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1 LA MEDICINA LEGALE DI COSIMO LORÉ DA SCIENZE MEDICO-LEGALI AL SUSTAINABILITY SUSTAINABILITY SUSTAINABILITY SUSTAINABILITY TOUR TOUR TOUR TOUR DI EUGENIO PICANO DIRETTORE DEL CORSO STOP USELESS IMAGING TESTING UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA www.scienzemedicolegali.it Prof. Cosimo Loré [email protected] CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE PISA www.ifc.cnr.it Dott. Eugenio Picano [email protected]

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LA MEDICINA LEGALE DI COSIMO LORÉ

DA SCIENZE MEDICO-LEGALI AL

SUSTAINABILITY SUSTAINABILITY SUSTAINABILITY SUSTAINABILITY

TOURTOURTOURTOUR

DI EUGENIO PICANO DIRETTORE DEL CORSO

STOP USELESS IMAGING TESTING

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA www.scienzemedicolegali.it

Prof. Cosimo Loré [email protected]

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE PISA www.ifc.cnr.it

Dott. Eugenio Picano [email protected]

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SUSTAINABILITY TOUR Stop Useless Imaging Testing

La clinica senza l’imaging è cieca. L’imaging senza la clinica è vuoto. Dir.: Dott. Eugenio Picano, Dirigente Ricerca CNR, Div. Cardiologia, Istituto Fisiologia Clinica, Pisa

IN APPLICAZIONE DELLE DIRETTIVE DELLA

COMMISSIONE EUROPEA E DELLE LINEE GUIDA DI RIFERIMENTO NAZIONALI SULLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLA

Agenzia Servizi sanitari Regionali – Istituto Superiore di sanità Scopo del corso. L’obiettivo primario che si attende da questo corso – in accordo con le direttive della Commissione Europea 2001 e con le linee guida dell’Agenzia Regionale promulgate nel novembre 2004 – è la riduzione del numero di esami di imaging inappropriatamente richiesti ed eseguiti. Questi esami comportano spreco di risorse, allungamento dei tempi di attesa e, se eseguiti con radiazioni ionizzanti, una indebita irradiazione dei pazienti ed un aumento dei rischi a lungo termine della popolazione. Perché il corso: cinghiali con le ali? L’uomo senza utopia sarebbe un mostruoso animale fatto di istinto e raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura (Fabrizio De André) Cinghiali laureati in matematica pura affollano – e spesso con ruoli di grande responsabilità – i nostri laboratori dell’imaging e le nostre corsie. Tutta sa – questo cinghiale istruito – della fisiopatologia e della tecnologia dell’immagine, ma spesso tutto ignora dei costi, dei rischi, e della clinica del paziente a cui quella immagine appartiene. Scopo precipuo del cinghiale è difendere il suo territorio e il suo pasto. E’ tempo che al cinghiale dell’imaging spuntino le ali della responsabilità e del buon senso. Il corso ha questo unico scopo: ridurre gli esami di imaging inappropriati (oggi dal 30 al 50% di tutti gli esami). Basterebbe questo ad abbattere le liste di attesa, ridurre l’esorbitante deficit della sanità, minimizzare i rischi a lungo termine della popolazione. Scopo ambiziosissimo e forse utopico, ma senza il quale la diagnostica per immagini perde il suo straordinario valore aggiunto. L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare (Eduardo Galeano). Per chi il corso? Per tutti i medici che richiedono e/o eseguono esami di immagine, medici di medicina generale e specialisti, universitari e ospedalieri, CNR e libero-professionisti: perché la cultura dello spreco e dell’irresponsabilità applicata alla diagnostica per immagini è trasversalmente e democraticamente presente in tutti gli strati della cultura medica. I relatori. Il corso è ideato e diretto da Eugenio Picano. Per ogni tappa ci saranno tre docenti che discuteranno di sostenibilità su diversi versanti: radiologico (Dott. Valter Papa, Primario Radiologo e vice-capo del Dipartimento Immagini nell’Ospedale di Assisi-Perugia); medico-legale (Professor Cosimo Loré, Professore di Medicina Legale nella Università degli Studi di Siena); clinico e scientifico (Lucia Venneri, Cardiologa, Dottore di Ricerca, Ricercatrice del CNR). Oltre il corso: il progetto SUIT. Troppo facile strapparsi i capelli e piangere calde lacrime sul cadavere della medicina della responsabilità accoltellata dal delirio ipertecnologico, e non fare niente. Il pianto del vero dolore si mischia con la cantilena lagnosa delle coefore – che anzi di irresponsabilità e disinteresse ci campano. Se vuoi detergerti le lacrime e rimboccarti le maniche, c’è il progetto SUIT (Stop Useless Imaging Testing). Ci vuole un genio dell’ovvio per pensarlo, e ci vuole un pacifico rivoluzionario per realizzarlo. Speriamo allora che ce ne siano abbastanza di questi pacifici, laboriosi, e assennati rivoluzionari per fare della moderna medicina italiana un laboratorio della nuova medicina della sostenibilità. Sostenibilità sociale: la sindrome di Ulisse… Sostenibilità culturale: Edìpo Re. Sostenibilità radiologica: le dosi. Sostenibilità biologica: i rischi. Sostenibilità legale: mi consenta! Sostenibilità politica: il ritorno del Re. Sostenibilità scientifica: il modello Intercardioreprostudy.

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Premessa sulla difficoltà ad esaminare la sanità.

La premessa per una seria indagine su questioni sanitarie verte certo su quanto scarsa e miope sia la consapevolezza del facile e anche redditizio tiro a segno sui medici che operano in prima linea nella trincea degli ospedali anche perché oggi il comportamento umano in ogni ambito privato o pubblico persegue in maniera sistematica e in misura insostenibile la scorciatoia dell’aggressione e della lite piuttosto che la via lunga e la lenta marcia della analisi anche autocritica senza pregiudizi e compromessi verso una comprensione delle altrui condotte le cui reali originarie ragioni restano comunque non pienamente perscrutabili e i cui effetti e nessi causali correlati consistono in una materia non meno difficile da delibare e definire. Troppo facile quanto censurabile sarebbe pertanto farsi giudici o giustizieri di persone che non si conoscono e di eventi che si desumono solo dalle cosiddette carte. A questo si deve ispirare chi si accinge ad esaminare analoghe fattispecie.

Va aggiunto che però esiste ed è non meno rilevante e grave il fenomeno della categoria che si fa casta con rifiuto ottuso di ogni studio su quel che avviene nelle strutture sanitarie e pretesa di immunità spinta alla impunità alla stregua delle altre corporazioni che sol per la divisa indossata si ritengono esenti da ogni controllo e dotate di una licenza di totale disponibilità dei beni e diritti fondamentali alla vita, alla salute, alla dignità, alla libertà. Come è ben noto si tratta dei magistrati, dei ministri del culto e di coloro che siedono in parlamento oltre che degli addetti alle varie forze dell’ordine. In questi casi le eventuali responsabilità rilevate ed oggettivate non possono che rappresentare aggravanti dei reati commessi. La domanda chiarificatrice quanto retorica è infatti: medici, magistrati, parlamentari, prelati che commettono reati devono essere indagati e se colpevoli puniti, i ruoli ricoperti rappresentando altrettante aggravanti addebitabili con la dovuta severità?! Purtroppo sfugge ai più che non è l’uomo al centro della società e degli interessi ma il potere temporaneamente detenuto e troppe volte per la toga od il camice arraffati con prove truccate e senza merito alcuno.

Se proprio si volesse discriminare si potrebbe distinguere fra persone minori di età, minorate da malattie o difetti fisici o mentali, prive di adeguata cultura e scolarizzazione e in caso di residuali galanterie fra signore e signori… Non si comprende il senso invece di chi troppe volte dimentica che il malato si laurea ed il medico si ammala. Esiste in ogni caso il dovere sociale, morale, legale che impone di verificare le responsabilità dei singoli, degli amministratori, delle strutture, dei pazienti, degli operatori, dei giornalisti, dei magistrati e di chiunque sia a vario titolo coinvolto nel pianeta sanità, cui afferiscono oramai ben novecentomila cittadini in camice, suddivisi in trenta diverse professioni, e l’intera popolazione come utenza: sono numeri che non consentono certo di fare di ogni erba un fascio né di essere di parte come si riscontra continuamente ove si esamini criticamente quel che scrivono alcune categorie di periti e consulenti, alcuni al servizio delle aziende sanitarie che non riescono mai ad accertare un’ombra di colpa e di responsabilità, altri che si danno alla caccia all’uomo pronti per quattro palanche a sostenere l’istanza di pazienti ed avvocati desiderosi a parole di giustizia ma a ben guardare solo di indennizzi e parcelle, altri ancora in servizio permanente effettivo presso gli uffici giudiziari.

Peccato che tutto questo contribuisce a implementare un contenzioso disastroso e fuorviante rispetto ai casi in cui si dovrebbe agire con pene e risarcimenti a chi se li merita! Peccato anche perché esiste innanzitutto un diritto a sapere che spetta ai professionisti come ai pazienti che, se si riflette in maniera decente, è anche un dovere, perché senza la soddisfazione di questa esigenza non vi è speranza della coscienza collettiva invocata dai primi commi della legge 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. A questa esigenza dovrebbe rispondere l’istituzione universitaria.

Esiste infine un mistero inesplorato, per cui non si può valutare l’operato di medici e magistrati e anche i bravi e scrupolosi fanno carte false e negano l’evidenza di fronte ai cialtroni e ai criminali di cui non si dichiarano “colleghi” con manifesta ammissione di incapacità e complicità. Si assiste esterrefatti ad una inversione della logica umana più elementare. La quotidiana operatività sanitaria esigerebbe una squadra dove si interagisca in sintonia e sincronia e che rispetti le priorità delle evenienze cliniche e nella varietà delle esperienze attinga ai più capaci e preparati, in realtà si vedono camici che si muovono senza effettive gerarchie di merito e di efficienza e quindi senza che il paziente possa sapere e capire né prima né durante né dopo accertamenti e trattamenti i livelli di capacità di chi lo ha avuto in cura né la qualità di questa.

Quando poi si accende l’attenzione di chi avrebbe il dovere di studiare ed esaminare quel che accade realmente nella sanità a fini di miglioramento dei servizi prima che di giustizia o di risarcimento dei danni ai pazienti, ebbene allora si scatena un contagio che automaticamente e ipocritamente porta anche i migliori e perfino i campioni a una umile quanto falsa recita in cui ci si autocertifica uguali a tutti gli altri camici e si tenta, anche violando le norme penali, di coprire e nascondere ogni altrui responsabilità. Questa è definita dagli studiosi del fenomeno “mafia bianca” alla stregua di quella imperante nella università dove risiede a ben guardare la “madre” di tutte le corruzioni e la ragione di tutte le complicità. Si leggano le opere di Picano www.scienzemedicolegali.it/contenuto/Eugenio_Picano.html, Cornaglia Ferraris, Barni!

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Definizione di consenso informato (informed consent). Ben si può mutuare quel che è reperibile in rete all’indirizzo www.consensoinformato.it: «Il

termine attualmente in uso "consenso informato" non si rinviene nei codici penali e civili, ma è stato importato dagli Stati Uniti dove la dizione "informed consent" risulta essere compresa per la prima volta in un processo celebrato nel 1957 in California. In tale occasione, il principio dell'autonomia decisionale del paziente è stato riaffermato come antidoto alla tendenza dei sanitari ad assumersi la quasi completa responsabilità nel decidere quale trattamento il paziente debba seguire. Si può inoltre affermare che la locuzione inglese, informazione e consenso, risulta essere meno ambigua rispetto alla nostra espressione consenso informato. Infatti "inform and consent" mette appunto, in evidenza come, senza una corretta informazione che preceda il trattamento, non possa esserci vero consenso. Quindi, nella struttura standard del consenso informato il ruolo del sanitario è quello di spiegare al paziente la sua condizione clinica e le varie possibilità di diagnosi o di terapia per consentirgli di valutare l'informazione ricevuta nel contesto della propria attitudine psicologica e morale e, quindi, di scegliere l'iter terapeutico che ritiene adatto ed accettabile. Il fine della richiesta del consenso informato è, dunque, quello di promuovere l'autonomia dell'individuo nell'ambito delle decisioni sanitarie, autonomia trascurata ad esempio nella filosofia ippocratica, dove al medico veniva riconosciuto il diritto-dovere di non rivelare nulla al paziente circa le sue condizioni di salute e i trattamenti sanitari cui era sottoposto (... tieni all'oscuro il paziente circa ogni evento futuro...), sia per evitare "passi estremi" da parte del malato, sia di fatto, per garantire il prestigio e l'autorità del medico stesso. Quindi, l'informazione al paziente è parte integrante della prestazione del sanitario ed è finalizzata alla tutela della salute. Per questo motivo si può affermare che l'informazione è essa stessa una prestazione sanitaria alla stregua dell'intervento diagnostico terapeutico propriamente inteso.»

Né si può scindere dai doveri essenziali della professione medica la modalità di tenuta delle cartelle cliniche. A tal proposito si ricorda che anche questa fase è di per sé motivo di censura anche penale là dove non sussistano quelle caratteristiche di chiarezza, completezza, intelleggibilità, comprensibilità, veridicità e sincronia che costituiscono requisiti obbligati di tale fondamentale documento che costituisce prova legale e contiene il segreto professionale, che – ad onta di quel che comunemente si crede – è di pertinenza del paziente perché gli appartiene.

Per tutte si segnala la recentissima decisione torinese che sancisce la sussistenza del dolo in caso di attività (o inattività…) sanitaria non suffragata da adeguato documentato consenso informato.

GIURISDIZIONI DI MERITO

Medici, manca il consenso informato e l'intervento fallisce: lesione dolosa

di Giuseppe Marra

Tribunale di Torino, Sezione prima, sentenza depositata il 2 ottobre 2006

Questa solo in apparenza sorprendente sentenza risulta in realtà l’esito naturale di quanto più volte la massima corte aveva stabilito in tema di significato, ambito, effetto del consenso informato.

Consenso informato: quali i contenuti su cui si fonda? Posto l'art. 32 della Costituzione come parametro di conformazione dei rapporti contrattuali tra medico e paziente o tra paziente e struttura sanitaria, se il consenso ad una prestazione o atto chirurgico deve essere prestato, il contenuto del consenso deve essere necessariamente arricchito dalla previa corretta informazione sulla qualità e sicurezza del servizio sanitario e sulla adeguata previa informazione sui rischi operatori e postoperatori, anche in relazione alla efficienza della struttura sanitaria ospitante. Avv. Ennio Grassini [www.dirittosanitario.net] Doctor News, il quotidiano web del medico italiano (EDRA, Milano 2006) Nessuna cosa, per quanto utile, reca giovamento in un fuggevole contatto

(Aristotele)

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In genere basta un minimo buon senso, un atteggiamento mentale interessato degli operatori e degli organizzatori (quanto tempo richiede la formulazione della decisione che sciolga il dilemma tra l’intervenire e il trasferire?!) della struttura sanitaria, a seguito del quale soltanto possono scaturire comportamenti adeguati…

Altrimenti non ci sono budget o gadget o master o meeting o briefing o altre suggestive e seduttive referenze e conferenze e benemerenze e conoscenze e competenze che tengano!

