Tarda Antichità Fonti Scritte e Archeologiche (Volpe)

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La tarda antichità tra fonti scritte e archeologiche a cura di Paola Galetti università di bologna dipartimento di paleografia e medievistica dpm quaderni dottorato 7

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La tarda antichitàtra fonti scritte e archeologiche

a cura di

P a o l a G a l e t t i

I Quaderni del Dipartimento di Paleografia e Medievistica intendono valorizzaree rendere pubblica l’attività di ricerca in progress che quotidianamente si svolge

al suo interno, mettendo in risalto le sue molteplici connessioni con l’attivitàdidattica: due facce di una medesima realtà, che si sollecitano e potenziano

a vicenda. I Quaderni si suddividono in tre sezioni, ciascuna delle qualirappresenta un momento significativo della vita scientifica e della pratica diinsegnamento di un numeroso gruppo di colleghi, fermamente convinti dei

vantaggi e degli stimoli legati alla consuetudine di lavorare insieme.

convegniAtti degli incontri scientifici organizzati dal Dipartimento.

dottoratoMateriali presentati dai docenti ai seminari del Dottorato di ricerca

in Storia medievale. Primi risultati del lavoro dei dottorandi.

ricerche e strumentiRisultati del lavoro di ricerca svolto in Dipartimento. Strumenti di lavoro

per una didattica attiva.

dottorato7

u n i v e r s i t à d i b o l o g n a

d i p a r t i m e n t o d i p a l e o g r a f i a e m e d i e v i s t i c a

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aderni

dottorato 7

CB 4577

€ 12,00

ISBN 978-88-491-3240-3

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La tarda antichitàtra fonti scritte e archeologiche

a cura diP a o l a G a l e t t i

contributi diP a o l a G a l e t t i

D o m e n i c o V e r aA l e x a n d r a C h a v a r r í a A r n a u

G i u l i a n o V o l p eV a l e r i o L i e t o N e r i

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© 2010Copyright by Dipartimento di Paleografia e Medievistica dell’Università di Bolognae Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna

Tarda (La) antichità tra fonti scritte e archeologiche / a cura di Paola Galetti, contributi di Paola Ga-letti, Domenico Vera, Alexandra Chavarría Arnau, Giuliano Volpe, Valerio Lieto Neri – Bologna :CLUEB, 2010105 p. ; ill. ; 21 cm(Quaderni del Dipartimento di Paleografia e Medievistica, dottorato ; 7)ISBN 978-88-491-3240-3

CLUEBCooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna40126 Bologna - Via Marsala 31Tel. 051 220736 - Fax 051 237758www.clueb.comFinito di stampare nel mese di settembre 2010da Studio Rabbi - Bologna

Progetto grafico copertina: Tunabites, Bologna

Tutti i diritti sono riservati. Questo volume è protetto da copyright.Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in ogni forma e conogni mezzo, inclusa la fotocopia e la copia su supporti magne-tico-ottici senza il consenso scritto dei detentori dei diritti.

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SOMMARIO

PAOLA GALETTIOsservazioni sul Tardoantico ........................................................... 7

DOMENICO VERA«Schiavi della terra» nell’Italia tardo antica ...................................... 15

ALEXANDRA CHAVARRÍA ARNAUAlcune osservazioni sulle chiese rurali di epoca tardo antica: documen-tazione testuale e fonti archeologiche ................................................. 35

GIULIANO VOLPEAristocratici, imperatori e vescovi nelle città e nelle campagne dell’“Apulia”tardo antica .................................................................................... 55

VALERIO LIETO NERILa percezione del corpo barbarico nell’Occidente tardo antico (IV-VIsecolo) ........................................................................................ 81

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ARISTOCRATICI, IMPERATORI E VESCOVINELLE CITTÀ E NELLE CAMPAGNEDELL’APULIA TARDO ANTICA

GIULIANO VOLPE

1. Fino ad alcuni decenni fa affrontare il tema dell’organizzazione dei pae-saggi urbani e rurali e delle condizioni economiche e sociali di una regionedell’Italia meridionale durante la Tarda Antichità richiedeva necessaria-mente il confronto con la pesante eredità di due stereotipi storiografici, traloro spesso intrecciati. Da un lato, l’uso ossessivo della categoria di ritardoe di sottosviluppo nella storia del Mezzogiorno propria del dibattito sulla‘questione meridionale’; dall’altro, la concezione del Tardoantico come «ar-chetipo di ogni decadenza» (Arnaldo Momigliano). Negli ultimi anni si èandata affermando una posizione molto più ‘positiva’ di questo periodo sto-rico, accanto ad un sensibile incremento degli studi e a quel fenomenoespansivo che, efficacemente e anche polemicamente, Andrea Giardina haparagonato ad una vera e propria ‘esplosione’, caratterizzata in particolareda una forte sottolineatura degli aspetti culturali, ideologici e religiosi e,spesso, da una esagerata vocazione continuista. Un processo questo che hatrovato terreno fecondo nelle archeologie post-processuali più attente ai fe-nomeni culturali che a quelli strutturali.Per evitare tali rischi, oltre all’invito formulato da Giardina a non sot-

tovalutare la rilevanza dei grandi eventi periodizzanti e degli aspetti mor-fologici di quei secoli che comunemente facciamo coincidere con l’età tar-doantica, ritengo che si debba tornare, con approcci innovativi, ad un’ana-lisi delle strutture economiche e sociali, in particolare valorizzando le pro-cedure dell’archeologia globale dei paesaggi e l’approccio microstorico nel-l’analisi di specifici comprensori geografici, regioni e subregioni, tentandodi ricostruire la ‘storia totale’ di un territorio. Solo con analisi di questo ti-po sarà possibile superare vecchi e consolidati stereotipi, evitando il dupli-ce rischio delle pericolose generalizzazioni e dei mille particolarismi.È questa la strada che anche altri archeologi della Tarda Antichità e del

Medioevo propongono di percorrere, come Gian Pietro Brogiolo con quel-la che propone di definire ‘archeologia della complessità’, e che personal-mente, riprendendo formule proposte da Tiziano Mannoni e Daniele Ma-nacorda, preferisco chiamare ‘archeologia globale dei paesaggi’, intesa come

