sviluppo di proposte didattiche

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Progetto Lauree Scientifiche 2005 Dipartimento di Fisica Università di Roma La Sapienza RELAZIONI SUI LIBRI DI TESTO E UNITA` DIDATTICHE degli specializzandi della SSIS Lazio (corso Didattica della Fisica 2006-2008) INDICE Relazioni sui libri di testo 1. Angelo Perla: Amaldi pag. 1 2. Francesco Piccolo: Amaldi pag. 5 3. Cecilia Cestellini: Caforio-Ferilli pag. 14 4. Maria Corona, Cristiana Papalini: Caforio-Ferilli pag. 21 5. Francesco Manzo, Raffaella Ostuni: Walker pag. 29 6. Lavinia Nati: Walker pag. 37 Unità didattiche 7. Tommaso Stasi, Silvia Ventura: Il bilancio termico della casa pag. 42 8. Valentina Porretti: Il cambiamento climatico pag. 57 9. Alvise Mattei: La Fisica in barca a vela pag. 63 10. Rosario Iannone, Salvatore Silvestri: Il principio di conservazione dell’energia e la vita quotidiana pag. 73

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Progetto Lauree Scientifiche 2005

Dipartimento di Fisica Università di Roma La Sapienza

RELAZIONI SUI LIBRI DI TESTO

E UNITA` DIDATTICHE

degli specializzandi della SSIS Lazio (corso Didattica della Fisica 2006-2008)

INDICE Relazioni sui libri di testo

1. Angelo Perla: Amaldi pag. 1

2. Francesco Piccolo: Amaldi pag. 5

3. Cecilia Cestellini: Caforio-Ferilli pag. 14

4. Maria Corona, Cristiana Papalini: Caforio-Ferilli pag. 21

5. Francesco Manzo, Raffaella Ostuni: Walker pag. 29

6. Lavinia Nati: Walker pag. 37

Unità didattiche 7. Tommaso Stasi, Silvia Ventura: Il bilancio termico della casa pag. 42

8. Valentina Porretti: Il cambiamento climatico pag. 57

9. Alvise Mattei: La Fisica in barca a vela pag. 63

10. Rosario Iannone, Salvatore Silvestri: Il principio

di conservazione dell’energia e la vita quotidiana pag. 73

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ANNO INTEGRATIVO Prof.: G. V. Pallottino Corso: Didattica della fisica Specializzando: Angelo Perla ANALISI DEL LIBRO DI TESTO: Titolo: “Fisica: idee ed esperimenti. Dal pendolo ai quark”

Autore: Ugo Amaldi Casa editrice: Zanichelli Anno di edizione: Prima edizione: 2001, Ristampa: 2005 Volume: I°

Unità didattica: I fluidi. Capitoli: 11 e 12. Argomenti: Gas e liquidi in equilibrio e Gas e liquidi in movimento.

INTRODUZIONE Ho scelto il libro di Ugo Amaldi perché, essendo uno dei più utilizzati, ero interessato a scoprirne pregi e difetti. Per la scelta dell’unità didattica ho preferito optare per un argomento che non fosse

troppo inflazionato e che fosse caratterizzato da un coefficiente di difficoltà medio alto sia dal punto di vista “dell’insegnamento” che da quello “dell’apprendimento”. Ritengo infatti che un buon libro

si debba differenziare dagli altri proprio nella trattazione di quegli argomenti che risultano più ostici e meno apprezzati da docenti e studenti.

TEORIA L’approccio é fondamentalmente definitorio, gli argomenti vengono introdotti quasi sempre tramite definizioni le quali non vengono supportate da alcun tipo di riferimento alla fenomenologia sperimentale; alle definizioni vengono fatte seguire le leggi e i metodi per ricavarle. La parte relativa ad esempi, esperimenti ed applicazioni viene per lo più riportata in un secondo tempo facendola apparire come qualcosa di superfluo e di poco importante. I paragrafi in cui non viene seguita questa linea di condotta sono davvero pochi, tra questi vi è quello in cui viene introdotto il concetto di pressione e quello in cui si tratta dei vasi comunicanti.. La tipologia d’impostazione si basa su un approccio descrittivo. Gli argomenti vengono trattati prevalentemente in maniera qualitativa. Nell’introdurre formule e dimostrazioni si utilizzano vie

che lasciano poco spazio all’utilizzo dei formalismi matematici complessi il che rende la trattazione

più semplice e più leggera per gli studenti. L’interazione con il lettore è quasi assente, infatti,

eccezion fatta per alcuni quesiti che, assai raramente vengono posti dall’autore, non vi sono

elementi che forniscano allo studente stimoli che lo portino ad operare una riflessione personale. Nei capitoli in questione il legame tra fisica e cultura è inesistente.

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I contenuti storico-epistemologici, così come le letture di approfondimento, sono del tutto assenti. I riferimenti ad elementi di fisica quotidiana, sebbene scarsi e privi di un’adeguata interpretazione

teorica, sono presenti sia sotto forma di note a margine che all’interno del testo. Per quanto

concerne i richiami alla tecnologia li troviamo quasi sempre sotto forma di una descrizione qualitativa poco approfondita (richiami alle pompe della benzina delle automobili, alla portanza delle ali di un aereo … ecc). L’unico riferimento tecnologico analizzato in maniera dettagliata è il

funzionamento dei freni dell’automobile. Non viene fatto alcun cenno all’analisi di problemi fisici la cui soluzione abbia dei risvolti importanti per la società. Assai poco curata è anche la parte relativa alle attività di osservazione e sperimentazione la quale si riduce a discorsi assai elementari che, supportati da illustrazioni, hanno come obiettivo la verifica di effetti fisici descritti dalla teoria.

Gli unici strumenti che il libro mette a disposizione dello studente, nei capitoli in esame, sono delle schede riassuntive costituite prevalentemente da richiami di teoria e in misura minore da osservazioni di carattere sperimentale. Allegato al libro c’è inoltre un cd-rom, contenente test interattivi e semplici esperimenti virtuali che andrebbero utilizzati come supporto didattico. Non sono inoltre presenti strumenti che possano favorire lo sviluppo di un metodo di risoluzione degli esercizi, (gli esercizi guidati sono pochi, e non vengono fornite tracce o suggerimenti per la risoluzione di problemi più complessi). Strumenti più sofisticati come le mappe semantiche o le mappe concettuali sono del tutto assenti.

APPARATI DI VERIFICA

La verifica di conoscenze e competenze è basata su test a risposta multipla, esercizi e problemi i quali sono riportati alla fine del libro. I test sono presenti sotto forma di domande alle quali è possibile rispondere scegliendo tra più opzioni. Per ogni serie di domande è sempre specificato il paragrafo di riferimento. Tali test hanno un’unica utilità, stabilire se lo studente ha memorizzato le nozioni portate alla sua attenzione. Gli esercizi di bassa e media difficoltà sono in numero sufficiente e coprono in maniera adeguata gli argomenti trattati. Risultano invece scarsi quei problemi, di complessità più elevata, che sarebbero utili a stimolare le eccellenze. Oltre agli esercizi standard, ve ne sono alcuni interattivi per i quali si fa riferimento al cd-rom allegato, utilizzando il quale è possibile realizzare anche alcuni esperimenti virtuali. Tutte le attività legate all’utilizzo del cd-rom vengono spiegate in maniera chiara e soddisfacente nel libro. A conclusione di ogni unità didattica c’è sempre una prova di autovalutazione divisa in blocchi

ognuno dei quali ha come fine ultimo quello di verificare una data competenza. Ogni blocco è costituito da alcune domande a risposta multipla e da un esercizio.Le modalità di svolgimento e valutazione (tempi previsti, punteggi da attribuire ai vari quesiti), vengono specificate in maniera chiara. .

GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO

a) In merito alla correttezza scientifica non vi sono particolari questioni da porre, la trattazione dei vari argomenti, che può essere discussa dal punto di vista dell’approccio didattico, non può

invece essere criticata dal punto di vista della correttezza dei contenuti. L’unico appunto che si può

fare all’autore è legato alla presenza di alcune omissioni che sebbene volte a rendere più sintetica e mento pesante la trattazione, possono, in taluni casi, contribuire a ridurre la chiarezza degli argomenti esposti (come accade quando si parla della legge di Stivino applicata ai gas). Per quanto

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concerne l’aggiornamento del testo, questo è quasi del tutto assente, specie per quanto riguarda i

progressi fatti in campo scientifico.

a1) Nei capitoli presi in esame la trattazione è fatta a compartimenti stagni, le connessioni tra i vari paragrafi sono scarse e ogni argomento sembra essere indipendente dagli altri. Risulta dunque assai difficile identificare il filo conduttore seguito dall’autore del libro. Le poche connessioni

presenti sono relative ad argomenti appartenenti ad altri capitoli: viene richiamata la conservazione dell’energia in relazione al teorema di Bernoulli, si richiamano le leve meccaniche quando si

discute del torchio idraulico…ecc ecc. a2) La mancanza di un filo conduttore che colleghi i vari paragrafi, si riflette anche sull’esposizione epistemologica che definirei tutt’altro che coerente.

b) Dal punto di vista letterario il linguaggio è semplice e sintatticamente corretto mentre dal punto di vista scientifico è privo di ambiguità e mira alla semplicità e alla chiarezza. Ritengo dunque che il linguaggio utilizzato dall’autore sia adeguato al tipo di pubblico a cui è rivolto il

libro. c) La struttura delle pagine che costituiscono i capitoli oggetto di analisi, permette, insieme

all’adeguatezza del linguaggio utilizzato, una scorrevole e gradevole lettura. La presenza di frasi evidenziate, di commenti al margine che segnalano i concetti di maggior rilevanza e l’uso di

strumenti grafici di vario tipo semplificano la fase di apprendimento. Particolarmente ben strutturate sono le parti descrittive relative agli esperimenti, la lettura delle quali credo possa contribuire ad aumentare il coinvolgimento dello studente.

d) Fatta eccezione per la parte descrittiva relativa agli esperimenti, ritengo che il libro si presenti allo studente in maniera poco stimolante. Gli argomenti sono infatti introdotti a partire da definizioni alle quali non vengono affiancati elementi capaci di incrementare la curiosità dei lettori (si fa poco riferimento alla vita quotidiana e ai risvolti tecnologici derivanti dagli argomenti affrontati).

e) I capitoli in questione e più in generale l’intero libro, si limitano a passare allo studente delle

nozioni senza curarsi di inquadrarle in un contesto scientifico generale. A mio avviso, a partire dalla lettura di questo libro, lo studente si fa una immagine scorretta e distorta della scienza, che gli appare come un insieme di leggi e regole delle quali non è ben chiara l’utilità. La scienza e la fisica

in particolare, andrebbero invece presentate in maniera tale da evidenziarne il carattere dinamico e problematico relazionandole ai risvolti tecnologici e sociali derivanti dalla loro evoluzione. Concludendo, la trattazione del moto dei liquidi reali può essere considerata soddisfacente per quanto concerne definizioni, formule e leggi ma non per quanto riguarda tutto il resto. I capitoli in questione sono infatti assai poveri di tutto ciò che potrebbe stimolare la curiosità e l’apprendimento.

I contenuti, in quanto costituiti essenzialmente di concetti, non sono a mio avviso, se presi da soli, gli elementi adeguati per attivare i dinamismi della mente. Alle forme dinamiche della mente va offerto un “soccorso” che permetta di penetrare all’interno delle concettualizzazioni formali. Ad

esempio, nell’unità didattica in questione, viene introdotto il concetto di viscosità ma non si fa alcun

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riferimento a fenomeni ad esso legati (la perdita di energia in un fluido o la perdita di carico in un condotto); sono completamente assenti esempi reali e applicazioni relative al principio di Archimede e così via. Ritengo dunque di poter affermare che il libro in questione risulta essere un buon manuale solo se utilizzato da un docente capace, in grado di interessare alla materia gli studenti e di sopperire a tutte le lacune evidenziate nelle righe precedenti.

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Titolo: Fisica: idee ed esperimenti Autore: Ugo Amaldi Casa editrice: Zanichelli

Anno di edizione: 2001

CAP. IV – Il modello dell’atomo di Rutherford-Bohr

TEORIA Approccio

Tre tipi di approccio vengono usati nel corso del capitolo:

Sperimentale è possibile notare, già all‟inizio del capitolo, che il paragrafo

introduttivo (avente titolo „Gli urti danno informazioni‟), allo scopo di evidenziare l‟importanza che il concetto di urto ha avuto storicamente per la

comprensione e la formulazione dei modelli atomici, propone l‟esperimento del lancio di palline di gomma contro oggetti molto più grandi di cui è sconosciuta

la forma e che vengono posti all‟interno di una stanza buia. I lanci effettuati attraverso una porta aperta e sempre perpendicolarmente ad essa permettono

di capire la forma degli oggetti semplicemente osservando la traiettoria con cui le palline rimbalzano dopo l‟urto con le pareti. Questo approccio sperimentale pone immediatamente il lettore a conoscenza

del metodo che storicamente gli studiosi hanno dovuto adottare per conoscere la natura dell‟atomo: è necessario osservare l‟interazione tra luce (fotoni) e

materia, oppure tra particelle singole e materia per arrivare a proporre un valido modello atomico.

Storico il capitolo espone i 3 modelli atomici di Thomson, Rutherford e Bohr

descrivendoli in ordine cronologico, rispettando in questo modo i tempi delle rispettive formulazioni e sottolineando come ogni modello proposto partisse da quello/i precedenti e ne risolvesse le contraddizioni rispetto alla teoria e

all‟esperienza: l‟autore sottolinea infatti che il modello „a panettone‟ di Thomson non permetteva di spiegare il fatto che diverse particelle venivano deviate

all‟indietro nell‟esperimento di Rutherford realizzato con una lamina d‟oro; inoltre nell‟esporre il modello „planetario‟ di Rutherford l‟autore evidenzia il fatto

che ciascun elettrone, a causa dell‟attrazione esercitata dal nucleo, si troverebbe a descrivere una traiettoria a spirale finendo così per collassare su di esso.

Non viene invece messa in evidenza dall‟autore l‟inadeguatezza del modello di Rutherford a spiegare lo spettro discreto degli atomi: lo spiraleggiare dell‟orbita

produrrebbe radiazione emessa caratterizzata da una frequenza che cambia con continuità, ovvero da uno spettro continuo e non discreto come si osserva

nella realtà.

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Definitorio nel presentare il modello atomico di Bohr viene menzionato il

principio di esclusione di Pauli come necessario per comprendere il diverso comportamento chimico degli atomi in riferimento alla loro collocazione

all‟interno del sistema periodico. Ma non si aggiunge altro. Si tratta di un approccio definitorio, che introduce un concetto molto importante semplicemente riportandolo nel testo, in maniera del tutto scollegata rispetto al

discorso tanto da compromettere una completa comprensione da parte del lettore.

Tipologia d’impostazione

Due tipi di impostazione vengono sostanzialmente usati nel corso del capitolo: Descrittiva gli esperimenti realizzati da Rutherford e Millikan, nonché i

modelli atomici proposti da Thomson, Rutherford e Bohr vengono descritti

corredando il testo di figure alcune delle quali riproducono gli apparati sperimentali usati, mentre altre schematizzano graficamente l‟atomo sulla base

dell‟idea di modello atomico proposta („a panettone‟ - Thomson -; „planetario‟ - Rutherford -; modello ad orbite quantizzate - Bohr -) . I paragrafi fanno esplicito riferimento a tali figure che vengono a loro volta

corredate di didascalie risultando in tal modo molto utili per la comprensione del testo.

Legame della fisica con la vita comune trattandosi di modelli atomici, il

ricorrere all‟esperienza comune per rendere più chiari i concetti non può essere certamente l‟impostazione privilegiata dall‟autore in questo capitolo. All‟interno

della scheda di approfondimento dal titolo „L‟urto‟, viene comunque evidenziata l‟importanza del concetto di collisione attingendo ad esempi della realtà (pallina che rotola lanciata sui binari di un trenino giocattolo contro il getto d‟aria di un

aspirapolvere; pianeta e sonda spaziale che si avvicina; cometa che cade su pianeta).

Contenuti - storia della scienza ed epistemologia:

poco o nulla sufficiente abbondante

(vengono sempre riportati gli anni in cui i vari esperimenti sono stati realizzati e

pure gli anni della nascita e della morte degli scienziati che li hanno ideati, ma non si fa alcun cenno al periodo storico, né all‟epistemologia in cui tali esperimenti sono stati concepiti)

- letture:

poco o nulla sufficiente abbondante

(non vengono proposte letture di approfondimento)

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- elementi di fisica quotidiana: poco o nulla sufficiente abbondante

(trattandosi di modelli atomici, il ricorrere all‟esperienza comune per rendere più chiari i concetti non può essere certamente l‟impostazione privilegiata

dall‟autore in questo capitolo)

- richiami alla tecnologia: poco o nulla sufficiente abbondante

- cenni a problemi d‟interesse per la società (energia, ambiente, ...)

poco o nulla sufficiente abbondante

- nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione

diretta: poco o nulla sufficiente abbondante

(lancio di palline di gomma contro oggetti molto più grandi di cui è sconosciuta la forma e che vengono posti all‟interno di una stanza buia; pallina che rotola

lanciata sui binari di un trenino giocattolo contro il getto d‟aria di un aspirapolvere)

Strumenti per lo studente nel testo base: Schede di carattere tecnologico NO

Schede legate alla vita quotidiana NO

Schede di approfondimenti matematici SI’

(esempio numerico proposto per una maggiore comprensione dell‟esperimento di Millikan; esempio numerico proposto per il calcolo del

raggio e dell‟energia relativi all‟orbita fondamentale dell‟atomo di idrogeno)

Schede storiche interdisciplinari NO

Schede di approfondimento SI’

(scheda „L‟urto‟ con approfondimenti sul concetto di collisione senza contatto con riferimento all‟esperienza comune – vd. sopra „legame della fisica con la vita comune‟ –)

Schede di sintesi SI’

(scheda molto utile dal titolo „Riassumendo‟ alla fine del capitolo che riporta gli argomenti trattati e le leggi fisiche esposte in modo sintetico e

di rapida lettura)

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APPARATI DI VERIFICA Esercizi e problemi:

quantità: molti (pochi, adeguati, molti)

Sia all‟interno del capitolo, sia alla fine vengono proposti numerosi esercizi e problemi

Test a risposta multipla: test per la verifica in itinere del processo di apprendimento: no (sì, no)

Nel corso del capitolo vengono proposti esercizi per una maggiore comprensione degli argomenti trattati di cui viene fornita la soluzione, ma non test a risposta multipla

test per la verifica sommativa: sì (sì, no) Alla fine del capitolo, nella sezione „Esercitazioni‟ che si trova al termine del Modulo „L‟elettrostatica‟ di cui il capitolo fa parte, vengono proposti:

1. test a risposta multipla

2. test ed esercizi interattivi che prevedono l‟utilizzo del CD-ROM

3. esercizi – per la cui soluzione alcune volte viene offerto un suggerimento –

4. problemi

5. quesiti – si tratta di domande che prevedono risposte rapide e che quindi

potrebbero essere rivolte all‟allievo in sede di esame –

6. prove di uscita – si tratta di 3 test a risposta multipla e di 1 esercizio che

vengono proposti per l‟autovalutazione delle competenze dell‟alunno sulla base

di un punteggio che viene attribuito ad ogni risposta esatta ed è diversificato

per i test e per l‟esercizio –

Strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione:

Esercizi introdotti da sintesi teoriche no (sì, no)

Esercizi guidati sì (sì, no)

Mappe concettuali no (sì, no)

Tracce per la risoluzione di problemi complessi sì (sì, no)

GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO a) Correttezza scientifica e livello di aggiornamento buono

(sufficiente, buono, ottimo)

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a1) C’è connessione tra i diversi argomenti trattati? sì (sì, no)

Il legame tra i 3 modelli atomici di Thomson, Rutherford e Bohr è ben evidenziato in quanto viene sottolineato il fatto che ogni modello proposto parte da quello/i precedenti e ne risolve le contraddizioni rispetto alla teoria e

all‟esperienza. Appare meno evidente, invece, la relazione tra l‟energia di legame dell‟atomo di

idrogeno e il modello delle orbite quantizzate di Bohr. In generale, comunque, gli argomenti sono esposti secondo un ordine logico abbastanza facilmente identificabile dal lettore (idee centrali; punti chiave;

concetti principali)

a2) Tale connessione evidenzia l’unità della fisica? sì (sì, no)

La presentazione dei 3 modelli atomici, così come viene proposta nel capitolo,

ripercorre le tappe della fisica in materia di comprensione del mondo microscopico e quindi ne evidenzia l‟unità e la continuità.

a3) C’è coerenza nell’esposizione epistemologica? non si hanno elementi

Dal momento che non viene fatto alcun cenno al periodo storico, né

all‟epistemologia in cui gli esperimenti alla base dei 3 modelli atomici sono stati concepiti, non è ravvisabile alcun tipo di incoerenza nell‟esposizione epistemologica.

b) Linguaggio usato sia dal punto di vista scientifico, sia letterario

Il linguaggio usato è di facile comprensione: si utilizzano parole di uso comune e si evita l‟inglese.

c) Gradevolezza e facilità di lettura buono (medio, buono, alto)

Il testo è di facile lettura in quanto i periodi sono brevi e poche le proposizioni subordinate che appesantirebbero di gran lunga la lettura. Per mettere in evidenza i concetti cruciali si fa uso di simboli grafici a lato del testo: righe

gialle per segnalare i punti più importanti di ciascun paragrafo; salvagenti sotto righe gialle per sottolineare i nodi concettuali indispensabili per la comprensione

della materia; salvagenti posti accanto agli esercizi per segnalare gli esercizi base per una verifica dell‟apprendimento.

Inoltre vengono utilizzate spesso ripetizioni e richiami per una maggiore comprensione del legame tra i vari argomenti trattati e vengono fatti collegamenti con paragrafi o capitoli precedenti così da fornire un quadro più

generale.

d) Capacità di suscitare l’interesse dei ragazzi, motivandoli allo studio medio (medio, buono, alto)

Trattandosi di un capitolo sui modelli atomici nel quale il ricorrere all‟esperienza comune per rendere più chiari i concetti non è certamente l‟impostazione

privilegiata dall‟autore, riteniamo che l‟interesse dei ragazzi non sia particolarmente stimolato.

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Titolo: Fisica Autore: Antonio Caforio, Aldo Ferilli Casa editrice: Le Monnier

Anno di edizione: 2005

CAP. I – La carica elettrica e la legge di Coulomb

TEORIA Approccio

Due tipi di approccio vengono sostanzialmente usati nel corso del capitolo:

Sperimentale la maggior parte dei paragrafi all‟interno del capitolo trae

spunto dall‟esperienza per introdurre nuovi argomenti o per spiegare determinati fenomeni. Si fa riferimento a situazioni ed eventi che fanno parte

della vita quotidiana oppure si riportano esperimenti ideati nel corso della storia che hanno portato a nuove scoperte o nuove formulazioni.

Storico il concetto di elettricità viene proposto a partire dal significato

etimologico della parola, mentre quello di elettrizzazione viene introdotto come scoperta di Talete da Mileto (VII-VI sec. a.C.).

Viene evidenziato che lo studio sistematico dell‟elettricità e del magnetismo ebbe inizio nel Rinascimento e che solo verso la fine del XIX secolo si arrivò ad una completa comprensione dei fenomeni elettromagnetici.

Si fa inoltre cenno alle notizie più salienti della biografia e dell‟attività scientifica degli studiosi trattati, notizie che vengono inserite in tasselli disposti accanto ai

paragrafi per essere evidenziate ed incuriosire il lettore. Sono riportate anche fotografie degli antichi strumenti (elettroscopio ad asta,

bilancia di torsione, elettroforo di Volta) con cui esperimenti fondamentali sono stati realizzati. Comunicativo-culturale NON si fa riferimento al fatto che siamo sottoposti

normalmente a campi elettrici e magnetici di origine naturale e anche artificiale, il che darebbe spunto a considerazioni più generali e a riflessioni sulla pericolosità di tali campi secondo un approccio comunicativo-culturale di

maggior respiro rispetto a quello storico-sperimentale che viene privilegiato dagli autori in questo capitolo.

Tipologia d’impostazione

Tre tipi di impostazione vengono sostanzialmente usati nel corso del capitolo:

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Descrittiva i concetti alla base delle leggi fondamentali

dell‟elettromagnetismo vengono introdotti descrivendo degli esperimenti che possono essere realizzati senza dover ricorrere ad apparati complicati o

sofisticati e che permettono di capire bene le grandezze e le forze coinvolte

Legame della fisica con la vita comune si fa riferimento ad evidenze della

vita quotidiana (per esempio la frequenza con cui si osservano fenomeni di elettrizzazione per sfregamento) per introdurre classificazioni (conduttori e

isolanti, forze attrattive e forze repulsive), leggi fisiche (legge di Coulomb, legge di conservazione della carica elettrica).

Contenuti - storia della scienza ed epistemologia:

poco o nulla sufficiente abbondante

- letture: poco o nulla sufficiente abbondante

(non vengono proposte letture di approfondimento) - elementi di fisica quotidiana:

poco o nulla sufficiente abbondante

- richiami alla tecnologia: poco o nulla sufficiente abbondante

- cenni a problemi d‟interesse per la società (energia, ambiente, ...)

poco o nulla sufficiente abbondante

- nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione

diretta: poco o nulla sufficiente abbondante

Strumenti per lo studente nel testo base: Schede di carattere tecnologico NO

Schede legate alla vita quotidiana NO

Schede di approfondimenti matematici SI’

(si tratta di schede dal titolo „Esempio‟ che sono inserite all‟interno dei

vari paragrafi e che propongono problemi di cui viene data la soluzione, esemplificativi per la conoscenza di grandezze fisiche fondamentali – il

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Coulomb – o per il confronto tra leggi fisiche - forza di interazione elettrica e gravitazionale -)

Schede storiche interdisciplinari NO

Schede di approfondimento SI’

(si tratta di schede dal titolo „Esempio concettuale‟ che sono inserite all‟interno dei vari paragrafi e che propongono una discussione per

approfondire dei concetti anche con l‟ausilio di figure)

Schede di sintesi SI’

(scheda molto utile dal titolo „Riepilogo‟ alla fine del capitolo che riporta

gli argomenti trattati e le leggi fisiche esposte in modo sintetico e di rapida lettura, servendosi anche di riquadri colorati per una più

immediata classificazione dei concetti )

APPARATI DI VERIFICA Esercizi e problemi:

quantità: molti (pochi, adeguati, molti)

Test a risposta multipla:

test per la verifica in itinere del processo di apprendimento: no (sì, no) Nel corso del capitolo vengono proposti esercizi per una maggiore comprensione degli

argomenti trattati di cui viene fornita la soluzione, ma non test a risposta multipla

test per la verifica sommativa: sì (sì, no) test a risposta multipla

esercizi – per la cui soluzione alcune volte viene offerto un suggerimento –

problemi – di cui è evidenziato il livello di difficoltà tra media e alta e che talvolta sono

corredati di suggerimenti o guide per la risoluzione –

quesiti – si tratta di domande che potrebbero essere rivolte all‟allievo in sede di esame

che vengono proposte a fianco del testo e quasi in tutti i paragrafi –

caccia all‟errore – si tratta domande rapide che prevedono risposta affermativa o

negativa –

Strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione: Esercizi introdotti da sintesi teoriche sì (sì, no)

Esercizi guidati sì (sì, no)

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Mappe concettuali no (sì, no)

Tracce per la risoluzione di problemi complessi sì (sì, no)

GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO e) Correttezza scientifica e livello di aggiornamento buono

(sufficiente, buono, ottimo)

a1) C’è connessione tra i diversi argomenti trattati? sì (sì, no)

a2) Tale connessione evidenzia l’unità della fisica? sì (sì, no)

a3) C’è coerenza nell’esposizione epistemologica? non si hanno elementi

f) Linguaggio usato sia dal punto di vista scientifico, sia letterario Il linguaggio usato è di facile comprensione: si utilizzano parole di uso comune

e si evita l‟inglese.

g) Gradevolezza e facilità di lettura medio (medio, buono, alto)

Il testo è di non troppo facile lettura in quanto i periodi spesso sono lunghi e

ricchi di subordinate che appesantiscono il discorso e talvolta non agevolano la comprensione.

L‟ uso frequente che viene fatto di schemi e di figure aiuta nella lettura del testo che comunque risulta un po‟ prolisso e delle volte complesso. Non si ravvisa una spiccata capacità nel riassumere messaggi e/o concetti principali in

un quadro sintetico.

h) Capacità di suscitare l’interesse dei ragazzi, motivandoli allo studio medio (medio, buono, alto)

Gli argomenti trattati nel capitolo sono particolarmente vicini ad evidenze della vita quotidiana e gli esperimenti che vengono descritti sono di facile

realizzazione e comprensione. Per questi motivi riteniamo che l‟interesse dei ragazzi sia abbastanza stimolato; concludiamo quindi che se l‟alunno è

invogliato alla lettura e allo studio di queste tematiche, non lo è per merito del testo, né del linguaggio usato (vd. sopra „Gradevolezza e facilità di lettura‟), piuttosto per lo specifico degli argomenti.

In alcune parti si nota un eccesso di dettagli che non solo annoia il lettore, ma rischia di nascondere i concetti principali ed eventualmente di “bruciare”

qualsiasi possibilità di discussione.