Ma lo “stato d’animo” degli operatori e degli organizzatori è ben fotografato dagli atti di loro stessa pertinenza e provenienza: cosa si vede in effetti all’esame delle “carte”, se si può per un attimo sospendere la sagra della menzogna e dell’inganno per cui in Italia quel che conta ormai non è la “tutela della salute umana” ma l’isterica e pur repressa prevalente vanità (vacuità) del “figlio dottore”, del “marito specialista”, del “padre primario”?1

1 «…Pur se in elenco apparentemente brutale si possono brevemente richiamare le note ma non debellate noxae di medical malpractice in ambito medico rimandando a precedenti più ampie analisi. Prima causa di medical malpractice: la politica. Se il riordino degli studi, a cominciare dall'insegnamento della educazione civica da sempre disatteso fino alla valutazione della reale idoneità degli aspiranti operatori sanitari e alla successiva formazione e selezione di medici e specialisti, dipende dalla specifica legislazione, se la riorganizzazione dei servizi sanitari non può realizzarsi che attraverso un miglior governo delle aziende ospedaliere, funzionamento degli organi di controllo, definizione della natura e dei limiti dell'attività libero-professionale, risulta evidente che l'origine ma anche il rimedio ai mali della medicina è la tanto disprezzata "politica", unico luogo da cui possono scaturire nuove norme per una modifica di abitudini e costumi, oltre che per la regolamentazione di atti e comportamenti. Seconda causa di medical malpractice: la famiglia. E' auspicabile che il "popolo sovrano" di costituzionale definizione riesca finalmente ad interpretare la propria sovranità in termini soprattutto di responsabilità non dimostrandosi riottoso e recalcitrante di fronte al percorso obbligato della crescita culturale e civile, pena la persistenza di una "malpratica medica" che affonda le proprie radici nelle paludi limacciose del familismo italico, dove il rifiuto di seri e responsabili impegni trova coperture compiacenti e pietistiche protezioni in parenti ed affini adulti solo per l'anagrafe, in realtà rimasti ai tempi di mitiche figure professionali (l'avvocato e il medico, il dentista e l'oculista) cui un tempo spettavano benefici economici e riconoscimenti sociali solo per il titolo loro conferito dagli Dei più che per l'arte e la perizia dimostrate. In sostanza si preferiscono illusorie scorciatoie verso il facile guadagno ed il prestigio sociale alla lenta marcia verso l'opportuno decoro e la doverosa perizia: un fregio accademico anche a prezzo dello sfregio alla speranza di sicurezza dei cittadini ed anche di se stessi ! E' a questo malcostume domestico che va ascritto un primum movens dei guasti e dei guai della medicina. Terza causa di medical malpractice: l'università. Certo sussistono anche responsabilità da parte dei medici e di chi li forma e legittima dimenticando che preparazione teorica e capacità tecnica non bastano a configurare un professionista, se sprovvisto di coscienza etica e conoscenza deontologica, correttezza comportamentale e sensibilità sociale, doti in carenza delle quali il medico sarà esposto, malgrado il diploma, alla accusa, solo apparentemente paradossale, di esercizio abusivo della professione e considerato

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Certo il contesto è ben noto: una umanità (occidentale) fredda e indifferente in ogni momento della vita quotidiana che è ormai in caduta libera perfino nei rapporti cosiddetti intimi non può certo pretendere calore umano in un ambito sanitario o scolastico dove il confine tra tecnica e arte, arte e amore, amore e ambiguità, ambiguità e fraintendimento è labile e indefinibile, se standardizzato mostruoso e se affidato all’estro e al carattere di ognuno rischioso e causa di caos: l’umanità in sanità è la solita solo che è travestita da medico (camice) o da malato (pigiama) ma – giova sempre ricordare – con ruoli assai fragili e cangianti, posto che anche il paziente spesso è studente di medicina o materie affini ed il signor dottore non è invulnerabile e soggiace a traumi e batteri, virus e acciacchi, infiammazioni e degenerazioni. Piaccia o no questa è la pura nuda cruda realtà sempre sotto gli occhi di chiunque abbia la ventura di essere al mondo, almeno a questo così come è…

Casi che si chiarirebbero in poche ore o al massimo in qualche giornata di intelligente indagine, ove fossero affidati a registi responsabili dotati di adeguata assistenza e aggiornata attrezzatura, diventano storie infinite che lungi dal risolversi si complicano senza che si acclari alcunché sia che si tratti di una malattia che di una morte misteriosa e tutto si trascina in percorsi dolorosi e costosi in una sagra di sospetti destinata ad esaurirsi nell’oblio dei protagonisti e a macerarsi come il cumulo di carte, chiacchiere e calvari che alimentano fattispecie siffatte…

Bene dice il Rapporto CENSIS (CENSIS, 33° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Franco Angeli, Roma 1999) là dove segnala una ubiquitaria “insensatezza collettiva”.2

punibile pur se tecnicamente perfetto (si pensi al famoso caso del chirurgo Massimo accusato di omicidio preterintenzionale per la semplice mancanza di adeguato consenso da parte di un paziente pur correttamente trattato sotto il profilo tecnico): per contro sarà facilmente perdonato o neanche citato il medico che abbia commesso un errore in buona fede e con umano rispetto. E poi tutte le volte che un esame è "favorito" o un concorso è "truccato" o risolto, come taluno propone, con calcoli solo algebrici, così ogni volta che si bara per "far carriera", anche in ambito accademico, ogni volta che si pubblica una casistica "arricchita" grazie all'inventiva di pseudostudiosi (eppure basterebbe confrontare i dati delle cosiddette statistiche con i ricoverati reali) e quando una relazione od un articolo sono apocrifi per il notorio assemblaggio di scritti altrui o la sfacciata traduzione di autori magari lontani ed esotici (memorabile il caso napoletano del cosiddetto "Professor Copia" !), così anche se si omette in bibliografia solo l'articolo da cui si è tratto troppo insegnamento e... giovamento e pure nell'ipotesi, quasi "normale" in certa letteratura medica, delle folte schiere di nomi di autori "del nulla" uniti solo dal vincolo del reciproco scambio, ed infine nel caso non infrequente della ricerca realizzata grazie al sacrificio oscuro di qualche anonimo "collaboratore", ebbene in ognuna delle situazioni prefigurate è da identificare una delle principali ragioni del degrado della cultura e della professione medica. Quarta causa di medical malpractice: la sanità. Va detto che la categoria medica, un tempo casta dominata da ciarlatani quasi sempre impuniti (si pensi al fatto che nell'antichità si poteva impunemente trapanare il cranio al paziente per farne uscire gli spiriti maligni...), paga un prezzo sproporzionato alle colpe reali proprio da quando la medicina è divenuta scienza, cioè esperimento misurabile ed esperienza verificabile, e la sanità si è organizzata nelle aziende e regolamentata nei codici, proprio in questo secolo di grandi conquiste scientifiche ed eccezionale progresso sociale. In effetti a fronte della crescita imponente e del miglioramento costante del patrimonio biologico dell'uomo constatabile dall'allungamento della vita media e dall'incremento della statura umana e soprattutto dalla moderna concezione della salute intesa nel più lato significato di benessere e dalla più civile consapevolezza del senso politico ed etico prima che tecnico e scientifico della professione medica, paradossalmente è cresciuto il contenzioso contro i medici, per il crollo di quel rapporto di fiducia in passato spinto a livelli fideistici, caratterizzato dal prestigio di un medico autorevole e spesso autoritario (si pensi al terribile Dottor Purgone di Molière che rimprovera il suo malato immaginario Argante per essersi "...sottratto all'obbedienza dovuta al medico curante..."), poi divenuto paternalistico e protezionistico, infine competitivo-concorrenziale, inevitabilmente destinato al conflitto…» (Cosimo Loré, L’oftalmologia tra dubbi etici e

certezze medico-legali, Rivista Italiana di Medicina Legale, 4-5, 1013, 2000). 2 «…Non sovvenissero ottimismo fedele ed indulgente cinismo ci sarebbe da essere umiliati e disperati di fronte all’attuale incapacità italiana di fare retrospezione del passato, interpretazione del presente, esplorazione del futuro. È umiliante vivere quotidianamente la contraddittorietà, l’impudenza e quasi la sconnessione psichica con cui ci si rinfaccia ogni cosa sia avvenuta nel recente passato, in cangianti risacche di colpevolezza o di risentimento che non mettono certo ordine nella coscienza storica della collettività. È umiliante e disperante constatare quanto sia povero il livello di interpretazione del presente: non si ha nozione precisa di come va l’economia, non si ha coscienza reale della nuova composizione sociale; neppure si riesce a capire quali accenti di verità e di realismo guidino la dialettica politica e l’evoluzione istituzionale. È disperante rilevare come sia andata scemando quella “voglia di mangiare il futuro” che ci aveva reso uno dei popoli più aggressivamente vogliosi di sviluppo: c’è appagamento, inerzia, poca voglia di maggiore competizione e rischio, qualche venatura di passività nell’accettazione di una stabilità imposta da fuori, addirittura una propensione alla deresponsabilizzazione verso ogni futuro che non sia puramente individuale. Le previsioni, le valutazioni di scenario ed anche le esortazioni all’impegno collettivo (a metterci anima o coraggio) diventano inerti

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Altrimenti come si spiega il fatto che si corre quando non c’è alcuna fretta (“sto scappando” è la forma di comunicazione oggi in voga) e non ci si muove nemmeno nel momento in cui fatale può essere la conseguenza dell’inerzia (come quando si temporeggia nell’eseguire un cesareo!)?3

Sotto il profilo della responsabilità nella esperienza ormai pluridecennale emerge una crescente allarmante disattenzione da parte dei medici accompagnata da ingravescente disorganizzazione delle strutture con disagio e danno per pazienti e parenti, non consapevoli del fatto che ormai la Corte di Cassazione ha stabilito che quando in un ospedale pubblico mancano importanti attrezzature, della responsabilità del danno derivante al paziente deve rispondere il primario, il medico di fiducia, allorché dipendente della struttura, e la USL (sentenza 6318/2000).4

esercitazioni di tecnocrazia retorica. Ognuna delle constatazioni sopra compiute potrebbe essere confermata in dettaglio (su tutti i relativi sostantivi, aggettivi e verbi) attraverso innumerevoli riferimenti probatori di vicende, dichiarazioni, controindicazioni e silenzi. In un tale crescendo nel tempo da far temere (“motus in fine velocior”) che corriamo il pericolo di incartarci nell’insensatezza collettiva…». 3 Come non condividere quel che leggiamo nel volume “Il sogno europeo” di Jeremy Rifkin edito da Mondadori nel 2004 e tradotto in italiano da Rosalba Fruscalzo? Riportiamo un significativo passaggio: «…allora anche l’andatura sempre più accelerata dell’attività umana, di cui è causa la rivoluzione globale delle comunicazioni, ha allo stesso modo alimentato una certa impazienza. Il desiderio di risposte tempestive e rapide soluzioni a problemi molto complessi conduce spesso a un modo di pensare assolutistico e ignorante, nonché a comportamenti di convenienza a spese di approcci più ragionati e prudenti che permettano di prendere delle decisioni. I media spesso alimentano questa frenesia con conseguenze spaventose. Infine la sempre più scarsa capacità di prestare attenzione provoca assuefazione in questo senso. Con il diminuire della capacità del pubblico di prestare attenzione cresce la necessità dei media di aumentare gli stimoli e di accorciare l’intervallo di tempo che intercorre tra uno stimolo e l’altro in modo da riuscire a tenere desta l’attenzione della gente. Il risultato è che giovani menti rischiano di essere intorpidite dalla costante escalation di stimoli. Ma è assai meno probabile che una persona desensibilizzata sia in grado di simpatizzare e identificarsi con gli altri. L’empatia richiede una placida resa, un’elevata sensibilità e un protendersi verso gli altri con i quali si condivide e si è in comunione. Una persona opportunista, affamata di attenzione, piena di stress e rabbia repressa è incapace di provare empatia. Eppure l’empatia è la dote emotiva critica necessaria per acquisire una vera coscienza globale…». 4 Cass. Civ., III Sez., sentenza 6318 del 16 maggio 2000. Responsabilità civile - Colpa professionale del medico - Ravvisabilità della responsabilità del primario dell'ospedale, per danno neonatale dovuto a difettosa assistenza al parto, nella mancata acquisizione di informazioni sullo stato della partoriente e sull'attività dei medici che la avevano in cura, nonché nella mancata adozione di possibili accorgimenti sostitutivi della contingente carenza di apparecchiatura essenziale per una corretta terapia, e nella mancata informazione alla paziente di tale indisponibilità - Sussistenza della responsabilità del medico di fiducia, operante nello stesso ospedale, per inosservanza dell'obbligo, determinato dal rapporto di natura privatistica con la paziente, di informare la stessa della eventuale inadeguatezza della struttura, e di fornirle l'assistenza che non sia incompatibile con la propria posizione di dipendente pubblico. Il primario ospedaliero

ben può essere chiamato a rispondere del danno derivante al neonato da difettosa assistenza alle fasi del parto,

avvenuto nello stesso ospedale, in quanto, anche se non si può esigere da lui un controllo continuo ed analitico di tutte

le attività terapeutiche che si svolgono all'interno del reparto, egli ha, però, la "responsabilità del malato", ciò che gli

impone la puntuale conoscenza delle situazioni cliniche dei degenti, e la vigilanza sull'attività del personale sanitario,

con obbligo di assumere informazioni precise sulle iniziative degli altri medici cui il paziente sia stato affidato, ed

indipendentemente dalla responsabilità degli stessi. Ed anche in caso di contingente mancanza dell'apparecchiatura

necessaria, per quanto non imputabile al primario, questi ha l'obbligo di adottare i possibili accorgimenti sostitutivi, e

di informare la paziente del maggior rischio di un intervento che si svolga senza l'ausilio di detto strumento (nella

specie, il cardiotocografo, necessario per il monitoraggio del feto), anche se la legislazione nazionale non prevede uno

standard di riferimento degli strumenti di cui una struttura pubblica deve essere dotata. Parimenti, è configurabile la

responsabilità del medico di fiducia della paziente, operante nella stessa struttura pubblica, che presumibilmente,

proprio per tale ragione, la stessa abbia scelto per il parto, per difetto di assistenza alle varie fasi del parto, in quanto,

anche se a lui non possono essere addebitate le carenza della struttura stessa, né la condotta colposa di altri dipendenti

dell'ospedale, tuttavia egli è tenuto, in virtù del rapporto privatistico instaurato con la paziente, ad informarla della

eventuale inadeguatezza dell'ospedale, ed a prestarle ogni attenzione e cura che non siano incompatibili con la propria

posizione di dipendente pubblico. Cod. civ., art. 2043. D.P.R. 27 Marzo 1969, n. 128, art. 7. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Il 25.6.1983, nell'ospedale S. Giovanni Evangelista della Usl RM 26 di Tivoli, nacque un bambino che risultò poi affetto da menomazioni irreversibili a carico del sistema nervoso centrale, con conseguente doppia emiplegia spastica e grave pregiudizio delle funzioni psichiche. A seguito della insorta sindrome di West, gli fu diagnosticata tetraparesi spastica con note di ritardo mentale, di gravità tale da renderlo totalmente dipendente dai genitori. Nel 1988 i genitori Eraldo Bucci e Domenica Proietti, in proprio e in rappresentanza del figlio minore Emanuele Bucci, convennero in giudizio la Usl, il primario della divisione ostetrica prof. Pietro Valli, nonché il dott. Augusto Tozzi e l'ostetrica Diana Mastrangeli (i quali ultimi avevano assistito al parto) chiedendo il risarcimento dei danni derivati dalle

