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3 T RADURRE I cocci di Babele a cura di Antonino Di Sparti E DIZIONI C OMPOSTAMPA

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T R A D U R R E I c oc c i d i Babel e

a c u r a d i

A n t o n i n o D i S p a r t i

E D I Z I O N I C O M P O S T A M P A

Antonino Di Sparti

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Indice

I cocci di Babele: tra metafore e neurolinguistica di Antonino Di Sparti 7

1. Le costanti della pratica traduttiva 19 di Cinzia Citarrella 1. I primordi della traduzione: esigenze e finalit 19

2. Il mestiere di traduttore: le prime testimonianze 22 3. Le scuole di traduzione 27

2. Tipologie traduttive 43 di Cinzia Citarrella 1. Traduzione e acculturazione 44

2. Traduzioni commerciali e amministrative nel mondo antico 54 3. La traduzione di testi sacri 58

4. La traduzione automatica on-line 113

di Salvatore Giammarresi

1. Can a fish save us from Babel? 113 2. Da Weaver a Babel Fish 115 3. Traduttori automatici oggi per lutente medio 119

4. Legemonia di Systran 121 5. Globalink 122 6. Come valutare i traduttori automatici? 122

7. Traduttori automatici alla prova 124 7. Conclusioni 139

I cocci di Babele: tra metafore e neurolinguistica

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I COCCI DI BABELE: TRA METAFORE E NEUROLINGUISTICA

di Antonino Di Sparti

1. Effetti sulla societ: metafore e miti

Cocci

La storia, la cultura e leducazione sono intessute e nutrite da traduzioni. La storia della cultura umana pu essere letta anche nelle forme che il problema teorico e pratico della traduzione ha assunto. impossibile parlare di traduzione senza che le

varie forme di contatto non ne richiamino ruolo e forme. L esperienza della tradu-zione occorre ricordarlo comune a tutte le epoche: ognuna di esse si scontra-ta e ha dovuto fare i conti con una coloritura particolare (let teraria, filologica, poeti-

ca, religiosa, politica, ecc.) della sua struttura interna. Le teorie che ne scrutano la natura iniziano con il racconto della torre di Babele. Esso si presenta, infatti, come il momento di presa di coscienza della d iversit mul-

tilingue e dei suoi effetti sulla societ e sulla persona; testimonia un senso di perdita e ne cerca le cause. Quello che inizialmente colpisce la pervasivit del mito, poi la poliedricit delle interpretazioni e delle valenze. Deve essere stato un evento emoti-

vamente importante per lumanit se il racconto e i riferimenti che lo riguardano sono quasi infiniti. A tuttoggi vi fa riferimento tutto quello che ha a che fare con coscienza multilinguistica o multiculturale, con bilinguismo, con traduzione, e p i

modernamente con le teorie sulla mente bilingue. Il racconto conosciuto prevalentemente sulla base della tradizione biblica ha trovato testimonianze dirette in altri documenti linguistici e, anche se con qualche differen-

za, in molte culture orientali. Nel tempo si arricchito di interpretazioni sulla con-cezione della lingua (strumentalit e funzionamento sociale), sulla struttura e i pro-blemi della comunicazione umana, sulla concezione teologica dell origine e

dellevoluzione del linguaggio. Laccezione pi diffusa che quel riferimento costante ha lasciato al termine Babe-le e al mito quella di un confuso miscuglio d i sistemi linguistici e delleffetto cao-

tico che ne deriva. Dalla confusione linguistica l uso si spostato ad indicare tutti i

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tipi di confusione: quindi Babele come caos, come negazione assoluta d i ordine e di comprensibilit. Nella riflessione linguistica, per, lestensione negativa si ferma al segno del multilinguismo e della multiculturalit e ne cambia la valenza da negativa

in positiva. Il senso emotivo e cognitivo pi profondo che affiora dal mito quello di una ro t-tura e di una perdita che si vestono di castigo. Se di punizione si tratta, allora si deve

cercare una colpa che possa essere considerata causa del tutto. Tale vastit di impatto indica chiaramente che le domande e le risposte che stanno dietro al mito sono im-portanti e cogenti. Babele appare come una ferita umana che diventa anche personale.

Babele ricorda che qualcosa di molto prezioso si rotto e luomo, con i cocci in mano, si trova a gestirne le conseguenze, a suturare le separazioni dei frammenti. Limplicito che si presume sia andato in frantumi e che si rimpiange lassenza di

un unico sistema comunicativo corrispondente allunicit della razza umana. Il sen-so di tragedia nasce dalla constatazione che non cos: si pensa e si spera che fosse cos, e i danni sono attribuiti alla responsabilit di un insensato essere non-

umano, che, per convenienza propria o no, ha fatto in modo che non fosse cos. la constatazione dei cocci: Babele appare come lo spartiacque tra un prima che non conosciamo (lingua edenica?), ma implicitamente sognato e desiderato, e un

dopo la confusione delle lingue o semplicemente la babele, la confusione tout court. Tra le molte metafore proposte non ce n nessuna che accenna agli effetti lin-guistici e comunicativi delle operazioni necessarie per sanare la frattura.

La tradizione cristiana, e quindi una spiegazione anche questa religiosa, vede la sa-natio nella glossolalia della Pentecoste, quando gli Apostoli si trovarono miracolo-samente a parlare tutte le lingue. Ma quanta stata la durata del miracolo? Ore,

giorni, minuti o semplicemente una percezione dilatata di un attimo? Una sensazio-ne che si percepisce come lunga nel tempo di un attimo mentale? Non viene detto. Il valore conoscitivo del mito sta nella sua funzione di racconto/evento che consen-

te di sciogliere gli aspetti contraddittori di una realt o di un problema, di by-passarli. Spesso importante non la risposta ma la formulazione della domanda e di quello che di inquietante a livello cognitivo o emotivo c dietro.

Il mito fondante la coscienza della diversit umana oggi si presenta re-interpretato con una valenza positiva: l altra faccia accetta il fascino e la ricchezza della diversit. Se ne trova conferma in alcuni testi recenti che preferiscono dirlo ad alta voce sulle

loro copertine. Cos Blessings of Babel di Einar Haugen, Elogio di Babele di Paolo Fabbri e, in qualche modo, anche After Babel di George Steiner ribadisco-no la convinzione che, alla base del sapere umano e della societ umana, ci sono

sempre la traduzione e la trasmutazione di una lingua in un altra, di unesperienza culturale in unaltra: prima di tradurre le lingue occorre saper tradurre le culture.

Il piacere del tradurre

La nostra paideia occidentale, prevalentemente letteraria o religiosa, stata costan-temente ancorata alla traduzione non solo come tecn linguistica pura o applicata, ma come strumenti di appropriazione/condivisione della memoria culturale degli altri

I cocci di Babele: tra metafore e neurolinguistica

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(classici, testi religiosi, documenti storici, ecc.) e della crescita personale. Lesposizione continuata delle intelligenze dedicate alle esperienze traduttive si r i-velata modo di formazione del nostro pensiero e addestramento metacognitivo al

problem solving. facile riconoscere che le ore passate a tradurre dal latino o dal gre-co, oltre che onere pagato alle verifiche scolastiche o accademiche, sono servite come processo di educazione per osmosi con la memoria storica e soprattutto come

esercizio delle capacit analitiche. Il gioco, che nascondeva le difficolt cognitive di entrare a contatto con una cultura e un sistema segnico altro, alla fine rivelava la meraviglia d i scoprire quello che si

nascondeva dietro a segni misteriosi con la soddisfazione di un difficile puzzle fi-nalmente ricomposto. La fatica e lo sforzo venivano nella ripetizione obbligata dellesercizio.

Definizioni Anche se la traduzione pratica antichissima, forse proprio primordiale, universale anche nei modi, nei mestieri e nella consapevolezza delle problematiche, la sua defi-

nizione presenta oscillazioni dovute alle sottigliezze etimologiche a seconda della radice di provenienza o metaforiche presenti nella sua denominazione e che si r i-percuotono nella sua definizione.

Loperazione della traduzione si basa sul confronto di due distinti sistemi linguisti-co-concettuali e sullapplicazione nelle procedure che consentono di trasportare linformazione espressa in una lingua nell altra. La preoccupazione principale quel-

la di evitare perdite o travisamenti nel trasferimento. Il gioco di parole che esprime una consapevolezza interlinguistica che tradurre tradire: la fedelt nel trasfer i-mento spesso pu venir meno o non essere totale o, quanto meno, adeguata. Ri-

spetto alle denominazioni derivate da tra-duco lespressione dei termini inglesi tran-slate e translation (da translatum) offrono una vastit e una variet maggiore: il senso dei passaggi dalle molteplici modalit sta dentro al termine e alla sua origine

storica. Infatti, non esiste ununica forma di traducibilit di un testo da una lingua ad unaltra; il tradurre sempre scelta tra focalizzazioni differenti per rendere il sen-so di un testo su una dinamica bipolare di decodificare e ricodificare sistemi lingui-

stici d ifferenti.

2. Effetti sulla mente: la diversit semantico-concettuale

La lingua plasma il pensiero? Questa domanda, anche se talvolta in filigrana, attraversa una consistente parte della

ricerca sulla lingua condotta secondo i pi var i punti di vista, psicologico, linguistico vero e proprio, e filosofico. Alla constatazione dellesistenza delle molte lingue e delle loro molteplici d ifferenze

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espressive si associa la domanda se a queste differenze non siano strettamente co l-legate quelle pi consistenti e importanti di organizzare la conoscenza del mondo; se dietro ai sistemi linguistici ci sia un modo diverso di percepire e di esprimere la

realt. facile trovare esempi d i confronto che mettono in evidenza come i parlanti di lingue diverse stiano attenti a codificare aspetti del mondo in modo molto diffe-rente per potere utilizzare la loro lingua.1

Il confronto interlinguistico sempre pi esteso e vario documenta caratteristiche di categorie semantiche o grammaticali che sono obbligatorie in una lingua e facoltati-ve in altre; ed opinione sempre pi condivisa che le lingue influenzino molti aspet-

ti della conoscenza e della percezione umana: spazio, tempo, oggetti e sostanze si-stemi di numerazione e di identificazione e denominazione dei colori. Risulta sem-pre pi frequentemente che il pensiero un complesso insieme di collaborazioni tra

rappresentazioni linguistiche e non linguistiche. Problematica rimane la determina-zione della profondit e dellestensione di questa influenza, e in particolare dellesatta correlazione tra il ruolo di questi processi nello svolgimento di funzioni

cognitive complesse e la determinazione del nucleo o dei caratteri universali della conoscenza umana. La trama linguistica recente del problema si fonda sostanzialmente sulle teorie di F.

