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SUSSIDIO PER I SACERDOTI Collana Sussidi - 33 Gioiosi annunciatori del Vangelo Ritiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2014-2015 Diocesi di Treviso

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Collana Sussidi - 33

Gioiosi annunciatori

del VangeloRitiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2014-2015

Diocesi di Treviso

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AUTORE: Commissione diocesana per la formazione permanente del clero

TITOLO: Gioiosi annunciatori del Vangelo.Ritiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2014-2015

COLLANA: Sussidi - 33

FORMATO: 13 x 21 cm

PAGINE: 176

ISBN: 978-88-95262-88-8

© 2014 Editrice San LiberaleOpera San Pio X - Diocesi di TrevisoVia Longhin 7 - 31100 TrevisoTelefono 0422 576850 - Fax 0422 576992E-mail: [email protected]

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Collana Sussidi - 33

Gioiosi annunciatori

del VangeloRitiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2014-2015

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I testi della liturgia inseriti nella presente pubblicazione riproducono quelli approvati della Liturgia delle Ore; i brani evangelici sono ripresi dalla traduzione della Bibbia in lingua italiana approvata e pubblicata dalla CEI nel 2008.

Alla composizione e stesura del testo hanno collabora-to: Pavone don Donato, Chioatto don Stefano, Guidolin don Antonio e Pizzato don Luca.

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Presentazione

Le tappe dell’itinerario

È già passato un anno da quando papa Francesco, in oc-casione della chiusura dell’Anno della fede, consegnò alla Chiesa l’esortazione apostolica riguardante l’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Dell’Evangelii Gaudium è stato detto e scritto molto. La portata dei temi trattati e l’attualità dei contenuti ivi raccolti meritano attenta con-siderazione da parte di tutti i cristiani, dei pastori in par-ticolare. È stata proprio la chiara consapevolezza di essere di fronte ad un testo che riveste per la Chiesa di oggi e do-mani una grande rilevanza sul piano spirituale e pastorale, a spingere i membri della Commissione diocesana per la formazione permanente del clero a proporlo a tutti i preti come fonte e guida dell’itinerario spirituale di quest’anno.

Le quattro tappe del percorso mirano ad approfondire, in chiave spirituale, i temi più rilevanti dell’esortazione apo-stolica di papa Francesco: la gioia del Vangelo, una Chiesa in uscita, l’annuncio del Vangelo e la dimensione sociale dell’evangelizzazione.

Come di consueto, ad accompagnarci nel cammino saran-no non solo alcuni brani della Sacra Scrittura e dei docu-menti del Magistero riguardanti la vita e il ministero del prete, ma anche dei passi scelti di qualche libro di teologia spirituale o pastorale. Tutto il materiale proposto ha lo scopo di offrire stimoli per la rifl essione personale.

Il primo ritiro focalizzerà l’attenzione di tutti sulla gioia, sui suoi risvolti antropologici, sulla sua vera sorgente (l’a-more di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo), sulla via da percorrere per potervi continuamente attingere (l’in-

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contro e la relazione con Gesù, da coltivare o verso cui ritornare) e sull’evangelizzazione quale suo frutto.

Il secondo ritiro mette a tema la dinamica missionaria della Chiesa, il fondamento della sua «uscita», gli atteg-giamenti che dovrebbero accompagnare la sua azione pa-storale e la conversione che è chiamata ad operare, in fe-deltà al messaggio che le è stato consegnato e deve portare a tutti gli uomini.

Il terzo ritiro verte attorno al popolo di Dio come soggetto di evangelizzazione, con tutto quello che questo compor-ta, quindi ad alcune vie o mezzi di evangelizzazione, so-prattutto la predicazione all’interno della liturgia; situato nella cornice ecclesiale, il ministero della predicazione del prete trova così la sua giusta collocazione.

Nell’ultimo ritiro ci si concentrerà sulla dimensione co-munitaria e sociale del kerygma, di conseguenza sull’im-pegno del cristiano per l’edifi cazione di un mondo giusto e pacifi co, compito questo che si realizza attraverso la scelta preferenziale dei poveri e la disponibilità a percorrere la via del dialogo con tutti.