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lesioni subite dal minore al momento della nascita a causa della grave asfissia neonatale della quale aveva sofferto per addotti errori o omissioni di diagnosi, di cura e di intervento compiuti dal personale responsabile. Riferirono, in particolare, che alle 18,10 del 20.6.1983, a seguito della rottura della membrana verificatasi alle ore 17 dello stesso giorno, la signora Proietti era stata ricoverata presso la divisione di ostetricia della predetta struttura sanitaria con diagnosi di "parto prematuro"; che nei giorni successivi era stata sottoposta a sommarie visite nel corso delle quali le era stato assicurato che non ci sarebbero state difficoltà, benché ella ininterrottamente soffrisse di dolori da travaglio; che, finalmente, alle 20,10 del 25.6.1983, dopo un travaglio che durava dalle ore 5,35 del mattino, si era verificato il parto con l'espulsione spontanea di un feto di sesso maschile, del peso di Kg. 1,750. I convenuti resistettero. 2. Con sentenza del 18.12.1993 l'adito tribunale di Roma, sulla scorta delle espletate consulenze tecniche d'ufficio e della acquisita documentazione clinica, accertò: - che la prematurità del feto, tra 32 e 33 settimane di età al momento della nascita, non avrebbe, in sé, costituito un fattore di rischio se non si fosse verificata una grave asfissia al momento della nascita, culminata in un arresto cardiocircolatorio; - che non era stato effettuato un monitoraggio sistematico e continuo durante i cinque giorni di permanenza della puerpera prima del parto e durante il travaglio, in quanto l'apparecchio necessario, il cardiotocografo, era guasto; - che il periodo dilatante era stato troppo lungo e non era stato tempestivamente accelerato, dato che alle ore 15,30 - con un travaglio iniziato alle 14,10, o addirittura alle 5,35 secondo i dati della cartella neonatale - la dilatazione era di cm. 7, che era rimasta invariata dopo due ore e che era apparsa finalmente completa solo alle 19, 30, dopo la somministrazione di ossitocina effettuata alle 18,30. Ritenne che, in un contesto connotato da carenza di controlli durante il ricovero in relazione alla immaturità del feto ed alla omessa accelerazione della prima (dilatazione) e della seconda (espulsione) fase del parto, la responsabilità del primario prof. Valli derivasse dal non avere egli mai visitato la paziente, né impartito le istruzioni e le direttive che il caso richiedeva subito dopo l'inizio del travaglio; quella del dott. Tozzi, che aveva seguito privatamente la puerpera prima del ricovero e che era entrato in servizio venti minuti prima della nascita del bambino, dalla condotta colposa afferente al periodo compreso tra il ricovero ed il trasporto della signora Proietti in sala parto, nonché dal ritardo nell'apprestamento delle cure da parte dell'équipe; quella della Usl dal suo inadempimento contrattuale, provocato dall'opera dei medici di cui si era avvalsa la struttura ospedaliera. Condannò, dunque, solidalmente i predetti al risarcimento dei danni subiti dagli attori nella misura complessiva di L. 1.121.728.000, mandando assolta da ogni pretesa risarcitoria l'ostetrica. 3. La sentenza fu impugnata da tutti i convenuti soccombenti con distinti atti di appello, cui resistettero gli attori appellati. Espletata altra consulenza tecnica, con sentenza n. 1749/98 la corte d'appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza, rigettando la domanda nei confronti del dott. Tozzi e condannando il prof. Valli e la Usl RM 26, in solido, al pagamento della ulteriore somma di L. 15.068.000 a titolo di interessi e maggior danno da svalutazione monetaria relativi al periodo successivo alla sentenza di primo grado. Ha ritenuto la corte di merito - condividendo le conclusioni della ulteriore consulenza tecnica espletata in secondo grado - che le condizioni del feto, in considerazione della prematurità e della rottura anticipata delle membrane, avrebbero richiesto durante il periodo di ricovero un monitoraggio continuo ed un'assidua vigilanza al fine di evitare rischi del tutto prevedibili; che, essendo guasto il cardiotocografo, non era sufficiente che il feto fosse auscultato solo una o due volte al giorno, come era avvenuto; che il travaglio non avrebbe dovuto superare le 8/10 ore, mentre si era protratto dalle 5,35 alle 20,10; che troppo lunga era stata anche la fase dilatante, tardivamente accelerata solo alle 17,30; che, completatasi la dilatazione alle 18,30, la fase espulsiva si era inopportunamente prolungata oltre l'ora consigliata come limite per non incorrere in un'accentuazione dei rischi di ipossia fetale; che, conclusivamente, i metodi ed i protocolli applicati non erano stati adeguati alle particolarità del caso, segnatamente dalle ore 14,30 in avanti, quando avrebbe dovuto essere affrettato il più possibile il momento della nascita, trattandosi di feto prematuro e dismaturo. La corte d'appello ha, in particolare ritenuto: a) in ordine al motivo d'appello col quale Pietro Valli si era doluto che gli fosse stato addebitato di non aver controllato l'attività dei medici subordinati e di non aver visitato personalmente la puerpera durante la sua degenza, sostenendo di non esservi tenuto in qualità di primario, che egli avesse invece violato i doveri propri del primario ospedaliero, quali risultano dall'art. 63 del D.P.R. n. 761 del 1979; b) che la responsabilità della USL derivasse dal fatto che non era stata diligentemente adempiuta l'obbligazione contrattuale assunta nei confronti della signora Proietti, essendo "emerso che l'evento si era prodotto per disfunzioni della struttura ospedaliera, quali la carenza di un cardiotocografo funzionante e l'operato carente dei sanitari dipendenti dall'ospedale stesso". c) che quella del dott. Tozzi dovesse essere esclusa per avere egli preso servizio pochi minuti prima del parto, quando il travaglio volgeva ormai al termine e la ravvisata inadeguatezza degli interventi aveva già prodotto i gravi effetti di cui s'è detto (al contempo giudicando una mera illazione l'ipotesi del tribunale che il parto potesse non essere stato accelerato proprio per attendere il suo arrivo); d) che il tribunale aveva correttamente liquidato il danno subito dal minore e che la sentenza non era inoltre censurabile per aver riconosciuto ai genitori il danno morale da loro direttamente subito per le lesioni patite dal figlio, che ne avevano in misura estrema compromesso la qualità di vita, sostanzialmente ridotta a livello vegetativo. 4. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Pietro Valli sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso Eraldo Bucci e Domenica Proietti, anche quali esercenti la potestà sul minore Emanuele Bucci, i quali impugnano incidentalmente la sentenza con un unico motivo, dolendosi della statuizione con la quale è stata esclusa la responsabilità del dott. Tozzi. Resistono con distinti controricorsi anche la Usl RM G di Tivoli (succeduta alla Usl RM 26), che propone inoltre ricorso incidentale affidato a tre motivi, ed Augusto Tozzi. Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative. L'intimata Diana

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Mastrangeli non ha svolto attività difensiva MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I ricorsi vanno riuniti siccome proposti avverso la stessa sentenza. IL RICORSO PRINCIPALE DI PIETRO VALLI ED IL RICORSO INCIDENTALE DI ERALDO BUCCI E DOMENICA PROIETTI 2. Va preliminarmente dato conto che infondatamente i controricorrenti Eraldo Bucci e Domenica Proietti prospettano l'inammissibilità del ricorso principale nei confronti del figlio minore in quanto a loro notificato solo in proprio e non anche quali esercenti la potestà, sicché, in relazione alla scindibilità delle rispettive posizioni processuali, la sentenza sarebbe passata in giudicato nei confronti di Emanuele Bucci. Premesso che il ricorso è stato proposto, come testualmente risulta dalla sua epigrafe, nei confronti di "Eraldo Bucci e Domenica Proietti in proprio nonché in qualità di esercenti la potestà sul minore", del tutto puntualmente il ricorrente rileva che poiché, a mente dell'art. 75 c. p. c., le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate secondo le norme che regolano la loro capacità, le persone fisiche che hanno la rappresentanza legale dell'incapace ne hanno anche la rappresentanza processuale, con la conseguenza che gli atti del processo, ancorché diretti a quest'ultimo, vanno notificati esclusivamente alle prime (cui non avrebbe avuto alcun senso consegnare un'ulteriore copia del ricorso). 3.1. Col primo motivo del ricorso principale è denunciata "violazione e falsa applicazione dell'art. 63 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, con particolare riguardo al profilo concernente le attribuzioni spettanti, nelle singole posizioni funzionali, al personale medico dipendente di un ente pubblico ospedaliero, con conseguente omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c. p. c.". Il ricorrente prof. Valli, premesso che la corte è giunta al risultato paradossale di dichiarare responsabile l'unico medico assente durante l'intero arco di svolgimento dei fatti, nega che al primario possa imputarsi, in relazione soltanto alla qualifica funzionale da lui rivestita, qualsiasi atto compiuto dal personale appartenente all'unità assegnatagli. Lamenta che, a fronte delle osservazioni della consulenza svolta in grado di appello, che aveva posto in rilievo il rischio di importanti modificazioni degli organi che possono prodursi quando il feto (prematuro) subisce uno stress da travaglio (al quale il Valli non aveva presenziato, non essendovi tenuto), la corte di merito abbia tuttavia fatto illogicamente discendere la sua responsabilità dalla mancata, continua rilevazione del battito cardiaco del feto durante i giorni del ricovero precedenti il travaglio, senza peraltro correlativamente affermare che quel preventivo comportamento, tra l'altro precluso dalla impossibilità di far uso del cardiotocografo perché guasto, avrebbe impedito l'evento. I1 quale, invece, si era verificato - secondo quanto ritenuto dai consulenti e condiviso dalla corte d'appello - per la mancata accelerazione del parto nel contesto determinatosi dalle ore 19,30 in avanti, e dunque in un arco temporale nel quale il primario prof. Valli non aveva avuto, siccome assente, alcuna possibilità di incidere sul corso degli eventi. Né i presupposti fondanti della responsabilità del primario potevano essere ricercati nel disposto dell'art. 63 del D.P.R. n. 761 del 1979, come ritenuto dalla corte di merito laddove aveva affermato che tale norma era stata correttamente richiamata dai primi giudici. Nell'ambito dei compiti del primario il menzionato art. 63 distingue, infatti, i casi in cui egli esercita "funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura, nel rispetto dell'autonomia professionale operativa del personale dell'unità assegnatagli, impartendo all'uopo istruzioni e direttive ed esercitando la verifica inerente all'attuazione di esse" (quinto comma) da quelli in cui, assegnando a sé i pazienti ricoverati, "può avocarli alla sua diretta responsabilità, fermo restando l'obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali" (sesto comma). Sicché - continua il ricorrente - nell'esercizio del primo ordine di mansioni il primario, che nella specie non aveva avocato a sé alcun potere, è bensì il garante della qualità complessiva dell'assistenza, ma non può essere considerato responsabile dei danni provocati al paziente da uno dei componenti dell'équipe nell'esercizio della propria (e dalla legge riconosciuta) autonomia professionale. Si configurerebbe altrimenti, e del tutto arbitrariamente, una ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva. La corte non avrebbe in realtà colto la vera portata della norma laddove aveva correlato la responsabilità del primario al mancato esercizio del potere di verifica; e non aveva neppure considerato che, essendosi il danno determinato per la mancata assunzione di iniziative d'urgenza da parte di coloro che avevano assistito la paziente durante il travaglio, non era logicamente configurabile una verifica che fosse suscettibile di impedire l'evento o di determinarne altro di minore gravità. Del resto la corte di cassazione, pur riconoscendo che il primario è investito di un vero e proprio dovere di controllo dell'attività diagnostica e terapeutica svolta dai medici che operano in sottordine, ha affermato che la responsabilità derivante dall'inosservanza di tale dovere non può assolutamente prescindere dal requisito della sua presenza al momento della verificazione dell'evento dannoso (Cass. pen, 22.9.1989, n. 16741); ed ha altresì chiarito che l'esercizio dei poteri di cui al quinto comma dell'art. 63 (al contrario di quanto accade in caso di avocazione, ai sensi del sesto comma dello stesso articolo) lascia spazio all'autonomia professionale delle altre posizioni funzionali (Cass. pen., 13.5.1989, n. 7162), sicché non si può addossare al primario la responsabilità di atti per i quali la legge chiama invece direttamente a rispondere altri soggetti, volta che l'affidamento determina la responsabilità del medico affidatario per gli eventi a lui imputabili che colpiscano l'ammalato affidatogli (Cass. pen., 24.11.1994, n. 11696). Quanto all'addebito della mancata visita della paziente, il ricorrente rileva che esso non avrebbe potuto impedire l'evento dannoso, dalla stessa sentenza ricollegato, d'altronde, alle modalità concrete con le quali il parto era stato gestito da altri, fra i quali il dott. Tozzi, che non si era adoperato perché il quadro clinico non si aggravasse benché avesse privatamente in cura la paziente da epoca antecedente al suo ricovero. Incomprensibilmente, dunque, la corte d'appello aveva, in aperto contrasto con la decisione assunta sul punto dai primi giudici, escluso la responsabilità di quest'ultimo sulla scorta delle considerazioni che il fatto non era ascrivibile alla sua condotta (a) in quanto egli era giunto "quando il travaglio volgeva