Boas, E. Sapir, e B. L. Whorf che vanno sotto l etichetta di ipotesi della relat ivit lin-guist ica2. Sono due le sue formulazioni. Quella moderata o debole di Sapir ritiene che lingua influenzi i modi del pensiero, mentre quella radicale di Whorf afferma che la

lingua determina le forme del pensiero e che in particolare le categorie e le distin-zioni di ogni lingua contengano un modo di percepire, di analizzare e d i agire nel mondo. La misura in cui le lingue divergono si riflette sul modo in cui esse percepi-

scono una differente visione del mondo anche in situazioni obiettivamente simili, senza che in ogni caso venga negata la possibilit di un pensiero individuale Il punto moderno delle riflessioni parte da Wilhelm von Humbodt con laffermazione della

natura dinamica della lingua, intesa come energia che plasma e il prodotto di questa energia inteso come ergon. Il quadro preliminare stato proposto da F. Boas 3 con la convinzione che ogni si-

stema grammaticale determini gli aspetti del pensiero che debbono essere necessa-riamente espressi: il parlante obbligato a scegliere allinterno di questi. In ogni lin-gua viene espresso solo una parte del concetto che ne abbiamo in mente, ne deriva

che ogni lingua ha una sua tendenza a selezionare ora questo ora quellaspetto dellimmagine mentale. La grammatica, quindi, condizionerebbe lespressione lin-guistica, non il pensiero.

Sapir dimostra che non si tratta di un processo unid irezionale che va dalla lingua al pensiero, ma che si tratta d i processo d i interazione bipolare tra lingua e pensiero in cui luna modifica laltro e viceversa.

La formulazione radicale di Whorf 4 afferma che le lingue costituiscono un sistema coerente di valori mentali, i quali impongono al parlante una specifica visione della realt, nel senso che lo obbligano a rappresentare linguisticamente ci che pensa

I cocci di Babele: tra metafore e neurolinguistica

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della realt e sulla realt secondo schemi grammaticali e modi linguistici determinati. In definitiva diventa un meccanismo fondamentale quello della traduzione del lin-guaggio culturale. Tradurre le culture qualcosa di pi complesso di tradurre le lingue.

La versione radicale dellipotesi oggi del tutto abbandonata; ma restano aperte le versioni moderate con punti di vista ora favorevoli ora sfavorevoli sulle verifiche so-prattutto nella percezione del tempo, dello spazio e degli oggetti 5. Qui ne riportiamo

sinteticamente rimandando ovviamente a documentazioni e analisi pi dettagliate.

Spazio Le lingue sono molto differenti nel modo in cui descrivono lo spazio, i suoi com-

ponenti e le sue modalit di uso. Una lingua, per es., pu mettere in evidenza la d i-stinzione tra il mettere oggetti in contenitori (the apple in the bowl) o su superf i-cie (the apples on the table), unaltra come per es. il coreano insistere sul grado di

adesione al contenitore. Differenze molto evidenti sono state rilevate nelle localiz-zazioni spaziali: mentre alcune lingue si fondano sostanzialmente su elementi di spazialit relativa (sinistra/destra, avanti/dietro), altre (per es. il Tzeltal, una lingua

Maya) scelgono un sistema di riferimento assoluto analogo a quello dei punti card i-nali. Le espressioni non hanno equivalente in inglese.

Tempo

Anche nelle descrizioni temporali esistono molte differenze. Tratto comune ad alcune lingue luso di termini spaziali per parlare del tempo (e.g. looking forward to a bri-ghter tomorrow, proposing theories ahead of our time, falling behind schedule),

ma queste forme variano da lingua a lingua. In mandarino e inglese i termini usati per ordinare gli eventi sono gli stessi di quelli utilizzati per descrivere relazioni spaziali o-rizzontali asimmetriche, ma il mandarino pu usare anche quelli verticali.

Forme e sostanze Le lingue differiscono nell estensione in cui creano distinzioni grammaticali tra og-getti e sostanze. Una prima d ifferenza quella che identifica un oggetto come un

intero e un altro come elemento di un composto, con conseguenze sulla loro identi-ficazione e numerabilit e sullapplicazione delle categorie grammaticali di numero e di genere. Particolarmente evidenti le ricadute dell assegnazione del genere gramma-

ticale (maschile, femminile, neutro, e sicuramente altro) su tutte le categorie morfo-logiche quali articoli, pronomi, aggettivi, ecc. La parte che raccoglie un po di stra-nezze quella dellassegnazione del genere ad oggetti inanimati con la conseguente

attribuzione di stereotipi legati alla loro sessualizzazione.

Traducibilit e tecniche traduttive La riflessione sul tradurre stata dominata, in Italia, dalla impossibilit delle tradu-

zioni teorizzata da G. Gentile e soprattutto, in una versione moderata, da B. Croce che la riferiva principalmente alla poesia per il forte legame che vi agisce tra espres-sione e contenuto: un intreccio e una sinergia di scelte che si influenzano a vicenda

e che molto difficile riportare nella lingua di arrivo. Croce usa spesso lalternativa

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fra traduzioni belle infedeli e brutte fedeli: le prime nascono da velleit artist i-che da parte del traduttore di poter ricreare il mondo poetico dellautore; le seconde sono considerate strumenti per avvicinarsi alloriginale. Tale distinzione tende a far

distinguere le modalit del contatto fra l originale e il lettore: una traduzione di ca-rattere naturalizzante mira a portare loriginale verso il lettore, mentre quella estranian-te spinge il lettore verso loriginale.

Anche se oggi si traduce pi che nel passato, non si pu dire che si traduca meglio, o che si siano risolti i problemi che riguardano teoria e pratica traduttiva: ancora og-gi in gran parte rimangono gli stessi del passato.

Lesigenza del letteralismo rimane ancora abbastanza diffusa. L interrogativo pi comune rimane quello di decidere se la traduzione debba essere fedele all originale o quanto lo debba essere, e quale debba essere il contributo del traduttore in termini

di originalit rispetto a quello dellautore. Restano da definire i modi di questa fedel-t: quanta consapevolezza si deve lasciare trasparire che non si ha di fronte loriginale dellautore o che il traduttore deve cercare di rimanere invisibile.

Ma soprattutto per la poesia la nozione di fedelt appare problematica. Le scelte del poeta relative alle componenti foniche, grammaticali, metriche e stilistiche fanno parte di ci che la poesia vuol dire. Il modo migliore di tradurre quindi quello di

riportare quanto pi possibile delle forme presenti nella lingua di partenza nella lingua di arrivo. Lesperienza comune conferma che la traduzione possibile, che qualunque cosa si

pu dire in qualunque lingua. Ci avviene nonostante la mancanza di corrisponden-za uno ad uno degli elementi e dei livelli. Le diversit rendono difficile, ma non im-possibile, la traduzione.

F. Boas parte del presupposto che i parlanti di lingue d iverse abbiano potenzialit di pensiero uguale, quindi che la traduzione possibile, ma con la precisazione che ogni lingua configura lo scibile in un modo proprio; ne deriva lassunto di una tra-

ducibilit di contenuti e una intraducibilit di forma linguistica. Pi articolata la posizione d i Sapir che si muove entro il legame reciproco di un pensiero condizionante e un pensiero condizionato. Distingue gradi di traducibilit

a seconda dei generi linguistici dei testi. Nella traduzione di unopera letteraria non c trasferimento senza perdita: i contenuti sono traducibili, la forma no. Per le ope-re scientifiche possibile una traducibilit perfetta per le condizioni obiettive delle

descrizioni. Infine nel linguaggio comune ogni lingua ha un proprio insieme di cate-gorie grammaticali che non coincide con quello d i altre lingue (come per es. lassegnazione del genere o del numero). Quindi la ratio delle differenze non logica

ma grammaticale. La metodologia per accorgersene quella della disintegrazione analitica, cio in una procedura d i analisi che riscopre i valori di ogni morfema tra-ducendoli letteralmente nella loro funzionalit.

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3. Effetti sul cervello: traduzione e ricerca neurolinguistica

I problemi della traduzione non possono essere visti solo in termini di tecniche o-perative ma devono essere inseriti nel quadro complesso delle forme di bilinguismo

linguistico, sociale e cognitivo. Una prospettiva interessante quella offerta da unarea di ricerca di neurolinguistica intenta ad esaminare non solo la struttura e la funzionalit di una mente bilingue, ma anche lattivit della traduzione nel suo svol-

gersi nel cervello in modo da avere indicazioni sulle attivit delle aree anatomico-funzionali interessate. Una premessa necessaria che i dati sperimentali non hanno alcun carattere defini-

tivo o complessivo (spesso sono frammentari, con poca significativit e spesso con una formulazione delle ipotesi linguistiche non adeguata), ma possono dare spunto per poter formulare.

La neurolinguistica della traduzione oltre che esser parte specifica presuppone la neuro-linguistica del linguaggio e del bilinguismo. Tutti aspetti fortemente connessi tra loro.

La mente bilingue

Il problema della rappresentazione delle conoscenze e dei processi durante le ope-razioni di traduzione strettamente connesso con la struttura della mente bilingue. Luso effettivo del linguaggio richiede l interazione della memoria con i sistemi sen-

soriali di input e con quelli motori nella produzione delloutput. Le memorie utiliz-zate sono la fonologica, lortografica e la semantica. Gli input sensoriali per queste memorie sono uditivi per la lingua parlata, visivi o tattili (braille) per la lingua scritta.

Loutput motorio si realizza attraverso larticolazione, la scrittura o il disegno. Due secoli di ricerca hanno portato alla formulazione di due model li cerebrali che con-sentono queste attivit: quello del XIX secolo e quello cognitivo di oggi.

I modelli di Broca e di Wernicke descrivono i componenti anatomici e cognitivi dellelaborazione della parola uditiva o visiva; i modelli cognitivi del XX secolo hanno assegnato ad una terza area, quella temporale e frontale, il ruolo di routes alle

due aree gi indicate e di archivio semantico delle parole. Per alcuni decenni si pensato che le rappresentazioni cerebrali della L1 e della L2 avessero localizzazioni differenziate. Opinione del tutto abbandonata dai neurologi

sulla base di numerose ricerche.6 Le differenze di rappresentazione oggi vengono attribuite non a localizzazioni anatomo-funzionali, ma a risorse di elaborazione; per cui le lesioni causate da alcune patologie linguistiche (afasie e in particolare quelle

relative alla traduzione) riguardano attivit delle singole lingue o di singole abilit linguistiche.7 Le principali caratteristiche della mente bilingue che i neurologi hanno messo in e-

videnza e che possono essere interessanti per la ricerca linguistica riguardano so-stanzialmente due aspetti. 1) Lincidenza dellet e della proficiency.

opinione comune tra i linguisti che la prima decade dellet sia la migliore per lacquisizione della lingua e che la plasticit mentale che la caratterizza si riduca con

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il progredire degli anni, rendendo oltremodo difficile il diventare bilingui perfetti in et adulta. Una recentissima ricerca8, basata sulluso di tecnologie fRMI e guidata da D. Perani, ha verificato tale opinione includendo tra i parametri da esaminare quello

della proficiency nella L2. Dalle esperienze condotte risultato che a parit di prof i-ciency il ruolo dellet non significativo, arrivando a concludere che the age of acquisition per se does not seem to have an impact on (macroscopic) brain repre-

sentations of L2 (Perani). Gli apprendenti adulti con ottima proficiency hanno un comportamento del tutto analogo a quello dei parlanti nativi (ib., p. 1849). Con lesercizio, quindi, possibile recuperare quello che let precoce offre gratuitamente.

