Tabloid di ortopedia - Speciale Riabilitazione 2014

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Supplemento a Tabloid di Ortopedia Anno IX Numero 5/2014 ISSN 1970-741X ELEZIONI IN SIMFER: SI SCEGLIE IL NUOVO DIRETTIVO LESIONI MIDOLLARI UN PROBLEMA GLOBALE SPORT E PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI FISIOVIEWS LA RICERCA NEL MONDO LINEE GUIDA: UNA RIFLESSIONE CRITICA CORSI E CONGRESSI L’intervista GRIFFIN EDITORE www.griffineditore.it - info@griffineditore.it Giancarlo Rovere ARGILLA + OLII ESSENZIALI Pronta all’uso! Torna l'appuntamento con il congresso nazionale della Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (Simfer), che si tiene al Lingotto di Torino dal 28 settembre all'1 ottobre. Per gli organizzatori lo scopo dichiarato del congresso di quest'anno è quello di presentare in termini di "Innovazione, efficacia e sostenibilità" le migliori pratiche cliniche e organizzative in tutti i campi di interesse della disciplina, valorizzando l’approccio “globale” alla persona con disabilità, superando la frammentazione delle diverse aree di intervento e realizzando l’integrazione delle differenti competenze. Ulteriore e fondamentale obiettivo è quello di far incontrare il mondo della riabilitazione e quello della disabilità su un terreno comune di apertura culturale alla società, al mondo delle associazioni e degli ordini professionali, in una città – Torino – che ha fatto dell'integrazione delle persone con disabilità una delle sue cifre distintive. Per Simfer è anche tempo di elezioni: nell'ambito di questa edizione del congresso – presieduta da Giancarlo Rovere – si rinnoveranno le cariche istituzionali della società scientifica, chiamata a gestire nei prossimi anni una serie di importanti novità per la professione. 42° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER Medicina fisica e riabilitativa: innovazione, efficacia, sostenibilità TABLOID di NUMERO SPECIALE

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Transcript of Tabloid di ortopedia - Speciale Riabilitazione 2014

Supplemento a Tabloid di Ortopedia Anno IX Numero 5/2014 ISSN 1970-741X

ELEZIONI IN SIMFER: SI SCEGLIE IL NUOVO DIRETTIVO

LESIONI MIDOLLARIUN PROBLEMA GLOBALE

SPORT E PREVENZIONEDEGLI INFORTUNI

FISIOVIEWSLA RICERCA NEL MONDO

LINEE GUIDA: UNA RIFLESSIONE CRITICA

CORSIE CONGRESSI

L ’ i n t e r v i s t a

GRIFFIN EDITORE www.griffi neditore.it - info@griffi neditore.it

Giancarlo Rovere

ARGILLA + OLII ESSENZIALI

Pronta all’uso!

Torna l'appuntamento con il

congresso nazionale della Società

italiana di medicina fisica e

riabilitativa (Simfer), che si tiene al

Lingotto di Torino dal 28 settembre

all'1 ottobre.

Per gli organizzatori lo scopo

dichiarato del congresso di

quest'anno è quello di presentare

in termini di "Innovazione, efficacia

e sostenibilità" le migliori pratiche

cliniche e organizzative in tutti i

campi di interesse della disciplina,

valorizzando l’approccio “globale”

alla persona con disabilità,

superando la frammentazione

delle diverse aree di intervento e

realizzando l’integrazione delle

differenti competenze.

Ulteriore e fondamentale obiettivo

è quello di far incontrare il mondo

della riabilitazione e quello della

disabilità su un terreno comune

di apertura culturale alla società,

al mondo delle associazioni e

degli ordini professionali, in

una città – Torino – che ha fatto

dell'integrazione delle persone

con disabilità una delle sue cifre

distintive.

Per Simfer è anche tempo di

elezioni: nell'ambito di questa

edizione del congresso –

presieduta da Giancarlo Rovere

– si rinnoveranno le cariche

istituzionali della società

scientifica, chiamata a gestire

nei prossimi anni una serie

di importanti novità per la

professione.

42° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER

Medicina fi sica e riabilitativa: innovazione, effi cacia, sostenibilità

TA B LO I D di

N U M E R O S P E C I A L E

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Il 42° congresso della Società italiana di medicina fi sica e riabilitativa torna a Torino dopo vent’anni aff rontando il tema della Mfr in termi-ni di innovazione, effi cacia e sostenibilità. «Ora come non mai – aff erma Giancar-lo Rovere, vicepresidente Simfer e presidente di que-sta edizione del congresso – come fi siatri dobbiamo operare avendo sempre ben presenti questi aspetti, in tutti i settori della nostra disciplina: una disciplina e una società scientifi ca ormai “adulta”, a 56 anni dalla sua fondazione, che opera a 360 gradi nella medicina e che deve aff rontare il recupero della persona con disabilità nella sua globalità, utilizzan-do il migliore sapere medi-co, le più recenti e innova-tive tecniche e tecnologie riabilitative, avendo sempre

presente la loro reale effi ca-cia e sostenibilità».Per il congresso torinese, le 27 sezioni Simfer hanno lavorato insieme su alcuni temi principali proprio per-ché, secondo Giancarlo Ro-vere, pur avendo presenti al-cune diff erenze di intervento riconducibili alla patologia d’organo o alla comorbidi-tà, i principi e le modalità operative sono e rimangono sempre unici e specifi ci della disciplina. «Questo ha per-messo di avere relazioni di peso e ha determinato una risposta elevata da parte del singolo socio, sia in termini di qualità e di numerosità dei contributi che verranno presentati, sia in termini di partecipazione» ci ha detto il presidente. «Come presidente del con-gresso e come segreteria scientifi ca – dichiara Rove-

re – abbiamo voluto costru-ire un congresso nazionale che fosse espressione delle migliori esperienze nella nostra disciplina. Abbia-mo realizzato, attraverso il coinvolgimento di esperti, momenti formativi clinici specifi ci sotto forma di ate-lier e di workshop sulle più recenti e attuali applicazioni in medicina fi sica e riabilita-tiva. Abbiamo coinvolto nelle relazioni le professioni che lavorano tutti i giorni con noi negli ospedali, in università e sul territorio, perché le loro competenze sono insostitu-ibili e perché sono i nostri più preziosi alleati. Con loro condividiamo l’approccio alla soluzione dei problemi della persona disabile, forti delle rispettive competenze e dei diversi percorsi forma-tivi e sempre ispirati da un comune terreno culturale.

Abbiamo organizzato sessio-ni plenarie, anche congiunte con altre società scientifi che e con la partecipazione degli specialisti d’organo, perché siamo convinti che solo at-traverso il confronto e l’inte-grazione delle diverse com-petenze mediche sia possibile migliorare la presa in carico della persona con disabilità nella sua globalità. Al con-gresso presentiamo nuove raccomandazioni e linee gui-da sull’osteoporosi, sulla pre-sa in carico in rianimazione delle gravi cerebrolesioni, nel trattamento in età evolutiva. Ma c'è anche spazio per un ampio dibattito sui limiti e sull’utilità delle linee guida che vedrà la partecipazione della Fnomceo, dei medici e dei pediatri di base, ma an-che delle associazioni. Que-ste saranno coinvolte durante il congresso in un anno che

è stato dedicato dalla Simfer e dalla Faip alla persona con lesione midollare».Il congresso è anche l’oc-casione per celebrare il 50° anno della rivista interna-zionale European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine, che ormai ha rag-giunto un elevato impact factor, tanto da farla diven-tare una rivista di riferimen-to riabilitativo a livello inter-nazionale. «Possiamo contare sulla par-tecipazione delle migliori personalità in campo inter-nazionale – continua Rove-re – che contribuiranno a elevare i contenuti tematici del congresso. Sempre nella stessa giornata avremo pos-sibilità di partecipare al Four countries meeting – tradi-zionale incontro dei fi siatri di lingua tedesca – e ci sarà la presentazione del “Who

disability report and action plan on rehabilitation” che così chiaramente defi nisce la vision a livello mondiale per una migliore qualità della vita in termini di salute della persona con disabilità». Ci sono insomma tutti gli in-gredienti per una edizione di successo. «Sarà un congres-so molto partecipato – ci ha detto Giancarlo Rovere alla vigilia della manifestazione scientifi ca – anche perché coincide con il rinnovo delle cariche societarie, e da parte mia non posso che fare un augurio al nuovo presiden-te, a tutto il nuovo uffi cio di presidenza e alle altre cariche di poter svolgere al meglio le proprie funzioni nell’interesse della persona con disabilità e per la cresci-ta della nostra disciplina».

Giampiero Pilat

Dottor Rovere, in che modo si deve articolare il siste-ma di servizi per la salute nei diversi livelli e specifi -cità (acuzie, post-acuzie, cronicità), in modo da tener conto della necessità di una visione organica e integrata tra sanitario e so-ciale?Esiste un’unica modalità organizzativa che può vera-mente rispondere in termi-ni inclusivi ai bisogni della persona con disabilità nei diversi momenti del percorso di cura, sia che il trattamento riabilitativo venga erogato in regime di degenza per acuzie

durante il trattamento della malattia d’organo, di degenza di riabilitazione, in ambu-latorio, presso una struttu-ra residenziale protetta o al domicilio: questa struttura è la Soc (Struttura operativa complessa) di medicina fi sica e riabilitativa e il dipartimen-to di riabilitazione e post-a-cuzie, così come ribadito nel Piano nazionale di indirizzo della riabilitazione del 2011. È proprio attraverso l’istitu-zione del dipartimento che è possibile operare attraverso una visione organica e com-prensiva del sistema “salute” in tutta l’area della post-acu-

zie attraverso una modalità operativa in rete tra tutte le strutture e riuscire a incidere positivamente in tema di ap-propriatezza di intervento, in termini di scelta del setting e di corretta allocazione e im-piego di risorse umane e tec-nologiche. In questo modo si supera la frammentazione degli interventi, si adottano procedure validate e condivi-se da tutti gli operatori e isti-tuzioni coinvolte, sanitarie e sociali, si garantisce l’equità di accesso alle cure e si pos-sono creare utili sinergie an-che con il privato accreditato, le organizzazioni no-profi t e di volontariato. Ma se vogliamo veramente giungere a una vera integra-zione tra sistema sanitario e sociale, per rendere più effi cace la comunicazione non solo tra servizi della medesima area d’intervento (tra Asl, tra ospedali), ma anche tra servizi di diversa competenza (Asl, scuola, la-voro), è necessario incomin-ciare a utilizzare un unico “linguaggio”. Un linguaggio e un sistema classifi cativo che permetta di integrare le informazioni che vengono dalla diagnosi medica, sep-pure importanti, con quelle che riguardano il reale qua-dro funzionale della perso-na, vale a dire che cosa quel-la persona è in grado di fare e quali sono invece le attività

nelle quali ha delle diffi col-tà. Oggi questo è possibile grazie a un approccio alla cura di tipo bio-psico-socia-le e all’introduzione dell’Icf, Classifi cazione internazio-nale del funzionamento, della disabilità e della salute, nella nostra pratica clinica quotidiana. Un auspicio è che grazie all’uso di inno-vativi strumenti di natura informatica sia possibile “tracciare” i risultati del trat-tamento in termini di outco-me e sia possibile governare meglio l’intero sistema salu-te.

Qual è la sua esperienza in proposito?Da circa dieci anni dirigo una struttura complessa di Mfr e un dipartimento di riabilitazione e post-acuzie con ottimi risultati. Il per-corso è stato lungo e diffi cile ma oggi, anche grazie al la-voro fatto sui tavoli regionali e l’impulso dato dal Pindria (Piano di indirizzo nazio-nale sulla riabilitazione) a livello nazionale, il fi siatra del dipartimento è diventato il “garante” del percorso di continuità delle cure (Per-corso riabilitativo unico) che viene defi nito, anche con il contributo dello specialista d’organo e della famiglia, e per quanto possibile, fi n dal momento del ricovero nel

reparto di acuzie. Questo permette di dare una rispo-sta e un’informazione chiara e defi nita alla persona con disabilità, sfruttando le pos-sibilità della rete, annullan-do i tempi morti e soprat-tutto assicurando la garanzia della continuità delle cure.Il fi siatra, attraverso la va-lutazione quali-quantitativa dei bisogni clinici, riabili-tativi e assistenziali della persona e la redazione di un Progetto riabilitativo indivi-duale (Pri), comprensivo dei Programmi riabilitativi che saranno realizzati dalle pro-fessioni, dichiara quali sono gli obiettivi del trattamento e il percorso per raggiunger-li, tenendo conto anche dei bisogni e delle aspettative della persona con disabilità e della famiglia (componente

sociale). In questo modo si viene a creare un vero “pat-to” per la salute della perso-na che si sente fi nalmente sostenuta e accompagnata nel percorso di cura.

Si parla sempre più spesso di una riorganizzazione della medicina in modo che sia più vicina al territorio, in modo da minimizzare il ricorso a centri ospedalieri e garantire un’assistenza più vicina alla persona. In questo senso, il mondo del-la riabilitazione ha avuto un ruolo da apripista? Cosa è stato fatto e cosa resta da fare?Se molto è stato fatto, dob-biamo ammettere che il cammino verso un modello d’intervento riabilitativo in-

Congresso Simfer: sostenibilità ed effi cacia al centro del dibattitoAl Lingotto di Torino da domenica 28 settembre a mercoledì 1 ottobre gli specialistidella Simfer si riuniscono nel loro congresso annuale. Oltre al dibattito scientifi co sono in programma le elezioni per il rinnovo delle cariche associative

Giancarlo Rovere, presidente del 42esimo congresso

nazionale della Società di medicina fi sica e riabilita-

zione (Simfer), dirige il Dipartimento di riabilitazione e

post-acuzie della Asl di Alessandria e, da oltre un de-

cennio, la Struttura complessa di Rrf degli Ospedali riu-

niti di Tortona, Novi Ligure, Ovada e Acqui Terme.

Dal 2004 ha partecipato attivamente ai lavori del grup-

po di lavoro dell’Assessorato alla tutela della salute e

sanità della Regione Piemonte e dell’agenzia regionale

per il settore della riabilitazione con l’obiettivo di rileg-

gere il modello sanitario al fi ne di garantire continuità

assistenziale e recupero funzionale delle persone disa-

bili e di individuare i criteri di appropriatezza sia di tipo

organizzativo-gestionale che di tipo clinico: è quindi la

persona più adatta per approfondire quegli aspetti di

politica della salute che determinano le possibilità con-

crete di assistere al meglio le persone con disabilità.

IL SISTEMA SALUTE E LA SUA ORGANIZZAZIONE SUL TERRITORIO

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clusivo e orientato all’outco-me a livello domiciliare e ambulatoriale effi cace è ancora lungo e impegnati-vo. Ci troviamo di fronte a modalità di intervento di-verse da Regione e Regione. Spesso molto di quello che è stato enunciato e scritto non è stato tradotto in pra-tica. Spesso gli investimenti economici, soprattutto a li-vello domiciliare, sono stati inconsistenti, con risultati deludenti e, in alcuni casi, anche con spreco di risorse economiche. Spesso la persona con disabi-lità ci chiede: “come mai non mi date il ricovero o l’inter-vento a domicilio, mentre se vado in quella Regione mi viene assicurato con estrema facilità?” È questa criticità che dobbiamo superare e speriamo che il nuovo Patto della salute 2014-2016, che porrà al centro la garanzia della equità di accesso e l’u-niversalità del sistema, possa defi nire modalità operative comuni, anche attraverso una ridefi nizione dei Lea e l’introduzione delle Unità complesse di cure primarie (Uccp) e delle Aggregazioni funzionali territoriali (Aft ). Se è vero che molti vedono nella deospedalizzazione un’occasione per trasformare strutture ospedaliere in strut-ture di continuità delle cure, magari anche di tipo riabili-tativo, o comunque per tra-sferire a livello territoriale at-tività che ora vengono svolte in ospedale, è anche vero che sarebbe meglio che il proces-so avvenisse più in termini di “spedalizzazione”, cioè realiz-zando un modello orientato alla costruzione di un siste-ma per gli acuti e di uno per la post-acuzie, nel rispetto dei livelli di appropriatezza e di sicurezza delle cure. In questa direzione la nostra società scientifi ca è disponi-bile a mettere a disposizione delle istituzioni le evidenze e l’esperienza maturata in tutti questi anni nelle diverse re-altà regionali.

Ma l’intervento domicili-are rappresenta sempre la soluzione migliore?È necessario uscire da quello che sta diventando un dog-ma, cioè che l’intervento a domicilio sia sempre sinoni-mo di riabilitazione effi cace. Se è vero che dobbiamo in-vestire risorse sul territorio è anche vero che dobbiamo

avere sempre presente la natura dell’intervento che andiamo a svolgere al domi-cilio e se questo rappresenta il setting ideale per raggiun-gere l’obiettivo che abbiamo defi nito con la persona disa-bile. Dobbiamo evitare che questo si traduca in mere azioni più di natura assisten-ziale che riabilitativa vera e propria. In questi casi è più utile investire in un progetto educazionale per la famiglia e il caregiver. Comunque, dobbiamo fare uno sforzo per uscire dall’o-spedale attivando strutture ambulatoriali e protette che diano una risposta alterna-tiva al ricovero ma che al tempo stesso garantiscano il diritto alla cura appropriata secondo le modalità così ben espresse nel Pindria.

Quali sono le diffi coltà eco-nomiche e organizzative di spostare l’assistenza sul ter-ritorio?Se per territorio ci riferiamo al domicilio è evidente che ci scontriamo con il pro-blema delle distanze, della complessità geografi ca del territorio e della necessità di avere a disposizione un parco mezzi per la mobilità considerevole, che richiede investimenti mirati. Ma se la valutazione fi siatrica dei bisogni a monte è corretta e il setting risulta appropriato, questi problemi si traduco-no, al contrario, in un inve-stimento, perché a fronte di costi residenziali protetti più elevati – per non parlare di quelli ospedalieri – ci ren-diamo conto che la nume-rosità dei casi, spesso, non è così elevata e che in molti casi l’educazione/istruzione del caregiver determina una ricaduta positiva sulla quali-tà di vita della persona con disabilità nel proprio conte-sto sociale. Ma il territorio non è solo il domicilio, c’è anche l’ambu-latorio e ci sono le strutture sanitarie. Questi devono es-sere necessariamente alloca-ti vicino alla residenza della persona con disabilità e se, come succede spesso, il pro-blema principale è quello del trasporto della persona ver-so la struttura, dobbiamo su-perarlo con modelli organiz-zativi vincenti, magari con il contributo delle associazioni o dei comuni.

Renato Torlaschi

«Credo di poter dire che la nostra società nel suo

complesso abbia dato un contributo assai signifi ca-

tivo alla crescita culturale della riabilitazione nel

nostro Paese». Sono queste le parole di Vincenzo

Maria Saraceni alla vigilia del 42esimo congresso

nazionale della Società italiana di medicina fi sica

e riabilitativa (Simfer), che sarà l’occasione per un

rinnovo delle cariche istituzionali della società sci-

entifi ca.

Nell’ultimo triennio, il professore ha ricoperto la car-

ica di presidente Simfer e, rivolgendo uno sguardo

al recente passato, così continua: «ritengo che la

nostra presenza nell’elaborazione del Piano di in-

dirizzo per la riabilitazione, approvato dal ministero

della Salute nel 2011, sia stata importante e questi

tre anni sono stati spesi principalmente per il tras-

ferimento del Piano nelle realtà regionali e nella sua

applicazione, peraltro ancora parziale: credo sarà

materia anche per la nuova dirigenza. Molto si è

fatto sul piano culturale e molto per la difesa della

nostra disciplina dai tentativi di inframmettenze da

parte di altre specialità».

Professor Saraceni, come avverrà il passaggio di consegne ai nuovi dirigenti Simfer?Il congresso nazionale di Torino sarà elettivo e quindi avremo la nuova dirigenza del Simfer per il prossimo triennio. Le occasioni elettorali portano sempre con sé confronti stimolanti su visioni programmatiche diverse, ma anche, purtroppo, divisioni tra schieramenti che fi niscono per lasciare il segno anche sui rapporti personali che andrebbero, invece, sempre tutelati.Ci sono due candidati alla presidenza e due alla segreteria nazionale e poi numerosi candidati per le cariche di vicepresidente previste dallo statuto.La mia aspettativa è che davvero ci si confronti sui programmi in spirito di servizio alla Simfer, rimanendo lontani da ogni tentazione di potere.La riabilitazione nel nostro Paese è in forte sviluppo e deve raccogliere sfi de importanti quali quelle relative alle condizioni di complessità e di cronicità di molti pazienti, a motivo dell’invecchiamento della popolazione oppure quelle, come spero di sottolineare più avanti, della defi nitiva aff ermazione della propria specifi cità: sarebbe davvero grave se si smarrisse quel clima unitario vissuto in questi ultimi tre anni che hanno visto il riconoscimento del ruolo della nostra società scientifi ca anche a livello europeo e internazionale.