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al termine e l'inadeguatezza degli interventi aveva già prodotto i gravi risultati sopra esaminati" e, inoltre, (b) poiché il pregresso rapporto professionale che legava il dott. Tozzi alla puerpera "non importava alcun obbligo a suo carico". A meno di ritenere che un paziente, non appena decida di rivolgersi ad una struttura pubblica, solo per questo meriti di essere abbandonato dal suo medico curante (che, pure, di quella struttura faccia parte), la corte avrebbe dovuto considerare che proprio in virtù della puntuale conoscenza dello stato della paziente il dott. Tozzi era tenuto a prestarle maggiore attenzione, attivandosi ben prima di quanto avesse fatto perché il quadro clinico non si aggravasse. Egli era, al contrario, giunto in servizio appena venti minuti prima della nascita ed aveva conservato quell'atteggiamento "attendista" che aveva contraddistinto tutte le fasi precedenti il suo arrivo. 3.2. La censura è infondata per gli aspetti afferenti alla affermata responsabilità del prof. Valli e fondata quanto al profilo concernente l'esclusa responsabilità del dott. Tozzi (che viene esaminato, congiuntamente al ricorso incidentale Bucci/Proietti, sub 3.4.). 3.3. Le ragioni della ravvisata responsabilità del primario sono esposte a pagina 20 della sentenza gravata. Vi si legge: "non ha mai sottoposto personalmente a visita la paziente, né risulta che sia intervenuto in alcun modo secondo le precise prescrizioni riportate nella citata normativa, nonostante le particolari condizioni di prematuro e dismaturo del feto, ed ancor più 1'indisponibilità del cardiotocografo, richiedessero una presenza attenta e vigile nell'impartire le istruzioni del caso e nel verificare che fossero coscienziosamente attuate, misure queste che non risulta dagli atti siano state effettuate. Ciò chiaramente costituisce quantomeno una concausa nella produzione dell'evento". La corte di merito ha dunque assunto che il primario, in relazione alla condizione di prematuro e dismaturo del feto ed alla indisponibilità del cardiotocografo, avesse il dovere di interessarsi al caso, di dare le opportune disposizioni e di verificare che esse fossero attuate. Ora, è ben vero che l'art. 63 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), richiamato dalla corte di merito come parametro valutativo del comportamento del prof. Valli, non esaurisce la sua portata prescrittiva nella mera previsione che "il primario ospedaliero ha funzioni di indirizzo e di

verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura mediante emanazione di istruzioni e direttive, nonché di controllo

sull'attuazione della stessa"; e che il sesto comma stabilisce che "in particolare, per quanto concerne 1e attività in

ambiente ospedaliero, assegna a sé e agli altri medici i pazienti ricoverati e può avocare casi alla sua diretta

responsabilità, fermo restando l'obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni

funzionali". E però (a parte il rilievo che della evocata assegnazione ad altro medico non si rinviene alcun riferimento in sentenza e che il prof. Valli, cui competeva quale primario l'assegnazione ad altri, non afferma in questa sede di aver mai dedotto nelle fasi di merito che tanto era accaduto, né specificamente censura la sentenza per aver omesso di considerare un punto che pure assume come decisivo, essendosi limitato in ricorso a prospettare la circostanza come vera) a tale norma non può conferirsi la valenza di esenzione del primario da ogni responsabilità per il solo fatto che il paziente ricoverato sia stato assegnato ad altro medico in sottordine. In tal caso, infatti, il medico assegnatario sarà investito delle responsabilità che gli derivano dalla sua posizione funzionale di aiuto o di assistente e sarà, per converso, in via generale affrancato da responsabilità se si sia limitato a collaborare, eseguendone le (ragionevoli) prescrizioni, col primario che abbia assegnato a sé stesso il paziente. Ma anche allorché il paziente sia stato assegnato ad altro medico, la responsabilità del primario può tuttavia ricollegarsi alla violazione del dovere di dare istruzioni e direttive adeguate per il trattamento del caso e/o di verificarne la puntuale attuazione. Dovere che non è affatto eliso dalla "assegnazione" ad altri medici, del resto prevista da una disposizione (il citato art. 63) che, com'è reso palese dalla sua rubrica, concerne la "ascrizione dei profili professionali alle qualifiche funzionali e (le) attribuzioni del personale". Assai più puntuale, ai fini che vengono in considerazione, è la norma di cui all'art. 7, D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 che, inserita nel capo III sui "servizi di diagnosi e cura", sotto la rubrica "attribuzioni dei primari, aiuti, assistenti", al terzo comma testualmente recita: "I1 primario vigila sull'attività e sulla disciplina del personale ...assegnato alla sua divisione o servizio, ha 1a

responsabilità dei malati, definisce i criteri diagnostici e terapeutici che devono essere seguiti dagli aiuti e dagli

assistenti, pratica direttamente sui malati gli interventi diagnostici e curativi che ritenga di non affidare ai suoi

collaboratori, formula la diagnosi definitiva, ..., dispone la dimissione degli infermi, è responsabile della regolare

compilazione delle cartelle cliniche, ...; cura 1a preparazione ed i1 perfezionamento tecnico-professionale del

personale...". La circostanza che tale disposizione non sia stata esplicitamente considerata dalla corte di merito non comporta che la corte di legittimità non possa tenerne conto per verificare se, anche alla sua stregua, il giudizio della corte d'appello sia stato conforme a diritto. E la conclusione è senz'altro positiva sulla scorta degli accertamenti e delle valutazioni di fatto compiuti nelle fasi di merito, in quanto, se non può certo affermarsi che il primario sia responsabile di tutto quanto accade nel suo reparto, non essendo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono, egli ha tuttavia il dovere di informarsi dello stato di ogni paziente ricoverato, di seguirne il decorso anche quando non provveda direttamente alla visita, di dare le istruzioni del caso o comunque di controllare che quelle impartite dagli altri medici siano corrette e adeguate. E ciò quand'anche abbia affidato l'ammalato ad un medico in sottordine (il che, peraltro, come s'è sopra rilevato, non è stato provato nel caso di specie), volta che l'affidamento determina la responsabilità del medico affidatario per gli eventi a lui imputabili che colpiscano l'ammalato, ma non esime il primario dall'obbligo di assumere, sulla base delle notizie acquisite o che aveva il dovere di acquisire, le iniziative necessarie per provocare in ambito decisionale i provvedimenti richiesti da eventuali esigenze terapeutiche (cfr., a contrario, Cass. Pen., n. 11696/94). I giudici del merito hanno in sostanza ritenuto, in riferimento a quanto apprezzato anche in sede di consulenze tecniche e con valutazione niente affatto irragionevole, che il

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preannunciato parto prematuro a seguito del ricovero della paziente per rottura delle membrane con abbondante perdita di liquido amniotico, in un contesto connotato dalla indisponibilità del cardiotocografo, strumento essenziale per il costante controllo dello stato del feto, richiedessero un interessamento attivo da parte del primario, un controllo del battito cardiaco più frequente di quanto fosse stato fatto durante tutto il periodo di ricovero, anche nei giorni che precedettero l'inizio del travaglio, ed interventi più decisi e tempestivi durante tale fase, durata ben 19 ore, parte della quale svoltasi durante l'orario di servizio in ospedale del prof. Valli. Il quale neppure ha mai affermato di aver disposto di essere informato in relazione a un caso che comunque non presentava le caratteristiche di un parto di routine, tanto meno in relazione alla contingente mancanza del cardiotocografo, la cui non imputabilità al primario evidentemente non lo esime dal dovere di adottare (o di disporre e controllare che siano adottati) i possibili accorgimenti sostitutivi, e finanche di informare la paziente del maggior rischio connesso ad un parto che si svolga senza il presidio dello strumento (cfr., in fattispecie di affermata responsabilità del primario per l'omessa verifica della perfetta funzionalità della sala operatoria, Cass. Pen. n. 4385/95). La circostanza che manca nella legislazione italiana uno standard di riferimento degli strumenti di cui una struttura sanitaria pubblica deve necessariamente disporre non esime il medico responsabile della cura dei pazienti dal dovere di informarli della possibile inadeguatezza della struttura per 1'indisponibilità, anche solo momentanea, di strumenti essenziali per una corretta terapia o per un'adeguata prevenzione di possibili complicazioni, tanto più se queste siano prevedibili in relazione alla particolare vulnerabilità del prodotto del concepimento, specialmente se esso venga alla luce in condizioni di prematurità o immaturità. Il ricorrente ha, per contro, sin dalle fasi di merito, sostanzialmente affidato la sua difesa, per il profilo che si sta esaminando, alla non conoscenza della situazione per non aver mai visitato la paziente che non aveva l'obbligo di visitare. Ma la "responsabilità del malato" che la legge assegna al primario impone un atteggiamento opposto a quello evocato; la pratica sui malati degli "interventi diagnostici e terapeutici che ritenga di non affidare ai suoi collaboratori" presuppone la puntuale conoscenza del loro stato, non importa come acquisita (se con visita diretta, o interpello degli altri medici e degli altri operatori sanitari), ma comunque acquisita; la vigilanza sull'attività del personale sanitario implica quantomeno che il primario si procuri informazioni precise su quello che gli altri medici fanno o hanno intenzione di fare in relazione ai possibili, e non del tutto imprevedibili, eventi che possono intervenire durante la degenza del ricoverato in relazione alle sue condizioni. Il ricorrente sostiene peraltro che dalla consulenza espletata in secondo grado e dalle considerazioni della stessa corte d'appello inequivocamente risulterebbe che il danno neurologico è stato ricollegato all'eccessiva durata del travaglio e della fase espulsiva, gestiti da altri (non evocati in giudizio, ad eccezione del dott. Tozzi, peraltro intervenuto solo nell'ultima fase, e dell'ostetrica, nei cui confronti la domanda di risarcimento è stata respinta in primo grado). È stato riferito dai consulenti: "i tempi delle singole fasi del travaglio in esame sono stati estremamente dilatati e corretti solo con cospicuo ritardo. In particolare è sempre consigliabile non prolungare oltre un'ora la fase di attesa precedente l'espulsione, mentre in questo caso tale tempo si è prolungato di circa quaranta minuti oltre l'ora consigliata come limite per non incorrere in un'accentuazione del numero dei rischi di ipossia fetale" (pagina 14 della sentenza) e che "i metodi ed i protocolli applicati non si sono dimostrati idonei ed adeguati rimarcando la intempestività e inadeguatezza che il caso richiedeva in particolare per quanto attiene le fasi succedutesi nelle ore pomeridiane (dalle 14,30) e serali (20,10 - parto)" (pagina 15). E la corte d'appello ha osservato in proposito: "sta di fatto che i consulenti hanno ribadito, in ciò confermando l'opinione espressa anche dai consulenti nominati dal tribunale, che sostanzialmente dalle 14,30 in avanti la situazione richiedeva un intervento deciso, che affrettasse al massimo il momento della nascita, mentre soltanto dopo tre ore (alle 17,30) è stata somministrata l'ossitocina, che ha consentito il completamento della dilatazione dopo un'ora ed il parto dopo circa due ore, tempi questi che sono risultati troppo lunghi per un feto immaturo" (pagine 15 e 16 della sentenza). I consulenti nominati dal tribunale avevano dal canto loro rilevato (come risulta anche dalla sentenza di primo grado, a pagina 10) che non era stato possibile stabilire in quale momento s'era verificata "la sofferenza ipossica grave" (donde la nascita di un bambino cerebroleso), giacché la determinazione del momento preciso di insorgenza della sofferenza fetale sarebbe stato possibile solo in presenza di un tracciato cardiotocografico, concludendo che l'équipe ostetrica aveva "assunto, dal momento del ricovero al momento del parto, un atteggiamento attendistico che era risultato sbagliato (vedi sofferenza fetale), perché non suffragato da un controllo vigile e costante delle condizioni del feto in utero (un'oculata e corretta condotta ostetrica avrebbe dovuto prevedere, oltre al già richiamato monitoraggio cardiotocografico, eventualmente un dosaggio dell'estriolo, sistematiche colture vaginali per scoprire possibili fonti di infezioni in utero non più protetto dalle membrane, una continua terapia antibiotica a dosaggio pieno, laddove tutto questo non sembra essere stato effettuato in modo ortodosso, nel senso che la stessa terapia antibiotica sembra essere stata instaurata ma poi ridotta di posologia". Ed avevano, in riferimento alla riscontrata lentezza del periodo di travaglio in riferimento sia alla fase dilatante che a quella espulsiva, ritenuto "probabile che un'accelerazione della prima e della seconda fase del parto, accompagnata da controlli idonei a rilevare una eventuale sofferenza del feto, avrebbe riportato il parto medesimo a tempi più fisiologici (6 ore la prima fase e 1 ora la seconda) e consentito la nascita di un neonato senza sofferenza grave ovvero sano" (sentenza di primo grado, pagina 11). Tali rilievi la corte di merito non ha affatto disatteso, essendo del tutto evidente dal suo complessivo tenore che essa ha inteso avallare le conclusioni cui (per vero, assai più analiticamente) erano pervenuti i giudici di primo grado sulla base di una consulenza le cui conclusioni sono pressoché pedissequamente riprodotte in quelle della consulenza espletata in secondo grado, segnatamente nella parte in cui in quest'ultima si

