tra la fune portante e quella sta-bilizzante (figura 10a);

  • b) schema asimmetrico, il quale permette la massima libert compositiva (figura 10b); c) schema a funi incrociate, il quale intro-duce la possibilit di ridurre laltezza degli ancoraggi della fune portante (figura 10c).

    Figura 9 Deformazione asimmetrica causata dal vento.

    Figura 10 Schemi ricorrenti utilizzanti il sistema Jawerth.

    Superfici di copertura generate da siste-mi tensostrutturali piani Per realizzare una copertura bisogna che gli schemi analizzati in precedenza si dis-pongano in modo ripetitivo; vi sono due opzioni: quella delle travate posizionate parallelamente luna rispetto allaltra e quella delle travate poste radialmente. Travate disposte parallelamente Numerose sono le soluzioni alle quali si pu giungere; si citano alcuni esempi: - per traslazione di travi di funi a sistema aperto si ottengono superfici di copertura concave di forma cilindrica:

    Figura 11 Superfici di copertura cilindriche ottenute

    con travi di funi a sistema aperto con tiranti verticali (a) e diagonali (b).

    - con la ripetizione dellelemento base in direzione longitudinale nascono le serie di travi di funi (per, rispetto allo schema ori-ginario, si hanno variazioni anche consi-stenti per avere una sufficiente stabilit dellopera finale):

    Figura 12 Esempi di serie di travi di funi.

    - la disposizione delle travi funicolari pu avere una differente altezza degli ancorag-gi alle estremit (la pendenza viene sfrutta-ta per lo scolo delle acque):

    Figura 13 Travi di funi con ancoraggi posti ad altezze

    differenti. - possibile creare superfici a doppia

    cur-vatura diversificando laltezza degli anco-raggi delle funi portanti posti sullo stesso lato

    - :

    Figura 14 Superfici di copertura a doppia curvatura.

    Travate disposte radialmente Disponendo le travi di funi con simmetria radiale si hanno le tensostrutture a ruota o radiali. Esse sono costituite da una trave anulare piana interna sulla quale si ancora-no le tensostrutture piane pretese ed uscenti a raggiera da un corpo centrale usualmente sospeso; la trave anulare di contorno (anello) vincolata alle strutture circostanti per un determinato numero di punti od in modo continuo e risulta solleci-tata prevalentemente a compressione, gli elementi flessibili radiali tesi (raggi) sono semplici funi o sistemi piani di funi, il corpo centrale , solitamente, di piccole dimen-sioni ma ci sono casi nei quali esso pi rilevante rispetto allanello esterno com-presso ed assume il compito di altro punto-ne distanziatore di due orditi distinti di rag-gi. Nelleventualit particolare nella quale lanello esterno sia un cerchio e lelemento sospeso sia collocato centralmente, tutta la struttura

    assume il curioso aspetto della ruota di bicicletta (figura 15).

    Figura 15 Esempi di strutture radiali ottenibili con la

    disposizione a raggiera delle travi di funi.

    Si noti che lo schema a della figura 15, il quale nasce per mezzo dellaccoppiamen-to di due funi semplici ad inclinazione op-posta, si pu senzaltro definire una trave di funi poich contiene sia la fune portante che quella stabilizzante, anche se lunica mutua connessione fra le due funi si mate-rializza tramite il corpo rigido centrale. A conclusione di questa rapida carrellata sui sistemi strallati, quelli sospesi e quelli piani di funi, opportuno un riassunto gra-fico semplice ma esaustivo:

    Figura 16 Metodi di stabilizzazione di strutture a fune.

    Sistemi spaziali Il sistema spaziale di stabilizzazione di-retta conseguenza di quello piano. Le funi portanti e quelle tenditrici (stabilizzanti) non sono pi nello stesso piano ma in piani verticali distinti, il pi delle volte ortogonali tra loro (figura 17).

    Figura 17 Funi poste su piani verticali differenti.

  • Per meglio comprendere la meccanica strutturale delle reti di funi si esamini la fi-gura 18: un carico concentrato agente su una fune sospesa provoca una deforma-zione localizzata nel punto di applicazione della forza stessa (figura 18a); un insieme di funi trasversali stabilizza il cavo portante diminuendo leffetto della deformazione (fi-gura 18b) (se vi volete convincere ancor di pi di questo funzionamento che, comun-que, dovrebbe essere abbastanza intuitivo, provate a riprodurlo con degli elastici).