La struttura del testo

Il presente sussidio, volutamente semplice, intende essere un agile e utile strumento per la rifl essione, il discerni-mento e la preghiera. Il materiale ivi riportato è struttu-rato, ma soltanto quanto basta per sostenere la ricerca di ciascuno, alla quale niente e nessuno possono sostituirsi. Il libro si articola in sei capitoli.

I primi quattro, che raccolgono i testi per la meditazione e l’orazione dei preti che parteciperanno ai ritiri intervica-riali, sono organizzati nel seguente modo:

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1. adorazione eucaristica, con i brani, le orazioni e i canti per l’adorazione del mercoledì sera (l’invito alla preghie-ra e la preghiera corale sono di David Maria Turoldo);

2. brani biblici di riferimento, con le citazioni della Scrit-tura per l’ascolto della Parola;

3. per la rifl essione, con una sintetica guida alla lettura del l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (i nu-meri dell’esortazione sono riportati tra parentesi in neretto) e alcuni suoi passi scelti ad hoc;

4. per l’approfondimento, con frammenti di rifl essione tratti da documenti del Magistero, libri di spiritualità o riviste di pastorale, capaci di stimolare, sostenere e alimentare il lavoro personale di discernimento e at-tualizzazione.

Il quinto capitolo, poi, presenta il profi lo e gli scritti di Oscar Arnulfo Romero, Filippo Neri, Roger Schutz e Gio-vanni Antonio Farina, che nella vita di tutti i giorni si sono dimostrati annunciatori gioiosi e credibili del Vangelo.

Il sesto capitolo, infi ne, è una vera e propria raccolta di preghiere sui temi che il percorso spirituale di quest’anno approfondisce.

I ritiri intervicariali

Anche quest’anno i ritiri avranno inizio con la recita dei vespri del mercoledì sera e termineranno con il pranzo del giorno dopo. Quello che segue è il programma suggerito:– mercoledì:

ore 19.00 preghiera dei vespriore 19.30 cenaore 21.00 adorazione con intervento del predicatoreore 22.00 preghiera di compieta e benedizione euca-

ristica;

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– giovedì mattina: ore 7.30 celebrazione delle lodi e dell’uffi cio delle

let tureore 8.15 colazioneore 9.00 proposta di meditazioneore 9.50 tempo di preghiera personale e confessioniore 11.45 condivisione spirituale (facoltativa)ore 12.15 preghiera dell’ora mediaore 12.30 pranzo.

Fatte salve le variazioni riportate nel dépliant con il pro-gramma di tutti gli appuntamenti della formazione del clero, i ritiri intervicariali seguiranno il seguente calen-dario: – 5-6 novembre 2014 – 4-5 febbraio 2015 – 18-19 marzo 2015 – 13-14 maggio 2015.

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PRIMO RITIRO

La gioia del Vangelo

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

1. Hai dato un cibo a noi, Signore,germe vivente di bontà.nel tuo Vangelo, o buon pastore,sei stato guida e verità.

Rit. Grazie, diciamo a te, Gesù!Resta con noi, non ci lasciare:sei vero amico solo tu!

2. Alla tua mensa accorsi siamopieni di fede nel mister.O Trinità, noi t’imploriamo:Cristo sia pace al mondo inter. Rit.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Invito alla preghiera

Cel. Tempo è di nozze, lo sposo è venuto, lasciate il lutto, lo sposo è con noi! Lutto e digiuni si addicono ad altri, non agli amici fi n quando è presente.Ass. Certo sappiamo dei giorni di buio, dei giorni soli, di fi tta caligine: ma pure allora la sua memoria a come piangere è un dolce aiuto.

Cel. Così digiuni e rinunce e lamenti sono la nostra preghiera più fonda,

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l’invocazione di quanto sia forte il desiderio delle ultime nozze.Ass. Mentre la gioia dei cuori fedeli già or fi orisce e in danze si espande perché sicuri di esser «promessi», già fi danzati alla nuova alleanza.