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globalità dell’approccio, delle fonti utilizzate e delle discipline coinvolte nel-l’analisi di uno spazio geografico ben definito.Per quel che riguarda lo spazio, è necessario essere consapevoli che, sot-

to il profilo metodologico, la definizione di un taglio spaziale consiste inun’operazione squisitamente interpretativa, capace anche di predetermina-re i risultati di una ricerca, al pari della periodizzazione. In relazione al Mez-zogiorno d’Italia in età tardoantica, bisogna pertanto chiedersi, con AndreaGiardina, se esso vada inteso come categoria in senso ‘debole’ o in senso‘forte’. Nonostante, infatti, «la formula delle due Italie sia quella che a pri-ma vista, sembrerebbe più di ogni altra giustificare l’uso in senso ‘forte’ delconcetto di Meridione tardoantico» (A. Giardina), la realtà storica appareassai più complessa, per cui più che a ‘due Italie’ dovremmo pensare a ‘mol-te Italie’. Sarebbe un grave errore, infatti, considerare i territori meridiona-li dell’Italia tardoantica come un qualcosa di unitario e indeterminato, uninsieme amorfo, un ‘grande tutto’ privo di articolazioni significative. È so-lo in questa dialettica tra la valorizzazione delle differenze spaziali e dellescansioni temporali e la ricerca di caratteri generali che sarà possibile pro-porre un’immagine meno stereotipata dell’Italia meridionale.Con questa schematica premessa metodologica, ho voluto richiamare il

metodo di lavoro di ricerca che da oltre un decennio stiamo cercando diadottare nella Puglia centro-settentrionale (fig. 1), con un approccio cheprevede uno stretto inserimento dell’analisi degli edifici di culto urbani e ru-rali nel quadro delle trasformazioni generali della regione in relazione al-l’organizzazione insediativa, istituzionale, sociale ed economica, in modo daleggere il processo di cristianizzazione nella sua globalità e soprattutto convisione dinamica, dialettica e fortemente diacronica.

2. In particolare a Francesco Grelle si deve il merito di aver affrontato, soprat-tutto nel caso dell’Apulia et Calabria e del capoluogo provinciale Canusium, iltema della profonda trasformazione istituzionale (ma anche insediativa e socio-economica) verificatasi per effetto di quel vero e proprio ‘terremoto ammini-strativo’ avviato dalle riforme dioclezianee-costantiniane, che assumono i ca-ratteri di una vera e propria ‘svolta periodizzante’. In varie occasioni ho avutomodo di sottolineare come le vicende di questo comparto territorialerappresentino «un caso emblematico della forza morfogenetica delle struttureistituzionali» sugli assetti economici, sociali ed insediativi. Le trasformazionidell’ordinamento istituzionale favorirono, infatti, la creazione di una nuova ar-ticolazione nella tipologia degli insediamenti, promuovendo in particolare un

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fenomeno di accentuata gerarchizzazione dei centri urbani. Altri esiti di que-sto processo furono la specializzazione funzionale dei vari abitati, un significa-tivo rimodellamento dei rapporti fra città e campagna, un condizionamentodelle attività economiche da parte dell’amministrazione imperiale e di quella ec-clesiastica, anche se, come ha dimostratoDomenicoVera, ampi spazi erano di-sponibili per l’iniziativa imprenditoriale delle aristocrazie senatorie e locali.Giorgio Otranto, oltre a sottolineare la scarsità di fonti affidabili relative

ai primi secoli e a liberare il campo da una serie di ricostruzioni più o menofantasiose relative a queste fasi iniziali, ha disegnato un processo dicostruzione delle comunità cristiane da forme embrionali, difficilmentedefinibili nei loro contorni, a forme strutturate delle diocesi, consolidatesinon prima della fine del IV-inizi del V secolo.In questo quadro, solo la documentazione archeologica ed epigrafica

può apportare novità significative, grazie ad uno sviluppo delle ricerche cheha conosciuto negli ultimi anni un ritmo incalzante, facendo della Puglia(mi sembra di poterlo dire, sia pur sommessamente) una delle aree piùvivaci nel campo degli studi tardoantichistici.

3. Illuminante è il caso del capoluogo provinciale Canosa, che consente di va-lutare la relazione tra due fenomeni sviluppatisi in parte parallelamente: il pro-cesso di profonda trasformazione istituzionale (ma anche insediativa e socio-economica) rappresentato dalla provincializzazione, con la conseguente attri-buzione delle funzioni di governo a correctores e consulares e l’inevitabile for-mazione di una gerarchia urbana che poneva al suo vertice la città capoluogoprovinciale; la comparsa e l’affermazione della figura vescovile nelle città e nel-le campagne. Il vescovo rappresentò sempre più, infatti, uno degli interlocu-tori privilegiati del governatore, accrescendo progressivamente gli spazi delproprio potere rispetto ai rappresentanti dell’amministrazione cittadina edimperiale, fino ad ereditarne col tempo molte delle funzioni.Nonostante la persistenza formale delle curie cittadine, pur senza assu-

mere effettive funzioni pubbliche, in particolare dopo l’istituzione dell’epi-scopalis audientia e, in maniera più accentuata dal V secolo in poi, il capo del-la comunità cristiana locale venne assumendo il carico dell’amministrazionecittadina. Il dibattito si è incentrato, ancora una volta quasi ossessivamente,sugli aspetti di continuità-discontinuità. Sotto il profilo istituzionale, come hasottolineato recentemente F. Grelle a proposito delle città meridionali, «si puòriconoscere una continuità fra l’ordinamento cittadino di tipo romano e l’or-dinamento cittadino perpetuato dal vescovo» come «continuità della fonte

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del potere», anche se, come ha fatto osservare A. Giardina, «la sostituzione deivescovi ai magistrati appare come la dissoluzione dei caratteri fondamentalidella città antica: basti pensare all’affievolirsi del populus come categoria civi-ca e all’affermarsi dei pauperes intesi come categoria morale».