Lei ha dedicato molta attenzione alla defi nizione professionale del fi siatra; c’è ancora la necessità di defi nire un’identità e un ruolo? Credo che la cosa più importante sia la defi nizione della nostra identità culturale, cioè l’aff ermazione del nostro sapere e del nostro saper fare. Il richiamato Piano di indirizzo recita che la medicina riabilitativa è una specialità che richiede “cultura, strumenti, metodologie, organizzazione e modalità di remunerazione specifi che non mutuabili da quelle in fase acuta”. Questa specifi cità deve essere scritta nella consapevolezza che la

nostra è una disciplina applicativa nel senso che accoglie al suo interno il progresso delle scienze collegate, empiriche e umanistiche, e le traduce con rigore scientifi co in comportamenti operativi per il recupero delle persone con disabilità. Recupero, si badi, in un'ottica non riduzionista propria del modello di malattia ma secondo una visione tesa a superare le problematiche psicologiche e sociali oltre che, ovviamente, quelle biologiche secondo un modello bio-psico-sociale.Riguardo a questo impegno voglio ricordare che la Simfer ha promosso, su mia indicazione, la realizzazione di tre libri su altrettanti temi che ritengo fondamentali: il primo, “ Ricerca e riabilitazione”, è stato presentato lo scorso anno al congresso di Roma, mentre gli altri due saranno presentati proprio in occasione del congresso di Torino: “Spasticità e riabilitazione” e “Dolore e riabilitazione”. Come si può notare, sono tre grandi temi che attraversano numerose competenze specialistiche da cui pure si diff erenziano per indicare la via riabilitativa. Voglio ancora ricordare l'istituzione della scuola superiore di formazione in medicina manuale, una competenza che non dovrebbe

mancare nella professionalità del fi siatra, il cui primo corso si terrà a partire da ottobre. Solo se tutti i fi siatri italiani diventeranno i primi della classe nelle terapie manuali non avremo timore dell’ipotesi, avanzata da un disegno di legge, di istituzione di un albo professionale dei chiropratici o degli osteopati: il fi siatra off rirà sempre qualcosa di più e di meglio.

Tra le novità che sembrano aff acciarsi nella formazione medica, si parla con sempre maggiore insistenza di una riduzione degli anni dei corsi di specializzazione. Cosa signifi cherebbe per gli specialisti in medicina fi sica e riabilitazione? Ormai l’orientamento governativo a favore della riduzione del numero degli anni di tutte le specializzazione è consolidato e verrà attuato a partire dal prossimo anno. Il problema non mi sembra debba essere posto sulla durata del corso quanto piuttosto sui suoi contenuti. L’attuale percorso formativo previsto per la scuola di specializzazione in medicina fi sica e riabilitativa mi sembra ancora lontano dall’evocare quella specifi cità culturale di cui facevo cenno prima.La riduzione del numero degli anni da cinque a quattro sarà l’occasione propizia per ridisegnare i contenuti formativi per la specifi cità professionale del fi siatra, tanto nelle attività cliniche quanto in quelle di ricerca, che ritengo necessarie per la moderna riabilitazione. Se non si farà questo, il rischio è di rimanere vincolati solo alle scienze biologiche con la tentazione-pretesa di altri specialisti di invadere un terreno che non può appartenere a loro. In questo, società scientifi ca e accademia dovranno lavorare con grande sinergia e tempestività senza aspettare che l’iniziativa sia presa dai ministeri competenti, perché si rischierebbe di dover contrastare eventuali visioni non soddisfacenti per la riabilitazione e, tenuto conto del passato, il rischio è assai grosso.

Renato Torlaschi

ELEZIONI SIMFERLo scenario è in evoluzione. A guidare il cambiamento sarà una nuova dirigenza

> Vincenzo Maria Saraceni,

presidente Simfer 2011-2014

CONGRESSO SIMFER 2015La 43esima edizione del congresso Simfer si terrà nel 2015 a Ferrara. Responsabile scientifi co di questa edizione sarà Nino Basaglia, direttore di medicina riabilitativa presso l'Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara

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Sono 85.000 gli italiani colpiti da lesione al midol-lo spinale, al ritmo di 2.500 nuovi casi l’anno, sette al giorno: i dati della Fede-razione delle associazioni italiane para-tetraplegici (Faip) impongono un’at-tenta valutazione socio-sa-nitaria, anche perché a queste cifre corrisponde una drammatica carenza di posti letto in centri spe-cializzati, appena 450.Inoltre, le Unità spina-li unipolari e i Centri di riabilitazione dedicati al trattamento delle perso-ne con lesioni midollari sono quasi tutte colloca-te al nord e centro Italia. «In pratica – denuncia la Società italiana di medi-cina fisica e riabilitativa (Simfer) – solo tre pazienti

su dieci riescono ad avere assistenza in questi centri nelle 24 ore successive al trauma. Per tutti gli altri c’è il calvario delle liste di attesa che può dura-re anche più di un anno. Un fattore, questo, cha ha profonde ripercussioni, a breve e lungo termine. La crisi purtroppo colpisce i più deboli: secondo uno studio condotto da Istud (Istituto studi direziona-li) in collaborazione con Faip, la media dei costi diretti a carico del nucleo familiare di una persona con lesione midollare si aggira sui 29.900 euro per il primo anno per scende-re negli anni successivi: costi sostenuti per il 73% delle famiglie coinvolte. Inoltre, l’assenza di un da-

tabase che raccolga i dati epidemiologici, impedisce di formulare una valuta-zione globale dei bisogni assistenziali e quindi di interventi di politica so-cio-sanitaria».

Un problema globaleSi tratta di un rilevante problema di sanità pub-blica globale e l’Oms stima dai 15 ai 45 i nuovi casi di lesioni midollari all’anno per milione di abitanti per cause traumatiche e non traumatiche, pari a circa 250.000-500.000 persone nel mondo. È interessan-te notare che il fenomeno si distribuisce in modo diverso da Paese a Paese. Storicamente, il 90% di queste lesioni era a carat-

tere traumatico, ma recen-ti studi hanno evidenziato un notevole incremento delle lesioni non trauma-tiche, probabilmente in rapporto con l’avanzare dell’età.Le problematiche legate alle lesioni midollari sono state oggetto di un do-cumento dell’Organizza-zione mondiale di sanità, “International spinal cord injury”, la cui traduzione è stata chiesta all’Oms da Simfer e Faip e verrà pre-sentata a fine anno e suc-cessivamente sarà consul-tabile sul sito della società scientifica.Quando una lesione mi-dollare si produce in con-seguenza a un evento trau-matico come un incidente stradale o a una caduta, la transizione da uno stato di buona salute a quello di disabilità permanente è spesso questione di pochi secondi. Ma c’è una buo-na notizia: «il messaggio di questo rapporto – dice Margaret Chan, direttrice generale dell’Oms – è che le lesioni al midollo spina-le si possono prevenire e che non impediscono una buona qualità della vita e un pieno contributo alla società».La prevenzione primaria comprende quelle attività che tendono a rimuovere le cause delle lesioni, per esempio con programmi di controllo del traffi-co che possano ridurre il numero complessivo dei traumi. La prevenzione secondaria avviene inve-ce dopo che l’evento trau-matico ha avuto luogo e si ottiene garantendo una diagnosi e un trattamento precoci, che in molti casi sono in grado di limita-re le disabilità. C’è infine quella che viene chiamata prevenzione terziaria, che si focalizza sulla riabili-tazione e sugli interventi sull’ambiente, per ridurre le complicanze e favorire l’inclusione sociale delle persone con lesioni al mi-dollo spinale.

Il documento OmsIl testo dell’Oms contie-ne le migliori evidenze scientifiche relative alle strategie per abbassare l’incidenza delle lesioni al midollo, in particola-re per cause traumatiche, e discute delle modalità con cui i sistemi sanitari

pubblici possono rispon-dere in maniera efficace alle esigenze delle persone che ne sono colpite; questo compito si estende ad al-tri segmenti della società e si concretizza per esem-pio nell’eliminazione delle barriere architettoniche e nel garantire l’accesso a scuole, università e posti di lavoro.Esiste una convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità che impegna le nazioni a orga-nizzarsi al meglio. Prima di tutto, la risposta iniziale al trauma deve essere tem-pestiva e questo significa disporre di un sistema di medicina di emergen-za-urgenza efficiente nel soccorso pre-ospedaliero e nel trattamento in acuto, in modo tale da assicurare l’immediata sopravvivenza e una successiva stabiliz-zazione. Ci sono poi i servizi me-dici e riabilitativi post-a-cuzie, che devono puntare a ripristinare il massimo grado possibile di indipen-denza della persona con lesione midollare, con il ritorno all’attività scolasti-ca o lavorativa. Infine ci sono i servizi che puntano al mantenimen-to della salute, riducendo e affrontando al meglio le complicazioni (esempi tipici sono le infezioni al tratto urinario, le ulcere da pressione e le lesioni da

overuse): «senza la possi-bilità di accedere ai servizi sanitari di base, una per-sona affetta da lesioni al midollo spinale ha molte più probabilità di morte prematura», avvertono gli esperti dell’Oms. Come si vede, i servizi che si ri-chiedono alla società ri-calcano esattamente le tre fasi attraverso le quali si articola la prevenzione.L’attività della Simfer si svolge nel solco suggerito dall’Organizzazione mon-diale della sanità e com-prende, tra l’altro, la sensi-bilizzazione del ministero della Salute perché istitu-isca un registro delle per-sone con lesioni midollari e l’attivazione di progetti di ricerca sul trattamento di queste persone in col-laborazione con i direttori delle scuole di specializza-zione in medicina fisica e riabilitativa e con i diret-tori scientifici degli Irccs a valenza riabilitativa.

G. P.

Lesioni al midollo spinale:l'assistenza è insuffi cienteIn Italia Simfer e Faip denunciano un livello di assistenza ben al di sotto delle necessità dei pazienti colpiti da lesione del midollo spinale. A livello globale l'Oms studia le strategie per ridurne l'incidenza

Promuovere l’attività fi sica fra le perso-

ne con disabilità e sensibilizzare la cit-

tadinanza ai temi della mobilità sosteni-

bile e sicura: sono due degli obiettivi di

Rehabike 2014, una maratona ciclistica

di solidarietà organizzata dalla Società

di medicina fi sica e riabilitativa e dalla

Federazione associazioni italiane pa-

ra-tetraplegici e dedicata in particolare

alle problematiche della disabilità dovuta

a lesione del midollo spinale. Il percorso

prevede sei tappe giornaliere, da Treviso

(23 settembre) fi no a Torino (il 30) pro-

prio dove si svolgono i lavori del 42° con-

gresso nazionale Simfer.

Le lesioni del midollo spinale comportano

interventi riabilitativi lunghi e complessi

con gravi disabilità permanenti e signi-

fi cative implicazioni a livello familiare e

sociale. Diventa dunque fondamentale

sostenere e affiancare le persone affette

da questa disabilità in un percorso riabili-

tativo che li possa guidare verso il reinse-

rimento sociale e l'autosufficienza, senza

mai dimenticare una forte azione di pre-

venzione. In questo percorso, viene rico-

nosciuta un’importanza sempre maggiore

all’attività fi sica.

Un altro obiettivo essenziale di Rehabike

2014 è raccogliere fondi per iniziative de-

dicate alla riabilitazione e alla partecipa-

zione sociale delle persone con traumi

del sistema nervoso, mediante il coinvol-

gimento di associazioni, aziende, gruppi

e privati cittadini. Ciascuna giornata della

maratona tocca strutture riabilitative che,

oltre alla raccolta di fondi, assicurano

un’attività di informazione e sensibilizza-

zione sugli argomenti oggetto dell’iniziati-

va. I fondi raccolti saranno stanziati per il

fi nanziamento di progetti rivolti al miglio-

ramento della mobilità delle persone con

disabilità da lesione del midollo spinale,

nell'ambito della campagna “Una buona

idea per muoversi”.

G. P.

REHABIKE 2014, LO SPORT A SOSTEGNO DELLE PERSONE CON DISABILITÀ

CONVEGNO

TRAUMI E SPORT: NUOVI APPROCCIIN PREVENZIONE E CHIRURGIA

«Il gesto sportivo è cambiato nel corso degli anni, ponen-

do sempre più attenzione alla forza, alla potenza e alla

velocità con cui esso viene eseguito. Sono quindi cambia-

te le tecniche di preparazione dell’atleta al gesto sportivo

e, di conseguenza, è cambiato il tipo di trauma e il suo

specifi co trattamento». È questa la consapevolezza, il pun-

to di partenza del convegno “I traumi dello sport: nuove

metodologie di trattamento preventivo, conservativo e chi-

rurgico” che si terrà sabato 4 ottobre a Mesagne (Brindi-

si), sotto la guida scientifi ca di Giuseppe Peretti e Pietro

Ciampi, entrambi specialisti dellIrccs Istituto Ortopedico

Galeazzi di Milano.

«Le tecniche chirurgiche, così come le tecniche riabilita-

tive, si sono affinate, sono diventate più specifi che, più

“soggettive”, sono meno invasive proprio per garantire un

miglioramento della qualità e della tempistica del recupe-

ro dell’infortunio – spiegano i due chirurghi –. In questo

contesto, oggi, acquista notevole importanza l’utilizzo di

nuove metodologie terapeutiche quali i fattori di crescita

(PRP) e la viscosupplementazione intese appunto come

prevenzione e come cura del trauma sportivo».

Per informazioni: Ikos srl

Tel. 011.377717 - [email protected]

Binostoalendronato 70 mg4 compresse effervescenti

Classe A Nota 79 - RR

Euro 15,37prezzo di riferimento

formulazioneeffervescentee tamponataper l’osteoporosi

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BINOSTO 089/001. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Binosto 70 mg compresse effervescenti 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa effervescente contiene 70 mg di acido alendronico come 91,37 mg di alendrona-to triidrato sodico. Eccipienti: Ogni compressa effervescente contiene 602,54 mg di sodio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compressa effervescente. Compresse efferve-scenti di colore bianco-biancastro, piatte, rotonde con un diametro di 25 mm e con bordi smussati. 4. INFORMA-ZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Trattamento dell’osteoporosi postmenopausale. Binosto riduce il rischio di fratture vertebrali e dell’anca. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia La dose raccoman-data è di una compressa effervescente da 70 mg in monosomministrazione settimanale. I pazienti devono essere informati che in caso di mancata assunzione della dose di Binosto 70 mg, devono assumere una compressa effer-vescente al mattino successivo al giorno in cui se ne sono accorti. Non si devono prendere due compresse effer-vescenti lo stesso giorno ma si deve ricominciare ad assumere una compressa effervescente una volta a settima-na, nel giorno prescelto come stabilito in precedenza. Non è stata stabilita la durata ottimale del trattamento con bisfosfonati per l’osteoporosi. La necessità di un trattamento continuativo deve essere rivalutata in ogni singolo paziente periodicamente in funzione dei benefici e rischi potenziali di Binosto, in particolare dopo 5 o più anni d’u-so. Modo di somministrazione Per ottenere un adeguato assorbimento dell’alendronato: Binosto 70 mg deve esse-re assunto almeno 30 minuti prima di qualsiasi alimento, bevanda o medicinale della giornata, solamente con acqua di rubinetto. E’ probabile che altre bevande (inclusa l’acqua minerale), alimenti ed alcuni medicinali ridu-cano l’assorbimento dell’alendronato (vedere paragrafo 4.5). Per facilitare il raggiungimento dello stomaco e di conseguenza minimizzare il rischio di irritazione locale ed esofagea e delle reazioni avverse correlate (vedere pa-ragrafo 4.4): Binosto 70 mg deve essere assunto solo dopo essersi alzati dal letto per iniziare la giornata, sciolto in mezzo bicchiere di acqua di rubinetto (non meno di 120 ml). La soluzione deve essere bevuta quando ha termina-to di frizzare e la compressa effervescente si è completamente sciolta dando origine ad una soluzione limpida ed incolore, seguita da almeno 30 ml di acqua di rubinetto (un sesto di bicchiere). Può essere assunta ulteriore acqua di rubinetto. I pazienti non devono deglutire la compressa effervescente non dissolta, non devono masticare la compressa effervescente o lasciare che la compressa effervescente si dissolva nella loro bocca perché può cau-sare irritazione orofaringea. Se la compressa non si dissolve completamente, la soluzione può essere mescolata finché non sia limpida ed incolore. I pazienti non si devono distendere fintanto che non abbiano mangiato qualcosa, il che deve avvenire almeno 30 minuti dopo aver assunto la compressa effervescente. I pazienti non devono distender-si per almeno 30 minuti dopo aver assunto Binosto 70 mg. Binosto 70 mg non deve essere assunto al momento di coricarsi o prima di alzarsi dal letto all’inizio della giornata. I pazienti devono assumere integratori di calcio e vitamina D se l’assunzione con la dieta non è adeguata (vedere paragrafo 4.4). Popolazione anziana: Negli studi clinici non è stata dimostrata nessuna differenza legata all’età nei profili di efficacia o di sicurezza dell’alendronato. Non è per-tanto necessario alcun aggiustamento della dose nei pazienti anziani. Compromissione della funzione renale: Non è necessario aggiustare il dosaggio nei pazienti con velocità di filtrazione glomerulare (VFG) maggiore di 35 ml/min. L’alendronato non è raccomandato in pazienti con funzione renale compromessa quando la VFG è minore di 35 ml/min, in quanto non vi sono esperienze in proposito. Popolazione pediatrica: L’aledronato sodico non è rac-comandato per l’uso nei bambini di età inferiore a 18 anni in quanto i dati sulla sicurezza e l’efficacia in condizioni asso-ciate con l’osteoporosi pediatrica non sono sufficienti (vedere anche paragrafo 5.1). Binosto 70 mg non è stato studiato per il trattamento di osteoporosi indotta da glucocorticoidi. 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità all’alendronato o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Patologie dell’esofago e altri fattori che ritardano lo svuotamento esofageo, come stenosi o acalasia. Impossibilità a stare in piedi o seduti con il busto eretto per almeno 30 minuti. Ipocalcemia. Ve-dere anche sezione 4.4 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego L’alendronato può causare irritazione locale della mucosa del tratto gastrointestinale superiore. A causa del potenziale peggioramento della patologia di base, si deve agire con cautela nel somministrare l’alendronato a pazienti con patologie attive a livello del trat-to gastrointestinale superiore, quali disfagia, patologie esofagee, gastrite, duodenite, ulcere o con storia recente (entro l’anno precedente) di patologie gastrointestinali importanti quali ulcera peptica o sanguinamento gastroin-testinale attivo o chirurgia del tratto gastrointestinale superiore esclusa la piloroplastica (vedere paragrafo 4.3). In pazienti con esofago di Barrett già noto, i medici prescrittori devono valutare i benefici ed i rischi potenziali dell’a-lendronato su base individuale. In pazienti in trattamento con l’alendronato sono state riportate reazioni a carico dell’esofago (alcune gravi e con necessità di ospedalizzazione) quali esofagite, erosioni esofagee ed ulcere eso-fagee, raramente seguite da stenosi esofagee o perforazioni. Il medico deve, pertanto, fare attenzione alla com-parsa di qualsiasi segno o sintomo che indichi una possibile reazione esofagea ed avvisare il paziente di interrom-pere l’alendronato e rivolgersi ad un medico nel caso si verifichino sintomi di irritazione esofagea quali disfagia, dolore o gonfiore o dolore retrosternale, insorgenza o peggioramento di pirosi. Il rischio di esperienze avverse gravi a livello esofageo sembra essere maggiore nei pazienti che non assumono l’alendronato in maniera appropriata e/o che continuano ad assumere l’alendronato dopo lo sviluppo di sintomi riferibili ad irritazione esofagea. E’ molto importante che il paziente conosca e comprenda bene le modalità di assunzione del farmaco (vedere paragra-fo 4.2). Il paziente deve essere informato che se non vengono seguite queste precauzioni, può aumentare il rischio di problemi esofagei. Mentre in ampi studi clinici non è stato osservato un aumento del rischio, sono stati segnalati (dopo l’entrata in commercio del farmaco) rari casi di ulcere gastriche e duodenali, alcuni dei quali gravi ed asso-ciati a complicanze. L’osteonecrosi della mandibola/mascella, generalmente associata ad estrazione dentale e/o ad infezione locale (inclusa l’osteomielite) è stata riportata in pazienti oncologici in trattamento con regimi comprendenti i bifosfonati somministrati principalmente per via endovenosa. Molti di questi pazienti erano trattati anche con chemioterapia e corticosteroidi. L’osteonecrosi della mandibola/mascella è stata anche riportata in pazienti con osteoporosi in trattamento con i bifosfonati orali. Quando si valuta il rischio dell’individuo di sviluppare osteonecrosi della mandibola/mascella devono essere presi in considerazione i seguenti fattori di rischio: potenza del bifosfonato (la più alta per l’acido zoledronico), via di somministrazione (vedere sopra) e dose cumulativa; cancro, chemioterapia, radioterapia, corticosteroidi, fumo; un’anamnesi di malattia odontoiatrica, scarsa igiene orale, malattia periodontale, procedure odontoiatriche invasive e protesi dentarie con scarsa aderenza. Prima di iniziare il trattamento con i bifosfonati in pazienti in condizione di salute dentale scadente deve essere presa in considera-zione la necessità di un esame odontoiatrico con le appropriate procedure odontoiatriche preventive. Durante il trattamento, questi pazienti devono, se possibile, evitare procedure odontoiatriche invasive. Nei pazienti che han-no sviluppato un’osteonecrosi della mandibola/mascella durante la terapia con i bifosfonati, la chirurgia odonto-iatrica può esacerbare la condizione. Per i pazienti che necessitano di procedure odontoiatriche, non ci sono dati disponibili per suggerire che l’interruzione del trattamento con i bifosfonati riduca il rischio di osteonecrosi della mandibola/mascella. Il giudizio clinico del medico deve guidare il programma di gestione di ciascun paziente, sulla base della valutazione individuale del rapporto rischio/beneficio. Durante il trattamento con i bifosfonati, tutti i pazienti devono essere incoraggiati a mantenere una buona igiene orale, a sottoporsi a periodici controlli odon-toiatrici, e a segnalare qualsiasi tipo di sintomo orale quale mobilità dentale, dolore, o gonfiore. Nei pazienti trattati con bifosfonati sono stati segnalati dolori ossei, articolari e/o muscolari. Nella esperienza post-marketing questi sin-tomi sono stati raramente gravi e/o hanno causato disabilità (vedere paragrafo 4.8). I tempi di esordio dei sintomi sono risultati variabili da un giorno a diversi mesi dall’inizio del trattamento. Nella maggior parte dei pazienti l’inter-ruzione ha dato luogo ad un sollievo dai sintomi. A seguito di una nuova somministrazione dello stesso farmaco o di un altro bisfosfonato, un sottogruppo di pazienti è andato incontro ad una ricaduta dei sintomi. Fratture atipiche del femore. Sono state segnalate fratture atipiche sottotrocanteriche e diafisarie del femore, principalmente in pazienti in terapia da lungo tempo con bisfosfonati per l’osteoporosi. Queste fratture trasversali o oblique corte, possono verificarsi in qualsiasi parte del femore a partire da appena sotto il piccolo trocantere fino a sopra la linea sovracondiloidea. Queste fratture si verificano spontaneamente o dopo un trauma minimo e alcuni pazienti ma-nifestano dolore alla coscia o all’inguine, spesso associato a evidenze di diagnostica per immagini di fratture da stress, settimane o mesi prima del verificarsi di una frattura femorale completa. Le fratture sono spesso bilaterali; pertanto nei pazienti trattati con i bisfosfonati che hanno subito una frattura della diafisi femorale deve essere esa-minato il femore controlaterale. E’ stata segnalata anche una limitata guarigione di queste fratture. Nei pazienti con sospetta frattura atipica femorale si deve prendere in considerazione l’interruzione della terapia con bisfosfo-nati in attesa di una valutazione del paziente basata sul rapporto beneficio rischio individuale. Durante il trattamen-to con i bisfosfonati i pazienti devono essere informati di segnalare qualsiasi dolore alla coscia, all’anca o all’inguine e qualsiasi paziente che manifesti tali sintomi deve essere valutato per la presenza di un’incompleta frattura del femore. Non si raccomanda l’uso dell’alendronato in pazienti con compromissione della funzione renale quando la VFG è minore di 35 ml/min (vedere paragrafo 4.2). Si devono considerare con attenzione cause di osteoporosi diverse dalla carenza di estrogeni e dall’età o dall’uso dei glucocorticoidi. L’ipocalcemia deve essere corretta prima di iniziare la terapia con l’alendronato (vedere paragrafo 4.3). Anche altri disordini del metabolismo minera-le (come una carenza di vitamina D e ipoparatiroidismo) devono essere trattati adeguatamente prima di iniziare il trattamento con Binosto. In pazienti affetti da queste condizioni cliniche deve essere effettuato il monitoraggio dei livelli del calcio sierico e dei sintomi di ipocalcemia nel corso della terapia con Binosto 70 mg. A causa dell’effetto positivo dell’alendronato sull’incremento della mineralizzazione dell’osso, possono verificarsi diminuzioni dei livelli sierici del calcio e dei fosfati specialmente nei pazienti che assumono glucocorticoidi nei quali l’assorbimento del calcio può essere ridotto. Tali diminuzioni sono usualmente limitate ed asintomatiche. Vi sono state tuttavia rare segnalazioni di ipocalcemia sintomatica, occasionalmente gravi e spesso a carico di pazienti con condizioni pre-disponenti (es.: ipoparatiroidismo, deficit di vitamina D e malassorbimento del calcio). Nei pazienti che ricevono glucocorticoidi è particolarmente importante garantire un adeguato apporto di calcio e vitamina D. Eccipienti Questo farmaco contiene 26,2 mmol (o 602,54 mg) di sodio per dose. Da tenere in considerazione in persone che seguono una dieta a basso contenuto di sodio. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione È probabile che cibo e bevande (inclusa l’acqua minerale), integratori di calcio, antiacidi e altri farmaci per sommi-nistrazione orale, se assunti contemporaneamente all’alendronato, interferiscano con l’assorbimento di quest’ultimo. Di conseguenza, i pazienti devono lasciare trascorrere almeno 30 minuti dall’assunzione dell’alendronato prima dell’assunzione di qualsiasi altro farmaco orale (vedere i paragrafi 4.2 e 5.2). Non ci si aspetta nessuna altra interazione di rilevanza clinica con medicinali. Durante gli studi clinici un certo numero di pazienti hanno assunto estrogeni (per via intravaginale, transdermica o orale) mentre assumevano l’alendronato. Non sono state identificate reazioni avverse attribuibili al loro uso concomitante. Poiché l’uso dei Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei (FANS) è associato con irritazione gastrointestinale, si deve usare cautela durante il trattamento concomitante con l’alendronato. Sebbene non siano stati condotti studi specifici di interazione, l’alendronato è stato utilizzato in studi clinici in concomitanza con un’ampia gamma di medicinali senza evidenza di interazioni cliniche avverse. 4.6 Fertilità, gravidanza e allatta-mento Gravidanza L’alendronato non deve essere usato durante la gravidanza. Non vi sono dati adeguati sull’u-so dell’alendronato in donne in gravidanza. Gli studi su animali non indicano effetti dannosi diretti sulla gravidanza, lo sviluppo embrio/fetale o lo sviluppo postnatale. L’alendronato ha causato distocia dovuta all’ipocalcemia nei ratti in gravidanza (vedere paragrafo 5.3). Allattamento Non è noto se l’alendronato viene escreto nel latte uma-no. Considerate le indicazioni, l’alendronato non deve essere usato da donne che allattano. Fertilità I bifosfonati sono incorporati nella matrice dell’osso, dalla quale sono gradualmente rilasciati nell’arco di anni. Il quantitativo di bifosfonati incorporati nell’osso dell’adulto, e quindi, il quantitativo disponibile per il rilascio nella circolazione sistemi-ca, è direttamente correlato alla dose e alla durata dell’uso di bifosfonati (vedere paragrafo 5.2). Non ci sono dati sul rischio fetale nell’uomo. Tuttavia, vi è un rischio teorico di danno fetale, principalmente scheletrico, se una don-na rimane incinta dopo aver completato un ciclo di terapia con i bifosfonati. Non è stato studiato l’impatto sul ri-schio di variabili quali il tempo che intercorre tra la cessazione della terapia con i bifosfonati e il concepimento, il tipo di bifosfonato usato, e la via di somministrazione (via endovenosa nei confronti della via orale). 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati condotti studi relativi agli effetti sulla capacità di guidare e usare macchinari. Comunque alcune reazioni avverse che sono state segnalate con l’alendronato possono aver effetti in alcuni pazienti sulla capacità di guidare veicoli o sull’uso di macchinari. Le risposte individuali all’alendronato possono variare (vedere paragrafo 4.8). 4.8 Effetti indesiderati In uno studio di un anno in donne in post-menopausa con osteoporosi, il profilo globale di sicurezza dell’alendronato 70 mg una volta alla settimana (n = 519) e dell’alendronato 10 mg/die (n = 370) sono risultati simili. In due studi di 3 anni con pressappoco lo stesso disegno, in donne in post-menopausa (alendronato 10 mg: n = 196, placebo: n = 397), il profilo di sicurezza totale dell’alendro-nato 10 mg e quello del gruppo placebo sono risultati simili. Le reazioni avverse riportate dagli sperimentatori quali di correlazione al farmaco possibile, probabile o certa sono presentate di seguito se avvenivano in >1% in uno dei gruppi trattati nello studio di un anno, o in >1% dei pazienti trattati con l’alendronato 10 mg/die e con un’incidenza maggiore rispetto ai pazienti trattati con placebo negli studi di tre anni.