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SSIS IX CICLO – anno 2007/2008 I anno – II semestre

Tesina per il corso di Didattica della Fisica Docente: Prof. Pallottino

Specializzanda: Cestellini Cecilia

ANALISI DEL LIBRO DI TESTO:

Titolo: “Fisica 2”

Autore: Antonio Caforio e Aldo Ferilli Casa editrice: Le Monnier Anno di edizione: anno di edizione 2004. Capitoli scelti: 1° “Moto ondulatorio”, 3° “La luce” Motivazione della scelta Ho scelto questi due capitoli del Caforio-Ferilli perché riguardano gli argomenti che ho trattato durante l’esperienza di tirocinio attivo: 20 ore di lezione sulle onde (in generale meccaniche e con qualche accenno all’onda elettromagnetica) divise in due quarte del liceo scientifico “Talete”

(zona Prati). L’esperienza è stata ancora più interessante e significativa per il fatto che il testo adottato dall’insegnante per queste classi è stato proprio il Caforio-Ferilli. In questo modo ho potuto avere un riscontro diretto della “bontà” del libro in termini di

contenuto, esposizione, approccio didattico, materiale di approfondimento e verifica, e soprattutto sulla capacità di suscitare interrogativi e di interessare i ragazzi al fenomeno delle onde. Il libro Il Caforio-Ferilli è un testo che viene adottato nei licei da almeno 20 anni, questa relazione riguarda l’edizione del 2004. Il secondo volume è organizzato in due moduli: il primo modulo riguarda le onde ed è organizzato in 5 unità, il secondo modulo riguarda la termodinamica e comprende 6 unità. All’interno delle unità, oltre alla trattazione teorica, ci sono delle schede di approfondimento ed esercizi svolti come esempi. Alla fine di ogni unità c’è il riepilogo dove sono riportati le

definizioni, i concetti e le formule trattati nell’unità ma in maniera molto più sintetica, e la parte

dedicata agli esercizi che possono essere e domande a risposta multipla o problemi. L’organizzazione e la presentazione degli argomenti è molto lineare: si capisce bene il percorso

fatto dall’autore, gli argomenti sono facilmente reperibili e quindi consultabili. Questo aiuta molto l’insegnante a valutare il percorso proposto nel libro ed eventualmente modificarlo secondo la propria sensibilità e secondo i propri obiettivi didattici. Anche l’impaginazione (il rapporto tra le parti scritte, le foto, le figure, le schede di approfondimento, gli esercizi …) è chiara ed ordinata, elemento che potrebbe aiutare i ragazzi

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nello studio e nell’apprendimento dei contenuti, inoltre è fatta in modo tale da lasciare spesso colonne bianche ai lati delle pagine molto utili per prendere appunti durante le spiegazioni. Pochi sono i riferimenti e gli approfondimenti legati alla vita quotidiana o ad applicazioni tecnologiche.

TEORIA Contenuto L’unità “Moto ondulatorio” è il primo capitolo del libro. Questo unità riguarda:

l’introduzione al concetto di vibrazione e di onda distinzione tra onde meccaniche e onde elettromagnetiche, onde trasversali e longitudinali: natura e generazione il concetto di fronte d’onda e di raggio le grandezze caratteristiche dell’onda armonica (lunghezza d’onda, ampiezza, periodo,

frequenza, velocità di propagazione) energia trasportata dall’onda armonica equazione dell’onda armonica. Il principio di Huygens Leggi della riflessione e della rifrazione, la diffrazione delle onde il principio di sovrapposizione e l’interferenza tra due onde le onde stazionarie.

In questa unità c’è una scheda di approfondimento sul moto oscillatorio smorzato. Alcuni esercizi vengono proposti come esempi. L’unità “La luce” è il terzo capitolo del libro. Essa riguarda:

introduzione al solo spettro visibile e al concetto di propagazione rettilinea della luce la velocità della luce: definizione e misura grandezze che caratterizzano la luce dal punto di vista energetico (flusso di potenza,

intensità di radiazione, irraggiamento) Riflessione e rifrazione della luce (in particolare la rifrazione in una lastra a facce piane

parallele e nel prisma ottico) Esempi di fenomeni di rifrazione presi dal quotidiano Dispersione della luce

In questo capitolo c’è una schede di approfondimento storico che riguarda i vari tentativi fatti per misurare la velocità della luce, una scheda di laboratorio che spiega come misurare le grandezze fotometriche in laboratorio , una scheda di approfondimento sul principio di Fermat applicato alla riflessione della luce e sui colori dei corpi e del cielo. Gli esercizi proposti nel capitolo sono a volte usati come esempi altre volte sono più concettuali Carenze di argomenti disciplinari Nella prima unità

Descrizione di che cosa è una onda . Nel primo paragrafo si dice che per “onda si intende una qualsiasi perturbazione prodotta

da una sorgente che si propaga in tutti i punti contigui dello spazio” ma che cosa si

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intende per perturbazione, che cosa viene perturbato e soprattutto come si propaga l’onda non viene affrontato in maniera chiara. Non si sottolinea il fatto che l’onda è una funzione

dello spazio e del tempo. Si fa l’esempio delle onde create su molle ma non si dice che

posso studiare un’onda fissando il tempo e vedendo quali sono le posizioni che assumono le parti della molla in quell’istante rispetto alla posizione di equilibrio. Posso riportare gli spostamenti rispetto all’equilibrio su un grafico in funzione della posizione a tempo fissato e discutere come esso varia in istanti diversi; viceversa posso grafitarli in funzione del tempo per diverse posizioni. Non si sottolinea in maniera chiara che la perturbazione può essere una diversa grandezza fisica a seconda del tipo di onda: posizione delle particelle che costituiscono il mezzo in cui l’onda si propaga (es. onda di una molla), la

pressione esercitata sulle particelle che costituiscono il mezzo (onda sonora), il campo elettrico e magnetico (onda elettromagnetica).

Una volta fatta una breve introduzione sulle onde si studiano approfonditamente le onde sinusoidali (armoniche) ma non si motiva la scelta e non si capisce perché queste dovrebbero essere più importanti di altri tipi di onde. Non si parla delle onde sinusoidali come una schematizzazione che pur tuttavia è adeguata a descrivere con sufficiente approssimazione molti fenomeni come la propagazione del suono in un fluido o le onde meccaniche in una corda tesa o in un solido; non si accenna nemmeno al Teorema di Fourier che permetterebbe di comprendere (anche solo a livello qualitativo) come una qualunque onda possa essere espressa come somma di onde armoniche. Questo approccio porta i ragazzi a concepire le onde sempre come sinusoidali e nel momento in cui si prova a disegnare un’ onda diversa alla lavagna subito intervengono

dicendo “perché non disegniamo un’onda normale?” Definizione dell’intensità di un’onda.

Credo che il concetto di intensità di un’onda sia importante da affrontare primo perché è

una grandezza che si definisce allo stesso modo per tutte le onde (mentre l’energia che viene descritta per le onde armoniche nella 1° unità, paragrafo 2, sottoparagrafo 2.2 è diversa a seconda del tipo di onde) e poi soprattutto per le applicazioni nel quotidiano: per esempio l’intensità serve per distinguere i suoni dai rumori in rapporto alle sensazioni uditive, si parla si intensità luminosa di una sorgente (stella, lampadina …)

Diffrazione La diffrazione è affrontata in modo qualitativo e senza nessun esempio legato al quotidiano (ritorna il solito ondoscopio) risulta perciò impossibile attirare l’attenzione e

l’interesse dello studente su questo fenomeno. Inoltre ci sono due errori che dimostrano la mancanza del concetto di fondo: la diffrazione è un particolare caso di interferenza. Il primo errore è dovuto al fatto che la diffrazione viene trattata prima dell’interferenza. Il

secondo errore sta nella descrizione della diffrazione da singolo foro: per come è presentata, tramite il principio di Huygens, sembra che si abbia diffrazione solo quando si è in presenza di un’ unica sorgente concetto esattamente contrario alla realtà.

Nella seconda unità

Si dà per scontato che la luce è un’onda elettromagnetica senza una introduzione sul tema: il tema viene affrontato nella quinta unità. Ciò nonostante si parla di spettro elettromagnetico e successivamente di dispersione. Sarebbe molto più istruttivo esordire introducendo qualitativamente la natura ondulatoria della luce e descrivendo le ipotesi dell’ottica geometrica: approssimazione dell’ottica fisica quando le distanze della

sorgente e le dimensioni dei corpi investiti dalla radiazione sono molto maggiori della lunghezza d’onda.

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Una cosa che a mio avviso non è una carenza disciplinare ma proprio un errore concettuale è quello di mettere nel primo capitolo una scheda di approfondimento sul moto oscillatorio smorzato che non ha alcuna attinenza con le onde. Approccio La teoria in entrambe le unità viene presentata attraverso concetti e definizioni (il concetto di onda, di fronte d’onda nel primo, le grandezze fotometriche nel secondo) per poi ampliare il discorso e chiarirlo meglio con esempi ed esperienze che possono essere realizzate facilmente in laboratorio. L’ impostazione è molto descrittiva, quasi a dare per scontato un’ esposizione di tipo frontale da

parte dell’insegnate che utilizzerà questo testo: l’approccio è definitorio più che osservativo -sperimentale. Il formalismo matematico è praticamente inesistente. Nella prima unità si parla di interferenza dando le condizioni di interferenza tra due onde ma senza usare formule e passaggi matematici per giustificarle (si affronta la dimostrazione matematica in un esercizio messo come esempio che potrebbe passare del tutto inosservato). Si descrive la diffrazione a livello qualitativo, senza nessuna formula matematica ma solo con fotografie e con una immagine molto semplificata e imprecisa del fenomeno (come descritto sopra). Nella terza unità si parla di prisma ottico descrivendone tutti gli angoli caratteristici e poi il calcolo dell’indice di rifrazione di un prisma ottico si rimanda ad un esercizio di esempio. Dall’esperienza in classe ho notato che i ragazzi sicuramente apprezzano molto l’approccio poco

formale a livello matematico e la trattazione molto più qualitativa del fenomeno accompagnato da esempi concreti. Quando si passa al formalismo matematico (ho provato a dimostrare in classe la condizione di interferenza costruttiva e distruttiva di due onde perché con pochi e semplici passaggi si riesce a giustificare determinati comportamenti) la loro attenzione cala notevolmente. Ho notato però che, quando i calcoli non sono complessi, considerando che questo è un testo adottato spesso nei licei scientifici dove un approccio anche formale non deve essere tralasciato, se in un primo momento l’attenzione cala viene poi recuperata quando si raggiunge il risultato finale che da un senso alle relazioni che si scrivono. Affrontare in un testo dimostrazioni matematiche non complicate può essere un modo per rendere lo studente autonomo dallo sforzo di memoria e renderlo invece in grado di ricavarsi certe relazioni anche a distanza di tempo. In generale pochi sono i legami degli argomenti trattati con la vita comune e soprattutto con le esperienze quotidiane dei ragazzi. Nel primo capitolo le onde sono prodotte da molle, ondoscopi, funi attaccate ad una estremità o a due estremità e nel caso di onde stazionarie non si citano nemmeno le corde di una chitarra e come le frequenze prodotte possono cambiare variando la lunghezza della corda di chitarra con il capotasto. I fenomeni di diffrazione sono generati in un ondoscopio senza far nessun riferimento a casi quotidiani di diffrazione (esempi: diffrazione che si ha guardando tra il pollice e l’indice accostati o attraversando in macchina il Golden Gate con la radio accesa). Quando mai capiterà ad un ragazzo di avere a che fare con ondoscopi o con molle attaccate alle pareti nel suo quotidiano? Indicativo per esempio è anche il fatto che pochissime sono le fotografie e molti invece i grafici e i disegni per spiegare certi fenomeni o certi apparati sperimentali, per cui tutto è ricostruito e poco è preso direttamente dalla realtà. Si pone l’attenzione solo sull’energia trasportata da un’onda armonica: si evidenzia la dipendenza dalla frequenza e dall’ampiezza dell’onda e non si fa nessun parallelo con lo spettro

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elettromagnetico (né nel primo capitolo né nel terzo) per far riflettere i ragazzi sul perché si dice che i raggi ultravioletti o i raggi X sono pericolosi se assorbiti in grandi quantità, mentre questi sono argomenti che li riguardano tutti i giorni. Nel terzo capitolo invece diciamo che c’è un maggiore sforzo da parte dell’autore nel trovare

esempi che riportino l’esposizione teorica a esempi concreti alla portata dei ragazzi: per esempio

per la rifrazione della luce si affronta il tema dei miraggi, il fenomeno della fata morgana, il bastoncino che immerso nell’acqua appare spezzato. C’è un esempio anche di applicazione tecnologica: le fibre ottiche. Mancano completamente esempi presi dal reale o di applicazione tecnologica riguardo la riflessione, esempi che invece a fine spiegazione sono stati subito richiesti dalla classe. Per questo motivo ho integrato la mia spiegazione con del materiale riguardante l’eco, i radar, i sonar, l’ecografo. Ho visto che queste sono le parti che interessano di più e soprattutto dove i ragazzi danno un senso a tutto quello che stanno studiando; un buon libro di testo per superiori dovrebbe dare spazio, tramite paragrafi dedicati o schede di approfondimento a questi temi. Sono scarsi gli approfondimenti storici ed e del tutto assenti quelli epistemologici (anche sotto forma di schede). Credo che in generale la nostra cultura tenda sempre a separare e distinguere la storia della scienza e del pensiero scientifico (che viene spesso invece trattata in filosofia) dalla scienza vera e propria: non è strano quindi ritrovarlo anche nei libri di testo. Credo invece che far conoscere ai ragazzi gli sforzi che certe persone hanno fatto, quali sono stati i travagli di certe scoperte scientifiche e quali cambiamenti hanno portato nel concepire il rapporto tra l’uomo e la

natura potrebbe aiutare a sviluppare una cultura scientifica, apprezzare meglio l’importanza di

certi argomenti e a contestualizzare una materia che troppo spesso è considerata asettica e atemporale. Considerando poi che in una classe tante sono le personalità e le sensibilità alcune schede di approfondimento storico o epistemologico potrebbero far apprezzare la fisica anche agli amanti delle materie umanistiche. Non dimentichiamo che ci sarebbe anche il vantaggio di rendere consapevole lo studente che certi nomi di fenomeni o leggi sono nomi di persone realmente vissute!! Gli strumenti Come in parte già detto sopra gli approfondimenti o schede di carattere tecnologico mancano completamente sia nel primo che nel terzo capitolo. Molto poche sono quelle di carattere storico-interdisciplinare e di laboratorio: nessuna nel primo capitolo, una di tipo storico e una di laboratorio nel terzo. Altri strumenti messi a disposizione dello studente sono le schede di riepilogo. Nel riepilogo si riportano i concetti e le formule fondamentali del capitolo. Ho notato che questo può avere i suoi aspetti positivi e negativi: da un parte aiuta gli studenti a riassumere tutto quello che è stato studiato nel capitolo e avere una visione “compatta” dei contenuti, dall’altra può portare lo

studente a studiare solo il riepilogo e considerarlo sufficiente per una comprensione completa degli argomenti trattati.

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APPARATI DI VERIFICA Alla fine di ogni unità sono riportati test di verifica (domande a risposta multipla) e problemi specifici di ogni paragrafo e poi esercizi generali che toccano tutti gli argomenti del capitolo, per finire poi con una sezione intitolata “caccia all’errore” dove si prevede la risposta vero o falso. L’idea di proporre diverse tipologie di esercizi a mio parere è molto buona perché abitua i ragazzi ad affrontare diversi tipi di prove di verifica. Trovo buone le domande a risposta multipla perché toccano i principali contenuti trattati nell’unità. I problemi invece sono, a mio parere, troppo banali e ripetitivi: richiedono semplicemente l’applicazione della formula senza un minimo studio ed interpretazione della situazione e delle

condizioni che vengono presentate: sono tutti risolvibili leggendo la scheda di riepilogo del capitolo. Questo tipo di esercizi presenta la fisica come una scienza che si può sapere solo attraverso formule da imparare più o meno mnemonicamente, non sviluppa l’approccio critico e

di analisi della situazione. Per questo motivo sono stata costretta ad integrarli con esercizi presi da altri testi e mi sono resa conto che i ragazzi trovano molta difficoltà quando si trovano davanti ad un esercizio che non richiede semplicemente l’applicazione del calcolo ma una vera e propria interpretazione della situazione, richiamando a raccolta tute le conoscenze acquisite. Molto buone le domande vero o falso perché permettono di poter discutere sui fenomeni e più facilmente aprono un dibattito in classe utile a chiarire certi concetti e ad allargare il discorso affrontato durante la spiegazione. Alcuni esercizi presentano dei suggerimenti per la soluzione quando si vuol ricordare alcune caratteristiche fondamentali del fenomeno, altri una guida alla soluzione quando l’autore vuol porre l’attenzione dello studente su alcuni passaggi critici, altri ancora la soluzione quando ci sono diversi passaggi matematici da fare o tener conto di alcune proprietà geometriche che magari non sono state tratta in maniera approfondita nell’unità. Questa mi sembra una buona impostazione tesa a stimolare/aiutare lo studente in diversi modi e a diversi livelli così da non trovare sempre tutto risolto.

CONCLUSIONI Il Caforio-Ferilli, a mio parere, è un libro che fornisce una visione della fisica molto didascalica: ogni argomento viene introdotto con scarsa contestualizzazione e scarsa connessione con gli altri argomenti. Il linguaggio è semplice e facilmente comprensibile da parte degli studenti di scuola superiore, la lettura risulta accessibile anche ai ragazzi che trovano più difficoltà in questa materia. Dall’esperienza di tirocinio ho notato che l’impostazione del libro troppo nozionistica e con esempi troppo “da laboratorio”, nonostante sia apprezzata dagli insegnanti, non attira invece l’interesse dei ragazzi che lo vedono come un libro noioso e quasi una versione più approfondita

del manuale di fisica tascabile. I ragazzi sono abituati a viaggiare su internet dove colori, immagini, animazioni sono molto accattivanti, uno sforzo quindi per rendere più interessante il testo anche da un punto di vista grafico e quindi visivo andrebbe fatto. Una mancanza di questo testo è la completa assenza di schede o approfondimenti con applicazioni tecnologiche. Questi argomenti interessano molto i ragazzi soprattutto perché viviamo immersi nella tecnologia e quando si affrontano questi temi si nota che gli studenti vedono la fisica come una materia alla loro portata, non solo un insieme di formule, e si sentono chiamati in causa ad esprimere i loro dubbi, i loro pareri, le loro conoscenze. Si aprono in questo

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modo interessanti e animate discussioni in classe che aiutano i ragazzi a dare una senso a quello che studiano e che suscitano l’interesse anche dei più “sospettosi” verso questa materia. Il libro non dà nemmeno una visione della fisica come scienza sperimentale: le esperienza di laboratorio sono appena descritte a supporto della teoria, un vero e proprio accessorio. Non ci sono schede di laboratorio che danno dei suggerimenti, delle proposte e aiutano il ragazzo a organizzare le esperienze, a stabilire le grandezze da misurare, ad organizzare la presa dati e l’analisi, per trarre poi delle conclusioni. Risultato è che i ragazzi prendono le ore di laboratorio (soprattutto nei licei) come ore di pseudo lezione o addirittura “sotto-lezione” dove passare un po’ di tempo ad assistere all’esperimento, tanto poi sarà tutto ripreso in classe con spiegazione alla lavagna.

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Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario del Lazio

VIII ciclo, I anno

Anno Accademico 2006/2007

Analisi delle Unità didattiche 7 e 9 del libro

“Fisica 1” di Antonio Caforio e Aldo Ferilli

RELAZIONE PER IL CORSO DI

DIDATTICA DELLA FISICA

TENUTO DAL PROF. GIOVANNI PALLOTTINO

di: Maria Corona e Cristina Papalini

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Analisi delle Unità didattiche 7 e 9 del libro

“Fisica 1” di Antonio Caforio e Aldo Ferilli Le Monnier 2004

Un primo sguardo Ogni Unità didattica viene presentata con una foto a colori a tutta pagina, bella, significativa, con un

piccolo pensiero che, suscitando curiosità e stimolando lo studente a pensare, introduce agli argomenti

che verranno trattati.

In molte pagine ci sono zone laterali vuote che alleggeriscono il tutto e contemporaneamente possono

risultare utili per chi voglia annotare pensieri, dubbi o integrare il testo in qualche punto.

A tale proposito viene in mente la celebre frase di Pierre de Fermat: “Ho scoperto una mirabile

dimostrazione di questo teorema che questo margine è troppo piccolo da contenere”, e, ricordando che ciò ha provocato un ritardo di secoli nel dimostrare il teorema, non possiamo fare a meno di ritenere valida l’idea di spazi vuoti in un testo di Fisica. L’approccio visivo risulta sufficientemente chiaro, con uno standard grafico che evidenzia parole

chiave in neretto e concetti fondamentali in azzurro; ogni pagina ha un triangoletto in alto, al centro,

colorato differentemente per distinguere se si tratti di pagina di teoria, di esercizi o di laboratorio. La

numerazione delle pagine, in alto al centro, rende meno rapida la consultazione del testo rispetto a

quando è laterale.

Sono rare le foto all’interno delle varie Unità e ciò può indurre l’idea di una Fisica staccata dalla vita

reale e può risultare poco coinvolgente per i ragazzi. Stando attenti ad evitare un’eccessiva

frammentazione dei contenuti, che rischia di distogliere gli alunni dal messaggio principale, sarebbe

opportuno inserire più foto appropriate, perché le foto incuriosiscono e perché la memoria visiva aiuta

a ricordare.

Nel libro sono presenti schede di approfondimento di contenuti e di matematica e schede con richiami

storici.

In alcune Unità sono presenti piccole sezioni, evidenziate anche nell’indice, nelle quali vengono

suggerite “Strategie per la risoluzione dei problemi”.

Alla fine di ogni paragrafo vengono proposti alcuni quesiti per far sì che i ragazzi focalizzino la loro

attenzione sugli obiettivi del paragrafo.

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Al termine di ogni Unità vengono distinte pagine di riepilogo e di esercizi con un test di verifica

suddiviso per argomenti e problemi. Questi ultimi vengono presentati con le relative soluzioni

numeriche distinguendoli in difficili e di media difficoltà e raggruppandoli per argomenti. Tra di essi

ci sono esercizi evidenziati in grigio che presentano o una guida alla soluzione, o un suggerimento, o

la soluzione dettagliata.

Ogni Unità si conclude con un esercizio del tipo “Caccia all’errore” senza soluzioni.

Il testo presenta un indice generale all’inizio e un indice analitico alla fine; entrambi sono ben

strutturati e sufficientemente approfonditi. Il libro termina presentando pagine con fattori di

conversione, costanti e grandezze fondamentali.

Analisi dei contenuti

Unità 7: “I Principi della Dinamica” La foto scelta per questa unità non sembra esemplificativa, perché in primo luogo non c’è alcuna

chiarezza sul fatto che gli elefanti non si muovano esercitando l’uno sull’altro forze di uguale intensità

e verso opposto, e in secondo luogo lascia intendere che ci sia una volontà soggettiva nel principio di

azione e reazione. È logico pensare infatti che i due elefanti stiano lottando e che quindi ci sia una

“scelta di reazione” reciproca. I principi della dinamica non vengono presentati come una struttura portante perfetta e ovvia da

sempre e viene sottolineata la difficoltà e il tempo che hanno richiesto per essere concepiti, mettendo

a fuoco e riconoscendo l’importanza dei vari percorsi di pensiero sviluppati da Aristotele, Galileo e

Newton. Tale atteggiamento didattico è molto valido. Sottolineare che non tutto è stato immediato e

dare il senso della difficoltà aiuta a non scoraggiarsi, ad andare avanti e a capire che la conoscenza è

un processo difficile, evolutivo, faticoso e continuo ed è spesso soggetta alla possibilità di essere

perfezionata. Trasferire questo messaggio in modo sottile e non esplicito o plateale come potrebbe

essere fatto con un’introduzione ad inizio libro, risulta efficace in un’ottica di prendere per mano i

nostri ragazzi aiutandoli e rafforzandoli nel loro processo di crescita. È molto stimolante l’idea di

contestualizzare, riportando brani scritti dai personaggi dei quali si parla. Tali brani talvolta non sono

semplici e richiedono un aiuto integrativo per la comprensione. Ciò potrebbe essere sia uno stimolo

per lo studente ad interagire con il professore, sia uno stimolo per il docente ad approfondire e

proporre approfondimenti.

L’esempio raffigurato in figura 1 “Pendolo di Galileo”, del paragrafo 2, non dà un’immagine chiara

ed immediata del primo principio della dinamica poiché, con il perno al centro a modificare il moto,

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risulta troppo elaborato per ragazzi di un terzo superiore; è invece più idoneo e comunicativo

l’esempio di fig. 2 “Piano inclinato di Galileo”, sempre nello stesso paragrafo. In entrambi i casi però

gli autori, con correttezza scientifica, illustrano il ruolo dell’attrito nella realtà. Il secondo esempio

inoltre marca l’importanza di analizzare i casi limite fino a spingersi, con la discussione intorno alla

frase “la velocità non è l’effetto di una forza costante”, a fornire un punto focale per la comprensione

e l’introduzione al secondo principio. L’esposizione procede con gradualità evidenziando l’unitarietà

della Fisica.

Le frasi sono spesso ricche di contenuti e significati che non emergono ad una prima analisi e

richiedono ulteriori riflessioni ed elaborazioni.

In generale sembra che il contenuto didattico sia valido e sufficientemente approfondito, anche se a

volte non è di facile e immediata comprensione e richiede assolutamente il supporto del docente. Ciò

si nota ad esempio nel paragrafo 2.3 “I sistemi inerziali”, dove vengono esposti sia il concetto di

sistema inerziale che di sistema non inerziale, ma la descrizione di una macchina che in un primo

momento è un sistema inerziale e poi, frenando, diventa un sistema di riferimento non inerziale non

risulta molto chiara.

Si potrebbe sottilizzare inoltre che nella definizione di sistema inerziale non è stato sottolineato che le

stelle fisse in realtà non lo sono.

Buona la definizione dei primi due principi della dinamica, mentre il terzo principio riportato nella

sua formulazione classica data da Newton, “A ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e

contraria, agente sulla stessa retta”, sembra troppo sintetico per ragazzi al primo approccio con la

Meccanica. Meglio la formulazione “quando un oggetto A esercita una forza su un oggetto B, anche

B esercita una forza su A; le due forze hanno la stessa direzione e lo stesso modulo, ma versi

opposti”, riportata nella Fisica di Amaldi, Idee ed esperimenti (vol. 1 pag. 274 edizione 2007), anche

se, pur chiamandolo Principio di Azione e Reazione, non è poi chiaro cos’è che viene chiamato

“azione” o cosa invece “reazione”, a differenza del Caforio che, all’inizio del relativo paragrafo,

sottolinea il significato delle due parole.

Nel testo non c’è alcun cenno alla formulazione del terzo principio tramite la quantità di moto e cioè

nella forma: “In un sistema isolato si conserva la quantità di moto totale”, che evidenzierebbe il

legame profondo tra quantità di moto e terzo principio. Tale formulazione richiederebbe

un’impostazione didattica diversa rispetto a quella comunemente utilizzata nei libri per le scuole

superiori, nei quali il concetto di quantità di moto viene introdotto successivamente alla esposizione

dei principi.

Appropriato, nel paragrafo 5, l’inserimento dell’esempio del cavallo che tira la pietra descritto da

Newton nella sua opera Philosophiae naturalis principia matematica; sembra però che gli autori

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perdano un’occasione importante per porre l’accento sul fatto che “è l’attrito fra il piede e il terreno

che impedisce al piede di scivolare e permette di avanzare” (Fisica di Amaldi, Idee ed esperimenti,

vol. 1 pag. 276).

Opportuna l’idea di dedicare tutto il paragrafo 4 a sottolineare la differenza tra massa e peso, giacché

molto spesso i ragazzi non hanno chiara tale differenza, anche perché troppi libri della scuola media

inferiore continuano a parlare di peso misurandolo in kg e in multipli e sottomultipli del kg.

Per quanto riguarda gli esempi e gli esercizi sviluppati è facile notare che i dati risultano coerenti

rispetto alle cifre significative, anche se non viene mai riportato l’entità dell’errore di misura sulle

cifre significative, né viene mai specificato con precisione il criterio che viene adottato nel testo per

riportare i dati, neppure nell’impostazione iniziale quando nell’Unità 2 si parla degli errori nelle

misure.

Unità 9: “Le trasformazioni di Galileo e il moto relativo” Il fatto di dedicare un’intera Unità alle trasformazioni galileiane, cosa inusuale nei più comuni libri di

testo, è una scelta valida che ben sottolinea l’importanza dell’argomento.

La foto di introduzione all’Unità è adeguata all’argomento trattato, ma non focalizza l’argomento

principale delle trasformazioni di Galileo che riguardano esclusivamente sistemi in moto rettilineo

uniforme l’uno rispetto all’altro.

La grafica utilizzata per descrivere le trasformazioni galileiane non è molto immediata ad una prima

visione e sarebbe stato più efficace mettere le equazioni a sistema. Anche la schematizzazione di due

sistemi inerziali in moto l’uno rispetto all’altro in figura 1 nel paragrafo 1, “Le trasformazioni

Galileiane”, non risulta molto chiara e potrebbe indurre a credere che due sistemi inerziali si

muovono l’uno rispetto all’altro con velocità costante ma diretta lungo uno degli assi. Gli autori introducono i concetti di grandezze invarianti e covarianti per trasformazioni galileiane,

molto utili per chi vuole procedere nella comprensione della Fisica ed è bene che vengano conosciuti

al più presto. Viene ben sottolineato che, in Fisica Classica, massa e tempo sono invarianti per

trasformazioni galileiane. Particolarmente significativo è l’esempio 1 “una grandezza invariante” del

paragrafo 1, che dimostra l’invarianza per trasformazioni galileiane della distanza tra due punti, ma

sarebbe stato opportuno anticipare questo risultato nella trattazione e non solo come esempio.