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afferma, come risulta da pagina 11 della gravata sentenza, che "durante i giorni di ricovero, stante la particolare situazione verificatasi di rottura prematura delle membrane, sarebbe stato necessario procedere alla rilevazione del battito cardiaco fetale e della contrattilità uterina mediante cardiotocografia con cadenza quotidiana o ripetuta nella medesima giornata. Dalla cartella clinica appare che il battito cardiaco fetale è stato rilevato con metodo ascoltatorio e non risultano monitoraggi di alcun tipo e tanto meno tracciati cardiotocografici" (in primo grado i consulenti avevano rilevato: "durante i cinque giorni di degenza prima del parto sarebbe stato necessario, allo scopo di evidenziare lo stato di benessere fetale, sottoporre la paziente a monitoraggio cardiotocografico giornaliero ripetuto nella stessa giornata. Risulta la presenza di battito cardiaco fetale, ma non risulta se sia stato fatto un monitoraggio adeguato ed idoneo alla circostanza"). Va dunque negato che - come invece sostiene il ricorrente - mentre il collegio peritale ha esclusivamente inteso stigmatizzare una omissione compiuta da chi ha materialmente assistito a tutte le fasi relative al parto, la corte di merito ha finito con l'anticiparne i tempi, col risultato che è stato chiamato a risponderne anche chi a quell'evento non aveva direttamente partecipato. La corte ha, per contro, puntualmente atteso le conclusioni (anche) dell'indagine tecnica svolta in secondo grado, laddove i consulenti hanno ritenuto che il monitoraggio cardiotocografico della frequenza cardiaca fetale, "in particolare" (e non anche esclusivamente) durante le fasi del travaglio, costituisce una fonte di informazioni utili nella diagnosi precoce della sofferenza fetale. E ciò dopo aver testualmente chiarito che "nel corso della gravidanza" (e, dunque, non solo dall'inizio del travaglio), "per la particolare vulnerabilità all'ipossia delle strutture nervose centrali che regolano il battito cardiaco, le modificazioni della frequenza cardiaca fetale rilevabile con il cardiotocografo rivestono il significato di precoce sistema di allarme in caso di compromissione ipossica del feto" (pag. 11 della sentenza gravata). Insomma, non è dato sapere quando la sofferenza fetale da ipossia sia insorta, ma è certo che la ipossia ha determinato la cerebropatia del neonato. E non è dato saperlo perché non era disponibile il cardiotocografo (in riparazione) e perché, mancando lo strumento, il battito cardiaco non era stato comunque rilevato con sufficiente frequenza. In ogni caso si è consentito che il travaglio (iniziato alle cinque del mattino) nelle fasi della dilatazione e dell'espulsione, durasse troppo a lungo in relazione alla prematurità del parto, a tutti nota, anche al primario prof. Valli, sin dal momento del ricovero della signora Proietti. Non sussistevano dunque i presupposti per l'esclusione della responsabilità del primario neppure sotto il profilo del difetto di nesso causale tra la sua omissiva condotta e l'evento, difettando sicuri elementi per affermare che la condotta dei medici addetti alla sala parto, il cui comportamento pure fu senz'altro causalmente efficiente, fu anche da solo sufficiente a determinare l'evento; ed essendo risultata positivamente accertata l'incidenza causale della sua condotta omissiva in ordine all'evento verificatosi. 3.4. Il secondo profilo del primo motivo del ricorso principale, involgente la posizione del dott. Tozzi, va esaminato congiuntamente al ricorso incidentale dei coniugi Bucci/Proietti, i quali si dolgono - deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 69, D.P.R. n. 761/79, 2043, 1218, 1176, secondo comma, 2232 e 2236 c.c. - che la corte abbia escluso la responsabilità del dott. Tozzi nell'erroneo assunto che il rapporto di natura privata instaurato tra il medico e la paziente non venisse più in rilievo una volta che questa era stata ricoverata presso la struttura pubblica ospedaliera, mentre invece egli era stato retribuito per assisterla fino al parto, al quale aveva del resto assistito quale medico di turno, omettendo anche di informarla sui rischi che correva e sulle carenze della struttura ospedaliera presso la quale si era ricoverata e nella quale egli prestava servizio, benché la scelta di quell'ospedale fosse dipesa proprio da tale ultima circostanza. Sostengono - in tal modo prospettando difetto di motivazione - che la semplicistica affermazione della corte, secondo la quale "la conoscenza dell'avvenuto ricovero presso l'ospedale della medesima (Proietti) non comportava alcun obbligo" a carico del Tozzi, non bastava ad escluderne la responsabilità in relazione al legame privatistico che lo legava alla partoriente e che egli, anche in ragione di tale legame, aveva l'obbligo di "informare, seguire e avvisare" non già fino al momento del ricovero, ma fino a quello del parto, cui non a caso il dott. Tozzi aveva assistito come medico di turno. 3.5. Le censure sono fondate nei sensi di cui appresso. La corte di merito ha escluso la responsabilità del dott. Tozzi, che era entrato in servizio dieci o venti minuti prima del parto, ritenendo irrilevante il pregresso rapporto di natura privata tra il medico e la paziente, in quanto: a) "la conoscenza dell'intervenuto ricovero presso l'ospedale della medesima (Proietti) non importava alcun obbligo a suo carico"; b) "la carenza delle strutture e degli interventi sanitari, del tutto inadeguati alla particolarità del parto a rischio, non è ascrivibile alla sua condotta"; c) non vi erano prove sicure in ordine al fatto (che, se vero, avrebbe assunto rilevanza penale) che il periodo di travaglio fosse stato volontariamente prolungato dai medici della sala parto allo scopo di attendere l'entrata in servizio del dott. Tozzi, in ragione di un accordo di questo con i colleghi. Il tribunale aveva invece, sulla scorta della riconosciuta circostanza che, prima del ricovero, il dott. Tozzi era stato legato da rapporto di opera professionale privatistico con la signora Proietti, ritenuto che si dovesse ragionevolmente presumere che egli era perfettamente al corrente sia del quadro clinico che riguardava la paziente sia del ricovero, avendo svolto il turno di servizio notturno tra il 20 ed il 21 giugno, quello pomeridiano del 22 giugno e quello mattutino del 23 giugno. Sicché doveva essergli ascritta sia la condotta colposa che aveva connotato il periodo compreso tra il ricovero della paziente ed il suo trasporto in sala parto, sia l'atteggiamento "attendistico" della équipe ostetrica in sala parto. Esclusa la censurabilità della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto che non fosse provato alcun accordo tra medici volto ad attendere l'orario di entrata in servizio del dott. Tozzi e (implicitamente) che nessun addebito potesse essergli mosso per l'attività espletata dopo la sua entrata in servizio, a diverse conclusioni deve invece giungersi in ordine al rilievo conferito alle circostanze di cui sub "a" e "b" in punto di incidenza del ricovero ospedaliero in una struttura pubblica sulle obbligazioni che al medico dipendente da

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quella struttura facciano carico in virtù del rapporto di natura privatistica che lo leghi alla persona ricoverata. Benché, invero, non possano certo essergli imputate, in quanto medico di fiducia, le carenze della struttura pubblica presso la quale egli svolge le funzioni di medico ospedaliero né le condotte colpose di altri dipendenti dell'ente, connotato da regole organizzative insensibili al rapporto privatistica tra medico e paziente, egli ha tuttavia 1' obbligo sia di informare il paziente dell'eventuale, anche solo contingente, inadeguatezza della struttura nella quale é inserito e presso la quale il paziente sia ricoverato, tanto più se la scelta sia effettuata in ragione proprio dell'inserimento del medico di fiducia in quella struttura pubblica, sia di prestare al paziente ogni attenzione e cura che non siano assolutamente incompatibili con lo svolgimento delle proprie mansioni di pubblico dipendente (cfr., nel senso della compatibilità tra mansioni ospedaliere ed obbligo assunto dal medico di assistere la propria paziente al parto e sull'obbligo del medico di adoperarsi per rendere compatibili i suoi diversi doveri, Cass., n. 2750/98). Ai fini del giudizio sulla responsabilità del dott. Tozzi in relazione al rapporto privato di prestazione d'opera intercorrente con la paziente è, dunque, per un verso, errato in diritto, in riferimento all'art. 2232 c.c., che l'intervenuto ricovero della signora Proietti in ospedale non comportava alcun obbligo a suo carico; per altro verso, è irrilevante che non fosse a lui ascrivibile "la carenza delle strutture"; per altro verso ancora, è apodittico che "degli interventi sanitari, del tutto inadeguati alla particolarità del parto a rischio", egli non debba rispondere, dovendosi invece stabilire - il che è stato omesso dalla corte d'appello - se egli avrebbe in ipotesi dovuto sconsigliare il ricovero in relazione all'eventuale consapevolezza dell'indisponibilità del cardiotocografo da parte dell'ospedale, provvedere ad un'accorta auscultazione del battito cardiaco del feto nelle ore nelle quali era di turno in ospedale, recarsi in ospedale anche al di fuori del proprio orario di servizio, segnalare la delicatezza del caso al primario ed agli altri medici, chiedere di essere informato dell'inizio e del decorso del travaglio anche dalla ostetrica, raccomandare che il parto fosse accelerato, e così via. 4.1. Col secondo motivo del ricorso principale (Valli) la sentenza è censurata per "violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1223 c.c., nonché dei principi in tema di causalità giuridica, con conseguente omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c. p. c.". Si duole il ricorrente che la corte d'appello, dopo aver rilevato che egli non sarebbe intervenuto in alcun modo secondo quanto dettato dall'art. 63 del D.P.R. n. 761 del 1979, nonostante le circostanze del parto (e cioè la condizione di prematuro e dismaturo del feto e l'indisponibilità del cardiotocografo) richiedessero da parte sua una presenza attenta e vigile nell'impartire le istruzioni del caso, abbia lapidariamente concluso che "ciò chiaramente costituisce quanto meno una concausa nella produzione dell'evento". Afferma che il concetto di concausa rimanda ad una pluralità di fatti colposi coevi o successivi, imputabili a soggetti diversi ed aventi anch'essi efficacia causativa dell'evento dannoso in quanto una "comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, non già tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile (cfr. Cass. 1 febbraio 1991, n. 981)". La corte d'appello avrebbe dunque dovuto determinare l'efficacia causale del comportamento colposo di ciascuno dei responsabili. In difetto di tale accertamento, infatti, quello dei coobbligati che pagasse, non saprebbe in quale misura gli sarebbe dato di rivalersi sull'altro. 4.2. La censura è infondata. Premesso che è assolutamente evidente che le concause presupposte erano sia naturali che umane, basta rilevare che le prime escludono il nesso causale soltanto se siano state da sole sufficienti a determinare l'evento (il che è stato assolutamente escluso dal giudice del merito sulla scorta delle risultanze delle espletate consulenze tecniche) e che, quanto alle seconde, il giudice può procedere alla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l'azione di regresso nei confronti degli altri (il che non è nella specie accaduto), in quanto l'eventuale diseguale efficienza causale delle rispettive colpe dei corresponsabili del danno può avere rilevanza solo ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento fra i corresponsabili, nei confronti di ognuno dei quali il danneggiato può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria (Cass., nn. 1869/97 e 1199/96). Si è anzi chiarito che, poiché la solidarietà riguarda il rapporto esterno tra il danneggiato ed i danneggianti mentre la ripartizione delle conseguenze del fatto produttivo del danno secondo il grado delle rispettive colpe attiene al rapporto interno fra i responsabili, se è azionato solo il primo e nessuna delle parti del rapporto interno chieda ai fini del regresso la ripartizione del debito, incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, accogliendo la domanda, ripartisca il debito nei rapporti interni fra i diversi obbligati in relazione all'incidenza causale delle rispettive condotte (Cass., nn. 1720/98 e 611/77). Nella specie non si afferma, né consta, che fosse stata esercitata alcuna azione di regresso. IL RICORSO INCIDENTALE DELLA USL RM G DI TIVOLI 5. Col primo motivo - deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 63 D.P.R. 20.12.1979, n. 761, 1218, 2043, 2055 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - la Usl RM G si duole che la corte di merito, dopo aver ritenuto che la paziente non fosse stata adeguatamente assistita sin dal momento del suo ricovero, abbia tuttavia escluso la responsabilità del dott. Tozzi soltanto perché aveva assunto servizio circa venti minuti prima del parto, senza in alcun modo considerare che egli (che pure aveva già privatamente seguito la donna quale ginecologo di fiducia ed era quindi a perfetta conoscenza delle condizioni di prematurità e dismaturità del feto) aveva avuto modo di assistere la paziente subito dopo il ricovero e nei giorni successivi, essendo stato di turno presso il reparto tutti i giorni, con esclusione del 24.6.1983, ed avendo assunto servizio, il giorno 20.6.1983, meno di due ore dopo il ricovero. 6. Col secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c. p. c., 1218 e 2043 c.c., nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la corte di merito ravvisato la responsabilità della Usl in relazione all'indisponibilità del cardiotocografo in dotazione all'ospedale durante i giorni di ricovero della signora Proietti. E ciò

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in violazione dell'art. 112 c. p. c., giacché il tribunale, con decisione non impugnata sul punto, aveva invece affermato la responsabilità contrattuale della Usl, ex art. 1228 c.c., per fatto dei dipendenti. La corte d'appello aveva inoltre omesso di chiarire le ragioni per le quali sia configurabile la responsabilità dell'ente ospedaliero allorché uno strumento non sia temporaneamente disponibile perché in riparazione e non aveva considerato che esso, pur certamente utile, non era comunque indispensabile, potendo le relative funzioni essere adeguatamente sostituite dall'auscultazione diretta da parte dei sanitari, sicché non sarebbe stato comunque possibile ravvisare il concorso causale diretto dell'ente ospedaliero nella produzione dell'evento. 7. Col terzo motivo - deducendosi violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1223, 2059 c.c. e motivazione contraddittoria - la sentenza è da ultimo censurata per avere la corte territoriale confermato la statuizione del tribunale in ordine al riconoscimento del danno morale anche ai genitori del minore leso, benché costituisca consolidato orientamento giurisprudenziale che le sofferenze derivate ai prossimi congiunti della vittima del reato possono considerarsi conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo solo in caso di evento letale. Vengono citate Cass. nn. 11414/92, 6854/88, 1845/76, 10561/73, in particolare affermandosi che la difforme Cass. n. 8305/96 (cui, peraltro, adde Cass. nn. 4186/98 e 4852/99) riguarda fattispecie diversa. 8.1. I ricorrenti incidentali Bucci/Proietti eccepiscono l'inammissibilità del ricorso incidentale della Usl perché tardivamente notificato il 5.11.1998, anziché entro il termine del 25.10.1998, in relazione alla data di notifica della sentenza gravata alla Usl, risalente all'8.7.1998. Negano, in particolare, l'applicabilità del disposto di cui all'art. 334 c. p. c., trattandosi di cause scindibili. 8.2. Premesso che i dati temporali sopra riportati sono corretti, il ricorso è inammissibile in quanto, non vertendosi in ipotesi di cause inscindibili o in rapporto di dipendenza, l'impugnazione incidentale tardiva prevista dall'art. 334 c. p. c. può essere proposta soltanto contro chi abbia impugnato in via principale e non contro una parte diversa (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 9198/99, 3509/90, 2923/90). Va infatti escluso che ricorra il concetto di causa inscindibile nell'ipotesi in cui il condebitore solidale, resistente al ricorso principale, miri ad ottenere l'affermazione di responsabilità per vincolo di solidarietà di un soggetto processuale diverso dal ricorrente principale, assolto in sede di merito (Cass. n. 3569/68). Quando, in particolare, il creditore conviene in giudizio i suoi condebitori solidali si verifica, nell'unico processo, una pluralità di cause scindibili (Cass. n. 3809/79), con la conseguenza che, rispetto all'impugnazione proposta da uno dei condebitori solidali, il coobbligato non può proporre impugnazione incidentale tardiva, ma deve proporre impugnazione autonoma nei termini di cui all'art. 325 (come nella specie) o 327 c. p. c. Né sussiste dipendenza di cause nel rapporto che lega ciascun debitore solidale all'unico creditore (Cass. n. 7517/99), potendo configurarsi un'ipotesi di dipendenza solo se tra i debitori solidali sia insorta controversia sull'individuazione dell'autore dell'illecita condotta produttiva dei danni lamentati (Cass. n. 1720/98) per avere uno dei convenuti chiesto al giudice di accertare la responsabilità esclusiva dell'altro convenuto o per aver agito in via di regresso presupponendo, sia pure in via eventuale e subordinata, la corresponsabilità affermata dall'attore (Cass., ud. 29.9.1999, Garonzi c. Palazzo ed altri), ovvero se l'obbligazione dell'uno dipenda dall'accertamento dell'obbligazione dell'altro (Cass. n. 7068/92). Solo in tali casi l'impugnazione di uno dei soggetti condannati in solido autorizza gli altri al gravame incidentale tardivo nei confronti di una parte diversa da colui che ha impugnato (cfr. Cass. n. 10695/99). Nella specie, in difetto di ogni controversia tra i condebitori solidali, il gravame della Usl è rivolto nei confronti del dott. Tozzi (primo motivo) e dei signori Bucci/Proietti (secondo e terzo motivo), non essendo la sentenza censurata nei confronti del dott. Valli, ricorrente principale. La USL tuttavia assume in memoria illustrativa che "il ricorso proposto dal prof. Valli, che deduce la propria estraneità in ordine alla responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, ha determinato l'interesse dell'Azienda Usl a proporre a sua volta, oltre al controricorso, anche ricorso incidentale per censurare i capi della sentenza della corte d'appello di Roma riguardanti sia le causali del danno riconosciute agli attori, sia la responsabilità del dott. Tozzi, sia l'asserita complementare responsabilità della USL RM 26". Va in contrario osservato che - come si è già esposto - la corte di merito aveva ritenuto che la responsabilità della Usl derivasse dal fatto che non era stata diligentemente adempiuta l'obbligazione contrattuale assunta nei confronti della signora Proietti, essendo emerso che l'evento si era prodotto per disfunzioni della struttura ospedaliera, quali la mancanza di un cardiotocografo funzionante e l'operato carente dei sanitari dipendenti dall'ospedale stesso. È stata dunque configurata una responsabilità contrattuale della Usl, la cui ricorrenza non dipende (nella ricostruzione effettuata dalla corte di merito) dalla concorrente responsabilità del dott. Tozzi, ma dalla mancanza del cardiotocografo e dall'operato carente dei sanitari della struttura ospedaliera, quali e quanti che essi fossero, restando il loro numero e la loro personale individuazione affatto irrilevanti in ordine alla responsabilità della Usl stessa. Della propria condanna nei confronti dei coniugi Bucci/Proietti (che non hanno impugnato in via principale la sentenza) la Usl avrebbe dunque potuto dolersi solo con gravame tempestivo. CONCLUSIONI 9. In conclusione, accolti il ricorso incidentale dei coniugi Bucci/Proietti e, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso principale del prof. Valli, rigettato il secondo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale della USL RM G di Tivoli, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti affinché il giudice del rinvio - che si designa in una diversa sezione della stessa corte d'appello di Roma e che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità - si pronunci sulla domanda proposta dai coniugi Bucci/Proietti nei confronti del dott. Augusto Tozzi nel rispetto degli enunciati principi e con motivazione congrua. P. Q. M. la corte riunisce i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo, accoglie il ricorso incidentale di Eraldo Bucci e Domenica Proietti, dichiara inammissibile il ricorso