2) Differenze fra traduzione e switching. La commutazione consiste nellalternanza d i due lingue durante la stessa conversa-zione. La differenza tra switching e traduzione sta nel fatto che lo sw itching co-

struito sullinibizione di un canale cognitivo e linguistico, mentre la traduzione so-stanzialmente fatta da unattivit di lettura e dalla consultazione di memorie se-mantiche per la ricerca delle corrispondenze fra le due lingue.

Le due attivit hanno evidenziato un funzionamento cerebrale differente, suggerendo quanto meno meccanismi indipendenti. Lo switching, infatti, risulta pi attivo nelle aree di Broca associate con lattivit fonologica; la traduzione, invece, aumenta

lattivit subcorticale delle strutture cingolate anteriori, con un decremento di attiv it in varie aree linguistiche temporali e parietali associate con il significato delle parole.9 Anche Fabbro10 perviene alle stesse conclusioni: this means that choosing one la n-

guage or switching from language to language are not really language aspects but pragmatic components of verbal communication.

Neurolinguistica della traduzione.

Le principali patologie della traduzione sono l inabilit a tradurre (incapacit a tra-durre da L1 a L2 e viceversa), la traduzione spontanea (bisogno compulsivo di tra-durre ogni cosa detta dal malato o dagli interlocutori), traduzione senza compren-

sione (il paziente traduce un comando ma non lo capisce), traduzione paradossale (il paziente traduce solo nella lingua in cui non pu parlare spontaneamente). Tali disturbi portano ad affermare lesistenza di specifici sistemi neurofunzionali as-

serviti alla traduzione e relativamente indipendenti dai sistemi di comprensione e di produzione (cfr. Fabbro 2002, p. 219). Neurologicamente lo studio specifico della traduzione nasce sulla base di quello che

viene chiamato comportamento traduttivo paradossale che si riscontra in pazienti bilingui affetti da afasia e che alternano la capacit di tradurre da una lingua allaltra in modo strano. Il neurolinguista Paradis recentemente ha studiato il caso di una

paziente bilingue che era in grado di comprendere spontaneamente una lingua e di non saperla tradurre e viceversa: utilizzava larabo e il francese in giorni diversi, im-pedendo ora luna ora laltra; cos poteva capitare che un giorno la paziente non sa-

pesse tradurre larabo e traducesse tutto in francese e in un altro non sapesse tradur-re in francese. Un altro caso da lui studiato riguardava una bilingue anglo-francofona: in questo caso la paziente traduceva verso linglese pur non riuscendo a

I cocci di Babele: tra metafore e neurolinguistica

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parlare in inglese e, parlando in francese, non riusciva a tradurre nella stessa lingua. Lipotesi d i Paradis che le funzioni cerebrali sulla traduzione debbano prevedere quattro componenti separati: il primo relativo alla L1, il secondo alla L2, il terzo alla

traduzione L1 > L2 e in quarto per quella L2 > L1. Lesioni o disfunzioni cerebrali possono inibire anche solo uno di questi componenti anche in momenti alterni, la-sciando che gli altri componenti svolgano unattivit normale.

Uscendo dal lato clinico, sarebbe interessante poter applicare le stesse tecniche alla interpretazione simultanea.

Unestet ica dei cocci?

Queste ultime osservazioni gettano una luce particolare sui cocci di Babele: gli effet-ti si riverberano anche sulle modalit fisiche e funzionali del nostro cervello e della nostra mente, che hanno trovato la strada per valicare l incomunicabilit e trasfor-

mare in ricchezza la variet dei cocci. Il frammento, infatt i, perde la globalit di par-tenza; ma, considerato in s, comincia ad assumere una sua bellezza e grandezza nella direzione della diversit. Solo occorre vederlo in modo diverso: le seimila lin-

gue esistenti e lo sterminato numero di varianti indubbiamente hanno una bellezza e una ricchezza d i conoscenze di gran lunga preferibile all ipotetica funzionalit di un monolinguismo edenico. Resta il compito di farle coesistere e con-crescere le diver-

sit e far considerare le diversit una variet che arricchisce e abbellisce. Unestetica iper-razionalizzante dei cocci? No, solo una consapevolezza maggiore della grandezza incommensurabile dell uomo nelle oscurit della sua storia.

Note

1 Cfr. Sapir E. (1921), Language. An Introduction to the Study of the Speech , Harcourt, Brace and Co.,

New York; Sapir E. (1949), Selected writings on language, culture and personality edited by D. Mandelbaum,

University of California Press, Berkeley-Los Angeles. 2 Cfr. Gumperz J.J., Levinson S. C. (1996) (eds.), Rethinking linguistic relativity , C. U. P., Cambridge 3 Cfr. Boas F. (1911), Introduction, in Handbook of American Indian Languages, Smithsonian Institute,

Washington. 4 Cfr. Whorf B. L: (1956), Language, thought and reality. Selected writings edited by J. B. Carroll, MIT

Press, Cambridge Mass. 5 Cfr. Gumperz J.J., Levinson S. C: (1996) (eds.), Rethinking linguistic relativity , C. U. P., Cambridge 6 Cfr. Paradis M. (2000) Language lateralization in bilinguals: enough already!, in Wei 394-401. 7 Cfr. Price C. J. (2000), The anatomy of language: contributions from functional neuroimag-

ing, J. Anat. 197, pp. 35-359; Price C. J., Green D. W. & Studnitz (von) R., A functional

imaging study of translation and language switching, Brain 122, 12, 2221 -2235. 8 Cfr. Perani D., Paulesu, Sebastian Galles N., Dupoux E., Dehaene S., Bettinardi V., Cappa

S.F., Fazio F., Mehler J. (1998), The bilingual brain. Proficiency and age of acquisition of the

second language, Brain 121, 1841-1852.

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9 Cfr. Hernandez A.E., Dapretto M., Mazziotta J., Bookheimer S. (2001) , Language Switching

and Language Representation in Spanish-English Bilinguals: an fMRI Study, Neuroimage 14,

510-520. 10 Cfr. Fabbro F. (2002), Introduction: Michel Paradis Contribution to Neurolinguistics, in

Fabbro (ed.): 31-48; Fabbro F. (2004), Neuropedagogia delle lingue. Come insegnare le lingue ai bambini ,

Astrolabio, Roma; Fabbro F. (2002) (ed.), Advances in the neurolinguistics of bilingualism. Essays in

honor of Michel Paradis, Forum, Udine.

Le costanti della pratica traduttiva

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LE COSTANTI DELLA PRATICA TRADUTTIVA di Cinzia Citarrella

1. I primordi della traduzione: esigenze e finalit

1.1. La nascita della traduzione

La traduzione nasce da unesigenza pratica comune e costante in ogni tempo e in ogni luogo, ossia il bisogno di comunicare con chi usa un codice linguistico diverso dal nostro. Linguisti, antropologi, etnolinguisti, filosofi, predicatori, evangelizzatori

e quanti altri si sono occupati di traduzione ne hanno dato definizioni differenti a seconda dei punti di vista, dei momenti storici e delle diverse esigenze funzionali. Nonostante tale molteplicit di definizioni, permangono nel concetto di traduzione

elementi comuni, invariati e invariabili e pertanto, in un certo senso, universali. Costanti sono certamente lesigenza e la pratica traduttiva: le testimonianze storiche documentano il mestiere del traduttore sin dallantichit, ma verosimile che tale

attivit venisse abitualmente praticata in tempi ben pi antichi rispetto a quanto do-cumentato. Le tracce delle prime traduzioni interlinguistiche, ossia da una lingua allaltra, si perdono nella notte dei tempi, quando si passati da una ipotizzabile, e

largamente ipotizzata, situazione monolingue ad una plurilingue descritta dal mito di Babele.

1.2. Il plurilinguismo tra mito e cultura

Il bisogno naturale di comunicare tale che le difficolt der ivanti dal plurilinguismo hanno probabilmente indotto uomini di culture diverse a considerare la differenzia-zione linguistica una punizione divina per qualche errore da loro commesso o, co-

munque, leffetto di un intervento divino, non certamente una scelta deliberata del genere umano, n tanto meno una naturale evoluzione. Lidea di ununica lingua originaria che, ad un certo punto, si sarebbe scomposta in

pi lingue presente nella mitologia di d iversi popoli: comune lintervento divino che pone fine alloriginario monolinguismo.

Cinzia Citarrella

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Nella mitologia sumerica, secondo quanto si legge in una tavoletta risalente al XXII sec. a.C., la confusione delle lingue sarebbe avvenuta a causa di un contrasto tra le divinit principali, Enlil, dio del vento ed Enki, la Madre Terra1. Lunit linguistica o

quantomeno la possibilit di comprendersi reciprocamente considerata uno stru-mento di forza, in quanto unisce i popoli e li rende uguali tra loro. La fine della su-premazia linguistica del sumero sarebbe stata voluta da Enlil, per dividere gli uomini e

renderli di conseguenza pi deboli, cosicch luomo non potesse eguagliare la divinit. Nel libro della Genesi2, il primo della Legge ebraica, detto che secondo gli Israeliti la causa del plurilinguismo sarebbe da rintracciare nel contrasto tra il popolo di Isra-

ele e Dio, che avrebbe impedito loro la costruzione di una torre, la torre di Babele, che arrivasse fino al cielo , espressione della volont di raggiungere e mettersi sullo stesso livello di Dio.

Ancora una volta il monolinguismo considerato un mezzo di unione e di forza e la differenziazione linguistica volta ad indebolire gli uomini, impedendo la comuni-cazione tra loro. Se gli uomini fossero in grado di comunicare senza l ostacolo della

lingua e soprattutto se si riconoscessero uguali tra loro in quanto parlanti un unica lingua, la loro unione e forza comune li porterebbe a sfidare la divinit. Il plurilin-guismo visto come una punizione divina contro l orgoglio delluomo, ma anche e

soprattutto come una difesa della divinit stessa dal potere derivante agli uomini da una situazione monolinguistica. Anche la mitologia egizia attribuisce allintervento di una divinit la nascita del pluri-

linguismo. Si tramanda che fu il dio Toth a creare la diversit tra le ling ue, tanto da essere considerato il traduttore per eccellenza che aveva il compito di accompagna-re, dopo la morte, gli stranieri al tribunale di Osiride come interpr ete3.

