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MATTEO LEFÈVRE – GIORGIA PROIETTI P ANNUNZI Lessico e ideologia della prigione nella Vida es sueño di Calderón de la Barca e nelle traduzioni italiane * 1. Simbologia “carceraria” nel discorso di Segismundo (I, vv. 102-172) Nel teatro spagnolo del Siglo de Oro, e in particolare in quello di Lope de Vega e Calderón de la Barca, il dramma per lo più non è costruito ed orientato in base al criterio di una progressiva intensità psicologica, ma è guidato piuttosto dall’isola- mento di alcuni momenti topici che simboleggiano e declinano i motivi fondamen- tali dell’opera, i valori “forti” del testo. In questo senso, La vida es sueño costituisce senza dubbio il caso più strutturato dell’esemplarità costitutiva di alcune scene, del- l’icasticità di alcuni “momenti” della peripezia, che fanno dei dialoghi tra i perso- naggi e soprattutto dei monologhi dei protagonisti il luogo privilegiato della verifica del quadro assiologico e del sistema etico e filosofico che di questi ultimi sorregge la vita sulla scena – del teatro e del mondo – tanto quanto il significato profondo dell’opera. Il dramma calderoniano, per altro, risulta probabilmente il modello più compiuto di questa attitudine semiotica e scenica, con cui l’autore mette in piedi un orizzonte spirituale, con cui disegna un peculiare percorso di senso; e a ciò si aggiunga, come ha sottolineato Ciriaco Morón, forse il più attento studioso dell’ope- ra negli anni a noi più vicini, che tale costruzione, tale progettazione strutturale e morale si fonda il più delle volte sull’incontro-scontro tra il protagonista e gli altri personaggi, che in un retablo predeterminato dall’autore tende comunque a riassu- mere il portato spirituale, lo status contingente e quello atemporale dell’esistenza di questi ultimi, nonché del dramma nella sua interezza: Tanto en Lope como en Calderón, la acción suele introducirse a base de varios grupos distintos de personajes cuyo encuentro produce el conflicto. En la segunda época sencilla- 117 * Il lavoro è frutto di un progetto comune elaborato dagli autori, ma la parte 1 si deve a Matteo Lefèvre e la parte 2 a Giorgia Proietti Pannunzi.

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MATTEO LEFÈVRE – GIORGIA PROIETTI PANNUNZI

Lessico e ideologia della prigionenella Vida es sueño di Calderón de la Barca

e nelle traduzioni italiane*

1. Simbologia “carceraria” nel discorso di Segismundo (I, vv. 102-172)

Nel teatro spagnolo del Siglo de Oro, e in particolare in quello di Lope de Vega eCalderón de la Barca, il dramma per lo più non è costruito ed orientato in base alcriterio di una progressiva intensità psicologica, ma è guidato piuttosto dall’isola-mento di alcuni momenti topici che simboleggiano e declinano i motivi fondamen-tali dell’opera, i valori “forti” del testo. In questo senso, La vida es sueño costituiscesenza dubbio il caso più strutturato dell’esemplarità costitutiva di alcune scene, del-l’icasticità di alcuni “momenti” della peripezia, che fanno dei dialoghi tra i perso-naggi e soprattutto dei monologhi dei protagonisti il luogo privilegiato della verificadel quadro assiologico e del sistema etico e filosofico che di questi ultimi sorreggela vita sulla scena – del teatro e del mondo – tanto quanto il significato profondodell’opera. Il dramma calderoniano, per altro, risulta probabilmente il modello piùcompiuto di questa attitudine semiotica e scenica, con cui l’autore mette in piedi unorizzonte spirituale, con cui disegna un peculiare percorso di senso; e a ciò siaggiunga, come ha sottolineato Ciriaco Morón, forse il più attento studioso dell’ope-ra negli anni a noi più vicini, che tale costruzione, tale progettazione strutturale emorale si fonda il più delle volte sull’incontro-scontro tra il protagonista e gli altripersonaggi, che in un retablo predeterminato dall’autore tende comunque a riassu-mere il portato spirituale, lo status contingente e quello atemporale dell’esistenza diquesti ultimi, nonché del dramma nella sua interezza:

Tanto en Lope como en Calderón, la acción suele introducirse a base de varios gruposdistintos de personajes cuyo encuentro produce el conflicto. En la segunda época sencilla-

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* Il lavoro è frutto di un progetto comune elaborato dagli autori, ma la parte 1 si deve aMatteo Lefèvre e la parte 2 a Giorgia Proietti Pannunzi.

mente no se produce el encuentro sino solamente el cuadro. Para entender nuestro clásicodebemos abandonar la idea de intensidad progresiva en la estructura y sustituirla por laestructura del retablo: de la yuxtaposición de acciones parciales que se esclarecen en el todo1.

Nel caso della “storia” di Segismundo, ad esempio, fin dalla prima «jornada» edai primi versi del testo, il sistema di valori che l’opera porta con sé si costruiscein nome della dialettica tra prigionia – del corpo e dello spirito, nella sua sostanzascenica e oggettiva e nella sua dimensione metaforica – e libertà dei personaggi –intesa nella sua accezione materiale così come in quella metempirica –, i qualicompiono il difficile cammino dalla violenza iniziale, di cui l’ippogrifo dell’inci-pit è simbolo preminente e archetipico, alla razionalità e alla prudenza finale:

El hipogrifo es violento en la medida en que es monstruoso por su propia constitución.«Violento» es en la escolástica todo cuanto contradice a la esencia o naturaleza de una cosa;es violento el que una cosa pesada suba en el aire por su propia fuerza y es violenta cualquiercosa que se componga de dos naturalezas distintas. El primer verso de La vida es sueño es,por tanto, fundamental para entender toda la historia de violencia que constituye la obra y quese resuelve cuando los personajes van venciendo sus pasiones según el dictado de la razón ysometiendo sus intereses individuales a la justicia objetiva. […] La historia del drama calde-roniano es la investigación de ese cambio: de la violencia a la prudencia y discreción2.

E proprio il rapporto tra passione e ragione, tra violenza – intesa come con-dizione e affermazione di un principio antinaturale – e prudenza – vista comericomposizione razionale e presupposto di stabilità e moralità –, rientrano piena-mente nell’universo etico e filosofico del Barocco spagnolo ed europeo. Quellaproposta dalla Vida es sueño è pertanto una casistica, e un’esigenza, particolareed universale insieme, una via all’indagine dei limiti e delle potenzialità dellibero arbitrio in anni in cui sulla scena del Vecchio Continente si confrontano,nel dibattito sull’uomo e sul suo destino terreno ed ultraterreno, da un lato l’an-tico regime della teleologia religiosa e politica, dall’altro i nuovi argomenti el’incipiente stagione della libertà di coscienza. Tra Cinque e Seicento, di fatto, sidefinisce il discorso sulla libertà così come essa poteva essere intesa inun’Europa che appunto tra i due secoli, tra riforme, controriforme e guerre direligione, cominciava comunque a compiere, con modi e tempi diversi, i primipassi di un itinerario verso una visione del libero arbitrio sempre più moderna e

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1 C. M. ARROYO, Calderón. Pensamiento y teatro, Santander, Sociedad MenéndezPelayo, 1982, p. 21. E inoltre, a proposito del dramma in generale e del personaggio diSegismundo in particolare, precisa ancora Morón: «[…] el teatro asumió la representación node acciones, como sugería la Poética de Aristóteles, sino de vidas totales: La vida es sueño esla historia de un hombre en tres edades: nacimiento y estado de naturaleza (primer acto),juventud pasional (segundo acto), madurez discreta y prudente (acto final)», ivi, pp. 20-21.

2 Ivi, p. 73.

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sempre meno vincolata alla Scolastica. È una questione che coinvolge sia ilfronte privato, personale che quello pubblico dell’uomo, sia il piano morale ereligioso che quello civile; da un discorso puramente soggettivo, dovuto all’in-dipendenza e all’insofferenza del singolo, il problema della libertà inizia a farsiurgente per l’intera società, e ciò tanto nei confronti dello status quo teologicoquanto di quello politico:

Quand bien même restreinte au domaine étroit de la subjectivité, cette liberté est originel-lement grosse d’un élan irrésistible vers la conquête de sphères de plus en plus larges. A partird’elle une impulsion s’exerce spontanément dans le sens de la liberté extérieure. La liberté deculte, puis la liberté civile en découlent à plus ou moins longue échéance. […] La distinctionentre le privé et le public, la dissociation corollaire entre le sacré et le profane, l’Eglise etl’Etat, sont contenues en germe dans la révolution en apparence minuscule, qui consiste àproclamer les droits de la libre conscience face à la toute-puissance de l’institution établie,qu’elle soit ecclésiastique ou laïque3.

Del resto, come ha ben spiegato Rosario Villari, il Barocco è in generaleun’epoca segnata da una forte, radicale conflittualità, che agisce a livello politi-co, economico, religioso, sociale ecc.; ed è un conflitto che se da un lato sidetermina negli aspetti legati alla dinamica e alla dialettica tra “sistemi” diversi– dispute tra modelli politici ed economici, tensioni ideologiche, contese territo-riali e scontri militari, antagonismo tra visioni del mondo –, dall’altro, soprattut-to, si sviluppa all’interno di uno stesso soggetto, consista esso in un’entità poli-tica, e perciò più ampia ed estesa, oppure in una singola ma ugualmente para-digmatica individualità umana, con le sue contraddizioni, i suoi dubbi e le suescelte libere o “obbligate”:

L’aspetto peculiare della conflittualità barocca, infatti, non è tanto il contrasto tra soggettidiversi quanto invece la presenza di atteggiamenti apparentemente incompatibili o evidente-mente contraddittori all’interno dello stesso soggetto. La convivenza di tradizionalismo ericerca del nuovo, di conservatorismo e ribellione, di amore della verità e culto della dissimu-lazione, di saggezza e follia, di sensualità e misticismo, di superstizione e razionalità, diausterità e «consumismo», dell’affermazione del diritto naturale e dell’esaltazione del potereassoluto, è fenomeno di cui si possono trovare esempi innumerrevoli nella cultura e nellarealtà del mondo barocco4.

Nella Vida es sueño l’affrancamento da una situazione di partenza – da unplanteamiento, per usare il lessico del teatro, in cui il protagonista lamenta una

Lessico e ideologia della prigione

3 H. R. GUGGISBERG – F. LESTRINGANT – J.-C. MARGOLIN, Préface, in La liberté de con-science (XVI-XVII siècles). Actes du Colloque de Mulhouse et Bâle (1989), Genève, LibrairieDroz, 1991, p. 10.

4 R. VILLARI, Introduzione, in Id., a cura di, L’uomo barocco, Roma-Bari, Laterza, 1991,pp. IX-X.

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propria “prigione”, una costrizione e una mancanza di libertà che si riflettono inun’impossibilità ad agire rettamente secondo la dottrina etica e politica vigente,in una lontananza coatta dall’ortodossia religiosa e secolare – procede parallela-mente tanto sull’asse della morale quanto su quello del diritto civile, della con-tesa politica. La lotta per la (ri)conquista della ragione e della dignità pubblica eprivata, cioè oggettiva e soggettiva, che sole garantiscono la libertà, costituisceperciò un’importante, forse la più importante chiave di lettura della vicenda diSegismundo e del dramma calderoniano nella sua totalità. Tutti i contrasti, tutti iconflitti presenti nell’opera sono perciò innescati ed indagati, come vedremo piùavanti, da una prospettiva etica, teologica e politica: di fatto, l’emancipazionedel principe dal suo carcere reale e metaforico, la progressiva affermazione deisuoi “diritti”, così come il passaggio dalla ferinitas della sua condizione a unostatus più conveniente, razionale ed “ortodosso”, si declinano dunque sul pianodella trascendenza e della morale e al contempo su quello della ragion praticadella dimensione politica.

Tutto questo discorso conferma ancora una volta il fatto che con La vida essueño, e nello specifico con gli accadimenti che coinvolgono il giovaneSegismundo, siamo a tutti gli effetti di fronte ad un dramma che non appare sol-tanto frutto della riflessione dell’autore, che non è la mera espressione di unaconsuetudine teatrale, di una passeggera tendenza filosofica o letteraria, ma alcontrario rappresenta in modo esaustivo le ansie di tutta una cultura, quellasecentesca, dialogando dal profondo e collocandosi all’interno di un sistema divalori che ha nel rapporto tra prevaricazione e libertà, autonomia/smodatezzadei comportamenti umani e progetto naturale, cosmico e divino, insomma nelconfronto tra istintualità e razionalità, uno dei nodi della coscienza dottrinaledell’intero secolo. È un dramma della e sulla natura umana, ed è un drammadella e sulla violenza, indissolubilmente affacciato sull’agone scenico ed esi-stenziale di protagonisti e comprimari; una violenza che si esprime anche esoprattutto come mancanza, che abita la storia personale ed universale dell’uo-mo, ma che si riflette altresì nel mondo naturale: non è un caso che fin dallaprima battuta di Rosaura il «rayo» sia raffigurato «sin llama»; il «pájaro sinmatiz»; il «pez sin escama»; il «bruto», cioè la bestia, l’animale terrestre e terra-gno, privato dell’istinto naturale; insomma non è un caso che alle creature chesimboleggiano gli elementi della natura, che popolano il testo già a partire dalterzo verso, manchi una qualità essenziale. E in questo senso lo stesso ippogrifodell’esordio identifica una strutturale incompiutezza, dal momento che è un ibri-do, un animale che con il suo patrimonio genetico misto e il suo aspetto mul-tiforme non risponde ad un’unica e definita natura; è quasi un’allegoria dell’an-tinaturalità con cui emblematicamente si apre la «jornada primera» dell’opera, ilsimbolo della violenza da cui prende avvio l’intero percorso drammatico esemiotico calderoniano. Non si dimentichi, inoltre, che a brevissima distanzadall’animale mitico, immortalato nella sua strutturale e dirompente brutalità, lo

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scenario stesso, con la desolante e arcigna durezza del paesaggio roccioso, sipropone agli occhi di Rosaura e del lettore come «confuso laberinto», rafforzan-do così l’immagine di radicale smarrimento e disordine con cui si apre il dram-ma. Come ha mostrato Samonà, proprio il labirinto, al di là della confusione acui rimanda secondo un’interpretazione metaforica già ampiamente consolidatanel periodo in cui Calderón scrive, allude ad un’originale misura simbolica einterpretativa:

[…] mentre si generalizza quella metafora di «confusione», avulsa da ogni ricordo lette-rario, si fa strada un uso ben diverso, che è attento alle implicazioni del mito, e simboleggia,nell’idea dell’edificio tortuoso e insondabile, una condizione umana di cecità, di perdita dellaragione e del buon governo della vita, di ricerca affannosa d’una smarrita conoscenza. Qui èil suo incontro coll’idea cristiana del disordine della coscienza fuori della fede, ed è a questatradizione che Calderón si riallaccia nella sua allegoria: lo capiamo dal rapporto che egli isti-tuisce fra l’immagine e il suo contesto5.