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Questo senza voler invocare quanto ormai è nell’uso comune con riferimento alla cosiddetta scatola nera degli eventi ospedalieri cruciali e la informatizzazione di ogni processo sanitario a cominciare dalla cartella clinica.

Quando vi sono situazioni di particolare delicatezza e di eccezionale rilevanza, come ad esempio in ambito di procreazione, la moderna medicina impone un monitoraggio adeguato alla riduzione massima di ogni rischio per la donna e per il nascituro, senza esclusione della figura paterna. Si riscontra invece spesso la totale carenza in atti di qualsiasi traccia documentale di informazione.

Nessuno può interferire sull’altrui persona – anche a fini medicali - senza averne prima ottenuto una documentata valida consapevole autorizzazione, aggiornata e concordata, perché il consenso è fatto dinamico e non statico, né val nulla se ridotto a rito formale di firma all’ingresso o all’uscita...

Infatti non serve a deresponsabilizzare nessuno la firma ascrivibile al cosiddetto “consenso firmato…” della serie “firmi qui!” diffusosi per via di una medicina attestata su posizioni difensive e non di paziente documentata comunicazione cui corrisponde equivalente carenza di medicina delle evidenze (EBM): d’altra parte notorie e definitivamente tramontate nella dottrina come nelle guidelines di tutto il mondo civile appaiono le sette alternative alla medicina della evidenza che si commentano da sole.

Medicina basata sulla “EMINENZA” (fiducia sulla propria autorevolezza). Medicina basata sulla “VEEMENZA” (forza di persuasione). Medicina basata sulla “ELOQUENZA” (attitudine al dibattimento). Medicina basata sulla “PROVVIDENZA”(che Dio ce la mandi buona). Medicina basata sulla “DIFFIDENZA” (atteggiamento d’attesa). Medicina basata sulla “INSOFFERENZA” (tendenza alla litigiosità). Medicina basata sulla “CONFIDENZA” (eccesso di mestiere).5 La validazione di ogni successivo atto medico rappresenta solo l’incipit di quella che a ragione

viene definita alleanza terapeutica e si è in ambito di rapporto contrattuale, ex iure, quando si accede ad una struttura pubblica, ove dovrebbe essere garantita la massima attenzione e la capacità di rapide decisioni ed equipollenti interventi se si configurano emergenza ed urgenza.

Due i doveri dei professionisti della sanità per corrispondere ai compiti loro conferiti al fine di garantire nei fatti le fasi decisive di ogni attività socio-sanitaria: � la cura conforme alle conoscenze e capacità cliniche più aggiornate ed accurate (specie in una Azienda

Ospedaliera) e solo su richiesta del cittadino (ex articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana che sancisce solennemente la libertà delle cure);

� la compilazione contestuale di cartelle cliniche che corrispondano a quelle norme anche di natura penale che obbligano ad uniformarsi a criteri di correttezza e completezza formale e sostanziale, in violazione delle quali si versa in fattispecie delittuose (quali il falso ideologico ed il falso materiale puniti dal Codice Penale italiano vigente alla stregua di delitti).

Dovere del medico (certificato, cartella, referto, ricetta) e del medico legale (perizia e consulenza) di agire e scrivere secondo scienza.

La Cassazione Penale ha sentito il bisogno di valutare questo tema in Sezioni Unite (sentenza in Diritto e Giustizia, 27, 2002) stabilendo che non servono più le probabilità, pur dense che siano, e tanto meno l’orientamento personale per affermare un rapporto causale, una responsabilità penale; occorre la certezza oltre ogni ragionevole dubbio… È ben noto che il “vero” in medicina legale si sostanzia nell’“alta” probabilità come del resto tutto ciò che inerisce le valutazioni e definizioni nell’ambito della biomedicina. Il ragionevole dubbio facile da predicare ma arduo da perseguire e identificare nella pratica peritale diventa pertanto un (rectius: il) riferimento culturale e operativo che si sostanzia ogniqualvolta esiste il cimento di un “medico” colto e capace, dedicato e dignitoso nella raccolta dei dati (tutti quelli possibili e “visibili”) e nella analisi, non animato da pre-giudizi nè viziato da “sindrome da innamoramento di tesi”.

Troppe volte invece il consulente ed il perito si adeguano e si “affezionano” ad ipotesi e ad iniziative che poco hanno a che fare con il rigore della scienza e la serietà della metodologia, aggiungendo false conferme (o smentite) ad errori degli operatori del diritto (magistrati inquirenti e giudicanti) e della polizia giudiziaria (afferenti alla polizia di stato o all’arma dei carabinieri) in indagini che lungi dall’avvicinarsi alla “verità” o a veridiche ricostruzioni di fatti finiscono con il negare il fine di giustizia ed il calpestare quei diritti fondamentali dell’uomo sacri e non violabili anche là dove si affronti un “indagato” o un “imputato”.

incidentale della USL RM G, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte d'appello di Roma. Roma, 28 gennaio 2000. 5 Di Isaac D. e Fitzgerald D. “Seven alternatives” in EBM, BMJ, 819, 1999.

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La statistica sulla casistica finisce con l’essere l’involontario ma ineluttabile “criterio” che consente uniformi stime dei singoli casi non affidabili alla opinabilità delle nozioni di “ragionevolezza” e di “dubbio”, variabili nella mente umana tanto quanto sono i soggetti chiamati a valutare dati e a formulare decisioni. Di qui la funzione moderna ma di stampo antico quanto a “investitura” e “caratura” di chi – di parte o d’ufficio – fornisce contributi non riconducibili ad un livello meramente tecnico ma neppure esaltabili in teoremi impertinenti o in interpretazioni non fondate sulla più ostinata obiettività e sofferta responsabilità. Medico legale non “garantito” certo dal semplice “diploma”, concesso da Scuole di Specializzazione troppe volte non rispettose (anche per materiale impossibilità) del dettato normativo, che imporrebbe esperienza autoptica – e non solo – nonché verifiche effettive delle capacità conseguite al percorso formativo, che sono ridotte alla forma di opinabili verifiche in corso di aggiornamento (ECM).

Per ulteriori approfondimenti in tema di MEDICINA LEGALE DELLA RESPONSABILITÀ MEDICA si consulti l’omonimo volume di Angelo Fiori edito nel 1999 da Giuffrè e la ricca ed ormai consolidata specifica giurisprudenza da cui si è estratta una decisione di eccezionale significato e rilevanza.

Per conoscere e comprendere quali sono i corretti canoni cui si dovrebbe ispirare una efficiente organizzazione sanitaria e quali sono i crismi e i criteri che rendono l’atto medico efficace sì da potersi a ragione parlare di servizio sanitario efficiente bisogna rifarsi al dettato costituzionale: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art. 32), “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” (art. 10); e alla cosiddetta riforma sanitaria istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale (legge 833 del 1978).

Ma vi è di più, perché fin dagli albori della sanità italiana “riformata” erano contemplate le successive fasi di informatizzazione integrale e integrata del Servizio per sinergiche e non dispersive attività ed una effettiva “alleanza terapeutica”, cosicché è (rectius: sarebbe… posto che siamo alla mera enunciazione dopo quasi un trentennio!) previsto che il paziente sia informato e avvisato di scadenze tramite sms, e-mail, fax e lo stesso libretto messo in rete nel rispetto del diritto alla riservatezza attraverso le consuete criptazioni dei dati.6

6 Interventi chirurgici e dati personali: il paziente ha diritto ad avere la videocassetta, Garante Privacy, provvedimento in data 20 settembre 2006. Il paziente ha il diritto ad ottenere la videocassetta del suo intervento chirurgico. Lo ha stabilito l'Autorità Garante della Privacy, con provvedimento datato 20 settembre 2006, accogliendo la domanda di un paziente che aveva avanzato richiesta ad una casa di cura di ricevere in forma intelligibile i dati che lo riguardavano e copia della registrazione video dell'intervento al quale si era sottoposto. La struttura sanitaria si era inizialmente opposta a tali richieste, ma l'Autorità ha ribadito il diritto del paziente ad accedere a tutti i dati che lo riguardano, in qualunque documento, supporto, anche visivo, o archivio essi siano contenuti o registrati. Il Garante ha inoltre sottolineato che la presenza, nella documentazione richiesta dal paziente, di dati relativi ad alte persone non fa venir meno i diritti dell’interessato, potendosi agevolmente provvedere alla cancellazione dei dati di terzi. Il Garante ha quindi ordinato alla struttura sanitaria di comunicare al paziente i dati personali richiesti stabilendo la parziale liquidazione a suo favore dell'ammontare delle spese per il procedimento. (Altalex, 29 novembre 2006. Nota di Alessandro Tognetti) GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Provvedimento del 20 settembre 2006 IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; VISTO il ricorso presentato al Garante il 4 maggio 2006 da XY, rappresentata e difesa dall'avv. Mauro Emanuele Calò, nei confronti della Casa di cura S. Camillo s.r.l., con il quale l'interessata, la quale si era sottoposta ad un intervento chirurgico svolto in "videolaparoscopia" presso tale casa di cura, ha ribadito la richiesta- già avanzata con istanza formulata in riferimento alla normativa sulla protezione dei dati personali e rimasta priva di riscontro- di ottenere la comunicazione in forma intelligibile dei dati che la riguardano registrati sulla videocassetta in questione; rilevato che la ricorrente ha chiesto di porre a carico della resistente le spese sostenute per il procedimento; VISTI gli ulteriori atti d'ufficio e, in particolare, la nota del 12 maggio 2006 con la quale questa Autorità, ai sensi dell'art. 149 del Codice, ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle richieste dell'interessata, nonché l'ulteriore nota del 27 giugno 2006 con cui, ai sensi dell'art. 149, comma 7, del Codice, è stato prorogato il termine per la decisione sul ricorso;

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VISTA la nota inviata il 5 giugno 2006 con la quale Casa di cura San Camillo s.r.l. ha sostenuto di essere tenuta unicamente, ai sensi dell'art. 92 del Codice, a fornire o a consentire la visione all'interessato, o a soggetto da questi delegato, di una copia della cartella clinica e dell'acclusa scheda di dimissione ospedaliera, obbligo cui la resistente avrebbe, come non contestato dalla ricorrente, ottemperato prontamente; rilevato che la resistente ha altresì sostenuto che, essendo la riproduzione audiovisiva di un intervento chirurgico meramente facoltativa per la struttura sanitaria (e perciò non inserita nella cartella clinica), la pretesa della ricorrente di ottenerne la consegna sarebbe quindi "arbitraria,

oltre che illegittima"; rilevato, infine, che il titolare del trattamento (che ha fornito anche gli estremi identificativi dei responsabili del trattamento) ha sostenuto che, essendo stati registrati sulla videocassetta in questione vari interventi chirurgici eseguiti anche su altri pazienti, la consegna del relativo supporto violerebbe la riservatezza dei dati personali degli stessi, pur dichiarandosi comunque disponibile a far "visionare" la medesima videocassetta dalla ricorrente o da persona delegata, previo appuntamento, presso la stessa struttura sanitaria; VISTA la nota inviata il 6 giugno 2006 con la quale la ricorrente ha contestato le deduzioni formulate dalla controparte sostenendo che, se pur rientra nella facoltà della struttura sanitaria la decisione di eseguire l'intervento in "videolaparoscopia", una volta che siano stati registrati su apposito video i dati personali del soggetto interessato, quest'ultimo ha il diritto di accedervi ed il titolare ha, quindi, l'obbligo e non la facoltà di consentirne l'accesso; rilevato che la ricorrente ha sostenuto, inoltre, come non sia rilevante che sulla videocassetta siano riprodotti anche i dati personali di altri soggetti parimenti sottoposti ad intervento chirurgico, in quanto il titolare del trattamento ben potrebbe estrapolare la parte relativa all'intervento chirurgico subito dalla ricorrente e metterla a sua disposizione; VISTA la nota inviata il 12 luglio 2006 con la quale la resistente, nel riportarsi al precedente scritto difensivo, ha sostenuto di essere "nella impossibilità materiale di estrapolare dalla cassetta de quo la ripresa relativa all'intervento

di che trattasi, poiché, come in precedenza già chiarito, nella stessa sono filmati interventi chirurgici riguardanti altri