1.3. Finalit della traduzione

La traduzione interlinguistica nasce, dunque, a seguito del plurilinguismo dalla ne-cessit d i comunicare propria d i popoli in contatto tra loro ma parlanti lingue diver-

se. La figura dellinterprete-traduttore presente in ogni cultura e in ogni momento storico, in ogni ambito e in ogni ambiente. Essa assume un ruolo di primaria impor-tanza nella cultura e nellorganizzazione sociale e politico-economica di uno Stato in

quanto elemento basilare dello scambio, fondamento delleconomia e della comuni-cazione sociale. Tale ruolo confermato ed evidenziato dalla st essa etimologia dei termini usati nelle lingue antiche per indicare questo mestiere. Il termine latino inter-

pres, usato per designare quello che oggi chiameremmo mediatore linguistico, r i-portabile alla preposizione inter, che indica appunto la mediazione e il sostantivo pre-tium, prezzo, per cui potrebbe essere spiegato come colui che fa da mediatore per

stabilire il prezzo, riportando evidentemente allambito del commercio. Lequivalente greco e rmhneu,j, (hermeneus) deriva dal nome di una divinit Ermes, dio degli scambi, dei commerci e dei confini, indice della connessione tra traduzio-

ne, commerci e popoli confinanti. da notare, inoltre, che tra le prerogative di Er-

Le costanti della pratica traduttiva

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mes vi sia anche il compito di accompagnare le anime dei morti nelloltretomba. un tratto che lo accomuna al d io egizio Toth: anche Ermes potrebbe, a ragione, es-sere considerato un traduttore o meglio IL TRADUTTORE per antonomasia, il media-

tore tra anime e giudice dei morti. Quali erano, dunque, i motivi che spingevano popoli diversi a comunicare e che rendevano conseguentemente indispensabile lattivit di traduzione?

Nellantichit i contatti tra popoli erano frequentissimi, se non pi di oggi, certa-mente non molto di meno, per quanto all interno di aree vaste tanto quanto permet-tevano i mezzi di trasporto del tempo. I confini, cos come la situazione politica ge-

nerale, non erano per niente stabili.

Guerra e convivenza Molti popoli nomadi, per esigenze di sopravvivenza, si spostavano frequentemente

portando con s lingua e cultura, entrando continuamente in contatto e confron-tandosi con genti culturalmente diverse. Soprattutto nel caso in cui la loro perma-nenza diventava pi stabile nasceva l esigenza di comunicare per stabilire innanzi

tutto le regole di convivenza. Esemplare il caso del popolo ebraico, che nel corso dei secoli ha continuato a spostarsi nellarea vicino orientale e da qui fino in Egitto per motivazioni diverse, entrando in contatto, e pi spesso in contrasto, con i popo-

li con cui si trovava a convivere. Vi erano popoli che continuavano ad espandersi a scapito dei confinanti: sia che tali e-spansioni sfociassero in guerre che in pacifiche convivenze era necessario stabilire una

comunicazione tra le diverse etnie. Nel caso della guerra il bisogno di conoscere la lin-gua del nemico era legato ad una duplice esigenza, quella di una sorta di spionaggio e quella diplomatica. Come attivit preventiva, esploratori erano mandati ad osservare il

territorio e i mezzi del nemico: essi si trovavano spesso a dover entrare in contatto con i popoli nemici e dovevano quindi essere in grado di comprendere, nonch parlare, la lo-ro lingua4.

Importante era, inoltre, la figura del traduttore nel momento in cui iniziavano le ne-goziazioni: quando si stabiliva una tregua o si siglava un trattato di pace era necessa-rio non soltanto comunicare, ma spesso anche r edigere lo stesso atto in entrambe le

lingue, cos come hanno dimostrato a lcuni ritrovamenti.

Commerci Intensi erano gli scambi commerciali. Il bacino del Mediterraneo era solcato continua-

mente da navi che trasportavano merci da una zona allaltra. Frequenti erano anche i commerci via terra: si riusciva in tal modo ad entrare in contatto anche con i popoli che vivevano nei luoghi pi interni o non raggiungibili via mare. I rapporti commerciali, per

quanto implicassero contatti fugaci, non certamente pari a quelli tra popoli coabitanti o confinanti, ponevano in ogni modo il problema della comunicazione e della reciproca comprensione. Anche in questi casi, dunque, la figura dellinterprete svolgeva un ruolo

fondamentale al fine di garantire il miglior esito dei commerci.

Cinzia Citarrella

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1.4. Testimonianze

In luoghi molto diversi e molto lontani tra loro sono state trovate iscrizioni bili ngui

e talvolta anche plurilingui che testimoniano, oltre ai contatti, la pratica della tradu-zione. Si tratta di iscrizioni di diverso genere, da trattati di pace ad accordi commer-ciali, da atti pubblici a veri e propri dizionari plurilingui.

Si pu, in ogni modo, a ragione iniziare a parlare di traduzione in riferimento a pe-riodi pi antichi, rispetto a quelli cui risalgono tali iscrizioni. Le prime traduzioni r i-salgono a millenni fa, quando sono avvenuti i primi contatti con popoli che usavano

lingue diverse. Da quel momento in poi stato necessario che qualcuno si occupas-se della traduzione da una lingua allaltra al fine di consentire la comunicazione.

1.5. La traduzione intralinguistica

Se la traduzione interlinguistica , a buon diritto, considerata un esigenza naturale, presente presso ogni popolo, a maggior ragione deve essere considerata tale quella intralinguistica, ossia allinterno della stessa lingua. In questa accezione la traduzione

esiste da quando esiste il linguaggio ed assume la caratteristica di una struttura per-manente del linguaggio stesso. Pur parlando la stessa lingua, infatti, si usano spesso codici diversi, tanto diversi da

rendere necessaria una traduzione. Esemplare il caso degli oracoli, i respo nsi che secondo gli antichi le divinit davano agli uomini. Comprendere un oracolo non era considerato per niente facile, tanto da essere necessaria la presenza di un indovino,

il quale faceva da vero e proprio interprete tra luomo e la divinit. Loracolo non sbagliava mai, ma era sempre molto ambiguo. Spesso linterpretazione corretta av-veniva soltanto a posteriori: soltanto dopo che il fatto era avvenuto si rendev ano

conto di quel che realmente loracolo aveva voluto intendere o verosimilmente lambiguit era tale che il responso delloracolo poteva risultare veritiero qualunque fosse lesito di una situazione.

2. Il mestiere di traduttore: le prime testimonianze

Considerata lantichit della pratica traduttiva e soprattutto la sua natural it e il suo essere indispensabile per la convivenza e la comunicazione tra gli uomini, il mestiere del traduttore decisamente uno dei pi antichi al mondo. Si hanno testimonianze

dellesistenza e della consapevolezza di tale professione fin dai tempi pi antichi, almeno da quando sono state lasciate le prime testimonianze storiche, i primi do-cumenti scritti. Nulla vieta di pensare e sostenere a buon diritto che la traduzione

sia pi antica anche della scrittura, essendo ampiamente diffusa nell antichit, cos come ancora ai giorni nostri, la pratica della traduzione estemporanea di testi pro-

Le costanti della pratica traduttiva

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dotti oralmente. Daltra parte le testimonianze di cui disponiamo parlano di tale me-stiere non come una nuova attivit, ma d i una professione ben determinata, centrale nonch fondamentale nellamministrazione dello stato.

2.1. La consapevolezza della professione nella civilt vicino-orientale

Le testimonianze circa lesistenza della professione di traduttore, regolarmente rico-nosciuto e retribuito, risalgono a tempi molto antichi: la c ivilt sumero-accadica ci

ha tramandato, tra le altre, delle tavolette contenenti liste d i termini indicanti le varie professioni svolte nellarea vicino-orientale. Non soltanto la professione d i tradutto-re era riconosciuta ufficialmente, ma era anche tra gli incarichi pi prestigiosi, segno

della presa di coscienza dellimportanza d i tale figura nella gestione dello stato. I primi traduttori furono gli scribi, che dovevano essere in grado di comprendere o l-tre allaccadico, lingua ufficiale del tempo cui risalgono le tavolette, anche il sumeri-

co che intorno al 2100-2000 a.C., probabilmente non era pi parlato abitualmente dalla popolazione, ma continuava comunque ad essere utilizzato in ambito ammini-strativo. Inoltre, conoscere e tramandare la lingua sumerica era fondamentale per

poter leggere ed attingere dalle tavolette sumeriche, a cui la cultura accadica doveva molto in ambito amministrativo ma anche e soprattutto culturale. La conoscenza del sumerico, oltre allaccadico, non era prerogativa soltanto di alcuni scribi, ma da

quanto si legge dalle testimonianze in nostro possesso tutti gli allievi-scribi doveva-no saper tradurre dallaccadico al sumerico e viceversa e dovevano essere in grado di farlo anche in modo simultaneo. Ci sta a significare che l emanazione e la reda-

zione degli atti ufficiali che era compito degli scribi, doveva avvenire abitualmente in accadico e in sumerico. Lo scriba-interprete ufficiale del palazzo doveva, inoltre, essere in grado di tradurre anche dalle altre parlate locali.

Per quanto sia ipotizzabile che la professione d i traduttore esistesse anche in prece-denza, le prime testimonianze risalgono alla fine del III millennio a.C.: tra i termini indicanti le professioni compare, infatti, la parola eme-bal , con il significato, ap-

punto, di interprete, traduttore, alla lettera girare la lingua da eme, lingua e bal, girare. Da altre tavolette apprendiamo invece ulteriori notizie sullattivit di tradu-zione. La necessit per lo scriba di conoscere sia laccadico che il sumerico e di sa-

per passare da una lingua all altra, per esempio, attestata dalle iscrizioni riportate qui di seguito:5.

dub-sar-eme-gi7 nu-mu-un-zu-a inim-bala-e me-da h-en-tm(u) Lo scriba che non conosce il sumerico, dove potrebbe prendere la traduzione? (Gordon 1959, pp. 208-9, n. 2.49)

inim-bal inim-r-r an-ta eme-uriki-ra ki-ta e[me-gi7-ra] an-ta eme-gi7-[ra ki-ta eme- uriki -ra] i-zu-u

KA.BAL.E.DA u-ta-bu-la e-li ak-ka-da-[a] ap-li u-me-ru ap-li

Cinzia Citarrella

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ak-ka-da-a e-li u-me-ru [t]i-di-e Sai tradurre ed interpretare (quando) la lingua degli Accadi sopra e la lingua dei Sumeri sotto , (quando) la lingua dei Sumeri sopra e

la lingua degli Accadi sotto (Sjoberg 1975, pp. 140-41, l. 14; 1984: 60)

2.2. Strumenti: liste e tavolette plurilingui

La pratica della traduzione era a tal punto diffusa nell area vicino-orientale che qui

sono stati inventati e ritrovati i pi antichi strumenti di traduzione. Ad Ebla, antica citt della Siria settentrionale, sono state ritrovate numerose tavolette bilingui. Si tratta di documenti contenenti testo in lingua sumerica ed eblaita, vero e proprio

strumento di traduzione e testimonianza inequivocabile dellesistenza nellarea vici-no-orientale di identit plurilingui e della conseguente necessit e diffusione dellattivit di traduzione. Le tavolette bilingui di Ebla sono le pi antiche in nostro

possesso tra quelle ritrovate in questa area, ma non le uniche: tavolette analoghe in accadico e sumerico ma pi tarde, risalenti allinizio del periodo antico-babilonese (1950-1500 a.C.), sono state ritrovate anche a Babilonia.