4. Non sono, al contrario, rari i casi di sostanziale scarto tra il carattere isti-tuzionale (con la persistenza di una dimensione cittadina garantita dal ve-scovo) e l’aspetto fisico di un insediamento urbano. Esemplare, a tale pro-posito, è il caso diHerdonia (fig. 2). Non è necessario che mi dilunghi, ma èopportuno sottolineare come i nostri recenti scavi abbiano consentito di ri-vedere l’intero quadro urbano, dimostrando come l’abbandono dell’area fo-rense o meglio il riuso in maniera ‘impropria’ di edifici come la basilica, or-mai priva di reale importanza nel quadro del nuovo assetto politico-ammi-nistrativo, siano da leggere nel contesto di una generale e più razionale rior-ganizzazione complessiva delle funzioni dei vari centri urbani della provincia,che relegava Herdonia a centro minore con uno spiccato carattere agricolo ecommerciale, grazie anche alla funzione di mercato lungo la via Traiana. Intal modo è emerso come aHerdonia si sia realizzata meno precocemente quel-la perdita di fisionomia urbana, che i dati forniti dagli scavi condotti da J.Mertens nella zona del foro avevano fatto a lungo ipotizzare, sottolineando,sotto il profilo metodologico, la necessità di evitare la ricostruzione del qua-dro generale urbano di età tardoantica partendo dall’esame di un solo quar-tiere, sia pur centrale, come il foro. I nostri scavi delle terme, costruite nel II,ristrutturate nel IV e ancora in piena attività nel secolo successivo, e del vi-cino quartiere artigianale-commerciale, hanno dimostrato come questa por-zione di città conobbe solo a partire dal VI secolo un progressivo abbando-no, fino ad essere occupata da stalle, immondezzai, capanne e sepolture in etàaltomedievale. Non è stata ancora individuata la chiesa paleocristiana, checertamente avrà svolto una funzione catalizzatrice, ma è certo che Herdoniasia stata sede di un vescovo almeno dalla fine del V secolo. In questo caso, pa-re potersi riscontrare una situazione nota in molte altre città: la presenza re-ligiosa garantì la persistenza a livello qualitativo o funzionale della città, manon sempre la continuità quantitativa e infrastrutturale.Il processo di progressiva destrutturazione e ruralizzazione diHerdonia,

comune a molte altre realtà urbane meridionali, è da inquadrare in un ge-nerale ‘processo livellatore’ tra città e campagna, una sorta di ‘conguaglio’(secondo una felice formula di S. Mazzarino): alla ruralizzazione dell’habi-tat urbano fece, infatti, da contrappunto una ‘urbanizzazione’ dell’habitat

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rurale, come nel caso di San Giusto, tanto da poter attribuire a questi casiil suggestivo ossimoro, coniato da Cassiodoro in relazione a Squillace, di ci-vitas ruralis e di villa urbana (Cassiod. Var. 12.15.5).

5. Totalmente diversa e, per molti versi, complementare è la situazione diCanosa. Si tratta di un’esplicita dimostrazione dello stretto intreccio traprocessi di destrutturazione, ristrutturazione e trasformazione urbana e ru-rale verificatisi in questi secoli nell’ambito dello stesso territorio. Canusium,infatti, non solo conservò stabilmente una solida fisionomia urbana ma ac-centuò anche la posizione di preminenza, grazie alla sua funzione politicae amministrativa di capoluogo provinciale e al sempre più rilevante ruolodella chiesa e dei vescovi, in particolare, nel VI secolo, per iniziativa del po-tente episcopus Sabino, attivissimo diplomatico e instancabile promotore dimonumentali interventi edilizi.La fase presabiniana è assai poco nota. Il primo vescovo documentato con

certezza, alla metà del IV secolo, è Stercoreus ab Apulia, de Canusio, unico pre-sule pugliese convocato al concilio di Sardica del 343-344. Una presenza chedocumenta la crescita nella città di una vivace e consistente comunità cristia-na, tale da esprimere un delegato ad un concilio così importante in Oriente.Sulla base delle preziose quanto problematiche informazioni fornite dal-

l’operetta agiografica degli inizi del IX secolo, l’Historia vitae inventionistranslationis s. Sabini episcopi, si è a lungo ritenuto che la prima cattedraledi Canosa fosse da identificare con la chiesa di San Pietro. Nella lunga listadi costruzioni attribuite al venerabilis vir restaurator ecclesiarum (Vita, 2.6.),comprendente la basilica dei SS. Cosma e Damiano, il Battistero di SanGiovanni, posto juxta ecclesiam beatissimae et semper Virginis Dei GenitricisMariae e infine la chiesa dedicata al Salvatore, che sarebbe stata edificata da-vanti al Battistero, l’anonimo autore della Vita omette proprio San Pietro:per questo motivo essa era stata identificata con la cattedrale presabiniana,secondo alcuni risalente proprio all’età di Stercoreus, poiché si riteneva im-probabile l’assenza di una chiesa episcopale in una città che ospitava una co-spicua comunità cristiana. Nella chiesa di San Pietro, sempre secondo laVita, fu sepolto Sabino. I nostri recenti scavi hanno, però, consentito di ac-quisire due dati sicuri: a) l’attribuzione dell’intero progetto originario delcomplesso ecclesiastico di San Pietro al vescovo Sabino; b) l’assenza nellastessa area di edifici sacri più antichi.Questo dato pone il problema metodologico più generale del confron-

to e del dialogo tra i dati archeologici e quelli letterari, e specificamente

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agiografici, e dell’esigenza di analizzare separatamente i diversi sistemi difonti, ciascuno secondo i propri strumenti d’indagine, evitando pericolosecommistioni che rischiano di produrre veri e propri corto-circuiti. Infatti,la documentazione archeologica ha confermato in alcuni casi il dato lette-rario, come ad esempio nel caso del monumentale battistero di San Gio-vanni e, in maniera più problematica, in quello della basilica dei SS. Cosmae Damiano, più tardi dedicata a San Leucio, ma in altri ha offerto un qua-dro ben diverso. Ad esempio gli scavi recenti nell’area antistante il battiste-ro di San Giovanni hanno potuto accertare la presenza di un atrio portica-to coevo e molto simile, per forma e apparato decorativo, a quello di SanPietro, entrambi evidentemente voluti da Sabino. Nello spazio centrale sco-perto, solo in un secondo momento, tra VII e VIII secolo, fu realizzata unachiesa a tre navate che venne a porsi in asse con il battistero: se in essa an-dasse riconosciuto, come si è ipotizzato, il templum dedicato al Salvatoreche la Vita indica ante ecclesiam praedicti Praecursoris risulterebbe allora evi-dente come l’autore dell’operetta altomedievale abbia voluto inserire nellafitta lista dell’intensa opera edilizia sabiniana anche un intervento che l’in-dagine archeologica attribuisce ad un momento successivo.La Vita, in due occasioni almeno, pare attribuire alla chiesa di San Pie-