Nel paragrafo 2, gli autori entrano nel dettaglio soffermandosi a descrivere il moto visto da due

sistemi di riferimento inerziali, focalizzando l’attenzione sulle leggi di composizione degli

spostamenti, delle velocità e delle accelerazioni e sottolineando opportunamente che il punto

materiale ha la stessa accelerazione in tutti i sistemi inerziali. Tale modo di procedere insegna allo

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studente ad esaminare e descrivere situazioni, aiutandolo a sviluppare un mentalità scientifica. Sono

interessanti gli esempi proposti in quanto tratti dalla vita reale e ben conosciuti da i ragazzi.

La scheda di approfondimento proposta sull’accelerazione di Coriolis è ricca di spunti con esempi

tratti dalla realtà, ma necessita senz’altro di un aiuto alla comprensione; il commento alle figure,

inoltre, non si diversifica dal testo, causando confusione ad una prima lettura.

Negli esempi 5 e 6 del paragrafo 4.1, in entrambi i disegni relativi alla situazione a, sarebbe stato

opportuno aggiungere un’immagine dell’uomo sul carrello relativa all’istante in cui cade la palla,

evidenziando così la posizione effettiva in cui cade. Nell’esempio di figura 5, situazione a, lo studente

guardando l’immagine può essere indotto a credere che la palla cada sui piedi dell’uomo sul carrello,

mentre nell’esempio 6, situazione a, può essere indotto a credere che la palla cada sul carrello.

La trattazione svolta nel paragrafo 4.2 non risulta molto chiara, poiché è descrittiva e

contemporaneamente puntigliosa con l’effetto di risultare un paragrafo di difficile comprensione. A

tale proposito viene in mente la frase di Voltaire

“Il segreto di annoiare la gente consiste nel dire tutto”.

Riteniamo infatti, che in una trattazione per studenti di liceo l’efficacia di un testo didattico dipenda

dal fatto che gli argomenti vengano trattati in un ordine logico chiaramente identificabile, soprattutto

se si tratta di studenti al primo approccio con la materia.

L’eccesso di dettagli non solo annoia, ma rischia di nascondere i messaggi principali. Nel paragrafo in

esame la parte grafica, non focalizzando i concetti chiave, non aiuta alla comprensione del messaggio

principale.

Nel complesso l’Unità risulta ben dettagliata e adeguatamente supportata da esempi interessanti.

Gli esercizi proposti sono sviluppati in modo graduale, fornendo idee per ogni argomento trattato.

Giudizio complessivo In generale possiamo concludere che il testo affronta con una buona correttezza scientifica i vari

argomenti esaminati anche se a volte, nel tentativo di essere preciso e rigoroso, risulta poco chiaro e di

difficile lettura per studenti di Liceo.

Ci sono alcune imprecisioni che abbiamo evidenziato nella sezione precedente.

I diversi argomenti vengono trattati evidenziando l’unità della Fisica con numerosi richiami.

Le problematiche principali vengono inquadrate nel contesto storico con sufficiente coerenza

nell’esposizione epistemologica.

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Sono numerosi gli esempi di supporto alla teoria, in genere ben strutturati, con figure appropriate che

favoriscono una migliore comprensione. Raramente si verifica che gli esempi non siano

adeguatamente descritti come nel caso del disco a ghiaccio secco citato a pag. 225 a fine paragrafo 2.1

Ottima l’idea di inserire, alla fine di ogni Unità, pagine di riepilogo per sottolineare i concetti chiave;

tali pagine sono ben fatte e presentano anche piccoli schemi ma mancano mappe concettuali.

Gli esercizi a fine capitolo sono sufficienti e seguono opportunamente una logica di gradualità

evidente nei problemi che vengono distinti per argomento e per grado di difficoltà, partendo da quelli

di media difficoltà fino ad arrivare a quelli difficili.

Nelle Unità da noi esaminate non viene mai affrontata, neppure negli esercizi, un’analisi degli ordini

di grandezza o dimensionale che invece potrebbe aiutare lo sviluppo di una mentalità scientifica.

In generale gli esercizi proposti sono di impostazione classica, non risultano particolarmente

fantasiosi e accattivanti, né lunghi. Qust’ultima particolarità, però, può risultare efficiente per non

scoraggiare i ragazzi nello studio della materia. Gli studenti di oggi tendenzialmente vogliono tutto e

subito e non è facile abituarli a seguire percorsi complicati.

Per quanto riguarda il livello di aggiornamento del testo non ci sono accenni ad una didattica

multimediale e nelle Unità da noi analizzate non ci sono riferimenti di tipo tecnologico. I contenuti del

testo propongono un’immagine della Fisica come qualcosa che evolve nella conoscenza e via via si

perfeziona ma contemporaneamente tale immagine, almeno nel primo dei tre volumi, è lontana dal

fornire agganci con le moderne tecnologie o con problematiche legate alla fisica quotidiana.

Vista l’evoluzione tecnologica che circonda i ragazzi di oggi e considerando il tempo che essi

trascorrono al computer, al fine di rendere più accattivante lo studio della materia, sarebbe opportuno

fornire loro del materiale multimediale di facile comprensione, interattivo, e collegamenti a siti validi

e interessanti.

Il testo è anche carente nell’offrire supporto ad esperienze didattiche di laboratorio. Ci sono rare

pagine, individuate dalla dicitura in alto “laboratorio”, con proposte di attività di osservazione o

sperimentazione diretta. Le Unità da noi analizzate ne sono prive.

Va certamente rilevato che la modalità di stesura del testo risente della problematica sviluppatasi a

partire dagli anni Sessanta negli Stati Uniti relativa alle riforme dei curricola scientifici. Dal punto di

vista della didattica in un clima di rinnovamento culturale volto ad incrementare l’alfabetizzazione

scientifica nacquero per le scuole superiori (hight school), in particolare per la Fisica, da un lato il

PSSC (Physical Science Study Committee), un corso progettato da J. Zacharias del MIT, fortemente

innovativo, che proponeva per la prima volta un laboratorio di sperimentazione dove a lavorare

fossero gli allievi, dall’altro, l’HPP (Harvard Project Physics), con orientamento storico. Benché

questi progetti non abbiano mai avuto una grande diffusione nelle scuole superiori italiane, per limiti

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Maria Corona matr. 287413 S.S.I.S Lazio – VIII Ciclo Cristina Papalini matr. 287439

7

strutturali (poche ore di insegnamento della fisica, possibilità di attività di laboratorio assai ridotte,

docenti non sempre preparati ad affrontare sia il laboratorio sia l’approccio storico), hanno segnato

anche da noi una svolta epocale nella didattica della fisica. Tale libro si rifà maggiormente

all’impostazione del HPP.

Probabilmente la didattica migliore è quella che si colloca a metà, perché se è vero che sperimentare è

fondamentale per comprendere, è altrettanto vero che studiare l’evoluzione del pensiero scientifico

aiuta a costruire percorsi mentali di comprensione degli argomenti. Fondamentale è però l’ausilio del

docente e la precisione della didattica nel libro che deve essere in grado di sottolineare ciò che è

cambiato nel pensiero scientifico.

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oSSIS IX CICLO – anno 2007/2008 I anno – II semestre

Tesina per il corso di Didattica della Fisica Docente: Prof. Pallottino

Specializzandi: Francesco Manzo e Raffaella Ostuni

ANALISI DEL LIBRO DI TESTO:

Titolo: “Fisica - Volume primo Meccanica”

Autore: James S. Walker

Casa editrice: Zanichelli

Anno di edizione: Prima edizione gennaio 2004, ristampa 2008

Capitoli 10, 11

Argomenti (titoli dei capitoli) Pagine dedicate Cinematica ed energia di rotazione

30 pagine

Dinamica rotazionale ed equilibrio statico

40 pagine

INTRODUZIONE Motivazioni della scelta Abbiamo scelto di analizzare i due capitoli in oggetto perché questo ci dava l’occasione di completare l’esperienza offerta dal tirocinio attivo, discutendo e portando a sintesi quanto sperimentato. Uno di noi ha infatti trattato questo argomento presso il Liceo scientifico Righi, il che ha permesso di valutare l’efficacia didattica di alcune scelte del testo e di rilevare alcuni punti nodali nella presentazione fatta dal Walker. L’argomento, di per se non particolarmente stimolante per gli studenti, offre all’insegnante molti spunti interessanti, quali la rilettura del significato matematico e fisico della legge di Newton, la discussione dei limiti della meccanica del punto materiale, l’universalità del principio di conservazione dell’energia, il legame tra leggi di conservazione e proprietà di simmetria. Anche la parte propriamente cinematica, alla luce di una nuova consapevolezza di cosa sia la meccanica, si presta benissimo ad un approfondimento e ad una sistemazione logica delle nozioni già acquisite dagli studenti. L’analisi delle scelte espositive del Walker, rivela molto sull’impostazione logica del testo, e ci offre molti spunti di discussione.

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2

La struttura del libro Il Walker è un libro relativamente recente, essendo la sua prima edizione del gennaio 2004. Il volume dal quale abbiamo tratto i due capitoli in esame è il primo dei tre che coprono tutto il programma di una scuola superiore. È scomposto in 14 unità che vanno da una introduzione alla fisica (cap. 1) ai fluidi (cap. 14), passando per la cinematica (cap. 2, 3, 4), le leggi del moto di Newton (cap. 5, 6) lavoro ed energia cinetica (cap. 7), energia potenziale e forze conservative (cap. 8), quantità di moto ed urti (cap. 9), cinematica e dinamica rotazionale (cap. 10, 11), la gravitazione (cap. 12), oscillazioni intorno all’equilibrio (cap. 13). Il volume si conclude con 5 appendici su: strumenti matematici di base; valori tipici (tabella); dati relativi al sistema solare; tavola periodica degli elementi; proprietà di alcuni isotopi. Il sommario si trova all’inizio del libro. L’ultima pagina del sommario è dedicata alla “Fisica

quotidiana” dove vengono richiamate le pagine con le proposte in tal senso (all’interno di ciascun capitolo): si nota subito, a colpo d’occhio, come queste diventino mediamente più numerose col progredire dei capitoli. Alla fine di ogni capitolo si trovano delle pagine dedicate, in ordine, a “Definizioni, leggi,

equazioni”, “Test di verifica delle competenze”, “Domande sui concetti”, e, infine, ai “Problemi”. Il testo è corredato da molte fotografie, illustrazioni e schemi. Non è proposto nessun supporto interattivo per completezza né schede guidate di laboratorio.

TEORIA Contenuto e approccio Il capitolo 10 è dedicato all’introduzione della cinematica rotazionale (piana) e al calcolo dell’energia cinetica. Una prima parte si occupa di definire la velocità e l’accelerazione angolare, l’accelerazione tangenziale e i legami tra grandezze lineari e rotazionali. Non utilizza la notazione di prodotto vettoriale (non avendola introdotta nel cap. 3 quando definisce i vettori) e non pone molta attenzione al rigore delle dimostrazioni. Presenta molti esercizi guidati, che spesso si riferiscono a situazioni reali, per introdurre gli argomenti in oggetto. L’idea è sicuramente vincente, ma una certa confusione logica e una propensione al calcolo rendono difficile agli studenti la sistemazione delle nozioni. Una seconda parte del capitolo si occupa della cinematica del moto di rotolamento, argomento un po’ secondario ma di grande presa sugli studenti (almeno per l’esperienza vissuta durante il tirocinio). La presentazione è descrittiva e non chiarisce che i risultati vengono derivati all’interno del modello per poi essere verificati sperimentalmente e non viceversa. La terza parte del capitolo è chiaramente fuori posto, avendo come oggetto il calcolo dell’energia cinetica di rotazione. La cosa non sarebbe tanto grave se non venisse assunta qui come principio la conservazione dell’energia, in maniera del tutto surrettizia, non essendo isolato il sistema. Il capitolo 11 riparte dalla definizione di momento torcente, su giustificazione sperimentale. Passa poi ad analizzare il modello del pendolo con la notazione delle grandezze rotazionali e deriva in questo modo la “2

a legge di Newton rotazionale”, che viene automaticamente assunta come fatto generale. Viene discusso il parallelo tra leggi lineari e rotazionali, che potrebbe essere approfondito meglio. Una seconda parte si occupa del problema dell’equilibrio statico, con grande chiarezza e buoni riferimenti a situazioni reali. L’inconveniente di questa sistemazione è che quando l’insegnante prova a seguirla si trova la statica nel bel mezzo di un capitolo di dinamica, e perde un po’ il filo. L’ultima parte parla del momento della quantità di moto e della sua conservazione, senza derivarla dal terzo principio, ma assumendola in maniera poco trasparente. Da ultima viene introdotta la notazione di prodotto vettoriale, cosa che poteva essere fatta ben prima, accennando alle rotazioni nello spazio.

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Il vero punto di forza di questo libro, è il riferimento continuo a problemi reali, che rendono le tematiche immediatamente comprensibili agli studenti. Questi problemi, come osservato anche durante il tirocinio, offrono agli studenti utili chiavi di lettura per comprendere i fenomeni fisici, anche se troppo spesso le spiegazioni piovono dall’alto in modo confuso. Il formalismo matematico è in generale appena sufficiente e mai si dà spazio alla discussione dei problemi matematici. È un’occasione persa, perché con pochi aneddoti storici si potrebbe benissimo rendere la potenza degli strumenti a disposizione dello sforzo che è servito per arrivare a formalizzare la teoria. Ad esempio, qui gli studenti incontrano un’equazione che già hanno visto in relazione ad un fenomeno fisico diverso. È chiaro che questa somiglianza già da sola suggerisce la potenza dell’apparato matematico a disposizione, e un accenno storico in una nota a margine non costerebbe molto. Sono del tutto assenti approfondimenti storici ed epistemologici. Ci sembra evidente che il libro di testo non può addentrarsi troppo in questi argomenti, perché non è quello il suo scopo. Tuttavia una lettura o una scheda, per quanto sintetiche, potrebbero essere un elemento di stimolo e di riflessione in grado di avvicinare alla mentalità scientifica anche i ragazzi che hanno una propensione naturale per gli studi di tipo umanistico. La nostra impressione è che i ragazzi siano sempre molto affascinati dalla storia delle scoperte e dall’evoluzione del pensiero dietro tali scoperte, perché vedono un percorso stratificato, fatto di intuizioni, di errori e di correzioni, di aneddoti a volte divertenti, di connessioni, che una concezione scolastica lineare della scienza elimina completamente, e che rende il percorso di studio delle materie scientifiche asettico ed innaturale. A margine sono invece presenti note che richiamano a situazioni reali o ad applicazioni tecnologiche (poche), che aiutano lo studente ad inquadrare l’argomento. Gli esercizi guidati sono l’autentico asse portante del testo, e tradiscono una impostazione volta più al calcolo che allo sviluppo di una sistemazione teorica. Il vantaggio di questa scelta è quello di trasmettere la percezione della fisica come strumento, una scelta più vicina all’approccio ingegneristico che non a quello fisico. Gli strumenti Il libro offre, alla fine di ciascun capitolo, una scheda riassuntiva, che costituisce un riepilogo di riferimento di facile consultazione. Lo scopo è quello di riepilogare sinteticamente i concetti, richiamando a volte anche le osservazioni sperimentali più rilevanti. Questo sussidio potrebbe essere un arma a doppio taglio: da un lato può aiutare gli studenti a riorganizzare rapidamente i contenuti trattati nel capitolo o a ripassare velocemente i concetti fondamentali (quindi può essere un aiuto in una seconda lettura del testo o come strumento per affrontare un capitolo); dall’altro può impigrire gli studenti, facendo loro ritenere di potersi rifare ad esso come strumento sufficiente di studio e comprensione. Per utilizzare le schede come strumenti di costruzione del metodo di studio e di ragionamento, potrebbe essere utile affiancargli una mappa concettuale, che aiuti a visualizzare le connessioni tra i concetti principali e faciliti la costruzione di schemi interpretativi. Infatti le mappe concettuali agevolano l’individuazione dei percorsi che legano argomenti differenti e il passaggio da modelli semplici a descrizioni più complesse. Nei due capitoli sono presenti molti esercizi. Alcuni, generalmente accompagnati da una figura, sono usati come guida e presentano la strategia risolutiva prima della risoluzione guidata; altri sono semplicemente accompagnati dalle soluzioni. Molti esercizi del primo tipo riguardano esempi di fisica quotidiana. Ne contiamo 5 nel capitolo 10 e 3 nel capitolo 11.

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4

Inoltre ci sono 5 “verifiche di concetti” nel capitolo 10 e 4 nel capitolo 11. Le verifiche di

concetti sono una via di mezzo tra domande ed esercizi; sono una sorta di punto fermo tra un concetto e l’altro all’interno dei vari paragrafi di ogni capitolo, che aiutano a riorganizzare le idee e sedimentare i concetti prima di passare ai concetti successivi. Forse per gli studenti sarebbe più utile non trovare la soluzione troppo a portata di mano, perché la sistemazione delle nozioni passa anche per la capacità di riconoscere gli argomenti e trovarli nel libro di testo. Come già detto, non vengono proposte schede di approfondimento, richiami storici o schede di laboratorio, che offrirebbero maggiori spunti per gli insegnanti e, conseguentemente, uno stimolo maggiore per gli studenti. Carenze di argomenti disciplinari Abbiamo rilevato una sola vera inesattezza (di cui discuteremo sotto), ma il difetto complessivo è la carenza nella presentazione logica degli argomenti, in particolare del rapporto tra teoria ed esperimenti. Soprattutto nel primo approccio alla fisica, è di fondamentale importanza presentare un quadro metodologico trasparente, in cui il metodo sperimentale sia presentato senza confondere esperienza, modellizzazione, analisi teorica e verifica sperimentale. Anche la scelta degli esercizi è spesso infelice: troppi esercizi vengono risolti sul modello senza preoccuparsi che questo descriva effettivamente la realtà (ad es., a pag. 335 un pesce si muove di moto uniformemente accelerato per un tempo indefinito, a pag. 150 un freno esercita una forza costante fino al completo arresto ecc.). Proprio perché non si può assumere un tono troppo formale, né angustiare gli studenti con questioni troppo filosofiche, devono essere il docente e il libro di testo a presentare la fisica in maniera da non dare adito a confusione. Il libro soffre invece di una impostazione volta a fornire una serie di formule pronte all’uso, con il risultato che è praticamente impossibile capire quando i risultati sono dedotti teoricamente e quando si assumono nuove ipotesi, per estendere il quadro teorico, in risposta a nuove evidenze sperimentali. Non si tratta di essere rigorosi nella derivazione matematica, ma di esserlo nella presentazione logica. Poche note di carattere storico-epistemologico, basterebbero a chiarire i punti nodali e presentare la fisica come scienza sperimentale invece che come descrizione fenomenologica. Questa soluzione salverebbe il taglio operativo del testo senza con questo passare idee sbagliate. Nella nostra società, è evidente la difficoltà di comunicazione che hanno gli scienziati a distinguersi dai ciarlatani. Uno dei motivi è che non viene percepito affatto il rigore metodologico: sembra che chiunque abbia il diritto di affermare qualsiasi cosa senza bisogno di supportarla con evidenze sperimentali o con spiegazioni teoriche. Nascono così concezioni pseudo-scientifiche che parlano dell’elettrosmog come la principale causa di tumori, dell’energia

nucleare, degli OGM, della mucca pazza, l’aviaria o il millenium bug come minacce di catastrofi

incombenti, senza alcuna attenzione ai dati sperimentali. Il fatto stesso che ogni canale televisivo si senta in dovere di proporre il suo oroscopo senza nemmeno verificare che il sole sia effettivamente nella posizione che dicono gli astrologi, è forse l’esempio più eclatante non solo della superstizione, ma anche della completa mancanza di rigore scientifico che pervadono la nostra società. I due capitoli analizzati presentano troppe inesattezze concettuali, che lasciano gli studenti con la sensazione di non possedere la materia.

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Nella descrizione cinematica, ogni decomposizione del moto in una rototraslazione è lecita, ma quando si passa alla dinamica (cosa che di fatto avviene quando si introduce la massa), interessano praticamente solo le rotazioni intorno al baricentro e quelle intorno al centro istantaneo di rotazione. Questo fatto deve portare ad evidenziare attentamente il ruolo del centro di rotazione. Nel testo viceversa questo aspetto viene in pratica ignorato, con risultati drammatici quando viene calcolata l’energia cinetica di un disco che rotola, senza menzionare se il centro di massa coincide con il baricentro geometrico del disco. La frase “il moto di rotolamento è una combinazione di due

moti: rotazione e traslazione. Ne segue che l’energia cinetica di un oggetto che rotola è la

somma dell’energia cinetica di traslazione, ½mv2, e dell’energia cinetica di rotazione, ½Iω

lascia viceversa intendere che la decomposizione

K=½ mv2 + ½ Iω2

valga per qualsiasi rototraslazione. Ammesso di dover accennare a questa decomposizione, la cosa più corretta sarebbe enunciare il teorema di König. In linea con la sottovalutazione del ruolo del centro di rotazione, la tabella a pagina 289 riporta i momenti d’inerzia di vari oggetti senza esplicitare il punto rispetto al quale sono calcolati, rendendo difficilissimo agli studenti cogliere il senso di quello che stanno facendo (non hanno i mezzi tecnici per calcolare i momenti d’inerzia in maniera autonoma). Ancora nel capitolo 10, la relazione tra accelerazione angolare ed accelerazione tangenziale è trattata in modo oscuro. Altri problemi si evidenziano negli esercizi: senza aver fatto nessuna menzione alle rotazioni in tre dimensioni, molti esercizi vertono sul rotolamento di sfere; colmo della sfortuna, alcuni si basano sulla conservazione dell’energia, senza considerare che la sfera può ruotare anche intorno all’asse verticale. Nonostante gli studenti di liceo non abbiano la nozione di vincolo integrabile, non è affatto impossibile che qualcuno noti il problema e che rimanga insoddisfatto della soluzione proposta. Il principio di conservazione dell’energia è esteso al moto rotazionale senza una parola sul fatto che il sistema non è isolato. Dopo una presa di posizione così netta, ci si aspetterebbe che la dinamica rotazionale, oggetto del capitolo 11, venisse derivata dalla conservazione dell’energia. Invece si riparte su base fenomenologica, ponendo l’attenzione sul momento torcente. Per il modello di pendolo ideale viene ricavata l’equazione del moto in termini delle variabili angolari, che viene generalizzata senza tanti complimenti. Alla generalizzazione, viene dato il nome di “seconda equazione di

Newton rotazionale”, rafforzando l’impressione che si tratti solo di una riformulazione di una legge già nota (nell’esperienza di tirocinio, questo fatto ha reso difficile agli studenti capire che la quantità di moto e il momento angolare sono indipendenti). Il parallelo tra la dinamica delle rotazioni e quella delle traslazioni potrebbe essere sviluppato meglio, anche per sottolineare la potenza dell’apparato matematico che le descrive. I paragrafi riguardanti la statica sono molto semplici e diretti. Fanno riferimento a situazioni familiari e chiariscono bene il concetto di momento torcente. Leggermente meno lacunoso che in precedenza, il riferimento al centro di rotazione. Sarebbe stato forse meglio fare la statica prima della dinamica. Dopo questa parentesi, si torna alla dinamica esaminando la conservazione della quantità di moto. Ancora una volta, la derivazione è piuttosto carente, e non riesce a mettere in luce la generalità di questa legge di conservazione. Nessuna menzione è fatta al legame tra leggi di conservazione e

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simmetrie. Il capitolo termina con un paragrafo sul lavoro (che dovrebbe essere spostato subito dopo l’introduzione del momento torcente) e uno sulla notazione vettoriale.

APPARATI DI VERIFICA Ogni capitolo termina con una gran varietà di esercizi, divisi per tipologia in “test di verifica delle competenze”, “Domande sui concetti”, “Problemi”. La quantità e varietà dei quesiti sono ottime, leggermente imprecisa la formulazione. Eccellenti per qualità le sezioni di verifica dei concetti, che evidenziano in maniera egregia alcuni punti nodali. Nelle altre sezioni, prevale l’attitudine al calcolo, a scapito di esercizi articolati. Questo taglio ha il vantaggio di offrire formule di immediata applicazione, ma limita molto l’autonomia di analisi appena le cose si fanno più complicate. Inoltre passa l’idea che lo studio di un fenomeno fisico debba coinvolgere poca matematica. Il difetto maggiore che riscontriamo negli esercizi è che in molti problemi si presentano situazioni in cui il modello non descrive bene la realtà. Lo studente applica la formuletta, trova il risultato, ma capisce benissimo che teoria e pratica non coincidono. Problemi di questo tipo andrebbero accuratamente evitati. L’uso delle cifre significative è un altro punto debole. L’esempio del problema 5 a pag. 320 è esplicativo di questa situazione: “Una persona mantiene il suo braccio disteso, […]. La lunghezza [del braccio] è 0,740 m. Trova

l’accelerazione angolare iniziale”. L’esercizio è risolto approssimando il braccio come una sbarra omogenea per calcolarne il momento d’inerzia. In tutti i passaggi, i risultati vengono dati con ben tre cifre significative. È

chiaro che errori di questo tipo hanno un impatto devastante per uno studente che sta ancora cercando di sistemare il concetto di errore sperimentale. In alcuni esercizi si passa dalle due alle tre dimensioni. Sarebbe opportuno farlo in una scheda o in un esercizio guidato. Particolarmente infelici gli esercizi sulle sfere che rotolano. La qualità complessiva risulta comunque buona, se si eccettuano queste cadute di livello. Il tema si presterebbe bene ad alcuni esercizi creativi, in cui lo studente può essere invitato ad inventare macchine semplici che facciano determinate cose. La tipologia principale di esercizi è invece il test a risposta chiusa, che soffoca molto la creatività degli studenti. Le soluzioni non sono date per tutti gli esercizi, scelta che riteniamo utile ed intelligente, come quella di posizionarle alla fine del libro e non di immediata consultazione tra parentesi alla fine della formulazione degli esercizi.

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IN SINTESI:

Teoria Approccio:

sperimentale: appena accennato, descrittivo definitorio: elevato storico: assente comunicativo: buono

Tipologia d’impostazione: descrittiva:sì interattiva: no molto formalismo matematico: no legame della fisica con la cultura: no legame della fisica con la vita comune: sì

Contenuti: storia della scienza ed epistemologia: poco o nulla sufficiente abbondante letture: poco o nulla sufficiente abbondante elementi di fisica quotidiana: poco o nulla sufficiente abbondante

richiami alla tecnologia: poco o nulla sufficiente abbondante cenni a problemi di interesse per la società: poco o nulla sufficiente abbondante nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione diretta:

poco o nulla sufficiente abbondante Ulteriori strumenti per lo studente nel testo base:

schede di carattere tecnologico: no schede legate alla vita quotidiana: sì schede di approfondimento matematico: no schede storiche interdisciplinari: no

Apparati di verifica Esercizi e problemi:

quantità: ottima Test a risposta multipla:

test per la verifica in itinere del processo di apprendimento: sì test per la verifica complessiva: sì

Il testo propone strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione?: si esercizi introdotti da sintesi teoriche: no esempi ed esercizi guidati: sì mappe concettuali: no tracce per la risoluzione di problemi complessi: sì

CONCLUSIONI Il Walker è un libro che fornisce una visione “semi-ingegneristica” della fisica, che porta l’attenzione sulla fenomenologia quotidiana. Forse potrebbe incrementare lo spazio dedicato a quella prettamente tecnologica. È di gradevole lettura e suscita, nei ragazzi, interesse nella materia (per la nostra esperienza di tirocinio). La carenza principale, a nostro parere, è relativa alla scarsa attenzione alle attività che potrebbero essere effettuate in laboratorio. L’attività di laboratorio è più coinvolgente per i ragazzi, perché

× ×

× ×

×

×

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devono progettare l’attività, costruire piccoli apparati, maneggiare fisicamente degli strumenti, raccogliere dati ed analizzarli con strumenti semplici (in molti casi office è più che sufficiente); devono trarre conclusioni, scrivere una piccola relazione in cui utilizzare il linguaggio appropriato. Un processo lungo e completo che va acquisito con l’esperienza e permette di rielaborare le conoscenze acquisite nelle lezioni teoriche e di calarle in una realtà molto differente (passare dalla progettazione di un esperimento alla sua realizzazione implica una serie di riflessioni relative alla scelta delle grandezze significative, delle approssimazioni da fare, delle difficoltà inerenti alla precisione, sensibilità, errore, rumore, ecc.). Ancora una volta, si rischia di passare un messaggio fuorviante sul metodo scientifico. Questo libro fa emergere una visione scolastica, statica, legata al sovrapporsi di nozioni e “regole”, legata più all’uso delle leggi piuttosto che ad una loro scoperta e interpretazione. Anche gli agganci con le applicazioni tecnologiche potrebbero essere sviluppati meglio. Questo tipo di collegamento è fondamentale per motivare allo studio, per sottolineare gli aspetti creativi dello sviluppo umano e per ragioni culturali. La scuola ha, secondo noi, la precisa responsabilità di offrire gli strumenti interpretativi per comprendere la realtà in mutamento, che sempre più coinvolge aspetti tecnologici. Anche dal punto di vista della politica educativa, un paese con nessuna risorsa naturale e poche risorse industriali è condannato se non punta ad un alto livello di istruzione scientifica volta a sviluppare innovazioni tecnologiche. APPENDICE: In appendice vogliamo riportare il risultato di un mini-test proposto ai ragazzi alla fine del tirocinio in classe, sul loro sul libro di testo. I risultati sembrano commisurati all’età dei ragazzi,

ma sono comunque indicativi e in linea con gli aspetti da noi analizzati. Pregi libro

Esempi/esercizi (15):

Esempi xxxx

Esercizi xxxxx xxxxx x

Chiarezza espositiva (6):

Chiaro xxx

Dettagliato xx

Preciso x

Schemi (1):

Schematizzazione x

Difetti libro

Nessuno (3):

Nessuno xxx

Esempi/esercizi (4):

Soluzioni accennate xx

Esempi assurdi x

Numeri non interi x

Teoria (11)

Teoria xx

Complica cose facili xxxx

Poco comprensibile xx

Difficile x

Noioso x

Notazione x

Approfondimenti (2):

Non approfondisce x

Mancano spunti storici x

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SSIS VIII cicloSpecializzando: Lavinia Nati

Titolo: FisicaAutore: WalkerCasa editrice: ZanichelliAnno di edizione: 2004Unità didattica: Relatività

● Carenze di argomenti disciplinari ritenuti irrinunciabili:

Si, sotto due punti di vista: - a livello di percorso didattico, ritengo inopportuno proporre lateoria della relatività in quarto scientifico, quando ancora non èstato trattato l'elettromagnetismo, perché non permette di collocarel'argomento né storicamente né scientificamente al posto giusto, nonpermette di spiegare l'introduzione della costante c, non permette digiustificare molti passaggi che vengono effettuati e non rendepossibile introdurre la teoria con argomenti adeguati.