Di fatto, poi, oltre alla «cecità» e al «disordine» della simbologia cristiana,secondo la prospettiva mitologica il labirinto evoca un’altra creatura ibrida eincompleta, irrealizzata: il minotauro; un mostro che davvero ha in sé il germedella violenza: è stato concepito attraverso un bestiale accoppiamento contranaturam – un toro e una donna – e soprattutto palesa tale brutalità e innaturalitàtanto nel suo aspetto esteriore quanto nelle sue caratteristiche morali. Pertanto,proprio dall’accostamento della mostruosità portata in scena – l’ippogrifo – e diquella evocata – il minotauro – emerge con estrema forza simbolica la violenzainiziale del quadro, la ferocia e l’anti-naturalità dell’incipit poetico e tematicodel dramma; e allora i primi versi di Rosaura preparano perfettamente il terrenoalle scene e agli atti successivi, in cui dalla dimensione metaforica e mitologicail discorso si sposta sulla realtà umana, sulla confusione che regna tra gli esseriper quanto riguarda la sfera morale e politica:

Hipógrifo violento,que corriste parejas con el viento,

dónde, rayo sin llama,pájaro sin matiz, pez sin escama,y bruto sin instintonatural, al confuso laberintodestas desnudas peñaste desbocas, arrastras y despeñas?

¿

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5 C. SAMONÀ, Ippogrifo violento. Studi su Calderón, Lope e Tirso, Milano, Garzanti,1990, p. 81.

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Le parole della donna marcano così

[…] un rapporto di analogia tra mostri: all’ippogrifo violento, il mostro evocato daRosaura, fa eco un minotauro implicito nell’idea di labirinto. Fra la natura ibrida dell’uno equella dell’altro si stabilisce una sorta di complicità: come se nella parola «labirinto» fosse inagguato un minotauro che ci rinvia all’altro mostro come a un simbolo – riconfermato – dicecità dell’uomo6.

Del resto, non molti versi più avanti, nel monologo di Segismundo – che èpoi la parte su cui si concentrano le nostre analisi – l’immagine del «bruto»ribadisce tale riferimento simbolico, e la bestia proprio per la sua natura ferinae istintuale è definita «monstruo de su laberinto». L’idea stessa del minotauro,così come quella del primo animale, allude a una brutalità che nasce da unanatura composita e proprio per questo percepita come mostruosa e «violenta».E lo stesso ippogrifo, in questo senso, attraverso la propria costitutiva evidenzasimbolica, rassicurata dalla presenza sullo sfondo del mostro taurino, introducefin dall’inizio uno dei nodi allegorici e insieme uno degli insiemi semiotici cheorganizzano il sistema di significazione dell’opera nella sua interezza. La vio-lenza nasce dal mancato rispetto della natura – anzi, per la precisione, da unacondizione simbolica e contingente, e a rischio di perpetuità, basata sulla viola-zione dei suoi canoni –, da un’esistenza innaturale e incompiuta, come quelladel mostro alato, del minotauro, di Rosaura e di Segismundo. Tutto ciò, rile-vando ancora che la metafora del labirinto costituisce un motivo di assolutacentralità nell’economia significativa del dramma, proprio nella prospettiva diuna vicenda che dalla confusione iniziale evolve teleologicamente verso larisoluzione dei conflitti e la riaffermazione della ragione e della “natura dellecose” 7.

È una brutalità, quella da cui prende le mosse La vida es sueño, che simostra come una deficienza “esteriore” – dall’aspetto fisico agli abiti “impro-pri” indossati dai protagonisti (Rosaura è vestita da uomo, mentre Segismundoindossa un «traje de fiera») – e “interiore” – morale e spirituale –, che si river-bera nelle diverse sofferenze e necessità, nelle “prigioni” e nei differenti anelitidi tutti i principali caratteri. Quasi ogni personaggio è privo, o è stato privato, diuno o più elementi essenziali, costitutivi del suo essere in sé e per sé e del suoessere in società; ma allo stesso tempo ognuno di essi cerca fortemente di com-pensare tale disagio, di ovviarvi attraverso il proprio libero arbitrio, di riconqui-

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6 Ivi, p. 82.7 Ha scritto ancora Samonà, «il labirinto della Vida es sueño è immagine di confusione

nell’ambito di un chiaro finalismo cristiano; perciò si avvia al proprio scioglimento nella con-quista della virtù – o di una libertà che è possesso della virtù – e nella prospettiva di valorioltremondani», ivi, p. 107.

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stare patenti di dignità fisica e morale che lo riconducano all’interno di un uni-verso di accettazione e completezza. Segismundo fin dall’inizio del drammapatisce e riassume una mancanza assoluta e molteplice. In primis, incatenatonell’oscurità della torre, egli è presentato come «hombre-fiera», dunque comeun essere costitutivamente legato ad un’esistenza ibrida, prigioniera e margina-le, ad una sfera naturaliter innaturale che si riflette nel suo stato selvatico, feri-no. In secondo luogo, è stato studiatamente e forzatamente privato di un’educa-zione conveniente, dovendosi accontentare degli insegnamenti parziali – insenso quantitativo, ma anche qualitativo, etico – che il vecchio Clotaldo gli haimpartito, circostanza che al di là della rabies istintuale lo “costringe” in principioa comportamenti violenti ed estranei tanto alla morale umana quanto a quellaespressamente cortigiana. Infine, Segismundo è anche vittima della prevaricazio-ne politica, poiché, sebbene debba essere per legge l’erede al trono, gli è statatolta la dignità di principe con tutte le prerogative e soprattutto con tutti i dirittiche per natura gli spetterebbero. È a fronte di tutto ciò che inizia, da parte del pro-tagonista, la risalita, la “riconquista” di ciò che gli è stato inguistamente sottrattofin dalla nascita, l’itinerario dalla ferinitas alla consapevolezza, dall’istinto allaragione e alla prudenza, dalla cattività alla libertà e all’investitura regale. Ma oltreal protagonista anche altri personaggi vivono una simile parabola di mancan-za/perdita e successivo riscatto. Rosaura, ad esempio, defraudata della verginità,ne soffre l’onta e la sofferenza, ma lotta dal principio alla fine del dramma per re-cuperare l’onore e la dignità che le competono. E lo stesso Basilio, re di Polonia epadre di Segismundo, per limitarci ad un’altra figura tra le più rilevanti, appare findall’inizio della storia come un monarca imperfetto, poiché attua in modo anti-na-turale e perciò violento: a causa di un oroscopo ha privato il figlio, legittimo erededella corona, dei “diritti naturali” di un principe, lo ha imprigionato, e invece didedicarsi all’arte del buon governo ha preferito appunto coltivare interessi mate-matici e astrologici, assolutamente inopportuni per un sovrano (per altro, anche inquest’ultimo campo pseudo-scientifico si dimostra piuttosto carente e incerto).

Nell’universo della mancanza, dunque, si genera davvero una plurivocità diistanze e lamentele, i cui poli concreti e trascendenti sembrano essere quelli dellalibertà e della prigionia, una prigionia che va osservata e interpretata da diverse pro-spettive, che assume un aspetto multiforme in base all’isotopia con cui il drammacalderoniano viene attraversato. Si tratta di un carcere materiale, ma soprattutto spi-rituale, morale, di cui la «torre», la prigione vera e propria è soltanto il simbolo ter-reno e contingente e anch’esso funzionale all’orizzonte di significazione del testo.Di fatto, proprio l’esistenza di più piani e punti di osservazione nell’indagine delconflitto tra cattività e libertà, tra potere, destino e libero arbitrio ha indirizzato l’er-meneutica a intravvedere tanto sulla scena del testo quanto nella visione del mondodi Calderón e del Barocco in generale la compresenza di più significati. Tra gli altri,infatti, sempre Ciriaco Morón in più di una circostanza ha rimarcato e rivendicato lamultidirezionalità semantica e interpretativa connaturata al dramma: oltre all’idea

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della vita come sogno, che senza dubbio sottende a tutta l’opera, nel capolavoro cal-deroniano è possibile rinvenire tanto un «sentido teológico» quanto uno morale epolitico. Nel primo caso, tutto è giocato sul problema della predestinazione e dellibero arbitrio: «se cumple la profecía fundada en las estrellas, pero con la coopera-ción culpable de quien pretendía evitar su cumplimiento. En esa sutil dramatizaciónde las tesis escolásticas brilla la ironía calderoniana»8. Ma accanto all’ermeneuti-ca teologica e cristiana, è poi possibile individuare anche un percorso di senso eun’interpretazione legati all’etica dell’uomo:

En el breve marco de una comedia, Calderón resume la comedia de la vida humana: naci-miento al salir Segismundo de la torre, juventud pasional en palacio, lucha por la conversiónen la reflexión sobre el sueño y conversión final cuando vence a la lascivia en la persona deRosaura y se postra ante su padre después de la batalla9.

Infine, secondo un costume che ricorre di frequente nel teatro del Seicento,sopra e sotto la superficie del dramma umano si delinea anche un profondo mes-saggio ideologico, per cui, al di là della dialettica “spirituale” che si instaura trale sofferenze personali e le ingiustizie inflitte e patite dai personaggi, «la obraplantea un problema de teoría política: tiranía de un rey contra su hijo y su pue-blo por deseo de hacer el bien; reacción frente a la tiranía del rey bueno, licituddel levantamiento contra ese tipo de tirano y conducta final de Segismundo conel soldado sedicioso»10.

Non è ovviamente possibile affrontare in questa sede la complessa e intricatarete dei significati della Vida es sueño, operazione che è stata condotta da tanteparti e in tante direzioni differenti; ciò ci distoglierebbe dall’obiettivo principale

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8 ARROYO, Calderón…, cit., p. 80.9 Ibidem.10 Ibidem. In generale, comunque, occorre rilevare che più che un discorso politico nella

Vida es sueño sembra prevalere la riflessione sulla condizione umana dal punto di vista etico.Una delle caratteristiche principali e ineludibili della figura di Segismundo è infatti la com-presenza dei due stati di «hombre» e «fiera», in pratica «arte», intesa come prudentia, e«natura», intesa qui come istinto e brutalità, mancanza di razionalità ed “educazione civica”.Si legga ancora quanto sostenuto da Ciriaco Morón: «Las contradicciones de Segismundo sonreales, pero no podemos entenderlas como dos estadios opuestos en su carrera. Cuando apare-ce como «fiera» en la cueva, es un príncipe magnánimo, dotado de alta inteligencia natural,capaz de estudiar política en la convivencia de los animales y descubrir al Creador en elorden y belleza; pero es naturaleza sin arte, príncipe sin educar; la falta de educación le hacefiera en el sentido más técnico, ya que, según los escolásticos, el hombre, animal racional, esbestia si vive según la inclinación de los sentidos que tiene comunes con los animales y nosegún los dictados de la razón y ley. Ese sentido de fiera prerracional es contrario a la zorrasabia de Machiavelli», ivi, pp. 85-86.

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di questo lavoro, che desidera piuttosto concentrarsi sulla peculiare semiosi – ela conseguente isotopia – “carceraria” del testo così come essa si manifesta e sidistende nella parte inziale del dramma, e in particolare nel primo monologo diSegismundo. In effetti, la scelta e l’utilizzo del lessico per la composizione delmemorabile lamento del principe sembra proprio mirare alla definizione di uncodice specifico, che appare delimitato dai poli antitetici della cattività e dellalibertà, un codice che si definisce attraverso la dialettica tra violenza e natura-lità, privazione e desiderio di riscatto. È una dialettica linguistica, teologico-filosofica e ideologica, secondo quelle che sono le retoriche in atto nel dramma,secondo quelli che sono i percorsi di senso costruiti da Calderón. Ed è una dia-lettica che comunque obbedisce al “sistema”: segue le sinuosità del pensieroteologico e giuridico del tempo, sottolinea le angustie e le sottigliezze dellapolitica cortigiana, indaga il problema della morale e dell’onore e, ovviamente,ricorre all’oratoria consolidata dalla congiuntura barocca, dal lessico alle figure,dal metro allo stile. La vida es sueño è insomma un dramma che risponde piena-mente alle tendenze della riflessione filosofica e letteraria del tempo; senzaentrare in dettagli, non vi si ritrova nessuna celebrazione della libertà contro ilpotere – l’ordine costituito è ciò che viene di fatto ripristinato alla fine deldramma –, nessuna esaltazione del libero arbitrio a danno del Destino e dellaProvvidenza, nessun ribellismo sine die: perfino la rivolta, strettamente necessa-ria al desenlace del dramma, è funzionale al ripristino del diritto monarchico ecortigiano, alla ricomposizione del dissidio padre-figlio in nome della giustiziae della morale ufficiale. E uno stesso discorso si può fare a proposito dei rappor-ti uomo-donna, tra bassi istinti, suggestioni platoniche e, alla fine di tutto, “solu-zioni” matrimoniali opportune ed ortodosse.

La prigione nell’ottica di Calderón rappresenta un simbolo, anzi il simbolodella privazione umana, dell’impossibilità dell’uomo di realizzare se stessosecondo un principio di libertà e quindi, nell’ottica barocca, secondo un princi-pio di razionalità e prudenza. In questo senso, come ha sottolineato Brombertcon le parole di Victor Hugo, il carcere davvero snatura l’uomo, aguzzino ocondannato che sia, davvero assurge ad icona dell’umana barbarie e prevarica-zione, tanto esercitata quanto subita11.