STUDIO DI 1 ANNO STUDIO DI 3 ANNIalendronato70 mg una volta alla settimana (n=519) %

alendronato10 mg/die(n=370) %

alendronato10mg/die(n=196) %

placebo

(n=397) %Gastro-intestinalidolore addominale 3.7 3.0 6.6 4.8dispepsia 2.7 2.2 3.6 3.5rigurgito acido 1.9 2.4 2.0 4.3nausea 1.9 2.4 3.6 4.0distensione addominale 1.0 1.4 1.0 0.8costipazione 0.8 1.6 3.1 1.8diarrea 0.6 0.5 3.1 1.8disfagia 0.4 0.5 1.0 0.0flatulenza 0.4 1.6 2.6 0.5gastrite 0.2 1.1 0.5 1.3ulcera gastrica 0.0 1.1 0.0 0.0ulcera esofagea 0.0 0.0 1.5 0.0MusculoscheletricheDolore muscoloscheletrico (osseo, muscolare o articolare) 2.9 3.2 4.1 2.5

Crampi muscolari 0.2 1.1 0.0 1.0NeurologiciCefalea 0.4 0.3 2.6 1.5Le seguenti reazioni avverse sono state segnalate durante gli studi clinici e/o l’uso post-marketing:

Reazioni avverseMolto comune

(>1/10)Comune Non comune Raro

Disturbi del sistema immunitario reazioni di ipersensibilità incluse orticaria e angioedema

Disturbi del metabolismo e della nutrizione:

ipocalcemia sintomatica, spesso in associazione con condizioni predisponenti#.

Patologie del sistema nervoso: cefalea, capogiro§ disgeusia§

Patologie dell'occhioinfiammazione dell'occhio (uveite, sclerite, o episclerite)

Patologie dell'orecchio e del labirinto vertigine§

Patologie gastrointestinali

dolore addominale, dispepsia, costipazione, diarrea, flatulenza, ulcera eso-fagea*, disfagia*, distensione addominale, rigurgito acido

nausea, vomito, gastri-te, esofagite*, erosioni esofagee*, melena§

stenosi esofagea*, ulcerazione orofa-ringea*, SUP (Sanguinamento, Ulcere, Perforazione) del tratto gastrointestinale superiore#

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo alopecia§, prurito§ eruzione cutanea,

eritema

eruzione cutanea con fotosensibilità,reazioni cutanee gravi inclusa la sindrome di Stevens-Johnson e la necrolisi epidermica tossica+

Patologie del sistema muscoloscheletrico, del tessuto connettivo e delle ossa

dolore muscolo-scheletrico (osseo, muscolare o articolare) che talvolta è grave #§

gonfiore delle articolazioni §

fratture atipiche sottotrocanteriche e diafisa-rie del femore (reazione avversa di classe dei bisfosfonati)#, osteonecrosi della mandibola/mascella§+, fratture da stress della diafisi prossimale del femore§+

Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione

astenia§, edema periferico§

sintomi transitori come da risposta della fase acuta (mialgia, malessere e raramente febbre), tipicamente associati all’inizio del trattamento §.

# Vedere paragrafo 4.4 § La frequenza negli studi clinici è stata simile sia nel gruppo trattato con farmaco che in quello trattato con placebo. * Vedere paragrafi 4.2 e 4.4. + Questa reazione avversa è stata identificata tramite il monitoraggio post-marketing. La frequenza di “raro” è stata stimata in base a studi clinici rilevanti 4.9 Sovradosag-gio L’ipocalcemia, l’ipofosfatemia ed eventi avversi del tratto gastrointestinale superiore, quali disturbi gastrici, piro-si gastrica, esofagite, gastrite o ulcera, possono essere la conseguenza di un sovradosaggio orale. Non sono dispo-nibili informazioni specifiche sul trattamento di un sovradosaggio con l’alendronato. Si devono somministrare latte o antiacidi che si legano all’alendronato. A causa del rischio di irritazione esofagea, non indurre il vomito e il pa-ziente deve rimanere rigorosamente con il busto eretto. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farma-codinamiche Categoria farmacoterapeutica: Farmaci che agiscono su struttura ossea e mineralizzazione, bifo-sfonati Codice ATC: M05BA04 Il principio attivo di Binosto 70 mg è l’alendronato triidrato sodico. E’ un bisfosfonato che agisce come un inibitore del riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti senza effetto diretto sulla forma-zione dell’osso. Studi preclinici hanno mostrato che l’alendronato si localizza in maniera preferenziale nei siti di rias-sorbimento attivo. Viene inibita l’attività, ma il reclutamento e l’adesione degli osteoclasti non sono alterati. Il tessu-to osseo formatosi durante il trattamento con l’alendronato è qualitativamente normale. Trattamento dell’osteo-porosi in post-menopausa L’osteoporosi è definita come una densità minerale ossea (DMO) della colonna o dell’anca 2,5 DS (deviazioni standard) al di sotto del valore medio di una popolazione giovane normale o come una precedente frattura da fragilità, indipendente dalla DMO. L’equivalenza terapeutica dell’alendronato 70 mg in monosomministrazione settimanale (n=519) e l’alendronato 10 mg/die (n=370) è stata dimostrata in uno studio multicentrico di un anno su donne in post-menopausa con osteoporosi. Gli aumenti medi di DMO dal basale a li-vello del tratto lombare ad un anno sono stati del 5,1 % (95 % IC 4,8, 5,4 %) nel gruppo trattato con 70 mg in mono-somministrazione settimanale e del 5,4 % (95 % IC 5,0, 5,8 %) nel gruppo trattato con 10 mg/die. Gli aumenti medi della DMO sono stati del 2,3 % e del 2,9 % a livello del collo del femore e del 2,9 % e 3,1 % in tutta l’anca, rispettiva-mente per i gruppi trattati con 70 mg in monosomministrazione settimanale e 10 mg una volta al giorno. I due gruppi di trattamento sono risultati simili anche riguardo agli incrementi di DMO in altri distretti ossei. Gli effetti dell’a-lendronato sulla massa ossea e sull’incidenza di fratture nelle donne in post- menopausa sono stati esaminati in due studi iniziali sull’efficacia, di disegno identico (n=994) e nel Fracture Intervention Trial (FIT: n=6.459). Negli studi iniziali sull’efficacia, gli aumenti medi della densità minerale ossea (DMO) con l’alendronato 10 mg/die confrontati con il placebo a tre anni sono stati dell’8,8 %, 5,9 % e 7,8 % a livello rispettivamente della colonna vertebrale, del collo del femore e del trocantere. Anche la DMO dell’organismo in toto è aumentata in maniera significativa. C’è stata una riduzione del 48 % (alendronato 3,2 % vs placebo 6,2 %) nella proporzione di pazienti trattati con l’alendronato con una o più fratture vertebrali rispetto a quelli trattati con il placebo. Nell’estensione a due anni di questi studi, la DMO ha continuato ad aumentare a livello della colonna vertebrale e del trocantere e si è mantenuta stabile a livello del collo del femore e dell’organismo in toto. Il FIT è costituito da due studi controllati con placebo su alendronato una volta al giorno (5 mg al giorno per due anni e 10 mg al giorno per uno o due ulteriori anni): FIT 1: uno studio di tre anni su 2.027 pazienti con almeno una frattura vertebrale (da compressione) al basale. In questo studio, l’assun-

vs placebo 15,0 %). È stata inoltre rilevata una riduzione statisticamente significativa nell’incidenza di fratture dell’an-ca (1,1 % vs 2,2 %, una riduzione del 51 %). FIT 2: uno studio di quattro anni su 4.432 pazienti con ridotta massa ossea ma senza fratture vertebrali al basale. In questo studio è stata osservata una differenza significativa nell’analisi del sottogruppo di donne osteoporotiche (37 % della popolazione globale dello studio, con osteoporosi secondo la

-za di fratture dell’anca (alendronato 1,0 % vs placebo 2,2 %, una riduzione del 56 %). Dati di laboratorio Negli studi clinici, sono state osservate riduzioni asintomatiche, lievi e transitorie del calcio e del fosfato sierici rispettivamente nel 18 % e nel 10 % circa dei pazienti trattati con l’alendronato 10 mg/die rispetto a 12 % e 3 % circa di quelli tratta-

-Popo-

lazione pediatrica L’alendronato sodico è stato studiato in un ristretto numero di pazienti al di sotto dei 18 anni di età, con osteogenesi imperfetta. I risultati sono insufficienti per supportare l’uso di alendronato sodico in pazienti pediatrici con osteogenesi imperfetta. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento Rispetto a una dose endo-venosa di riferimento, la biodisponibilità orale media dell’alendronato nelle donne è stata dello 0,64% per dosi da 5 a 70 mg somministrate dopo una notte a digiuno e 2 ore prima di una colazione standard. Similmente la biodi-sponibilità si è ridotta a un valore stimato del 0,46% e del 0,39% quando l’alendronato è stato somministrato un’ora o mezz’ora prima di una colazione standard. Negli studi sull’osteoporosi, l’alendronato è risultato efficace quando somministrato almeno 30 minuti prima del primo alimento o bevanda della giornata. La biodisponibilità è risultata trascurabile quando l’alendronato è stato assunto assieme a una colazione standard o fino a 2 ore dopo. La som-ministrazione concomitante dell’alendronato con caffè o succo d’arancia hanno ridotto la biodisponibilità di circa il 60%. In volontari sani, il prednisone somministrato per via orale (20 mg tre volte al giorno per 5 giorni) non ha modi-ficato significativamente la biodisponibilità orale dell’alendronato (aumento medio dal 20% al 44%). Distribuzione Studi nel ratto mostrano che l’alendronato si distribuisce temporaneamente nei tessuti molli dopo somministrazione endovenosa di 1 mg/kg, ma poi viene rapidamente ridistribuito nelle ossa o escreto nelle urine. Il volume medio di distribuzione allo steady state, escludendo le ossa, è di almeno 28 litri nell’uomo. Le concentrazioni plasmatiche del

ng/ml). Il legame alle proteine plasmatiche nell’uomo è di circa il 78%. Biotrasformazione Non vi è evidenza di metabolizzazione dell’alendronato negli animali o nell’uomo. Eliminazione Dopo una singola dose per via endove-nosa dell’alendronato radiomarcato con il 14C, circa il 50% della radioattività viene escreta con le urine entro 72 ore e la radioattività riscontrata nelle feci è molto scarsa o nulla. La clearance renale dell’alendronato è di 71 ml/min dopo una dose endovenosa singola di 10 mg e la clearance sistemica non supera i 200 ml/min. Entro 6 ore dopo somministrazione endovenosa la concentrazione plasmatica diminuisce fino a oltre il 95%. A causa del rilascio dell’alendronato dallo scheletro, si stima che l’emivita terminale nell’uomo sia superiore ai 10 anni. Nei ratti l’alen-dronato non viene escreto attraverso il sistema di trasporto acido-base dei reni e pertanto non ci si aspetta che interferisca con l’escrezione di altri medicinali attraverso questi sistemi nell’uomo. Caratteristiche dei pazienti Studi pre-clinici mostrano che il farmaco che non viene depositato nell’osso viene escreto rapidamente nelle urine. Non è stata dimostrata evidenza di saturazione dell’assorbimento da parte dell’osso dopo somministrazione cronica di dosi cumulative endovena fino a 35 mg/kg in animali. Sebbene non vi siano dati clinici disponibili, è probabile che, come negli animali, l’eliminazione dell’alendronato per via renale sia ridotta in pazienti con compromissione rena-le. Di conseguenza, un maggior accumulo di alendronato nelle ossa è prevedibile in soggetti con funzione renale compromessa (vedere paragrafo 4.2). 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati non-clinici non rivelano rischi partico-lari per l’uomo sulla base di studi convenzionali di sicurezza farmacologica, tossicità a dosi ripetute, genotossicità, potenziale cancerogeno. Studi nei ratti hanno dimostrato che il trattamento con l’alendronato durante la gravi-danza era associato alla distocia delle femmine durante il parto, correlata all’ipocalcemia. Nelle sperimentazioni, i ratti che hanno ricevuto dosi elevate hanno mostrato un’aumentata incidenza di incompleta ossificazione fetale. Si ignora se ciò sia rilevante per l’uomo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Sodio citrato diidrato Acido citrico anidro Sodio idrogeno carbonato Sodio carbonato anidro Aroma fragola [maltode-strine (mais), gomma arabica, glicole propilenico (E 1520), sostanze aromatizzanti natura-identiche] Acesulfame potassico Sucralosio 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 4 anni. 6.4 Precauzioni particola-ri per la conservazione Questo medicinale non richiede alcuna temperatura particolare di conservazione. Con-servare nel confezionamento originale per proteggere il medicinale dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Le compresse effervescenti sono fornite in strip di fogli compositi (carta/polietilene/alluminio/ionomero di zinco), con 2 compresse effervescenti confezionate in strip unitari. Confezioni da 4, 12 o 24 compresse efferve-scenti. E’ possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smalti-mento Nessuna istruzione particolare. L’aspetto del medicinale dopo la dissoluzione è una soluzione limpida ed incolore. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Abiogen Pharma S.p.A. Via Meucci, 36 - Ospedaletto - Pisa 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO AIC n. 040246011 “70 mg compresse effervescenti” AIC n. 040246023 “70 mg compresse effervescenti” AIC n. 040246035 “70 mg compresse effervescenti” 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE / RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Febbraio 2013 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Febbraio 2014 70 mg 4 CPR Effervescenti 15,37€ Classe A - NOTA 79 – RR

FACTS&NEWS

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Dottor De Marchi, quali implicazioni avrà il Pat-to per la salute sul mondo della medicina fi sica e della riabilitazione?Confi diamo naturalmente in implicazioni positive. Vi sono impegni molto impor-tanti a cui dare risposta sia per la parte ospedaliera che territoriale. Il documento di indirizzo che individua criteri di appropriatezza di utilizzo dei vari setting ri-abilitativi (articolo 3) sarà

nei prossimi mesi motivo di discussione così come per la parte territoriale, in modo da poter proporre un valido percorso integrato all'inter-no della rete riabilitativa. La costruzione di una me-todologia di cura specifi ca, in cui il processo multidisci-plinare e interdisciplinare di équipe possa contribuire a redigere il Progetto riabilita-tivo individuale (Pri), sarà il fondamento del Percorso ri-abilitativo unico (Pru) della

persona con disabilità. Tale modello nel territorio potrà essere, nella sua completezza, una delle integrazioni per l'e-rogazione delle cure primarie (Aggregazioni funzionali ter-ritoriali, articolo 5). Naturalmente sia la Simfer che il Simmfi r sono a dispo-sizione del ministero della Salute per contribuire alla stesura di questi documenti.