Le tavolette eblaite ed accadiche costituiscono una sorta di moderno dizionario bi-lingue, in cui ai termini sumerici vengono aggiunte glosse in eblaita o accadico. Gli Eblaiti e gli Accadi, entrambi di stirpe semitica, venuti in contatto con la civilt su-

merica, trovandosi dinanzi alle liste di termini che i Sumeri erano soliti compilare, vi aggiunsero i corrispondenti termini nelle loro rispettive lingue dando vita alle prime opere lessicografiche della storia: per molto tempo nulla di simile fu creato in altre

civilt. Gli studiosi eblaiti non si limitarono comunque a compilare liste d i termini e a tradurre quanto elaborato dai Sumeri, ma continuarono ad arricchire le conoscen-ze ereditate. La traduzione, in questo caso, non fu esclusivamente fine a se stessa,

ma divenne il punto di partenza per elaborare una nuova cultura, quella eblaita. Lo stesso avverr in altri luoghi e momenti della storia: spesso, come in questo caso, la traduzione alla base della nascita di una nuova civi lt.

Le liste lessicali non furono l unico strumento a disposizione dei traduttori. Essendo la lingua sumerica molto diversa sia dall accadica che dalleblaita, erano state redatte anche liste di forme grammaticali. Le regole grammaticali non erano mai formulate

in termini precettistici, ma linsegnamento si basava su una gran quantit di esempi: un metodo induttivo, utilizzando un termine della moderna glottodidattica. Le liste bilingui dovevano essere uno strumento realmente funzionale, tanto che ad

esse ne seguirono altre pi complesse in cui erano raccolti sinonimi ed omonimi o parole-radice accadiche con i loro svariati usi e le loro derivazioni reali o supposte, ed anche etimologie spesso molto sconclusionate. Al I millennio a.C. risalgono nu-

merosi commentari che seguirono, talvolta ma non sempre, la forma delle liste su due colonne: essi contenevano alcune citazioni dalle liste bilingui e dalle liste di si-nonimi e includevano linfinito e altre forme verbali. Altri commentari presentava-

no, invece, spiegazioni di alcune parole. Commentari e liste di sinonimi su due co-

Le costanti della pratica traduttiva

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lonne in accadico iniziarono a diffondersi durante il I millennio anche al di l delle zone dorigine e furono trasmesse innanzitutto in Assiria. Il sistema delle liste continu ad essere impiegato anche quando gli Accadi entraro-

no in contatto con altri popoli, quali gli Ittiti: dalla capitale ittita di Hattuas proven-gono diverse liste di parole sumero-accadico-ittita insieme a liste esclusivamente ac-cadico-ittita. Vi sono persino liste di parole quadrilingui sumero-accadico-ugaritico-

urriano provenienti da Ugarit, citt della Siria settentrionale. Sono state ritrovate, inoltre, testimonianze sporadiche di liste contenenti parole in semitico occidentale e, in copie molto tarde, liste che contengono trascrizioni anche in greco. Queste liste

dovettero essere molto utili ai tempi come veri e propri dizionari, grazie ai quali era possibile la comunicazione, anche se per fini meramente pratici, tra popoli parlanti lingue totalmente diverse. Continuano, ancora oggi, nonostante siano in uno stato

estremamente frammentario, ad essere estremamente utili ai linguisti storici per la comprensione di queste lingue e delle rispettive civilt6.

2.3. Il mestiere del traduttore in Cina

Dal Vicino allEstremo Oriente il mestiere del traduttore continua ad essere testi-moniato fin dai tempi pi antichi. in Cina che troviamo documentata la prima ri-flessione teorica sulla traduzione dovuta a Jia Gongyan, vissuto durante la tarda d i-

nastia Zhou (XI-III a.C.): traduzione sostituire un linguaggio scritto con un altro senza cambiare il significato al fine di una reciproca comprensione7. A quel tempo in Cina lattivit di traduzione doveva gi essere ben diffusa, se lo studioso si so f-

ferma a riassumere ed esplicitare i principi che erano alla base dellattivit da lui e da altri svolta. La teorizzazione, infatti, segue sempre la pratica, come conseguenza dellanalisi e dello studio di quanto prodotto. Anche in Cina il mestiere di traduttore

era molto diffuso soprattutto a fini pratici, non tanto, almeno in un primo momen-to, letterari. La professione del traduttore era riconosciuta ufficialmente: alla tradu-zione erano preposti funzionari governativi, chiamati sheren, letteralmente lingue-

uomini, i quali presenziavano ad ogni incontro con ambasciatori stranieri. Da quanto si apprende da testimonianze storico-letterarie pi tarde (I sec. a.C.) i tradut-tori erano impiegati anche al di fuori dellamministrazione pubblica: i mercanti nei

loro lunghi viaggi verso lIndia erano soliti farsi accompagnare da interpreti, indi-spensabili per le mediazioni commerciali8.

2.4. Traduzione e didattica nellantica Roma: Hermeneumata Pseudositheana

Anche nel mondo latino la traduzione ha svolto un ruolo fondamentale, in un pr i-mo momento in ambito amministrativo, in seguito anche culturale. Roma da picco-lo centro divenne nel corso di non molti secoli la capitale di un vastissimo impero,

che inglobava popoli di stirpi e lingue molto d iverse tra loro. Conseguenza d i ci fu lassoluta necessit dei funzionari imperiali di comunicare con tutti questi popoli per motivi amministrativi. La figura del traduttore dovette svolgere un ruolo fondamen-

Cinzia Citarrella

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tale fin dai primi contatti con le altre citt italiche parlanti lingue diverse; partico-larmente intensi furono i rapporti con la cultura greca, innanzitutto per la mediazio-ne d i alcune citt della Magna Grecia assoggettate da Roma, come Taranto (272

a.C.). Il contatto con la cultura greca, non port ad una latinizzazione di questa, come poteva essere naturale considerata la supremazia politica di Roma sul mondo greco. Contrariamente a quanto avveniva abitualmente e in alcuni casi co ntinua ad

avvenire quando un popolo si impone su d i un altro, si ebbe unellenizzazione del mondo latino, dovuta alla superiorit culturale del mondo greco. I prigionieri di guerra, portati come schiavi a Roma, essendo uomini di cultura, poco avvezzi ai la-

vori manuali, furono impiegati come maestri di scuola per insegnare ai giovani ro-mani la lingua e la cultura greca. La traduzione cessa d i essere attivit con fini meramente pratici e diventa str umento

di mediazione culturale e acculturazione piuttosto che di interculturalit 9. Quello tra cultura greca e romana non era un rapporto biunivoco d i reciproco scambio e arric-chimento, giacch soltanto il mondo latino a divenire culturalmente debitore di

quello greco. I primi artefici d i questo processo di acculturazione sono i maestri che approntavano traduzioni in latino delle opere greche al fine di farle conoscere ai lo-ro studenti e parallelamente, tramite esercizi di traduzione, favorivano

lapprendimento della lingua. Utili strumenti per la traduzione e l insegnamento era-no i lessici bilingui che si andarono costituendo nel corso del tempo, come gli Her-meneumata Pseudositheana, risalenti al III secolo d.C., ma formatisi probabilmente su

materiali pi antichi10. Essi, per quanto siano tardi, danno utili indicazioni delle me-todologie glottodidattiche in uso nellantica Roma: ogni parte contiene termini ed espressioni tipiche del greco e del latino in riferimento ad un ambito semantico o

frasi-tipo usate in determinate situazioni. Gli esempi che seguono sono tratti dalla sezione riguardante la conversazione quotidiana ed in particolar modo viene proposto il corrispondente latino di espressioni in riferimento al mattino e alle azioni che ab i-

tualmente si svolgono nella prima parte della giornata, come alzarsi, vestirsi, etc.11.

. .

De conversatione. Cotidiana conversatio.

1. . . . . . . . . . . . . . . .

1. Dies. sol ortus est. solis ortus. lux. lumen. iam lucet. aurora. ante lucem. mane surgo. surrexit de

lecto. lectum. vigilavit heri diu. vesti me. da mihi calciamenta et udones et bracas. iam calciatus

sum.

Le costanti della pratica traduttiva

23

La traduzione da strumento didattico divent lentamente mezzo per creare opere darte, se non originali, certamente piacevoli alla lettura. Cambia totalmente la figura

del traduttore: da schiavo, bench colto, costretto ad istruire i figli dellaristocrazia romana a letterato, autore di opere di vario genere, nelle quali aveva modo di espr i-mere oltre alle proprie capacit traduttive, il proprio genio artistico. La traduzione in

latino delle opere della letteratura greca, infatti, non era semplice riscrittura, ma un adattamento culturale, che lasciava spazio all autore-traduttore per esprimere la propria creativit12.

2.4. Osservazioni

Il mestiere del traduttore, come si deduce chiaramente dalle testimonianze era, dun-que, fondamentale allinterno di unorganizzazione statale ed era riconosciuto come

tale. La situazione descritta potrebbe essere ampliata fino ad includere tutti i popoli della storia: non vi Stato in cui non sia mai stata richiesta la figura del traduttore innanzitutto in ambito amministrativo e successivamente anche culturale, come

avvenuto, per esempio, nel mondo romano. Quanto pi vasto e conseguentemente multietnico e multiculturale uno Stato o un impero, quanto pi intensi sono i rap-porti di vario genere con popoli diversi, tanto pi importante il ruolo della tradu-

zione come mezzo di comunicazione e mediazione. La diffusione della pratica tra-duttiva ha inevitabilmente portato alla creazione di strumenti che potessero essere dausilio a chi doveva svolgere ta le compito, nonch alle prime teorizzazioni. Le liste

sumeriche bilingui e multilingui o i lessici bilingui greco-latini per quanto risalenti a momenti distanti tra loro non sono tanto dissimili: tanto le une quanto gli altri posso-no essere definiti dei dizionari ante litteram, un tentativo di trovare corrispondenze pi

o meno letterali tra lingue anche molto distanti. La definizione di traduzione e la teo-rizzazione dei principi-guida da seguire nella pratica traduttiva sono indice della co n-sapevolezza di tale mestiere, che aveva gi raggiunto in alcuni casi, come nella Cina

del XII sec. a.C., un alto livello. La traduzione da pratica naturale diventa professione consapevole, mantenendo le stesse costanti, che iniziano ad essere esplicitate.