pazienti"; RILEVATO che l'esercizio del diritto di accesso ai dati personali conservati dal titolare del trattamento consente di ottenere, ai sensi dell'art. 10 del Codice, la comunicazione in forma intelligibile dei dati personali effettivamente detenuti, estrapolati dai documenti o dagli altri supporti che li contengono ovvero -quando l'estrazione dei dati risulti particolarmente difficoltosa- la consegna in copia dei documenti, con l'omissione di tutto ciò che non costituisce dato personale dell'interessato (cfr. art. 10, comma 4 e 5, del Codice); rilevato che l'art. 92, comma 2, del Codice, la cui applicabilità è stata invocata dalla resistente nel corso del procedimento, disciplina la diversa ipotesi di richiesta di accesso ai dati contenuti nella cartella clinica da parte di persone diverse dall'interessato, il quale, invece, ha, ai sensi dell'art. 7 del Codice, il diritto di accedere a tutti i dati che lo riguardano, in qualunque documento, supporto (anche visivo) o archivio essi siano contenuti o registrati; RILEVATO che il titolare del trattamento non ha fornito nel corso del procedimento un positivo riscontro alla richiesta di accesso formulata dalla ricorrente; ritenuto, pertanto, di accogliere il ricorso ordinando alla resistente di mettere a disposizione della ricorrente i dati personali che la riguardano registrati sulla videocassetta in questione, previo oscuramento delle immagini relative a terzi (profilo per il quale non risulta comprovata l'asserita impossibilità materiale), entro e non oltre il 31 ottobre 2006, dando conferma anche a questa Autorità, entro la medesima data, dell'avvenuto adempimento; RILEVATO che, ai sensi dell'art. 84, comma 1, del Codice, la comunicazione dei dati in questione, in quanto idonei a rivelare lo stato di salute, potrà essere effettuata da parte della struttura sanitaria resistente "solo per il tramite di un

medico designato dall'interessato o dal titolare"; RICORDATO tuttavia che, pur essendo l'esercizio del diritto di accesso in termini generali gratuito (quando risulti confermata l'esistenza di dati che riguardano l'interessato), in presenza di una richiesta di riprodurre dati personali su uno speciale supporto (quale, nel caso di specie, la videocassetta contenente un filmato che deve essere messa a disposizione nelle sole parti relative all'interessato), ai sensi della determinazione generale del Garante n. 14 del 23 dicembre 2004 in G.U. dell'8 marzo 2005, n. 55, (documento web n. 1104892), il titolare del trattamento può chiedere all'interessato un contributo spese, nella misura massima di 20 euro; VISTA la determinazione generale del 19 ottobre 2005 sulla misura forfettaria dell'ammontare delle spese e dei diritti da liquidare per i ricorsi; ritenuto congruo, su questa base, determinare l'ammontare delle spese e dei diritti inerenti all'odierno ricorso nella misura forfettaria di euro 500, di cui euro 150 per diritti di segreteria, considerati gli adempimenti connessi, in particolare, alla presentazione del ricorso e ritenuto di porli a carico di Casa di cura San Camillo s.r.l. nella misura di 300 euro, previa compensazione della residua parte per giusti motivi; VISTI gli artt. 145 e s. del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196); VISTE le osservazioni dell'Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000; RELATORE il dott. Mauro Paissan; TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE a) accoglie il ricorso e ordina alla resistente di comunicare alla ricorrente i dati personali che la riguardano, entro il termine del 31 ottobre 2006, dando conferma, entro la medesima data, a questa Autorità dell'avvenuto adempimento;

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Esiste l’ipotesi di comunicazione tra medici e pazienti che accedono al colloquio e ricevono risposte e consigli dalla propria postazione domestica, con evidenti vantaggi: 58. (Servizio epidemiologico e statistico). - Nel piano sanitario nazionale di cui all'articolo 53 sono previsti specifici programmi di attività per la rilevazione e la gestione delle informazioni epidemiologiche, statistiche e finanziarie occorrenti per la programmazione sanitaria nazionale e regionale e per la gestione dei servizi sanitari. I programmi di attività, per quanto attiene alle competenze attribuitegli dal precedente articolo 27, sono attuati dall'Istituto superiore di sanità. Le regioni, nell'ambito dei programmi di cui al primo comma, provvedono ai servizi di informatica che devono essere organizzati tenendo conto delle articolazioni del servizio sanitario nazionale.

Con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, furono definite norme per i criteri in ordine alla scelta dei campioni di rilevazione e per la standardizzazione e comparazione dei dati sul piano nazionale e regionale, nel …1978! A cominciare dalla fase preliminare della informazione e del consenso da estendere come si è visto alle condizioni ambientali, organizzative, tecnologiche della struttura, fase imprescindibile per la legittimità dell’atto medico: deve pertanto essere preparato e raccolto in modo chiaro, esplicito e documentato soprattutto negli accertamenti e trattamenti a rischio. Presupposto imprescindibile della formazione di un valido consenso è la necessità da parte del medico di una informazione chiara ed esaustiva inerente tutti i momenti (diagnostico, terapeutico, prognostico) dell’atto medico.7 Sempre più spesso si incontrano fogli di carta la cui mole è inversamente proporzionale all’attenzione, alla comunicazione, al ragionamento clinico… La responsabilità professionale risiede nel dovere di comunicare al paziente informazioni sulle più rilevanti opzioni di trattamento, sui loro rischi e benefici sì che il paziente possa decidere sul certo trattamento.8 I medici hanno l’obbligo di riferire al paziente tutto ciò che riguarda la malattia, soprattutto in caso di infausta prospettiva, ma per farlo devono “cercare di capire il caso”, fare quello che si definisce un adeguato ragionamento clinico: Esecrabile è la graduazione qualificativa da parte del c.t. sulle oggettivazioni lieve/grave e/o, peggio, scusabile o meno ovvero compatibile o meno con il normale grado di professionalità medica. Un tale rifiuto investe a priori l’assurda sillogica del tanto più (difficile, complessa, incerta) tanto meno (riprovevole e quindi scusabile) … 9 Ancora sul malgoverno della cartella clinica ovvero l’epidemia di una malpratica.

Doctor News, quotidiano web dei medici italiani, il 30 marzo 2007 riporta in prima pagina la provocatoria proposta di Luciana Bevilacqua, vicepresidente della Società Italiana per la qualità dell'assistenza sanitaria (Siquas): scrittura illeggibile in cartella clinica? Il medico paghi. Cartelle cliniche illeggibili o piene di errori? Il medico 'sciatto' paghi. Anche semplicemente con l'obbligo di seguire corsi specifici per imparare a comunicare e scrivere chiaramente, in modo da permettere al paziente e ai colleghi di capire le sue indicazioni. E' la provocatoria proposta di Luciana Bevilacqua, vicepresidente della Società Italiana per la qualità dell'assistenza sanitaria (Siquas) che ricorda come in Italia, ancora oggi, la qualità dei servizi sanitari non sia 'misurata' e monitorata, anche quando esistono norme per l'applicazione di strumenti organizzativi specifici. E' il caso della cosiddetta 'lettera di dimissioni ospedaliera' (LdD), che il medico della struttura sanitaria scrive per 'comunicare' con i camici bianchi del territorio. Uno strumento al centro di studi e analisi nei Paesi anglossassoni e che contiene, secondo i ricercatori anglo-americani, il 10-20 per cento di errori. In Italia, invece, non ci sono dati precisi perché "mancano gli studi e risorse dedicati a questo problema e, in generale, alla misurazione della qualità dell'assistenza sanitaria", dice l'esperta. Eppure la lettera di dimissione, pur essendo un "piccolissimo tassello" nell'organizzazione delle cure, spiega la Bevilacqua, "è molto importante perché è quella che consente al paziente dimesso dall'ospedale di avere una sintesi di tutto ciò che è stato fatto durante il periodo di cura e quello che deve essere ancora fatto". Ma, a livello nazionale, mancano ancora indicazioni standardizzate, uguali per tutti: "basterebbe - dice l'esperta - mettersi d'accordo su poche indicazioni chiare, per permettere una reale continuità assistenziale". Tra le Regioni che hanno messo a punto modelli specifici e standardizzati per la redazione delle 'lettere di dimissioni ospedaliere' c'è la Lombardia che "ha fatto da apripista", spiega Bevilacqua.

b) determina nella misura forfettaria di euro 500 l'ammontare delle spese e dei diritti del procedimento posti in misura pari a 300 euro, previa compensazione per giusti motivi della residua parte, a carico di Casa di cura San Camillo s.r.l., la quale dovrà liquidarli direttamente a favore della ricorrente. Roma, 20 settembre 2006 IL PRESIDENTE Pizzetti IL RELATORE Paissan IL SEGRETARIO GENERALE Buttarelli 7 Loré C., Medicina Diritto Comunicazione, Giuffrè, Milano 2005, pag. 215. 8 Barni M., Consulenza medico-legale e responsabilità medica, Giuffrè, Milano 2002, pag. 75. 9 Barni M., op. cit., pag. 22.

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"Noi - dice l'esperta che ha fatto parte di una Commissione ad hoc nella Regione - abbiamo realizzato un percorso di valutazione del servizio sanitario, indicando standard specifici. E la lettera di dimissione è stata ben valutata, indicando tutta una serie di requisiti espliciti, per fare in modo che ogni paziente dimesso abbia una lettera di dimissione con una serie di informazioni, tra le quali tutte quelle necessarie a garantire la continuità terapeutica". In Lombardia i medici possono contare anche su "un manuale della cartella clinica, scaricabile da Internet, in cui vengono chiarite tutte le indicazioni da scrivere nella Ldl", in modo da permettere al medico di famiglia, a cui spetta il compito di seguire il paziente dimesso, di avere le informazioni necessarie a garantire la continuità assistenziale.

E sempre Doctor News del 30 marzo 2007. Snami. Cartelle illeggibili? Basta usare la tecnologia. Cartelle cliniche illeggibili? Basta un computer per evitare problemi di comprensione nella scrittura. Ma la vera questione è la mancanza di standard uniformi, in particolare nelle lettere di dimissioni ospedaliere che arrivano al medico di famiglia. Parola di Roberto Carlo Rossi, segretario nazionale del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (Snami), che commenta la provocatoria proposta di Luciana Bevilacqua, vicepresidente della Società Italiana per la qualità dell'assistenza sanitaria (Siquas), secondo la quale i medici che scrivono male le cartelle cliniche dovrebbero essere sanzionati. "L'allarme di Luciana Bevilacqua sembra un po' eccessivo", afferma Rossi. "L'illeggibilità dovuta a cattiva scrittura è quanto mai limitata per la diffusione dei computer, quindi non sembra che il problema sia nella 'brutta grafia' del medico. Ogni ospedale è dotato di computer e la conoscenza dei programmi di scrittura è elementare". La questione, semmai, continua Rossi, "è la difformità di modello di lettera di dimissione che giunge al medico di medicina generale: la lettera di dimissione è l'unico mezzo per il medico di famiglia di conoscere la storia ospedaliera del paziente ricoverato e le terapie consigliate dal collega ospedaliero". Talvolta, però, "riscontriamo differenti lettere di dimissione - prosegue il segretario dello Snami - ma parlare di veri e propri errori nella prescrizione terapeutica è una forzatura", in ogni caso i numeri italiani sono "molto ma molto più bassi della percentuale del 10-20 per cento segnalata nei Paesi anglosassoni. Per non parlare degli errori pericolosi per il paziente, che sono, a nostra conoscenza, quasi inesistenti. La soluzione è uniformare la lettera di dimissione, e qui non inventiamo nulla - conclude Rossi - in modo da avere uno standard per la comprensione del medico di famiglia".

Ed ancora nello stesso numero Doctor News. Fimmg. Il problema è la mancanza di standard. Ma cosa pensano i medici di famiglia della qualità delle informazioni presenti nelle lettere di dimissioni? "Non è un problema semplice", spiega Giacomo Milillo, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg). "Noi ci confrontiamo spesso - continua - con 'lettere' che sono diverse l'una dall'altra: si passa da documenti di qualità eccellente a documenti incomprensibili. E questo può variare anche da un reparto all'altro di uno stesso ospedale". Per Milillo il problema è la mancanza di un standard. "Purtroppo però anche quando lo standard viene definito, visto che in alcuni ospedali si comincia a lavorare in questo senso, l'omologazione è dettata dalle esigenze informatiche gestionali (come il tipo di software utilizzato) e non da quelle di comunicazione con il medico di famiglia e il paziente". Milillo ricorda che, a grandi linee, "rileviamo due tipi di cartella di buona qualità: quella ottimale, che indica tutta la storia del ricovero e in cui il medico trae conclusioni e suggerimenti per il proseguimento della cura. Poi c'è quella 'gestionale', purtroppo la più diffusa. Riporta tutti i codici: diagnosi di entrata, di uscita, interventi eseguiti, cure. Ma poi tralascia le valutazioni che per noi medici di famiglia sono fondamentali". Per Milillo, però, il problema è tutto nella qualità delle informazioni contenute nel documento: "a occhio non credo che le lettere di dimissioni nel nostro Paese contengano il numero di errori rilevato nei Paesi anglosassoni. Sono sicuramente meno del 10 per cento. Se poi parliamo solo di errori che mettono a rischio la salute del paziente sono sicuro che la percentuale scende di molto".

La medicina moderna soffre di una crisi di identità e credibilità proprio per il gap fra innumerevoli opzioni terapeutiche, molteplici funzioni professionali, definite programmazioni operative, problemi di comunicazione, questioni di natura etica, tecnica, giuridica, sì da rendere urgente l’istituzione di uno specifico settore scientifico-disciplinare di “comunicazione in sanità”. Altrimenti l’isolamento di chi opera in sanità si farà insostenibile e insuperabile la crisi di attività affidate non ad episodica improvvisazione bensì ad armonica concertazione … Su un vecchio vizio dei “dottori in medicina” e sulle conseguenze legali del malgoverno della cartella clinica il Barni scrive su Professione10 dopo la severa sentenza11 sulla cartella clinica, atto pubblico di fede privilegiata (il che comporta consistenti conseguenze penali) nonchè diario della malattia e di ogni fatto clinico rilevante, la cui annotazione ha da esser sincrona rispetto agli eventi attestati uscendo nello stesso momento dalla disponibilità del redattore e acquistando carattere di definitività, per cui aggiunte, modifiche, alterazioni, cancellazioni integrano la falsità in atto pubblico.

10 Barni M., Le conseguenze legali del malgoverno della cartella clinica, Professione, 2, 9, 2005. 11 Cass. Pen., sez. V, 11 luglio-30 ottobre 2005, n. 35167.

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Condivisibili toto corde le parole del Maestro di fronte a tale ricorrente monotona condotta del medico penalmente inquadrato perché reo di falso ed anche “furbesco… birbaccione… indecente… cialtronesco…” sì da suscitare malinconia nell’Autore.

Basterebbe che ogni destinatario della rivista che perviene ad ogni medico, chirurgo, odontoiatra italiano leggesse le parole del Maestro per restituire speranza e dignità ad una sanità che invece oggi scoraggia per il degrado crescente che atti simili denunciano sia sotto il profilo della sicurezza dei pazienti che del decoro dei medici.

Evidenti le conseguenze penali: «…La definizione di atto pubblico di fede privilegiata comporta ovviamente una serie di conseguenze sul piano giuridico di non lieve portata, quali: a. l’applicazione degli artt. 479 e 476 C. P. per falso ideologico e materiale nella previsione più grave; b. l’incombenza degli artt. 477 e 478 C. P. per il falso materiale; c. l’eventuale responsabilità per omissione o rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328 C. P.; d. la rivelazione del segreto di ufficio ex art. 326. C. P.