tro, sia pur in maniera non incontrovertibile, la funzione di chiesa episco-pale (Vita 5.15). Nel primo caso, a proposito dell’arrivo dell’ispanico Gre-gorio nella chiesa di San Pietro a Canosa risulta problematico il significatodella parola episcopatus, che potrebbe essere riferita, a mio parere, al terri-torio episcopale, alla diocesi, piuttosto che alla chiesa episcopale; anche nelsecondo caso, a ben vedere, il riferimento alla consuetudine del vescovo dicelebrare nella chiesa di San Pietro non sembra giustificare necessariamen-te l’identificazione dell’edificio di culto con la cattedrale.Come si è già detto, la Vita stessa contiene un’altra indicazione prezio-

sa quando riferisce che il Battistero di San Giovanni fu costruito da Sabinojuxta ecclesiam beatissimae et semper Virginis Dei Genitricis Mariae, dunquenei pressi della chiesa di Santa Maria, evidentemente preesistente. Sulla ba-se di questa suggestione e in particolare grazie ad una più attenta analisidelle strutture archeologiche portate alla luce dagli scavi effettuati nell’areaantistante il battistero, abbiamo ipotizzato la presenza della chiesa di San-ta Maria nell’area posta immediatamente a sud del battistero e dell’atrioantistante (figg. 3-4). Una campagna di scavi condotta nel 2006 ha potu-to verificare l’effettiva presenza di una chiesa, identificabile con la chiesacattedrale, dedicata come in molti altri casi nello stesso territorio (Siponto,Trani, Bari, Taranto) alla Vergine. La ridotta porzione indagata è relativa a

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parte del nartece, della navata centrale e della navata meridionale di unachiesa trinave orientata a ovest, di cui sono documentate almeno due fasi.I dati finora acquisiti non consentono purtroppo di collocare più precisa-mente, tra IV e V secolo, la prima fase, che però risale sicuramente ad etàpresabiniana. All’iniziativa del potente vescovo del VI secolo è invece da at-tribuire una notevole opera di ristrutturazione e abbellimento, con la ste-sura di un nuovo pavimento musivo e la creazione di un collegamento tral’edificio sacro e l’atrio porticato antistante il battistero, mediante un cor-ridoio che costituiva una prosecuzione del nartece e una scalinata che con-sentiva di superare un dislivello di circa un metro tra il piano della chiestadi S. Maria e quello del nuovo monumentale battistero.Contemporaneamente alla risistemazione e monumentalizzazione del-

l’antico complesso episcopale, Sabino diede vita ad un più ampio e artico-lato disegno di riorganizzazione della città, che ne modificava definitiva-mente la struttura e l’immagine. In un’area posta, forse, immediatamenteextra moenia, in precedenza utilizzata per attività artigianali e attraversatadall’acquedotto costruito da Erode Attico, gli scavi condotti negli scorsi an-ni hanno potuto accertare l’esistenza di un ampio complesso sacro, costi-tuito da una grande chiesa a tre navate preceduta da un atrio e affiancata dastrutture residenziali e funerarie, edificato con certezza da Sabino, come di-mostra tra l’altro l’ampio impiego dei mattoni bollati con il suo mono-gramma, presenti anche in altre architetture sicuramente sabiniane. Comesi è già anticipato, i risultati degli scavi hanno portato a identificare SanPietro non con la chiesa episcopale ma con un grande complesso cimiteriale,nel quale Sabino volle realizzare la propria sepoltura, divenuta poi oggettodi culto e meta di pellegrinaggio (fig. 5-6).Tra le strutture funerarie rinvenute nel corso degli scavi si segnala un pic-

colo lussuosomausoleo, sicuramente realizzato nel quadro della prima fase co-struttiva dell’intero complesso: riteniamo ora, a scavo concluso, che questa se-poltura privilegiata possa essere identificata con il sepulchrum dello stesso ve-scovo Sabino, che la Vita colloca nei pressi della chiesa di San Pietro (Vita5.15, 6.19). Peraltro, è noto che, come ha ben dimostrato J.-Ch. Picard in re-lazione alle città nord-italiche, solo dal VII secolo si andò affermando la con-suetudine di scegliere la chiesa cattedrale per il sepolcro episcopale, mentre inprecedenza prevaleva l’uso di seppellire i vescovi nelle basiliche martiriali.Emblematica appare la scelta di dotare sia l’area del complesso episco-

pale di Santa Maria-San Giovanni sia il complesso di San Pietro di atri por-ticati, assai simili tra loro. L’atrio sembra, così, assumere una funzione pe-culiare nell’architettura sabiniana, come, al tempo stesso, accadeva nell’ar-

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chitettura del potere tardoantica. Elemento di lusso e di prestigio, l’atriocostituiva la cerniera con l’abitato e il collegamento con la viabilità princi-pale, oltre che il raccordo tra i vari elementi costitutivi dei complessi eccle-siastici, rappresentando al tempo stesso anche uno spazio di socializzazio-ne per le numerose funzioni che vi si esplicavano (dall’istruzione della ca-techesi all’arruolamento dei neofiti, dall’assemblea dei fedeli all’episcopalisaudientia, dalla promessa degli sposi alla colletta, alle distribuzioni ai poverie alle altre attività caritatevoli, dall’ospitalità ai pellegrini e ai viaggiatori al-l’ordinazione dei chierici e all’elezione dei vescovi, ecc.).L’insieme di queste acquisizioni ha una portata notevole anche sul piano

dell’analisi topografica: è possibile, infatti, cogliere chiaramente l’ampio elucido progetto sabiniano, sviluppato mediante la realizzazione a sud dellacittà del nucleo di San Pietro, la contestuale sistemazione, nel settore set-tentrionale, del battistero di San Giovanni, accanto alla cattedrale di SantaMaria, e, infine, la costruzione nell’immediato suburbio sudorientale delcomplesso martiriale dei SS. Cosma e Damiano. Si tratta di tasselli di un di-segno complessivo, con il quale il vescovo canosino riorganizzava totalmen-te lo spazio urbano e suburbano, ora definitivamente connotato in senso cri-stiano. La creazione di nuovi poli di attrazione, diversi e alternativi a quellitradizionali del foro e dell’area sacra di Giove Toro e la formazione di interiquartieri, con la sistemazione di una sorta di cinta difensiva sacra intorno al-la città, dava vita ad una nuova topografia urbana e suburbana. L’azione delvescovo, inoltre, si esplicava integrando tutte le componenti di questa nuo-va organizzazione topografica, liturgica e civile, fondata in particolare suidue poli di San Giovanni-Santa Maria e di San Pietro, tra loro strettamentecomplementari sotto il profilo religioso e funzionale. L’iniziativa non si li-mitò, peraltro, solo a Canosa, ma riguardò l’intero spazio diocesano, comedimostrano gli interventi edilizi condotti a Canne e a Barletta.