Cinzia Citarrella

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3. Le Scuole di traduzione

La traduzione da sempre mezzo di trasmissione culturale e ideologica. Molte cul-ture, almeno nella loro fase iniziale, possono essere considerate quasi delle trad u-zioni di altre culture lontane nel tempo e nello spazio. Se ogni popolo non av esse fatto in modo di disporre delle conoscenze acquisite da altri, probabilmente non sa-

rebbero stati raggiunti i livelli di conoscenza di oggi. In ogni luogo e in ogni tempo la traduzione alla base dello sviluppo scientifico. Gi nellantichit ci era ritenuto talmente importante da fondare vere e proprie

scuole, presso le quali venivano collezionati e tradotti libri provenienti da luoghi d i-versi. Lo scopo di queste traduzioni era d i arricchire il proprio patrimonio culturale e porre le conoscenze acquisite fino a quel momento anche presso altri popoli alla

base dei loro studi. Nonostante la naturalit della pratica traduttiva e le sue costanti, ogni scuola presen-ta delle caratteristiche proprie: parte da un dato, da un corpus diverso di testi e di

traduzioni gi effettuate, sulla base delle quali riflettere e dalle quali estrapolare prin-cipi da applicare alle traduzioni successive. Ogni scuola, inoltre, risponde ad esigen-ze culturali e funzionali diverse connesse al tempo e al luogo in questione.

Per chiarire e confermare quanto detto analizzeremo alcune tra le principali istitu-zioni che si sono occupate di traduzione come mezzo di trasmissione cultur ale.

3.1. LAccademia Platonica

Nel IV secolo a.C. Platone fond ad Atene la sua Accademia, un centro di ricerca e di studi in ambito filosofico e scientifico. Bench il filosofo non abbia mai preso una posizione nei riguardi dell attivit traduttiva, probabile che questa venisse pra-

ticata allinterno dellAccademia. Essa svolse un ruolo fondamentale, no n soltanto nella conservazione delle conoscenze greche, ma anche e soprattutto nellassimilazione della cultura e della scienza egizia. Da qui dovette nascere

lesigenza d i opere di traduzione dallegizio al greco. In realt per quanto sia certo che i filosofi greci conoscessero le opere egizie ed quindi verosimile che si dedica-rono alla traduzione di esse, non vi sono espliciti riferimenti a questa attivit di tra-

duzione, n giunta in nostro possesso alcuna riflessione teorica sulla traduzione. Kakrid is, teorico greco della traduzione, in rifer imento alla mancanza di notizie e prove sulla diffusione della pratica traduttiva nellantica Grecia, ha affermato che i

Greci, nonostante i frequenti contatti con popoli stranieri, non fossero propensi ad imparare le lingue altrui ma che aspettassero, probabilmente ritenendosi superiori, che gli altri apprendessero la loro lingua e che si facessero, dunque, mediatori13.

Le costanti della pratica traduttiva

25

In mancanza di unesplicitazione dei principi traduttivi e non essendo giunti fino a noi gli originali, in modo da poter fare un confronto, non chiaro quali fossero le metodologie seguite e le tecniche adoperate.

Ci che certo che lAccademia Platonica contribu in modo determinante al mantenimento del ruolo centrale in ambito culturale svolto da Atene. Quando limperatore Giustiniano ne decise la chiusura, considerandola portatrice della cultu-

ra pagana che mirava ad eliminare, molti studiosi andarono in esilio in diverse parti al di fuori dellimpero portando con s e quindi diffondendo opere di letteratura, filosofia e scienza. Molti di loro andarono in Persia dove entrarono in contatto con

lAccademia di Jundishapur.

3.2. La Biblioteca di Alessandria

La fondazione della Biblioteca d Alessandria risale allepoca tolemaica: il progetto fu sostenuto e finanziato dal faraone Tolomeo I Soter intorno al 300 a.C. e l opera fu continuata dai suoi successori. Tolomeo voleva creare un grande centro culturale

che riunisse studiosi provenienti da ogni parte e soprattutto che raccogliesse tutti i testi che erano stati scritti e che fossero degni di essere ospit ati in essa. Il progetto nasceva dallinteresse per la cultura d i Tolomeo ma anche e soprattutto dallidea che

gli era stata proposta da Demetrio Falereo, che si occup fattivamente della realiz-zazione dellopera. Egli per motivi politici si era allontanato da Atene, citt della Grecia che per lungo tempo era stata il pi importante centro culturale del Mediter-

raneo e della quale Alessandria voleva prendere il posto, non mettendosi in compe-tizione con essa ma raccogliendone leredit. La biblioteca di Alessandria non si li-mitava ad ospitare i testi, ma questi erano anche oggetto di studio approfondito e,

poich molti non erano scritti in greco, d i traduzioni. Tolomeo III, infatti, aveva in-viato una lettera a tutti i sovrani del tempo chiedendo loro di mandargli i testi pi importanti della loro civilt. Di questi venivano fatte delle copie e delle traduzioni,

che potevano essere studiate dagli eruditi che frequentavano il Museo all interno del quale sorgeva la biblioteca. I testi oggetto di studio e traduzione erano di vario ge-nere, riguardavano lastronomia, la medicina, la matematica, la geometria, etc. Gli

Alessandrini applicarono le tecniche deduttive greche, sviluppate soprattutto nella scuola aristotelica, allampio patrimonio di conoscenze derivato dalle diverse culture che si erano sviluppate fin dallantichit, la cultura greca, egizia, babilonese, mace-

done. La varia provenienza di tutti questi testi rendeva indispensabile lopera di tra-duzione. La lingua maggiormente usata era la cosiddetta koin, una forma linguistica greca, scelta da Alessandro Magno come lingua comune allinterno del suo impero.

Per la traduzione dei testi di varia provenienza furono impiegati specialisti prove-nienti dai vari paesi, esperti non soltanto della propria lingua ma anche della lingua greca. Linteresse per la traduzione non dovuto soltanto al desiderio dei Tolomei

di costituire nella loro reggia una biblioteca universale, ma anche, e soprattutto,

Cinzia Citarrella

26

conseguenza della visione del mondo in et ellenistica, un mondo che, pur diviso in monarchie reciprocamente ostili per ragioni politiche, caratterizzato da un tratto comune: il predominio di uno stato dominante greco, numericamente esiguo ma

militarmente temibile, sulle popolazioni indigene. la spinta, da un lato dei domi-nati a farsi intendere ed ascoltare dai dominatori e, dall altro, la consapevolezza da parte di questi ultimi che la comprensione consolida il dominio14.

Un esempio di traduzione: la Bibbia Ebraica proprio in questo ambito che viene promossa la traduzione della Legge ebraica nella versione della Settanta: questo testo, infatti, risultava interessante non soltanto

come testo religioso, ma anche come documento storico e letterario della civilt e-braica. Finanziatore e sostenitore dellimpresa, tale doveva apparire la traduzione di unopera considerata sacra, fu, secondo alcune tradizioni, Tolomeo II, desideroso di

inserire una traduzione del testo ebraico nella biblioteca di Alessandria. A sostegno di tale tesi vi la Lettera d i Aristea a Filocrate (II a.C.), in cui narrato che Tolo-meo invia al sommo sacerdote degli Ebrei la richiesta di traduttori per correggere le

copie in greco gi circolanti ma poco attendibili15. Non doveva trattarsi, comunque, di unesigenza meramente letteraria, ma anche e soprattutto religiosa: d ifficilmente, infatti, gli Ebrei avrebbero acconsentito ad una

traduzione, se non fossero stati spinti da un esigenza molto forte. La traduzione in una lingua diversa da quella ebraica implicava in una certa misura una degradazione del testo sacro, in quanto la parola di Dio non sarebbe pi stata espressa in quella

che secondo la tradizione era la lingua originaria in cui Dio stesso laveva dettata. In realt si trattava di motivazioni di primaria importanza, in quanto si rischiava che il testo non fosse pi compreso da molti credenti: molti Ebrei, nel III secolo a.C., si

erano gi trasferiti in Egitto, dove la lingua comunemente usata, sopra ttutto dai ceti pi colti, era il greco, mentre lebraico, lingua dei testi sacri, non era pi parlato n compreso facilmente16. Contemporaneamente la Palestina era stata fortemente elle-

nizzata ed anche durante il governo dei Maccabei i rapporti con Roma, Sparta, i Se-leucid i e i Giudei della d iaspora venivano mantenuti in greco. A ci si aggiunse la volont di far conoscere la religione e i testi sacri ebraici in una

zona molto pi vasta rispetto a quella in cui era d iffusa la lingua in cui essi erano stati scritti: la Bibbia non era riservata esclusivamente agli Ebrei, ma doveva essere disponibile per chiunque lo volesse. Quale lingua pi del greco poteva consentire

unampia diffusione del testo biblico? La traduzione del testo ebraico non risult affatto facile sia per motivi pratici che per la sacralit del testo. Nonostante la tradizione che afferma che i settanta saggi,

da cui il nome di Settanta, che si occuparono della traduzione miracolosamente proposero tutti lo stesso testo, segno dellispirazione d ivina, in realt tale traduzione non risult del tutto aderente al testo originario e non soltanto per laggiunta di al-

cuni libri non ritenuti sacri dagli Ebrei, n per laggiunta e/o eliminazione di alcuni versetti, che, come per alcuni stato dimostrato dal ritrovamento dei rotoli di Qum-rn, potrebbero appartenere a versioni pi antiche rispetto al testo in ebraico oggi in

Le costanti della pratica traduttiva

27

nostro possesso. Non tutti i libri presentano lo stesso livello di letteralit, ma mentre alcuni risultano assolutamente letterali, come i Giudici, altri sono delle mere parafrasi, come Giobbe

o i Proverbi. Sicuramente avvenne unellenizzazione del testo, per quanto molti se-mitismi siano stati inevitabili: molte espressioni soprattutto in riferimento al lessico della violenza furono attenuate cos come molte metafore alquanto crude furono

eliminate, in risposta al gusto alessandrino dominante a quel tempo. SantAgostino, per giustificare le dissonanze tra testo ebraico e greco senza mettere in discussione la sacralit della Settanta, afferm che le divergenze avessero valore provvidenziale,

permettendo nuove letture, volute da Dio, del testo originale.

Difficolt di traduzione Alla base di uninterpretazione corretta vi sono diversi elementi e sicuramente note-

voli furono le d ifficolt di vario genere incontrate dai traduttori nel corso del loro lavoro, che non pot certamente essere svolto in settanta giorni, come vorrebbe la tradizione, ma nellarco di diversi anni.