Ed è in questo senso che si sviluppa la sentenza qui presentata, mettendo in evidenza due aspetti fondamentali dell’elemento psicologico del reato: l’assoluta disattenzione nei confronti dei requisiti formali turbati dall’ineluttabilità della grafia e dalla cialtronesca correzione di eventuali errori materiali (possibile purchè decorosamente realizzata) aggravata da indecente sbianchettatura; l’indifferenza verso uno dei requisiti sostanziali consistenti, oltre che nella veridicità, nella completezza, nella correttezza documentale, nella contestualità e tempestività delle annotazioni e delle eventuali correzioni…

E così si completa un orientamento di massima valorizzazione della Cartella Clinica cui partecipa anche la Cassazione in materia civile,12 quando desume la colpa per omissione dalla mancata trascrizione in Cartella di un dato oggettivo. La Cartella, d’altronde, fotografa per sua stessa natura l’evento nel suo verificarsi, la condotta nel suo evolversi, l’evidenza nel suo formarsi, la negligenza nel suo omissivo esprimersi. E ne fa fede! Il resto è vanità… o, meglio, vacuità...».

Vacuità della cartella per timore di dover render conto dell’errore ricorrente in sanità come segnala Franco Perraro commentando l’editoriale di Richard Smith, Editor del British Medical Journal, “The ethics of ignorance” da cui emerge che solo il 15% degli interventi medici è basato su valide evidenze scientifiche.13 «…ne consegue − osserva Perraro − che l’errore va eticamente riconsiderato ed accettato come punto di partenza per non ripeterlo e per migliorare. Se l’incertezza è così comune per i medici, figuriamoci per i cittadini che sono “ignoranti” e devono fidarsi e delegare al medico le decisioni…».14 ________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________ Bibliografia.

1. Andreassi M.G., Ait-Ali L., Botto N., Manfredi S., Mottola G., Picano E., Cardiac catheterization

and long-term chromosomal damage in children with congenital heart disease, Eur Heart J. 2006; 27:2703-8. 2. Andreassi M.G., Cioppa A., Botto N., Joksic G., Manfredi S., Federici C., Ostojic M., Rubino P., Picano E., Somatic DNA damage in interventional cardiologists: a case-control study, FASEB J. 2005; 19:998-9. 3. Andreassi M.G., Stigliano I., Cioppa A., Manfredi S., Picano E., Chronic low dose radiation exposure indices chromosomal abnormalities in originally genetically identical twins, Int J Cardiol 2006. 4. Bedetti G, Cicognani A., Loré C., Implicazioni medico-legali della diagnostica ionizzante in

cardiologia, Giornale Italiano di Cardiologia 2007, www.giornale-italiano-cardiologia.it. 5. Bedetti G., Loré C., Pasanisi E. M., Pizzi C., Turchetti G., Economic Analysis Including Long-term

Risks and Costs of Alternative Diagnostic Strategies to Evaluate Patients with Chest Pain, Cardiovascular Ultrasound 2007, www.cardiovascularultrasound.com/imedia/6603812121695193_article.pdf. 6. Bedetti G., Loré C., Radiological informed consent in cardiovascular imaging: towards the medico-

legal perfect storm?, Cardiovascular Ultrasound 2007, www.cardiovascularultrasound.com/content/5/1/35.

12 Cass. Civ., sez. III, 23 maggio 2003, n. 11316 e Cass. Civ., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 583. 13 Smith R., The ethics ignorance, J. Med. Ethics:1992, 18, 117-8. 14 Perraro F., Linee guida-deontologia e responsabilità professionale, Linee guida nella pratica medica: riflessi etico-

deontologici, responsabilità professionale e consenso informato, Seminario di Studio, Siena, Certosa di Pontignano, 24 settembre 1997, Regione Toscana, Firenze 1999, in http://primapagina.regione.toscana.it/index.php?codice=4359.

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7. Brody W.R., Digital Radiography, Raven Press, New York, 1984. 8. Caramella D., Braccini G., Falaschi F., Trippi D., Manuale di radiologia informatica, Idelson Liviana Editrice, Napoli 1992. 9. Cavallo V., La Telemedicina: elemento innovativo ed essenziale del Sistema Radiologia, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 129. 10. Correia M.J., Hellies A., Andreassi M.G., Ghelarducci B., Picano E., Lack of radiological awareness among physicians working in a tertiary care cardiological centre, Int J Cardiol, 2005; 9: 105-110. 11. Feczko P.J., Ackerman L.V., Kastan D.J. et al., Digital Radiography of the gastrointestinal tract, Gastrointest Radiol 1988; 13: 191-196. 12. Lams P.M., Cocklin M.L., Spatial resolution requirements for digital chest radiographs. An ROC

study of observed performance in selected cases, Radiology 1986; 158: 11-19. 13. Loré C., Il punto di vista della medicina legale. Relazione-Introduzione ai lavori del Convegno su “La responsabilità penale del medico fra certezza della prova e tutela sociale. Lo stato della Giurisprudenza e l’opinione della Dottrina” con la Sezione IV della Cassazione Penale, Cappella del Manto, Museo di Santa Maria della Scala, Siena 28-29 marzo 2003. 14. Loré C., Mazzotta C., Emicrania, cefalee e dolori cefalici correlati a disturbi dell’apparato visivo:

aspetti epidemiologici, clinici e medico-legali, Relazione al XV Congr. Naz. Società Italiana Studio delle Cefalee su “Le cefalee nella società del terzo millennio: aspetti multidisciplinari”, Firenze, 11-13 giugno 2001. 15. Loré C., Medicina Diritto Comunicazione, Giuffrè, Milano 2005. 16. Manni C., Stato attuale della Telemedicina in Italia e sue prospettive, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 136. 17. Marano P., Vincenzoni M., Campioni P., Il teleconsulto: nostra esperienza, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 130. 18. Mastracci C., Saitto A., Coiro S., Satellite and Telemedicine, Italsat Satellite Experimental

Application, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 149. 19. Panzeri G., Elaborazione delle immagini: in bottega c’è il Photo-CD, PC Professionale 44, dicembre 1994, pagg. 307-313. 20. Picano E. Stress echocardiography: a historical perspective, Special article, Am J Med 2003; 114: 126-30. 21. Picano E., Informed consent and communication of risk from radiological and nuclear medicine

examinations: how to escape from a communication inferno. Education and debate, BMJ 2004;329:849-851. 22. Picano E., Risk of cancer from diagnostic X-rays (letter), Lancet, 2004;363:1909-10. 23. Picano E., Santoro G., Vano E., Sustainability in the cardiac cath lab, Int J Cardiovasc Imaging, 2006 Oct 11. 24. Picano E., Sustainability of medical imaging. Education and debate, BMJ 2004; 328:578-80. 25. Piperno G.C., La teletrasmissione nella pratica radiologica. Esperienza triennale, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 168. 26. Prosise J., Frattali e compressione di dati, PC Professionale 44, dicembre 1994, pagg. 314-319. 27. Ranucci D., Telemedicina. Nuove tecnologie per una Scienza antica, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 163. 28. Recchia Luciani A. N. M., Dicuonzo F., De Blasi R., Milella D., Aree critiche di applicazione in

telemedicina: l’esempio dell’emergenza vascolare, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 125. 29. Spaggiari P. G., La telediagnosi delle radiografie, ZeroUno 158, marzo 1995, pagg. 71-76. 30. Valenza G., Esperienze e prospettive sulla registrazione elaborazione e trasmissione di immagini

diagnostiche in Neurochirurgia, Atti del IV congresso di informatica e neuroscienze, Bari 4-6 ottobre 1993, pag. 167.

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Le sei sostenibilità della diagnostica per immagini

1. Sociale (i costi)

2. Medica (la consapevolezza)

3. Legale (il consenso)

4. Radiologica (le dosi)

5. Biologica ( i rischi)

6. Etica (la responsabilità)

La legge europea

• L'irradiazione medica è la fonte più importante di esposizione alle

radiazioni ionizzanti in Europa

• Giustificazione (articolo 3): Se un'esposizione non può essere giustificata,

dovrebbe essere proibita. Nel processo di giustificazione dovrebbero essere

considerate l'efficacia e la disponibilità di tecniche alternative che utilizzano

meno o nessuna radiazione ionizzante

•Responsabilità (articolo 5): Sia il medico che prescrive il test che il medico

che lo esegue sono responsabili per la giustificazione di un test che espone

il paziente a radiazioni ionizzanti.

COUNCIL DIRECTIVE 97/43 Euratom 3 of 30 June 1997

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D.L. 26 Maggio 2000, n. 187

Art. 14 Apparato sanzionatorio

La violazione degli obblighi di cui all’art. 3, in tema di giustificazione, ed all’art. 4, in tema di ottimizzazione, è punita con l’arresto fino a 3 mesi.

“La sigaretta!” grida il bigliettaio nell’autobus.

“Ma veramente io adesso mi sono preso il

caffè.”

“Ah, va bene”

A. Savignano, in “Così parlò Bellavista”

Radiazioni, la legge e il caffè

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Strategy number one: DON’T SAY A WORD

L’attuale scelta della TAC, angioplastica, stent, etc…

“Il mio segreto è chiuso dentro me…”

Strategia numero 2:Understatement

Rischio in medicina nucleare:

• Non invasività

• Basse dosi

• Rapida eliminazione

• Reazioni avverse rarissime

“dose corrispondente a una comune radiografia”

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I nostri consensi

Strategia numero 3: Full disclosure (NIH.gov)

“Il tuo esame di medicina nucleare implica l’esposizione a

radiazioni. Sebbene l’esposizione vari da persona a

persona, la tua esposizione corporea totale durante l’esame

sarà di circa 1300 mrem (13 mSv). Questo corrisponde a

circa 5 volte l’esposizione annuale media che un abitante

degli Stati Uniti riceve dalle radiazioni naturale di fondo.

Sebbene non ci si aspettino effetti deleteri sulla salute da

questa esposizione, il tuo rischio a lungo termine da questo

grado di esposizione radiologica è circa 1 su 1,000. Un

effetto dannoso potrebbe includere lo sviluppo di cancro

fatale, sviluppo di un cancro non fatale, o lo sviluppo di

danni genetici che possono essere trasmessi alla prole”

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Protezione dalle radiazioni. Linee guida per la diagnostica per immagini. Con il coordinamento della Commissione Europea

2,7 anni3006

Scintigrafia

dinamica cardiaca

(Tc-99 m)

4,5 anni50010TC addome

Periodi di esposizione a

radiazioni naturali di

fondo

Equivalente a numero

radiografie torace

Dose efficace (mSv)

Procedura diagnostica

Commissione Europea. Direzione Generale per l’Ambiente. Anno 2002. Gratuito in rete.

“Gli specialisti si arrabbiano quando i non-specialisti

intervengono dicendo loro cosa va bene e cosa no.

La loro reazione tipica e: “Questo non sa di che cosa

parla, noi solo siamo in grado di esprimere un

giudizio”. Però, la scienza ha degli antidoti contro

l’arroganza delle corporazioni che la società non

possiede. E quindi la tecnologia – un bene comune –

diventa ostaggio delle corporazioni, e la società paga

il costo”

HansHans MagnusMagnus BellavistaBellavista

Hans Magnus Enzensberger(Repubblica, 6 Marzo 2003)

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Dose: 14.6 mSv

(Coles et al, JACC 2006)

740 Chest x-rays

(EU Imaging

guidelines 2001)

Risk corresponding

to 3 days of lost life

expectancy (ICRP

2002)

1 fatal cancer in 1,400

10 million CT/year=15.000 (fatal and non-fatal) cancers

Dose

corresponding to 6

years of natural

background

exposure (2.4

mSv/year)

Radiogenic Risk and exposure dose:

from Benefit to Risk-benefit

Radiazioni e ricerca

Commissione Europea 1999

(Linee guida per le esposizioni a scopo medico nella ricerca medica e biomedica)

* Il rischio totale (cancro fatale, cancro non fatale e disordini ereditari) è 2-3 volte maggiore nei bambini e 5-10 volte minore negli adulti sopra i 50 anni.

Livello di rischio

Livello di Beneficio sociale

Categoria di rischio

Rischio Totale (*)

Dose efficace corrispondente

(mSv)

Insignificante Insignificante I <1 su 1,000,000

<0.1

Modesto Modesto IIa ~ 1 su 100,000 0,1-1

Medio Medio IIb ~ 1 su 10,000 1-10

Moderato Sostanziale III >1 su 1,000 >10

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1 su 5009 anni115019, M

Cumulative risk

Background exposure

Chest x-raysAge, sex

Ups J Med Sci 2001; 106:59-66“Thallium 201 myocardial imaging at rest in male orienteers and other endurance athletes”

“Perfusion abnormalities at rest did not occur more frequently in the orienteers but were commonly found in apparently healthyathletes making it futile to discernabnormals from normals”

The citizen and the patient

� A cardiac stress scintigraphy:

“Equivalent to the risk of dying after smoking 700 cigarettes”

Zamenhof, J Nucl Phys 1977

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Protezione dalle radiazioni. Linee guida per la diagnostica per immagini. Con il coordinamento della Commissione Europea

2,7 anni3006

Scintigrafia

dinamica cardiaca

(Tc-99 m)

4,5 anni50010TC addome

Periodi di esposizione a

radiazioni naturali di

fondo

Equivalente a numero

radiografie torace

Dose efficace (mSv)

Procedura diagnostica

Commissione Europea. Direzione Generale per l’Ambiente. Anno 2002. Gratuito in rete.

� Il deterrente medico-legale alla prescrizione difensiva

può diventare una forza a favore della prescrizione

responsabile (Federal Supreme Court of Germany,

1998, NJW 12, 833-836: “potential damage justifies

prosecution”)

� Un medico svizzero è stato condannato per avere

prescritto e praticato troppi esami inutili. Il

professionista, un 48enne vodese, e' stato processato

a Nyon per ''truffa e amministrazione infedele'' ed e'

stato condannato a 18 mesi con la condizionale. Una

paziente che si era rivolta al medico condannato per

disturbi digestivi ed era stata sottoposta addirittura a

20 radiografie e a 18 consultazioni in otto mesi.

(Doctornews, 19 settembre 2005)

La medicina difensiva non difende nessuno

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“don’t know”

Zero

Equivalent to 1 chest X-ray

Equivalent to one-half a chest X-ray

Equivalent to 500 chest X-rays10%

11%

35%23%

21%

The perceived dose (stress scintigraphy)

(Bedetti G.,Gavaruzzi, Cicognani et al )

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Radiation, dollars and cents

� Denying MRI in favor of CT because CT is $ 50 or $ 100 less expensive is morally inexcusable.

� Regarding litigation, I am personally mostconcerned about future class action suitsregarding excessive and deleterious use of radiation from CT, from patients who wereinformed of the risks.

R. Semelka, Medscape, 16 March 2007 and JMRI 2007