6. Un carattere peculiare delle campagne dell’Apulia tardoantica messo inevidenza dalle ricerche recenti è relativo all’organizzazione vicana, ben do-cumentata dalle fonti geografiche e da quelle epigrafiche ed archeologiche.Non è un caso che una costituzione imperiale conservata nella Tavola diTrinitapoli prevedesse che il governatore dovesse percorrere l’intero territo-rio di sua pertinenza per pagos et vias, in modo da controllare personalmentela regolarità del prelievo fiscale ed evitare gli abusi dei funzionari a dannodei contribuenti. Tra i numerosi vici-stationes documentati dalla Tabula Peu-tingeriana (Tab. Peut. 6.3-4), sono significativi i casi già di Bardulos (Bar-

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letta) e Turenum (Trani), porti del territorio canosino. Emerge con forzadalla documentazione l’enorme sviluppo degli insediamenti portuali dellafascia costiera adriatica: un fenomeno che credo vada messo in relazionecon lo sviluppo della commercializzazione del grano e delle derrate ali-mentari prodotte nelle campagne apule, particolarmente preziose in parti-colare a seguito del dirottamento del grano egiziano verso Costantinopolie più tardi della perdita del controllo dell’Africa in mano ai Vandali.

7. Un ruolo fondamentale nella definizione del paesaggio rurale tardoantico(soprattutto nel V-VI secolo) va attribuito alle chiese e ai cimiteri, spesso uni-ca traccia di abitati minori, difficili da individuare nel corso delle ricognizionie raramente oggetto di scavi non limitati esclusivamente all’indagine dell’edi-ficio di culto. I tanti esempi noti, pur con i limiti di una conoscenza ancora am-piamente lacunosa e nonostante le specificità dei singoli casi (chiese private,chiese battesimali, chiese episcopali, monasteri, ecc.), propongono una serie diconsiderazioni che è possibile così schematizzare: la diffusione delle chiese ru-rali riguardò in particolare il V e VI secolo, che costituirono il momento cen-trale della cristianizzazione delle campagne; alcune chiese restarono in vita si-curamente non oltre il VII secolo, mentre per altre è documentata o ipotizza-bile una prosecuzione nei secoli successivi; la geografia degli edifici di culto erastrettamente legata non solo alla viabilità ma anche alla geografia delle ville edei vici tardoantichi; non sempre, però, risulta chiaro se la chiesa si sia instal-lata nei pressi di una villa ancora attiva, come a San Giusto, o in un edificioormai abbandonato e in disuso; in questi ultimi casi spesso sono i cimiteri adattestare forme di riuso delle strutture preesistenti; le chiese associavano alle at-tività religiose altre funzioni, in quanto centri di aggregazione, di commercioe di scambio, di pagamento dei canoni e delle tasse, e di assistenza; nella co-struzione e/o ristrutturazione degli edifici di culto si può scorgere, in alcuni ca-si, la volontà del potere imperiale bizantino, a sostegno dell’azione della Chie-sa, per favorire un rilancio delle campagne all’indomani del conflitto greco-gotico, come pare riscontrarsi chiaramente nel caso di San Giusto.

8. È una peculiarità del processo di cristianizzazione, in particolare nei terri-tori centro-meridionali, la presenza di un certo numero di vici promossi a se-de episcopale, secondo un processo frequente nella prassi, anche se fortementecontrastato dai vertici della gerarchia ecclesiastica. Ben due casi riguardano laPuglia settentrionale:Trani e San Giusto. I vescovi rurali, spesso erroneamente

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confusi con i corepiscopi, erano dotati di pieni poteri, partecipavano a con-cili, ne sottoscrivevano gli atti, ricevevanomissive papali ed incarichi per la so-luzione di problemi riguardanti altre diocesi, ecc., pur essendo insediati inabitati rurali. Il concetto di rurale è, dunque, legato al tipo di insediamentonel quale il vescovo esercitava le proprie funzioni, cioè generalmente in ‘ag-glomerati secondari’, o meglio in ‘insediamenti non urbani’, privi dunquedello status di civitas. All’interno di questa definizione possono trovare spaziorealtà alquanto articolate, come vici, scali marittimi e stazioni di posta (man-siones), insediamenti di tipo precario o stagionale legati ad esempio a nundi-nae o sorti intorno a santuari, accampamenti militari, castra/castella.Il fenomeno appare eccezionale nell’Italia Annonaria, mentre risulta

molto più esteso in area centro-meridionale. È particolarmente significati-va, in alcuni casi, l’evoluzione urbana del vicus. Esemplare di questo pro-cesso è il caso di Trani, un villaggio portuale del territorio di Canusium, do-cumentato per la prima volta dalla Tabula Peutigeriana e assurto al rango didiocesi tra V e VI secolo in seguito ad una gemmazione dalla diocesi cano-sina, di cui faceva originariamente parte: Eutychius episcopus Tranensis sot-toscrisse i concili romani del 501-2.Se in alcuni casi il vicus conobbe una trasformazione urbana, la breve du-

rata, con il conseguente abbandono nel corso dell’Altomedioevo, di altre dio-cesi rurali dimostra, però, come l’iniziativa vescovile, pur costituendo un deci-sivo fattore di sviluppo, non potesse essere sufficiente, in mancanza di altri fat-tori (in particolare legati alla collocazione lungo grandi arterie viarie e in siti por-tuali), a garantire sempre e comunque un’evoluzione in senso urbano. Lamag-giore diffusione delle diocesi rurali nelle regioni centro-meridionali è verosi-milmente da spiegare sia con l’affermazione in queste aree del sistema vicano,sia con la particolare vitalità dell’economia agraria di tali territori durante l’etàtardoantica. Frequente risulta l’associazione tra le sedi episcopali sorte in cam-pagna e la presenza di ampie proprietà imperiali (M. De Fino), spesso trasferi-te al patrimonio ecclesiastico e a volte organizzate nella forma dellamassa fun-dorum (D. Vera). Tale associazione con la proprietà imperiale sembra partico-larmente significativa per spiegare la rilevanza di questo fenomeno, e può nonsolo giustificare il particolare successo delle diocesi rurali in Italia centro-meri-dionale, dove le grandi tenute imperiali erano particolarmente diffuse, ma an-che chiarire i motivi dell’effimera durata della maggior parte di esse: la scom-parsa potrebbe infatti essere messa in relazione con la progressiva destruttura-zione dell’amministrazione della proprietà imperiale. Il fattore che era stato al-l’origine della nascita di tutte o della maggior parte delle diocesi rurali, la pro-prietà imperiale, potrebbe, cioè, aver rappresentato anche la causa della breve