Cel. Ecco già nuove son tutte le cose, pure in esilio ancora cantiamo: non rattoppate col nuovo vecchi abiti e il vino nuovo mettete in nuovi otri.Ass. Solo Cristo è l’alfa e l’omega, non basta l’uomo a placare l’attesa: è lui la vita che ogni essere invoca, Cristo risorto e presente per sempre.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Preghiera corale

Scenda, o Padre, il tuo dono di pace nei nostri cuori; tu conosci la nostra fatica a seguire la via che Gesù ha tracciato davanti a noi: perdona le nostre debolezze e infedeltà, perché, rinvigoriti dal tuo Spirito di pace riprendiamo con maggior coraggio il cammino fi no a raggiungere la casa dove tu ci attendi. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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In ascolto della parola di Dio (LC 1,26-38)

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, pro-messa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giu-seppe. La vergine si chiamava Maria.

Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te!».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un fi glio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sem-pre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fi ne».

Allora Maria disse: «Come avverrà questo, poiché non cono-sco uomo?».

Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha con-cepito anch’essa un fi glio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si può meditare avvalendosi dei seguenti frammenti di rifl essione di Giovanni Paolo II (cfr. L. VELARDI [a cura di], Giovanni Paolo II: i giorni del silenzio, Città Nuova, Roma 2005).

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Non abbiate paura: Dio sarà sempre con voi! Con il suo aiuto potrete percorrere le strade che conduco-no al cuore di ogni uomo.

Carissimi, chiedo al Signore di poter essere in mez-zo a voi testimone di speranza, di quella speranza che non delude, perché fondata sull’amore di Dio che «è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5). È di questo che il mondo ha oggi particolarmente bisogno: di un sup-plemento di speranza!

La Chiesa ha bisogno di autentici testimoni per la nuova evangelizzazione: uomini e donne la cui vita sia stata trasformata dall’incontro con Gesù; uomi-ni e donne capaci di comunicare quest’esperienza agli altri. La Chiesa ha bisogno di santi. Tutti siamo chiamati alla santità e solo i santi possono rinnova-re l’umanità.

Ave Maria, umile serva del Signore, gloriosa Madre di Cristo! Vergine fedele, dimora santa del Verbo, insegnaci a perseverare nell’ascolto della Parola, ad essere docili alla voce dello Spirito, attenti ai suoi appelli nell’intimità della coscienza e alle sue mani-festazioni negli avvenimenti della storia.

Sì, il cristianesimo è sorgente di vita e Maria è la prima custode di questa fonte. A tutti la indica chie-dendo di rinunciare all’orgoglio, di farsi umili, per attingere dalla misericordia del suo Figlio e collabo-rare così all’avvento della civiltà dell’amore.

A Maria, Madre della Chiesa, rinnovo il mio affi da-mento: Totus tuus! Ci aiuti Lei in ogni momento del-la vita a compiere la santa volontà di Dio.

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Preghiera di Compieta

INNO

Gesù, luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo. In te, santo Signore, noi cerchiamo il riposo dall’umana fatica, al termine del giorno. Se i nostri occhi si chiudono, veglia in te il nostro cuore; la tua mano protegga coloro che in te sperano. Difendi, o Salvatore, dalle insidie del male i fi gli che hai redenti col tuo sangue prezioso. A te sia gloria, o Cristo, nato da Maria vergine, al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

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Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.

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L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

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CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

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Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Sub tuum præsidium confugimus, sancta Dei Genitrix; nostras deprecationes

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ne despicias in necessitatibus; sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,santa Madre di Dio:non disprezzare le supplichedi noi che siamo nella prova,e liberaci da ogni pericolo,o Vergine gloriosa e benedetta.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro del profeta Isaia (40,1-11)

«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemmee gridatele che la sua tribolazione è compiuta,la sua colpa è scontata,perché ha ricevuto dalla mano del Signoreil doppio per tutti i suoi peccati».Una voca grida: «Nel deserto preparate la via al Signore,spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.Ogni valle sia innalzata,ogni monte e ogni colle si trasformi in pianie quello scosceso in vallata.Allora si rivelerà la gloria del Signoree tutti gli uomini insieme la vedranno,perché la bocca del Signore ha parlato».Una voce dice: «Grida»,e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?».Ogni uomo è come l’erbae tutta la sua grazia è come un fi ore del campo.Secca l’erba, il fi ore appassiscequando soffi a su di essi il vento del Signore.Veramente il popolo è come l’erba.Secca l’erba, appassisce il fi ore,ma la parola del nostro Dio dura per sempre.Sali su un alto monte,tu che annunci liete notizie a Sion!Alza la tua voce con forza,tu che annunci liete notizie a Gerusalemme.Alza la voce, non temere;annuncia alle città di Giuda:

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«Ecco il vostro Dio!Ecco, il Signore Dio viene con potenza,il suo braccio esercita il dominio.Ecco, egli ha con sé il premioe la sua ricompensa lo precede.Come un pastore egli fa pascolare il greggee con il suo braccio lo raduna;porta gli agnellini sul pettoe conduce dolcemente le pecore madri».