Lessico e ideologia della prigione

11 Cfr. BROMBERT, La prigione romantica, cit., p. 7. Riportiamo le parole dello scrittorefrancese: «L’homme n’a pas cessé de se dénaturer / dans le tragique orgueil de condamnerson frère» (V. Hugo, Oeuvres complètes, Paris, Le Club Français du Livre, 1969, vol. X, p.1718). Inoltre, come ha scritto Brombert nella sua splendida introduzione al volume, che siintitola emblematicamente La prigione, il sogno, se da una parte il carcere snatura l’uomo,dall’altra la cattività forzata lo obbliga altresì alla speculazione filosofica e mistica e alla pro-duzione letteraria ed onirica: la prigione richiama infatti anche l’idea del sogno, forse l’unicapossibilità, l’unica libertà concessa all’uomo all’interno delle pareti che lo contengono. Il pri-

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A. Parker ha individuato tre tipi di simboli prevalenti e ricorrenti nell’operacalderoniana: il primo è quello dettato da un luogo in cui si svolge una serie dieventi o da un oggetto intorno al quale ruota un’azione; il secondo, di cui è unesempio il dramma di Segismundo, è legato a una situazione anormale e/o fan-tastica di partenza in cui un personaggio si trova, e più la situazione si ripete,più ciò assume valore simbolico; il terzo, tipicamente barocco, è sintetizzato edeclinato intorno a una metafora che si concretizza sulla scena, che divienetangibile e dominante. Se dunque consideriamo valida tale analisi, è certo chenella storia del principe convivono tutti e tre gli aspetti legati alla simbologiadell’autore. Nel primo caso, è giusto isolare la torre/prigione – in antitesirispetto al luogo altro della Corte – in quanto discrimine spaziale attorno a cuisi inquadrano le vicende; nel secondo, l’innaturalità della situazione iniziale, laviolenza – nel senso prima esposto – dell’incarceramento introducono e riassu-mono tutta la complessa valenza etica, teologica e politica del dramma; infine,non solo la vita come sogno, ma anche la metafora della prigione, con il suodeclinarsi e specificarsi all’interno del testo, assume un valore centrale, un rife-rimento costante per ciò che riguarda la semiosi “carceraria” individuabiletanto sul fronte linguistico quanto su quello assiologico e filosofico. SecondoParker, dunque, il secondo tipo di simbolo è quello predominante nella Vida essueño:

El segundo tipo de símbolos lo constituye una situación anormal o fantástica en la que seencuentra un personaje; tal situación, si se repite de una obra a otras, acaba adquiriendo unsignificado que no se restringe a una de las ocasiones en las que ocurre. La prisión deSegismundo es el ejemplo típico; la torre o cueva en la que un ser humano, hombre o mujer,ha sido confinado desde su nacimiento. […] El lector de Calderón, sin embargo, debería estarinteresado en el encarcelamiento y verlo como un símbolo; […] Se le va a llamar el símbolode la Prisión: pero se debe tener in mente que no se trata de encarcelamiento como castigopor un delito, puesto que en ningún caso existe tal delito, que es lo que aumenta el carácter

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gioniero in cattività, così come il monaco nella solitudine della sua cella o il poeta chiusonella sua stanza, appaiono dunque degli archetipi filosofici e morali, si propongono comefonti inesauribili ed eterne di sogno e riflessione, una riflessione la cui essenza consistenella tensione costante tra oppressione e sogno di libertà, tra fatalità e volontà, tra lacoscienza dei limiti e il desiderio d’infinito. Tra i temi della letteratura carceraria messi inluce da Brombert, quello della presenza dell’Altro – inteso nell’accezione più ampia possi-bile, da un interlocutore, il più delle volte una donna, privilegiato a un luogo inaccessibile,a una condizione personale che si desidera riacquistare poiché negata o che si vuole con-quistare per la prima volta come atto di libertà ed emancipazione – è un motivo, un’idea euna possibilità che si affaccia costituzionalmente nella storia e nella coscienza del protago-nista della Vida es sueño.

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metafórico de esta prisión. Ese símbolo va acompañado de una profecía, una adivinación, unpresagio o un horóscopo12.

E proprio tale simbolo della Prigione – una prigione non giustificata daalcun delitto, ma in questo caso motivata da un oroscopo improprio e mal inter-pretato – fa da prologo, da punto di partenza della lotta di Segismundo per riaf-fermare i propri diritti e doveri naturali, per riconquistare e verificare il propriodestino:

El símbolo de la Prisión contiene un elemento más o menos constante: una predicciónprofética de que cierto individuo hará daño en el mundo. Para impedir que este individuotenga la libertad para realizar lo que se ha profetizado se le encarcela y se le tiene prisionerodesde la infancia, pero queda libre al principio del drama y se enfrenta a su destino13.

L’hombre-fiera imprigionato nella torre rappresenta una figura mitica, anziintorno al suo personaggio, secondo una consuetudine particolarmente cara allacultura barocca, si costruisce una sorta di mito personale ed universale insieme.Eppure, l’autore pare attribuire a Segismundo e alla sua cattività non solo unaforte evidenza simbolica e mitica, e quindi un valore culturale ben definito, maanche una dimensione più ampia e profonda, archetipica:

[…] la repetición del motivo de Prisión-Horóscopo tuvo una profunda significación emo-cional e intelectual para Calderón, y que ésta se nos comunica por medio de una forma norealista porque se universaliza. […] la torre de Segismundo es arquetípica: expresa el concep-

Lessico e ideologia della prigione

12 A. A. PARKER, La imaginación y el arte de Calderón. Ensayos sobre las comedias,Madrid, Cátedra, 1991, pp. 47-48. Inoltre, sempre all’interno di una dimensione simbolica,sul piano strutturale e funzionale, ma anche dal punto di vista scenografico, la presenza dellatorre/prigione è rigorosamente simmetrica: essa delimita l’azione scenica ed ideologica dellarappresentazione, comparendo nei luoghi e nei momenti più significativi del dramma: «Latorre significa evidentemente mucho más que un recurso para la presentación de un héroemisterioso. […] Las imágenes poéticas que la circundan, llamándola cuna y sepulcro delinquilino, nos alejan de una prisión ordinaria y nos acercan al misterio de la vida y la muerte,del sino y el destino humano», ivi, p. 123.

13 Ivi, p. 57. Poco più avanti lo stesso autore mette altresì in relazione tale simbolo dellaprigione con il peccato originale: «Es un concepto análogo, hasta cierto punto, al conceptoteológico del pecado original. El pecado original, como parte inseparable de la naturalezahumana, es una imperfección o debilidad de la voluntad, que provoca una tendencia hacia elmal, de modo que hace que el pecado parezca algo natural sin ser de ningún modo inevitableo invencible. El símbolo calderoniano de la Prisión no significa una tendencia hacia el mal eneste sentido, sino más bien una propensión bien a sufrir infelicidad, bien a causarla. […]Calderón lo concibe como un rasgo innato de la vida humana: la humanidad en conjunto estácondenada a una vida de dolor, o es prisionera en la Prisión». Ivi, pp. 57-58.

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to de un encarcelamiento que va más allá del mero castigo por haber infringido una ley socialordinaria. Comunica la idea y la emoción de la culpa de una forma mucho más profunda de laque comunica un caso contemplado en la sala de un tribunal14.

Prima di isolare la peculiare terminologia e la conseguente ermeneutica chescaturisce dalla forza linguistica e filosofica del primo monologo di Segismun-do nella prigione della torre, visto il relativo numero di versi e soprattutto ildesiderio di un riferimento puntuale e accessibile anche al lettore, desideriamoriportarne l’intero testo.

¡Ay, mísero de mí, ay, infelice!Apurar, cielos, pretendo,

ya que me tratáis así,qué delito cometícontra vosotros, naciendo.Aunque si nací, ya entiendoqué delito he cometido:bastante causa ha tenidovuestra justicia y rigor,pues el delito mayordel hombre es haber nacido.

Sólo quisiera saberpara apurar mis desvelosdejando a una parte, cielos,el delito de nacer,qué más os pude ofenderpara castigarme más.¿No nacieron los demás?Pues si los demás nacieron,¿qué privilegios tuvieronque yo no gocé jamás?

Nace el ave, y con las galasque le dan belleza suma,apenas es flor de plumao ramillete con alas,cuando las etéreas salascorta con velocidad,negándose a la piedaddel nido que deja en calma;¿y teniendo yo más alma,tengo menos libertad?

Nace el bruto, y con la pielque dibujan manchas bellas,

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14 Ivi, pp. 121-122.

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apenas signo es de estrellas,gracias al docto pincel,cuando atrevida y cruella humana necesidadle enseña a tener crueldad,monstruo de su laberinto;¿y yo, con mejor distinto,tengo menos libertad?

Nace el pez, que no respira,aborto de ovas y lamas,y apenas, bajel de escamas,sobre las ondas se mira,cuando a todas partes gira,midiendo la inmensidadde tanta capacidadcomo le da el centro frío;¿y yo, con más albedrío,tengo menos libertad?

Nace el arroyo, culebraque entre flores se desata,y apenas, sierpe de plata,entre las flores se quiebra,cuando músico celebrade los cielos la piedad,que le dan la majestaddel campo abierto a su ida;¿y teniendo yo más vidatengo menos libertad?

En llegando a esta pasión,un volcán, un Etna hecho,quisiera sacar del pechopedazos del corazón.¿Qué ley, justicia o razón,negar a los hombres sabeprivilegio tan süave,excepción tan principal,que Dios le ha dado a un cristal,a un pez, a un bruto y a un ave?

(I, vv. 102-172)15

Lessico e ideologia della prigione

15 P. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, ed. de Ciriaco Morón, Madrid, Cátedra,1994, pp. 90-92. Citiamo sempre da questa edizione. La metrica del passo, dopo l’endecasil-labo iniziale, è la décima (abba-ac-cddc), che Calderón utilizza spesso nei dolenti monologhidel testo, anche in ossequio a quanto indicato da Lope nell’Arte nuevo («las décimas son bue-nas para quejas»).

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Il problema del linguaggio è senz’altro centrale nel teatro calderoniano, e adesso si affida la ricerca di una possibilità, per i personaggi, di prendere coscien-za della realtà e delle proprie azioni, del proprio essere nel mondo. Come haevidenziato ancora una volta Ciriaco Morón,

en el drama de Calderón todos los personajes principales en un momento dado se encuen-tran ante sorpresas tan profundas que dudan de lo que ven y oyen, dudan de su identidad. Estaexperiencia nos pone a ellos y a nosotros en la situación de analizar a nivel de conciencia conque nos percibimos y controlamos nuestros actos. Al afirmar que la vida es sueño estamosdeclarando nuestra incapacidad de conocernos plenamente; la existencia, más que vivida conlibertad, se nos escapa mecida en las convenciones sociales y lingüísticas. Vivimos perdidosy protegidos en lo que se hace y lo que se dice16.

È quindi l’acquisizione di un proprio codice, linguistico ed etico, il raggiun-gimento di una duplice consapevolezza, al di là dei voleri degli oroscopi e degliuomini, ad innescare i meccanismi drammatici e, più in profondità, le dinami-che e il processo di emancipazione dei personaggi, e di Segismundo in partico-lare, dallo stato anti-naturale, irrazionale o addirittura bestiale, all’equilibrio ealla prudenza. E tutto ciò è possibile nonostante gli astri – il destino immaginato– e nonostante il sovvertimento della natura di cui è protagonista e vittima ilprincipe: un uomo nato libero prigioniero in una torre fin dalla nascita; un esse-re razionale dotato della luce dell’intelligenza vestito di pelli come l’uomo dellecaverne; un primogenito di re privato del trono e perciò del diritto e del doveredi governare i propri sudditi. In questa prospettiva, i lamenti di Segismundo nonsono dunque dovuti all’insostenibilità della condizione umana, predestinatasecondo la dottrina teologica dell’epoca ad un’inevitabile e giustificata sofferen-za, all’espiazione continua del peccato originale; ciò che sconvolge il protagoni-sta, che lo getta nella disperazione e lo porta poi a costruirsi secondo natura nelcorso della storia, non è soltanto la violenza arbitraria a cui è stato sottoposto findalla culla, l’innaturalità assoluta della sua condizione, ma soprattutto l’impos-sibilità di parlarne, di raccontarla. Non a caso proprio l’incontro con Rosaura –prima con la sua voce che con la sua persona – offre finalmente al giovane,dopo anni di prigionia, la chance di uno sfogo, la possibilità di dire la propriasofferenza, di lamentare il disagio del proprio carcere. Se, come sostiene Lacan,vi è coincidenza tra essere e linguaggio, proprio le parole di Segismundo, con illoro valore descrittivo e insieme il loro portato simbolico, testimoniano alloradell’assurda ingiustizia subita dal principe; un’ingiustizia arbitraria, sì, poichéegli è punito al di là dell’ancestrale delitto connaturato all’essere nato. Tutti glienti naturali sono esposti alla morte, e in più l’uomo porta sulle spalle il fardello

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

16 ARROYO, Calderón. Pensamiento y teatro, cit., p. 81.

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della macula originalis, tuttavia, al di là di questa zavorra congenita, al di làdella reclusione nelle segrete in cui l’anima umana si dibatte da sempre per lasopravvivenza, Segismundo è privato anche della possibilità di agire liberamen-te e moralmente, di affrontare il destino che gli si prepara.