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esistenza, che pare accomunare tutte le diocesi rurali finora note, forse travol-te dalla crisi del sistema imperiale, con l’esaurimento della funzione politico-amministrativa, che questi centri avevano svolto rispetto al comprensorio.L’esempio più emblematico e meglio noto è proprio quello del saltus

Carminianensis, un’enorme proprietà imperiale dell’Apulia. All’interno diquesta tenuta fu istituita nel tardo V secolo una diocesi, il cui fulcro hoproposto di riconoscere nel sito rurale di San Giusto e, in particolare, nelmonumentale complesso paleocristiano posto a poca distanza da una villa(figg. 7-8). Le ricognizioni sistematiche condotte nella Valle del Celonehanno potuto evidenziare un sensibile sviluppo insediativo e demograficodel territorio circostante San Giusto, popolato non solo da grandi e lus-suose ville ma anche da piccole fattorie-case coloniche e da villaggi.Il vicus di Montedoro, posto lungo la strada tra Aecae e Luceria, rappre-

senta l’esempio più significativo di villaggio rurale in questo territorio. Gra-zie ad indagini geofisiche e aerofotografiche e alla ricognizione di superfi-cie, si è potuto identificare un abitato esteso per almeno 8 ettari, com-prensivo di edifici di vario tipo, di un’area artigianale, di un cimitero e for-se di un edificio di culto. Sulla base di alcuni dati epigrafici e topografici,si propone ora di riconoscere nel vicus di Montedoro il Praetorium Laue-rianum indicato dalla Tabula Peutingeriana, cioè la stazione di posta collo-cata tra Aecae e Luceria all’interno della proprietà imperiale, la cui forma-zione risale in questo territorio almeno al I d.C.A questo dato, si aggiunge la recente scoperta, al momento solo grazie

ai dati aerofotografici e di superficie, di vari altri edifici di culto non lonta-ni da San Giusto, uno in località Santa Giusta (fig. 9), un altro in localitàPosticchio (fig. 10), ben tre nei pressi di Borgo Segezia (figg. 11-13), tuttiposti all’interno di villaggi tardoantichi. Questi edifici di culto dimostranola pervasività del fenomeno della cristianizzazione all’interno dello stessocomprensorio territoriale, evidentemente caratterizzato da una densità de-mografica tale da richiedere la presenza di varie chiese. Nonostante la ne-cessaria prudenza, si intravede la possibilità di individuare per la prima vol-ta una sorta di articolazione diocesana rurale, con il monumentale com-plesso di San Giusto con funzione di sede vescovile e alcune parrocchie po-ste nei vicini villaggi, in un raggio di soli pochi chilometri (fig. 14).

9. Un altro elemento, riconoscibile sia in una realtà urbana come Canosasia in una rurale come San Giusto, è relativo alla figura del ‘vescovo mana-ger’. Nella costruzione di numerosi edifici in città e nel territorio il presu-

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le canosino curò anche la produzione diretta di materiali edili, tra cui i bennoti mattoni recanti il suo monogramma (fig. 15), oltre a quelli con altritipi di decorazione. Sabino quindi, come avveniva anche in altri casi di pro-duzioni laterizie vescovili, si presenta nella doppia veste di proprietario ecommittente. Il monogramma vescovile, in tal modo, certificava la qualitàe la proprietà del prodotto, ne definiva la destinazione, costituiva la dimo-strazione del controllo diretto dell’intero ciclo, dalla fabbricazione dei ma-nufatti al loro impiego in edifici di carattere religioso.L’attività artigianale promossa da Sabino, come nel caso di molti altri ve-

scovi, oltre a materiali da costruzione, comprendeva molto probabilmenteanche le ceramiche, le lucerne, forse i vetri.A San Giusto, un indizio in tal senso è rappresentato dal mattone con il

monogramma di Iohannis, che ho proposto di attribuire ad un altrimentiignoto vescovo della diocesi Carmeianense, o in alternativa ad un altro per-sonaggio di primo piano di nome Giovanni, forse il generale bizantino assaiattivo sul fronte adriatico (fig. 16). In questo stesso sito rurale, nell’area del-la villa, a poche decine di metri dalla basilica doppia, tra la seconda metàdel V e il VI secolo, si insediò un quartiere artigianale con una fornace perla cottura di ceramiche comuni oltre a strutture per la produzione di ogget-ti metallici e ad impianti per il lavaggio e il trattamento delle lane. Non sem-bra che possa esserci dubbio nel considerare un insieme organico tutte que-ste attività artigianali, strettamente integrate con lo sfruttamento agricolo el’allevamento ovino, oltre che con la probabile presenza sul posto di nundi-nae: attività, queste, gestite dalle strutture ecclesiastiche operanti nel saltusCarminianensis e in particolare dal vescovo insediato nella diocesi rurale.

10. Se lo scavo di San Giusto e le ricognizioni nella Valle del Celone han-no contribuito non poco a definire entità e organizzazione della proprietàimperiale e la portata della cristianizzazione delle campagne, il recente sca-vo della villa di Faragola nella valle del Carapelle consente l’approfondi-mento del tema della proprietà aristocratica (figg. 17-20). In Apulia sononumerose le attestazioni di grandi proprietà terriere e di praetoria apparte-nuti ad alcune tra le principali famiglie aristocratiche dell’Impero, come iNicomachi, quasi sicuramente originari di Canosa, i Simmachi, gli Aradii, iValerii. Questo territorio, infatti, rappresentò una delle ultime enclave del-la grande proprietà aristocratica, ancora in un momento in cui, tra V e VIsecolo, altrove in Italia il sistema si andava sgretolando.L’ampia sala da pranzo con il raro stibadium in muratura riccamente de-