    Figura 18 Generazione del sistema di stabilizzazione a

    rete. chiaro che, quanto pi aumenta il nume-ro dei cavi tenditori o stabilizzanti, tanto pi si ha una valida opposizione alla deforma-zione (figura 18c); nel sistema al quale si perviene aggiungendo cavi, essendo il nu-mero di elementi allincirca uguale per ognuna delle due direzioni ortogonali fra loro, si ha che tutte le funi appartenenti alle due famiglie partecipano al meccanismo resistente che si instaura contro le defor-mazioni originate dai carichi applicati (figu-ra 18d). La stabilit del sistema , quindi, legata alla condizione che, in ogni punto, i cavi passanti per esso abbiano curvature opposte e si scambino una reciproca e be-nefica azione per effetto della pretensione. I nodi comuni dei due orditi di funi posti or-togonalmente tra loro si presentano, allora, schematicamente come nella figura 19, dove 1 e 2 sono, rispettivamente, il cavo portante e quello stabilizzante. La scompo-sizione delle forze nei punti di contatto si sviluppa sempre secondo il disegno della stessa figura 19, dove la fune di tensione 2, la quale lavora in un piano verticale, agisce sul cavo portante con una forza V: da questultima nascono la forza Q, ortogo- nale a 1, e la forza L, parallela a 1.

    Figura 19 Scomposizione delle forze in corrispondenza

    ad un nodo generico della rete.

    Per effetto della forza L 2 tende a scorre-re su 1 per raggiungere lequilibrio deter-minato dalla forza di pretensione; inoltre, lazione di un carico di tipo gravitazionale (cio diretto verso il basso) origina un in-cremento di tensione nella fune portante ed un corrispondente decremento di sforzo nella fune stabilizzante. Ovviamente, i compiti dei cavi si invertono quando il cari-co esterno costituito da una depressione imputabile al vento. Adesso si mostrano brevemente alcuni esempi di sistemi spa-ziali fra i pi comuni. Il paraboloide iperbolico La forma base pi frequentemente impie-gata fra i sistemi spaziali quella del para-boloide iperbolico o H. P. o Hyphar (figura 20).

    Figura 20 Porzione della superficie di un paraboloide

    iperbolico.

    La superficie, del secondo ordine, analiti-camente definibile da unequazione la cui forma ridotta notoriamente:

    Questa espressione soddisfa le condizioni necessarie allequilibrio in regime membra-nale. Nella pratica costruttiva, si impiega una porzione discreta della superficie infi-nita del paraboloide iperbolico la quale vie-ne delimitata al contorno per necessit progettuali architettonico-strutturali. La re-gione di frontiera che, di conseguenza, si configura dovr essere dotata di oppor-tune strutture di ancoraggio di bordo sulle quali si concentreranno gli sforzi dovuti alle funi. Ecco, in figura 21, alcune tipologie di superfici ottenibili:

    Figura 21 Esempi di copertura a paraboloide iperbolico.

    Reti di forma libera Si possono anche concepire reti di funi la cui forma sia completamente libera ed analiticamente indefinibile, le quali origina-no coperture dallaspetto complesso ma dalla resa estetica ottima. Vista la com-plessit della superficie, le curve descritte dai singoli cavi hanno dei cambiamenti di segno della curvatura o sono sghembe: ne risultano le cosiddette coperture a tenda, in quanto ripresentano questo schema del passato. La riscoperta delle coperture a tenda stata permessa, oggigiorno, dal progresso tecnologico che ha reso disponi-bili sul mercato materiali molto pi resi-stenti di quelli dei teli tradizionali. A questo nuovo fattore si aggiunge la possibilit di utilizzare funi di acciaio ad elevata resi-stenza indispensabili per generare ossatu-re in grado di sopportare le elevate tensio-ni che nascono con luci notevoli; in questa situazione, il supporto perimetrale rigido continuo , in tutto od in parte, sostituito da puntelli, eventualmente posti anche allin-terno della copertura, e da funi di bordo (figura 22).

    Figura 22 Esempio di rete di forma libera.

    Reti a doppio strato In questo caso si hanno superfici allestra-dosso ed allintradosso della copertura che sono convesse o concave (figu-ra 23).

    Figura 23 Reti a doppio strato: a) convessa;

    b) concava. I vantaggi di questo tipo di copertura rispetto a quelle radiali sono: 1) lassenza del tamburo centrale con con-seguente diminuzione di peso; 2) la disposizione a rete che consente una distribuzione delle funi, sulla superficie del-la membrana, pi uniforme; 3) la possibilit di definire linterasse tra le funi senza le restrizioni che comporta, in-vece, la presenza del tamburo centrale; ta-le vantaggio, inoltre, ne origina un altro:

  • lazione trasmessa dalla membrana alla trave di ancoraggio pi vicina ad un cari-co uniformemente distribuito lungo lo svi-luppo dellanello; 4) lottenimento, grazie alluso di una ma-glia triangolare, di una maggiore rigidezza; 5) leliminazione dei problemi legati alla progettazione, allesecuzione, al trasporto ed al montaggio del tamburo centrale. Lelemento strutturale fune Come gi affermato, lelemento fune, dota-to di sola rigidezza estensionale, lavora so-lamente in stato unilaterale di sollecitazio-ne di trazione; in pi, si accennato al fat-to che il cavo, non essendo dotato delle ri-gidezze tagliante e flessionale, pu tras-mettere i carichi agli ancoraggi solamente con variazioni di forma (figura 24) e, per-tanto, lelemento fune si pu definire ipo-statico o, meglio, a geometria variabile.