Quali sono i rischi e le op-portunità connessi alla chi-usura o riconversione dei piccoli ospedali?Vedo solo opportunità. Na-turalmente è assolutamente necessario che non siano trasformazioni di facciata in cui vi siano prestazio-ni riabilitative di richiamo senza una connessione a una rete riabilitativa o a un percorso. Vediamo come essenziale il dipartimento di riabili-tazione. Ne continuiamo a parlare perché ancora non ha avuto la giusta diff usio-ne nei nostri territori: deve poter collegare gli ospedali ai territori in modo da po-ter far proseguire le cure ap-propriate alle persone con disabilità nella logica della continuità assistenziale con un sicuro abbattimento delle liste di attesa. Questa governance integrata e uni-taria delle risorse destinate alle attività di riabilitazione

in ospedale e nel territorio può consentire un appro-priato utilizzo e controllo della spesa.

Quali potrebbero essere le implicazioni sul lavoro dei medici e degli altri profes-sionisti sanitari del settore?Con gli attuali scenari non è possibile pensare a un in-cremento delle attuali piante organiche, ma il giusto equi-librio di personale è garan-zia di appropriatezza delle attività riabilitative. Se si vuole eff ettuare un trat-tamento intensivo è necessa-rio avere il numero adeguato di professionisti della riabili-tazione. Al momento attua-le abbiamo molte Regioni che non hanno raggiunto i requisiti organizzativi delle attività riabilitative. Ritengo che per meglio uniforma-re le attività sia opportuno prevedere criteri condivisi di appropriatezza del per-sonale su tutto il territorio nazionale.

Quali potrebbero essere le implicazioni sull’assistenza alla popolazione?Sono sicuro che l'applica-zione di tutto quanto detto fi nora possa migliorare la qualità dell'assistenza. L’otti-mizzazione dei percorsi pro-duce appropriatezza senza interruzioni di trattamento,

in modo da garantire le atti-vità fi no al raggiungimento degli obiettivi perseguibili.

Si è appena chiuso il sec-ondo triennio in cui lei ha ricoperto il ruolo di segre-tario nazionale Simmfi r, e ora si ricandida. Quali problemi restano aper-ti? Come si sta evolvendo la professione di fi siatra e quali necessità di tutela professionale stanno emer-gendo?Il mandato di un segretario nazionale di una organizza-zione che opera in un setto-re come la medicina fi sica e riabilitativa è quantomeno complesso. La tutela della professione è il nostro primo obiettivo e dunque, quando è necessario, interveniamo con il nostro uffi cio lega-le. Spesso interveniamo nei concorsi pubblici rimarcan-do la specifi cità della nostra professione nel proporre un percorso che accompagna la persona assistita dall'evento disabilitante al rientro nel proprio ambiente di vita. Nel programma del prossi-mo triennio, un punto im-portante sarà quello di con-tribuire a normare a livello ministeriale una defi nizione giuridica di "studio profes-sionale" rispetto all'ambu-latorio medico o al centro di medicina fi sica e riabili-tativa. Una cosa è trattare i pazienti e un'altra eff ettuare

una diagnosi e prognosi ri-abilitativa. Sono due mon-di diff erenti e quindi non possono essere concorrenti, vanno defi niti dal punto di vista strutturale, tecnologico e organizzativo senza spe-culare sulla inadeguatezza di norme regionali spesso mancanti. Questo vuol dire garantire la professionalità degli specialisti in medicina fi sica e riabilitativa.Il fi siatra è il care manager della persona con disabili-tà ed è il responsabile del governo clinico di quella persona: colui che riesce a snellire tutte le procedure per garantire il percorso ri-abilitativo. Diventa diffi cile individuare tutti gli innu-merevoli campi in cui può intervenire un fi siatra: nella presa in carico in un reparto per acuti, in una riabilitazio-ne intensiva o in un qualsi-asi altro reparto riabilitativo pubblico o privato; in una unità operativa territoriale, come componente dell'unità di valutazione multidiscipli-nare (L104) di un distretto socio-sanitario; come medi-co prescrittore del servizio protesi ausili; in una com-missione patenti; in un cen-tro accreditato, come libero professionista. In tutti questi ambiti di lavoro vi è necessi-tà di tutela per i fi siatri ita-liani.

Renato Torlaschi

Simmfi r: tutela del fi siatra tra Ssn e libera professioneL'implementazione del Patto per la salute dovrà garantire il giusto equilibrio di personale. La tutela del sindacato di categoria esce dagli ospedali e segue i professionisti nelle loro molteplici realtà lavorative

> Massimo De Marchi,

presidente Simmfi r

«Abbiamo messo in sicurezza il sistema sanitario ita-

liano per le prossime generazioni»: con queste parole,

il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha salutato

il Patto per la salute 2014-2016, su cui il Governo ha

trovato l’intesa con le Regioni il 10 luglio scorso, dopo

mesi di trattative. L’ambizione del “Patto” è di riorganiz-

zare l’assistenza territoriale, governare in modo miglio-

re la spesa farmaceutica, riorganizzare i servizi e va-

lorizzare le risorse umane, mantenendo e rilanciando

la vocazione universalistica che caratterizza il nostro

Sistema sanitario nazionale.

Se quanto annunciato vedrà davvero la luce, il mondo

dell’assistenza medica in Italia vivrà una rivoluzione, di

cui però è difficile oggi tracciare con precisione i contor-

ni. Quale sarà l’impatto del Patto per la salute nell’ambi-

to particolare della medicina fi sica e riabilitativa?

Lo abbiamo chiesto a Massimo De Marchi, dal 2011

segretario nazionale della Simmfi r (Sindacato italiano

dei medici di medicina fi sica e riabilitativa), oggi a fi ne

mandato ma in corsa per una conferma per il prossimo

triennio.

«Ancora una volta si evidenzia la forte discrepanza tra i

modelli assistenziali Nord-Sud»: ad affermarlo è Federi-

co Spandonaro, professore all’università Tor Vergata di

Roma, a commento dei risultati di un’indagine sull’appro-

priatezza ed efficienza della riabilitazione in Italia, pro-

mossa dalla Società italiana di medicina fisica e riabilitati-

va (Simfer) ed effettuata da Crea, il Consorzio per ricerca

economica applicata in sanità dell’ateneo romano, di cui

Spandonaro è presidente.

La ricerca mostra per l'Italia, come spesso accade in

campo sanitario, un Paese a due velocità, con forti diffe-

renze regionali ma con un panorama complessivamente

insufficiente: due regioni su tre sono sotto lo standard mi-

nimo nazionale.

La legge 135/2012, molto più nota come “spending re-

view”, aveva indicato in sette ricoveri ogni mille abitanti il

tasso ottimale di ospedalizzazione per la riabilitazione e

la lungodegenza. In realtà il Piemonte, l’Emilia Romagna,

la Lombardia e le province autonome di Trento e Bolzano

superano questa soglia, mentre le altre regioni restano

al disotto del limite auspicato, con le punte più basse in

Sardegna (3,29) e in Toscana (4,03).

«La difformità strutturale e di offerta – osserva il profes-

sor Spandonaro – si ripercuote anche sui costi: 250,06

euro per una giornata di degenza in riabilitazione contro

i 493,70 euro in acuto per un complessivo di 8.260.307

giornate in riabilitazione, contro 49.672.639 giornate in

acuto, per anno. La differenza dei costi è anche contras-

segnata dalle differenze regionali, passando dai 9.592,3

euro in Campania ai 4.248,1 euro in Puglia. Allo stesso

modo le degenze medie passano da 35 a 17 giornate ri-

spettivamente nel Lazio e nella Puglia, confermando così

come non esista a livello regionale un modello di riabi-

litazione condiviso. La riabilitazione post-acuzie è poco

conosciuta nel nostro Paese e non vi è ancora la volontà

di investire in questo settore».

Secondo il presidente Simfer Vincenzo Maria Saraceni,

la grande variabilità dei modelli assistenziali è con molta

probabilità legata all’appropriatezza dei ricoveri. «L’obiet-

tivo della Simfer – dice il professor Saraceni – è di propor-

re un modello non più per codici ma per intensità di cura

attraverso l’attuazione in tutte le regioni del Piano di indi-

rizzo della riabilitazione approvato dal governo nel 2011. Il

fatto che anche le regioni “virtuose” si trovino sotto la so-

glia prevista potrebbe dipendere da una “scelta” di politi-

ca sanitaria di domiciliarizzazione della riabilitazione o di

una classificazione non omogenea delle strutture post-a-

cuti. A questo proposito si tenga presente che l’attenzione

della riabilitazione è ancora concentrata sulla rete delle

acuzie, cosa peraltro giustificata dalla dimensione del

fenomeno, mentre sarebbe auspicabile una rivisitazione

della rete post-acuzie, soprattutto della riabilitazione, con

una ripartizione tra riabilitazione e lungodegenza in grado

di dare maggiore peso alla voce riabilitativa».

Per quanto riguarda le principali categorie diagnostiche

che richiedono l’intervento riabilitativo, l’indagine ha evi-

denziato come le malattie e i disturbi del sistema musco-

lo-scheletrico e del tessuto connettivo costituiscano la

voce più significativa, incidendo per il 46%; seguono le

patologie del sistema nervoso (25%) e quelle dell’appara-

to cardiocircolatorio (26%).

Giampiero Pilat

Riabilitazione post-acuzie insufficiente in Italia«Manca la volontà di investire in questo settore»

> Federico Spandonaro,

presidente Crea

FOCUS ON

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Dottor Scotti, perché pre-venire nello sport signifi-ca ridurre drasticamente la percentuale di infortu-nio?Alcuni infortuni, soprat-tutto quelli dovuti a con-trasti di gioco o collisioni ad alta energia sono diffi-cilmente prevenibili a prio-ri. Molti infortuni, tuttavia, sono invece dovuti a una scadente preparazione atle-tica, al mancato utilizzo di strumenti di gioco adegua-ti o alla presenza di fattori di rischio. Ed è oggi dimo-strato che, agendo a questi livelli, è possibile ridurre significativamente l’inci-denza di infortuni sportivi, sia nel professionista che nell’amatore.

Esistono sportivi a mag-gior rischio di infortuni? Come identificarli per agire d'anticipo?Sì, esistono senz’altro atleti a maggior rischio di infor-tuni. È importante fare una premessa: oggi l’agonismo e la ricerca della prestazio-ne esasperata caratterizza-no l’attività sportiva, non solo di giovani adulti nella fascia d’età classica dai ven-ti ai quarant’anni ma anche di bambini e ragazzi in via di accrescimento e di adulti anche over cinquanta. Da qui l’aumento di traumi come le rotture del crociato anteriore anche in giovani adolescenti. Proprio que-sti sportivi, gli uni perché in accrescimento, gli altri perché hanno articolazioni e strutture muscolo-ten-dinee che risentono dell’a-ging fisiologico, vanno protetti con particolare at-tenzione.Esiste poi una serie di fat-tori di rischio validi a tutte

le età come la presenza di paramorfismi, come il pie-de cavo che predispone ad andare incontro a traumi distorsivi della caviglia, o di uno scarso controllo po-sturale durante, ad esem-pio, la fase di atterraggio. Infatti, la posizione di val-go dinamico durante l’at-terraggio, con adduzione dell’anca, abduzione del gi-nocchio ed eversione della caviglia aumenta di molto il rischio di rottura del cro-ciato anteriore. La visita di idoneità rap-presenta un momento fon-damentale per identificare questi fattori di rischio, effettuando una visita ac-curata e mirata, attraverso semplici test (ad esempio, squat su una gamba, balzi sul posto con le cosce pa-rallele al terreno), a evi-denziare i difetti proprio-cettivi-posturali.

Cosa si intende per pre-venzione passiva, come si può agire in questo senso e cosa è possibile otte-nere?Per prevenzione passiva si intendono tutti gli in-terventi che è possibile ef-fettuare non direttamente sulla preparazione atleti-ca dello sportivo ma sugli strumenti che questo uti-lizza. Si tratta di un campo molto vasto che spazia dai terreni di gioco (si pensi per esem-pio ai campi sintetici, che oggi hanno raggiunto un ottimo livello qualitativo e di sicurezza), alle calzature sport-specifiche, all’utiliz-zo di tutori o di protezio-ni sia da indossare che nel “campo da gioco”, ad esem-pio le protezioni sulle piste da sci alpino.

Quali sono invece i con-cetti principali della pre-venzione attiva?Per prevenzione attiva si intende fondamentalmente eseguire una preparazione atletica non solo sport-spe-cifica ma anche atleta-spe-cifica, volta a correggere gli squilibri muscolari, po-sturali e neuromuscolari e quelli derivanti da prece-denti infortuni.

Cosa si può fare in termini di preparazione atletica?Dal punto di vista della preparazione atletica, è fondamentale ricercare la perfezione del gesto, sia esso un gesto di base utiliz-zato per il potenziamento, come lo squat, o un gesto sport-specifico; privile-giare la qualità dell’allena-mento sulla quantità, evi-tando di sviluppare masse muscolari importanti in tempi brevi, in quanto il muscolo si adatta più effi-cientemente a un aumenta-to carico di lavoro di quan-to non facciano le strutture che gli sono a valle come tendini e articolazioni; pre-vedere degli adeguati tem-pi di recupero, evitando il sovra-allenamento; consi-derare sempre le differen-ze tra uomo e donna e l’età dell’atleta.

Si devono adottare ap-procci diversi tra uomo e donna?Uomo e donna presentano tipicamente diversi pat-tern durante i movimenti di decelerazione, cambio di direzione, atterraggio. Questi sono dovuti a dif-ferenze anatomiche (nelle donne, maggior valgo del ginocchio e angolo Q), or-monali (oscillazioni dovute al ciclo mestruale, rapporto forza/peso più svantaggio-so) e neuromuscolari (pre-valenza del quadricipite sugli ischiocrurali). Queste differenze si traducono, ad esempio, in un rischio di rottura del crociato an-teriore che per le donne è da quattro a sei volte mag-giore rispetto agli uomini. Diventa quindi fondamen-tale identificare i soggetti a rischio e attivare tutte le strategie di prevenzione di-sponibili.

Come si identificano i dis-tretti corporei a maggior rischio infortuni?I distretti corporei a mag-

gior rischio riflettono la tipologia di sport prati-cata. Negli sport di salto/rotazione (calcio, basket, volley), i più praticati nel nostro Paese, prevalgono gli infortuni all’arto infe-riore, in particolare al gi-nocchio e alla caviglia. Ne-gli sport di lancio, o in cui vi siano ripetuti movimenti sopra la testa (“overhead” sports, nella letteratura in-ternazionale) prevalgono gli infortuni alla spalla, in particolare al capo lungo del bicipite e alla cuffia dei rotatori. Per quanto riguarda gli sport invernali, nello sci gli infortuni del ginocchio rappresentano la maggior parte degli eventi traumati-ci mentre nello snowboard si rilevano molti traumi all’arto superiore, tra cui fratture e lussazioni a livel-lo del polso e della spalla. Un discorso a parte va fatto per le cadute ad alta ener-gia in cui si riscontrano anche traumi cranici e ver-tebrali.

Si agisce in modo differ-enziato in base al maggior rischio riscontrato in al-cuni specifici distretti?Senz’altro. Questo dipende fondamentalmente dal tipo di sport praticato. Come accennato prima, negli sport di salto-rota-zione, in cui prevalgono le distorsioni di caviglia e ginocchio, queste artico-lazioni devono avere un occhio di riguardo nella preparazione atletica, an-dando a migliorare i pat-tern di movimento e la propriocezione, al di là del normale lavoro di resisten-za o potenziamento.

Cos’è il training neuro-muscolare?La contrazione muscola-re attiva e l’azione passiva dei legamenti riescono a dissipare efficientemente l’energia che fa seguito a un atterraggio o a un cam-bio di direzione. Quando questo non avviene, come durante l’atterraggio in po-

sizione di valgo dinamico, e tutta l’energia ricade sui legamenti, si può verificare una lesione capsulo-lega-mentosa. Il training neuromuscola-re è volto a prevenire que-sti pattern di movimento scorretti e ottimizzare il controllo, neuromuscolare appunto, degli arti duran-te l’esecuzione di movi-menti complessi. Questo comprende l’allenamento propriocettivo, che ha di-mostrato di ridurre le di-storsioni sia di caviglia che di ginocchio; l’allenamento pliometrico, che è effica-ce tanto nella prevenzio-ne degli infortuni quanto nel miglioramento della performance; il rinforzo della muscolatura postu-rale (“core stability” nella letteratura anglosassone); lo sviluppo della forza ma non dell’ipertrofia e della flessibilità.

R. T.

Variabili di prevenzionenell'attività sportivaNello sport è possibile ridurre di molto gli infortuni con azioni di prevenzione, a partire dal training neuromuscolare. L'approccio è sempre più individuale: ogni atleta presenta un diverso rischio di infortunio > Celeste Scotti

In Italia persone costrette a rivolgersi ai reparti di pronto

soccorso a causa di un infortunio subito durante la pra-

tica di uno sport sono circa 300mila ogni anno. Calcio e

calcetto sono gli sport più popolari ed è proprio durante

le partite che si riscontra il maggior numero di infortuni,

il 46% del totale.

Se l’attività sportiva è un’ottima abitudine e deve esse-

re incentivata per migliorare lo stato di salute generale

della popolazione, non si può pensare che un numero

così elevato di infortuni debba essere un prezzo neces-

sario da pagare. Anche in questo ambito allora la parola

chiave è prevenzione.

Ne abbiamo parlato con Celeste Scotti, ortopedico

dell’equipe universitaria di ortopedia rigenerativa e ri-

costruttiva (Euorr) dell’Irccs Istituto ortopedico Galeaz-

zi di Milano

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L’Italia è tra i paesi nel mon-do a più alto rischio frattu-rativo (in Europa è seconda solo alla Germania) e il 6.9% dei maschi e il 23% delle donne sopra i 50 anni (circa 4 milioni di pazienti) hanno un T-score BMD femorale inferiore a -2.5 (1). Attualmente sono in trat-tamento solo il 30% delle donne e il 20% dei maschi che lo necessiterebbero (1). Paradossalmente, nonostan-te la disponibilità da anni di farmaci per la prevenzione delle fratture con un grado di evidenza di effi cacia al-meno pari a quelli in ambito cardiovascolare, il numero globale dei pazienti in tera-pia, oltre ad essere basso, è in signifi cativo calo (1). Tra i molti fattori che determina-no questo quadro sconfor-tante uno dei principali è la mancata identifi cazione del soggetto a rischio frattura-tivo con conseguente inap-propriatezza prescrittiva.

Come identifi care il paziente a rischio fratturativo Come è noto la defi nizione di osteoporosi si basa sui li-velli di massa ossea (BMD) rilevati mediante densi-tometria DXA ed espressi come T-score (uguale o in-feriore a -2.5 DS). Nono-stante vi sia una forte corre-lazione tra i valori di BMD e il rischio fratturativo la soglia diagnostica basata sul T-score non coincide necessariamente con la so-glia di frattura e tanto meno con quella terapeutica, no-nostante farle coincidere sia una pratica comune. È signifi cativo il fatto che circa il 50% delle fratture di femore e il 60% di quelle vertebrali avvengo in sog-getti con massa ossea nor-male o superiore a T-score -2.5. Vi sono alcuni specifi ci

fattori di rischio per frattu-ra da fragilità che sono as-solutamente indipendenti dalla BMD e “pesano” sul rischio di frattura propor-zionalmente con l’aumen-tare dell’età, per cui a 70-80 anni con un T-score di -1 DS si può avere lo stesso ri-schio fratturativo di un sog-getto di 50 anni con T-score di -3.5 DS (1, 2). La BMD pertanto non è l’u-nico determinante il rischio fratturativo ma soprattut-to l’eff etto sulla BMD non è l’obbiettivo terapeutico che è invece la riduzione del rischio di frattura. In linea con queste evidenze la Siommms (Società ita-liana dell'osteoporosi del metabolismo minerale e delle malattie dello sche-letro) ha invitato i centri certifi cati ad eliminare dal referto della DXA la scritta “alto rischio di frattura” o “basso rischio di frattura”, fonte troppo spesso di una erronea defi nizione per il paziente e di scelte terapeu-tiche non appropriate.Oggi la defi nizione del ri-schio fratturativo viene fatta mettendo in relazione pochi fattori indipendenti mediante uno specifi co al-goritmo che esprime il ri-schio assoluto di frattura. In Italia è accessibile sul web l’algoritmo De-FRA (www.defra-osteoporosi.it) sotto l’egida di Siommms e Sir (Società italiana di reuma-tologia) che permette, inse-rendo poche informazioni oltre al T-score DXA, di ot-tenere il rischio fratturativo espresso in percentuale a 10 anni. La Regione Veneto lo ha adottato uffi cialmente dal 2012. Oltre al T-score DXA vanno inseriti il BMI, la familiarità per fratture, la terapia con cortisone, pre-gresse fratture da fragilità, fumo e la presenza di pato-logie reumatologiche.