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corato e dotato di una fontana e la ricercata decorazione in opus sectilemar-moreo e vitreo, conferma la rilevanza dei riti del convivium e l’eleganza de-gli spazi adibiti a queste pratiche. La recente scoperta dell’ampio e lussuo-so settore termale dimostra come anche la cura del corpo e del benessere fos-sero parte integrante della concezione della vita aristocratica, tanto nelle di-more urbane quanto in quelle rurali, anche in territori lontani da Romama centrali nella gestione patrimoniale.Non disponiamo di elementi certi per poter proporre l’identificazio-

ne del proprietario o meglio della gens cui per molte generazioni appar-tenne la villa, nonostante gli spiragli aperti da alcune iscrizioni. L’identi-ficazione del dominus non può, però, che restare ipotetica, in mancanzadi documenti assolutamente certi (peraltro quasi mai disponibili). Sono,al contrario, evidenti i caratteri del ‘tipo sociologico’ del proprietario diquesta residenza rurale e il messaggio di cui essa è portatrice, attraverso illinguaggio dell’organizzazione architettonica, dell’apparato decorativo edella cultura materiale. Un ceto assai ristretto come quello aristocraticotardoantico esprimeva un’architettura fortemente omogenea. Si coglie co-sì il significato ideologico ed economico di una residenza rurale di una ric-ca e colta famiglia aristocratica in un territorio, come l’Apulia, che co-nobbe in età tardoantica una fase espansiva della sua economia agraria, at-traendo gli investimenti di alcune tra le più potenti e ricche gentes del-l’Impero, tanto da costituire un esempio emblematico del ‘sistema agra-rio tardoantico’ (D. Vera).Come emerge dall’epistolario di Simmaco, proprietario egli stesso di vil-

lae in Italia meridionale, i piaceri dell’otium, della riflessione culturale e del-lo studio, della caccia, della cura del corpo, del ricevimento di amici (ca-tervas amicorum) e clienti, e quindi anche del banchetto, non erano di-sgiunti dalla cura degli affari e della gestione delle ampie proprietà terriere,e non sono quindi necessariamente da leggere come una manifestazione difuga dagli impegni pubblici. Si spiega così l’attenzione personale dei pro-prietari ai lavori di costruzione, alla ristrutturazione e all’abbellimento con-tinuo delle residenze rurali (il morbus fabricatoris, secondo l’efficace dia-gnosi di Simmaco), alla decorazione musiva e parietale, alla moltiplicazio-ne dei vani e alla gerarchizzazione e specializzazione degli spazi destinati al-le diverse attività, ed in particolare la cura quasi maniacale riservata alle sa-le da pranzo, che con le terme, i giardini, le biblioteche e le sale per il rice-vimento, costituivano l’elemento distintivo dell’architettura rurale aulica,come documenta anche la villa di Faragola.

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11. In conclusione, le recenti ricerche condotte in Puglia hanno potuto evi-denziare vari aspetti peculiari degli assetti organizzativi del paesaggi urbanie rurali tardo antichi, che è possibile così sintetizzare:• Le regioni meridionali, e tra queste l’Apulia, conobbero tra III e V se-colo una situazione di relativa tranquillità, che costituiva una condi-zione ideale per gli investimenti. Esiste infatti un forte nesso tra la con-centrazione degli interessi fondiari della ricchissima aristocrazia tar-doantica nelle regioni meridionali, lo spostamento del baricentro pro-duttivo e delle forze economiche verso meridione e la condizione difloridezza e di denso popolamento rurale. Nel IV e ancora nel V-VI se-colo l’Apulia era parte integrante del ‘triangolo mediterraneo’, rappre-sentato da Italia centro-meridionale, dalla Sicilia e dal Maghreb, checostituiva il «cuore della ricchezza gentilizia» (D. Vera).• Nel pieno V secolo il secessus in villam appare ancora una pratica lar-gamente attiva nelle regioni meridionali secondo i modelli tipici del-l’ideologia aristocratica tardoantica.• Tra II-III e IV si realizzò un processo di forte concentrazione della pro-prietà, anche se risulta ancora significativa la presenza di piccoli pro-prietari, come documentano i vici e in particolare le piccole case co-loniche – fattorie che la più recente ricerca va evidenziando.• Le condizioni favorevoli devono aver sollecitato gli investimenti e laproduttività non solo dell’aristocrazia romana, ma anche dei ceti pos-sidenti locali, stimolati ad accumulare surplus da reinvestire in altreattività di tipo imprenditoriale.• Tra IV e V secolo d.C., dopo la riconversione agraria, l’Apulia, comealtre regioni dell’Italia suburbicaria, svolse un ruolo da protagonista,anche sotto l’impulso delle esigenze annonarie. Prima il dirottamentodel grano egiziano verso Costantinopoli, poi l’occupazione vandaladell’Africa che consentì alle province africane di emanciparsi dal ri-fornimento annonario dovuto a Roma, non poterono non accrescerel’importanza delle regioni meridionali peninsulari, fonte preziosa, senon indispensabile, di approvvigionamento del grano e di altre derra-te alimentari di primaria importanza, come carne di maiale e vino.• Significativo fu il ruolo morfogenetico degli edifici di culto, e più ingenerale il processo di cristianizzazione, ed in particolare dell’iniziati-va vescovile. In questo processo occupò un posto di rilievo il com-plesso episcopale. Nella progressiva cristianizzazione dello spazio ur-bano, suburbano e rurale, come emerge visibilmente nei casi emble-matici di Canosa e San Giusto, l’azione vescovile fu sempre determi-

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nante e portò alla creazione di una rete cristiana centrata su nuovi ‘ba-ricentri’, divenuti nuovi elementi identitari delle città e degli abitati ru-rali In tal senso i vescovi più che semplici eredi della tradizione classi-ca cittadina si presentano come creatori di nuove morfologie dello spa-zio urbano, suburbano e rurale.

Nota bibliografica

Il testo qui presentato riprende temi affrontati in maniera più estesa in al-tri miei lavori ai quali rinvio per gli approfondimenti necessari e per la bi-bliografia specifica.

Sugli aspetti generali e sulla metodologia di indagine:G. VOLPE, Con-tadini, pastori e mercanti nell’Apulia tardoantica, Bari 1996; ID., Paesaggi einsediamenti rurali dell’Apulia tardoantica e altomedievale, in G. VOLPE, M.TURCHIANO (eds.), Paesaggi e insediamenti rurali in Italia meridionale fraTardoantico e Altomedioevo (Foggia 12-14 febbraio 2004), Atti del I STAIM,Bari 2005, pp. 299-314; ID., Città apule fra destrutturazione e trasforma-zione: i casi di Canusium ed Herdonia, in A. AUGENTI (ed.), Le città italia-ne tra la tarda antichità e l’alto medioevo, Atti del Convegno di Studi (Ra-venna 26-28 febbraio 2004), Firenze 2006, pp. 559-587; ID., Per una ‘ar-cheologia globale dei paesaggi’ della Daunia. Tra archeologia, metodologia e po-litica dei beni culturali, in G. VOLPE, M.J. STRAZZULLA, D. LEONE (eds.),Storia e archeologia della Daunia, in ricordo di Marina Mazzei, Atti dellegiornate di studio (Foggia 2005), Bari 2008, pp. 447-462.