    Figura 24 Comportamento sotto carico dellelemento fune.

    Proprio i notevoli cambiamenti di configu-razione sotto carico sono la causa princi-pale del comportamento non lineare geo-metrico dellelemento fune. In fase elasti-ca, non considerando la fase di sposta-menti cinematici di moto rigido, la non li-nearit del tipo ad incremento di rigidez-za (hardening) per il quale (figure 25 e 26): - il legame carichi-spostamenti cresce pi che proporzionalmente; - il legame cari - - chi-sollecitazioni cresce me-no che

    proporzionalmente.

    Figura 25 Hardening geometrico: diagramma carichi-

    spostamenti.

    Figura 26 Hardening geometrico: diagramma carichi-

    sollecitazioni.

    Ora si analizza brevemente un esempio di legame carichi-spostamenti, quello di un arco parabolico sottile caricato uniforme-mente, dal quale si pu dedurre laumento della sicurezza per effetto della non lineari-t geometrica; si osservano le seguenti fa-si (figura 27):

    Figura 27 Legame carichi-spostamenti per un arco

    parabolico sottile caricato uniformemente.

    Fase A: larco scarico. Fase AB: c il softening geometrico, si manifesta la diminuzione della rigidezza tangente: un ramo di equilibrio stabile con decremento del valore positivo della variazione seconda dellenergia potenziale totale 2.

    Fase BCE: la fase instabile: percorrendo il campo degli spostamenti da B verso E con liberazione di energia cinetica (area tratteggiata) si ha 20. Per quanto concerne le configurazioni che assume una fune sotto carico, bisogna di-stinguere se vengono applicate una o pi forze concentrate oppure distribuite: nel primo caso si raggiunge una deformata di equilibrio a bilatera, trilatera, o poligonale in dipendenza del numero, dellintensit e della posizione dei carichi (figura 28d, e, f, h), nella seconda situazione si giunge alle seguenti forme geometriche: - linea catenaria: si ha per i carichi uniformi verticali distribuiti lungo la fune stessa (fi-gura 28g); - linea parabolica: per i carichi uniforme-mente distribuiti lungo lorizzontale (figura 28i);

  • - linea cubica: per i carichi distribuiti linear-mente lungo lorizzontale (figura 28l); - linea circolare: per i carichi distribuiti uni-formemente lungo la fune e diretti ortogo-nalmente allasse (figura 28m).

    Figura 28 Configurazioni di equilibrio sotto varie

    tipologie di carico.

    Appare chiaro, da quanto appena esposto, il forte vincolo esistente fra i parametri geo-metrici e lo stato di sollecitazione della fu-ne; in particolare, interessante indagare il rapporto sussistente tra la freccia f e la reazione orizzontale H: le due quantit so-no inversamente proporzionali, ovvero tan-to pi la prima si riduce, tanto pi la secon-da aumenta in valore (figura 29).

    Figura 29 Influenza della freccia sul valore degli sforzi. Per rendere meglio comprensibile quanto affermato, si scrivono le equazioni di equili-brio, supponendo che il carico P agisca esattamente a met della luce L:

    2 V = P,

    2 S sen = P,

    H = S cos ,

    dalle quali, sapendo che:

    sen = 2 f / (4 f2 + L2)1/2

    e

    cos = L / (4 f2 + L2)1/2,

    si ottengono le formule che forniscono lo sforzo nella fune S e le reazioni V e H:

    V = P / 2,

    S = P (4 f2 + L2)1/2 / (4 f),

    H = P L / (4 f);

    se si pongono P = 10000 daN, L = 25 m, f = 5 m, si avranno:

    V = 5000 daN,

    S = 13463 daN,

    H = 12500 daN;

    se, invece, si dimezza f:

    V = 5000 daN,

    S = 25495 daN,

    H = 25000 daN;

    come si pu constatare, H, rispetto a pri-ma, raddoppia e S quasi, a dimostrazione di ci che stato esposto senza il conforto del calcolo; al limite, si intuisce che, se f0, S e H. Le stesse considerazioni si possono effet-tuare per il caso di una fune sospesa sog-getta ad un carico uniformemente distribui-to sullorizzontale con la variante che en-trano in gioco i momenti flettenti: infatti, quello dovuto alla reazione orizzontale H, Mh, compensa la differenza tra il momento Ma, imputabile alla reazione verticale A, ed il momento Mp, prodotto dalla risultante di carico P (figura 30).

    Figura 30 Equilibrio di una fune soggetta ad un carico

    uniformemente distribuito sullorizzontale.