Tuttavia tra questi semplici fattori di rischio raccoglibili in pochi minuti con l’anam-nesi vi è un importante ele-mento critico: defi nire se un paziente ha avuto o meno fratture da fragilità (femore, colonna o radio). Il peso di questo dato sulla stima del rischio fratturativo succes-sivo è rilevante (vedi rap-presentazione grafi ca in questa pagina) (1, 2). Il paziente, interrogato sulle fratture, riferirà corretta-mente per le fratture in cui è necessario un ricovero o ap-parecchio gessato (femore, radio,omero, bacino) ma è molto probabile che negherà la presenza di fratture verte-brali; soprattutto non saprà riferire di quelle cosiddette “morfometriche”. Il riscontro della presenza di queste fratture avrà una rica-duta anche per la rimborsa-bilità del farmaco secondo la nota Aifa. Non identifi care queste fratture signifi ca non valutare adeguatamente il ri-schio del paziente e negare la rimborsabilità della terapia.

Caratteristiche della frattura osteoporoticaLe fratture osteoporotiche vengono defi nite “da fragi-lità” o “da traumi non effi -cienti” perché avvengono senza un trauma evidente o con un trauma di ener-gia tale da non determinare fratture in un soggetto sano, come ad esempio le cadute da stazione eretta fi no da un altezza di una sedia (1). Questa defi nizione compor-ta alcune conseguenze. La maggior parte delle fratture defi nibili come “maggiori” nell’osteoporosi (radio, fe-more o omero) avvengono con una caduta e perciò considerate dal paziente, e spesso anche dal medi-co, come legate al trauma e quindi non considerate da

fragilità. Quelle vertebrali (VFX) sono le più comuni e più precoci tra quelle oste-oporotiche e, oltre a verifi -carsi tipicamente senza un trauma (sollevando la spesa o durante i comuni lavo-ri domestici), sono spesso paucisintomatiche o total-mente asintomatiche (frat-ture morfometriche). Ciò impedisce la raccolta del dato con l’anamnesi (1). A complicare le cose vi è il fat-to che la maggioranza delle VFX non vengono corret-tamente diagnosticate nel referto radiologico e spesso la loro descrizione utilizza una terminologia ambigua.

Quando sospettare una frattura vertebraleCome abbiamo visto per una precisa defi nizione del rischio (e per applicare la nota 79) va identifi cata la presenza e il numero delle VFX. Vi sono alcuni sem-plici elementi di sospetto che ci guidano alla confer-ma radiologica. L’anamnesi di una cadu-ta anche senza un trauma diretto sulla colonna (ad esempio la tipica caduta “seduti” o sul sacro) anche se non ha comportato con-seguenze immediate, e la rachialgia (sia spontanea che provocata alla digito-pressione), anche se cronica e soprattutto se in sede dor-sale. Una precedente frattu-ra del radio, omero o femo-re si accompagnano quasi sempre alla compresenza di VFX. Il fatto che le fratture siano una, due o più cambia pesantemente in termini prognostici (fi g. 1) (1). La presenza di cifosi è un for-te indicatore di presenza di fratture dorsali e soprattut-to il calo di altezza. Un calo di altezza di più di 1 cm in un anno ha una specifi cità dell'89% nell’identifi care

un soggetto con una nuova VFX. Nei trial clinici con l’alendronato (FIT 1 e FIT2) il mancato calo di altezza rispetto al gruppo placebo correlava con la riduzione del rischio di VFX come l’aumento della BMD. L’al-tezza riportata nel referto densitometrico è spesso ri-ferita dal paziente e non mi-surata, con un errore medio stimato di circa 4-5 cm. Seb-bene il gold standard per la valutazione morfometrica delle VFX sia l’RX laterale della colonna dorso-lomba-re, vi è la possibilità oggi di ottenere l’informazione con la scansione DEXA (morfo-metria MXA) che pemette di monitorare nel tempo sia BMD che comparsa di nuo-ve fratture, vero end point della terapia (1, 3).

Terapia farmacologicaper il paziente a rischio di fratturaLa nota Aifa 79 per la rim-borsabilità (da poco aggior-nata) raccoglie i farmaci per i quali vi è evidenza di effi -cacia antifratturativa (3). La disponibiltà di molti farmaci effi caci permette di modulare gli interventi terapeutici in base alla ti-pologia e gravità del rischio fratturativo (RF): per un RF prevalentemente verte-brale tutti bisfosfonati ora-li (BP) rappresentano una scelta valida e soprattutto oggi quella più cost-eff ective (alendronato, risedronato, ibandronato). In caso di RF femorale l’a-lendronato è di gran lunga il più effi cace tra i BP, tra tut-ti i farmaci secondo solo a denosumab (piano terapeu-tico Aifa). Nei pazienti al-lettati o con problematiche gastroesofagee (refl usso ga-stroesofageo o ernia iatale) in alternativa alla compres-sa è disponibile l’infusione

di acido zoledronico (solo in ospedale) o una recente formulazione di alendrona-to eff ervescente. In questa nuova formulazione, alen-dronato, oltre a discioglier-si completamente in acqua senza aderire alle pareti esofagee, viene a trovarsi in una soluzione tamponata che riduce i rischi di refl us-so acido (4). Per pazienti ad alto RF (osteoporosi severa) o rifrattura in corso di altri farmaci è disponibile il teri-paratide (centri prescrittori con piano terapeutico).

Prof. Francesco Bertoldo

Bibliografi a essenziale1. Hernlund E,Svedbom A Iver-

gard M et al.Osteoporosis in the

European Union: medical ma-

nagement, epidemiology and

economic burden. Arch Ostepo-

ros 2013; 8:136.

2. Adami S, Bianchi G, Brandi

ML et al. Validation and fur-

ther development of the WHO

10-year fracture risk assessment

tool in Italian postmenopausal

women: project rationale and

description. Clin Exp Rheuma-

tol. 2010;28(4):561-70.

3. Adami S, Bertoldo F, Bran-

di ML et al; Società Italiana

dell'Osteoporosi, del Metabo-

lismo Minerale e delle Ma-

lattie dello Scheletro. Gui-

delines for the diagnosis,

prevention and treatment of

osteoporosis. Reumatismo. 2009

Oct-Dec;61(4):260-84.

4. Hodges L A, Connolly SM,

Winter J et al. Modulation of

gastric pH by a buff ered soluble

eff ervescent formulation: a pos-

sible means of improving gastric

tolerability of alendronate. Int J

Pharm. 2012;432(1-2):57-62

Osteoporosi: come valutareil rischio di fratturaAll'origine dell'inappropriatezza prescrittiva e del basso numero di pazienti in terapia c'è la mancata identifi cazione dei soggetti a rischio fratturativo. Ecco una guida up-to-date su come valutare correttamente questo indice

> Prof. Francesco Bertoldo

Azienda ospedaliera universitaria

integrata di Verona

Dipartimento di medicina, sezione

medicina interna

Malattie del metabolismo minerale

e osteoncologia

> De-FRA score. Rischio fratturativo a 10 anni per fratture maggiori: 8,17% in donna di 70 anni con T-score colonna di -1.8 e nessun ulteriore fattore di rischio (A).

Se la stessa paziente ha una frattura vertebrale il rischio fratturativo a 10 anni sale al 23% (B) e al 44% se le fratture vertebrali sono due (C)

EFFETTI INDESIDERATI• In uno studio clinico controllato, gli effetti indesiderati a carico del gi-

nocchio target più frequentemente riportati durante la fase di trattamen-to iniziale considerati correlati al trattamento di studio e/o alla proce-dura includono artralgia, rigidità e edema articolare.

• “Altri” effetti indesiderati (quelli verificatisi non a carico del ginocchiotarget) considerati correlati al trattamento di studio e/o alla procedu-ra comprendevano contusione, disgeusia (alterazione del senso delgusto), cefalea, irritazione cutanea, nausea e vomito.

• Gli effetti indesiderati riportati nella fase di ripetizione del trattamento per il ginocchio target e gli “altri” effetti indesiderati sono risultati si-mili per natura e frequenza agli eventi che si sono manifestati durantela fase iniziale del trattamento.

• Il profilo di sicurezza dalla fase iniziale del trattamento dello studio èstato confermato durante la fase di ripetizione del trattamento, indi-cando nessun aumento di effetti collaterali nei pazienti sottoposti a trat-tamento ripetuto con Jonexa.

DOSAGGIO E SOMMINISTRAZIONE• Iniettare a temperatura ambiente.• Attenersi rigorosamente a tecniche asettiche.• L’uso di anestetici topici e sottocutanei non è necessario; il loro utiliz-

zo è a discrezione del medico.• Utilizzare solo aghi dal calibro 18 al calibro 20.• Rimuovere il liquido sinoviale o il versamento prima di ogni iniezione

di Jonexa. Aspirare delicatamente l’articolazione.• Non utilizzare la stessa siringa per aspirare il liquido sinoviale e per

iniettare Jonexa, ma usare lo stesso ago da calibro 18 a calibro 20.• Estrarre la siringa di Jonexa dalla confezione tenendo stretto il corpo

della siringa senza toccare lo stelo dello stantuffo.• Prestare particolare attenzione durante la rimozione del beccuccio

della siringa di Jonexa utilizzando procedure strettamente asettiche.• Per garantire una tenuta perfetta ed evitare la fuoriuscita durante la

somministrazione, assicurarsi che l’ago sia saldamente inserito sullasiringa tenendo ben saldo il connettore Luer.

• Non serrare o esercitare un’eccessiva pressione durante l’applicazio-ne dell’ago o la rimozione della protezione dell’ago in quanto si po-trebbe rompere la punta della siringa.

• Iniettare Jonexa solo nello spazio sinoviale.

LINEE GUIDA PER IL DOSAGGIOIl regime di trattamento raccomandato è di un’iniezione intra-articolaresecondo lo schema posologico di una iniezione (4 ml) di Jonexa o dueiniezioni (4 ml ciascuna) di Jonexa a distanza di due settimane l’una dal-l’altra. Il regime di trattamento può essere ripetuto dopo 26 settimanedal trattamento iniziale se giustificato dai sintomi del paziente.

DURATA DELL’EFFETTOE’ stata dimostrata una durata massima dell’effetto del Jonexa fino a 26settimane dopo una singola iniezione o dopo due iniezioni. E’ stataanche dimostrata la durata dell’effetto di un ciclo ripetuto di trattamentocon Jonexa fino ad ulteriori 26 settimane. Il trattamento con Jonexa in-teressa solo l’articolazione sede dell’iniezione e non produce un effettosistemico generale.

CONTENUTO PER 1mlJonexa contiene i componenti elencati nella Tabella 1.Tabella 1: Componenti di Jonexa

CONFEZIONEIl contenuto di ogni siringa di Jonexa è sterile e apirogeno. Jonexa è for-nito in una siringa di vetro da 5 ml precaricata con circa 4 ml di Jo-nexa. Conservare Jonexa a una temperatura fra 2 e 30°C.

Repertorio Ministeriale dei dispositivi medici: 284766/RCodice CND: P900402 - Dispositivo Medico 00861 siringa pre-riempita da 5 ml contenente 4 ml di Hylastan

COMPOSIZIONEJonexa è un liquido viscoelastico sterile, incolore, apirogeno, a pH neutroe con osmolalità compatibile con il liquido sinoviale. Jonexa è un deri-vato dall’hylastan, un gel di ialuronato di sodio (HA) chimicamente cro-sslinkato con divinilsulfone e un liquido di ialuronato di sodio.Jonexa è una miscela composta da un gel di hylastan e un liquido abase di HA nel rapporto gel-liquido di 80:20. Lo ialuronato di sodio uti-lizzato nella preparazione del Jonexa è ottenuto da fermentazione bat-terica. Lo ialuronano (ialuronato di sodio) è uno zucchero complessonaturale appartenente alla famiglia dei glicosaminoglicani costituita daun polimero a catena lunga di unità disaccaridiche ripetute di D-glicu-ronato di sodio e N-acetil-D-glucosamina, unite per mezzo di legami gli-cosidici ß-1,3 e ß-1,4. 1 ml di Jonexa contiene polimeri di ialuronano(modificati e immodificati) 10,5 ± 1 mg, cloruro di sodio 8,5 mg, idro-geno fosfato disodico eptaidrato 2,2 mg, diidrogeno fosfato sodico-monoidrato 0,26 mg, acqua per preparazioni iniettabili (WFI) q.b.

CARATTERISTICHEJonexa è metabolizzato nell’organismo in modo biologicamente simileallo ialuronano. Lo ialuronano è uno dei componenti del liquido sino-viale e ne determina le caratteristiche di viscoelasticità. Le proprietà mec-caniche (viscoelastiche) di Jonexa sono simili a quelle del liquidosinoviale e superiori rispetto a quelle delle soluzioni a base di ialuronanoimmodificato di simile concentrazione. Jonexa ha un’elasticità (storagemodulus G’) a 5 Hz fra i 20 e i 150 Pascal (Pa) ed una viscosità dina-mica (shear viscosity) (η) compresa tra i 30 e i 100 Pascal/secondo(Pas) misurata a 1 s-1. L’elasticità e la viscosità del liquido sinoviale delginocchio in soggetti di età compresa fra i 18 e i 27 anni, misurate conuna tecnica sovrapponibile a 2,5 Hz, sono rispettivamente pari a G’ =117 Pa e G” = 45 Pa. Le siringhe precaricate con Jonexa sono steriliz-zate al termine di ogni processo produttivo mediante calore.

INDICAZIONI E USO• Jonexa ricostituisce temporaneamente la viscoelasticità del liquido

sinoviale;• Jonexa apporta benefici clinici ai pazienti in tutti gli stati di artrosi

delle articolazioni;• Jonexa è più efficace nei pazienti che utilizzano attivamente e

regolarmente l’articolazione affetta dalla patologia;• Jonexa raggiunge il suo effetto terapeutico tramite la viscosupplemen-

tazione, un processo attraverso il quale lo stato fisiologico e le carat-teristiche reologiche dei tessuti dell’articolazione artrosica vengonoripristinati. Jonexa è indicato per l’uso intra-articolare soltanto da partedi un medico per il trattamento sintomatico del dolore associato all’ar-trosi del ginocchio. La viscosupplementazione con Jonexa è indicataper alleviare il dolore e le limitazioni funzionali, permettendo un mo-vimento più esteso dell’articolazione.

CONTROINDICAZIONI• Non somministrare Jonexa a pazienti con ipersensibilità nota (allergia)

alle preparazioni a base di ialuronano (ialuronato di sodio).• Jonexa non deve essere utilizzato in presenza di infezioni o gravi

infiammazioni o di dermopatie o infezioni cutanee nell’area sededell’iniezione.

• Jonexa non deve essere utilizzato se prima dell’iniezione si è verificatoun versamento intra-articolare di notevole entità.

• Jonexa non deve essere iniettato nell’articolazione in presenza di stasivenosa o linfatica nell’arto affetto dalla patologia.

AVVERTENZE• Non usare in concomitanza disinfettanti contenenti sali di ammonio

quaternario per la preparazione della cute in quanto in loro presenzalo ialuronano potrebbe precipitare.

• Non iniettare al di fuori dell’articolazione o nei tessuti o nella capsulasinoviale.

• Non iniettare all’interno di un vaso.

PRECAUZIONI• La sicurezza e l’efficacia di Jonexa per condizioni diverse dall’artrosi

del ginocchio non sono state stabilite.• Come per tutte le procedure invasive relative alle articolazioni, si

raccomanda che il paziente eviti qualsiasi attività motoria eccessivadopo l’iniezione intra-articolare e che riprenda la piena attività entroqualche giorno.

• Jonexa non è stato sperimentato nelle donne in gravidanza o in bam-bini/ragazzi di età inferiore a 18 anni.

• Deve essere adottata una tecnica di somministrazione rigorosamenteasettica.

• Non usare Jonexa se la confezione è aperta o danneggiata. Il contenu-to della siringa è sterile e monouso. Il contenuto della siringa deve es-sere usato immediatamente dopo l’apertura della confezione. Gettareogni residuo di hylastan SGL-80 inutilizzato. Non risterilizzare Jonexa.

412/00

Polimeri di ialuronano (modificati e immodificati)Cloruro di sodioIdrogeno fosfato disodico eptaidratoDiidrogeno fosfato sodico monoidratoAcqua per preparazioni iniettabili

10,5 ± 1 mg8,5 mg2,2 mg

0,26 mgq.b.

Componente Contenuto per 1 ml

150,00€

FISIOviews R e v i e w d e l l a l e t t e r a t u r a i n t e r n a z i o n a l e

«Rispetto ad alcuni anni fa la qualità e quantità della ricer-ca riabilitativa è considere-volmente cresciuta», aff erma il presidente della Società italiana di medicina fi sica e riabilitativa Vincenzo Maria Saraceni, ma «oggi la medi-cina vuole, giustamente, l’evi-denza e noi stiamo cercando un’evidenza che sia solo riabi-litativa». È per rispondere a questo tipo di esigenza che, una quindicina di anni fa, è nato PEDro: sta per Physiotherapy evidence database (banca dati delle evidenze in fi sioterapia) ed è stato prodotto dal Cen-tre for evidence-based phy-siotherapy presso il George institute for global health, un istituto indipendente di ricerca medica dedicato al miglioramento della salute globale, con sede a Sidney.

Una banca dati dedicataPEDro è una banca dati gratuita che contiene oltre 27.000 studi randomizzati controllati, revisioni sistema-tiche e linee guida cliniche in fi sioterapia. Per ogni stu-dio, revisione o linea guida, PEDro fornisce le referenze bibliografi che, il riassunto e un link per il testo integrale quando possibile. La qualità degli studi è valutata in modo indipendente e i punteggi valutativi hanno lo scopo di condurre velocemente il let-tore verso gli studi che hanno maggiore probabilità di esse-re validi e di contenere infor-mazioni cliniche utilizzabili nella pratica clinica.

Uno strumento sempre più utilizzatoMa quanto è utilizzato PE-Dro? Uno studio condotto dallo stesso George institute for global health e pubblicato su Physiotherapy ha analiz-zato il numero di visite e di ricerche eff ettuate, il nume-ro di Paesi e territori da cui si è acceduto al database e la quantità di accessi per ogni Paese: analizzando i dati degli anni 2010 e 2011, i ri-cercatori hanno rilevato «un ottimo utilizzo di PEDro, che potrebbe aumentare se le funzionalità di ricerca fos-sero off erte in lingue diverse dall’inglese».

La crescita della ricerca riabi-litativa, in Italia e nel mondo, è dimostrata anche dal suc-cesso dello European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine (Ejmpr), la rivista internazionale promossa dal-la Simfer, che riceve moltis-simi studi e ha raggiunto un impact factor superiore a due in pochi anni. Tuttavia, come fa notare il professor Sarace-ni, la specializzazione in me-dicina fi sica e riabilitazione ha una forte specifi cità, che ha ricadute sulla ricerca in riabilitazione: «la nostra ri-cerca non è su parametri bio-logici ma su comportamenti dell’uomo, quindi dobbiamo avere strumenti di valutazio-ne dell’effi cacia dei nostri in-terventi di riabilitazione spe-cifi ci e diversi da quelli della medicina biologica».La fi sioterapia è basata sull’e-videnza quando la pratica è guidata da una ricerca di alta qualità; secondo gli au-tori dello studio su PEDro, la traslazione della ricerca nella pratica comporta che si

segua un processo composto da cinque passaggi: 1) con-vertire i bisogni informativi in domande; 2) tradurre le migliori evidenze in risposte; 3) analizzare in modo critico le evidenze in base alla loro validità, al loro impatto e alla loro applicabilità; 4) integra-re le evidenze con la propria esperienza clinica ma anche con le caratteristiche biolo-giche specifi che di ciascun assistito; e infi ne, 5) valutare l’effi cacia e l’effi cienza che si è ottenuta applicando gli step precedenti e cercare di mi-gliorarle ogni volta. Per il secondo di questi passi è necessario avere la possibilità di accedere agli studi pubbli-cati dagli esperti ed è proprio per questa ragione che è stato sviluppato PEDro; anche se è disponibile liberamente per la comunità globale dei fi siote-rapisti fi n dal 1999, l’entità del suo utilizzo non era mai stata quantifi cata. I risultati di questa indagine appaiono senz’altro positi-vi. Nei due anni considerati,

dal primo gennaio 2010 al 31 dicembre 2011, la home page di PEDro ha ricevuto 921.181 visite da 205 Paesi e territori di tutto il mon-do e sono state eff ettuate 3.350.740 ricerche, una ogni 19 secondi. L’utilizzo più ele-vato in assoluto si è avuto ne-gli Stati Uniti, in Australia e in Brasile mentre, rapportata al numero di fi sioterapisti, il maggior numero di ricerche è stato registrato in tre nazio-ni dell’America Latina: Perù (dove ciascun fi sioterapista ha eff ettuato in media 255 ricerche), Cile (154) e Co-lombia (90); se rapportato al numero della popolazione, spicca un’ampia popolarità

di Pedro in Australia, dove lo strumento è stato inizial-mente sviluppato. Il database è però molto utilizzato anche in Europa e particolarmente in Gran Bretagna, Spagna, Germania e Italia: nel nostro Paese, le ricerche di articoli tramite Pedro sono state, tra il 2010 e il 2011, 124.731.Per migliorare l’accessibi-lità ai fi sioterapisti di tutto il mondo, la home page di PEDro è disponibile in sette lingue (inglese, cinese, por-toghese, tedesco, francese, spagnolo e italiano), che cor-rispondono ai linguaggi uf-fi ciali di 17 tra le 30 nazioni in cui il database è maggior-mente sviluppato. L’inglese

è la lingua nativa di solo un terzo di queste nazioni, tutta-via le funzionalità di ricerca sono disponibili solo in in-glese; per migliorare l’utilizzo di Pedro, gli autori suggeri-scono dunque di estendere le ricerche almeno alla lingua spagnola e di predisporre la pagina iniziale anche in giap-ponese e coreano.