Su Canosa e San Giusto: G. VOLPE, P. FAVIA, R. GIULIANI, D. NUZZO,Il complesso sabiniano di San Pietro a Canosa, in R.M. CARRA BONACASA, E.VITALE (eds.), La cristianizzazione in Italia fra tardoantico e altomedieovo, At-ti del IX Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Agrigento, 20-25novembre 2004), Palermo 2007, pp. 1113-1165; G. VOLPE, Architectureand Church Power in Late Antiquity: Canosa and San Giusto (Apulia), in L.LAVAN, L. ÖZGENEL, A. SARANTIS (eds.), Housing in Late Antiquity (LateAntique Archaeology, 3.2), Leiden 2007, pp. 131-168; A. DE STEFANO, R.GIULIANI, D. LEONE, G. VOLPE, Ricerche archeologiche nell’area di San Gio-vanni (campagna 2006), in L. BERTOLDI LENOCI (ed.), Canosa, Ricerche sto-riche 2007 Atti del Convegno (Canosa 16-18.2.2007), Martina Franca2008, pp. 53-76; G. VOLPE, L’iniziativa vescovile nella trasformazione deipaesaggi urbani e rurali in Apulia: i casi di Canusium e San Giusto, in Ideo-logia e cultura artistica tra Adriatico e Mediterraneo orientale (IV-X secolo): il

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ruolo dell’autorità ecclesiastica alla luce di nuovi scavi e ricerche, Atti del Con-vegno internazionale (Bologna-Ravenna 26-29 novembre 2007), c.s.

Sulle chiese e le diocesi rurali: G. VOLPE, Vescovi rurali e chiese nellecampagne dell’Apulia e dell’Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioevo,Hortus Artium Medievalium, 14, 2008, pp. 31-47.

Sul ruolo vescovile: G. VOLPE, Il ruolo dei vescovi nei processi di trasfor-mazione del paesaggio urbano e rurale, in G. P. BROGIOLO, A. CHAVARRÍAARNAU (eds.), Archeologia e società tra Tardo Antico e Alto Medioevo, Atti del12° Seminario sul Tardo Antico e l’Alto Medioevo (Padova 29 settembre-1 ottobre 2005), Mantova 2007, pp. 85-106. ID., Sabino di Canosa, vesco-vo e costruttore di chiese nel VI secolo, in G.P. BROGIOLO, A. CHAVARRÍA AR-NAU (eds.), I Longobardi. Dalla caduta dell’Impero all’alba dell’Italia, Mila-no 2007, pp. 89-97; ID., Spectabilis vir restaurator ecclesiarum, in L. BER-TOLDI LENOCI (ed.), Canosa, Ricerche storiche 2007 Atti del Convegno (Ca-nosa 16-18.2.2007), Martina Franca 2008, pp. 23-52.

Sulla villa di Faragola: G. VOLPE, G. DE FELICE, M. TURCHIANO, Fa-ragola (Ascoli Satriano). Una residenza aristocratica tardoantica e un villag-gio altomedievale nella Valle del Carapelle: primi dati, in G. VOLPE, M. TUR-CHIANO (eds.), Paesaggi e insediamenti rurali in Italia meridionale fra Tar-doantico e Altomedioevo (Foggia 12-14 febbraio 2004), Atti del I STAIM,Bari 2005, pp. 265-297; ID., La villa tardoantica di Faragola (Ascoli Satria-no) in Apulia, in A. CHAVARRÍA, J. ARCE, G.P. BROGIOLO (eds.), Villas tar-doantiguas en el Mediterráneo Occidental, Anejos de Archivo Español de Ar-queología, XXXIX, Madrid 2006, pp. 221-251; G. VOLPE, Stibadium e con-vivium in una villa tardoantica (Faragola - Ascoli Satriano), in M. SILVE-STRINI, T. SPAGNUOLO VIGORITA, G. VOLPE (eds.), Studi in onore di Fran-cesco Grelle, Bari 2006, pp. 319-349.

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1. Carta dell’Apulia tardoantica (dis. V. Romano).

2. Veduta aerea del foro di Herdonia (foto G. Volpe).

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3. Canosa, veduta aerea del Battistero di San Giovanni (foto G. Volpe).

4. Canosa, ipotesi ricostruttiva dellapianta della Cattedrale di S. Maria edel Battistero di San Giovanni in etàsabiniana (dis. G. Sibilano).

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5. Canosa, veduta aerea del complesso sabiniano di San Pietro (foto G. Volpe).

6. Canosa, ricostruzione tridimensionale della chiesa di San Pietro (dis. G. De Felice).

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7. San Giusto, veduta aerea della villa e del complesso paleocristiano (foto G. Volpe).

8. San Giusto, pianta de-gli scavi 1995-1999 (dis.G. De Felice).

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9. Veduta aerea del vicus e della chiesa paleocristiana di Santa Giusta (foto V. Romano).

10. Veduta aerea del vicus e della chiesa paleocristiana di Posticchio (foto V. Romano).

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11. Veduta aerea della villa e della chiesa paleocristiana 1 di Borgo Segezia (foto V. Romano).

12. Veduta aerea della chiesa paleocristiana 2 di Borgo Segezia (foto V. Romano).

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13. Veduta aerea della chiesa paleocristiana 3 di Borgo Segezia (foto V. Romano).

14. Ipotesi ricostruttiva dell’estensione del saltus Carminianensis (dis. V. Romano).

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15. Canosa, mattone con il monogramma del vescovo Sabino (foto G. Volpe).

16. San Giusto, mattone con il monogramma di Giovanni (foto G. Volpe).

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17. Faragola, parte delle terme della villa tardoantica (foto G. Volpe).

18. Faragola, la cenatio estiva (foto G. Volpe).

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19. Faragola, uno dei tappeti in opus sectile marmoreo e vitreo della cenatio (foto G. Volpe).

20. Faragola, ipotesi ricostruttiva dello stibadium della cenatio (dis. F. Gagliardi).

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