- a livello di trattazione dell'argomento, ritengo una grave carenzanon introdurre in alcun modo le trasformazioni di Lorentz (nonvengono nemmeno citate), che a cascata provoca l'effetto diproporre argomenti come la dilatazione dei tempi e la contrazionedelle lunghezze senza gli adeguati strumenti, così come mi pare unagrave carenza non introdurre in alcun modo l'invariante relativisticods^2, rinunciando così a far ragionare gli studenti su concetti comela conservazione e l'invarianza.

● Teoria:

Approccio: Sperimentale, Definitorio

Tipologia d’impostazione: - descrittiva: si - interattiva: si, alla fine di ciascun paragrafo ci sono sempre delleverifiche dei concetti e/o degli esempi svolti- molto formalismo matematico: in questo caso addirittura invecedirei troppo poco (mentre risponderei di si per la stessa unitàdidattica trattata nell'Amaldi)

● Legame della fisica con la cultura:

direi si e no, nel senso che manca del tutto qualunque possibileriferimento agli aspetti storico-filosofici di cui è invece ricco questoargomento, come in fondo tanti altri della fisica. Quando mi sono

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ritrovata a dover effettuare le lezioni di tirocinio a scuola su questaunità didattica mi sono trovata in difficoltà rispetto a questo libro ditesto, e alla fine ho deciso di discostarmi dall'approccio iniziale cheha, e l'ho integrato nella mia prima lezione con riferimenti adAristotele, i quattro elementi e l'etere, e a Galileo, la rivoluzionescientifica e il nuovo concetto di scienziato e di fare scienza. Questoper riprendere le trasformazioni di Galileo e far capire come questesiano valide in gran parte della vita quotidiana, per poi correggerlecon le corrette trasformazioni di Lorentz, valide per ogni velocità. Manca in questo testo l'attenzione allo sviluppo della fisica neltempo, allo sviluppo del pensiero scientifico e alla suatrasformazione; mentre è abbondante il richiamo alla cultura intesacome sviluppo tecnologico e vita quotidiana.

● Legame della fisica con la vita comune:

direi di si, nel senso che, nonostante l'argomento in sé non siapplichi in generale alla vita quotidiana, in cui a tutti gli effetti valela meccanica classica, ci sono esempi e richiami a tutto ciò cheriguarda la relatività nella vita comune, come le centrali nucleari ela tomografia elettrone-positrone, o nell'universo, come il sole, lelenti gravitazionali, i buchi neri, le onde gravitazionali. Inoltre tali punti vengono evidenziati con delle frecce al lato deiparagrafi che ne facilitano l'individuazione attraverso il testo.

● Altro:manca completamente l'aspetto metodologico: le formule vengonodate senza fare il minimo sforzo per giustificarle, senza la minimacura nel far ragionare i ragazzi e far capire loro le connessioni,senza attenzione insomma all'aspetto deduttivo e soprattutto ancheintuitivo che, a mio giudizio, è fondamentale.

● Contenuti:- storia della scienza ed epistemologia: poco o nulla - letture: poco o nulla – elementi di fisica quotidiana:

questo aspetto direi che sia abbondante, anche andandoattraverso il testo negli altri capitoli. Questo è sicuramente moltopositivo, gli studenti sono molto attratti da questi aspetti concretilegati alle teorie che studiano.

– richiami alla tecnologia:anche questi sono abbondanti, io stessa sono stata contenta diincontrare nel testo la spiegazione, seppur sommaria, di comefunzionasse la PET, la tomografia elettrone-positrone usata inmedicina.

● Cenni a problemi d’interesse per la società (per esempio:energia, ambiente, ...):

qui forse risponderei sufficiente, almeno sempre per quantoconcerne questa unità didattica. Ad esempio, le centrali nucleari

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sono citate ma forse si sarebbe potuto dedicare più spazio a taleargomento.

● nel testo vengono proposte attività di osservazione e/osperimentazione diretta:poco o nulla, ma forse questo a causa dell'argomento specificoche non permette applicazioni dirette in laboratorio.

Ulteriori strumenti per lo studente nel testo base: • Schede di carattere tecnologico: direi di no, piuttosto gli

argomenti tecnologici vengono introdotti e spiegati all'interno deltesto, dopo l'esposizione dei contenuti.

• Schede legate alla vita quotidiana: si, molti esempi svolti oguidati fanno riferimento a fenomeni di vita quotidiana

• Schede di approfondimenti matematici: si• Schede storiche interdisciplinari: poche

APPARATI DI VERIFICA Esercizi e problemi:

• quantità : moltiTest a risposta multipla:

• test per la verifica in itinere del processo di apprendimento : si• test per la verifica sommativa: si

Il testo propone strumenti che agevolano l’acquisizione del metododi risoluzione?:• Esercizi introdotti da sintesi teoriche si• Esercizi guidati si• Mappe concettuali no• Tracce per la risoluzione di problemi complessi si

GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO

a) correttezza scientifica e livello di aggiornamento (con indicazione di eventuali imprecisioni)

Il livello di aggiornamento mi sembra alto: ad esempio nell'ultimaparte che concerne la relatività generale, dopo aver parlato delleonde gravitazionali, viene anche abbondantemente citatol'esperimento LIGO, l'interferometro per la ricerca delle ondegravitazionali. Anche se mi piacerebbe capire in base a cosa vienedeciso di citare o anche dare grande spazio ad un esperimentopiuttosto che un altro, visto che di esperimenti di questo tipo ce nesono tanti, e visto che l'immagine della scienza che prende formanell'immaginario degli studenti è strettamente legato alleinformazioni che passano attraverso questi libri di testo.

a1) c’è connessione tra i diversi argomenti trattati, evidenziandol’unità della fisica?

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Direi di no. E questa è una delle maggiori lacune di questo testo.

a2) c’è coerenza nella esposizione epistemologica?

La coerenza è piuttosto nella carenza un po' dappertutto di unesposizione epistemologica.

b) linguaggio usato sia dal punto di vista scientifico che letterario

Il linguaggio utilizzato è sicuramente aggiornato, non come tantilibri di testo dove si incontrano ancora parole vetuste e in disuso.Anche dal punto di vista scientifico non c'è quell'appesantimento chesi rileva in alcuni libri di testo, in cui la fisica sa di 'vecchio', e ilrichiamo continuo ad aspetti della vita comune e alla tecnologiaringiovanisce e aggiorna i contenuti.

c) gradevolezza e facilità di lettura

Il mio giudizio riguardo questo aspetto è piuttosto negativo: lalettura è tutt'altro che scorrevole, le frasi sono spesso criptiche e piùvolte trae delle conclusioni che non sono per nulla ovvie. Io stessa hotrovato delle difficoltà nel comprendere, in alcuni passaggi, il filo deldiscorso, il perché di alcune deduzioni. E ho avuto conferma diquesto quando, in classe, alcuni ragazzi sono venuti a chiedermichiarificazioni proprio su questi passaggi. E' come se non avesseroprestato particolare cura alla costruzione delle frasi, cosa invece, amio parere, fondamentale. Nonostante abbia di positivo l'abbondanza di figure con didascalieesplicative, una di queste che ho incontrato nella mia unità didattical'ho trovata quantomeno sviante: un fascio di luce nel sistema diriferimento in cui è fermo viene riflesso su uno specchio e tornaindietro; per necessità grafiche o forse di comprensione i due raggivengono disegnati non sovrapposti, e la figura che ne viene fuori èun triangolo, ma da nessuna parte viene spiegato che in realtà i duefasci di luce dovrebbero essere sovrapposti, ingannando così illettore medio, perché poi da tale figura viene dedotta una formula incui, giustamente, non compaiono angoli (che sembrerebbero inveceformarsi dal disegno). La struttura e l'impaginazione, invece, facilitano la comprensione,permettendo di percorrere il testo attraverso una lettura guidata,con figure supportate da didascalie non scarne, in modo da quasicostringere lo studente a guardarle e capirle, quando invece spessol'alunno tende a non guardarle o saltarle. Gli esempi svolti sonoevidenziati da uno sfondo colorato e la soluzione è spiegatadettagliatamente, esplicitando i vari passaggi. Inoltre alcuni esempisono guidati passo passo, c'è un primo momento di descrizionedell'esercizio, poi una parte in cui si definisce la strategia che sivuole seguire, e infine la soluzione, in modo che lo studente può

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provare a svolgerlo scegliendo quanto 'sbirciare' e quanto, invece,provare a risolverlo da solo. Alla fine di molti paragrafi c'è poi una parte di 'verifica dei concetti',in cui si applica la teoria esposta ad un esempio concreto e si discutecosa succede in termini di quanto appena studiato, il che permette dicapire subito se si è compresa la teoria; inoltre, la prontaapplicazione e discussione di un problema concreto tende a farfissare meglio i concetti analizzati.

d) capacità di suscitare l’interesse dei ragazzi, motivandoli allostudio?

Ritengo che la ricchezza di immagini e riferimenti al quotidiano ealla tecnologia sia molto accattivante per gli studenti, così come gliesempi guidati e gli esercizi svolti facilitino la comprensione.Tuttavia ho trovato spesso poco chiara e poco curata l'esposizionedei contenuti in sé, così come ho trovato poco curata e spessoassente l'attenzione all'inquadramento storico degli argomentiintrodotti, che invece ritengo interessante ed esplicativa di come sisia evoluta e si evolva la fisica e la scienza nel tempo.

e) quale immagine della scienza e della tecnologia, e in particolaredella fisica, i contenuti del testo propongono ai ragazzi?

L'immagine della scienza e della tecnologia che passa attraversoquesto libro è positiva, nel senso che da nessuna parte si respira inqueste pagine quell'aria vetusta che in alcuni testi permea lediscipline scientifiche, e soprattutto la fisica. Questo libro è invecericco di immagini, foto e spiegazioni di fenomeni del quotidiano e diapplicazioni tecnologiche. E questo è sicuramente il punto di forza diquesto testo, visto che gli studenti di oggi vengono bombardati dastimoli esterni, la cui componente principale è proprio tecnologica. Inoltre il livello di aggiornamento e gli esempi tratti dal quotidianorendono molto gradevole il testo. Tuttavia ritengo che ci siano gravi carenze riguardanti altri aspettialtrettanto fondamentali, come l'attenzione alla continuità dellafisica, al non ridurre la fisica ad una disciplina studiata a capitoli, asettori, a comparti stagni. L'approccio sperimentale, il metodoscientifico, ovvero il modo di 'fare fisica' non mi pare esca fuori daqueste pagine, che è invece il legante di tutti gli aspetti trattati e checrea la continuità e l'unità della fisica. Inoltre, inquadrarel'argomento trattato nel giusto contesto storico e sociale arricchisceil contenuto, rendendolo più umano e meno distaccato dalla realtà,oltre a suscitare magari un interesse maggiore in chi legge.

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PROGETTO DI UNITÀ DIDATTICA

Silvia Ventura Tommaso Stasi

Argomento: Il bilancio termico della casa Destinatari: studenti di IV liceo scientifico Prerequisiti:

Temperatura e sua misura. Quantità di calore, calore specifico. Fenomeni di propagazione del calore: irraggiamento, conduzione e convezione.

Obiettivi:

L'unità didattica tratterà dei fenomeni fisici che regolano gli scambi di calore di un edificio con l'ambiente esterno. L'obiettivo strettamente disciplinare è quello di consolidare la conoscenza dei fenomeni di conduzione, irraggiamento e convezione illustrando la loro applicazione in un problema concreto quale il bilancio termico di una abitazione. Un obiettivo trasversale è quello di sensibilizzare gli studenti riguardo il problema delle risorse energetiche e del loro ottimale sfruttamento. Infatti è desiderabile che una casa sia fresca d'estate e calda d'inverno. Attualmente, nella maggior parte dei casi, ciò si realizza consumando notevoli quantità di energia sia in estate, con climatizzatori, sia in inverno, con impianti di riscaldamento; è però possibile ridurre tale consumo grazie ad una accorta progettazione delle abitazioni. Mostreremo dunque come alcune “semplici” considerazioni sulla fisica di tali fenomeni permettano di indirizzare le scelte costruttive.

SCHEMA DELL'UNITA' DIDATTICA Prima lezione (2 ore): Richiameremo brevemente i concetti chiave contenuti nei prerequisiti, facendo riferimenti a situazioni pratiche che si possano analizzare in breve tempo e che assicurino la comprensione degli argomenti. Alcuni esempi potrebbero essere:

i diversi tempi che impiega un cubetto di ghiaccio per sciogliersi quando è posto a contatto con materiali diversi. Questo esempio permette di capire il concetto di conducibilità termica ed ha il vantaggio di poter essere sperimentato in aula.

l'analisi del fenomeno “riscaldamento dell'acqua in una pentola”, che può essere usata per richiamare i concetti di conduzione (il materiale e la forma della pentola influenzano il processo) e di convezione (spostamenti di masse di acqua nella pentola);

il riscaldamento di un oggetto esposto alla luce diretta del Sole, che è un esempio di irraggiamento che risulta essere molto familiare;

Seconda lezione (2 ore): Una volta specificato come i fenomeni di propagazione del calore intervengano nel nostro modello di abitazione, la prima ora sarà dedicata ad un excursus di esempi per mostrare agli studenti principi di progettazione bioclimatica usati nel passato, dalle caverne alle torri iraniane. Tale excursus ha il fine di sensibilizzare i ragazzi sullo spreco delle risorse energetiche. Nella seconda ora verranno introdotte le caratteristiche del modello “casa” in relazione al bilancio termico con l'esterno. In particolare saranno specificati i parametri rilevanti relativi all'edificio e ai fattori esterni che

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contribuiscono al suo bilancio termico. Terza lezione (2 ore): Ci occuperemo di sistemi solari, ovvero di una serie di tecnologie atte a sfruttare l’energia irradiata dal Sole passivamente ed attivamente. Ci soffermeremo in particolare su stime della quantità di energia solare che raggiunge la Terra e di quanta di essa possa essere sfruttata in ambito domestico. Un obiettivo trasversale è quello di rendere coscienti gli studenti del fatto che anche le scelte operate da individui o da singole famiglie influiscano sul bilancio energetico mondiale.

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Prima lezione: richiami di calorimetria e propagazione del calore

Dopo aver richiamato brevemente i concetti fondamentali della calorimetria (temperatura, calore e relative dimensioni fisiche e unità di misura), ci addentriamo nell'analisi di alcuni fenomeni fisici che useremo per ripassare i meccanismi di propagazione del calore.

CONDUZIONE:

Il primo esempio, scelto per illustrare il fenomeno della conduzione del calore, sarà sperimentato in classe e riguarderà lo scioglimento di cubetti di ghiaccio “identici” appoggiati su materiali a diversa conducibilità termica; di seguito riportiamo uno schema per la realizzazione in classe dell’esperimento.

Materiale

1 tavoletta di legno

1 piastra di alluminio

Cubetti di ghiaccio aventi stessa massa e forma.

1 cronometro.

Esecuzione

Si posizionano contemporaneamente i cubetti di ghiaccio sulle rispettive superfici e si fa partire il cronometro. La misura del tempo di fusione è affetta da un'incertezza molto elevata in quanto è difficile stabilire in quale istante la fusione venga completata; tuttavia ci aspettiamo che i tempi misurati siano abbastanza diversi tra loro da poter comunque rendere significative le differenze.

Analisi del fenomeno

Il metallo, ottimo conduttore termico, riesce a prelevare calore dall’ambiente circostante (aria e piano d’appoggio) attraverso la propria superficie; è come se il cubetto scambiasse calore attraverso una superficie pari a quella della piastra. Al contrario, il legno, che ha bassa conducibilità termica, isola dal piano d'appoggio il cubetto, il quale scambierà calore solo con l'aria. Ci aspettiamo quindi che la fusione sia immediatamente osservabile sui metalli e più lenta sul legno. Durante il processo di fusione sul metallo, quindi, l’assorbimento di calore dall’aria circostante da parte del ghiaccio risulta trascurabile, mentre, nel caso del legno, costituisce il principale contributo allo scambio di calore. Dopo una prima fase in cui lo scioglimento ha un andamento circa lineare, si crea uno strato di acqua che isola il cubetto dalla superficie metallica per cui ci aspettiamo un rallentamento del processo di fusione, essendo l'acqua un conduttore peggiore del metallo (infatti le conducibilità termiche dei materiali in gioco sono: Alluminio 237 W/ m °K, Acqua 0,6 W/ m °K, Legno 0,1-0,2 W/ m°K , a seconda del tipo di legno). Per verificare che la presenza dello strato di acqua contribuisce ad aumentare il tempo di scioglimento del cubetto sul metallo, possiamo ripetere l’esperimento con la sola piastra di alluminio inclinata in modo da far fluire via l’acqua, e vedremo che il cubetto impiegherà minor tempo per sciogliersi. Lo scioglimento sarà comunque più rapido rispetto al caso della piastra di legno anche in presenza dello strato di acqua. Quello che ci aspettiamo è che il cubetto sulla piastra di alluminio si scioglierà in un tempo dell'ordine di pochi minuti, mentre il cubetto sul legno impiegherà un tempo dell'ordine di qualche decina di minuti. Tali tempi dipendono dalla temperatura esterna, dalla forma e dal volume delle piastre di metallo (quelle del legno contano poco in quanto isolante), e dalle dimensioni del cubetto di ghiaccio.

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La seconda parte della lezione sarà utilizzata per spiegare i fenomeni della convezione e dell'irraggiamento.

CONVEZIONE:

Per illustrare agli studenti il fenomeno della convezione faremo riferimento al processo di riscaldamento dell'acqua in una pentola posta su un fornello acceso. L'acqua direttamente a contatto con la superficie della pentola si scalda per conduzione; se questo fosse l'unico meccanismo di propagazione del calore l'acqua lontana dalle pareti si scalderebbe molto lentamente. Il fatto che ciò non accada è la prova dell'esistenza di un altro meccanismo, la convezione. Si ha convezione quando un fluido entra in contatto con un corpo la cui temperatura è diversa, ad esempio più caldo. Aumentando di temperatura, il fluido si espande e diminuisce di densità e tende a muoversi verso l’alto, generando moti interni circolari in cui il fluido caldo sale verso l'alto e quello freddo scende verso il basso. Tali moti sono detti convettivi.

Se al posto dell'acqua immaginiamo di voler cuocere della crema pasticciera non potremo contare sulla convezione per ottenere una temperatura uniforme, in quanto la viscosità della crema ostacola i moti convettivi, saremo quindi costretti a “dare una mano” mescolando continuamente la crema.

Questo esempio può essere utile anche per mostrare le proprietà termiche dei materiali e di come questi siano scelti per costruire padelle e pentole. Infatti alcune pentole, pur essendo di acciaio, hanno nel fondo uno strato in rame. Questa particolare struttura permette di sfruttare le proprietà di conduzione del rame, che si occupa di distribuire il calore su tutto il fondo e non solo nella zona vicina alla fiamma, mentre l'acciaio, molto più economico del rame, ha anche un calore specifico superiore a quello del rame (5 kJ/kg contro 4kJ/Kg), per cui è più indicato per fornire massa termica. Ovviamente ciò non rappresenta un vantaggio significativo nel caso di una pentola colma d'acqua, ma è importante nel caso il cibo cuocia per contatto diretto con la pentola.

IRRAGGIAMENTO:

Il calore può passare da un corpo a temperatura più elevata ad un corpo a temperatura più bassa anche senza l'intervento di mezzi materiali che lo conducano o lo trasportino con moto convettivo. Che esista un terzo meccanismo di trasmissione del calore è evidente in quanto è esperienza comune che un corpo si può scaldare tramite la sola esposizione ai raggi solari. Questo metodo di trasmissione, detto irraggiamento, avviene cioè mediante radiazioni emesse da una sorgente calda.

Faremo riferimento al bilancio energetico del corpo umano a temperatura ambiente.

Una stima della quantità di calore rilasciata da un corpo (approssimato con un corpo nero) attraverso una superficie A per unità di tempo è data dalla legge di Stefan-Boltzmann:

∆Q / ∆t = A × e × σ ×T 4

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Dove e è il coefficiente di emissione della superficie e σ è la costante di Boltzmann

σ = 5.67x10-8 W/(m2K4).

Nell'ipotesi di corpo nero, il coefficiente di emissione è assunto pari a 1, dunque secondo tale legge il flusso di radiazione emesso da un uomo di superficie A=1.5 m2, alla temperatura di 37 °C (310°K) è circa 750 W (cediamo calore anche attraverso gli altri meccanismi che regolano gli scambi termici, per conduzione tra la cute e i vestiti e per convezione). Dall’ambiente circostante alla temperatura di 20 °C (293°K), la cute riceve un flusso di radiazioni pari a 650 W; Anche assumendo che esso venga assorbito per intero (cioè ponendo uguale a 1 il coefficiente di assorbimento dell'uomo), il calore che riceviamo per radiazione è minore di quello che noi stessi cediamo all’ambiente in quanto corpi radianti. Di conseguenza devono essere forniti (750–650)=100 W che in 24 ore corrispondono a circa 8500 kJ. Questo deficit energetico è colmato dall’energia immagazzinata attraverso il cibo. Bisogna far notare agli studenti come questo calcolo non tenga conto di fattori anche abbastanza importanti come il calore ceduto per evaporazione del sudore e la possibilità di isolare il corpo tramite abbigliamento.

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SECONDA LEZIONE: modello-casa

In questa lezione vogliamo illustrare i meccanismi di propagazione del calore in relazione al bilancio termico di una abitazione. Ci sembra utile riportare gli argomenti precedentemente introdotti tramite lezioni teoriche ed esperimenti a un caso concreto in modo che ogni allievo possa rendersi conto di come la fisica faccia parte della sua vita di tutti i giorni.

Per prima cosa occorrerà far riflettere gli studenti sul fatto che i tre meccanismi di trasmissione del calore entrano in gioco nel bilancio termico di una abitazione. In particolare:

Nella conduzione rientra tutto quello che è passaggio di calore attraverso l’involucro dell’edificio, muri, tetto, pavimento e finestre, quando è mantenuto chiuso;

Nella convezione rientra tutto quello che è ventilazione degli ambienti; inoltre essa rappresenta il principale meccanismo coinvolto nei sistemi di riscaldamento convenzionali (termosifoni, ventilconvettori)

Nell’irraggiamento rientrano i contributi della radiazione solare o degli occupanti di un edificio al riscaldamento dell’edificio stesso; inoltre è il sistema adoperato nei sistemi di riscaldamento moderni (pannelli e pavimenti radianti)

Verranno elencati alcuni esempi di tecniche costruttive per mostrare come da sempre l’uomo abbia cercato di tener conto dei meccanismi di propagazione del calore per la progettazione e la costruzione di edifici e di come si fossero sviluppate tecniche “intelligenti” i cui principi possono essere tuttora applicati. Riteniamo questo excursus molto utile infatti esso ha lo scopo di mostrare agli studenti come non sia necessario l’uso continuo di condizionatori d’aria per mantenere il fresco o impianti di riscaldamento perennemente in funzione per mantenere il caldo. Al contrario, le condizioni di comfort possono essere raggiunte adottando vari accorgimenti e sistemi che da una parte minimizzino il consumo e le dispersioni degli edifici, riducendone il fabbisogno energetico, e dall’altra ottimizzino le potenzialità dei materiali di costruzione e dell’ambiente nel quale sorge l’edificio. Questo approccio, che oggi viene chiamato “progettazione bioclimatica”, era già presente nell’antichità ed è andato perduto con il diffondersi dell’uso delle fonti energetiche non rinnovabili.

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Gli insediamenti primitivi sfruttavano la conformazione del territorio (in figura un esempio in cui le abitazioni vengono protette dalle radiazioni dirette nelle ore più calde) con lo scopo di raggiungere lo stato di “confort” termico. In particolare si sono diffusi due modelli di abitazione.

Il primo modello, il cui archetipo è la caverna, è caratterizzato da masse murarie di grosso spessore che conferiscono all'edificio un'elevata inerzia termica, proteggendo l'interno dagli sbalzi termici stagionali;

Un dammuso dell’isola di Pantelleria, dove l’esigenza principale è evitare l’eccessivo riscaldamento, è costruito pareti molto spesse; che conferiscono inerzia termica all’abitazione: di giorno assorbe il calore ricevuto attraverso l’irradiazione solare e di notte lo rende disponibile all’interno dell’edificio, livellando le escursioni di temperatura. Il tetto viene realizzato con volte in pietra, coperto da uno strato di terra, che serve per livellare le superfici, dove si stende un impasto di calce e tufo. Tutto ciò serve a renderlo impermeabile, ma permette all'umidità interna al dammuso di traspirare. In tutto si ha uno spessore di circa 40 cm e contribuisce

insieme ai muri a valorizzare al massimo l'isolamento termico. I trulli della Puglia sfruttano lo stesso principio per quanto riguarda le pareti, mentre il tetto è più sottile, per cui adottano un ulteriore accorgimento, ovvero un foro in cima al cono per consentire la fuoriuscita dell’aria calda.

Il secondo modello, che può essere detto il modello della capanna, cerca di sfruttare le masse d'aria per asportare il calore in eccesso e/o rinfrescare gli ambienti per evaporazione.

Il tepee (la classica tenda degli indiani d'America delle grandi pianure) ha due falde riportate, che restano sporgenti in alto e possono essere tenute aperte, per l'uscita del fumo e per l'aerazione o chiuse, spostando i due pali ai quali sono appese, per riparare dalla pioggia e dal freddo. I pali possono essere spostati anche per posizionare l'apertura sottovento, in modo tale da favorire la fuoriuscita del fumo. In inverno, attorno alla tenda si colloca una barriera circolare fatta di sterpaglia, per protezione contro i venti freddi. D'estate, le pelli sono sollevate nella parte inferiore, per ventilare lo spazio interno.

La ventilazione “naturale” è stata sfruttata in modi anche sofisticati. L'esempio più

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paradigmatico è rappresentato da un'architettura del mondo animale: il termitaio, una complessa costruzione in sabbia, lavorata dalle termiti operaie, all'interno del quale la temperatura è pressoché costante per tutto l'anno, grazie al metabolismo delle termiti e ad una rete di condotti di ventilazione, che sono aperti o chiusi per regolare i flussi d'aria. La cresta, la parte più esposta all'irraggiamento solare, è massiva e priva d'abitacoli, in modo tale da attenuare le oscillazioni termiche interne. Essa è attraversata, inoltre, da un condotto in grado di favorire la fuoriuscita dell'aria viziata

Le torri del vento iraniane sono elementi autonomi integrati nell'edificio con la funzione di generare un movimento d'aria al loro interno e costituiscono una indicazione efficace per il raffreddamento degli edifici in climi caldi aridi. Nel suo funzionamento notturno la torre si raffredda poiché la sua massa muraria cede calore all'aria (in essa contenuta) che si riscalda. Si genera quindi, un moto ascensionale dell'aria che, richiamata da aperture

poste alla base dell'edificio, favorisce il raffreddamento dell'edificio e soprattutto della torre stessa che funge da accumulo di freddo. Di giorno, l'aria calda esterna, venendo a contatto con la massa muraria della torre, si raffredda ed aumentando di conseguenza la sua densità, scende verso il basso, entrando nell'edificio e provocandone il raffreddamento.

Un altro esempio è costituito dalle ville di Costozza in Veneto, costruite a partire del 1550, in cui un interessantissimo sistema di raffrescamento sfrutta l'aria fredda proveniente da grandi cavità sotterranei ("covoli") situate all'interno delle colline in cui sorgono le ville.

Dopo la scoperta dell'energia elettrica, tutti questi principi sono andati perduti. Oggi sono i problemi legati soprattutto all'inquinamento ambientale quelli che ci costringono a ripensare il modo in cui usiamo le risorse energetiche. Basti pensare che la quota di emissioni di Co2 della Unione Europea legata al settore edilizio è di circa il 20% (dato del 2002); percentuale maggiore di quella dell'intero settore industriale.

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MODELLO CASA

Descriviamo tramite modelli semplificati gli scambi di calore tra la casa e l’esterno.