Giampiero Pilat

Campos TF1, Beckenkamp PR,

Moseley AM. Usage evaluation

of a resource to support eviden-

ce-based physiotherapy: the Phy-

siotherapy Evidence Database

(PEDro). Physiotherapy. 2013

Sep;99(3):252-7.

EVIDENCE BASED MEDICINE

Pedro, il database dell'evidenza scientifi ca in medicina riabilitativa

FISIOVIEWS Review della letteratura internazionale

>>

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MEDISLIPPER 1000

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È solo di recente che stra-tegie di terapia fi sica hanno provato la loro effi cacia nel trattamento della malattia di Parkinson. I programmi tesi al raff orzamento muscolare unitamente al training delle capacità aerobiche in questi pazienti sono stati posti al centro di uno studio fran-cese pubblicato su Annals of Physical and Rehabilitation Medicine. Lucie Tambosco e i suoi colleghi dell’ospedale universitario di Reims han-no cercato le evidenze do-cumentate nella letteratura scientifi ca, facendo uso dei motori di ricerca Pubmed e Cochrane e hanno a indivi-

duato parecchi contributi (5 revisioni e 31 studi rando-mizzati) che hanno condotto a conclusioni decisamente positive. «Il ri-allenamento allo sforzo – aff ermano gli autori – porta benefi ci certi ai pazienti con il morbo di Parkinson. I protocolli de-vono essere individualizzati in funzione dei limiti e delle capacità di ciascun paziente. Resta aperto il dibattito su due questioni: quale debba essere l’intensità dell’eserci-zio e quando debba essere collocato l’allenamento ri-spetto alle fasi “on” e “off ”», le situazioni di mobilità e di diffi coltà a muoversi che ti-

picamente si alternano in chi soff re di Parkinson da molto tempo.In numerosi studi, l’allena-mento muscolare ha mostra-to di apportare benefi ci ai pazienti aff etti da Parkinson, con miglioramenti delle per-formance aerobiche, della forza muscolare, della capa-cità di camminare, nella po-stura e nell’equilibrio, con un impatto positivo sulla quali-tà della vita. Tuttavia i risul-tati riguardo agli eff etti sul numero di cadute, sulle fun-zioni cognitive e sullo stato depressivo, sono controversi e devono essere validati da ulteriori ricerche.

La maggior parte degli stu-di che sono stati oggetto di meta-analisi da parte dei ricercatori francesi erano randomizzati controllati, in cui i pazienti con disturbi cognitivi venivano esclusi e solitamente venivano presi in considerazione solamen-te soggetti in fase “on” e in uno stadio iniziale nella progressione della malattia; un ulteriore limite è la man-cata valutazione dei risultati a lungo termine dell’allena-mento.Alla luce delle evidenze della letteratura, è molto diffi cile mettere a punto un proto-collo unico da implementare

nella pratica clinica. Sembra però importante iniziare l’at-tività di raff orzamento mu-scolare fi n dalle primissime fasi successive alla diagnosi della malattia, mentre l’op-portunità di un training ne-gli stadi avanzati è ancora un argomento dibattuto.Infi ne, per la maggior parte gli studi riferiscono allena-menti continui con incre-mento progressivo dell’in-tensità degli esercizi e, anche se esistono alcuni risultati

contraddittori, sembra che l’attività fi sica ad alta inten-sità si associ a miglioramenti più marcati rispetto ai pro-tocolli che prevedono inter-venti più blandi.

Renato Torlaschi

Tambosco L, Percebois-Macadré

L, Rapin A, Nicomette-Bardel

J, Boyer FC. Eff ort training in

Parkinson's disease: a systematic

review. Ann Phys Rehabil Med.

2014 Mar;57(2):79-104.

La crenobalneoterapia, ossia la cura mediante bagni con acqua minerale, è una delle forme di terapia più antiche e ci sono buone evidenze scien-tifi che sulla sua effi cacia in numerose patologie, tra cui anche l’osteoartrosi, in cui ri-esce a lenire il dolore e a mi-gliorare la funzionalità.Riguardo alla diagnosi di osteoartrosi, la maggior parte delle attuali linee guida che si focalizzano su una singola ar-ticolazione (mano, ginocchio, anca) presuppongono si tratti di una patologia localizzata. Esiste però anche l’osteoartro-si generalizzata (generalised osteoarthritis – Goa), termine introdotto nel lontano 1952 da Kellgren e Moore, in segui-to all’osservazione di 120 pa-zienti la cui maggioranza pre-sentava noduli di Heberden, le tipiche sporgenze ossee che compaiono sulla falange distale come manifestazione tipica dell'artrosi primaria. Da allora, questi noduli sono stati considerati come marker della malattia, ma numerosi autori hanno proposto defi -

nizioni alternative per la Goa; secondo l’American College of Rheumatology circa il 50% dei pazienti con osteoartrosi di ginocchio presenta sintomi che suggeriscono la presenza di un’osteoartrosi generaliz-zata e alcuni autori hanno ri-levato una percentuale simile tra le persone ricoverate in ospedale per sostituzione pro-tesica di anca o di ginocchio. Appare dunque appropriato concludere che l’osteoartrosi localizzata e quella generaliz-zata sono due patologie di-stinte.«Finora, l’effi cacia della cre-nobalneoterapia per il tratta-mento dell’osteoartrosi gene-ralizzata non era ancora stato oggetto di studi scientifi ci»: così aff erma Romain Fore-stier del Centre de recherche rhumatologique et thermal di Aix-les-Bains, in Francia, che con i suoi colleghi ha de-ciso di aff rontare l’argomento. Hanno così realizzato uno studio, poi pubblicato su An-nals of Physical and Rehabi-litation Medicine, attraverso un’analisi post-hoc di sotto-

MALATTIE NEURODEGENERATIVE

TERMALISMO

Esercizio fi sico contrasta i sintomi della malattia di Parkinson

Cure termali: una contro l’osteoartrosi

Review della letteratura internazionale FISIOVIEWS

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gruppo di un precedente trial multicentrico. Dei 462 parte-cipanti originali, i 214 a cui è stata diagnosticata osteoar-trosi generalizzata sono stati randomizzati in due gruppi. Tutti sono stati addestrati per eseguire esercizi giornalieri al proprio domicilio; in più, i pazienti inseriti nel gruppo di trattamento hanno seguito un programma articolato giorna-liero per tre settimane, consi-stente in: doccia generale di tre minuti a 38°C; sessioni di 15 minuti di idropressotera-pia (hydro-jet) a 37°C; mas-saggio manuale di ginocchio e coscia eff ettuato per dieci minuti da un fi sioterapista in immersione in acqua mine-rale a 38°C; applicazione di fanghi minerali a 45°C per 15 minuti e infi ne mobilitazione generale nella piscina a 32°C per 25 minuti, in gruppi di sei pazienti supervisionati da un terapista.Il controllo è avvenuto alla di-stanza di sei mesi, valutando come outcome principale il numero di pazienti che ave-vano ottenuto un migliora-

mento minimo clinicamente importante (Mcii - Minimal clinically important improve-ment), mentre come outcome secondario è stato misurato lo stato dei sintomi e la qualità generale della vita mediante il ‘‘Patient acceptable symptom state’’ (Pass). Se quest’ultimo non ha mostrato diff eren-ze signifi cative tra i soggetti inseriti nel gruppo di tratta-mento e in quello di controllo, il miglioramento clinico è sta-to superiore nei pazienti che hanno fatto le cure termali: 55% contro il 43% degli altri partecipanti, confermando una relativa effi cacia della cre-nobalneoterapia.

Giampiero Pilat

Forestier R, Genty C, Waller B,

Françon A, Desfour H, Rolland

C, Roques CF, Bosson JL. Cre-

nobalneotherapy (spa therapy)

in patients with knee and gene-

ralized osteoarthritis: A post-

hoc subgroup analysis of a large

multicentre randomized trial.

Ann Phys Rehabil Med. 2014

Jun;57(4):213-27.

«In base ai dati di letteratu-ra e alle raccomandazioni internazionali, si può affer-mare che l’educazione tera-peutica del paziente (Etp) dovrebbe far parte della presa in carico dei soggetti amputati». È la conclusione a cui, dopo una revisione sistematica delle evidenze scientifiche pubblicata su-gli Annals of Physical and Rehabilitation Medicine, è giunto un gruppo di ricer-catori francesi, che spie-gano: «questa educazione ha l’obiettivo di un vero cambiamento nel modo di vivere di questi pazienti, in particolare per ciò che

concerne la pratica di una attività fisica o la gestione del dolore. I programmi devono essere adattati ai pazienti, ai loro sintomi, ai loro bisogni e alle loro aspettative».L’educazione terapeutica è definita come un processo continuo, in grado di aiu-tare i pazienti ad acquisire o mantenere le competenze e le abilità necessarie per gestire la loro condizione cronica nel modo più ef-ficace possibile. Alla luce dell’esame della letteratura, gli autori hanno però con-statato che, «anche se il nu-mero di pazienti amputati è

relativamente importante, gli studi che applicano l’e-ducazione terapeutica alla loro condizione sono rari, le loro metodologie sono discutibili e difficilmente applicabili ai pazienti». Dal punto di vista della ricerca, insomma, c'è ancora molta strada da fare.La revisione della letteratu-ra è diventata così, più che di un’analisi poco signifi-cativa di dati insufficienti, l’occasione per una propo-sta. I ricercatori francesi ne derivano infatti la necessità di realizzare dei program-mi specifici che risponda-no ai criteri metodologici

già stabiliti e validati (in Francia, dalla Società di medicina fisica e riabilita-zione - Somfer), che tenga-no conto dei suggerimenti dei pazienti stessi e dei loro rappresentanti (caregiver e associazioni) e prevedano controlli e valutazioni a breve, medio e lungo ter-mine. Sempre a causa del nume-ro insufficiente di studi, è difficile valutare l’impatto medico ed economico di programmi di questo tipo, ma appare verosimile che aiuterebbero a diminuire la frequenza dei ricoveri ospedalieri e delle visite

ambulatoriali. È anche pos-sibile differenziare nume-rose aree in cui l’educazio-ne permanente potrebbe portare a risparmi e bene-fici clinici, come l’asma pe-diatrica, il diabete di tipo 1 e la cardiologia. Infine, anche secondo le raccomandazioni formula-te dalla Somfer, gli autori ritengono che i programmi di educazione permanente rivolti ai pazienti amputa-ti dovrebbero essere par-te di una strategia globale e di una organizzazione complessiva che ne possa garantire un’applicazione sistematica, anche grazie

al coordinamento di centri dedicati, così come avviene per i pazienti neurologici con i centri di riabilitazio-ne per i pazienti colpiti da ictus.

Giampiero Pilat

Pantera E, Pourtier-Piotte

C, Bensoussan L, Coudeyre

E. Patient education after

amputation: systematic re-

view and experts' opinions.

Ann Phys Rehabil Med. 2014

Apr;57(3):143-58.

PAZIENTE AMPUTATO

terapia effi cacegeneralizzata

Educazione terapeutica permanente è raccomandata negli amputati

Acido -LipoicoSuperossidodismutasiVitamina E, Selenio

ATTACCO MANTENIMENTO

TECNOLOGIA A BIODISPONIBILITÀ AUMENTATA

Acido -LipoicoAcido -Linolenico

HonokioloVitamine e Selenio

FISIOVIEWS Review della letteratura internazionale

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Ogni anno in Italia ottanta-mila persone vengono col-pite da lesione midollare; di queste, secondo i dati forniti dal ministero della Salute, l’80% ha un’età compresa tra i 10 e i 40 anni. I traumi della colonna vertebrale abbinati a lesione midollare hanno conseguenze molto gravi, spesso mortali; dei pazien-ti che sopravvivono il 25% diventa tetraplegico, mentre il 75% viene colpito da pa-raplegia. La principale ricaduta di questa patologia è la modifi -ca dello stile e della qualità di vita, considerata nella com-pletezza della sfera bio-psi-co-sociale; in questa situazio-ne appare ovvio considerare anche i cambiamenti indotti sui/dai livelli di attività fi si-ca praticata. Un numero or-mai considerevole di studi evidenzia l’effi cacia dell’atti-vità fi sica come strumento di prevenzione, primaria e secondaria; parimenti altri studi indicano la tipologia e la quantità di esercizio ideale per ogni patologia.

Sebbene il passaggio dalla tassonomia di ICDH (me-nomazione, disabilità, han-dicap), basata sulla perdita della funzione, a quella di ICF (strutture e funzioni corporee, attività, parte-cipazione), che considera le capacità residue, abbia aperto la strada a un nuovo approccio alla disabilità, in letteratura non è semplice reperire studi che indagano le dosi e l’effi cacia dell’eserci-zio, in termini di benessere e aumento della qualità della vita, nei soggetti mielolesi. D’altro canto già alla fi ne del secondo confl itto mondiale sia Guttmann che Maglio, intuendo che l’integrazio-ne sociale passa necessa-riamente anche attraverso l’autonomia personale, inse-rirono la pratica sportiva nel percorso riabilitativo dei pa-zienti mielolesi. Più recente-mente il “Piano di indirizzo per la riabilitazione” del mi-nistero della Salute ha inse-rito la pratica dell’attività fi -sica all’interno del percorso di cura domiciliare.

Esercizio fi sico e mielolesioneConsiderando l’autonomia personale e l’integrazione so-ciale come obiettivi primari viene naturale chiedersi quale sia la tipologia ideale di attivi-tà da consigliare o prescrivere e se la letteratura scientifi ca possa essere d’aiuto.Jacobs (1) indaga gli eff etti dell’allenamento di resisten-za sulla capacità di lavoro, sulla forza muscolare e sul-la potenza anaerobica della parte superiore del corpo in soggetti aff etti da paraplegia e arriva alla conclusione che tale tipologia di allenamento può incrementare signifi ca-tivamente i suddetti para-metri. Anche Zoeller et al. (2) indicano che, in un cam-pione di soggetti paraplegici, una maggior forza muscolare è associata a una maggiore potenza aerobica e a una mi-gliore endurance. La maggior forza muscolare potrebbe esercitare un’infl uenza po-sitiva sulla performance du-rante l’esercizio, consentendo più alti livelli di stress cardio-

respiratorio come risultato della ridotta o ritardata fatica muscolare.Uno studio di Eriks-Hoo-gland et al. (3) indaga la cor-relazione tra il ridotto range of motion (Rom) della spalla, al momento della dimissione dall’ospedale e la performan-ce nelle attività, nello sposta-mento in sedia a rotelle, nei trasferimenti e nella parteci-pazione alla vita sociale a un anno dalla dimissione. Dai risultati emerge che tutti i soggetti che alla dimissione presentavano un Rom della spalla ridotto, avevano un più basso punteggio nella scala Functional Indepen-dence Measure (Fim) (4), erano meno abili nell’esegui-re trasferimenti indipendenti e necessitavano di un tempo maggiore per completare un percorso in carrozzina rispetto agli individui che, all’uscita dall’ospedale, non presentavano limitazione ar-ticolare della spalla.Uno studio di Stevens et al. (5) indaga la relazione tra il livello dell’attività fi sica e la

qualità della vita in persone con lesione midollare e rile-va l’esistenza di una relazione moderatamente forte tra le due variabili.Tawashy et al. (6) evidenzia-no che la gran parte dell’at-tività fi sica svolta da perso-ne con lesione midollare è costituita dalle attività della vita quotidiana. Dallo studio emerge inoltre che la mag-giore attività fi sica è associa-ta alla minore comparsa di complicanze secondarie alla lesione midollare, quali dolo-re, fatica e depressione.I risultati degli studi sin qui citati portano alla ragionevo-le conclusione che la pratica dell’attività fi sica debba es-sere promossa tra i soggetti mielolesi.

Movimento fi siologico funzionale (physiologicalfunctional movement)L’assunto su cui si basa l’attivi-tà funzionale è l’integrazione, nei gesti quotidiani, di sinergie “dimenticate” dalla maggior parte degli uomini moderni,

ma fortemente impresse nel-la loro neuromatrix. Queste sinergie sottendono all’esecu-zione/gestione di “movimenti fondamentali” come: roto-larsi (rolling), accovacciarsi (squatting), tirare (pulling), spingere (pushing), allungarsi in aff ondo (lunging), piegarsi (bending), girarsi (twisting), spostarsi (walking, running) (7). Tali movimenti si combi-nano opportunamente tra loro per consentire l’esecuzione di tutte le funzioni corporee; ad esempio, sollevare (lift ing) o trasportare (carrying) oggetti sono movimenti complessi, ottenuti dalla combinazione di più movimenti fondamentali, che coinvolgono un numero importante di articolazioni, avvengono su più piani e a di-verse velocità angolari (7, 8). Eseguire effi cacemente simili gesti consente di sviluppare una corretta vita di relazio-ne e, in tempi ormai molto lontani, era addirittura alla base della sopravvivenza: si pensi infatti alla caccia, alla raccolta del cibo e alla fuga. Questa considerazione po-

LAVORO ORIGINALE

Attività fi sica nel paziente mieloleso:il movimento fi siologico funzionale1Luca Marin, 2Claudio Lisi, 2Giuseppe Di Natali1Laboratorio di attività fi sica adattata (Lama) del Centro di ricerca interdipartimentale delle attività motorie e sportive (Criams) dell’Università di Pavia2Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo di Pavia

> Posizione iniziale > Posizione fi nale

Esercizio 6. Obiettivo: coinvolgimento del tricipite brachiale e del grande pettorale. Facilitare i passaggi posturali in situazioni di disequilibrio.

> Posizione iniziale > Posizione fi nale

Esercizio 5. Obiettivo: coinvolgimento della muscolatura pettorale, del tricipite brachiale e del deltoide. Rendere più sicuri ed effi cienti i movimenti sulla carrozzina che richiedono un lavoro degli arti superiori in disequilibrio anteriore.Varianti: accompagnare la fase fi nale del movimento con la rotazione del busto.

> Posizione iniziale > Posizione fi nale

Esercizio 4. SUPINOObiettivo: rendere più effi ciente l’uso degli arti superiori nella gestione dei movimenti in posizione supina. Attivazione sinergica del diaframma e degli arti superiori.Varianti: ruotare il busto omolateralmente; estendere le braccia contemporaneamente, portando il petto alle impugnature.

> Posizione iniziale > Posizione fi nale

Esercizio 3. ESTENSIONE DEL BUSTOObiettivo: coinvolgimento degli erettori spinali, del quadrato dei lombi e della muscolatura addominale.L'esercizio richiede notevole capacità di controllo della muscolatura addominale e spinale: è necessaria una valutazione del livello lesionale e delle capacità residue.

> Posizione iniziale > Posizione fi nale

Esercizio 1. ABDUZIONE CON ROTAZIONE DEI CINGOLIObiettivo: attivazione sinergica dei cingoli. Coinvolgimento dei fasci posteriori del deltoide, del romboide, del grande dorsale, degli addominali obliqui, dei muscoli extrarotatori dell’arto superiore.

> Posizione iniziale > Posizione fi nale

Esercizio 2. DIAGONALE IN APERTURA Obiettivo: coinvolgimento del sistema di coordinazione neuromuscolare crociato posteriore e dei cingoli.Se necessario l’arto superiore libero può essere impiegato per stabilizzare il tronco.Questo esercizio richiede una notevole capacità di controllo della muscolatura addominale e spinale. Prima di proporlo risulta necessaria un’attenta valutazione, basata sul livello lesionale e sulle capacità residue.

Review della letteratura internazionale FISIOVIEWS

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trebbe in eff etti spiegare il mo-tivo dell’attenzione riservatagli dalla corteccia cerebrale e la necessità di un’attivazione fi -siologica e globale durante l’e-secuzione di un gesto. È noto che il movimento avviene grazie alla corretta contrazio-ne dei muscoli coinvolti, che lavorano organizzati in catene fi siologiche (8) e alla stabiliz-zazione fondamentale del core (9, 10). Risulta indispensabile sottolineare l’importanza dei timing attivatori e della quali-tà del movimento; la sequenza di attivazione dei muscoli e l’intensità della loro contrazio-ne devono essere necessaria-mente adeguate al compito da svolgere (11, 12). Non ultima, bisogna considerare la neces-sità di coordinare in maniera ottimale tutte queste aff erenze per trasformarle in comandi fi nalizzati a gestire tutte le fun-zioni anzi descritte (13). Tutte queste caratteristiche/capacità possono essere riassunte nel concetto di “sistema di coordi-nazione neuromuscolare”.L’attività funzionale del sog-getto mieloleso dovrebbe es-sere fi nalizzata a incrementare le “nuove abilità”, necessarie allo svolgimento delle attività quotidiane (Adl - Activities of Daily Living, e Iadl - Instru-mental Activities of Dailiy Li-ving). Perseguire questo obiet-tivo signifi ca ricostruire livelli di forza muscolare adeguati e rieducare il sistema nervoso a raggiungere una “nuova” fun-zione ottimale, necessaria per gestire una effi ciente e cor-retta sequenza di attivazione (timing of activation) del si-stema muscolo-scheletrico. Il percorso riabilitativo potreb-be essere strutturato in modo tale che alla correzione di eventuali problemi di timing segua un lavoro fi nalizzato a creare nuovi pattern di movi-mento. Lo stimolo ad eseguire esercizi complessi (sequenza di contrazione, livelli di for-za, velocità di contrazione) in tempi rapidi dovrebbe portare il cervello a compierli in modo automatico. Con la pratica, gli schemi motori che entrano a far parte del bagaglio dell’in-dividuo possono aumentare di numero e diventare sempre più complessi.