Le quejas del protagonista della Vida es sueño, dunque, trovano le proprieragioni e si concretizzano in un lessico che vuole dar conto propriamente dellacontraddittorietà e dell’eccezionalità del suo status di principe in cattività: il primomonologo di Segismundo, oltre ad orientare la complessa semiosi del dramma, sulfronte linguistico adotta una serie di opzioni che funzionano tanto sul piano dell’e-videnza denotativa quanto su quello della valenza simbolica. E la ferinità del per-sonaggio, l’innaturalità della situazione viene introdotta anche dalle battute, edalle vicissitudini, di Rosaura e Clarín, che in un certo modo “preparano” la visio-ne e lo sfogo del prigioniero, che alimentano il clima “carcerario” – di ogni essererispetto al suo stato e al suo fato – che si respira in tutta l’opera. Nei primissimiversi del testo, infatti, Clarín ha paura dell’arrivo della notte e ciò non fa cheaumentare il senso di solitudine e oppressione, che non solo anticipa la visione ela statuarietà tetragona della prigione di Segismundo, ma conferisce anche la tona-lità predominante al dramma. È la prima di una lunga serie di conferme sul frontedel rapporto intimo tra paesaggio, linguaggio e stato d’animo, condizione di vita,dei personaggi. E rispetto alla comparsa della torre all’interno del desolato scena-rio, possiamo osservare che piuttosto che l’annuncio di una presenza umana, in uncerto qual modo confortante, proprio quella costruzione alta e isolata ne appareuna cupa e inquietante negazione. Ad ogni modo, al di là delle paure di Clarín edei rilievi paesaggistici, sono soprattutto le parole della donna che anticipanoimmediatamente, sia sul piano linguistico che assiologico, il lamento del principe:

¿No es breve luz aquella caduca exhalación, pálida estrella, que en trémulos desmayos, pulsando ardores y latiendo rayos, hace más tenebrosa la obscura habitación con luz dudosa? Sí, pues a sus reflejos puedo determinar (aunque de lejos) una prisión obscura que es de un vivo cadáver sepultura; y porque más me asombre, en el traje de fiera yace un hombre de prisiones cargado, y sólo de la luz acompañado. Pues hüir no podemos, desde aquí sus desdichas escuchemos; sepamos lo que dice.

(vv. 85-101)

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È davvero emblematico il codice degli “intrusi”. L’ouverture della scena delmonologo è armonizzata e modulata tra i due estremi cromatici e simbolici dellaluce e dell’oscurità («breve luz», «pálida estrella», «luz dudosa», «obscura habi-tación», «prisión obscura» ecc.), e su tale partitura si inseriscono alcuni versiche introducono in maniera allusiva e insieme efficace luogo e status diSegismundo e che al contempo sintetizzano tutta la peculiare figuralità e com-plessità del linguaggio del dramma. Nel primo caso, la torre è definita «prisiónobscura / que es de vivo cadáver sepultura», in cui l’ossimoro («vivo cadáver»)non fa altro che rafforzare sul fronte retorico la contraddittorietà, l’innaturalitàdella situazione del principe incatenato; situazione che è sottolineata in tutta lasua brutalità dal successivo ed icastico verso «en el traje de fiera yace un hom-bre / de prisiones cargado», che oltre ad annunciare la figura selvatica dell’hom-bre-fiera ne rimarca lo stato di prostrazione (si guardino i verbi «yace», «carga-do»). A proposito di quest’ultimo verso, come ha spiegato Vittorio Bodini,

[…] sfidando la logica Calderón ci mostra in un sintetico indimenticabile linguaggio ico-nico la condizione ferina dell’animo di Segismundo oppure il segno, il marchio che gli è statoimposto e che egli ha polemicamente accettato. D’altra parte il suo “traje de fiera”, pur dive-nendo in lui un fatto interiore, non cancella la sua essenza o quanto meno la sua parte d’uo-mo. Abbiamo dunque una “fiera racional”, sintesi terrestre e quasi non metafora ma metoni-mia data la contiguità, il contagio di concetti come uomo-fiera, che assicura al sistema dellestrutture elementari il mondo dei sentimenti di Segismundo nelle loro oscillazioni metonimi-che, fra fiera e uomo17.

E a conferma della generale importanza della componente strettamente lin-guistica nell’economia semiotica e simbolica della Vida es sueño, anche quandola ferinità di Segismundo indispettito dall’intrusione della donna e di Clarínnella torre sta per scagliarsi contro di loro, è la delicatezza, la tenerezza femmi-nile della voce di Rosaura – delle sue parole (come successivamente a palazzo),

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

17 V. BODINI, Segni e simboli nella “Vida es sueño”, Bari, Adriatica Editrice, 1968, pp.72-73. L’approccio di Bodini è rigorosamente strutturalista, perciò in parte datato, tuttavia èimpossibile non ricordare e non sottolineare la «selva di strutture, di geometrie, di simboli»che contraddistingue il linguaggio e in generale il testo calderoniano. Egli, del resto, nel suosaggio vuole proprio dimostrare come nel dramma: «la semantica si faccia funzione, cioèautentica struttura finalistica, strappando al puro mondo dei tropi metafore e altri segni poli-morfi, sagaci, mobilissimi e smascherandone la profonda solidarietà anche là dove si presen-tano come contraddittori. Si tratta di immagini e di sequenze plurime, e estremamente com-plesse, di una identificazione emozionale in un oggetto, anzi in una serie di oggetti simbolicisensibilissimi, che a volte vivono di una propria autosufficienza semantica, a volte invecesubiscono fin le più piccole perturbazioni ambientali, che non possono seguirsi se non attra-verso la verifica caso per caso dei rapporti, positivi o no, fra simboli e realtà circostanziale»,ivi, p. 9.

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del suo linguaggio appunto – a frenarlo, a disarmare la sua natura violenta. Illinguaggio, dunque, è portatore di civiltà e prudenza, è il primo e principalestrumento della comunicazione e della relazione tra gli uomini; sia nella torreche in seguito a corte appunto il linguaggio – platonicamente – si fa sempre por-tatore di grazia e bellezza, elementi che sono fondamentali per l’umanità degliesseri.

Segismundo vive ai confini tra vita e sogno, tra libertà e catene, tra umanitàe violenza, e contesta ai Cieli il diritto di punire in lui una colpa che ignora, unplusvalore di castigo che va ben al di là della macchia eterna e comune a tuttigli uomini. All’inizio, infatti, ciò che caratterizza il discorso del principe è unlessico immediatamente riconducibile ad un orizzonte di disperata interrogazio-ne/richiesta nei confronti del Cielo e del destino, che lo costringono alla non-vita, alla «sepultura» della torre. Da qui il ricorso a verbi come «apurar» e «pre-tender», nei quali sempre Bodini ha correttamente osservato un ««senso forte-mente inquisitivo»18:

¡Ay mísero de mí, y ay infelice!Apurar, cielos, pretendo,ya que me tratáis así,qué delito cometícontra vosotros naciendo;[…]

(vv. 102-106)

Tono ansioso e rabbioso, dunque, che si ripete nella décima seguente, quan-do le domande di Segismundo si susseguono, mentre ricerca angosciato unaragione per cui, al contrario degli altri esseri e al di là del delitto di nascere, egliè stato altresì condannato a una vita di prigione e privazione:

Sólo quisiera saberpara apurar mis desvelosdejando a una parte, cielos,el delito de nacer,qué más os pude ofenderpara castigarme más.¿No nacieron los demás?Pues si los demás nacieron,¿qué privilegios tuvieronque yo no gocé jamás?

(vv. 113-122)

Lessico e ideologia della prigione

18 Ivi, p. 83.

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Il grande dilemma, contingente e sistematico, che assedia la riflessione filo-sofica del principe risiede pertanto in quello che abbiamo definito un plusvaloredi pena rispetto al «delito de nacer» e agli altri esseri del pianeta («los demás»),il che portato sul vetro del microscopio linguistico si riflette in quel «qué más»relativo all’offesa eventualmente compiuta ai danni dei «cielos» della primastanza (v. 103) e che appunto avrebbe spinto a loro volta tali Entità superiori a«castigar más» il giovane nobile.

Del resto, sia sul fronte delle scelte lessicali sia su quello delle immagini checaratterizzano il monologo nella sua interezza, i diversi esempi tratti dal mondodella realtà naturale che seguono le due strofe inziali – al di là del costume clas-sicistico, rinascimentale prima e barocco poi, di proporre un paragone tra l’uo-mo, con le sue passioni, ferite e inquietudini, e appunto la natura, in tutti i suoiaspetti – offrono a Segismundo la possibilità di tracciare «un grande bilanciodella sua esistenza, impostato su alcune voci indicative del cosmo»19; bilancioche in questo senso diventa una sorta di cartina di tornasole dell’ingiustizia arbi-traria, “privata” oltre che universale, che contorna la sua vicenda di prigioniero.La propria cattività appare a Segismundo frutto di una congiura, che se da unlato risulta essere un complotto di palazzo – di fatto è il re ad aver destinato ilfiglio al carcere fin dall’età più tenera –, dall’altro è a tutti gli effetti una speciedi congiura cosmica, di cui partecipano o sono comunque testimoni i quattroelementi: aria, terra, acqua e fuoco. Da qui il disperato e riassuntivo interrogati-vo degli ultimi versi del monologo:

¿Qué ley, justicia o razón,negar a los hombres sabeprivilegio tan süave,excepción tan principal,que Dios le ha dado a un cristal,a un pez, a un bruto y a un ave?

(vv. 167-172);

in cui i termini «ley», «justicia» e «razón», rispetto all’ideologia e alla “cateche-si” barocca – che si esercita tanto sul piano teologico quanto su quello etico epolitico –, sono coincidenti. Per Calderón, e per la filosofia del Seicento ingenerale, non può esistere una legge che non corrisponda appieno al concetto digiustizia (si veda nuovamente il riferimento alla «justicia y rigor» dei Cieli nellastanza d’esordio), che non sia ispirata ad un principio razionale: ogni deviazionedalla natura, da cui discendono il diritto, la morale e l’autorità, è infatti un’aber-razione e produce inesorabilmente violenza. Pertanto, l’inquietudine e la rabbiadi Segismundo si generano poiché è innaturale – e quindi irrazionale, immorale

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

19 Ibidem.

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ed empio – che ad un uomo sia negata quella libertà, quel «privilegio tansüave», che Dio ha invece naturaliter concesso al resto del creato. Il tutto conl’aggravante aristotelico-scolastica che tanto il «cristal», cioè il corso d’acqua,quanto il «pez», il «bruto» e l’«ave» rappresentano creature di natura inferiorerispetto all’essere umano.

L’intero affresco iconografico e linguistico tratteggiato dal monologo siarricchisce per altro non solo degli esseri che simboleggiano gli elementi dellanatura, ma soprattutto delle caratteristiche e appunto dei “privilegi” che diffe-renziano e allontanano questi ultimi dal protagonista; e la distanza, lo scartosono marcati proprio sul piano della libertà, come conferma la struttura anafori-ca dell’explicit delle décimas centrali in cui si articola la riflessione di Segi-smundo 20:

L’uomo ha per natura «más alma», «más albedrío» e «más vida» di questiultimi, eppure egli sente e sa di essere iniquamente meno libero.

Già a partire dal primo esempio tramite il quale il principe percepisce elamenta la propria mancanza di libertà, l’ingiustizia da lui sofferta fin dallanascita, è proprio il peculiare repertorio terminologico a stabilire i confini lin-guistici, simbolici ed “ideologici” di tale stato di privazione:

Nace el ave, y con las galasque le dan belleza suma,apenas es flor de plumao ramillete con alas,cuando las etéreas salascorta con velocidad,negándose a la piedaddel nido que deja en calma;¿y teniendo yo más alma,tengo menos libertad?

(vv. 123-132)

Termini come «alas» e «velocidad», solo per citare i più evidenti, se da unaparte sottolineano la differenza “fisiologica” che intercorre secondo natura tra

Lessico e ideologia della prigione

20 Sul piano strutturale, in effetti, indipendentemente dal termine di paragone scelto “pereccesso”, ogni stanza è organizzata in maniera tale da riservare ai primi otto versi la compara-zione tra l’uomo e i simboli naturali, mentre negli ultimi due si concentra il bilancio di taleconfronto «in termini quantitativi e qualitativi», ivi, p. 86.

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¿y teniendo yo más almatengo menos libertad?(vv. 131-132)

¿y yo, con mejor distinto,tengo menos libertad?(vv. 141-142)

¿y yo, con más albedrío,tengo menos libertad?(vv. 151-152)

¿y teniendo yo más vidatengo menos libertad?(vv. 161-162)

l’uomo e l’uccello, che nasce con l’istinto e la propensione a librarsi per le «eté-reas salas» del cielo, dall’altra mettono altresì in rilievo la distanza tra il princi-pe e il volatile sul piano simbolico. Nell’orizzonte della riflessione secentescasulla libertà, infatti, come svelano i due versi conclusivi di questa décima, lapossibilità che un essere umano sia meno libero di un animale è immediatamen-te percepita e rigorosamente canonizzata come un evento contro natura, comeun’ipotesi inaudita, in questo caso una situazione iniqua ed arbitraria. Nelmondo dei simboli e delle idee del dramma, il ricorso ad immagini ed elementilinguistici è senz’altro più efficace dell’esposizione filosofica diretta: i versiappena citati “raccontano” e insieme rappresentano un discorso complesso sullatirannia, l’ingiustizia e la libertà che non ha uguali in fatto di sintesi ed efficacia– si noti, ad esempio, a livello di metafora del rapporto padre-figlio, monarca-erede, il riferimento all’abbandono della «piedad / del nido» –, ma soprattuttopermettono un’indagine approfondita su come la lingua e il lessico calderonianiintroducano e veicolino il messaggio, l’assiologia che risiede dietro la strutturadel dramma nella sua totalità. Se ci richiamiamo ancora una volta alle parole diCiriaco Morón,

la lengua en la obra literaria no transmite solamente ideas, sino que transmite las actitu-des y sentimientos del hablante y sensaciones de color y sonido: la lengua literaria se caracte-riza por fundir la idea en emociones y sensaciones. Si ahora comparamos la décima deSegismundo con nuestra hipotética reflexión sobre la tiranía, en la décima sentimos la quejade un hombre que puede ser cualquiera que ha llorado la represión y la crueldad a través de lahistoria; esa queja está engastada en un lenguaje rítmico (la estrofa llamada décima en lamétrica castellana) y la situación del hombre resalta en la comparación con el ave que corta elfirmamento llenándolo de color. Como epifonema de la emoción y las imágenes surge la pre-gunta: ¿y teniendo yo más alma / tengo menos libertad? En esta interrogación falta la sensa-ción pictórica, pero está presente el estímulo de sensación musical: la sonoridad de los ver-sos, la emoción que expresa seguridad, impotencia y queja, y la idea clarísima de que unhombre no debe ser privado de su libertad21.

E in stretta relazione con il linguaggio, di fronte a tanta violenza, a tantaingiustizia, è anche la ricerca di una propria identità, che a sua volta, comeaccennavamo in precedenza, schiude al soggetto l’immenso universo della con-sapevolezza:

Intimamente unido al problema de la identidad está el de la lengua. Si decidirse suponesuperar la íntima cobardía, la palabra es una decisión que compromete. El primer aspecto dela palabra de Calderón es la palabra de honor. Aunque la promesa hecha nos perjudique, lapalabra obliga. […] En la medida en que nos obliga delante de los demás, nos permite a noso-

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

21 MORÓN, Calderón, cit., p. 88.

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tros reflexionar sobre nosotros mismos y conocernos: la palabra es autoconciencia, revelaciónde nuestra identidad 22.