Considerando la casa come un cubo cavo chiuso, l’unico meccanismo per gli scambi di calore è la conduzione attraverso le pareti. In quest’ottica saranno importanti solo i materiali, la struttura (spessore, presenza di camere d’aria) delle pareti. Data una parete di un certo spessore, d, sia TA la temperatura esterna e TB quella interna, il flusso di calore che attraversa verso l’esterno l’unità di superficie nell’unità di tempo è dato da:

F = H(TA - TB)

dove H è un parametro caratteristico della parete detto conduttanza. Questa legge, che va sotto il nome di legge di Fourier, afferma che la quantità di calore che attraversa in un secondo l’unità di superficie è direttamente proporzionale (la conduttanza è la costante di proporzionalità) al gradiente di temperatura prima e dopo la superficie di scambio e che il calore fluisce dalla zona a temperatura maggiore a quella a temperatura minore.

Se la parete è costituita da diversi strati, ognuno con la sua conduttanza, la conduttanza totale sarà data da:

Htot = (H1-1 + H2

-1 + ... + Hn-1) -1

Gli studenti, esercitandosi con questa formula, potranno comprendere come la presenza anche di un solo strato isolante renda l’intera parete un isolante.

Naturalmente una casa avrà un certo numero di finestre e porte, e anche queste contribuiscono alla dispersione di calore per conduzione. Infine bisogna considerare separatamente il tetto in quanto non è assimilabile alle pareti laterali.

MURI

Per quanto riguarda i muri, il modello mostrato in figura rappresenta una buona scelta per la struttura di una parete esterna. Infatti lo strato di cemento è necessario per la stabilità dell’edificio, specie se costruito su più piani, lo strato isolante, che può essere una semplice camera d’aria oppure costituito da materiali a bassissima conducibilità termica, ha un’ovvia funzione, infine lo strato in mattoni, più spesso, fornisce inerzia termica alla struttura

FINESTRE

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Ai fini della stima del bilancio termico, una finestra chiusa (approssimata con una lastra di vetro saldata al muro) differisce da una parete per due motivi: il primo è che il vetro comune ha una conducibilità termica diversa, il secondo è che non è completamente opaco alle radiazioni elettromagnetiche.

La conducibilità termica del vetro è pari a circa 0.35 W/m °K, molto maggiore di quella di un muro “ben costruito”.

Sebbene gli studenti non abbiano ancora studiato la fisica delle onde elettromagnetiche, sarà possibile introdurre almeno a livello superficiale il concetto di onda elettromagnetica come portatrice di energia dotata di una certa lunghezza d’onda facendo perno sul fatto che lo stesso linguaggio comune preveda l’utilizzo di termini come raggi ultravioletti, infrarosso, microonde e onde radio. Una volta consolidata l’idea della “parentela” tra tutte le onde elettromagnetiche, gli studenti saranno in grado di accettare il fatto che il vetro sia trasparente al visibile e all’ultravioletto mentre è opaco per l’infrarosso; questo comportamento è responsabile del cosiddetto “effetto serra”: la radiazione emessa dagli oggetti interni alla casa, alla temperatura di circa 300 °K, è tutta infrarossa e quindi viene intrappolata all’interno. Di conseguenza il flusso di radiazione entrante è sempre maggiore di quello uscente.

Una soluzione che tiene conto di entrambi i fattori è la cosiddetta vetrata isolante (doppio vetro o anche triplo). Esso è costituito da due strati di vetro separati da una intercapedine di gas (inizialmente aria disidratata, attualmente gas come l’Argon, il Kripton, lo Xenon e l’Esafluoruro di zolfo) che, avendo una conducibilità molto inferiore a quella del vetro, aumenta la resistenza termica complessiva, abbassando in modo consistente la trasmittanza globale, praticamente dimezzandola. L’entità della radiazione trasmessa può essere modificata trattando il vetro in modo da creare un deposito

molecolare di ossidi e metalli particolarmente selettivi in grado, cioè, di riflettere la radiazione puramente termica. In questo modo si hanno i cosiddetti vetri bassoemissivi.

PORTE

La superficie coperta dalle porte è generalmente inferiore a quella coperta dalle finestre per cui il contributo delle porte alla dispersione risulta inferiore; tuttavia gli accorgimenti adottati per le finestre possono trasferirsi alle porte a vetri mentre per quelle opache si possono inserire materiali isolanti come per i muri.

TETTO

Il tetto è uno dei punti più delicati della casa, perché il calore tende a salire e, quindi, se non incontra sufficiente resistenza, si perde all'esterno. Da un buon isolamento termico della copertura dipende gran parte dell'equilibrio termico di tutto l'edificio. Anche in questo caso l’isolamento può essere ottenuto tramite strati di appositi materiali.

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TERZA LEZIONE: SISTEMI SOLARI PASSIVI E ATTIVI

In questa lezione vogliamo illustrare come l’adozione di opportuni accorgimenti e sistemi tecnologicamente innovativi consentano di realizzare le condizioni di comfort interne utilizzando anche apporti energetici gratuiti come la radiazione solare. Quest’approccio richiede una conoscenza più approfondita delle condizioni climatiche del luogo ove sarà costruito l’edificio. In primo luogo è molto importante che l’edificio abbia una buona esposizione ai raggi solari. Ad esempio una finestra orientata a Sud, fornita d’aggetto, lascia libero transito, come evidenziato in figura, alle radiazioni solari (maggiormente inclinate) durante la stagione invernale, mentre scherma le stesse (meno inclinate) durante la stagione estiva.

I sistemi solari passivi sono impiegati per raggiungere due principali obiettivi:

riscaldamento solare passivo, soprattutto nei climi freddi, attraverso l'accumulo, la distribuzione e la conservazione dell'energia termica solare. Al fine di raggiungere questo scopo, le principali tecniche passive prevedono l'impiego di muri termoaccumulatori, di un ottimo isolamento, di masse notevoli per realizzare accumuli termici, di sistemi di preriscaldamento dell'aria, utilizzo di superfici vetrate esposte a Sud, di vere e proprie serre addossate all'edificio etc.

raffrescamento naturale, grazie alla ventilazione naturale, alla schermatura e all'espulsione del calore indesiderato verso l’esterno. Le principali tecniche impiegate in questo caso prevedono l'utilizzo di condotte d'aria interrate, di camini solari, di una buona massa termica, della ventilazione indotta, di protezioni dall'irraggiamento diretto e di sistemi per la deumidificazione o per l'evaporazione dell'acqua.

I sistemi solari passivi sono classificabili in due fondamentali categorie:

Nei sistemi di guadagno diretto, il raggio solare entra direttamente nell’ambiente da climatizzare attraverso opportune superfici vetrate.

Nei sistemi di guadagno indiretto vi è invece un elemento, un componente edilizio particolare, uno specifico ambiente, interposto tra lo spazio abitato e la fonte solare

Due esempi di sistemi a guadagno indiretto sono rappresentati dal muro termico e dal muro di Trombe. Abbiamo esposto nella precedente lezione i singoli principi fisici su cui si basano; qui vogliamo mostrare come una combinazione degli stessi accorgimenti nell’attuale contesto tecnologico possano rappresentare una valida alternativa ai sistemi a bruta forza elettrica.

Nel muro termico l'accumulo è determinato da una parete di consistente massa termica esposta a Sud e protetta da una superficie vetrata per ridurre le dispersioni termiche. Il calore assorbito dalla parete viene trasmesso attraverso la parete per conduzione e ceduto all’interno con un certo ritardo (per convezione ed irraggiamento).

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Il muro Trombe si differenzia per la presenza di aperture poste in alto ed in basso sulla parete. Quando il Sole riscalda il volume d'aria tra muro e vetro il calore accumulato è ceduto gradualmente all'ambiente interno attraverso i moti convettivi dell'aria riscaldata. L'aria calda leggera entra dalla bocchetta superiore e l'aria interna più fredda viene richiamata dalla bocchetta inferiore nell'intercapedine tra muro e vetro. D'estate può essere schermato o aperto per ventilare l’intercapedine con aria esterna al fine di evitare surriscaldamento.

Nei cosiddetti sistemi “ad incremento isolato” la superficie di captazione è separata dall'accumulo termico, il trasferimento del calore avviene in buona misura per convezione naturale come nel sistema Barra-Costantini illustrato nella figura accanto. L'aria riscaldata dal collettore viene convogliata in condotti posti nel soffitto che riscaldano la struttura. Si viene, quindi, a determinare una termocircolazione naturale (loop convettivo)

con conseguente trasferimento del calore dalla captazione (collettore) all’accumulo (soffitto) e all’ambiente interno.

Infine la serra è un collettore solare che combina guadagno diretto ed indiretto. In inverno l'energia solare penetra all'interno della serra e viene accumulata dalle masse termiche presenti (parete di fondo, pavimento e aria). Il calore così catturato può essere trasferito mediante un sistema di ventilazione anche ad altri dispositivi d'accumulo, come vespai di pietra arida posti sotto il piano di calpestio a piano terra o solai.

In estate, anche in assenza di vento, il "camino solare" (ovvero un’apertura posta nella parte più alta dell’edificio, secondo il modello illustrato nella precedente lezione) consente di creare un flusso continuo di aria che consente un raffrescamento naturale dell'edificio. L'aria surriscaldata della serra esce per le aperture nella parte alta e richiama aria fredda da una finestra della parete Nord. Anche in questo sistema, a maggior ragione, conviene prevedere anche sistemi di schermatura della serra durante i mesi estivi.

SISTEMI SOLARI ATTIVI:

Ogni momento il Sole irradia su una sfera del raggio dell'orbita terrestre oltre 1000 W/m2. Infatti la potenza irradiata dal Sole, secondo la legge di Stefan-Boltzmann, è data da:

Ps = x Ss x Ts4

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dove = 5,67 x 10-8 W/m2°K4, Ss = 4Rs2, Rs = 6.96 x 108m, Ts = 5750 °K. Ne segue che il

flusso di energia attraverso un metro quadro posto alla distanza d = 1,5 x 1011m, è pari a

F = Ps / 4d2 ≈ 1360 W/m2

Per stimare la potenza della radiazione a cui è esposta la Terra, si può considerare una “superficie equivalente” Seq pari a quella di un cerchio di raggio pari al raggio terrestre (RT= 6,35 x 106 m) disposto ortogonalmente alla radiazione:

PT = F x Seq = F x x RT2 = 1,73 x 1017 W

(un GW è l'energia prodotta a pieno regime da una grande centrale elettrica a gasolio o nucleare che sia). La quantità di energia solare che arriva sul suolo terrestre, anche rivedendo la stima al ribasso per via del filtro atmosferico, è quindi enorme, di gran lunga superiore a tutta l'energia usata dall'umanità nel suo complesso. Tale energia solare può essere almeno in parte utilizzata per generare elettricità (fotovoltaico) oppure per generare calore (solare termico). In questa lezione tratteremo solo i pannelli solari termici.

I pannelli solari termici consentono di trasformare l'energia luminosa dei raggi solari in energia termica. Il principio di funzionamento di un pannello solare termico è piuttosto semplice. Il pannello vero e proprio è costituito da una piastra nera, per massimizzare l'assorbimento dell'energia solare, a cui sono fissati o integrati alcuni tubi che contengono un fluido che trasporta il calore dalla piastra

verso un accumulatore di acqua calda. La piastra è racchiusa da un vetro dalla duplice funzione di racchiudere l’aria calda all’interno del collettore e di intrappolare la radiazione infrarossa emessa dalla piastra. Dunque si sfrutta il fenomeno dell’effetto serra già spiegato nella precedente lezione. Come per le finestre anche il vetro del pannello può essere trattato con una pellicola bassoemissiva. Le altre pareti del pannello sono chiuse da materiali termoisolanti. Il calore viene trasmesso dal tubo all'acqua contenuta nell'accumulatore tramite una serpentina.

Un’interessante esercitazione da proporre agli studenti potrebbe essere una stima della

quantità di calore accumulabile da un pannello solare. Il flusso di energia irradiata dal Sole sulla superficie della Terra è stimato in F=1000 W/m2. Consideriamo un pannello solare di area S=1m2 e indichiamo con R il suo rendimento “efficace”, nel senso che R tiene conto del rendimento intrinseco del pannello e della variazione dell’angolo di incidenza della radiazione sul pannello nell’arco della giornata;

alle nostre latitudini una stima del valore di R potrebbe essere di circa il 20% in una giornata d’estate. Il pannello è collegato ad un serbatoio contenente 50 litri d’acqua

inizialmente a temperatura ambiente (293 °K). Supponendo il serbatoio termicamente isolato, calcolare la temperatura finale Tf raggiunta alla fine di un dì di t=14 ore.

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L’energia assorbita dal pannello sarà:

E= F x R x S x t T = E / (c x M)

Dove c è il calore specifico dell’acqua e M e la massa di acqua scaldata.

c= 4,186 x 103J/kg °K M= 50 kg t= (60 x 60 x 14) s= 50400 s

Dunque

E= (1000 x 0,2 x 1 x 50400) J = 1,01 x 107 J da cui

T=(1.01/(4,186 x 50) x 107/103) °K ≈ 48°K Tf=(293+48)°K =341°K

Che in gradi centigradi corrisponde a una temperatura finale di circa 70°C. Come esercizio gli studenti possono ripetere il calcolo per una giornata invernale in cui diminuisce il tempo di esposizione, la temperatura iniziale e il rendimento “efficace” del pannello.

A questo punto della lezione sarà possibile discutere circa l’utilità dei pannelli solari termici: in inverno la temperatura raggiunta dall’acqua non è sufficiente per gli usi sanitari e nemmeno per un impianto di riscaldamento tradizionale; infatti esso prevede dei diffusori ad alta temperatura che scaldino per convezione gli ambienti abitativi; tale temperatura (circa 60°C) è lontana da quella raggiungibile con un impianto solare domestico (35-40°C), tuttavia quest’ultima è comunque maggiore della temperatura confortevole per un ambiente abitato (18-22°C), si tratta solo di adoperare diffusori con superficie molto maggiore: gli impianti di riscaldamento a pavimento (pavimenti radianti) costituiscono una valida alternativa a quelli tradizionali. L’acqua calda, proveniente dall’impianto solare o da una caldaia, scorre all’interno di una serpentina distribuita sotto il pavimento. I tubi sono separati dal pavimento da un massetto che ha la funzione di accumulare e distribuire il calore uniformemente.

Page 57: sviluppo di proposte didattiche

Inoltre, come illustrato nelle figure seguenti, i sistemi di riscaldamento a pavimenti radianti offrono una distribuzione della temperatura più omogenea e confortevole.

BIBLIOGRAFIA

C. Mencuccini, V. Silvestrini, “Fisica I, Meccanica - Termodinamica”;

G. Battimelli, R. Stilli, “Le vie della fisica”, Editore Laterza;

A. Giangrande “Cenni di architettura bioclimatica”, Università degli Studi di Roma Tre;

G. V. Pallottino, http://www.roma1.infn.it/rog/pallottino/bacheca/Sole%20e%20rinnovabili.pdf;

A. Merella, P. Sanna, S. Tatti, ”La casa solare”, http://www.archilink.it; www.wikipedia.org .

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Valentina Porretti, SSIS Lazio IX Ciclo. Esame di didattica della fisica.

Il cambiamento climatico

Questa unita didattica e pensata per studenti del quarto anno del liceo scientifico che hannocompletato lo studio della termodinamica (piu in specifico: temperatura di equilibrio, conservazionedell’energia, propagazione del calore, cambiamenti di fase, corpo nero). Sono anche di aiuto, maeventualmente facilmente integrabili nell’unita stessa, alcuni concetti di geografia astronomica (motodella Terra, attivita solare), fluidostatica (principio di Archimede) e interazione radiazione-materia.Per la matematica, la conoscenza delle derivate e della funzione esponenziale permette una com-prensione piu profonda di alcuni aspetti (stabilita del sistema, uso degli isotopi radioattivi). Data lavastita della materia, sono stati selezionati solo alcuni degli argomenti di fisica pertinenti, cercandodi dare un’idea della complessita del sistema climatico nel suo insieme, piu che una descrizionedettagliata dei singoli fattori.

La scelta dell’argomento e stata motivata dalla trasversalita dei contenuti, che permette di col-locare diversi argomenti di fisica in un contesto concreto, e dal fatto che si tratta di una tematicaattuale e dibattuta, che dovrebbe risultare interessante per gli studenti e dare loro alcuni elementiutili per farsi un’opinione.

1 Introduzione

Il clima e l’insieme delle condizioni atmosferiche (temperatura, umidita, pressione, venti...) me-die che caratterizzano una regione geografica su periodi di tempo lunghi (almeno 30 anni). Oggisi parla molto di riscaldamento globale e si indicano come responsabili le emissioni di gas serradovute alle attivita umane. In particolare la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio,prodotta principalmente dal consumo di combustibili fossili, ha raggiunto livelli senza precedentied e in continuo aumento. Non mancano tuttavia voci fuori dal coro che minimizzano l’entita delfenomeno o lo ascrivono a cause naturali. Un dato di fatto e che la temperatura media dell’aria inprossimita della superficie terrestre e aumentata di circa 0.7◦C dal 1905 al 2005 [1].

E tanto o poco? Una delle minacce piu immediate che porta l’aumento della temperatura e loscioglimento delle calotte polari con il conseguente innalzamento del livello del mare che potrebbesommergere regioni densamente popolate. Ma cio che sconsiglia di trascurare il problema e anche ilfatto che il clima e determinato da un’interazione estremamente complessa di atmosfera, biosfera,oceani e fattori astronomici, e non risponde in modo proporzionale alle perturbazioni. E un sistemainstabile: alterazioni piccole possono causare cambiamenti climatici importanti. Il rischio non e soloteorico, basta pensare che un pianeta simile alla Terra come Venere ha un clima infernale, a cui haprobabilmente contribuito un circolo vizioso che ha innescato un impressionante effetto serra, o chela Terra stessa ha avuto diversi periodi di glaciazione. Anche se ci limitiamo al passato piu recente,sappiamo che ci sono state alterazioni del clima non inferiori a quella attuale, e certamente nondovute a fattori antropogenici. Nel Medioevo la temperatura media era superiore a quella attualedi 1-2◦C, il che per esempio favorı secondo gli storici l’espansione dei vichinghi, che arrivarono inGroenlandia e la chiamarono appunto Terra Verde. Tra il 1600 e il 1800 la temperatura invece scesefino a valori di circa 1,5◦C inferiori a quelli attuali, causando inverni molto rigidi in Europa.

Non e pensabile un modello analitico che possa descrivere un sistema cosı complesso. Nelleprevisioni climatiche si usano modelli numerici in cui l’atmosfera e suddivisa in “scatole”. Si immettenel calcolatore lo stato presente del sistema cosı quadrettato e lo si fa evolvere secondo le leggi dellafisica a intervalli di tempo discreti. La variazione di ogni parametro climatico in una data scatolasoddisfa un’equazione di continuita (variazione = flusso netto entrante o uscente) che garantisce laconservazione dell’energia, della massa e della quantita di moto globali. Per quanto siano potentii calcolatori, c’e sempre un margine piuttosto ampio di incertezza perche l’instabilita del sistemapuo amplificare notevolmente gli errori di descrizione dello stato iniziale. Questo e uno dei motividella vivacita del dibattito sul cambiamento climatico in atto.

1

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Nei paragrafi successivi, impostiamo un modello climatico estremamente semplificato, trattandosolo alcuni dei fattori che entrano in gioco ma vedremo come gia in questo caso si puo generare unasituazione di instabilita.

ESERCIZIO A proposito di innalzamento del livello del mare

Dalla fine degli anni 70, mentre le calotte polari artiche si riducono in estensione per effetto dell’aumentodi temperatura, si e osservato un trend opposto nella regiona antartica [2]. Per l’innalzamento del livellodel mare, e piu pericoloso lo scioglimento dei ghiacci al Polo Nord o al Polo Sud? Immagina di avere uncubetto di ghiaccio di acqua dolce in un bicchiere di acqua salata: come si puo calcolare la variazionedel livello di acqua nel bicchiere dopo lo scioglimento del cubetto?

2 Il bilancio energetico della Terra I

Iniziamo con il calcolo della temperatura della superficie terrestre, trascurando l’atmosfera.All’equilibrio termico, l’energia entrante per unita di tempo e superficie (flusso) deve essere ugualea quella uscente. L’energia entrante proviene dalla radiazione solare. Dato che l’orbita terrestre equasi circolare e la potenza emessa dal Sole varia poco nel tempo, il flusso di energia entrante eapprossimabile a

Fin = (1 − α)πR2S con S = 1365 Wm−2 (1)

dove S, detta costante solare, e l’energia solare per unita di tempo e superficie che arriva sullaTerra, πR2 e la superficie dell’emisfero esposto al Sole proiettato perpendicolarmente alla radiazioneincidente e (1 − α) e la parte di energia non riflessa, cioe effettivamente assorbita dalla Terra; α

e detto coefficiente di albedo e varia a seconda del tipo di superficie. In media per la superficieterrestre, α = 0.3.

Supponiamo che la Terra si comporti come un corpo nero e calcoliamo con la legge di Stefan-Boltzmann il flusso di energia emesso dalla supeficie terrestre:

Fout = 4πR2σT 4 con σ = 5.67 · 10−8Wm−2K−4 . (2)

Uguagliando i flussi Fin e Fout ricaviamo la temperatura di equilibrio della Terra prevista da questosemplice modello, ovvero 255 K ∼ - 18◦C. Questa e la temperatura che avremmo sulla Terra se nonci fosse l’effetto serra.

APPROFONDIMENTO Le variazioni della “costante” solare

L’energia solare che arriva sulla Terra dipende dai cicli di variazione dall’attivita solare (principalmenteil ciclo delle macchie solari, che dura 11 anni) e del moto terrestre. L’asse terrestre compie un ciclo diprecessione ogni 26 000 anni, l’orbita ellittica ruota compiendo un ciclo ogni 22 000 anni e l’angolo tral’asse terrestre e la normale del piano orbitale varia tra 21,5◦ e 24,5◦ con un periodo di 41 000 anni. Glieffetti collettivi delle variazioni dei moti della Terra sul clima sono detti cicli di Milankovitch e hannouna periodicta di circa 100 000 anni. Le variazioni della costante solare potrebbero avere avuto unruolo decisivo nelle ere glaciali, ma negli ultimi 300 anni l’effetto non e stato probabilmente abbastanzasignificativo (∼ 0.3%) per avere un ruolo nell’attuale riscaldamento globale.

3 L’effetto dell’atmosfera

L’approssimazione piu discutibile nel calcolo appena fatto, e aver trascurato la presenza del-l’atmosfera, trattenuta intorno alla Terra dall’azione gravitazionale. Una trattazione completadell’atmosfera deve tenere conto della composizione chimica, delle nuvole, del gradiente di pressionee temperatura, dei venti, dei moti convettivi verticali, delle reazioni chimiche e nucleari che avven-gono negli strati piu alti. L’aspetto che ci interessa maggiormente per il bilancio energetico e chel’atmosfera si comporta come una serra, trattenendo al suo interno la radiazione infrarossa emessadalla Terra e innalzando cosı la temperatura media superficiale fino a circa 15◦C.

Per capire il funzionamento del cosiddetto effetto serra, e necessario considerare la distribuzionespettrale dei flussi di energia assorbiti ed emessi dalla Terra. Secondo la legge di Wien, la lunghezzad’onda del picco di emissione di un corpo nero e inversamente proporzionale alla sua temperatura:

λmaxT = 2.90 · 10−3m K . (3)

2

Page 60: sviluppo di proposte didattiche

Figura 1: Il bilancio termico globale della terra e l’effetto serra [3]. Tutti i numeri sono in W m−2

e alcuni hanno un’incertezza che raggiunge ± 20%

Poiche le temperature medie superificiali del Sole e della Terra sono rispettivamente di 5780 K e 288K, risulta che il picco della radiazione solare e a 0.5-0.6 µm, nella banda visibile (colore giallo-verde),mentre la radiazione emessa dalla Terra e centrata nell’infrarosso, intorno a 10-11 µm. L’atmosferanel suo complesso lascia passare gran parte dell’energia solare a corta lunghezza d’onda, ma bloccala radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, che viene assorbita e riemessa in buonaparte in direzione della Terra, contribuendo al suo riscaldamento (fig.1). I principali responsabili diquesto comportamento sono alcune molecole presenti nell’atmosfera, in primo luogo vapor acqueoe biossido di carbonio, che assorbono con grande efficienza la radiazione infrarossa e sono detti perquesto motivo gas serra.

APPROFONDIMENTO L’assorbimento molecolare

Le molecole assorbono radiazione elettromagnetica a lunghezze d’onda caratteristiche che eccitanouno o piu livelli energetici elettronici, rotazionali o vibrazionali. Per assorbire radiazione infrarossale molecole devono avere una distribuzione di carica asimmetrica (piu precisamente un momento didipolo non nullo) intrinseca o indotta dal moto vibrorotazionale. Molecole biatomiche lineari comeossigeno, O2, e azoto, N2, le componenti principali dell’atmosfera, oscillano in modo simmetrico, senzacambiare il loro momento di dipolo e quindi non assorbono la radiazione infrarossa. Invece, il biossidodi carbonio, CO2, e il vapor acqueo, H2O, presentano uno spettro di assorbimento nell’infrarossodovuto alle transizioni tra stati vibrazionali (specialmente tra 11 e 18 µm, vicino al picco dell’emissioneterrestre), corrispondenti ai livelli di energia di un oscillatore armonico discreto.Per misurare gli spettri di assorbimento, i ricercatori illuminano con radiazione a determinate lunghezzed’onda un tubo riempito di gas che simula lo strato atmosferico (il cammino ottico e moltiplicato po-nendo degli specchi alle estremita del tubo). Si tratta di misure spettroscopiche ad alta risoluzioneche richiedono una tecnologia all’avanguardia. Fino alla meta del secolo scorso, gli spettrometri usatipotevano risolvere solo bande di lunghezza d’onda piuttosto larghe. Gli spettri di assorbimento di va-por acqueo e biossido di carbonio sembravano coincidere e questo porto a concludere che l’effetto serradel biossido di carbonio era del tutto trascurabile in quanto il vapor acqueo, molto piu abbondante,poteva assorbire da solo tutta la radiazione infrarossa disponibile. Oggi si riescono a risolvere con pre-cisione le posizioni delle singole linee di assorbimento delle molecole, ma e ancora difficile quantificarneesattamente l’ampiezza, e quindi l’entita dell’assorbimento.

L’effetto serra e modulato da una serie di reazioni positive (cioe che tendono ad aumentarel’effetto e quindi il riscaldamento globale) e negative (che tendono a opporsi alla sollecitazione,stabilizzando il sistema). Un esempio di reazione positiva e la diminuzione della solubilita delbiossido di carbonio atmosferico nell’acqua degli oceani all’aumentare della temperatura. Su scaledi tempo geologiche, anche il biossido di carbonio disciolto nell’acqua si accumula nei sedimentioceanici sotto forma di carbonati e prima o poi torna nell’atmosfera attraverso l’attivita vulcanica.Ma questo processo e rilevante solo su scale di tempo geologiche. Un’altra reazione positiva e dovutaal fatto che il riscaldamento causa una maggiore evaporazione di vapor acqueo, che e il gas serra piuefficiente. Inoltre ad alte temperature l’atmosfera ne puo contenere concentrazioni maggiori. Un

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esempio di reazione negativa e invece l’aumento delle reazioni di fotosintesi da parte delle pianteall’aumentare della temperatura. In questo modo una maggior quantita di biossido di carbonioviene trasformato in ossigeno, riducendo l’effetto serra.1

Concludiamo questa sezione, notando che nell’atmosfera e presente anche l’aerosol atmosferico,costituito da particelle in sospensione di natura chimica diversa. Queste polveri aumentano signi-ficativamente l’albedo planetaria perche riflettono la radiazione solare principalmente nella direzionedi incidenza. In questo modo tendono a raffreddare la Terra, compensando in parte l’effetto serra.Nel 1991 la sola emissione di polvere seguita all’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine haabbassato la temperatura globale di 0,1◦C. E anche possibile che il calo della temperatura mediaglobale registrato intorno alla meta del secolo scorso sia stato almeno in parte causato dall’aumentodei solfati emessi nella combustione di combustibili fossili.

ESERCIZIO L’impatto dei gas serra

Per valutare l’impatto di un gas serra sul clima e necessario conoscere la sua concentrazione nell’at-mosfera, il suo contributo al riscaldamento globale e il suo tempo di permanenza in atmosfera. Comesi potrebbe costruire un indice di impatto climatico dei gas serra che tenga conto di questi fattori? Chevalori assume per i gas riportati nella tabella che segue?

gas serra concentrazione contributo al tempo di(ppm) riscaldamento (W m−2) permanenza

biossido di carbonio CO2 365 1.3-1.5 > 100 anni

metano CH4 1.75 0.5-.7 10 anni

ossido di diazoto N2O 0.31 0.1-0.2 100 anni

ozono troposferico O3 0.04 0.25-0.75 10-100 giorni

ESPERIMENTO L’effetto serra in barattolo

Prova a mettere due comuni termometri da ambiente al sole. Controlla che misurino la stessa tempe-ratura; quindi mettine uno in un barattolo di vetro chiudendo il coperchio. Verifica che dopo qualcheminuto il termometro all’interno del barattolo segna una temperatura piu alta. Perche?