Una prima difficolt fu costituita dallavere a disposizione testi ebraici soltanto con-sonantici: per quanto ci rientrasse nella prassi, ipotizzabile che possano essere stati fatti degli errori interpretativi, basati sullaggiunta in alcune parole di talune vo-

cali piuttosto che altre. Inoltre, grandi difficolt dovettero venire anche dalla polisemia: un termine ebraico poteva essere reso con termini greci di significato diverso e quindi la scelta

dellespressione pi adatta non dovette essere sempre facile e immediata. Inevita-bilmente ci port in d iversi passi a travisamenti del significato originario, talvolta inconsapevoli, talvolta intenzionali, in quanto il traduttore, pi o meno consciamen-

te poteva adattare il testo alla teologia e ideologia propria o maggiormente diffusa a quel tempo. Altri travisamenti poterono essere derivati da errori d i lettura, dettatura o valutazio-

ne: quando i testi venivano letti o copiati una lettera poteva essere confusa con unaltra, che trasformava una parola in unaltra graficamente simile, ma dal significa-to completamente d iverso che poteva stravolgere completamente il valore d

unespressione. Infine, bisogna ricordare che anticamente veniva utilizzata la scriptio continua, non veni-vano lasciati spazi tra una parola e l altra, per cui le parole potevano essere staccate in

modo scorretto luna dallatra dando vita ad interpretazioni completamente diverse.

Principi teorici Bench non si sappia chi sia stato il traduttore di questi testi, uno di essi ha comun-

que lasciato esplicita traccia di s e del suo pensiero: nel prologo della traduzione in greco del libro del Siracide, il traduttore parla in prima persona illustrando i motivi e le difficolt del suo lavoro. Egli sottolinea la necessit dellopera di traduzione: es-

sendo la dottrina e la saggezza dIsraele degna di ammirazione, giusto che questa possa essere letta anche da coloro che Israeliti non sono o che non conoscono

Cinzia Citarrella

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lebraico, ma vogliono vivere secondo la legge. Il traduttore chiede al lettore di esse-re indulgente nei suoi confronti perch non facile, nonostante limpegno, rendere bene certe espressioni: le parole, infatti, perdono la loro forza quando sono espresse

in una lingua diversa. Questa una vera e propria esposizione della teoria che sta alla base del lavoro di traduttore, una presa di coscienza delle difficolt incontrate e quasi una giustificazione nei confronti di critiche che sarebbero sicuramente state mosse.

Le difficolt incontrate nella traduzione della Bibbia Ebraica possono dare unidea del lavoro svolto allinterno della Biblioteca di Alessandria, anche in rif erimento a testi non religiosi. La difficolt non stava soltanto nel reperimento dei testi, ma an-

che e soprattutto nel tradurre gli originali di varia provenienza in greco ed adattarli alla cultura alessandrina, tanto da renderli comprensibili. La distruzione della Biblioteca di Alessandria costituisce una grande perdita per la

conoscenza ancor pi che della letteratura, della cultura di molte civilt del passato.

3.3. LAccademia di Jundishapur

La fondazione dellAccademia di Jundishapur testimonia la centralit che il sapere e

linsegnamento delle conoscenze acquisite avevano nella civilt persiana 17. Il re Sha-pur I, da cui la citt e conseguentemente laccademia prendono nome, fondata la citt di Jundishapur18, decise immediatamente di dare vita ad unaccademia (271

d.C.), che potesse diventare un importante centro di studi, luogo di incontro e con-fronto d i studiosi nonch di raccolta di testi da ogni luogo. Non avendo la Persia fino ad allora una propria trad izione culturale e scientifica, scopo della sua opera era

di ereditare le conoscenze acquisite fin dallantichit dai popoli, presso i quali erano stati raggiunti i livelli maggiori di conoscenza nelle diverse discipl ine. Sulla base di questo patrimonio culturale e con la collaborazione degli studiosi stranieri che sa-

rebbero stati ben accolti, la Persia avrebbe basato i propri studi per raggiungere nuovi saperi nellambito della med icina, filosofia, teologia e scienza in genere. Lo stesso regnante ordin che fossero fatti giungere dalla Grecia tutti i testi scientifici e

soprattutto di medicina, risultato di lunghi secoli di studi non soltanto di studiosi greci, e volle che questi fossero tradotti dal greco al pahlavi per essere conservati allinterno della Biblioteca dellAccademia. Durante il regno di Shapur la citt di-

venne un vero e proprio centro cosmopolita anche per mezzo del matrimonio del re con una principessa cristiana che port con s artisti e studiosi, soprattutto med i-ci che avrebbero potuto curarla in caso di malattia.

LAccademia divenne luogo di incontro di studiosi greci, persiani, romani, ebrei, siria-ni, indiani ed anche cinesi: attraverso la via della seta che collegava lEuropa alla Cina passando dalla Persia, anche la cultura cinese penetr nellAccademia di Jundishapur.

Nel VI secolo lAccademia raggiunse il momento di maggior splendore, soprattutto grazie allarrivo di numerosi studiosi provenienti dalla Grecia. L imperatore Giusti-niano aveva ordinato la chiusura dellAccademia Platonica (529 d.C.), in quanto gli

studi in essa condotti erano ritenuti co ntrari alla dottrina cristiana, ormai d ivenuta

Le costanti della pratica traduttiva

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religione uff iciale dellImpero Romano. Gli studiosi dellAccademia Platonica, che erano stati accolti molto volentieri, avevano portato con s un enorme bagaglio cul-turale, eredit dei lunghi secoli in cui la Grecia e soprattutto la citt di Atene era sta-

ta centro culturale, punto di riferimento per tutto il Mediterraneo. Allinterno dell Accademia di Jundishapur, oltre a confrontarsi su varie problematiche, discussioni alle quali spesso partecipava anche il re, gli studiosi si dedicavano alla scrittura di

opere e alla traduzione delle opere della tradizione. Grazie allAccademia di Jundishapur a partire dal III secolo d.C., la lingua siriaca aveva preso il posto del greco come lingua letteraria dellAsia occidentale e in con-

seguenza di ci la maggior parte dei testi scientifici e filosofici greci erano stati tra-dotti in tale lingua. I traduttori generalmente optavano per una traduzione letterale cercando di rimanere quanto pi possibile fedeli ai testi originali. Perch avvalersi di

questa metodologia? La scelta di tale tipologia di traduzione era risultata naturale dopo la prima esperienza dei traduttori siriani con il Nuovo Testamento: in questo caso, trattandosi di un testo sacro la traduzione parola per parola era stata ritenuta la

tecnica migliore per salvaguardare la sacralit delloriginale. Nel caso di testi scienti-fici e filosofici, la traduzione letterale non sarebbe stata necessaria dovendo mirare soprattutto alla comprensione dei contenuti. In realt, questa scelta metodologica

port frequentemente a delle incomprensioni, dovute soprattutto al fatto che non era stata rispettata la sintassi della lingua d arrivo e i periodi erano stati tradotti in lingua siriana seguendo lordine delle parole tipico del greco. Se tali imprecisioni po-

tevano essere giustificate in un testo religioso, lo stesso non doveva avvenire trat-tandosi d i testi scientifici, che dovevano risultare facilmente comprensibili, senza alcun fraintendimento, per permettere la trasmissione delle teorie in essi contenute.

Presso lAccademia giunsero anche alcuni studiosi indiani: lo stesso re, infatti, aveva inviato un suo emissario in India per portare a Jundishapur le pi brillanti menti in-diane e i testi pi interessanti, da tradurre in siriaco. Gli studiosi indiani portarono

con s la loro filosofia, la loro etica ed anche e soprattutto le loro conoscenze nellambito dellastronomia e della matematica, tra cui il sistema di numerazione in-diana, che gli Arabi appresero proprio in Siria per poi diffonderlo anche in Europa.

Grazie al confluire di conoscenze greche, indiane e persiane, lAccademia di Jundisha-pur divenne il pi importante centro di medicina del mondo antico, ossia Europa, Me-diterraneo e Vicino Oriente, fino allXI secolo, avendo passato illesa anche la domina-

zione araba. Gli Arabi, infatti, quando conquistarono la citt, non distrussero lAccademia, che inizi a declinare soltanto dopo la fondazione della Scuola di Bagdhad, allinterno della quale confluirono molti studiosi che si era formati a Jundishapur.

Allinterno dellAccademia di Jundishapur gli stessi testi che erano stati tradotti in siriaco furono soggetti ad unaltra opera di traduzione, in lingua araba, cosicch gi nel X secolo tutti i testi greci, soprattutto ma non soltanto essi, erano disponibili

anche in arabo. Gli Arabi, dunque, fecero proprie le conoscenze scientifiche dei Greci attraverso le traduzioni in siriaco, ma in seguito attinsero direttamente agli o-riginali greci per verificare ed eventualmente correggere quanto avevano gi appre-

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so19. In realt le prime traduzioni arabe dal siriaco avevano dato origine a testi non facilmente comprensibili: la scelta della traduzione letterale fatta prima dai Siriani per il passaggio dal greco alla lingua siriaca, e poi dagli Arabi aveva causato diverse

incomprensioni. Il rispetto dell ordine delle parole greche aveva spesso portato ad usare costrutti non esistenti n nel siriano n nell arabo. Da qui lesigenza degli Ara-bi di attingere direttamente agli originali greci.

3.4. La scuola di Baghdad: Bayt al-Hikmah

Quale sarebbe oggi il nostro livello di conoscenze senza la mediazione degli Arabi? Il ruolo da essi svolto nella conservazione, nel progresso e nella divu lgazione delle

conoscenze scientifiche d i fondamentale importanza. Grazie agli Arabi moltissime opere scritte in greco che contenevano testi di varia origine si sono salvate dalloblio, sono tornate, dopo essere andate perdute o volutamente distrutte, nel

mondo occidentale e si sono poi diffuse in ogni luogo. merito del mondo arabo se una parte consistente della saggezza degli antichi giunta fino a noi e non un caso che casa della saggezza sia il significato del nome

della scuola fondata dai Musulmani a Bagdhad nell830 d.C. Obiettivo di questa isti-tuzione era tradurre in arabo i testi pi importanti scritti fino ad allora, soprattutto quelli greci, ma anche persiani e indiani, molti dei quali, essendo andati perduti gli

originali, si erano salvati nelle traduzioni siriache fatte negli anni precedenti. La cul-tura greca, infatti, rischiava di andare completamente perduta, per motivi religiosi e politici: a partire dal 529 d.C. la Chiesa di Roma e la Chiesa d i Bisanzio avevano vo-

luto la distruzione delle biblioteche greche, in quanto i testi in esse contenuti erano espressione d i quella cultura pagana che la Chiesa Cristiana voleva distruggere. La maggior parte dei libri erano stati distrutti e quelli che erano riusciti a salvarsi erano

rimasti dimenticati nelle biblioteche dei monasteri. A contribuire fortemente alla perdita della cultura classica erano state anche le invasioni barbariche che avevano stravolto lEuropa annientando quasi completamente le civilt prees istenti.