Metodologia e tecnicheIl percorso di attività fi sica inizia imprescindibilmente con la valutazione medica e prosegue con l’attenta analisi delle raccomandazioni rila-sciate, alle dimissioni, dall’u-nità riabilitativa che ha avuto in carico l’individuo; tali con-

sigli saranno tanto più impor-tanti quanto più recente sarà il termine dell’atto riabilitati-vo. Risulta parimenti fonda-mentale programmare l’atti-vità sulla base di una batteria di valutazioni che consentano di inquadrare globalmente il paziente, valutandone anche le tecniche di esecuzione dei passaggi posturali, dalla car-rozzina alle stazioni di lavoro. Illustrare la corretta tecnica esecutiva dei passaggi postu-rali, carrozzina attrezzature e ritorno, è fondamentale per rendere autonomo il soggetto e prevenire cadute e traumi.Le tecniche e gli esercizi de-scritti in questo lavoro sono basati sull’utilizzo di meto-diche riabilitative basate sul movimento (Comerford MJ, Sahrmann SA, Kabat H) o sui principi della neuro-di-namica (Butler D, Shacklock M). Tali esercitazioni rap-presentano unicamente delle indicazioni e andranno “cu-cite addosso” al paziente e integrate con altre tecniche/esercitazioni sulla base delle capacità/necessità.

Esercizi di ginnasticarespiratoriaQuesto blocco di lavoro non deve essere confuso con tec-niche riabilitative mirate a curare situazioni patologiche dell’apparato respiratorio. L’o-biettivo è creare la percezione, quindi facilitare la fase cogni-tiva, sia dell’atto respiratorio che delle dinamiche da esso indotte durante l’esecuzione del gesto, per migliorarne l’effi cienza nell’allenamento e ancora di più nella quo-tidianità. Il controllo della dinamica respiratoria andrà quindi perseguito durante l’esecuzione di tutte le attività.

Esercizi con elasticiIl lavoro con gli elastici rap-presenta un utile strumento per allenare la forza e la re-sistenza. Gli esercizi illustra-ti in queste pagine mirano maggiormente al recupero dell’equilibrio in dinamica e sono anche fi nalizzati a ge-nerare nuove aff erenze. Tut-to ciò risulta fondamentale per migliorare la gestione dei movimenti dei cingoli (inter e infra) nella quotidianità.

Esercizi in sospensioneL’allenamento in sospensione è una tecnica, a carico natu-rale, utile per sviluppare forza, equilibrio, mobilità. Gli eser-cizi e l’intensità sono adatta-bili alle capacità individuali e consentono di perseguire diff erenti focus. Ancora una

volta l’attività è correlata all’au-mento dell’autonomia nell’atti-vità quotidiana; ad esempio la gestione dei movimenti in po-sizione supina. Questi appli-cativi consentono di rendere più sicure, anche psicologica-mente, le esercitazioni fi naliz-zate ad apprendere le massime escursioni di movimento per-seguibili durante l’esecuzione di azioni che richiedono spo-stamenti importanti del busto versus la carrozzina.

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Servirsi del computer per la riabilitazione non è un’idea nuova. Per esempio, nel 2008 sono stati pubblicati un paio di studi in cui EyeToy (la vi-deocamera digitale a colori della Sony compatibile con PlayStation 2) ha mostrato di poter essere utilizzata per promuovere l’esercizio fi sico e per potenziare le funziona-lità motorie degli arti supe-riori nei pazienti colpiti da ictus. Tuttavia è stata Wii, la console per videogiochi prodotta dalla Nintendo, a suscitare il maggior interesse tra gli addetti ai lavori come possibile strumento per fa-cilitare la riabilitazione. Una tra le principali ragioni per utilizzare i videogame in riabilitazione è la loro capa-cità di migliorare gli aspetti motivazionali e di costituire una distrazione da tratta-menti che talvolta possono essere dolorosi o noiosi.Una panoramica dell’area crescente e variegata dei giochi pensati per promuo-vere l’attività fi sica nel con-testo della riabilitazione è stata tracciata da un gruppo di ricercatori inglesi co-ordinato da Matthew J. D. Taylor della University of Essex (1).In estrema sintesi, i risul-tati ottenuti sono buoni e gli autori della revisione concludono che questi si-stemi sono effi caci per in-coraggiare l’attività fi sica, in particolar modo negli indi-vidui sedentari, e possono costituire un buon comple-mento alla riabilitazione: «sia Wii che Dance dance devolution (Ddr, il video-gioco musicale prodotto da Konami, pubblicato come arcade e su PlayStation) hanno mostrato di aumen-tare il consumo energetico rispetto ai videogiochi sta-

tici più tradizionali e para-gonabili all’attività del cam-minare, ma non agli sport veri e propri. Uno dei pros-simi obiettivi della ricerca potrebbe essere quello di mettere a punto videogio-chi adatti per le persone an-ziane al fi ne di migliorarne l’attività fi sica».I risultati sono del tutto sovrapponibili a quelli ri-portati da un altro studio, anch’esso condotto in Gran Bretagna, fi rmato da Lee Graves e colleghi della John Moores University di Li-verpool (2). Focalizzata in particolare sugli adolescen-ti, la ricerca evidenzia che l’energia spesa per giocare con videogame dinamici, pur essendo inferiore ri-spetto alle attività sportive, può avere un suo ruolo im-portante per alcune persone che seguono un percorso di riabilitazione e per chi ha uno stile di vita eccessiva-mente sedentario.In realtà, è solo di recente che l’utilizzo di videogiochi per promuovere l’attività fi sica è stato oggetto di ap-profondimenti scientifi ci e si tratta quasi sempre di “case study”, ma nella pra-tica, gli esempi di utilizzo sono già numerosi. Il Natio-nal health service, il servizio sanitario nazionale britan-nico, già si serve di Wii in diversi contesti, in partico-lare per le persone anziane con patologie come l’ictus, la malattia di Parkinson o amputazioni, mentre negli Stati Uniti la si è utilizzata per facilitare la riabilitazio-ne presso il Department of veterans aff airs, il dicastero che si occupa degli ex-com-battenti delle forze armate.In uno dei pochi studi ran-domizzati controllati, ef-fettuato in Turchia presso

l’università di Ankara (3), venti pazienti con emipare-si dovuta a ictus sono stati arruolati in un programma di quattro settimane in cui EyeToy è stato impiegato per mezz’ora al giorno in aggiun-ta alla riabilitazione normal-mente prevista: rispetto a un gruppo di controllo che, nel-lo stesso periodo, avevano giocato con videogame che non comportavano eserci-zio fi sico, si è registrato un miglioramento nelle funzio-nalità motorie degli arti su-periori e gli eff etti positivi si sono mantenuti nei tre mesi successivi.I videogiochi in commer-cio sono stati progettati con fi nalità ricreative, tuttavia alcuni studi hanno previsto un adattamento hardware e soft ware per ottenere ver-sioni più effi caci per obiet-tivi riabilitativi specifi ci. In questo modo sono stati riportati successi in espe-rienze molto diff erenti: in pazienti asmatici, diabetici e persino per alleviare il do-lore in persone ustionate.

Renato Torlaschi

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eyetoy games'' improve upper

extremity-related motor fun-

ctioning in subacute stroke: a

randomized controlled clinical

trial. Eur J Phys Rehabil Med.

2008 Sep;44(3):237-44.

NUOVE METODOLOGIE

Riabilitarsi giocandocon i videogames

FOCUS ON

>> >>

18

Per stabilire quale sia il com-portamento più adeguato per rispondere a una situazione clinica esistono sostanzial-mente due possibilità: rivol-gersi a qualcheduno autorevo-le (un “maestro”) o fare quello che la maggior parte delle persone farebbe nella stessa situazione. Questo senza nul-la togliere al fatto che magari entrambe le possibilità portino alla stessa decisione clinica. In questi anni la fi gura del maestro è andata progressiva-mente scomparendo e il primo tipo di comportamento è stato criticato in nome della necessi-tà di agire in modo scientifi co; si potrebbe osservare che nella scomparsa di maestri potreb-be aver giocato una mentalità volta ad annullare, in nome dell’eguaglianza, le diff erenze, appiattendo verso il basso le capacità intellettive; ma già Orwell ha ben descritto il fe-nomeno. In ogni caso in assen-za di persone autorevoli diven-ta comune cercare di trovare un accordo su che cosa fare, di qui la popolarità che hanno assunto le “linee guida” che si sono diff use non solo in cam-po medico sanitario, ma anche in ambiti economici e sociali.

L'era delle linee guidaVi sono due aspetti da consi-derare nella formazione delle linee guida: la modalità con cui si arriva al consenso intor-no al loro contenuto e lo sco-po per cui vengono applicate. Varie organizzazioni hanno sviluppato metodologie per arrivare alla stesura della linea

guida, basandosi su criteri di affi dabilità dei dati da utiliz-zare e sulla modalità con cui i dati sono utilizzati; alla base di queste metodologie vi è la ricerca dell’oggettività scientifi -ca e l’esclusione di ogni aspetto soggettivo. Per quel che riguar-da lo scopo questo non è mai dichiarato esplicitamente fi n nei particolari: spesso vengono inserite delle considerazioni di carattere economico (costi) accanto ad altre di tipo morale (equità di accesso alle risorse) assieme ad aspetti di effi cacia ed effi cienza. È evidente che una persona curata per la sua situazione secondo le linee guida pensi in cuor suo che quanto viene fatto è in funzio-ne della massima effi cacia nel risolvergli il problema, ma è più verosimile che sia invece fatto in funzione della massi-ma effi cienza nel caso le pro-cedure siano state elaborate su mandato del servizio sanitario o, peggio, di una assicurazione malattia.Per quanto riguarda la meto-dologia di raccolta dati essa si basa nel caso della sanità sull’esaminare i lavori scienti-fi ci pubblicati sull’argomento e stabilirne l’affi dabilità delle conclusioni seguendo una griglia di valutazione che esa-mina la tipologia del piano sperimentale, le modalità di raccolta dati ed altre caratte-ristiche dello studio quali la gestione dei dati mancanti e il tipo di analisi statistica. Ciò ha portato a privilegiare i trial randomizzati e controllati in doppio cieco come “gold standard” per qualunque rac-

comandazione clinica; senza nulla negare alla validità dei trial clinici occorrerebbe però rifl ettere maggiormente su due problemi di natura epi-stemologica. Il primo è legato al fatto che le conclusioni di un test statistico valgono so-lamente per la popolazione da cui si è estratto il campione usato nell’esperimento. La po-polazione generale non coinci-de con quella campionata per un trial, tant’è vero che esso prevede criteri di inclusione ed esclusione. Non solo: anche le condizioni di svolgimento dell’attività non sono le stesse della vita di tutti i giorni; infatti chi sponsorizza lo studio paga il costo di una serie di esami che normalmente non verreb-bero fatti o comunque non nei tempi richiesti dallo studio. In secondo luogo la stragrande maggioranza dei trial clinici è strutturata secondo criteri di analisi che discendono diret-tamente da quelli sviluppati da Fisher per valutare gli eff etti dei terreni e dei concimi sulla crescita del grano. Di conse-guenza sono quanto di meglio ci possa essere per determi-nare l’effi cacia di un farmaco, ma già rispetto al paragonare diff erenti tipi di interven-to chirurgico non siamo più nell’ottimale; quando poi entra in gioco la riabilitazione il mo-dello non funziona più bene.

Le peculiarità della riabilitazionePer dirla con uno slogan, un trial clinico randomizzato si basa sul fare la stessa cosa al

maggior numero di perso-ne possibile, mentre in ria-bilitazione quel che avviene normalmente è fare il mas-simo numero di cose su una singola persona. Un secondo problema (in realtà primo per importanza) è di natura epi-stemologica: la struttura di un trial è basata su di un modello esclusivamente biologico e ha come base fondante le ricerche sulla migliore tecnica di colti-vazione del grano applicate poi alla farmacologia. Il modello usato in medicina riabilitativa è di tipo bio-psico-sociale sen-za causalità diretta fra lesione (modello biologico) e conse-guente disabilità e quindi non è immediatamente confacente alle basi teoriche del trial clini-co. Tant’è vero che molte linee guida proposte per la riabili-tazione vengono denominate e defi nite nel campo di appli-cazione secondo una codifi ca per patologia ICD-CM e non secondo funzione, quale po-trebbe ad esempio essere l’ICF.Un ulteriore punto riguarda i risvolti etici delle linee guida, cioè il motivo per cui vengono costruite e implementate. Ov-viamente come il Candide di Voltaire tutti risponderemmo che vengono create e utilizzate per migliorare e rendere più effi ciente, effi cace e appro-priata la risposta al bisogno della persona malata. Ma già nel termine effi ciente abbia-mo il particolare in cui si cela il demonio: effi ciente o effi cace rispetto a che cosa, o meglio a chi? Per non parlare di quello che va tanto di moda oggi: ap-propriato. Il concetto di appro-

priatezza inserisce una grossa mina sotto lo scientismo og-gettivista (salvo consideralo solamente dal punto di vista economico). Il concetto di appropriatezza è soggettivo: “un intervento i cui benefi ci attesi siano superio-ri alle eventuali conseguenze negative escludendo consi-derazioni di tipo economico”. Oppure per dirla con il senso comune di Wikipedia “misura di quanto una scelta o un in-tervento diagnostico terapeu-tico sia adeguato rispetto alle esigenze del paziente e al con-testo sanitario”. Spesso viene il dubbio sul fatto che la linea guida sia in realtà un metodo di controllo dell’allocazione delle risorse. Oppure che in esse entrino dei giudizi di tipo culturale sulla qualità della vita, si vedano ad esempio le linee guida inglesi sull’utilizzo degli antitumorali o sul bypass in persone fumatrici.

Un modello da ripensare?Occorrerebbe allora che an-che per le linee guida l’enne-simo comitato etico control-lasse e desse il benestare alla loro creazione, evidenziando i confl itti di interesse e la loro conformità ai valori comuni? La proposta non è poi così pa-radossalmente provocatoria se consideriamo le conseguenze del passaggio culturale av-venuto dall’affi darsi all’auto-revolezza di un maestro alla sequela del parere prodotto da un comitato scientifi co. Nel primo caso siamo di fronte a un rapporto personale in cui

entrambi siamo coinvolti e re-sponsabili, nel secondo caso il rapporto è “oggettivo” e nasce dal seguire delle regole decise da una istituzione imperso-nale. Questo aspetto affi ora in due posizioni diametralmente opposte: quella di chi ritiene debba esser lasciata alla re-sponsabilità personale la pos-sibilità di adattare al caso con-creto la linea guida e quindi è fautore di linee che indichino principi generali senza scen-dere troppo nel dettaglio e la posizione di chi ritiene che l’adeguarsi alle regole sia asso-lutamente necessario e quindi combatte l’obiezione di co-scienza in nome del superiore interesse dello stato a veder eseguiti i propri decreti, indi-pendentemente dal giudizio e dai valori etici di chi le deve eseguire (curiosamente questa posizione non arriva alle logi-che conseguenze di riabilitare chi venne condannato nono-stante aff ermasse di “eseguire gli ordini”). Ovviamente non è pensabile di lasciare all’arbitrio individuale il che cosa fare, tuttavia è ne-cessario un ripensamento sulla strutturazione delle linee guida o dei protocolli in riabilitazio-ne generando una metodolo-gia specifi ca e non semplice-mente applicando senza tener conto delle diff erenti premesse epistemologiche quanto viene fatto nell’ambito delle scienze biomediche. Non sarebbe poi così male la ricerca di persone autorevoli che possano fun-gere da mentore per le nuove generazioni.

Cesare Giuseppe Cerri

Linee guida e riabilitazione:un modello da ripensare?Il metodo scientifi co basato sull'evidenza e sulle linee guida ha prevalso sull'esperienza dei grandi maestri, non senza lasciare qualche dubbio sulla sua applicabilità ed effi cacia

> Cesare Giuseppe Cerri è diret-

tore della scuola di specializza-

zione in medicina riabilitativa

all’Università Milano Bicocca.

I suoi interessi di ricerca si esten-

dono fi no ai problemi etici ed

epistemologici legati alla riabi-

litazione

Nato da una proposta dell’Azienda ospedaliero-universitaria

di Parma, il giardino riabilitativo è un progetto unico nel suo

genere in Italia, una sorta di palestra a cielo aperto dove i pa-

zienti con disabilità motoria derivanti da lesioni ortopediche,

traumatiche e da patologie neurologiche possono svolgere

attività riabilitative in un contesto protetto ma allo stesso tem-

po al di fuori delle mura ospedaliere.

Lo spazio è stato attrezzato nell’area adiacente al padiglione

Barbieri, con cui comunica attraverso una rampa pedonale di

collegamento, con l’intento di consentire il recupero dell’auto-

nomia dei pazienti in cura presso l’unità operativa di medici-

na riabilitativa dell’Ospedale Maggiore di Parma. Immersi in

un’area verde i pazienti possono mettersi alla prova e svilup-

pare le capacità per affrontare gli ostacoli che si incontrano

nel normale svolgimento delle attività quotidiane, nell’ottica di

un graduale reinserimento nel mondo reale, non sempre co-

stituito da ambienti accessibili e dove ogni giorno è inevitabile

imbattersi in barriere architettoniche, come gradini o scale.

Il progetto è il risultato di un lavoro di gruppo che ha coinvolto

diverse fi gure tra cui, per l’Azienda ospedaliero-universitaria

di Parma, Rodolfo Brianti, direttore del dipartimento geriatri-

co-riabilitativo e della struttura complessa di medicina riabili-

tativa, Fabrizio Dazzi, responsabile della struttura semplice

di riabilitazione intensiva, e le terapiste occupazionali Alessia

Cattaneo e Barbara Parenti.

I percorsi riabilitativi

L’area del giardino ha un perimetro di circa 120 metri su una su-

perfi cie di circa 850 metri quadri ed è percorsa da vialetti che si-

mulano i vari tipi di pavimentazione e i numerosi ostacoli che si

possono incontrare nell’ambiente urbano: diversi generi di super-

fi cie calpestabile, in porfi do, terra battuta, asfalto, ghiaia, collegati

da scale con gradini di varie altezze e rampe di pendenze differen-

ziate (5-8-12%), attrezzate con parapetti e corrimano in acciaio,

che hanno come obiettivo il recupero di abilità motorie complesse.

«Abbiamo previsto diversi tipi di pavimentazione, come il ciottolato

per esempio, dove andare in carrozzina è molto più complicato

rispetto alla superfi cie un po’ fi nta di una classica palestra di ri-

abilitazione. Anche la scelta di prevedere discese con pendenze

differenziate fi no al 12% – spiega il dottor Brianti – è legata a ra-

gionamenti molto semplici ed è stata fatta considerando che gran

parte delle moderne abitazioni dispone di ascensori che arrivano

fi no al piano dei garage, quindi sotto il livello della strada, e che

le pendenze delle rampe di accesso a queste zone sono spesso

superiori a quelle normalmente consentite su strada e possono

risultare piuttosto impegnative per un paziente in carrozzina».

Il giardino è circondato da un camminamento esterno, collegato

con l’area di orientamento centrale attraverso quattro vialetti deli-

mitati da siepi e alberi che circoscrivono altrettante aree verdi de-

dicate ad attività riabilitative specifi che. Più internamente si svilup-

pa un secondo circuito motorio-terapeutico ad anello, anch’esso

fruibile sia dai pazienti che deambulano, con o senza ausilio, che

da quelli in carrozzina. Per le esercitazioni di abilità è stato allestito

anche un percorso con ostacoli removibili e variabili secondo le

specifi che esigenze di ogni singolo paziente.

Oltre alle zone dedicate alla terapia vera e propria sono previsti

spazi ricreativi, come l’area per le attività manuali-laboratoristiche

di pittura, lavori di piccolo giardinaggio o manipolazione di mate-

riali plasmabili, un’area verde attrezzata per la ricerca di risposte

agli stimoli sensoriali (suoni, colori, odori) e una zona dedicata

allo sport pensata per valorizzare e rinforzare le abilità riacquisite

dal paziente.

Le aree ricreative, allestite con panchine e gazebo, sono state

concepite per stimolare il raggiungimento della consapevolezza

delle possibilità di integrazione sociale del paziente e favorire i

momenti di incontro con le famiglie.

Rachele Villa

Un giardino riabilitativo per simulare la realtà: inaugurato a Parma uno spazio innovativo all’aperto con gli ostacoli dell’ambiente urbano

c/o Banca Rurale Artigiana Filiale di CarimateIBAN: IT 04 F 08430 51090 00 00 000 23265

INFORMAZIONE SCIENTIFICA DALLE AZIENDE

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21

Il ruolo dell’acido ialuronico nella salute osteoarticolare

L'acido ialuronico è una delle biomolecole più comuni negli

organismi animali, tant'è che lo si trova identico nelle ma-

trici extracellulari dei tessuti connettivi di tutti i Mammiferi.