Sempre intorno al motivo della libertà, e in opposizione alla “condizionecarceraria” di Segismundo, sono orientate anche le scelte lessicali contenutenelle strofe dedicate al paragone con gli elementi della terra e dell’acqua:

Sorvolando sul «bruto», l’animale selvatico, il cui arbitrio si manifesta piùche altro attraverso l’istinto e la «crueldad», sia il «pez» che l’«arroyo», nono-stante la ricordata inferiorità ontologica rispetto all’uomo, sono letteralmentecircondati da un orizzonte linguistico che apre invece grandi prospettive e gran-di spazi, che garantisce loro un movimento ampio e allargato in tutte le direzio-ni. È così che il pesce – che per altro Segismundo definisce sprezzantemente un«aborto de ovas y lamas», un «bajel de escamas» – può godere di una libertàsenza confini, può lasciarsi trasportare dalle onde dappertutto, «a todas partes»,attraversando la «inmensidad» del mare e dell’oceano. Allo stesso modol’«arroyo», il corso d’acqua, è paragonato ad un serpente («culebra»; «sierpe deplata») che sinuosamente si fa strada tra fiori e campi, che conquista progressi-vamente il suo spazio finché gli stessi Cieli gli concedono la «majestad» e iltrionfo del «campo abierto», in cui da torrente si fa fiume e prosegue la suacorsa. E sono proprio vocaboli come «inmensidad» e «majestad»-«campo abier-to» a marcare l’opposizione frontale nei confronti della condizione di Segi-smundo: in essi si afferma l’universo semantico del movimento, della grandezza

Lessico e ideologia della prigione

22 Ivi, p. 125. Tra l’altro, il discorso sulla dimensione linguistica della personalità umana,si estende dalla lingua in sé alla scrittura letteraria vera e propria: «Esta ocupa el lugar inter-medio en el hallazgo de la verdad por el hombre: la vida es una comedia; pero en el escenariose gana o pierde la verdadera vida; la vida es sueño, pero hay sueños que son verdades», ivi,p. 127.

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Nace el bruto, y con la pielque dibujan manchas bellas,apenas signo es de estrellas,gracias al docto pincel,cuando atrevida y cruella humana necesidadle enseña a tener crueldad,monstruo de su laberinto;¿y yo, con mejor distinto,tengo menos libertad?(vv. 133-142)

Nace el pez, que no respira,aborto de ovas y lamas,y apenas, bajel de escamas,sobre las ondas se mira,cuando a todas partes gira,midiendo la inmensidadde tanta capacidadcomo le da el centro frío;¿y yo, con más albedrío,tengo menos libertad?(vv. 143-152)

Nace el arroyo, culebraque entre flores se desata,y apenas, sierpe de plata,entre las flores se quiebra,cuando músico celebrade los cielos la piedad,que le dan la majestaddel campo abierto a su ida;¿y teniendo yo más vidatengo menos libertad?(vv. 153-162)

e della vastità, laddove la dimensione spaziale e mentale del prigioniero è inve-ce rigorosamente ridotta e limitata dagli angusti confini della torre, impedita dalsuo vincolo alla «prisión obscura», che è analogon linguistico e ideologico diuna sistematica privazione, di un abisso conoscitivo e morale. Nel caso delparagone con tutte e tre le figure simboliche, infatti, Calderón mette ancora unavolta l’accento proprio sulla constatazione di una radicale ingiustizia, da cui nonpossono non scaturire gli ossessivi interrogativi del principe: egli in quantouomo è naturaliter superiore alla bestia, è dotato di «más albedrío» rispetto alpesce, di «más vida» rispetto al torrente, eppure gode di una libertà inferiore, omeglio non ha quasi nozione di ciò che sia la libertà e comunque, dal momentoche è incatenato nel carcere fin dalla nascita, non ha alcuna possibilità di azioneconcreta, sociale o morale.

Nel confronto sistematico con gli enti naturali, dopo aria, terra e acqua –l’«arroyo», in questo senso, rappresenta un sorta di raddoppiamento dell’ele-mento acquatico – il fuoco, apparentemente assente dal tessuto linguistico econcettuale delle similitudini, ricompare proprio alla fine del monologo attra-verso il vulcano, l’Etna.

En llegando a esta pasión,un volcán, un Etna hecho,quisiera sacar del pechopedazos del corazón.¿Qué ley, justicia o razón,negar a los hombres sabeprivilegio tan süave,excepción tan principal,que Dios le ha dado a un cristal,a un pez, a un bruto y a un ave?

(vv. 163-172)

L’elemento igneo, unito alla disperazione delle domande ultime del principein catene, è espressamente arricchito di senso, dal momento che diviene raffigu-razione simbolica e chiave interpretativa privilegiata dell’appassionato conflittointeriore del protagonista: egli paragona se stesso all’«Etna», a un vulcano,quasi esplodesse da dentro il suo petto tutta la passione («quisiera sacar delpecho / pedazos de corazón»), tutta la rabies della sua natura ferina e umanainsieme. Il suo è un grido infuocato e irrefrenabile che invoca legge («ley») egiustizia («justicia»), che pretende ragione e nei versi incalzanti dell’interrogati-vo conclusivo, con l’allusione a Dio, affronta il dubbio, il buio spirituale, rasen-ta la bestemmia23. Il fuoco completa dunque l’universo elementale, il quadro

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23 A proposito di questo sfogo conclusivo Bodini ha parlato addirittura di un «titanismo»di Segismundo: «La provocazione di Clotaldo [l’invito a rinchiudersi nel carcere materiale e

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linguistico e simbolico del monologo. Un’eruzione si abbatte pertanto, in ultimaistanza, sul mondo delle idee che guidano e alimentano la composizione, lastruttura e lo sviluppo del testo; è un’immagine, e un flusso linguistico, che tra-volge, che contesta dal profondo la cattività di Segismundo, e forse anche quelladell’essere umano in generale, ma è un’immagine che allo stesso tempo fornisceluce e calore: scalda e illumina attraverso la parola, attraverso la poesia, alimen-ta la contestazione e la consapevolezza dell’ingiustizia. È in questo modo, inquesti termini, che proprio alla fine del monologo Calderón sintetizza il messag-gio profondo che scaturisce dalla dialettica immanente e trascendente tra prigio-nia e libertà, nella definizione di una coscienza – d’autore e di personaggio –che sa che il carcere è un’entità spaziale, un oggetto scenico, ma insieme unsimbolo, un luogo della mente, la metafora della battaglia antica e senza tempodi ogni anima. Ed è proprio dal conflitto tra cattività e libertà, tra oppressione esolidarietà, destino e libero arbitrio che si genera l’unica e vera libertà dell’uo-mo, nel suo contendere quotidiano e perpetuo, nella sua indomabile lotta trapassione e ragione, violenza e prudenza, da cui sola può scaturire la percezionedi esistenza, la scintilla della vita. Senza dimenticare che, comunque, «toda lavida es sueño / y los sueños sueños son»…

Lessico e ideologia della prigione

spirituale (vv. 319-329)] ha il potere di rilevare con una perfetta sincronia quella doppia natu-ra, congiuntamente umana, anzi superumana ed elementare, di Segismundo. La violenza delsuo animo […] scaglia la propria sfida ai cieli in termini per i quali non tardiamo a riconosce-re in lui quella natura titanica che tutto, le montagne e l’attesa, ci avevano annunziato e prefi-gurato», BODINI, Segni e simboli…, cit., p. 95. Dopo questo passo, ovviamente, Bodini ricor-da anche i versi 329-336, dove la dialettica terra-cielo è evidentissima e il paragone mitologi-co con i giganti allude e invita soprattutto ad un linguaggio e ad un’ermeneutica della ribel-lione. Sentiamo ancora Bodini: «Lo scontro pietra-cielo raggiunge qui la violenza dell’esplo-sione. È così forte il contrasto da far quasi sentire il fragore dei cieli infranti in pezzi e scheg-ge. La forza di queste immagini cosmiche distoglie la nostra attenzione da un antecedentemitologico qui interamente riassorbito nella vicenda di Segismundo e nella sua biforcazionesegnica: quello dei Giganti e dei Titani. Segismundo, proclamandosi espressamente un gigan-te, fa scattare in noi un nuovo motivo di solidarietà con la sua ribellione. Si ricorderà che iGiganti erano mortali, ma feroci e indomabili, e figli della Terra, che li aveva creati per ven-dicarsi dello sterminio che il Cielo aveva compiuto dei Titani» (p. 96). Lungo questa falsari-ga, quindi, anche l’aquila del discorso di Clotaldo, che offre al principe la pozione narcotica,è un simbolo, una variante del titanismo di Segismundo. L’aquila contiene in sé due volti:quello della ferinità e della superbia e quello della grandezza imperiale, ed entrambe le visio-ni sono «segni contrari impliciti nella struttura del monarca potenziale» (p. 117). Il protagoni-sta appare così oggetto di una «duplice zoomorfizzazione»: «da una parte quella, a lui sgradi-ta, della “fiera” o “nacido entre las fieras” o “vecino de las fieras”, dall’altra quella, a luigrata, dell’“águila”. La prima attinente alla sua realtà, e al suo duplice carcere di pietra, il car-cere vero e proprio e il petroso paesaggio di cui è prigioniero, l’altra un modello a cui ade-guare il suo sogno di altezza e di potere» (ibidem).

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2. Il tema della prigione in tre rivisitazioni italiane della Vida es sueño diCalderón

Destino del tutto particolare ebbe in Italia La vida es sueño di Calderón de laBarca, prima quale fonte di traduzioni e rifacimenti, poi quale testo emblemati-camente ideologico e simbolico. Per questo motivo, si sono presi in esame tretesti distanti tra loro nel tempo e nei significati, legati però dalla comune matri-ce di chiara discendenza calderoniana: la traduzione del dramma spagnolo diAndrea Giacinto Cicognini, quella di Raffaele Tauro e il Calderón di Pier PaoloPasolini. Il primo, in quanto prima e famosissima rivisitazione in Italia del testospagnolo; il secondo, per la curiosità che può destare una traduzione della Vidaes sueño in un italiano infarcito di dialettalismi napoletani; l’ultimo, infine, per-ché suggestiva riscrittura di Calderón a noi più vicina.

Andrea Giacinto Cicognini, commediografo molto famoso tra il XVII e ilXVIII secolo e oggi quasi dimenticato:

è il più importante e noto tra gli imitatori del coevo teatro spagnolo nell’Italia del ’600: ilcapofila di un nutrito gruppo di drammaturghi che si ispirarono, per le loro commedie, a temie motivi tratti da opere di Lope de Vega, Calderón de la Barca o Tirso de Molina, quando nonsi limitarono a tradurle24.

Il nuovo indirizzo della cosiddetta “commedia d’imitazione spagnola”, inau-gurato da Cicognini, «corrispondeva», come sostiene Lisoni, «a un vero bisognodel sentimento d’allora»25, al quale gli scrittori del XVII secolo credettero di

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24 F. ANTONUCCI, Spunti tematici e rielaborazione di modelli spagnoli nel «Don Gastonedi Moncada» di Giacinto Andrea Cicognini, in Tradurre riscrivere mettere in scena, a cura diM. G. Profeti, Firenze, Alinea, 1996, p. 66. Per un profilo storico e biografico di AndreaGiacinto Cicognini, cfr. A. LISONI, Gli imitatori del teatro spagnolo in Italia, Parma, Tip.Ferrari e Pellegrini, 1895, in particolare, si vedano le pp. 13-23; la voce sull’autore, redatta daM. VIGILANTE, nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXV, Roma, Istituto della Enci-clopedia italiana, 1981, pp. 428-431; A. M. CRINÒ, Documenti inediti sulla vita e l’opera diJacopo e di Giacinto Andrea Cicognini, in «Studi secenteschi», II, 1961, pp. 254-286. Alcunenotizie utili su Andrea Giacinto Cicognini si trovano, inoltre, in M. STERZI, Jacopo Cicognini,La Spezia, Tipografia di F. Zappa, 1903. Uno studio recente su Cicognini è stato curato da F.CANCEDDA e S. CASTELLI: Per una bibliografia di Giacinto Andrea Cicognini. Successo tea-trale e fortuna editoriale di un drammaturgo del Seicento, Firenze, Alinea, 2001. Sulle fontispagnole del teatro di Cicognini, v. A. BELLONI, Per la storia del teatro italo-spagnuolo nelsec. XVII, in «La Biblioteca delle scuole italiane», X, n. 5, 1904, pp. 1-3; n. 11, pp. 1-3; R.VERDE, Studi sull’imitazione spagnola nel teatro italiano del ’600: Giacinto AndreaCicognini, Catania, Giannotta, 1912; A. CANTELLA, Calderón de la Barca in Italia nel sec.XVII, Roma, Ausonia, 1923, pp. 33-67.

25 LISONI, Gli imitatori del teatro spagnolo in Italia, cit., p. 23.

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allinearsi, prendendo i soggetti dal teatro spagnolo per adattarli all’indole italia-na e al gusto dell’epoca. Il pubblico di allora, come ribadisce Lisoni:

s’era man mano venuto entusiasmando per tutto ciò che fosse spettacoloso, straordinario,inverosimile: la semplice commedia a imitazione classica mancava degli elementi necessariper avere l’appoggio del popolo: presero quindi facilmente il sopravvento le commedia a imi-tazione spagnola, la commedia dell’arte, il melodramma. […] Fu allora che cominciarono atradursi Lope, Calderón, Moreto, Solís e gli altri grandi comici di Spagna 26.