4 Il bilancio energetico della Terra II

L’atmosfera quindi e determinante per la temperatura terrestre. Il bilancio energetico e moltopiu raffinato del nostro primo tentativo e dovra essere applicato a ogni strato atmosferico, tenendoconto della composizione chimica, della latitudine, dei venti, della presenza di nuvole. . . Il risultatoe che il comportamento emissivo della Terra si discosta notevolmente da quello di un corpo neroideale, dato dall’espressione in eq.(2). Il flusso uscente dall’atmosfera dipende solo linearmente dallatemperatura della superficie terrestre secondo la formula semi-empirica [4]

Fout = A + B T . (4)

Le costanti A e B possono essere determinate sperimentalmente.

IN INTERNET Simulazione del clima

Nel sito http://www.geo.utexas.edu/courses/387H/p7 05.htm del Dipartimento di Scienze Geologichedell’Universita di Austin si puo scaricare l’articolo di Budyko [4] (in inglese) dove viene ricavata laformula (4). Nello stesso sito e possibile simulare un bilancio energetico globale impostando in input icoefficienti A e B in eq.(4), il coefficiete di albedo, la nuvolosita e la costante solare. Il programma dain uscita tabella e grafico della temperatura in funzione della latitudine.

Apportiamo una correzione anche all’espressione per il flusso entrante di eq.(1). Sostituiamo alcoefficiente medio di albedo, una funzione della temperatura α(T ). Quando fa freddo, l’estensionedei ghiacci aumenta e quindi aumenta anche il coefficiente di riflessione: meno radiazione arriva aterra, fara ancora piu freddo, i ghiacci aumenteranno ulteriormente e cosı via. Al contrario, se iniziaa fare piu caldo, i ghiacci si sciolgono, gli oceani occupano piu superficie ed assorbono piu radiazione

1Il processo e efficiente solo per foreste giovani; foreste mature sono in equilibrio: in media rilasciano tanto biossido

di carbonio quanto ne assorbono.

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riscaldando il pianeta. Si tratta quindi di una reazione positiva, che tende a destabilizzare il sistema.Il coefficiente di albedo sara quindi grande e costante quando fa cosı freddo che tutta la Terra ecoperta dai ghiacci. Al crescere della temperatura, i ghiacci si sciolgono e il coefficiente diminuiscein modo approssimatamente lineare, finche non restano piu ghiacci e il coefficiente si stabilizza suun valore piccolo.

Il bilancio energetico si ottiene uguagliando il flusso uscente in presenza di atmosfera, eq.(4), alflusso entrante, eq.(1), dove il coefficiente di albedo α dipende dalla temperatura come descritto.Graficamente, la temperatura di equilibrio e data dall’intersezione tra i grafici dei due flussi infunzione della temperatura, rappresentati qualitativamente in figura 2. La posizione esatta delleintersezioni dipende dal valore delle costanti A e B.

Fin

Fout

T1

T2

T3

Figura 2: Grafico qualitativo del flusso di energia entrante e uscente in funzione della temperatura.

Notiamo due novita importanti rispetto al modello base da cui eravamo partiti:- esistono in generale piu soluzioni possibili (tre in questo caso);- a causa della reazione positiva dovuta all’albedo, non tutte le soluzioni sono stabili. Se peresempio la Terra si trova a temperatura T2 e per effetto di una piccola perturbazione si riscaldaleggermente, tendera a riscaldarsi ulteriormente fino a raggiungere T3, che invece e una soluzionestabile: sottosposto a piccole perturbazioni, il sistema tende a riassestarsi su T3.

ESERCIZIO Soluzioni stabili e instabili

Prova a disegnare un grafico qualitativo del flusso netto entrante Fin − Fout, cioe la differenza dei due

grafici in figura 2. Le soluzioni dove si trovano adesso sul grafico? Supponi di trovarti nella soluzione

T3. Una piccola perturbazione diminuisce leggermente la temperatura. In corrispondenza di questa

temperatura la derivata (pendenza) del flusso netto entrante e positiva o negativa? Spiega perche

questo tende a riportare il sistema in T3. Partendo da T2 cosa sarebbe successo?

5 La relazione tra temperatura e gas serra

La correlazione tra la temperatura e la concentrazione di alcuni gas serra, tra cui il biossidodi carbonio, sembra un fatto assodato. Misurazione dirette e sistematiche della concentrazione dibiossido di carbonio nell’atmosfera sono disponibili dal 1958, ma la paleoclimatologia ha permessodi verificare la correlazione fino a piu di 400 000 anni fa. Il punto pero e che l’andamento dellaconcentrazione di biossido di carbonio tende a seguire con un ritardo di circa 1000 anni quello dellatemperatura e non viceversa, come si vede in fig.3 [5]. Inoltre se il riscaldamento fosse causatoprincipalmente dall’effetto serra, la troposfera dovrebbe riscaldarsi piu velocemente della superficieterrestre. Attualmente lo stato delle misure e controverso e non permette di confermare questaipotesi. Dunque l’effetto serra e una causa o una conseguenza del riscaldamento globale?

Probabilmente nel caso dei cambiamenti climatici di migliaia di anni fa, comprese le glaciazioni,la variazione iniziale di temperatura e stata causata da alterazioni di parametri orbitali o di correntioceaniche, a loro volta originate da movimenti tettonici o da instabilita intrinseche della circolazionetermoalina. L’entita del cambiamento climatico che ne e conseguito sarebbe pero in larga partedovuta all’instaurarsi di reazioni positive tra la variazione di temperatura e la concentrazione delbiossido di carbonio e di altri gas serra.

Per quanto riguarda invece il riscaldamento globale attuale, sembra che l’eccesso di carbonioatmosferico non sia stato prodotto dall’aumento della temperatura tramite reazioni positive naturali,

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ma sia riconducibile all’attivita umana. Misurazioni della concentrazione relativa degli isotopidel carbonio confermano questa ipotesi: il carbonio atmosferico di origine naturale contiene unapercentuale caratteristica di 14C, un isotopo instabile generato continuamente dalla cattura dineutroni termici da parte dell’azoto in alta atmosfera. Si e trovato che invece il carbonio atmosfericoin eccesso e costituito da soli isotopi stabili e quindi e plausibile che provenga dai combustibili fossili(petrolio, carbone, gas naturale), dove il 14C, che ha un tempo di dimezzamento di 5730 anni, epressoche assente.

APPROFONDIMENTO Le carote di ghiaccio

Come si puo conoscere la temperatura e la concentrazione di biossido di azoto presente sulla Terramigliaia di anni fa? Una delle tecniche piu precise si basa sulla misure ottenute su campioni di ghiaccioestratti da trivellazioni di oltre tre chilometri di profondita, che raggiungono strati formatisi 900 000anni fa. La concentrazione del biossido di carbonio si ricava dalle bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio.Per la temperatura invece ci si basa sulla composizione isotopica del ghiaccio. Le molecole d’acquaisotopicamente pesanti (con almeno un atomo di deuterio o di 18O) hanno una pressione di vaporeminore e condensano a temperature maggiori. Quindi la fase condensata e isotopicamente arricchitarispetto al vapore da cui si forma. Durante il ciclo dell’acqua i valori degli isotopi pesanti diminuisconodalle zone tropicali (dove si forma la maggior parte del vapore acqueo) verso i poli, a causa dei successivifenomeni di condensazione. Minore la temperatura, maggiori sono i fenomeni di condensazione, chelasciano la massa di vapore originaria sempre piu impoverita di isotopi pesanti. La concentrazionedi isotopi pesanti nella neve che si deposita sulle calotte polari e quindi una funzione crescente dellatemperatura.

Vostok ice core record (Temp,

CH4, CO2)

Figura 3: Concentrazione di biossido di carbonio (ppm), temperatura e concentrazione di metano(ppb) in funzione della distanza temporale da oggi (a sinistra: presente; a destra: 400 000 anni fa[5]). I quattro minimi piu accentuati corrispondono alle ere glaciali. Circa 10 000 anni fa (estremitasinistra) si nota un improvviso addolcimento climatico, che ha permesso la nascita delle prime civitaagricole stanziali e che perdura tuttora.

Bibliografia

1 Summary for Policymakers (PDF). Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution ofWorking Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change.Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). (2007-02-05).2 Cavalieri, D.J., C.L. Parkinson, and K.Y. Vinnikov. (2003). 30-year satellite record reveals contrastingArctic and Antarctic decadal sea ice variability. Geophysical Research Letters30(18).3 Kiehl, J. T. e Trenberth, K. E. (1997). Earth’s annual global mean energy budget. Bull. Amer. Meteor.Soc., 78:197-208.4 Budyko, M.I. (1969). The effect of solar radiation on the climate of the earth, Tellus, 21, 611-619;W.P. Sellers, A global climate model based on the energy balance of the Earth-athmosphere system, J.Appl. Meteorol., 8 (1969), pp. 392-400;http://www.geo.utexas.edu/courses/387H/p7 05.htm.5 Petit J.R. et al. (1999). Climate and atmospheric history of the past 420,000 years from the Vostok icecore, Antarctica. Nature 399: 429-436.

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Page 64: sviluppo di proposte didattiche

Corso G. V. Pallottino: didattica della Fisica

La Fisica in barca a vela

Alvise Mattei

Destinatario: classi di scuola superiore in cui sistia insegnando idrostatica. Si puo anche pensa-re come filo conduttore che accompagni gli alunnidurante un anno di insegnamento. Nel liceo do-ve attualmente insegno sono stati organizzati deicorsi di vela, e questo puo essere un interessan-te argomento multidisciplinare con l’educazionefisica.

Obiettivi: riconoscere l’utilita della Fisica e dellaMatematica, presentandone alcuni aspetti concre-ti e applicativi. Apprendere concetti fondamen-tali come il punto di applicazione di una forza edelementi di calcolo dimensionale. Apprendere pic-coli elementi di progettazione. Comprendere ele-menti essenziali di fluidodinamica, materia spessocompletamente ignorata.

Prerequisiti: dimestichezza con il concetto di for-za, conoscenza del momento di una forza, even-tualmente del prodotto vettoriale. Punti di ap-plicazione di una forza. Baricentro. La legge dicomposizione delle forze. Somma vettoriale. At-trito. Conservazione dell’energia. Rapporto traleggi e dimensioni fisiche. Trigonometria: seni,coseni e tangenti, regole principali.

Ore di intervento: cinque o sei. Si potrebbe pre-vedere un’introduzione con un questionario o unaserie di domande durante la lezione, per cercare dicapire che idea hanno i ragazzi di come funzioniuna barca a vela.

Poi procedere con tre o quattro lezioni frontali.

Organizzazione delle lezioni La prima lezionefrontale, sul principio di Archimede a bordo,potrebbe avvenire subito dopo le prime lezionisull’idrostatica.

La seconda lezione, sulle leve, potrebbe essereconsiderata un ripasso del momento di una forza.

La terza lezione, sulla portanza, potrebbe esse-re organizzata sotto forma di proiezione di alcunifilmati della galleria del vento, per illustrare qual-che elemento di fluidodinamica. Oppure la stessalezione si potrebbe introdurre realizzando in clas-se una serie di aeroplani di carta con proprietageometriche diverse.

Lascerei il par. 4 nel materiale per i ragazzi, sen-za dedicarvi una lezione, ma giusto chiarendo condegli esempi che in assenza di una qualsiasi formadi resistenza allo scivolamento trasversale, sareb-be impossibile avanzare in una direzione diversada quella in cui ci spinge il vento.

La quarta lezione, sulla somma vettoriale, ponealcuni problemi. Purtroppo in un liceo scientificosi spiega in quarto in matematica, alla fine dellatrigonometria, e invece quasi all’inizio del terzoin fisica. Se non si e fatto prima, e se il labo-ratorio della scuola e fornito, si possono portarei ragazzi a fare l’esperimento sulla composizionedelle forze usando un paio di dinamometri. Poibisogna convincere i ragazzi che la stessa legge evalida per la somma di tutti i vettori. Buona par-te di questi argomenti sono stati assegnati comeprerequisiti. Si potrebbe approfittare per spiega-re il teorema di Carnot, se si ritiene opportuno.Invece la comprensione della differenza tra ventoapparente e vento reale fornisce qualche spuntoper comprendere cosa accade cambiando sistemadi riferimento.

La quinta lezione, sulle onde, potrebbe esserefacoltativa.

Buona parte delle figure sono state realizzate conCABRI, e potrebbero essere utilizzate dai ragaz-zi, ove possibile, per manipolare un po’ la fisicaesposta.

Infine si potrebbe prevedere una prova per l’eccel-lenza che consista nella progettazione di un pic-colo scafo a vela (individuazione delle dimensioni,del peso, della superficie velica, . . . )

Introduzione

Per costruire una buona barca occorre conoscere ele-menti di aerodinamica, di statica, di meccanica, in-somma di un bel po’ di Fisica di tutti i tipi. Que-sti argomenti devono essere ben digeriti non solo dalcostruttore della barca (che una volta era il maestrod’ascia, mentre ora e un ingegnere), ma anche da chila vuole utilizzare. Infatti non basta l’esperienza svi-luppata negli anni al timone: capita di trovarsi in con-

1

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dizioni estreme e di essere costretti a riparazioni difortuna. In piu di un caso il sapere salva la vita.

Figura 1: Altair a la Nioulargue, foto di Philip Plisson

1 Il principio di Archimede

Partiamo dagli elementi fondamentali: una barca devegalleggiare. Ovviamente e il principio di Archimede astabilire quali sono i limiti sulla dimensione della bar-ca. La stazza e il volume occupato dalla barca, mentreil dislocamento e l’equivalente di massa d’acqua spo-stata dalla barca, dunque per il principio di Archimedecorrisponde al peso della barca. La forza che agisce sulbaricentro, ovverosia la spinta idrostatica FA e dunque

FA = −mg + ρV g (1)

essendo m la massa della barca, ρ la densita del fluidoin cui e immersa, V il volume della parte immersa, gl’accelerazione di gravita. Il galleggiamento si verifi-ca quando la suddetta forza si annulla, cioe siamo incondizioni di equilibrio.

Prendiamo i dati su Luna Rossa1:

• Lunghezza: 25.15 m

• Larghezza: 4.30 m

• Dislocamento: 25000 kg

Per poter galleggiare, significa che il volume sommer-so della barca sposta una quantita d’acqua pari a 25tonnellate. 1 m3 d’acqua pesa 1 tonnellata, dunque laparte sommersa di Luna Rossa e proprio 25 m3. La

1http://www.nautica.it/americas-cup/lunarossa-plan.

htm

lunghezza della barca e circa 25 m, mentre la larghez-za massima e 4.30 m, quale sara l’altezza media algalleggiamento?2

Potremmo chiederci a questo punto quando e cheuna barca di questo tipo affonda. Se nello scafo entradell’acqua, il peso complessivo della barca aumenta, omeglio dobbiamo escludere dal conto del volume som-merso la parte interna allo scafo che contiene acqua.In altre parole, l’eq. (1) contiene due densita: quelladell’oggetto immerso (m = ρbarcaVbarca) e quella delfluido. Se ρbarca aumenta (sostituisco l’aria con l’ac-qua, oppure aggiungo persone a bordo), l’equilibrioavverra a volume sommerso sempre maggiore:

0 = −ρbarcaVbarcag + ρV g (2)Vbarca

V=

ρ

ρbarca(3)

La barca affonda quando la sua stazza Vbarca einferiore al volume sommerso.

Ci viene un dubbio pero: se la situazione a bordosi fa molto difficile, possiamo rendere la barca inaffon-dabile? Esistono due tecniche: suddividere lo scafo incompartimenti stagni, oppure realizzare alcune zonedello scafo con un materiale molto meno denso del-l’acqua. Il volume complessivo di queste zone nel no-stro caso dovrebbe essere sempre pari ai soliti 25 m3.Siccome in barca a vela si vuole andare il piu velocepossibile, generalmente a bordo e presente un natantegonfiabile inaffondabile, e non delle costose e pesantizone stagne.

Esercizi

• Realizzare un natante di peso 10 kg con 10 com-partimenti stagni di uguale volume. Verificare secon due persone a bordo e quattro compartimentistagni rotti puo ancora galleggiare. Verificare cheil volume totale della barca sia ragionevole.

• Quanta acqua puo imbarcare Luna Rossa primadi affondare?

2 Le leve

Una volta che la barca galleggia, e opportuno che nonsi ribalti quando montiamo a bordo. E’ esperienzacomune che, quando si monta su una barchetta, c’el’effetto altalena (la barca sbanda). Questo effetto etanto piu accentuato quanto piu la barca e leggera, edipende anche dalla forma dello scafo. Se montiamo

2L’altezza h al galleggiamento sara circa il volume sommer-so diviso la lunghezza e la larghezza, approssimando con un

parallelepipedo: h ∼ V

LL∼ 25 cm.

2

Page 66: sviluppo di proposte didattiche

con troppa foga su una barchetta, la ribaltiamo (scuf-fiamo). Una barca ribaltata diventa molto complicatada raddrizzare.

Sono in gioco delle oscillazioni, e tutti quanti, istin-tivamente, in una situazione di mancanza di equilibrio,cerchiamo di fare contrappeso. Allora le condizioni diequilibrio di uno scafo possono essere simili a quelledi un’altalena. Se la barca e simmetrica e ben equi-librata, ci aspettiamo che il fulcro di questa altalenasia l’asse centrale dello scafo. In barca questo fulcrosi chiama centro di carena. Allora se c’e una personadi 100 chili da una parte, dovremo metterne due dacinquanta dall’altra parte, oppure far sedere il nostroamico grosso un po’ piu al centro.

Se aggiungiamo l’albero e le vele questo problemadiventa ancora piu complesso. La pressione del ventoesercita una forza direttamente proporzionale alla su-perficie delle vele: F = p · S. Questa forza puo essererappresentata come se fosse applicata nel centro velico,che e piu o meno il baricentro della superficie velica.

Se si approssimano le due vele con due triangoli, sipossono calcolarne i baricentri. A ciascuno dei duepunti cosı ottenuti si assegna come valore l’area dellarispettiva vela. Il centro velico e situato nel baricentrotra questi due punti. In figura 2 ci sono un paio diesempi. Si puo notare che l’altezza del centro velico ecirca 1/3 di quella dell’albero.

Figura 2: Un’applicazione con CABRI per calcolare ilbaricentro tra due triangoli affiancati. Sono riportatiun paio di esempi. La prua e a sinistra. I valori sono incentimetri, come forniti da CABRI, ma possono facil-mente essere scalati a dimensioni maggiori. In questaapplicazione si puo modificare l’area e la forma del-le vele e l’altezza dell’albero. Il programma inserisceanche la deriva.

La pressione puo essere stimata: ricordando chele dimensioni fisiche della pressione corrispondono a

quelle di una densita di energia, cioe

[P ] =[E

V

](4)

e, considerando l’energia cinetica delle particelle d’ariadi massa ma e velocita va, E = 1

2mav2a, risulta che la

pressione esercitata dalle particelle d’aria e circa

P ' 12ρav

2a (5)

essendo ρa = 1.225 kg m−3 la densita dell’aria.Se consideriamo un vento di 20 nodi, dunque all’in-

circa va = 10 m/s, troviamo che la pressione esercitatasulle vele e all’incirca P ∼ 60 Pa.

La superficie velica di Luna Rossa nelle andature dibolina e 364 m2, dunque Fv ∼ 2.2 ·104 N. Questa forzae applicata ad un distanza dal centro di carena a ' 10m, corrispondente alla quota del centro velico di LunaRossa, il cui albero misura 32 metri. Se non ci sonocontrappesi sulla barca, ogni refolo di vento la farebberibaltare.

Per dirla meglio, c’e una coppia (sbandante) da-ta dalla forza del vento sulle vele moltiplicata per ladistanza tra il centro velico e il centro di carena.

Il momento di questa forza e

~Mv = ~a× ~Fv Mv = aFv sinα (6)

con α angolo indicato in fig. 3.Per bilanciarla abbiamo a disposizione la forza di

gravita. Potremmo mettere delle persone sullo stessobordo da cui arriva il vento (zavorra mobile) oppurecercare di mettere massa sullo stesso asse, ma sotto ilmare (in chiglia), cioe dobbiamo inserire una coppiaraddrizzante.

Le grandi barche a vela devono funzionare indipen-dentemente dalla posizione dell’equipaggio, che deveessere libero di manovrare. Dunque la seconda confi-gurazione e auspicabile. Per avere maggiore efficacianel contrappeso, dobbiamo far sı che la maggior partedel peso sia concentrato nel bulbo. Il bulbo e una spe-cie di siluro che puo essere posto in fondo alla chiglia,o costituire un’appendice di essa3. A volte tra bulbo echiglia c’e la deriva, cioe una specie di coltello che fen-de l’acqua verticalmente. In generale a bordo si tendea chiamare chiglia tutto cio che sta sotto la linea digalleggiamento.

Per di piu, dato che la stazza (dunque il volume tota-le) della barca e fissata dalle regole della classe velica,conviene che il volume di questa zavorra sia minimo,

3Le imbarcazioni antiche non avevano zavorra a bordo, e dun-que era fondamentale una buona disposizione del carico nellastiva. Piu di un naufragio e avvenuto a causa di un improvvidostivaggio.

3

Page 67: sviluppo di proposte didattiche

quindi si usa il piombo o addirittura materiali piu pe-santi. La forza di gravita esercitata sul bulbo sarabilanciata dallo stesso principio di Archimede, dunquela forza applicata al bulbo sara

Fb = mbg − ρVbg. (7)

con mb e Vb massa e volume del bulbo. Si lascia al let-tore la dimostrazione che, se il bulbo e fatto di piom-bo, la spinta idrostatica e trascurabile. Comunque perquanto riguarda Luna Rossa, la scelta del costruttoree stata di un bulbo con mb ∼ 104 kg.

Il momento di questa forza sara il prodotto vetto-riale del vettore ~b, che unisce bulbo e centro di carena,e della forza peso del bulbo ~Fb, con β indicato in fig. 3

~Mb = ~b× ~Fb Mb = bFb sinβ. (8)

Come si vede dalla figura 3, β =3π2− α, dunque pos-

siamo sperare di trovare un angolo di equilibrio primache la barca si rovesci4. In particolare la coppia ebilanciata quando ~Mv = − ~Mb, ossia

tanα = − bFb

aFv(9)

Questo significa che l’angolo α cosı ricavato rappresen-ta il punto di equilibrio tra le due forze.

La forza di gravita applicata al bulbo di Luna Rossavale circa mb · g ∼ 105 N, mentre b ∼ 4 m. Se andia-mo a sostituire tutti i valori ottenuti per Luna Rossa,otteniamo

tanα = − 4m× 105N10m× 2.2 · 104N

∼ −1.8 (10)

che significa α dell’ordine di 120◦. Ma attenzione aicalcoli!5

L’inclinazione della barca corrisponde all’angolo i =α− π

2e dunque sara intorno a 30◦. Risulta chiaro che

una barca con molto peso sul fondo della chiglia o nelbulbo puo sopportare un vento piu forte senza incli-narsi pericolosamente, dunque puo raggiungere velo-cita maggiori. A parita di peso, conviene allungare laderiva e spostare il bulbo, aumentando cosı il nostrob. Non si puo pero allungare la deriva a piacere, pervia della resistenza che oppone allo scorrere dell’acqua,che dunque rallentera lo scafo. Bisognera cercare allo-ra un giusto compromesso tra inclinazione della barcae lunghezza della deriva.

Come si puo osservare dalla fig. 3, se la barca s’incli-na molto, il momento della forza esercitata sulle vele

4Per calcolare questo angolo si puo fare uso della relazionesinβ = − cosα

5La calcolatrice dara -61◦, ma ci aspettiamo degli angoli com-presi tra 90◦ e 180◦, come da fig. 3. La tangente ha periodicitaπ, dunque la soluzione che ha senso fisico e -61◦+180◦= 129◦.

diventa sempre piu piccolo. Infatti al tendere di α aπ, bFb sinα→ 0 e prevale ~Mb. Questo significa che inteoria una barca con chiglia opportunamente zavorra-ta non scuffia mai, o almeno si raddrizza in fretta. Inrealta, quando le vele toccano l’acqua, o addiritturaaffondano sotto l’acqua, la forza esercitata sulle vele epari alla massa d’acqua che giace sulle vele per l’ac-celerazione gravitazionale. Cosı diventa molto difficileraddrizzarla.

Un buon marinaio deve sempre conoscere i limitidella propria barca, e opportunamente ridurre la su-perficie velica quando le condizioni del vento lo impon-gono. In questa maniera diminuisce la forza del ventosulle vele e l’inclinazione dello scafo. Per lo stesso mo-tivo e opportuno che qualcuno tenga sempre in manola scotta della randa: in caso di raffica molto forte, sipuo salvare la barca semplicemente mollando un po’di scotta, e dunque allagando la vela, e lasciar passareil vento.

Figura 3: Un’altra applicazione CABRI: la barca avela vista da poppa o da prua. Le due forze sono ap-plicate rispettivamente nel centro di massa della bulboe nel centro velico. Piu la barca s’inclina e piu diventaefficace la reazione della forza peso del bulbo. Nel-l’applicazione si puo variare l’inclinazione dello scafoe vedere cosa accade alle forze in gioco.

Quando si procede di poppa, e in generale con leandature portanti (vento proveniente dalla parte po-steriore della barca), la componente della forza tra-sversale allo scafo e minima, e la chiglia perde la suafunzione equilibrante. L’opposizione alla forza eserci-tata sul centro velico e nuovamente dovuta al principiodi Archimede: aumentando il volume sommerso dellabarca immergendo ulteriormente la prua, la forza (1)si squilibra a favore del secondo termine e risulta unaspinta verso l’alto. E’ un po’ quello che accade quandosi cerca di tenere un pallone sott’acqua.

Se il vento e molto forte rispetto al peso dellabarca, nelle andature portanti la poppa si sollevaleggermente.

Nei multiscafi (catamarani e trimarani) si sfrutta

4

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il principio di Archimede anche nelle andature di tra-verso (vento piu o meno perpendicolare alla direzionedella barca) e di bolina (vento proveniente dalla prua):lo scafo sottovento, cioe dalla parte da dove non vieneil vento, spinge verso l’alto e compensa il momento del-la forza esercitata sulle vele, sfruttando come bracciola distanza dall’asse di simmetria della barca.

Figura 4: Un trimarano alla NOKIA OOP CUP. Cosasta accadendo ai momenti delle forze di cui abbiamoparlato?

Esercizio

Se Luna Rossa scuffia e le vele si coprono d’acqua, esufficiente il peso del bulbo per raddrizzarla? Valuta-re questa possibilita per uno spessore d’acqua soprale vele di 1 cm, ricordando che la superficie velica e400 m2 e il centro velico resta immutato. Prendereρacqua = 1 kg/dm3

3 Portanza

Per molti secoli la navigazione a vela procedeva megliocol vento in poppa. Le vele usate erano grossi lembirettangolari appesi all’albero, perpendicolarmente al-l’asse della barca. Le navi costruite con questo siste-ma pero non potevano andare ovunque, e specialmentedove soffiano venti di direzione costante, come gli ali-sei6, era un problema enorme. Intorno al primo secoloavanti Cristo tra Africa e Medio Oriente ci fu la pri-ma intuizione che porto alla nascita della vela latina(etimologia a la trina, triangolare), cioe una vela mes-sa parallelamente all’asse della barca, che consentivadi sfruttare anche venti avversi. Il passaggio dalla ve-la quadra alla vela latina fu probabilmente graduale,passando per forme trapezoidali. Questo tipo di vela

6Gli alisei soffiano nella zona tropicale sempre da est ver-so ovest, per la precisione da nordest nell’emisfero boreale eda sudest nell’emisfero australe. Questo e il motivo per cuile circumnavigazioni del globo avvenivano sempre in direzioneovest.

si diffuse rapidamente nel Mediterraneo intorno al IXsecolo per mano degli Arabi.

Come e possibile che con questo semplice ac-corgimento una barca sia in grado di risalire ilvento?

E’ un effetto di fluidodinamica, che accomuna tut-te le vele, dagli aquiloni ai paracadute. Le particelled’aria che vengono separate da una vela, da un pro-filo alare, o da qualunque cosa si opponga al vento,seguono traiettorie particolari. Le particelle che pas-sano dalla parte esterna della vela, cioe sottovento,sono molto piu veloci di quelle che passano dalla parteinterna. Questa differenza di velocita a livello macro-scopico diventa una differenza di pressione tra l’internoe l’esterno della vela (o tra la parte superiore e la parteinferiore dell’ala). La differenza di pressione fa si chela vela, l’ala e tutto quanto vi e attaccato venga tiratoverso l’avanti o verso l’alto7.

La forza cosı sviluppata si chiama di solito portanza,e la sua origine qualitativa e mostrata in fig. 5.

F_p

Figura 5: Lo sviluppo della portanza su di un profiloalare

La portanza e funzione della densita del mezzo (inaria 1.225 kg m−3) ρa, della velocita della vela v e dellasuperficie della vela S. Ovviamente vi sara un fattoreCp, adimensionale, che terra conto della conformazione

7Spesso si fa riferimento al principio di Bernoulli, dicendo chele molecole separate dal profilo alare o velico si ritrovano insiemealla fine della vela, e dunque quella che fa maggiore strada e piuveloce. Questa differenza di velocita produce una differenza dipressione tra un lato e l’altro della vela e dunque una forza.Questo dipende essenzialmente dalla conservazione della densitadi energia DE di un fluido, che puo essere scritta, in funzionedella pressione p, della densita ρ e della velocita v del fluido

DE = p+1

2ρv2. (11)

Si osserva allora che, dato un fluido inizialmente in uno stato(p0, ρ0, v0), se ne aumento la velocita e mantengo costante ladensita, allora sto diminuendone la pressione.

In realta questa condizione e necessaria, ma non sufficientea fornire la portanza osservata. Di fatto le particelle esternearrivano molto prima di quelle interne.