Gli Arabi vennero a conoscenza dei testi greci sia attraverso il contatto d iretto con il mondo greco-bizantino, sia, in riferimento alle traduzioni siriache degli originali greci, attraverso i Cristiani di fede nestoriana che abitavano nella Persia orientale e

parlavano pertanto la lingua siriaca. Fu grazie agli Arabi che testi di matematica, a-stronomia, filosofia, geografia, musica, medicina e altro sono riusciti a salvarsi e a giungere fino ai giorni nostri.

Lattivit d i traduzione in arabo aveva avuto inizio ancor prima della fondazione della Bayt al-Hikmah. Gi nel secolo precedente si era diffuso nel mondo arabo linteresse per la cultura greca; in realt, ancor prima essa era nota agli Arabi, ma le

dinastie regnanti avevano impedito che questa entrasse a far parte del loro mondo. Se larte e la poesia, in alcuni casi, erano state accolte, la letteratura scientifica sten-tava ad essere acquisita: gli Arabi si ritenevano superiori agli altri popoli e stentava-

no ad accettare la superiorit altrui in alcuni ambiti del sapere. Nel corso dellVIII

Le costanti della pratica traduttiva

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secolo, crebbe lattenzione verso la cultura greca: iniziarono ad esser e studiati e tra-dotti in arabo i testi gi tradotti in siriano allinterno dellAccademia di Jundishapur e verso la fine del secolo ebbe inizio la ricerca d i originali greci allinterno

dellimpero bizantino. Nonostante lavversione iniziale, a differenza di quanto avveniva negli stessi anni in Europa, la religione non ostacolava ma sosteneva il progresso scientifico. Alcuni

passi coranici, infatti, esortano i credenti a studiare la Natura:

Perch non guardano alle nubi, come sono create? E al cielo, quanto ele-

vato? E ai monti, come sono stabili? E alla terra, quanto d istesa? (88, 18-20).

Le hadith, tradizioni canoniche musulmane, sottolineano il ruolo della conoscenza come strumento di salvezza:

La ricerca della conoscenza (e delle scienze) obbligatoria per ogni musul-mano, uomo o donna che sia.

Non una caso che il termine arabo ilm , abbia due significati d iversi, ossia scienza come indagine sulla natura e sulluomo, ma anche ricerca della tradizione del Profe-ta e studio delle norme che regolano la recitazione coranica.Scienza e religione non

erano, dunque, in contrasto ma al contrario si pu affermare che lo sviluppo degli studi scientifici fu favorito anche e soprattutto dalla r eligione. I primi traduttori arabi avevano seguito le orme dei siriani prediligendo una tradu-

zione letterale. In molti casi questa scelta, dettata dalla volont di rimanere quanto pi possibile vicini ai testi originali, aveva ottenuto effetto contrario alle aspettative: il tentativo di rispettare anche lordine delle parole e i costrutti sintattici della lingua

dorigine, aveva portato a testi talvolta incomprensibili o comunque oggetto d i er-ronea interpretazione. Soltanto in un secondo momento, essendo stati notati i d ifet-ti di tale tecnica traduttiva, iniziarono ad adottare una d iversa metodologia, attri-

buendo maggiore importanza alla facilit di comprensione piuttosto che alla lettera-lit. L interesse per una resa fedele, anche se non le tterale, era tale che, per essere certi di non incorrere nelle scorrette interpretazioni dei traduttori precedenti, quan-

do fu possibile, ricorsero direttamente agli originali greci. Lesperienza di questi primi traduttori arabi fu a lla base dellattivit della Bayt al-Hikmah. I traduttori che operavano allinterno d i questa scuola, infatti, avendo

compreso lerrore metodologico dei loro predecessori, si concentrarono soprattutto sulla resa del senso piuttosto che sul rispetto formale. In alcuni casi, le traduzioni siriane furono riviste sulla base degli originali greci che erano riusciti a rintracciare:

molte traduzioni arabe risultarono, bench pi tarde, pi corrette rispetto a quelle siriane. I traduttori della Bayt al-Hikmah tradussero in arabo lintero patrimonio del-la letteratura medica proveniente da Alessandria. Molta attenzione fu dedicata anche

Cinzia Citarrella

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agli scritti greci di carattere astronomico: fino ad allora era stata preferita a quella greca la tradizione indiana e persiana, che su quella greca era basata. in questo contesto che si colloca la traduzione dellAlmagesto di Tolomeo e di altre opere del-

lo stesso genere. A Baghdad nacque anche lalgebra da una combinazione di studi greci e indiani, tra-dotti in arabo, acquisiti e rielaborati dagli stessi studiosi ar abi. In questo, come in

altri casi, risulta riduttivo parlare di una semplice traduzione, ma pi opportuno parlare di vera e propria acculturazione: gli studi greci e indiani diventarono base per nuove teorie. Lo stesso avvenne in ambito filosofico: al-Kindi, il primo vero fi-

losofo arabo, part dalla traduzione dei testi degli antichi filosofi per elaborare una nuova e personale filosofia. La scuola di Baghdad pu essere considerata un centro realmente mult iculturale: al

suo interno lavorarono traduttori sia arabi sia cristiani impegnati con testi cristiani e pagani, non soltanto greci ma anche cinesi, indiani ed ebraici. A differenza di quan-to avveniva in Europa, non esisteva nessuna forma di censura, per cui ogni genere

di testo era oggetto di studio e traduzione. Sulla base delle conoscenze desunte da testi precedenti, furono fatti passi avanti in d iversi ambiti, soprattutto in medicina. Anche i trattati contenenti le nuove scoperte scientifiche furono oggetto di trad u-

zione: in lingua latina essi si diffusero sia ad Oriente che ad Occidente. La Bayt al-Hikmah divenne il maggiore centro islamico di diffusione culturale e parallelamente larabo svolse per lungo tempo il ruolo di lingua della cultura. Mentre lEuropa vi-

veva gli anni oscuri del Medioevo durante i quali sembrava che tutte le conoscenze precedentemente acquisite fossero andate perdute, la scuola di Bagdhad continuava a mantenere e diffondere le acquisizioni degli antichi e contemporaneamente a pro-

cedere lungo la strada dei progressi scientifici. Il declino della scienza araba ebbe inizio con la dominazione ottomana, a causa della rigidit dei Turchi anche in ambito religioso. Se fino a quel momento il Corano e gli

insegnamenti in esso contenuti erano stati unulteriore spinta verso gli studi e le scoperte scientifiche, da questo momento i rigidi dettami del mullah bloccarono la libert di ricerca scientifica. La diffidenza nei confronti del progresso fu tale che,

anche quando fu inventata la stampa, fu opposto per lungo tempo un netto rifiuto alla stampa del Corano, che continu ad essere trascritto manualmente. Il mondo arabo smise progressivamente di essere al centro dei principali studi scien-

tifici, mentre lEuropa, grazie allopera degli Arabi in Spagna, alla scuola di Toledo e ad altri centri analoghi che erano sorti, viveva un periodo di Rinascita e tornava ad essere centro culturale e scientifico 20.

3.5. Le scuole di traduzione in Cina

Lattivit di traduzione in Cina ha avuto inizio molto presto: alla tarda dinastia Zhou risale, come stato detto, la prima riflessione teorica sulla traduzione, indice

dellimportanza e dellampio sviluppo che a quel tempo lattivit traduttiva doveva

Le costanti della pratica traduttiva

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avere gi raggiunto. In base a ci ipotizzabile che tale attivit dovesse essere prati-cata abitualmente gi da molto tempo. Un momento decisivo per la storia della tra-duzione in Cina fu il I secolo a.C., quando i monaci buddhisti iniziarono ad intro-

durre i sutra scritti in sanscrito e parallelamente la cultura indiana. Tali sutra contene-vano gli insegnamenti del Buddha ma divennero anche veicolo di trasmissione cul-turale, permettendo la diffusione in Cina di conoscenze indiane, soprattutto nel

campo dellastronomia. Nel IV secolo d.C., considerata limportanza dellopera di traduzione, venne fondata una Scuola Statale di Traduzione e pi tardi la Scuola di Changan, il pi importante centro di traduzione del tempo. L istituzione di tale

scuola cambi radicalmente il modo di procedere nellattivit traduttiva, introdu-cendo un metodo valido e consentendo la diffusione di traduzioni pi corrette. Pre-cedentemente si erano occupati della traduzione veri e propri team: alla presenza di

un gruppo di monaci cinesi che volevano imparare la dottr ina buddhista, il maestro indiano (yizhu) leggeva il testo in sanscrito e cercava di dare una spiegazione detta-gliata del significato. Egli era coadiuvato da alcuni traduttori (duyu o chuanyu) che

conoscevano, se pure in modo non adeguato, entrambe le lingue. Essi tentavano di dare una traduzione del testo in cinese molto grezza. Il testo in cinese veniva poi rivisto dal responsabile della redazione scritta (bishou), che era un parlante cinese, il

quale spesso includeva anche gli appunti, spesso molto scorretti, presi dagli studenti durante la spiegazione del maestro. Questo sistema di traduzione non garantiva af-fatto la fedelt del testo e dava origine a fraintendimenti, per non dire stravolgimen-

ti. Coloro che si occupavano della prima traduzione, infatti, non erano in grado di rendere al meglio quanto espresso in sanscrito dal maestro e la redazione finale del testo era affidata a uomini che non comprendevano affatto il testo originario e che

si limitavano a dare una forma corretta e fluida al testo cinese. Il risultato di questa operazione era, dunque, un testo in cinese corretto, chiaro e comprensibile, ma spesso per niente fedele all originale sanscrito.

Con listituzione della Scuola Statale e pi tard i di quella di Chang an fu usato un metodo pi rigoroso: il lavoro di traduzione fu affidato a monaci indiani, capaci essi stessi di tradurre in cinese. Gli stessi monaci, dopo avere presentato una traduzione,

assistevano il responsabile della redazione scritta nella stesura definitiva del testo, per evitare errori di interpretazione. Se il metodo era accettato in modo unanime allinterno della scuola, le posizioni de-

gli studiosi facenti capo a questa scuola non erano concordi in riferimento al tipo di traduzione da preferire. Notevole fu il dibattito tra coloro che erano a f avore di una traduzione letterale, per non correre il rischio di modificare il significato originario

del testo e quanti, invece, ritenevano che fosse auspicabile una traduzione libera, che rendesse il testo elegante e facilmente comprensibile. Per quanto il Buddh ismo sia sempre stato propenso alla traduzione dei propri testi, la sacralit stessa rendeva

pi difficile la scelta metodologica. Lattivit di traduzione in Cina non fu comunque limitata alla traduzione dei sutra indiani: le tecniche affinate nella traduzione del canone buddhista vennero usate an-

Cinzia Citarrella

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che in riferimento a testi di a ltro genere. Quando si intensificarono i rapporti con il mondo arabo (VII sec.), testi scientifici in arabo ma anche nelle lingue europee ini-ziarono a penetrare in Cina: nacque dunque lesigenza di tradurre tali testi in cinese

per assimilare le conoscenze in essi contenute21.

3.6. La scuola di Toledo