L’imitazione dei grandi commediografi spagnoli risultò però il più dellevolte fredda e laboriosa; di opere come la Vida es sueño, per esempio, non sicoglievano le più profonde implicazioni filosofiche, né il messaggio morale, nétanto meno le sfaccettature psicologiche dei personaggi. Come spiega Spallone,autore di un saggio di grande interesse sulle relazioni tra la Vida es sueño e latraduzione di quest’opera da parte di Raffaele Tauro:

gli imitatori […] attentissimi agli umori del pubblico, allora diventato particolarmenteindolente, ignoravano o non si curavano affatto dei motivi ispiratori e dei significati piùprofondi delle opere originali e ricorsero a tutti i mezzi – soprattutto a quelli non consentiti daAristotele – per attingere a piene mani dalle commedie di Calderón, Lope, Tirso ecc. solo leforme più decorative, i lazzi dei graciosos, gli intrecci più inverosimili, e li infarcirono discurrilità nostrane, di battute le più strampalate ed estemporanee, di filosofia spicciola, peroffrire il tutto, così variamente composito, all’attenzione e al gusto niente affatto sottile diuna platea smaniosa quasi solo di ridere 27.

Relativamente al ruolo giocato dal teatro di Calderón in Italia e in particolarenei periodi storici che si sono presi in esame, il Seicento rappresenta il secolo incui il successo del commediografo spagnolo fu maggiore, anche se l’autoredella Vida es sueño appariva quasi esclusivamente come fonte di commedie o didrammi movimentati e complessi che offrivano principalmente «il diletto del-l’intreccio»28; nel Novecento la fortuna di Calderón, rinata con il romanticismo,si affermò definitivamente29.

Lessico e ideologia della prigione

26 Ivi, pp. 6 e sgg.27 G. SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», in «Studi

di letteratura spagnola», 1968-70, p. 60. 28 G. MANCINI, Calderón in Italia. Studi e ricerche, Pisa, Goliardica, 1955, p. 24. 29 Sulla fortuna di Calderón in Italia si vedano inoltre: M. G. PROFETI, La recepción del teatro

áureo en Italia. Apéndice: el teatro áureo en Italia. Traducciones modernas, in Calderón en Italia.La Biblioteca Marucelliana, Firenze, Alinea, 2002, pp. 11-42. Un recente lavoro di Marchantepropone, inoltre, un’utilissima rassegna di tutte le traduzioni italiane, nel periodo che va dalla finedel XVII secolo all’inizio del XVIII, delle opere di Calderón de la Barca: cfr. C. MARCHANTE, Cal-derón en Italia: traducciones, adaptaciones, falsa atribuciones y scenari, in Tradurre riscriveremettere in scena, cit., pp. 17-63; poi anche in Calderón en Italia. La Biblioteca Marucelliana, cit.,pp. 43-93.

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Angelo Monteverdi, traduttore di Calderón, nell’introduzione alla sua edi-zione dei Drammi dell’autore spagnolo, stampata a Firenze nel 1920, proponeuna rassegna delle traduzioni della Vida es sueño, circolanti nel nostro paesefino a quella data:

Fuor di Spagna, sin dal Seicento, si contano varie traduzioni o per meglio dire riduzionide La vita è un sogno […]. Per limitarmi alle italiane citerò quella perduta del napolitanoMarco Napolione, quella attribuita a Giacinto Andrea Cicognini, quella composta dal bitonti-no Raffaele Tauro col titolo La falsa astrologia, ovvero il sognar vegghiando (av. 1669),quella onde fu ispirato un racconto accolto nell’anonimo Passatempo civile (Venezia, 1759),quella infine che ancor si rappresenta a Napoli negli ultimi anni del Settecento col titoloL’uomo condannato prima di nascere. Alle quali vanno forse aggiunti due o tre Sigismondi,per musica. Ma La vita è un sogno stampata primamente col nome del Cicognini nel 1663 fudi gran lunga la più celebre, benché il dramma calderoniano vi sia indegnamente travestito esvisato […]. Nell’Ottocento, rinato in Europa il culto calderoniano, La vita è un sogno è tra-dotta due volte in prosa italiana, con diversa cura ma con simile mediocrità, da Pietro Monti eda Giovanni La Cecilia. Più numerose e spesso migliori le traduzioni tedesche, francesi edinglesi; ma non v’è quasi lingua d’Europa che non si sia piegata a narrare, a genti ancheremote, i casi di Sigismondo30.

Seppur presentata con parole di demerito da parte di Monteverdi (il quale siaccingeva alla traduzione del dramma calderoniano «per amor di fedeltà, e inprova di rispetto»)31, la riduzione della Vida es sueño di Andrea Giacinto Cico-gnini ha il pregio di essere la prima traduzione a noi giunta del testo di Cal-derón, avvenuta a pochi anni di distanza dalla pubblicazione dell’originale spa-gnolo. Infatti, seppur l’edizione de La vita è un sogno di Cicognini reca la datadel 1663, la redazione e la messa in scena dell’opera risultano anteriori. Tutte leopere di Andrea Giacinto vennero, infatti, pubblicate dopo la sua morte, avve-nuta a Venezia verso il 1651, come ricorda Silvia Castelli nella sua recente bio-grafia dell’autore fiorentino:

Le opere di Giacinto Andrea furono edite quasi tutte postume, a partire dagli anni ’50 delSeicento […], come se in vita una sorta di terribile censura ne avesse impedita la pubblicazio-ne o come se stampare la propria opera fosse stato del tutto irrilevante agli occhi dell’autore,

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30 Drammi di Pedro Calderón de la Barca, tradotti da A. Monteverdi, vol. I, La Vita è unSogno, Il Mago Prodigioso, Firenze, Luigi Battistelli, 1920, pp. 58 e sgg. Oltre alle traduzionimenzionate da Monteverdi, sono registrate da Allacci alcune opere che, sulla base del titolo,fanno pensare a possibili rifacimenti della Vida es sueño. Tra queste: La viva sepoltura, ovve-ro, la Stellidatura, in Bologna, per il Longhi, 1687, in 12, di Giovanni di Benedetto;Sigismondo, dramma, in Belluno, per il Tissi, 1751, in 12, nel tomo III de’ Drammidell’Autore, di Gio. Carlo Paganicesa, Bellunese. Cfr. L. ALLACCI, Drammaturgia, accresciu-ta e continuata fino all’anno MDCCLV, in Venetia, presso Giambattista Pasquali.

31 Si rinvia alla traduzione, già citata, di Monteverdi, p. 34.

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impegnato a riadattare ed allestire drammi per pubbliche rappresentazioni più che a promuo-vere la successiva stampa32.

Non abbiamo elementi per datare con certezza La vita è un sogno diCicognini e d’altra parte tutta l’opera e la biografia di questo autore ha, ancoraoggi, contorni sfumati. Un contributo importante che ha fatto luce sulla figura diAndrea Giacinto e del padre Jacopo, anch’egli famoso commediografo, è rap-presentato dai documenti inediti riguardanti la vita e l’opera dei Cicognini, pub-blicati da Anna Maria Crinò33. Questi documenti, oltre a illuminare alcuni aspet-ti dell’atmosfera culturale della Firenze seicentesca, esibiscono, mediante iltesto ritrovato dall’autrice di una missiva indirizza da Jacopo Cicognini al Cioli,la conferma che Andrea Giacinto Cicognini fosse l’autore del Convitato di pie-tra (rifacimento del famoso Burlador de Sevilla)34. Cicognini padre, in quellastessa missiva, datata 24 marzo 1632, rende noto che Giacinto Andrea in quelperiodo si trovava a Pisa «per vendere alcuni pochi beni da loro redati», conchiaro riferimento alle opere teatrali di cui entrambi i Cicognini erano autori.Non sappiamo se La vita è un sogno facesse parte di questi «pochi beni»; mapossiamo intuire che già a quella data (1632), Andrea Giacinto poteva definirsiun autore di successo, avendo portato sulle scene fiorentine, e poi su quellepisane, un’opera che «piacque fuor di modo»35.

L’edizione presa in esame della Vita è un sogno di Cicognini risale al 1663 efu stampata a Macerata; ma non è questa l’unica edizione esistente. Del testoinfatti si conoscono varie edizioni che confermano, se non altro, il successo dipubblico ottenuto da quest’opera in quegli anni36. Sulla base dell’edizione mar-

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32 S. CASTELLI, Giacinto Andrea Cicognini: un figlio d’arte nella Firenze secentesca, inCANCEDDA, CASTELLI, Per una bibliografia di Giacinto Andrea Cicognini. Successo teatrale efortuna editoriale di un drammaturgo del Seicento, cit., pp. 58-59.

33 CRINÒ, Documenti inediti sulla vita e l’opera di Jacopo e di Giacinto AndreaCicognini, cit., pp. 254-286.

34 Uno studio recente mette a confronto il testo di Tirso de Molina e il rifacimento diCicognini: cfr. L. DOLFI, Tirso e Cicognini: due Don Giovanni a confronto, in La festa teatra-le ispanica, atti del Convegno di Studi (Napoli 1-3 dicembre 1994), a cura di G. B. DeCesare, Napoli, Dipartimento di Studi Letterari e Linguistici dell’Occidente, Istituto universi-tario Orientale, 1995, pp. 129-162.

35 CRINÒ, Documenti inediti sulla vita e l’opera di Jacopo e di Giacinto AndreaCicognini, cit., p. 282.

36 In ALLACCI, Drammaturgia, cit., è catalogata un’edizione dell’opera di Cicognini cheporta la data del 1664: La vita è un sogno, opera scenica, in Venezia, per Niccolò Perrana,1664 in 12, del Dott. Giacinto Andrea Cicognini, Fiorentino. In S. FRANCHI, Drammaturgia ro-mana. Repertorio bibliografico cronologico dei testi drammatici pubblicati a Roma e nel La-zio, secolo XVII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1988, è annotata la seguente edizione,con alcune righe di commento: La vita è un sogno, opera scenica, del Sig. Dott. Giacinto

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chigiana dell’opera e al fine di questo discorso si sono raffrontati i due testi toutcourt, ricavandone alcune considerazioni di carattere generale; si è messo quin-di a confronto il primo monologo di Sigismondo (quello in cui maggiormente sirespira la tematica carceraria) nei due testi presi in esame. Da una prima analisigenerale si possono fare alcune considerazioni preliminari: Cicognini, come cisi aspettava, traduce in prosa; cambia il numero, il nome e le caratteristiche dialcuni personaggi; modifica il numero delle scene. Lascia però intatto l’impian-to scenico fondamentale dell’opera, evidenziato anche nella ripresa letterale deltitolo. Il materiale diegetico è comune ai due testi, ma i cambiamenti formali enel carattere dei personaggi, conducono la traduzione di Cicognini a un diversosignificato, a un diverso “messaggio”. In generale il testo italiano, come nelcaso distinto, ma affine indagato da Diego Símini, «tende a chiarire, a semplifi-care, a rendere concrete le questioni»37. Al di là del modo specifico in cui ildramma è interpretato dai due autori, bisogna riflettere sull’ambiente culturalein cui si trovano a operare. Come spiega Diego Sìmini, infatti, «gli autori (e ilpubblico) spagnoli erano abituati a un alto grado di elaborazione drammaturgi-ca, a una discreta raffinatezza nei ritratti psicologici dei personaggi e all’arguziae ingegnosità delle battute (non solo quelle comiche). Il traduttore (o secondoautore) Cicognini e, forse, il pubblico a cui si rivolgeva era più propenso allarappresentazione, magari energetica e movimentata, di sentimenti astratti, incar-nati o simboleggiati dai vari personaggi, che sono più rigidi […] in quanto rap-presentano concetti morali più che esempi umani. […] Oltre al valore spettaco-lare, di intrattenimento, questi testi avevano il compito di trasmettere un conte-nuto morale, un insegnamento: un teatro ideologico, didattico»38. A conferma diqueste considerazioni un recente articolo di Silvia Castelli dimostra che allamorte di Jacopo Cicognini fu il figlio a sostituirlo come autore di rappresenta-zioni teatrali per la confraternita dell’Arcangelo Raffaello e per altre accademie:«Parallelamente all’opera di divulgazione, post mortem, dei drammi di Cicogni-ni padre, la confraternita dell’Arcangelo Raffaello ospita dunque i lavori delfiglio, ormai affermato drammaturgo [...] Così è ancora viva la memoria pater-na, quando, nel 1644, la stessa confraternita si fa portavoce e realizzatrice diun’opera del giovane Giacinto Andrea, diversa, ma egualmente ricca di quelle

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Andrea Cicognini. Dedicata al Molt’Illustr. e Molto Rev. Sig. e Padron mio Osservandiss. ilSig. D. Oratio Caldario da Cagli, in Venetia (edizione databile alla fine del 1662 o al 1663,anno in cui l’opera fu stampata anche in Macerata […] e a Bologna […]. Seguirono altreristampe).

37 D. SÌMINI, «Casarse por vengarse» di Rojas Zorrilla nella traduzione di Giacinto An-drea Cicognini: «Maritarsi per vendetta», in Tradurre riscrivere mettere in scena, cit.,p. 105.

38 Ivi, pp. 94 e sgg.

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qualità ritenute indispensabili ai fini dell’educazione morale dei fanciulli; il DonGastone di Moncada»39. Si può ipotizzare che anche la traduzione della Vida essueño si muovesse in questo stesso orizzonte didattico e moraleggiante, o che,comunque, risentisse di un habitus scrittorio ampiamente utilizzato prima daJacopo poi dal figlio Andrea Giacinto.

Veniamo al testo. Prima scena del primo atto: Rosaura e Piccariglio/exClarín precipitati da una rupe. Per avere un’idea immediata del registro stilisticoadottato nella commedia è utile fare alcune considerazioni estemporanee: 1.l’hipogrifo violento che galoppava in gara con il vento («Hipogrifo violento, /que corriste parejas con el viento»), smetaforizzato e ridotto all’essenziale, si ètrasformato in «animale» (detto da Rosaura: «Fermati ò animale, ove mi preci-piti?») e in cavallo (da Piccariglio: «Che diavolo di cavalli son questi»); 2.all’ippogrifo di Rosaura si è aggiunta la cavalla che trasporta Piccariglio («Tho,tho, non è meraviglia, la mia è una cavalla, e il vostro gli dà di naso»). 3. il con-fuso laberinto è stato cassato. Riassumendo e semplificando, l’incipit metafori-co di Calderón, preannuncio all’entrata in scena di Sigismundo, è diventato unmomento apertamente comico, dove prevale la voce “plebea” del buffone.