5

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geometrica della vela o dell’ala:

Fp =12ρaSv

2Cp. (12)

Vale la pena notare che l’ordine di grandezza di que-sta forza e lo stesso che abbiamo stimato per Fv

dall’eq. (5)Bisogna fare attenzione perche la conformazione del-

l’oggetto e cruciale per stabilire se la portanza e effi-cace o se domina la resistenza, cioe l’opposizione delfluido al moto. La resistenza puo essere scritta esatta-mente come la portanza, salvo che avra un coefficienteCr diverso, sempre dipendente da fattori geometrici.

Piu un oggetto e aerodinamico (e veloce) e piu laportanza funziona, cioe Cp � Cr. Basta pensare allevetture da corsa, che hanno bisogno di alettoni anterio-ri e posteriori orientati in maniera tale da sviluppareuna forza contraria alla portanza. Altrimenti le Ferra-ri decollerebbero! Questo tipo di problema si presentain maniera minore nelle moto, che hanno una formacompletamente diversa e pur raggiungendo le stesse ve-locita, necessitano di minor carico aerodinamico, chesarebbe proprio la forza opposta alla portanza. Co-munque e opportuno ricordare sempre che resistenzae portanza sono sempre presenti quando un corpo simuove in un fluido.

Vale la pena anche di ricordare che se il moto dell’og-getto rispetto al fluido avviene a basse velocita, prevalel’attrito viscoso, e la resistenza sara Fr = βv, con βcoefficiente dipendente sia dalla geometria dell’oggettoche dalla viscosita del fluido.

Sulle andature strette, cioe la bolina, la portanza hauna direzione piu o meno a 45◦ rispetto alla velocitadella barca8. Questo significa che una parte di que-sta forza serve all’avanzamento Fa, l’altra e propriola componente Fv dell’eq. (6) e costringe la barca adinclinarsi (sbandare), come in figura 6.

Nelle barche da regata come nelle piccole imbarca-zioni da diporto di solito vi sono due vele, una di prua(il fiocco o genoa) e una di poppa (la randa).

Nelle andature portanti la vela di prua viene sosti-tuita da una vela molto piu ampia (lo spinnaker oil jennaker, leggermente piu piccolo), grazie al fattoche l’equilibrio della barca e assicurato dal principiodi Archimede, come osservato nel par. 2.

Nelle barche come Luna Rossa le vele sono dotate disensori piezoelettrici, cioe di misuratori di pressione,che vogliono mappare l’efficacia di una vela punto perpunto. Questi dati vengono sfruttati per capire doveapportare miglioramenti. In genere nella progettazio-ne e realizzazione di profili di vele e scafi si preferiscel’ottimizzazione per via empirica, dentro la galleria del

8Questo valore varia da scafo a scafo e consiste nella capacitadi stringere il vento, cioe di andare controvento

Figura 6: La composizione delle forze viste dall’alto.La portanza si divide in due contributi che possonoessere pensati applicati nel centro velico. Una e laforza di avanzamento, l’altra e la forza che inclina labarca. Nel disegno si e inserita la scomposizione dellaportanza per ciascuna delle vele.

vento oppure con dei prototipi a grandezza naturale,a seconda della capacita economica.

4 Sotto la linea di galleggiamento

Importantissima e la presenza di un’ala sotto la barca:la deriva. Questa serve essenzialmente a impedire chela barca scorra nella stessa direzione del vento quandosi va di bolina (scarroccio). Il punto dove lo scafo siunisce alla deriva corrisponde all’incirca al centro dicarena di cui abbiamo parlato prima. In questo puntodeve essere dunque applicata una reazione vincolare~Rd che impedisca alla barca di scivolare lungo la dire-zione della portanza, e dunque sia uguale e contrariaalla forza ~Fv. La deriva funziona bene quando la barcasi muove, altrimenti serve solo per opporre una picco-la resistenza al rollio dello scafo. Quando si progettauno scafo, per decidere dove posizionare la deriva oc-corre conoscere anche dove si situa il centro velico. Peravere una barca bene equilibrata occorre che il centrovelico cada all’incirca sopra la deriva, come in fig. 2,altrimenti si crea un momento torcente tra la forzaesercitata sulle vele e la reazione vincolare della deri-va. Per esempio se il centro velico cade a poppa delladeriva, la barca avra una tendenza a orzare.

L’applicazione di piccole ali orizzontali alla derivapermette di alleggerire la barca quando si procede abuona velocita. E’ il caso di alcune piccole imbarcazio-ni, gli skiff, che appena guadagnano un po’ di velocita,si trovano praticamente sospesi e toccano l’acqua solocon l’ultima parte della deriva e una piccola parte ditimone.

6

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Figura 7: Antigua Classics, foto di Rick Tomlin-son http://www.rick-tomlinson.com/H2OGallery/Classic/Classics.htm

In alcune barche, la deriva e assente e il suo ruoloviene preso dal profilo inferiore della chiglia oppure di-rettamente dal timone. Anche il timone sfrutta effettidi fluidodinamica, sempre parenti della portanza, perspingere la barca nella direzione voluta. Un vecchiodetto da marinaio recita: barca ferma non governa, ilche significa che il timone funziona solo se la barca simuove. Per non parlare dei rimandi e delle carrucoleche si mettono se si ha un timone a ruota...

La lunghezza della barca alla linea di galleggiamentoe importantissima anche per motivi di idrodinamica.Infatti piu la barca e lunga e meglio scivola sull’acqua,come vedremo fra poco.

5 Composizione delle velocita

In regata, ma anche nella normale navigazione da di-porto, si cerca sempre di ottimizzare il tempo di per-correnza. Le variabili da tenere in considerazione so-no: la direzione del vento, il nostro punto d’arrivo e lavelocita della barca. Per un ulteriore miglioramentobisognera considerare la corrente marina e eventualivariazioni della direzione e dell’intensita del vento.

L’elemento piu interessante da considerare nella ve-la moderna e il fatto che nelle andature strette (dibolina o traverso) al vento reale si aggiunge il ventoapparente, dovuto al moto della barca. Il vento risul-tante avra dunque maggiore intensita di quello reale,e la sua direzione in generale piu stretta, come si vedein figura 8. Questa puo essere considerata come unareazione positiva. E’ come se andando in macchina labenzina aumentasse...

Facciamo un esempio quantitativo: se il vento pro-viene da Nord ed ha un’intensita di 12 nodi e la barcasi dirige verso Ovest a 7 nodi. Possiamo usare il teore-ma di Pitagora: il vento apparente che insiste sulle veleavra intensita

√72 + 122 = 13.9 nodi e la sua direzio-

ne sara deviata di arctan(

712

)' 30◦ verso Ovest, e

Figura 8: Un’altra applicazione CABRI: la composi-zione delle velocita in barca. La velocita del ventoreale va sommata vettorialmente all’opposto della ve-locita della barca. Ci si puo convincere del perche oc-corra fare questo: se si procede a velocita v in completaassenza di vento, si percepisce un vento apparente vin direzione contraria a quella del moto. Per sommaredue vettori si puo utilizzare la formula di Carnot. Sonoriportate quattro andature della barca: bolina, traver-so, giardinetto, poppa. La curiosita e che l’andatura algiardinetto prendeva il nome dalla posizione nei galeo-ni dell’orticello per il sostentamento, che solitamenteera nello specchio di poppa.

dunque NNW. A questo punto la barca risente del nuo-vo vento, di intensita maggiore, e dunque tendera adaccelerare. Questo aggiustarsi di velocita arriva a unmassimo e poi cala quando la direzione di provenien-za del vento non diventa troppo stretta e la portanzadiminuisce.

Se invece si procede in favore di vento, la composi-zione delle velocita fa si che il vento percepito a bor-do sia inferiore (percio quando si procede di poppa famolto piu caldo), e anche le vele risentano di questo.Cosı le vele, pur avendo una superficie molto maggiore,hanno una portanza inferiore.

Esercizi

• Se mi sto muovendo verso Nord a una velocitav0 = 10 nodi e il vento soffia da Nord a una ve-locita vv = 20 nodi, qual e la direzione α′ e la

7

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velocita vapp del vento apparente che osservo abordo?

• Se mi sto muovendo verso Est a una velocita v0 =10 nodi e il vento soffia da Sud Est a una velocitavv = 20 nodi, qual e la direzione α′ e la velocitavapp del vento apparente che osservo a bordo?

Suggerimento: trovare l’angolo α tra le direzioniOvest e Sud Est (perche?), poi usare la formula diCarnot per ricavare la velocita del vento: vapp =√v20 + v2

v + 2v0vv cosα. Per l’angolo α′ e un po’piu complicato... ma almeno si puo stimare pervia grafica!

Ogni barca a vela ha la sua velocita migliore (VMG,velocity made good) in funzione della direzione relati-va del vento rispetto a dove deve andare. In questavelocita occorre tener anche conto di eventuali cor-renti marine che provocano lo scarroccio, ovverosia loscivolare della barca lungo la corrente.

Le forze agenti nella direzione del moto sono quelladi avanzamento, esito della scomposizione della por-tanza, e quella di attrito, direttamente proporzionalealla velocita:

ma = Fa − βv (13)

il fattore β dipende dalla geometria dello scafo. L’at-trito dell’acqua e principalmente dovuto all’opposizio-ne diretta contro la prua che apre l’acqua. Il resto del-lo scafo passa quasi gratuitamente. Questo e il motivoper cui le barche piu lunghe vanno anche piu veloci:possono avere maggior peso e maggior superficie ve-lica, insomma tutto di piu, pagando praticamente lostesso prezzo all’attrito.

Se si ragiona sull’eq. (13), ci si rende conto che ognibarca ha la sua velocita limite: infatti all’acceleraredella barca, aumenta anche la velocita, che pero con-tribuisce negativamente all’eq. 13. La velocita limitesi realizza quando non c’e piu accelerazione, e dunquesara vlim = Fa/β.

Ovviamente in condizioni reali, Fa varia conti-nuamente, perche dipende dal vento, dunque questavelocita limite cambia molto spesso.

Esercizi

• Realizzare un foglio di calcolo per rendersi contodi come funziona l’eq. 13. Utilizzare dei valoriverosimili di Fa e β, compatibili con Luna Rossa,in maniera da ottenere una velocita limite di 15nodi ∼ 27 km/h

• Quando la barca ha raggiunto una sua velocita diregime, quali sono le forze che agiscono su di essa?E quale deve essere la loro risultante?

6 Il mare mosso

Spesso in barca ci si puo confrontare con condizionimeteorologiche difficili. Il vento molto forte puo esse-re controllato entro certi limiti riducendo la superficievelica. Le onde invece causano oscillazioni della bar-ca che possono diventare pericolose. Dei due modiprincipali di oscillazione di una barca, il rollio e quellotrasversale, mentre il beccheggio e quello longitudinale.L’energia, e dunque la pericolosita delle onde marine,dipende ovviamente dalla loro ampiezza. Pero non esufficiente. Occorre anche che la distanza tra due cre-ste (la lunghezza d’onda) sia anche confrontabile conla lunghezza (o la larghezza) dello scafo (fig. 9). Peresempio una barca di 15 metri soffrira molto onde fron-tali della lunghezza di una decina di metri, mentre unapiccola barca da diporto di 4 metri non avrebbe alcunproblema, perche scivolerebbe sulle onde. La stessabarca di 15 metri soffrirebbe meno mettendosi in dia-gonale o trasversalmente rispetto alla provenienza del-le onde. Dunque esiste un modo migliore di prenderele onde.

Figura 9: Onde pericolose e onde meno pericolose

La barca a vela pero ha un vantaggio rispetto allebarche a motore: il rollio e quasi assente, perche lapresenza delle vele e della chiglia ha una funzione sta-bilizzatrice e ammortizza gli impatti delle onde sulloscafo. Per di piu, di solito il vento e le onde provengonodalla stessa direzione. In questo caso le onde incido-no sulla barca con un angolo maggiore di 40◦ rispettoalla direzione di navigazione. Questo significa che dibolina la barca fende le onde in una maniera innocua.

Purtroppo non sono infrequenti i casi di onde di-scordi dal vento (quando il vento gira dopo una tem-pesta), e sono le condizioni piu pericolose per uno scafoa vela. Condizioni simili si possono trovare nei pressidello stretto di Magellano, la dove si incontrano l’O-ceano Pacifico e l’Atlantico. Da quelle parti si possonotrovare, oltre agli iceberg, le temibili onde piramidali.

E’ importante anche sapere che non sempre il po-sto piu sicuro e sotto costa. Infatti le onde marine sidiffrangono e una piccola rotazione del vento puo farsı che le onde girino intorno alla punta dietro cui cisiamo nascosti e ci sorprendano vicini agli scogli.

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7 Ancora Fisica a bordo

C’e ancora un sacco di Fisica a bordo di una barca avela.

7.1 L’ancora

L’ancora deve essere di peso non inferiore a un deci-mo del peso della barca. Il gioco delle forze e tra laforza di deriva, esercitata dalla corrente marina sul-lo scafo e proporzionale al peso della barca, e la forzad’attrito esercitata dall’ancora sul fondo, proporziona-le al peso dell’ancora. Per aumentare l’attrito si usanoforme particolari di ancora, che la fanno affondare nel-la sabbia. Il problema e che la barca ancorata oscilla(bandeggia) e puo far saltellare l’ancora, per questosi usano molti metri di catena, in maniera da teneregli ultimi metri prima dell’ancora sempre radenti alfondo.

7.2 L’albero

L’albero di una barca e un parafulmine fantastico. Disolito c’e una messa a terra tra l’albero e una partemetallica che va in acqua, per esempio l’albero motore.Bisogna curarsi di tenerla pulita.

Inoltre, essendo di solito l’albero di alluminio, risul-ta particolarmente soggetto alle correnti galvaniche.Bisogna stare molto attenti a non fare riparazioni inrame o altri metalli con proprieta elettriche simili. In-fatti si osserverebbe in breve tempo un logoramentodella struttura di alluminio o il cedimento della ripa-razione. Questo perche l’albero e perennemente umidoe si formano delle microcorrenti elettrolitiche, rinforza-te dalla presenza del sale marino. Questo significa chese abbiamo un pezzetto di rame sull’albero questo fun-zionera da elettrolito e attirera particelle di alluminiodell’albero circostante, logorandolo. E’ esattamentecio che accade nelle batterie: ci sono due metalli (inquesto caso rame e alluminio) posti in una soluzioneelettrolitica (in questo caso acqua con sale) e si formauna corrente continua. Se si hanno materiali diversi,per conoscere quale si corrode bisogna andare a leg-gere la serie galvanica, cioe un elenco di metalli chestabilisce quale dei due si dovrebbe corrodere prima inuna data soluzione elettrolitica. Si trovera per esem-pio che in acqua marina sul fondo della scala c’e lozinco9. Per questo lo zinco e usato per ricoprire leparti di alluminio: in questo caso lo zinco si comportasempre da anodo (di sacrificio) consumandosi al postodel metallo sottostante. Negli alberi di carbonio, piucostosi, questo problema e quasi assente.

9http://en.wikipedia.org/wiki/Galvanic_series

7.3 Strumenti, carteggio, meteorologia ealtro

Richiede nozioni di Fisica anche l’utilizzo di molti stru-menti di bordo, come il radar o il profondimetro. Poipuo essere interessante sapere come funziona il GPS,o gli altri metodi di rilevazione del punto nave. Inassenza di strumenti di bordo, si puo usare ancora latrigonometria per ricavare la distanza della barca daterra.

Ovviamente e indispensabile avere una bussola, chesfrutta il campo magnetico terrestre.

Molto interessanti sono anche le tecniche di carteg-gio, cioe la costruzione delle rotte. Le carte nautichedi solito riportano le principali informazioni sul ma-re e sulle coste, comprese le correnti. Se si navigasenza GPS, occorre tenere ben conto dello spazio per-corso e della direzione tenuta per poter essere piu omeno consapevoli di dove si e. Se poi si e particolar-mente avventurosi, si possono intraprendere delle rottetransoceaniche. Qui bisogna tener conto che la terra esferica e tenere sempre una direzione di bussola non si-gnifica necessariamente arrivare dove si desidera. Perconvincersene basta pensare che se tutti puntano versoNord, si ritrovano nello stesso punto.

Una parte fondamentale della navigazione e la cono-scenza della meteorologia. Per navigare bene, occorretenersi aggiornati sulle condizioni meteomarine. Bi-sogna cercare il vento, ma che non sia troppo. Inutiledire che le tecniche da vecchi marinai funzionano anchemeglio delle previsioni radio. Specialmente quando sidorme in rada, cioe in una baia, bisogna stare attenti:il vento, al passaggio di una perturbazione, puo ruo-tare di molti gradi, spesso di 180◦ e ci si puo ritrovarein difficolta, con vento e mare che spingono verso gliscogli.

Si puo ancora sfruttare la Fisica per avere l’acquacalda a bordo (la doccia solare) o un po’ di energiaelettrica (palette eoliche).

8 Glossario

bolina: andatura con il vento proveniente dal settoredi prua

bulbo: zona della chiglia che contiene la zavorra, puotrovarsi anche all’estremita della deriva

cazzare: tendere o tesare le cime, le scotte o le drizze

cima: corda generica di bordo

chiglia: parte dello scafo sotto la linea di galleggia-mento. Se si tratta di equilibrio della barca, direfar chiglia o mettere chiglia significa aggiungerepeso sul fondo della barca

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coperta: parte superiore dello scafo, dove avvengonola maggior parte delle manovre.

deriva: 1) ala o lama disposta sotto la chiglia inmaniera da limitarne lo scarroccio; 2) piccolaimbarcazione a vela a deriva estraibile

dislocamento: peso totale della barca

drizza: cima destinata all’issare le vele

fiocco o genoa: vela di prua nelle imbarcazioni mo-derne. Da ricordare che le prime tele genovesi concui si fecero i jeans erano proprio pezzi di velerotte

giardinetto: parti laterali della poppa

lasco: andatura con vento di poppa

nodi: 1) abilita indispensabile del marinaio. 2) ve-locita di una barca, corrispondente ad un migliomarino per ora (circa 1.8 km/h, ovvero circa 0.5m/s)

orzare: spostare la prua verso la direzione del vento

poggiare: spostare la poppa verso la direzione delvento, ossia assecondare il vento

poppa: parte posteriore della barca

prua: parte anteriore della barca

randa: forse dal veneziano: vela granda, vela dipoppa nelle imbarcazioni moderne

sbandare: inclinare la barca

scarroccio: lo scadere o scivolare della barca rispettoalla direzione scelta, puo avvenire sia per via dellacorrente sia per via del vento

scotta: cima che regola le vele orizzontalmente

scuffiare: ribaltare la barca finche l’albero tocca ilmare o addirittura non si immerge.

sopravvento: lato della barca dalla parte delladirezione di provenienza del vento

sottovento: lato della barca dalla parte opposta delladirezione di provenienza del vento

stazza: volume totale occupato dalla barca

stringere il vento: capacita della barca di avanzarecontro la direzione del vento

timone: ala o lama disposta generalmente sotto lapoppa per regolare la direzione della barca, puoessere governato da una barra o da una ruota.

traverso: andatura con il vento proveniente al-l’incirca perpendicolarmente alla direzione dimarcia

Riferimenti bibliografici

[1] Le cours des Glenans, 6eme edition, ed. Seuil

[2] Corso di FISICA I, Mencuccini Silvestrini -Liguori editore

[3] Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Lift_%28force%29

[4] Ancient Sailing and Navigation http://nabataea.net/sailing.html

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Università del Lazio La Sapienza – Tor Vergata – Roma Tre – IUSM – La Tuscia – Cassino – LUMSA Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario 

 

 

 

 

Relazione per il corso di  

Didattica della Fisica 

 

 

 

Il principio di conservazione dell'energia e la vita quotidiana 

 

 

 

 

 

 

 

Docente: Specializzandi:

Prof. Giovanni Vittorio Pallottino Salvatore Silvestri Rosario Iannone

Anno Accademico 2007/2008

 

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La legge di conservazione dell'energia e la vita quotidiana 

 

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Introduzione, target e prerequisiti La presente relazione è stata realizzata pensando a delle lezioni frontali in una V classe di 

un Liceo Scientifico. Si  ipotizza  l’ausilio di un PC o di un proiettore con  il quale mostrare  le diverse  figure    presenti  in  questo  lavoro  in  modo  da  suscitare  la  curiosità  dei  ragazzi  e mantenerne  desto  l’interesse.  Inoltre,  abbiamo  cercato  di  rendere  graduali  i  vari  passaggi, concentrando  l’attenzione  su  argomenti  di  interesse  generale  e  che,  nel  contempo,  possano risultare  coinvolgenti  per  gli  studenti:  in  particolare,  trattandosi  di  adolescenti,  abbiamo posto  l’attenzione  su  aspetti  inerenti  interessi  e  desideri  tipici  della  loro  età,  verso  i  quali, quindi, i ragazzi risultano essere molto sensibili (come ad esempio la musica e il rapporto con il loro peso corporeo). 

Ancora,  la presente relazione presenta molte domande che si possono porre agli studenti con il fine di suscitare un dibattito costruttivo che consenta di:  

• Riflettere sull’importanza del principio di conservazione dell’energia 

• Stimolare le capacità di astrazione e generalizzazione 

• Riflettere  sulle  possibili  interpretazioni  dei  fenomeni  quotidiani  alla  luce  del principio di conservazione dell’energia 

• Promuovere le capacità di transfer e problem solving 

• Favorire  scelte  decisionali  finalizzate  ad  un  utilizzo  equilibrato  delle  risorse energetiche a disposizione. 

 

Inoltre,  le  note  presenti  nel  testo  hanno  lo  scopo  di  puntualizzare  quegli  aspetti  che, nell’ambito delle lezioni, abbiamo ritenuto maggiormente delicati o per i quali si è ipotizzata la necessità di ulteriori chiarimenti. 

Per quanto concerne i prerequisiti è auspicabile che gli studenti conoscano bene: 

• i concetti di energia, lavoro, potenza e rendimento; 

• il  teorema  di  conservazione  dell’energia    meccanica  (sia  in  caso  di  forze conservative che dissipative); 

• il  primo  e  secondo principio  della  termodinamica  (in  particolare  l’equivalenza  tra calore e lavoro); 

• la legge di Fourier per la trasmissione del calore; 

• le leggi di Wien e di Stefan‐Boltzmann 

• i circuiti elettrici passivi con memoria e le equazione che li descrivono; 

 

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 Indirizzo: MFI  Classe: A38-A49 Specializzandi: Salvatore Silvestri e Rosario Iannone 

    3/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

Il Principio di conservazione dell’energia e la vita quotidiana  

Nella  nostra  vita  quotidiana,  anche  se  spesso  non  ce  ne  accorgiamo,  ci  imbattiamo continuamente  in  fenomeni  che  possono  essere  agevolmente  interpretati  (almeno  in  prima approssimazione) alla luce del principio di conservazione dell’energia (PCE).  

Molte  volte  addirittura,  in modo  più  o  meno  consapevole,  utilizziamo  tale  principio  per eseguire  veri  e  propri  bilanci  energetici  grazie  ai  quali  riusciamo  a  decidere  se  una  data soluzione sia quella che fa al caso nostro o meno. 

Proprio qualche giorno fa, ad esempio, Salvatore ha deciso di comprare un nuovo sistema audio per  la  sua auto e  si  è  rivolto ad un negozio  specializzato dove ha  trovato una grande varietà  di  autoradio,  amplificatori,  altoparlanti  ecc.:  ma  come  farà  a  scegliere  in  modo adeguato  tra  le  possibili  soluzioni?  Quale  autoradio?  Quali  altoparlanti?  Sarà  necessario aggiungere un amplificatore? E la batteria dell’auto sarà capace di fornire l’energia necessaria o ne servirà una più “grande”?  

È evidente che, a parte la scelta puramente estetica e funzionale, tale problema si traduce in una valutazione delle potenze in gioco e quindi in un bilancio energetico. 

A ben vedere, le considerazioni sui bilanci energetici condizionano costantemente le scelte che  facciamo  nella  nostra  vita  quotidiana:  quando  acquistiamo  un  elettrodomestico  siamo soliti considerare prima di tutto la classe energetica; nella scelta di infissi e serramenti per la nostra  abitazione  ricerchiamo  materiali  e  soluzioni  che  ci  assicurino  un  buon  isolamento termico  con  l’esterno;  accendendo  un  condizionatore  chiudiamo  sempre  le  finestre  ed eventualmente le porte della camera; quando dobbiamo uscire ci assicuriamo che le batterie del nostro cellulare, del lettore o del portatile abbiano sufficiente carica. 

Inoltre, se facciamo un’analisi più approfondita, ci rendiamo conto che addirittura il nostro aspetto fisico è condizionato dal principio di conservazione dell’energia. Quante volte  infatti sentiamo persone che si lamentano del fatto che pur mangiando poco non riescono a perdere peso, a differenza di altre che pur mangiando senza ritegno non riescono a metter su alcun kg.  

Come  mai  accade  ciò?  Quale  potrebbe  essere  una  semplice  spiegazione  per  queste differenze? Quali sono i principali fattori energetici che entrano in gioco in queste situazioni?  

Questi  sono  solo  alcuni  degli  innumerevoli  esempi  in  cui  il  principio  di  conservazione dell’energia trova una sua espressione: ma cosa afferma tale principio?   

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    4/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

La frase di Lavoisier (Parigi, 26 agosto1743 – Parigi, 8 maggio 1794), “Niente si crea, nulla si  distrugge,  tutto  si  trasforma”,  può  aiutarci  a  capire  e  a  tenere  in  mente  l’essenza  del “nostro” principio1.  

Questa  affermazione,  in  particolare,  sancisce  che  l’energia  posseduta  da  un  sistema,  la quale com’è ben noto è pari alla somma delle diverse forme di energia possedute dallo stesso,  non può variare nel tempo ma deve necessariamente mantenersi costante, ossia: 

 

 

 

Si pensi ad esempio ad un corpo lanciato in aria in assenza di forze dissipative: al momento del  lancio  il  corpo  possiede  un’energia  cinetica massima  e  pari  a      (dove  vi  è  la 

velocità iniziale del corpo), mentre quando raggiunge il suo punto di massima elevazione non possiede più alcuna energia cinetica, ma solo energia potenziale di valore   ∆ , in cui Δh  è  la  differenza  tra  la  quota  massima  raggiunta  e  quella  di  partenza.  L’energia  cinetica iniziale,  tuttavia,  non  si  è  distrutta,  si  è  semplicemente  trasformata  in  energia  potenziale, tant’è vero che il corpo ricomincerà a muoversi verso il basso per avere, una volta raggiunta la quota iniziale, la stessa energia cinetica posseduta inizialmente; in altri termini, in assenza di forze dissipative, l’energia posseduta da questo corpo resterà sempre la stessa … ma dove ha preso questa energia il corpo? 

Ipotizzando  che  siamo  stati  noi  a  lanciarlo  in  aria,  potremmo  affermare  che  tale  energia proviene da noi … ma noi, da dove l’abbiamo presa? Indubbiamente dal cibo che mangiamo, il quale a sua volta potrebbe averla presa, ad esempio, dalla terra, dall’acqua, dal sole e così via. D’altro canto, sappiamo che i fenomeni che esistono in natura sono generalmente dissipativi, quindi  quota  parte  dell’energia  in  gioco  viene  sempre  dissipata  …  ma  che  fine  fa  questa energia? 

Coerentemente  con  il  PCE  essa  non  sparisce, ma  viene  ceduta  al  sistema  sotto  forma  di calore, che a sua volta contribuisce a riscaldare l’aria e di conseguenza noi, le piante e così via. 

In altri  termini, possiamo affermare che esiste  sempre una  lunga “catena”  (generalmente chiusa)  di  trasmissione  e  trasformazioni  dell’energia,  attraverso  le  quali  essa  viene “riutilizzata”: si potrebbe dire che dell’energia non si butta mai niente2  (Fig. 1). 

                                                            1 Fino alla formulazione della Teoria della Relatività ristretta (1905) di Einstein, energia e massa erano considerate due quantità distinte, per ciascuna delle quali valeva un distinto principio di conservazione (della massa e dell’energia, appunto). Fu proprio tale teoria infatti, con la famosa formula  , a sancire l’equivalenza tra massa ed energia e a riunirle in un unico principio di conservazione: pertanto, le parole “niente”, “nulla e “tutto” pronunciate da Lavoisier sono da considerarsi in relazione all’insieme energia‐massa. 

2 Qui sarebbe bene porre agli studenti la domanda: “l’energia è sempre riutilizzabile?”.  A tal proposito si potrebbe accennare ai concetti di “exergia” e “anergia”, utilizzati dagli ingegneri in termodinamica. 

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    5/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

 

 

L’essere  umano,  quindi,  acquisisce  energia  principalmente  dal  cibo  che  mangia:  si  può notare,  infatti,  che  sulla  confezione  di  ogni  alimento  che  acquistiamo  è  sempre  riportata l’energia  che  questo  ci  fornisce  (di  solito  fornita  in  kcal  o  kJ  per  ogni  100  g  di  prodotto)3. Orientativamente, un uomo assume circa 2000 kcal al giorno pari a  8400 kJ, ossia4 2.3 kWh (che equivale all’energia utilizzata da un normale phon acceso per circa 2 ore). 

Ma dove si trova questa energia? Essa è immagazzinata nei  legami chimici delle molecole che  costituiscono  i  cibi:  ad esempio 1 g di proteine  immagazzina 4 kcal, 1 g di  zuccheri 3.9 kcal, 1 g di grassi 9 kcal. Per estrarre questa energia, il corpo umano “brucia” i cibi rompendo i legami molecolari: si tratta di un vero e proprio processo di combustione, simile a quello che ha luogo nel motore di un automobile5. 