Dal punto di vista chimico è un biopolimero non ramifi cato

formato da unità disaccaridiche alternate di N-acetil-D-glu-

cosamina e acido D-glucuronico, dove il collante tra i due

disaccaridi è fornito da legami beta (beta 1,3 e beta 1,4)

glicosidici.

In base alla lunghezza raggiunta dalle catene polimeriche

si distinguono acidi ialuronici di peso molecolare basso

(0,5-1,2 MDa), medio (1,3-3,6 MDa) e alto (>3,6 MDa). Il

liquido sinoviale di un’articolazione sana contiene catene

di acido ialuronico il cui peso molecolare è, mediamente,

di 6 MDa.

Le funzioni dell'acido ialuronico nel corpo umano

In vivo la molecola dell'acido ialuronico risulta altamente

polarizzata – grazie alla completa ionizzazione dei gruppi

carbossilici sia dell'acetilglucosamina sia dell'acido glucu-

ronico – e quindi dotata di un'ottima idrosolubilità e igro-

scopicità. Tale affinità per l'acqua lo rende un composto in

grado di raggiungere alti livelli di idratazione. Grazie alle

prerogative di idrofi lia, elasticità e viscosità, l’acido ialuro-

nico ha le caratteristiche idrodinamiche e reologiche ideali

per garantire alle superfi ci articolari una costante lubrifi ca-

zione e una grande resistenza alle sollecitazioni meccani-

che.

In aggiunta, possiede un’attività biologica propria, media-

ta dal suo legame con recettori cellulari specifi ci (CD44,

RAHMM/CD168, ICAM-1), che ne fa un antagonista fi siolo-

gico dei processi fl ogistici. È infatti riconosciuta la capacità

dell’acido ialuronico di attraversare la membrana sinoviale

e stimolare a livello di sinoviociti e condrociti la sintesi di al-

tre catene di acido ialuronico e di proteoglicani cartilaginei

(aggrecani) endogeni (viscoinduzione), nonché di determi-

nare una riduzione dei radicali liberi, delle proteasi e delle

citochine pro-infi ammatorie e un aumento delle molecole

antinfi ammatorie.

Funzione meccanica e funzione biologica coesistono in pro-

porzione variabile in base al peso molecolare delle catene

polimeriche presenti, essendo le attività di viscoinduzione

e antifl ogistica garantite in un intervallo di peso molecolare

basso-medio e la funzione di protezione meccanica svolta

invece prevalentemente da catene di peso molecolare alto.

L’acido ialuronico ad alto peso molecolare, inoltre, ammor-

tizza le forze trasmesse dai movimenti articolari ai nocicet-

tori della capsula articolare espletando pertanto anche un

effetto analgesico.

Il ruolo dell'acido ialuronico nei processi degenerativi

Le proprietà descritte fanno dell’acido ialuronico il composto

cardine della cinetica e, in generale, della salute articolare.

L'acido ialuronico svolge anche un ruolo chiave nei processi

degenerativi tipici dell’osteoartrosi.

Tra questi rientrano infatti sostanziali cambiamenti a carico del

liquido sinoviale, specialmente del suo contenuto in acido ia-

luronico e delle qualità intrinseche del polisaccaride: lo sbilan-

ciamento del normale rapporto tra anabolismo e catabolismo

a favore del secondo processo, possibilmente associato all’ef-

fetto di diluizione causato dal versamento infi ammatorio, porta

alla diminuzione della sua concentrazione totale (da 3-4 mg/

ml nel liquido sinoviale integro a 1,5 mg/ml nell’articolazione

artrosica), mentre il deterioramento dei processi sintetici indu-

ce un’alterazione delle proporzioni tra catene polimeriche di

diverso peso molecolare, con un complessivo abbassamento

del peso molecolare medio (da 6 fi no a 1,9 MDa).

Tali eventi costituiscono il presupposto fi siopatologico all’in-

tervento di viscosupplementazione con preparati a base di

acido ialuronico, che oggi rappresenta l’approccio ottimale nel

trattamento conservativo dell’osteoartrosi, sul piano sia del

miglioramento sintomatico e funzionale sia del controllo della

progressione dei processi degenerativi.

Viscosupplementi in continua evoluzione

A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, nel panorama

della terapia infi ltrativa con acido ialuronico si sono susseguiti

prodotti con caratteristiche diverse quanto a obiettivi terapeuti-

ci e a schemi di trattamento.

Le prime formulazioni a base di acidi ialuronici lineari a basso

e a medio peso molecolare (fi no a un massimo di 3,6 MDa)

– originate dalle tradizionali tecniche estrattive e di sintesi –

sfruttavano principalmente l’azione di viscoinduzione e gli ef-

fetti antinfi ammatori di questi ultimi, potendo tuttavia contare

su un’efficacia limitata nel tempo a causa della scarsa persi-

stenza dei preparati nello spazio endo-capsulare. Richiedeva-

no pertanto somministrazioni ripetute (3-5) a intervalli ravvici-

nati (una settimana) per ottenere un effetto di breve periodo

(3-6 mesi).

Di recente l’avvento delle tecnologie cross-link ha enorme-

mente espanso e articolato le potenzialità degli acidi ialuronici

di sintesi, creando formulazioni in grado di surrogare compiu-

tamente il liquido sinoviale naturale, di cui riproducono sia le

caratteristiche viscoelastiche sia le proprietà biologiche, ga-

rantendo al contempo un tempo di permanenza intra-artico-

lare prolungato.

La procedura cross-linking consiste nel generare ponti chimici

tra più catene di acido ialuronico, in modo da ottenere polimeri

complessi e di più alto peso molecolare. Modulando quantità

e tipologia dei cross-link si possono ottenere preparati dotati

di idrosolubilità, elasticità e viscosità estremamente variabili

proprio in ragione della differente struttura chimica, fi no ad ot-

tenere dei gel, polimeri con struttura tridimensionale di tipo

reticolare derivati dall’unione di catene polisaccaridiche di di-

verso peso molecolare.

Con il prodotto cross-linked di ultima generazione, Hylastan

SGL-80 (Jonexa), che unisce un gel a elevata viscoelasticità e

persistenza, con acidi ialuronici lineari liberi a basso peso mo-

lecolare, è possibile concepire un trattamento costituito da una

somministrazione con efficacia protratta fi no a 6 mesi, vale a

dire un programma terapeutico più propriamente “riabilitativo”

che si estende su un orizzonte temporale di lungo periodo,

fi nalizzato a contrastare gli esiti infi ammatori e a innescare i

processi riparativi, riducendo la sintomatologia dolorosa e ri-

pristinando una soddisfacente mobilità articolare.

Bibliografi a essenziale

1. Conrozier T, Housman L, Arden N, Birbara C, Bockow B, Sch-

nitzer T, Waddell D, Wei N, Yates J. Safety and efficacy of intra-ar-

ticular Hylastan SGL-80 in patients with symptomatic osteoar-

thritis of the knee. Ann Rheum Dis 2010;69(Suppl 3):271.

2. Culotta D. Viscosupplementazione con un nuovo acido

ialuronico cross-linkato soft-gel (Hylastan SGL-80) nel trat-

tamento del dolore articolare nell’osteoartrosi: studio clini-

co a 6 mesi. International Symposium Intra Articular Treat-

ment 2013 (Barcellona, 3-5 ottobre).

3. De Pascalis MA. Iniezione intra-articolare con Hylastan

SGL-80: esperienza a lungo termine. International Sympo-

sium Intra Articular Treatment 2013 (Barcellona, 3-5 ottobre).

4. De Pascalis MA. Infl itrazione intrarticolare con Hylastan

SGL-80 nella gonartrosi.

Journal of Sports Traumatology 2012;29:1-4.

5. Housman L, Arden N, Schnitzer TJ, Birbara C, Conrozier

T, Skrepnik N, Wei N, Bockow B, Waddell D, Tahir H, Ham-

mond A, Goupille P, Sanson BJ, Elkins C, Bailleul F. Intra-ar-

ticular hylastan versus steroid for knee osteoarthritis. Knee

Surg Sports Traumatol Arthrosc. 2014;22(7):1684-92.

6. Migliore A, Delle Sedie A, Bizzi E, Tormenta S. Intra-arti-

cular administrations of Hylastan SGL-80 in patients with

symptomatic osteoarthritis of the knee. Preliminary data

from a multicentric cohort study. Osteoporos Int 2011;22

(Suppl 1):S119–S408 (P429).

7. Wolenski L. Studio osservazionale sull’efficacia e la sicu-

rezza della somministrazione di acido ialuronico cross-lin-

kato nell’osteoartrosi dell’anca. Follow-up a 12 mesi.

International Symposium Intra Articular Treatment 2013

(Barcellona, 3-5 ottobre).

JONEXA, PROFILO DEL FARMACO

E PROVE DI EFFICACIA

Jonexa è una miscela (Hylastan SGL-80) composta

per l’80% da un gel di Hylastan e per il 20% da una

componente liquida costituita da acido ialuronico a

basso peso molecolare (0,9-1,3 MDa).

Hylastan è un composto di molecole di ialuronato di

sodio ottenuto per fermentazione batterica (presente

nel prodotto fi nito in concentrazione di 10,5 mg/ml),

unite tra loro con tecnologia cross-linking (agente re-

attivo il divinilsulfone) in modo da formare un reticolo

tridimensionale che da un lato risulta dotato di caratte-

ristiche viscoelastiche del tutto sovrapponibili a quelle

del liquido sinoviale sano e dall'altro conferisce al com-

posto un'emivita prolungata rispetto ad altri preparati a

base di acido ialuronico.

Grazie alla sua composizione e formulazione Hylastan

SGL-80 è in grado di contrastare la degenerazione ar-

ticolare su due fronti: la componente cross-linkata ha

prevalentemente funzione meccanica di protezione

delle superfi ci subcondrali, che svolge rispondendo

agli stress meccanici in modo analogo al liquido sino-

viale naturale; la componente a basso peso molecola-

re con funzione prettamente conservativa di viscoin-

duzione.

Il prolungato tempo di permanenza nello spazio intrar-

ticolare (stimato di 31 giorni) è inoltre alla base di un

duplice vantaggio offerto dal prodotto alla pratica cli-

nica: l'utilizzo in monosomministrazione, che va a so-

stegno di una maggiore tollerabilità e di una migliore

compliance alla terapia, e l'efficacia protratta fi no a sei

mesi.

Le esperienze cliniche

L’effetto di Hylastan SGL-80 è stato ripetutamente te-

stato nel trattamento dell’osteoartrosi del ginocchio

con una serie di studi prospettici non controllati (Culot-

ta, 2013; De Pascalis 2013; De Pascalis, 2012; Migliore,

2011; Conrozier, 2010) e, nella sperimentazione regi-

strativa, con uno studio multicentrico di confronto con

metilprednisolone acetato (Housman, 2014), condotto

a gruppi paralleli, randomizzato e in doppio cieco, che

hanno concordemente riscontrato riduzioni statistica-

mente signifi cative della sintomatologia dolorosa man-

tenutesi fi no a 6 mesi con un’unica somministrazione.

Di recente il potenziale terapeutico di Jonexa è stato

messo alla prova, in due studi osservazionali esplo-

rativi (Wolenski, 2013; Migliore, 2014), anche nel trat-

tamento dell’osteoartrosi dell’anca, ottenendo risultati

sintomatici e funzionali altrettanto soddisfacenti e di

lunga durata.La scelta del viscosupplemento

Oggi abbiamo a disposizione un elevato numero di visco-

supplementi, che differiscono principalmente per peso mo-

lecolare, concentrazione e numero di somministrazioni. Pur

essendo nel complesso sicuri ed effi caci, spesso ci si chiede

quale sia il migliore.

In realtà la domanda corretta è qual è il miglior acido ialuro-

nico per quel paziente. La terapia infatti va scelta in base alle

caratteristiche cliniche e alle comorbilità del paziente, tenen-

do presenti i vantaggi e gli effetti collaterali che ne possono

derivare.

Si possono fare alcune considerazioni: quasi tutti i viscosup-

plementi vengono somministrati con cicli di 3-5 iniezioni. An-

che se gli eventi avversi gravi collegati alla singola iniezione

sono rari, il paziente a volte può avere delle reazioni locali,

quali dolore, calore, gonfi ore. A volte inoltre, per particolari

comorbilità come ad esempio l’uso di terapia antiaggregante,

è opportuno scegliere terapie che espongano a minori rischi

di sanguinamento il paziente. Bisogna inoltre considerare il

costo della singola seduta, non solo per il supplemento in sé,

ma anche perché è necessaria la presenza di uno specialista.

Pertanto, un numero ridotto di iniezioni risulta vantaggioso

sia in termini di sicurezza che di compliance al trattamento.

Le proprietà viscoelastiche dell’acido ialuronico possono contrastare la patologia degenerativa, rallentandone la progressione e ripristinando le normali funzioni dell’articolazione. I farmaci di ultima generazione utilizzano la tecnologia cross-link

CORSI E CONGRESSI

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4 ottobreParkinson, Alzheimer o Idrocefalo normoteso? Una demenza curabile Cassino (Frosinone), Istituto S. RaffaeleSegreteria Organizzativa: GraphidisTel. 0776.313000 - [email protected]/iscrizione

4 ottobreI traumi dello sport. Nuove metodologie di trattamento preventivo, conservativo e chirurgicoMesagne (Brindisi)Segreteria Organizzativa: IKOS srlTel. 011.377717 - [email protected] - www.ikosecm.it

4 ottobreLa riabilitazione nella spasticitàStato dell’arte e nuove proposteCavaso del Tomba (Treviso), Asolo Golf ClubSegreteria Organizzativa: “Il puzzle della vita” OnlusCell. 349.2503589 (Michele Durighello)[email protected] - www.sinergiaesviluppo.it

11 ottobreCosa, come e perchè misurare l'intervento fi sioterapicoVarese, Università dell’InsubriaSegreteria Organizzativa: SIFwww.sif-fi sioterapia.it

16-18 ottobreJournées Perdriolle 2014 - Physiomind 2014"Scoliosi, Riabilitazione & Sport"Salerno, Grand Hotel SalernoSegreteria Organizzativa: Dafne CongressiTel. 0964.342229 - Fax [email protected] - www.dafneservizi.it

16-18 ottobreXII Congresso Nazionale SITODSocietà Italiana Terapia con Onde D’urto"Mille volti delle onde d’urto"VeronaSegreteria Organizzativa: MV CongressiTel. 0521.290191 - Fax 0521.291314 [email protected]

23-25 ottobre9th international conference on strength trainingAbano TermeSegreteria Organizzativa: Akesios GroupTel. 0521.647705 - [email protected] - www.akesios.it

23-26 ottobreXXXIV congresso FMSISedentarietà: una nuova patologiaCatania, Teatro Massimo BelliniSegreteria Organizzativa: AIM Group International Tel. 06.33053.1 - Fax [email protected] - www.fmsi.it

27-28 ottobreLe patologie tendinee del polso e della mano: attualitàTorino, aula magna CTOSegreteria Organizzativa: Il Melograno ServiziTel. 011.505730 - Fax 011.590940segreteria@ilmelogranoservizi.comwww.ilmelogranoservizi.com

7 novembre Masterclass SIGASCOT Management delle lesioni muscolari e tendinee dell’arto inferioreRecupero e ritorno all’attività sportiva e agonisticaTorino, Centro Congressi Unione Industriale Segreteria Organizzativa: OIC srlTel. 055.50351 - Fax 055.5528421 - [email protected]

7 novembreLa rete regionale delle lesioni midollariImola (Bologna)Segreteria Organizzativa: Gruppo FipesTel. 0543.742565 - formazione@gruppofi pes.it

7-8 novembreTraumi da sport e riabilitazioneTarantoSegreteria Organizzativa: Satagroup sas Tel. 099.4000493 - Fax 099.9941007 [email protected]

7 novembre12° Congresso di ortopedia, traumatologia e medicina legale"Il ginocchio: patologia degenerativa e traumatica. Dalla prevenzione alla riabilitazione e al contenzioso"Salsomaggiore Terme (Parma)Segreteria Organizzativa: Keyword EuropaTel. 02.54122513 - [email protected]

10-13 novembre10° Corso della Scuola Euromediterranea - EMRSS"Il supporto strumentale per la diagnostica e la terapia in riabilitazione"SiracusaSegreteria Organizzativa: [email protected] - www.emrss.it

15-16 novembre2° Congresso EuroamericanoPosturologia, scienza del movimento e medicina riabilitativaRomaSegreteria Organizzativa: Med LearningTel. 06.6873034 - [email protected]

19-21 novembreCorso di formazione permanente in neuroriabilitazione dell'età evolutiva"L'adolescente con paralisi cerebrale: lo sviluppo emotivo, i problemi neuro funzionali, l'apprendimento e la partecipazione"Bologna, Centro Congressi I Portici HotelSegreteria Organizzativa: Fondazione [email protected] - Tel. 02.795458

5-6 dicembre4° Congresso ISMuLTItalian Society of Muscles, Ligaments & Tendons"Advances in muscles ligaments and tendons. Research and clinical practice"Roma, Hotel Sheraton golfSegreteria Organizzativa: Balestra CongressiTel. 06.2148068 - Fax [email protected]

18-19 dicembreCorso teorico-pratico in neuroriabulitazioneLa chirurgia funzionale nell’UMNS: il laboratorio di analisi del movimentoRiminiSegreteria Organizzativa: Sol et SalusTel. 0541.725139 - www.soletsalus.com

A G E N D A E V E N T I

supplemento a Tabloid di OrtopediaAnno IX - numero 5, settembre 2014Mensile di informazione, cultura, attualità

Direttore responsabileAndrea Peren a.peren@griffi neditore.it

RedazioneRachele Villa r.villa@griffi neditore.it

Segreteria di redazione e traffi coMaria Camillo customerservice@griffi neditore.itTel. 031.789085 - Fax 031.6853110

Grafi ca e impaginazioneMinù Art • boutique creativa - www.minuart.it

Hanno collaborato in questo numero: Francesco Bertoldo, Cesare Giuseppe Cerri, Giuseppe Di Natali, Claudio Lisi, Luca Marin, Giampiero Pilat, Renato Torlaschi

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Direttore commercialeGiuseppe Roccucci g.roccucci@griffi neditore.it

VenditeStefania Bianchi (Agente) s.bianchi@griffi neditore.itBarbara Guglielmana (Agente) b.guglielmana@griffi neditore.itManuela Pavan (Agente) m.pavan@griffi neditore.it

tiratura di questo numero: 8.000 copie

L’Editore dichiara di accettare, senza riserve, il Codice di autodisciplina pubblicitaria. Dichiara altresì di ac-cettare la competenza e le decisioni del Comitato di controllo e del Giurì dell’autodisciplina pubblicitaria, anche in ordine alla loro eventuale pubblicazione.

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Argea è un prodotto a base di 12 oli essenziali combinati

con estratti naturali concentrati e argilla bianca e verde mi-

cronizzata e ventilata. Gli impacchi di Argea sono ideali per

accelerare il recupero da traumi, distorsioni e infi ammazioni

tendinee, come dimostrato ogni week-end dai piloti del Mo-

tomondiale e della Superbike: in Clinica Mobile Argea viene

utilizzato nel trattamento dei traumi da caduta dei piloti poi-

ché la sua applicazione permette a questi atleti un recupero

molto più rapido in modo naturale.

Le proprietà assorbenti, purifi canti e ri-mineralizzanti dell'argilla

sono conosciute fi n dall'antichità. Nel

solco di questa tradizione nasce Ar-

gea, che alle proprietà tipiche dell'ar-

gilla aggiunge i benefi ci dell'Arnica

Montana e degli oli essenziali.

Più l'argilla è fi ne maggiori sono le

proprietà appena descritte: è per

questo che in Argea l'argilla è pre-

sente in forma micronizzata e venti-

lata, dove cioè le particelle di argilla

sono della dimensione più piccola

possibile. Alle proprietà specifi che

dell'argilla viene aggiunta l'attività

antinfi ammatoria naturale dell'Arni-

ca montana, che permette di lenire

le zone infi ammate e doloranti.

La presenza di Vitamina E permet-

te invece di apportare un'azione

emolliente e nutritiva.

La formulazione è completata e arricchita da fi toestratti quali

edera, fucus, escina che hanno una nota azione tonifi cante sul

microcircolo, alla quale si aggiunge l'azione dermopurifi cante e

rinfrescante del mentolo e degli altri oli essenziali naturali.

Argea si applica in caso di traumi, contusioni, distorsio-

ni, contratture ed edemi in generale, oltre a infi ammazio-

ni tendinee. Si applica uno strato di 1-2 mm di prodotto sulla

zona interessata e si copre con una pellicola trasparente. Il

prodotto è pronto all’uso: non va quindi miscelato con acqua

ed è disponibile sia in vaso che in

bustine monodose.

Si lascia agire per almeno 2-3 ore,

dopodichè si sciacqua via il prodot-

to dalla zona interessata con acqua.

Per ottenere la massima efficacia

lasciare agire per tutta la notte. Ri-

petere le applicazioni per più giorni

consecutivi fi no a un signifi cativo

miglioramento. In caso di trauma in

acuto l'impacco di Argea può esse-

re combinato con applicazione di

ghiaccio a intermittenza.

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Kiron: Tel. 051.6238861

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DALLE AZIENDE

Argilla e oli essenziali, un metodo naturale per il recupero fi sico