La scena seconda del primo atto si apre con una didascalia interessante checi permette di entrare nel vivo della questione, e di fare alcune considerazionisulla prigionia del Sigismondo italiano:

S’apre la torre, e si vede Sigismondo incatenato per i piedi in mezo à molti libri à giacerestudiando, butta un libro da parte e si leva in piedi 40.

Immediata è la differenza riscontrabile con il testo di Calderón, la cui dida-scalia recita invece:

Descúbrese Segismundo con una cadena y la luz, vestido de pieles 41.

L’«hombre-fiera», vestito di pelli, assume nel testo di Cicognini una faciespiù umana: dimessi gli abiti ferini si presenta al pubblico per la prima volta «inmezo à molti libri à giacere studiando». Lo stato selvaggio di prigionia delSigismondo di Calderón lascia il posto a una condizione più civile e ortodossa,in cui la cella del prigioniero ricorda la cella del monaco. Il gesto teatrale con il

Lessico e ideologia della prigione

39 S. CASTELLI, Il teatro e la sua memoria: la Compagnia dell’Arcangelo Raffaello e il«Don Gastone di Moncada» di Giacinto Andrea Cicognini, in Tradurre riscrivere mettere inscena, cit, p. 93.

40 La vita è un sogno, opera scenica del signor G. A. Cicognini, Macerata, MicheleStanchi, 1663, p. 11.

41 P. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, edición de Ciriaco Morón, cit., p. 90.

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quale il protagonista getta un libro da una parte «e si leva in piedi» acquisiscevalore spettacolare in una rappresentazione, fin dall’esordio, energetica e movi-mentata. Le prime battute di Sigismondo sono caratterizzate da un tono retoricoe didascalico:

Qual miseria puossi trovare, che superi, ò agguagli, quella che di presente provo? che migiova ne’ studij trovar, ch’ogni cosa creata, ogni vivente goda il benefitio della natura con lalibertà, se solo à me tocca esserne privo, e che mi vale trovare, ch’ogni huomo dopo la seriaapplicatione de’ studij goda il rimanente di sua vita la quiete, e il riposo, se solo à Sigismondone è tolta non solo la speranza, mà lo scoprire la cognitione della mia origine 42.

Attraverso gli esempi di libertà appresi dai suoi libri, Sigismondo prendeatto dello stato di prigionia al quale è sottoposto («solo à me tocca esserneprivo»): la «quiete» e il «riposo», conquistati dopo «la seria applicatione de’studij», sono i beni a cui l’uomo, posto in cattività, ambisce. Queste prime bat-tute ribadiscono l’impressione per il lettore di trovarsi di fronte a un prigioniero“atipico”, i cui oggetti del desiderio non sono riconducibili alla sfera dell’azionee del movimento, come ci si aspetterebbe, ma a quelli opposti della quiete e delriposo.

I ripetuti interrogativi del prigioniero calderoniano sono mantenuti nel testotradotto, ma come attenuati, privati di quel «senso fortemente inquisitivo» di cuiha parlato Bodini a proposito del monologo di Segismundo43. Nella traduzionesono spariti, infatti, i verbi di significato fortemente inquisitorio («apurar»,«pretendo», «quisiera saber») da cui traspare la violenza e la ribellione del pro-tagonista. Il Sigismondo di Cicognini si rivolge ai Cieli con parole che, abban-donando il piglio rabbioso di chi pretende una spiegazione, assumono l’intona-zione elegiaca di un uomo rassegnato al suo stato:

Oh Cieli à che crearmi? A che darmi alla luce, se privo di cose tanto care, e gradite, devomenar la vita tanto penosa in quest’antro, in questa caverna incatenato, e stretto. Oh Cieli inche v’offesi? In che errai44?

La constatazione di Segismundo della colpa innata nell’uomo («el delitomayor / del hombre es haber nacido»), quella amara riflessione sul peccato ori-ginale che l’essere umano deve sopportare fin dalla nascita, non trova corri-spondenza nel testo di Cicognini, dove il concetto è stato semplicemente aboli-to. In conseguenza di ciò, tutto il monologo del Sigismondo tradotto assumeun’intonazione meno tragica.

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

42 CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 11.43 BODINI, Segni e simboli nella «Vida es sueño», cit., p. 83. 44 CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 11.

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La parte centrale del monologo è quella che maggiormente corrisponde altesto spagnolo, con una traduzione libera e ridotta all’essenziale del famosoparagone operato da Sigismondo tra se stesso e il resto del creato. Il testo diCicognini perde la poesia dei versi di Calderón. Basti confrontare i due luoghiin cui compare il primo e più significativo paragone, quello tra l’uomo in catti-vità e l’uccello. In Cicognini il paragone uomo-volatile resiste, ma viene privatodi quel senso di libertà che traspare dai sostantivi-aggettivi («alas», «etéreassalas», «velocidad») che in Calderón danno risalto alla differenza tra l’uomoimprigionato e l’ave che «corta el firmamento llenándolo de color»45. La bellis-sima décima di Calderón è ridotta a poche parole, («Nasce un Augello, e à penaimpiuma l’ali, che per la campagna dell’aria gode quella, ch’à me vien negata»),in cui ben poco rimane di quel lessico calderoniano tanto significativo46.

Verso la fine del suo monologo Sigismondo pronuncia parole, che fuor diogni metafora o paragone lirico, connotano concretamente la realtà del prigio-niero:

Sigismondo solo è privo di quel tesoro, che chi lo gode tal volta non lo prezza, e chi néprivo lo brama. Solo Sigismondo vive sepolto, muore vivendo, e vivendo alla morte penaavvinto, e incatenato in quel occàso di miserie. Solo à me, che né huomo, né fiera possoappellarmi, non sapendo né come, né di dove mi sia l’origine, mi vien tolto fin il conversarcon le creature humane. Solo la crudeltà di Grottardo mi vien concessa praticare […]47.

La triplice iterazione dell’avverbio solo («Sigismondo solo è privo»; «soloSigismondo vive sepolto»; «solo la crudeltà di Grottardo mi vien concessa»)mette in evidenzia la peculiarità della condizione del prigioniero, il quale pren-de coscienza del proprio status appropriandosi del lessico ossimorico («vivesepolto»; «muore vivendo») che in Calderón era pronunciato da Rosaura neiprimi versi della scena seconda («puedo determinar […] / una prisión obscura, /que es de vivo cadáver sepultura»), e dallo stesso Sigismondo nel discorso conRosaura e Clarín, a seguito del monologo («siendo un esqueleto vivo, / siendoun animado muerto»). Il concetto del “vivo cadavere”, del prigioniero miserri-mo al quale la torre-prigione fa da “culla” e da “tomba”, è evidentemente unconcetto di forte pregnanza simbolica e visiva, che ha trovato facile corrispon-denza nella rivisitazione di Cicognini. Questa immagine è evocata da

Lessico e ideologia della prigione

45 C. MORÓN ARROYO, Calderón. Pensamiento y teatro, cit., p. 88.46 Cfr. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, cit., pp. 90-91, vv. 123-132: «Nace el

ave, y con las galas / que le dan belleza suma, / apenas es flor de pluma / o ramillete con alas,/ cuando las etéreas salas / corta con velocidad, / negándose a la piedad / del nido que deja encalma; / ¿y teniendo yo más alma, / tengo menos libertad?».

47 CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 11.

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Sigismondo nel monologo e ripetuta nel dialogo con Grottardo/ex Clotaldo,durante il primo risveglio, nella risposta data al suo carceriere a proposito delpadre-tiranno: «non fu prudenza ma tirannia il seppellirmi vivo».

Altro concetto che assume rilievo nel discorso di Sigismondo è la terribileseparazione del prigioniero dal “commercio umano” («mi vien tolto fin il con-versar con le creature humane»). Concetto reso importante dal Cicognini e quasiinedito rispetto al testo di Calderón, dove si sottolineava piuttosto la necessità ditrovare nelle miserie altrui una consolazione alle proprie48. Qui, invece, l’ideadel consorzio umano, presentata per la prima volta dalle parole di Rosaura alservo Piccariglio («Horsù […] habbi pazienza, conforta il tuo male col mio, chel’aver compagni nelle miserie diminuisce il tormento»), duplicata nel monologodi Sigismondo e nella battuta di risposta che quest’ultimo rivolge a Grottardo,come reazione alla cattura dei due forestieri (i suoi interlocutori) da parte delleguardie reali («Grottardo dunque privar mi vuoi dell’amata conversatione?»),acquisisce una valenza eccezionale. Nel suo monologo, Sigismondo ammette lanecessità di un “tu”, di quel “tu” che partecipa e consola. Per usare le parole diPino Fasano, «la conquista del tu, il ritrovamento dell’altro perduto [o maiincontrato], è […] il sogno del prigioniero, l’unica illusione di una metamorfosipossibile»49. Come tale è intesa da Sigismondo che alla vista di Rosaura nonpuò che ribadire la felicità di aver trovato nella compagnia il sollievo ai suoitormenti: «Dammi la mano, e trattieniti meco, e sappi che la tua presenza mi dàtanto diletto, che porta tributi di contenti alla tirannide de’ miei tormenti mi alle-gerisce il duolo»50. In queste parole, che sembrano l’appello commosso di unuomo condannato al confino nella solitudine, risalta la voce patetica, un po’ fan-ciullesca, ingenua e innocente, di Sigismondo, che cerca nell’altro l’uscita da sé,la possibile metamorfosi.

La Falsa astrologia overo il sognar vegghiando di Raffaele Tauro – autoredel quale si hanno pochissime informazioni biografiche – è una particolarissimarivisitazione dell’opera di Calderón in un italiano frammisto di dialetto napole-tano. Il testo, pubblicato a Napoli nel 1669, risponde pienamente alle esigenzedel pubblico che frequentava in quel periodo il Fiorentini, l’unico vero teatronapoletano. Punto di incontro «della turbolenta soldatesca spagnola e delle

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48 Vedi le parole di Rosaura durante il primo colloquio nella torre con Segismundo, inCALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, cit., p. 95, vv. 247-252: «Sólo diré que a esta parte/ hoy el cielo me ha guiado / para haberme consolado, / si consuelo puede ser / del que esdesdichado, ver / a otro que es más desdichado».

49 P. FASANO, Il sogno del prigioniero, in Arcipelago malinconia. Scenari e parole del-l’interiorità, a cura di B. Frabotta, Roma, Donzelli, 2001, p. 198.

50 CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 12.

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donne di malaffare»51, il Fiorentini accoglieva preferibilmente commedie diintrattenimento, di puro svago.

Il protagonista, che qui prende il nome di Gismondo, ha una presenza ridottarispetto al testo di Calderón e di conseguenza una fisionomia umana e psicolo-gica meno definita52. I monologhi che nel testo di Calderón erano un mezzoessenziale per approfondire la personalità dei personaggi, scompaiono nella tra-duzione di Tauro. Come ha notato Gianni Spallone, infatti, dai monologhi piùsignificativi della Vida es sueño, «vengono riprese solo le battute ad effetto equelle più facilmente intelligibili»53. Anche quando il contenuto del monologo èconservato integralmente, la voce del protagonista viene interrotta a più ripresedalle battute di altri personaggi. Questo meccanismo che rende disarticolati imonologhi, priverebbe, secondo lo studioso, il testo italiano di uno dei mezzipiù efficaci a tracciare l’evoluzione psicologica dei personaggi, che in questomodo, «non riuscendo mai a comunicare a lungo con il pubblico, vengono coltisolo nelle loro emozioni più epidermiche e presentati senza sfumature di statid’animo»54.

Il monologo di Sigismondo è contenuto quasi integralmente nelle prime battu-te concitate di Gismondo. Il tono del suo sfogo addolorato e indignato verso unacondizione nella quale si trova costretto è memore della lezione calderoniana:

Così vivo a’ sepolchri, cadavere animato, ombra de’ cavi sassi, e sasso vivo de l’ombre?A che me diè natura humane membra, e spirto, e vita, se per me nulla vagliono, & ad altruinon giovano? Perché non nacqui un bruto, che godrei libertà sotto del Cielo? H’anno l’ali gliaugelli, e per lo gran campo dell’aria godono libertà; ed’io che de’ bruti, e de gli augelli hovantaggio maggiore, perché nulla ho di libertà55?

L’espressione con la quale il prigioniero definisce la propria condizione(«così vivo a’ sepolchri, cadavero animado») può essere accostata alla definizio-ne che della prigione di Sigismondo fornisce Rosaura nella battuta precedente il

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51 SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», cit., p. 61.52 Che la presenza di Gismondo sulla scena fosse diminuita rispetto al testo spagnolo è

un dato già appurato da Gianni Spallone. Secondo quest’ultimo il diverso numero degli atti edelle scene nella Falsa astrologia non è solo motivo di un capovolgimento strutturale dellatrama, ma implica inoltre un mutato rapporto tra i personaggi, che nel testo napoletano risultapiù dinamico e movimentato; cfr. SPALLONE, op. cit., pp. 103 e sgg.

53 SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», cit., p. 105.54 Ibidem.55 La falsa astrologia Overo Il sognar vegghiando, commedia del Sig. Rafaele Tauro,

Gentil’huomo, & Accademico degli Infiammati della Città di Bitonto, all’illustriss. Sig. D.Stefano Cartiglio de Salcedo, regente del regio collaterale Consiglio nel Regno di Napoli, inNapoli, per Novello de Bonis, MDCLXIX, p. 7.

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monologo del protagonista: «de un vivo cadáver sepoltura». L’espressione«vivo cadáver», ripetuta anche nella prima scena dell’atto secondo da Clotaldo(«Que deja vivo cadáver / a un hombre»), è evidentemente foriera del significa-to più efficace e duraturo – vista la sua persistenza nella traduzione italiana –legato al personaggio di Segismundo/Gismondo. Il termine “cadavere” accosta-to alla figura del prigioniero per definirne la condizione in bilico tra la vita e lamorte è usato, inoltre, da Rosaura, nella traduzione del Tauro, nel momento pre-cedente l’irruzione sulla scena del protagonista incatenato: «Un cadavero vedocinto d’aspre catene».