Una volta estratta, parte di questa energia viene dissipata nello svolgimento delle normali attività  fisiche umane: camminare,  salire  le scale,  lavorare,  fare sport, muoversi  in generale, ecc.: indichiamo questa quota parte con  Eaf (energia per l’attività fisica). È bene sottolineare ancora una volta che  le attività  fisiche non comportano  la distruzione di energia, ma solo  la trasformazione di essa in energia cinetica (movimenti del corpo, delle sue parti, di altri oggetti ecc.), potenziale (modifica dello stato del corpo, delle   sue parti o di altri oggetti) e dissipata (ossia trasmessa all’ambiente circostante sotto forma di calore). Tutto qui?  

No:  il  corpo  umano,  infatti,    “soltanto”  per  rimanere  in  vita  e  mantenere  attivi  tutti  i processi biologici dissipa una certa quantità di energia per il cosiddetto Metabolismo Basale: indichiamo tale quota parte con Emb. È grazie a questa energia che ad esempio  il nostro cuore è  in  grado  di  battere  e  pompare  il  sangue  che  scorrerà  nelle  vene  ed  arterie  raggiungendo tutte  le  cellule  del  corpo,  i  polmoni  possono  riempirsi  e  svuotarsi  di  aria  sotto  l’azione  dei muscoli respiratori, le cellule possono a loro volta produrre energia attraverso la respirazione                                                             3 Ricordiamo che una kcal corrisponde a 4.186 kJ. 4 Si invitano gli studenti ad eseguire i calcoli per verificare questi valori. 5 Si può qui creare un collegamento con l’insegnamento di chimica e/o di biologia per una spiegazione più corretta e dettagliata dei fenomeni oltre che per fornire agli studenti la possibilità di ragionare in modo trasversale alle diverse materie e comprenderne in modo più completo e definito i vari concetti. 

Ambiente 

Cibo

Sole

Si può discutere questo schema semplificato con gli studenti: chi fornisce energia al sole? L’uomo fornisce energia al cibo? Se si, che tipo di energia è e che fine fa? Se l’uomo non mangia questo cibo, la sua energia sarà persa? Perché è mostrata una freccia rossa (energia dissipata) dal cibo verso l’ambiente? Se il cibo fosse lasciato a marcire che fine farebbe 

Figura 1

Page 79: sviluppo di proposte didattiche

 

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    6/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

cellulare e così via. Non va inoltre dimenticato che l’organismo umano è anche composto da un’articolata  “rete  elettronica”,  costituita  dal  nostro  sistema  nervoso  centrale  e  da  quello periferico,  il  quale  trasmette  continuamente  impulsi  elettrici  (ossia  nervosi)  e  anche  tale apparato utilizza una certa energia. 

Tutta  questa  energia  è  dissipata  sotto  forma  di  calore  e  contribuisce  a  mantenere costantemente la temperatura del nostro corpo ad un valore di riferimento di circa 37°C. 

Riepilogando,  quindi,  ogni  essere  umano  acquisisce  energia  dall’esterno  (Ein) principalmente dai cibi che mangia e dissipa energia per sopravvivere e svolgere  le normali attività fisiche, energia questa che viene ceduta all’ambiente sotto forma di calore. Ciò si può schematizzare con la figura seguente (Fig. 2): 

 

 

 

Tuttavia, non è detto che tutta l’energia acquisita venga utilizzata per le attività fisiche e/o per il metabolismo basale, o viceversa che essa risulti sufficiente per tali attività. Si possono allora distinguere i tre casi: 

 

a)  b)  c)  

 

Concentriamoci  su  primo  di  questi:  che  fine  fa  l’energia  che  eccede?  Indubbiamente  si trasforma in energia potenziale: ma di che tipo? 

Parte  di  essa  contribuisce  all’energia  potenziale  gravitazionale  posseduta  dal  corpo, un’altra parte rimane in circolo sotto forma di zuccheri per l’utilizzo immediato, un’altra parte viene invece convertita in energie di riserva , ossia i grassi6. 

Senza  entrare  troppo  nello  specifico,  dovrebbe  quindi  risultare  chiaro  che  la  prima condizione è quella che favorisce l’accumulo di grassi in un individuo, la seconda invece porta ad  un  dimagrimento  (almeno  in  prima  approssimazione),  mentre  la  terza  porta  ad  un equilibrio energetico.  

                                                            6 Tutte queste possono essere considerate energie potenziali. 

Ein 

Ambiente 

Attività fisiche

Metabolismo basale

Eaf

Cibo  Emb

Figura 2

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    7/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

Le  energie  accumulate  (Eacc),  quindi,  sono  date  dalla  differenza  tra  energie  acquisite  ed energie dissipate, cioè: 

 

1  

 

Questo  altro  non  è  se  non  un’altra  espressione  del  nostro  PCE,  riferito  in  questo  caso  al sistema cibo+essere umano+ambiente che stiamo considerando: infatti, la quantità totale di energia  posseduta  da  tale  sistema  rimane  costante,  non  si  crea  ne  si  distrugge  nulla, ma  si verificano  solo  trasformazioni  di  energia  da  potenziale  contenuta  nel  cibo  a  potenziale contenuta nell’individuo sotto forma di grassi e/o zuccheri, a meccanica (attività  fisiche), ad energia dissipata nell’ambiente (calore sprigionato per attività fisica, per metabolismo basale, per trasformazioni chimiche) e così via. 

In base a tale modello, quindi, se ad esempio Luigi ha un metabolismo basale giornaliero di 1 kWh7 e nell’arco della giornata compie lavoro per 3 kWh, qual è (indicativamente) l’apporto energetico massimo che può assumere Luigi durante la giornata per lavorare senza correre il rischio di ingrassare8? 

A  questo  punto  gli  studenti  dovrebbero  essere  in  grado  di  capire  perché,  a  “parità”  di attività  fisica  e  di  cibo mangiato,  esistono  persone  che  ingrassano  più  facilmente  di  altre9: naturalmente la risposta risiede nel metabolismo del singolo individuo, che nelle prime risulta essere più basso. Il modello proposto, inoltre, mostra come le uniche alternative che abbiamo per  smaltire  i  grassi  in  eccesso  o  per  acquistarne  di  nuovi  siano,  ipotizzando  che  il metabolismo  di  un  individuo  non  vari  nel  tempo  (nota  6),  quella  di  modificare  l’apporto nutrizionale (cibi con meno/più calorie10) e/o variare l’attività fisica praticata. 

 

Quanto finora esposto, proprio in quanto riferito ad un teorema di indubbia generalità, può essere  agevolmente  applicato  per  rispondere  alle  domande  di  Salvatore  sull’acquisto  di  un nuovo sistema audio per la sua auto: in particolare, sapendo che 

                                                            7 Espresso volutamente in kWh per far esercitare sui cambi di unità di misura (kJ, kcal) e avere un’idea sui diversi ordini di grandezza. 

8 Va notato che i processi esposti in questa relazione contengono molte semplificazioni, è quindi bene dare un’idea agli studenti del fatto che l’organismo ha una forte capacità di adattamento, per cui si tende ad abituarsi all’apporto energetico che riceve e si adatta nei consumi (con conseguente senso di stanchezza), per questo, ad esempio, nelle diete si consiglia sempre un giorno settimanale di break in cui mangiare in modo normale. Sicuramente questo può essere un argomento di competenza dell’insegnamento di biologia.   

9 Anche questa è una semplificazione, in quanto non tutti assimiliamo allo stesso modo gli apporti nutrizionali dei cibi, così come esistono ricerche svedesi che portano a pensare che ogni essere umano sia dotato di un determinato numero di cellule grasse (adipociti)  stabilite nell’infanzia e che resta costante per tutta la vita: queste si si comportano come sacche che possono svuotarsi o riempirsi, ma mai distrutte.  

10 In realtà esistono anche teorie che oltre all’apporto energetico guardano al tipo di alimenti ingeriti (diete dissociate, diete a zone, fruttosio in sostituzione del glucosio ecc), ma ciò esula dai fini del presente lavoro, anche se è bene tener presente queste considerazioni qualora qualche studente ponga la questione. 

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    8/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

tutte le autoradio in commercio nel negozio forniscono una potenza di uscita pari a 50X4 W 11;  Salvatore ha acquistato anche 4 altoparlanti da 150 W12 ed un amplificatore13 da  120X4 W;  l’auto ha in dotazione una batteria da 12 V e 60Ah;  sia l’autoradio che l’amplificatore dissipano circa 1 W ciascuno; 

 

stabilire  qual  è  la  potenza  massima  che  può  essere  assorbita  dal  sistema  autoradio  + amplificatore +  casse  dalla  batteria  e  quale  quella  dissipata.  (fare  riferimento  alla  Fig.  3, dove  le  connessioni  dell’alimentazione  sono  riportate  in  rosso  e  quelle  relative  ai  segnali audio in blu) 

 

  

 

Determinare  inoltre,  come  devono  essere  dimensionati  i  fusibili  collegati  all’autoradio  e all’amplificatore14? A macchina spenta e sistema audio alla “massimo potenza”, dopo quanto tempo la batteria si esaurirà? Infine, qual è il rendimento del sistema in queste condizioni?  

Passiamo ora ad un livello di astrazione maggiore. È bene notare l’analogia tra il modello del  sistema  audio  analizzato  e  il  modello  proposto  per  il  bilancio  energetico  di  un  essere umano: entrambi infatti possono essere rappresentati con lo schema seguente15 (Fig. 4) 

                                                            11 Si spiega che si intende che possono essere collegate 4 altoparlanti, ad ognuno dei quali può fornire al massimo una potenza di 50 W 

12 Ossia che possono ricevere al massimo 150 W ognuna 13 Si spiega agli studenti che l’amplificatore audio riceve agli ingressi le uscite dell’autoradio (con un’impedenza che possiamo supporre infinita) e può fornire alle sue uscite gli stessi segnali ma con una potenza fino a 120 W. 

14 Si ricorda agli studenti che un fusibile è un dispositivo che interrompe il collegamento se la corrente che lo attraversa oltrepassa un dato limite (appunto il valore da determinare) 

15 Lo schema sarà prima discusso con gli studenti. 

50X4 W 120X4 W

150 W 150 W 

150 W 150 W 

F1 F2 

Figura 3

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    9/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

 

 

Come  si  vede,  è  sempre  presente  una  sorgente  da  cui  arriva  l’energia  necessaria  e  un ambiente verso cui confluisce l’energia dissipata. Tra questi è collocato il nostro sottosistema, il  quale  composto  da  più moduli  che  insieme  provvedono  a  produrre  l’“effetto  desiderato”, ossia il lavoro.  

Considerando  il nostro sistema audio alla  luce di  tale  schema, possiamo affermare che  la batteria è sicuramente16 la nostra sorgente, mentre il sottosistema può essere pensato come composto dall’autoradio, dagli  altoparlanti e dall’amplificatore  (anche qui vale quanto detto nella nota 11). Ma qual è il lavoro prodotto dal nostro sottosistema? Si tratta naturalmente di energia acustica17.  

Per  quanto  concerne  infine  l’ambiente  esterno,  possiamo  pensare  che  questo  sia identificato da tutto ciò che rimane. 

Nel  caso  del  modello  per  il  bilancio  energetico  dell’essere  umano,  invece,  la  sorgente  è rappresentata  dal  cibo,  il  nostro  sottosistema  di  interesse  dallo  stesso  essere  umano  e  il lavoro prodotto da qualunque attività  stiamo considerando. Anche qui  l’ambiente esterno è rappresentato da tutto il resto e l’energia è dissipata sotto forma di calore. 

Ma  fermiamoci  a  ragionare  su quest’ultimo punto e  ricordiamo che questi  sistemi  (come tutti quelli reali) per funzionare producono necessariamente del calore: i muscoli, ad esempio, sono  soggetti  ad  attrito,  come  anche  il  sangue,  le  cellule  sprigionano  energia  nella respirazione cellulare,  il passaggio di corrente elettrica in un conduttore produce calore per effetto  joule  e  così  via.  Ma  cosa  succederebbe  se  i  due  sistemi  non  cedessero  del  calore all’esterno? La temperatura salirebbe indefinitamente, fino alla rottura del sistema stesso. 

Questa  trasmissione del  calore  all’ambiente  esterno  è  quindi molto  importante  al  fine  di mantenere  la temperatura del sistema entro certi  limiti, basti pensare che ad esempio molti apparati elettronici sono provvisti di dissipatori termici (alette di raffreddamento, ventole di                                                             16 Il concetto di sorgente è in realtà più complesso, basti pensare che a seconda delle grandezze di interesse si può pensare di scegliere il sistema che ci fa più comodo come  sorgente: magari questo è un aspetto da far notare agli studenti una volta che hanno assimilato quanto illustrato in questa relazione.  

17 Qui confidiamo che gli studenti siano consapevoli dell’equivalenza tra lavoro, energia e calore (il primo principio della termodinamica è uno dei prerequisiti). 

Sorgente Energia entrante  Energia dissipata

Sistema isolato 

Lavoro

Sottosistema considerato 

Ambiente 

Figura 4

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    10/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

raffreddamento dei processori ecc), come anche i motori delle automobili (raffreddamento a liquido  e  radiatori),  i  frigoriferi  ecc..  L’organismo  umano,  addirittura,  possiede  un  intero sistema  appositamente  dedicato  a  questa  mansione  noto  con  il  nome  di  sistema termoregolatore. 

Semplificando  la (1),  il PCE ci dice che  l’energia dissipata deve essere pari alla differenza tra l’energia acquisita e quella accumulata: 

 

2     

 

D’altro  canto,  l’energia  trasmessa  all’ambiente  sotto  forma  di  calore  dipende  dalla temperatura del sistema, dalla temperatura dell’ambiente esterno, dalla resistenza termica tra il sistema e l’ambiente e da altri fattori, come ad esempio il tasso di umidità dell’ambiente.  

Concentriamo la nostra attenzione sul corpo umano. La trasmissione del calore avviene sia per conduzione termica che per irraggiamento e per convezione. Di questi ultimi due, com’è noto,  l’irraggiamento  dipende  principalmente  dalla  temperatura  del  corpo  considerato, mentre la convezione dipende dalle caratteristiche del fluido che circonda il corpo (l’aria!). 

Sulla prima, quindi, non possiamo agire, mentre sulla seconda può intervenire (entro certi limiti)  sia  il  nostro  sistema  termoregolatore  attraverso  strategie  quali  ad  esempio  la sudorazione,  sia  noi  stessi  utilizzando  ad  esempio  ventilatori/ventagli  i  quali  hanno  la funzione  di  agevolare  la  rimozione  dello  strato  di  vapore  che  si  crea  sulla  pelle  durante  la sudorazione stessa agevolandone l’evaporazione18.   

L’aspetto su cui invece possiamo sicuramente intervenire è la trasmissione per conduzione. Ricordiamo qui che questa è regolata dalla legge di Fourier: 

 

 

∆ ·· 

 

 

In  cui  Q  è  il  calore  che  fluisce  da  una  faccia  del  corpo  a  temperatura  T2  ad  un’altra  a temperatura T1, S la superficie di tali facce, Δt l’intervallo di tempo considerato, L lo spessore del  corpo  (ossia  la  distanza  tra  le  due  facce)  e  K  la  conducibilità  termica  del  corpo  stesso. 

Notiamo l’analogia tra questa relazione e la legge di Ohm (RVI Δ

= ).  

                                                            18 Solo su tali argomenti si potrebbe discutere a lungo. 

T2  T1 RΔV 

Ι 

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    11/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

Dalla relazione di Fourier19 appare evidente come il calore trasmesso aumenta all’aumentare della superficie di contatto. Ecco  perché  quando  abbiamo  freddo  tendiamo  a rannicchiarci:  cerchiamo  di  ridurre  la  superficie  di  scambio con  l’esterno.  Inoltre  Q  diminuisce  al  diminuire  della conducibilità  termica  (o  in  modo  equivalente  all’aumentare della resistenza termica, che è pari all’inverso di K) allo stesso modo  in  cui  aumentando  la  resistenza  del  circuito  in  figura diminuisce la corrente elettrica che vi circola: questo è ciò che avviene quando abbiamo freddo e indossiamo ad esempio un maglione di lana  (Fig. 5). 

 

 

 

 

 

In  altri  termini,  la  lana  aumenta  la  resistenza  termica  tra noi e l’ambiente esterno (che si trova a temperatura più bassa rispetto  a  noi),  quindi  la  quantità  che  viene  prelevata  dal corpo a causa della bassa temperatura esterna si riduce ed il sistema  termoregolatore  può  continuare  a  svolgere  le  sue funzione entro i limiti di energia di cui può disporre (Eris). 

Il  punto  cruciale  di  questo  discorso  è  che  il  sistema termoregolatore  può  aumentare  la  quantità  di  calore prodotto solo entro certi  limiti,  che prevedono strategie come aumento del battito cardiaco, accelerazione  della  velocità  sanguigna,  vasocostrizione,  movimenti  involontari  dei  muscoli (infatti  tremiamo  e  battiamo  i  denti),  oltre  i  quali  non  può  più  nulla.  Quindi,  quello  che facciamo in questi casi è di diminuire la quantità di calore che ci viene prelevata dall’ambiente esterno  in  modo  che  il  nostro  sistema  termoregolatore  possa  mantenere  costante  la temperatura corporea senza eccessiva  fatica. Certo, un’altra soluzione consiste nel  ricercare calore  dall’esterno  (rappresentato  nello  schema  da  Eest),  cercando  di  aumentare  la temperatura. Ma quali  sono  le  forme di  energia  solitamente utilizzate per produrre  energia 

                                                            19 In realtà gli scambi termici tra corpo umano e ambiente coinvolgono anche fenomeni di irraggiamento e moti convettivi: di questo si può accennare qualcosa agli studenti, ma esula dai fini di questa relazione. 

Corpo (intervento del Sistema Termoregolatore) 

Eout

T1

 

Ambiente esterno 

T2

Riserve energetiche 

Eris 

Maglia 

di 

lana 

Ediss

Eest 

A proposito, come può essere interpretata la sensazione di freddo o caldo? Si potrebbe legare alla quantità di calore che viene scambiata istante per istante (potenza termica). 

Figura 5

Quali sono le strategie del nostro sistema termoregolatore per incrementare o ridurre la quantità di calore prodotto e agevolarne o meno la 

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    12/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

termica? Sono principalmente quella chimica che viene liberata con i processi di combustione di combustibili quali legna, gas, gasolio ecc. e quella elettrica convertita in termica per effetto Joule: 

 

· ·  

 

Dove  R  è  la  resistenza  elettrica  dell’apparecchio  utilizzato.  A  tal  proposito,  quant’è  la corrente  che  attraversa  una  stufetta  elettrica  da  1.5  kW?  Quanta  energia  consuma  questa stufetta accesa per un’ora? Quanta energia termica produce in kcal? Confrontarla con l’energia giornaliera consumata in media da un essere umano (2000 kcal). 

Quanto gas servirebbe per ottenere  lo stesso effetto? Dato  il potere calorifico del metano calcolare  il  volume  di  gas  necessario  e  poi  fare  un  confronto  tra  i  costi  del  riscaldamento elettrico e di quello a gas20. Si può fare una riflessione sul perché in Italia non è conveniente usare il riscaldamento elettrico (nemmeno per cucinare) mentre lo è in altre nazioni (Francia, Germania, ecc…). 

Per  il  PCE,  quindi,  l’energia  del  sistema  “isolato”  (possiamo  pensare  ad  esempio  ad  una stanza  comprendente  anche  il  combustibile,  ad  esempio  un  camino  o  una  stufa  a  gas) dovrebbe  rimanere  costante:  l’energia  chimica  del  combustibile  si  trasforma  in  calore  che contribuisce  ad  incrementare  la  temperatura dell’ambiente  e quindi  anche  l’energia  interna dell’aria contenuta in essa. Tuttavia, è esperienza di tutti il fatto che se spegniamo la stufa la temperatura  della  stanza  inizia  a  decrescere,  mentre  per  il  PCE  la  temperatura  dovrebbe restare  costante:  allora,  cosa  non  sta  funzionando?  Semplicemente  il  nostro  sistema  stanza non  è  un  sistema  isolato:  infatti  le  pareti,  le  finestre,  le  porte  ecc.  possiedono  una  certa conduttività, quindi scambiano calore con l’esterno. Semplificando quanto possibile possiamo descrivere il sistema con21: 

• Una stanza di capacità termica Ct; 

• Una capacità termica esterna Ce praticamente infinita (cosa significa considerare Ce infinita?); 

• Una  temperatura  interna T(t)  (variabile  nel  tempo),  ed  una  temperatura  esterna supposta costante Te; 

• Finestre e pareti con una certa resistenza termica Rt; 

• Le sorgenti di calore (noi, stufa a gas/camino ecc) che forniscono una potenza p(t); 

 

                                                            20 Alcuni dati indicativi ricavati dalle bollette di gas e elettricità: Potere calorifico superiore convenzionale del gas 39.81 MJ/m3; costo del gas (ricavarlo da una bolletta non è proprio banale per la grande quantità di voci inserite)      1 €/ m3; costo (solo la parte variabile) dell’energia elettrica 0,19 €/kWh. 

21 Dalle dispense del corso di Didattica della Fisica,del prof. Pallottino, “Le analogie in Fisica”, pag. 4. 

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    13/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

Il bilancio termico dell’ambiente si può esprimere come segue: 

 

   

Analizzando questa relazione ci si può rendere conto che essa descrive il circuito elettrico riportato nella figura seguente (nota 21): 

 

 

 

 

 

 

 

Da cosa è rappresentata l’energia dispersa verso l’esterno? Dalla corrente I sulla resistenza Rt. Cosa si può  fare per  risparmiare energia? Tenere più bassa possibile Ti    (indossando un buon maglione  per  non  avere  freddo…)  o  aumentare  Rt,  migliorando  l’isolamento  termico: doppie  finestre, materiali  costruttivi  più  isolanti, muri  con  intercapedini,  pavimenti  isolanti ecc. 

E quando  fa  caldo? La  situazione è quella opposta,  cioè  il  nostro organismo non  riesce  a smaltire  il  calore  che  produce  e  pertanto  si  innescano  meccanismi  quali  la  sudorazione (perché  la  sudorazione  ci  aiuta  ad  abbassare  la  temperatura  corporea?),  la  vasodilatazione, l’abbassamento del battito cardiaco ecc. In questi casi l’uso del ventilatore può aiutarci … ma solo  entro  certi  limiti:  questo,  infatti,  non  fa  altro  che  “muovere  l’aria”  contribuendo  ad incrementare  i moti  convettivi dell’aria e di  conseguenza a rimuovere costantemente quello strato di vapore che si  forma sulla pelle durante  la  sudorazione  (perché  il  vapore ci aiuta a “smaltire” il calore in eccesso?).   

Supponiamo ora di  essere  in una  stanza e  che  fuori  faccia molto  caldo.  Possiamo ancora usare il circuito di Fig. 6, con le dovute precauzioni:  il generatore di corrente in questo caso siamo  noi  e  Te>Ti(t).  Cosa  succede  allora  in  questo  caso?  Esiste  quindi  un  flusso  di  calore (ossia di corrente, riferito al circuito) dall’esterno della stanza verso l’interno ed un altro da noi  verso  l’esterno  del  nostro  corpo:  di  conseguenza Ti  tende  ad  aumentare  verso  Te.  Cosa possiamo  fare  allora  per  raffreddare  la  stanza?  Una  soluzione  consiste  nel  sottrarre  calore dalla  stanza  (a  temperatura  Ti)  e  dirigerlo  verso  l’esterno,  ma  ciò,  per  il  II  principio  della termodinamica,  implica  un  certo  lavoro  da  compiere,  ossia  l’utilizzo  di  ulteriore  energia:  è proprio questo che fanno i condizionatori, ossia sottraggono calore dalla stanza e lo riversano 

Sorgenti di calore: generatore di corrente 

Temperatura esterna: generatore di tensione  

p(t)  Text

T(t)

Ct

Rt

Figura 6

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    14/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

all’esterno utilizzando l’energia elettrica fornita dalla rete domestica. Il circuito in questo caso potrebbe essere il seguente: 

 

 

 

 

Naturalmente,  il  condizionatore  sottraendo  energia  alla  stanza  consente  di  ottenere Temperature interne inferiori di quelle esterne, di conseguenza attraverso i muri,  le finestre ecc.    (Rt)  il  calore  tende  sempre  a  confluire  verso  la  stanza  e  l’isolamento  di  tali  strutture, anche in questo caso, è essenziale. 

Ma cosa succede all’esterno? L’energia sottratta (Pc) alla stanza va a sommarsi all’energia dell’ambiente  esterno:  tale energia per  il  PCE è pari  al  lavoro effettuato dal  condizionatore, ossia è pari all’energia sottratta dalla rete elettrica (considerando che i condizionatori hanno solitamente il motore esterno rispetto all’ambiente domestico, che ruolo gioco il rendimento energetico  in  tale  situazione?)  più  l’energia  prodotta  all’interno  della  stanza  dalle  varie sorgenti e l’energia che dall’esterno confluisce verso l’ambiente interno attraverso i muri e le pareti22.  Ciò,  naturalmente,  tende  ad  aumentare  la  temperatura  esterna  dell’ambiente23 (soprattutto  se  si  considerano  città altamente  “popolate” da  condizionatori  e  afflitte da una cappa di smog che tende ad ostacolare  la “dispersione” del calore) e porta noi stessi,  in una vera  e  propria  controreazione  positiva,  a  caricare  di  maggior  lavoro  il  condizionatore  che quindi riverserà ancora più energia sull’ambiente esterno24. 

Una buona prassi, quindi, per evitare di danneggiare l’ambiente (e anche le nostre tasche) consiste ad esempio nel progettare edifici  sufficientemente  isolati  (o  sostituire quantomeno infissi  e  serramenti  in  case  già  esistenti),  chiudere  tutte  le  finestre  e  le  porte  durante  il 

                                                            22 Considerando il funzionamento a regime ed ipotizzando che il condizionatore sia in grado di mantenere l’ambiente in cui si trova alla temperatura fissata.  

23 Qui si può richiamare il caso analogo del frigorifero aperto in una stanza e riflettere sull’andamento della temperatura della stanza. 

24 Si potrebbe qui discutere sul fenomeno delle isole termiche cittadine, zone circoscritte in cui la densità di energia risulta essere, a causa di diversi fattori (compresi quelli che abbiamo accennato),  molto superiore alla media. 

 

Condizionatore: generatore di corrente

Sorgenti di calore: generatore di corrente 

Temperatura esterna: generatore di tensione  

p(t)  Text

T(t)

Ct

Rt

pc(t)

Figura 7

Page 88: sviluppo di proposte didattiche

 

 Indirizzo: MFI  Classe: A38-A49 Specializzandi: Salvatore Silvestri e Rosario Iannone 

    15/15 Relazione per il corso di Didattica della Fisica  SSIS ‐ IX Ciclo 

funzionamento del dispositivo (anche per evitare che lo stesso non sia in grado di eseguire il suo lavoro e quindi si danneggi25), ridurre le sorgenti di calore nelle stanze. 

Per  questo  ultimo  punto,  va  considerato  ad  esempio  che  una  normale  lampada  ad incandescenza ha un rendimento luminoso che non supera in media il 5%, quindi gran parte dell’energia  che  assorbe  va  “persa”  sotto  forma  di  calore  senza  per  questo  averne  benefici consistenti in termini di luminosità.  

Se ad esempio consideriamo una  lampada da 100W, questa produce 5 W associati a  luce visibile  e  95  W  per  radiazioni  di  cui  al  nostro  occhio  non  può  interessare  di  meno (principalmente nel range dell’infrarosso e, per percentuali trascurabili, nell’ultravioletto). A tal proposito, si ricorda che coerentemente alla legge di Stefan‐Boltzmann la potenza irradiata da una sorgente a temperatura T è pari a  · ·  in cui    è la costante di Boltzmann ed   è  l’emissività;  inoltre,  per  la  legge  di Wienn  la  relazione  tra  lunghezza  d’onda  del  picco  di  un'emissione da parte di un corpo nero e la sua temperatura è data da     con b costante e 

pari a circa: 2.89 · 10 · .  

Quindi, se si considera che in una lampadina ad  incandescenza  il  tungsteno  raggiunge temperature ci circa 2700 K, si vede che il picco di energia trasmessa si ha per lunghezze d’onda pari  a  1.05  · 10 ,  cioè  nel  campo dell’infrarosso.  La  luce  visibile,  invece,  ha lunghezze d’onda che variano tra i 400 e i 700 nanometri:  se  analizziamo  quindi  la distribuzione  della  potenza  irradiata    in funzione  della  lunghezza  d’onda  (Fig.  8)  ci rendiamo  subito  conto  che  la  potenza  emessa nel  range  del  visibile  è  realmente  poca,  quasi trascurabile rispetto a quella emessa nell’infrarosso che ne rappresenta quasi la totalità, il che spiega il basso rendimento luminoso delle lampadine al tungsteno ed il conseguente eccessivo riscaldamento. 

Una soluzione adeguata a questo problema consiste sicuramente nell’impiego di  lampade di diverso tipo: in particolare le lampade a scarica che hanno un’efficienza luminosa del 25%, oppure quelle a LED che superano anche il 50 % di rendimento26. 

                                                            25 Sarà bene dire agli studenti che il condizionatore è controreazionato sulla temperatura che misura nell’ambiente in cui è posto. 

26 Riferimento: http://it.wikipedia.org/wiki/Lampadina. 

Range del visibile 

Figura 8