Agli accenti drammatici di Rosaura, alla protesta di Gismondo fa da contro-canto il linguaggio sboccato e pleonastico del servo Ciccotto, le cui battute ver-nacolari abbassano il tono del discorso, ridimensionando la portata “tragica”delmessaggio finale. Dopo aver ascoltato i primi lamenti di Gismondo, i due appar-tati osservatori commentano ognuno a suo modo la scena della reclusione:Rosaura sente trasformarsi la sua paura in compassione («Già il timore è dive-nuto pietà»); il servo, invece, con un’espressione popolare, attira il riso e dimi-nuisce la drammaticità del discorso di Gismondo («Và a quatto piede, e parla!Foss’Urzo Casarinolo?»). Fin dalle prime battute si intuisce il ruolo di Ciccottonel tessuto della narrazione; come ha notato già Spallone il servo «non si pre-senta come l’alter ego di Gismondo (rispettando in tal modo il binomio caldero-niano) quanto piuttosto come un calco volgarizzato dello stesso Clarín, proprioperché di quest’ultimo gli resta solo l’appariscenza della battuta ridicola»56. Nelmomento in cui Rosaura e Ciccotto raggiungono la torre dove è rinchiusoGismondo, il servo non esita a confessare il suo sentimento di paura e diffidenzaverso un luogo che giudica infernale («E possibele, che bolite trasire lo nfiernovolontariamente, vedimmo allommacaro de mpattarela, stãmonce dà ccà fora,addove non sentimmo, né caudo, né friddo»). Le battute di Ciccotto, all’iniziodella scena terza, sono tutte imperniate su una terminologia “infernale”: «È lonfierno ncarne, e nn’ossa»; «Che luce? È fuoco? Mà lò fuoco de lo nfierno nonluce»; «Sarrà quarch’arma dannata»; «iammocenne, che non venesse Caronte, edecesse cà nuie l’havimmo mmetiata»). Un tale linguaggio, oltre a dare risaltoall’ambientazione noir del regno di Polonia, in cui si svolge la scena, attribui-sce, fin dall’esordio, alla figura del prigioniero lo status di anima dannata («Sar-rà quarch’arma dannata»).

Con una didascalia stravagante rispetto al testo di Calderón («Gismondofuori brancolone. Ciccotto, Rosaura da parte»), entra sulle scene il protagoni-sta. L’attributo «brancolone», espressivamente significativo, caratterizza l’im-magine del prigioniero che, sfinito dalla lunga reclusione, viene avanti trasci-nandosi. Dopo le prime battute, interrotte dai commenti fuori scena degli spetta-

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56 SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», cit., p. 72.

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tori, Gismondo pronuncia il resto del monologo calderoniano, in cui vengonomantenuti i contenuti essenziali dell’originale:

Ditemi voi, Cieli infidi, in che v’offesi, e come, se nato appena m’havete quì sepolto?Ditemi, fors’è delitto il nascere? Ma s’egli è colpa, non è mia questa colpa, e se pur fussemia, perché non la puniste col castigo dovuto? Pena del nascere, e ‘l morire, e fussi morto,che libertà dell’alma è il morire. […] Mà se la vita d’un infelice move à sdegno le stelle, saròfrà tanti viventi io solo il più infelice? S’io nacqui come gli altri, qual’affronto vi fe’ la mianascita, se mi fate di tutti gli altri il peggiore? Che privilegio, che favore, che ventura trovanonel vostro aspetto gli altri huomini, che riportandone da voi il bene, restò per me solo il male?(Si leva in piedi) E fatto ormai impaziente al male divenga pure l’infuriato petto un’Etna disdegno, un Mongibello di fuoco, e mandi in mille pezzi l’addolorato cuore al tribunal dellesfere, e rompi, ò trattenga la ruota dell’infausta mia fortuna57.

Il grido rivolto al Cielo dal protagonista, nelle cui domande reiterate si leggeil bisogno urgente di avere risposte della ingiusta sorte subita, ricalca le moven-ze e i significati espressi dal monologo del Sigismondo di Calderón: «Ditemivoi, Cieli infidi, in che v’offesi, e come, se nato appena m’havete quì sepolto?»/ «Apurar, cielos, pretendo, / ya que me tratáis así».

L’asserzione, perentoria in Calderón, che il peccato originale, rende l’uomocolpevole, in ogni condizione e in ogni stato sociale, («Aunque si nací, yaentiendo / qué delito he cometido»), diventa nella traduzione di Tauro unadomanda, di cui il protagonista forse già intuisce la terribile risposta («Ditemi,fors’è delitto il nascere?»). Del testo originale è mantenuta la coscienza da partedel prigioniero di vivere una condizione eccezionale rispetto al resto dell’uma-nità: «S’io nacqui come gli altri, qual’affronto vi fe’ la mia nascita, se mi fate ditutti gli altri il peggiore? Che privilegio, che favore, che ventura trovano nelvostro aspetto gli altri huomini, che riportandone da voi il bene, restò per mesolo il male?» / «Pues si los demás nacieron, / ¿qué privilegios tuvieron / que yono gocé jamás?». Il paragone tra la prigionia del protagonista e la libertà godutadal resto del creato è contenuto nel duplice riferimento alla specie «degli augel-li» che «per lo gran campo dell’aria godono libertà», e a quella non meglio defi-nita dei «bruti». Cadono i riferimenti al pez e al arrojo del testo spagnolo.Rimane saldo e pressoché invariato invece il richiamo finale al vulcano, impo-nente simbolo di ribellione: «E fatto ormai impaziente al male divenga purel’infuriato petto un’Etna di sdegno, un Mongibello di fuoco, e mandi in millepezzi l’addolorato cuore al tribunal delle sfere» / «En llegando a esta pasión, /un volcán, un Etna hecho, / quisiera arrancar del pecho / pedazos del corazón».

La condizione esistenziale di un uomo destinato alla reclusione è stata ripre-sa, a distanza di secoli, da Pier Paolo Pasolini, in una rivisitazione delle storie di

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57 TAURO, La falsa astrologia, cit., pp. 8-11.

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Sigismondo e Rosaura nel testo teatrale emblematicamente intitolato Calderón.Considerato da Pasolini una delle sue «più sicure riuscite formali»58, il Calderónè l’unico dramma teatrale pubblicato vivente l’autore. Il primo abbozzo risale al1967, l’uscita in stampa al 1973. Direttamente ispirato da Calderón, il drammache infatti porta il suo nome nel titolo, è una rivisitazione del capolavoro spa-gnolo: i nomi dei protagonisti (Rosaura, Sigismondo, Basilio) sono gli stessi;ma la trama è trasfigurata. La vicenda è ambientata nella Spagna franchista del1967; la protagonista è Rosaura, giovane donna che, attraverso il sogno, fuggela realtà presente in cui è costretta a vivere. La trama infatti si articola in quattromomenti successivi nei quali la nevrotica protagonista sogna di essere nobile,sottoproletaria, piccolo borghese e in un lager. Avvicinatosi a Calderón adiciott’anni con la lettura della Vida es sueño, Pasolini ne rimane affascinatocome testimonia la lettera del 1940 indirizzata a Franco Fortini: «ho letto Lavita è sogno di Calderón della Barca che sebbene inquinata talvolta fino all’os-sessione di gongorismo è di una sorprendente modernità»59. Nel 1967, inoltre,anno della composizione del Calderón, Pasolini assiste da spettatore al PrincipeCostante che Grotowski porta sulle scene al Festival dei Due Mondi di Spoleto,e non è forse un caso, come afferma Stefano Casi, «che dopo questa folgoranteesperienza Pasolini affronti lo stesso drammaturgo spagnolo rileggendone Lavita è sogno attraverso la tragedia Calderón»60.

Il legame più forte con la Vida es sueño è certamente rappresentato dalladimensione onirica, che pervade tutto il testo di Pasolini e ne determina la conti-nuità, nella rilettura, con il capolavoro di Calderón. D’altronde, il motivo delsogno accompagna Pasolini fin dall’adolescenza, da quando, diciottenne, èintenzionato a scrivere il trattato Della vita come assidua trasformazione delsogno in realtà. Ma nel Calderón resta viva, inoltre, tutta la dimensione carcera-ria del dramma spagnolo, letta e interpretata però in chiave nuova, specchiodella società in cui l’autore scrive.

Dopo aver letto il Calderón appare subito chiaro che la prigionia in questotesto è rappresentata dall’appartenenza di ogni individuo a una classe sociale, ein particolare alla classe borghese; infatti come spiega Luca Ronconi, in un’in-troduzione dedicata al teatro di Pasolini, «la borghesia è un luogo da cui non sipuò uscire, condannati da un’eterna coazione a ripetere»61. La chiusura che si

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

58 P. P. PASOLINI, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, conun saggio di C. Segre; cronologia a cura di N. Naldini, vol. II, Milano, Mondadori, 1990,p. 1932.

59 P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954, con una cronologia della vita e delle opere a cura diN. Naldini, Torino, Einaudi, 1988, p. 5.

60 S. CASI, I teatri di Pasolini, introduzione di L. Ronconi, Milano, Ubulibri, p. 179. 61 Un teatro borghese, intervista a L. Ronconi, in P. P. PASOLINI, Teatro, a cura di W. Siti

e S. De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey; cronologia a cura di N. Naldini,

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respira nel testo è una metafora della prigione di classe: il Calderón, come èstato detto, è soprattutto «una cupa, scabra parabola sull’impossibilità di evade-re dall’universo concentrazionario della propria condizione sociale»62.

Come era prevedibile, non troviamo nel Calderón di Pasolini la traduzionedel famoso monologo di Sigismondo; incontriamo però un personaggio cheprende in prestito il nome dal protagonista della Vida es sueño, e che, guardacaso, assume il ruolo di un particolare tipo di prigioniero: il “prigioniero politi-co”, l’esule. Protagonista della Guerra Civile spagnola e antifranchista,Sigismondo ha trascorso gli ultimi anni della sua vita da esule. Basilio, maritoaristocratico di Doña Lupe, donna un tempo legata a Sigismondo, ne parla conparole che, accanto al disprezzo per il rivale, fanno emergere la vera fisionomiadel personaggio:

Sigismondo […] è un antifascista, vissuto in esilio, schedato, sorvegliato a domicilio, un essere contaminato dalla povertà, ch’egli difende tradendo la ricchezza […] e le autorità dello Stato farebbero bene a mettere al muro63.

Tornato in patria, Sigismondo visita la casa aristocratica della donna che untempo era stata sua amante. In un discorso pronunciato davanti alle donne a cuiha fatto visita (l’ex amante, le figlie di questa e un’amica di famiglia) recita unlungo discorso dal quale selezioniamo i luoghi più interessanti ai fini del nostrodiscorso:

Ho passato gli ultimi mesi in esilioIn compagnia di Goytisolo – che va a farel’ingiusto giudice ai Festival di Cinema –e soprattutto con Rafael Alberti, al n. 82di via Garibaldi, una via di Roma, dietro Ponte Sisto[…]dovevo vivere a Madrid, e invece gliel’ho fattae sono vissuto un po’ qua e un po’ là (da giramondo);[…]Sceglierò una sede puramente simbolica.Non mi occuperò né del clima, né delle comodità,né tanto meno della mondanità. Mi stabiliròin un paese o in una città, in base a qualcheaneddoto che mi paia essere significativo,

Lessico e ideologia della prigione

Milano, Mondadori, 2001, p. XXII. Le citazioni del testo Calderón sono tratte da questa edi-zione.

62 P. P. PASOLINI, Teatro, prefazione di G. D. Bonino, Milano, Garzanti, 1988, p. 11.63 PASOLINI, Teatro, a cura di W. Siti e S. De Laude, cit., p. 680.

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e mi permetta così di continuare il lungo scherzo.Per esempio, il paese dove Machado ha scrittoIl suo più bel poema; o quello dov’è nata la madredi Juan Ramón Jiménez[…]Continuerò a correre per un binario paralleloa quello per cui avrebbe dovuto scorrere la mia vita64.

Sigismondo che nella storia è l’unico vero prigioniero è anche il più liberotra tutti i personaggi del dramma. L’unico che fuggendo i lacci della condizionesociale, assegnatagli dalla nascita, (una nascita borghese), ha deciso di evaderlaper trovare nell’esilio e nell’opposizione la libertà. Rosaura, che nel terzo sognointerpreta una donna borghese intrappolata nella gabbia di classe, va incontro auna sorte che si prefigura opposta a quella di Sigismondo. Al contrario di que-st’ultimo, che ha il coraggio di gridare in faccia alla borghesia le sue sceltelibertarie, Rosaura è colpita da un’inesorabile afasia che la pone in una condi-zione di incomunicabilità rispetto alla società in cui vive. Manuel, il medico cheha in cura la donna in un manicomio, dice di lei: «la sua afasia è una scusa pernon raccontare i suoi sogni. Finge di non distinguere i nomi delle cose, sempli-cemente perché le cose erano troppo cattive: vivere tra esse era come vivere inun lager»65. Doppia prigionia, dunque, quella di Rosaura: le sbarre della classesociale sono duplicate dalle sbarre del manicomio. La donna doppiamente inca-tenata, nell’ultimo sogno concessole dalla trama, immagina di trovarsi in unlager. La possibilità di fuga a questo punto non è più possibile, neppure attraver-so il sogno. L’ultima scena si immagina come svolta, spiega lo speaker, «all’in-terno di un documento: e precisamente di una fotografia rappresentante il dor-mitorio di un lager»66. Rosaura al risveglio riferisce di aver visto se stessa come«uno scheletro bianco quasi senza più capelli, nella cuccia»67. In quello “schele-tro bianco senza più capelli” è possibile leggere una spia linguistica che ci ripor-ta al testo di Calderón: l’espressione «esqueleto vivo» con cui si autodefinisceSigismondo nella Vida es sueño diventa, terribilmente trasfigurato, lo scheletrovivente di una vittima delle SS naziste. E benché Rosaura abbia sognato uningresso salvifico degli operai nello spazio del lager, Basilio le pone di fronte latragica realtà dell’esistenza:

Un bellissimo sogno, Rosaura, davveroUn bellissimo sogno. Ma io penso

Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi

64 Ivi, pp. 673-674.65 Ivi, p. 737.66 Ivi, p. 751.67 Ivi, p. 756.

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(ed è mio dovere dirtelo) che proprioin questo momento comincia la vera tragedia.Perché di tutti i sogni che hai fatto o che faraisi può dire che potrebbero essere anche realtà.Ma, quanto a questo degli operai, non c’è dubbio:esso è un sogno, niente altro che un sogno68.

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68 Ivi, p. 758.

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