Vangelo di Luca (10,21-24)

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».

E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Lettera di Paolo ai Filippesi (4,2-9)

Esorto Evoida ed esorto Sintiche ad andare d’accordo nel Si-gnore. E prego anche te, mio fedele cooperatore, di aiutarle, perché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.

Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vo-stra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angu-stiatevi per nulla, m-a in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.

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E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, rice-vuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

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3. Per la rifl essione

Guida alla lettura

La gioia si rinnova e si comunica

La gioia del Vangelo riempie la vita di chi ha incon-trato Gesù (1). C’è da guardarsi dalla tristezza in-dividualistica (2). È necessario coltivare l’incontro personale con Gesù o tornare a lui contando sulla sua misericordia (3).

I libri dell’Antico Testamento preannunciano la gioia della salvezza che si compie nei tempi messianici: Is 9,2; Is 12,6; Is 40,9; Is 49,13; Zc 9,9; Sf 3,17; Sir 14,11-14 (4).

Il Vangelo e il libro degli Atti degli Apostoli sono ricchi di riferimenti alla gioia: Lc 1,28; Lc 1,41; Lc 1,47; Lc 10,21; Gv 3,29; Gv 15,11; Gv 16,20; Gv 16,22; Gv 20,20; At 2,46; At 8,8; At 13,52; At 8,39; At 16,34 (5).

Benché non rimanga la stessa nelle diverse vicende e fasi della vita, la gioia si dà sempre come spiraglio di luce che illumina e riscalda. La gioia nasce dalla consapevolezza di essere amati da Dio e si alimenta nella relazione con lui. Nelle fatiche c’è da confi -dare pazientemente nella sua fedeltà: Lam 3,17.21-23.26 (6).

La gioia attinge alla fonte dell’amore di Dio che si è manifestato in Gesù (7). Chi ha veramente accolto l’amore che dà senso alla vita è animato dal desiderio di comunicarlo agli altri (8).

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La dolce e confortante gioia di evangelizzare

Il bene tende sempre a comunicarsi: 2Cor 5,14 e 1Cor 9,16 (9).

Quando la Chiesa chiama all’impegno di evangelizza-re offre e indica ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale, per questo un evangelizzato-re non dovrebbe mai avere la faccia da funerale (10).

Il Vangelo eterno è sempre nuovo e sorgente costan-te di novità. Giacché la sua bellezza e ricchezza sono inesauribili, ogni autentica evangelizzazione non solo non è mai ripetitiva, ma è anche capace di offri-re una rinnovata gioia (11).

Gesù è il primo e il più grande evangelizzatore. Noi siamo soltanto suoi collaboratori: 1Gv 4,10 e 1Cor  3,7. Questa consapevolezza ci permette di conservare la gioia, a fronte di un compito così esi-gente (12).

La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo di una «memoria grata» ed è una grazia che abbia-mo bisogno di chiedere continuamente: Gv 1,39; Eb 12,1; Eb 13,7; 2Tim 1,5 (13).

La nuova evangelizzazione, che chiama in causa tut-ti i cristiani, si realizza soprattutto in tre ambiti di impegno: la pastorale ordinaria, quella che ha per destinatari i battezzati che non vivono le esigenze del Battesimo e quella orientata a coloro che non co-noscono Cristo. La Chiesa non cresce per proseliti-smo, ma per attrazione (14).

Poiché l’agire missionario è il paradigma di ogni ope-ra della Chiesa, è necessario passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale decisamente mis-sionaria (15).

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Dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco

2. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualistica che scaturisce dal cuore co-modo e avaro, dalla ricerca malati di piaceri superfi -ciali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. anche i credenti corrono questo rischio, certo e per-manente. Molti vi cadono e si trasformano in perso-ne risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desi-derio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto.

3. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situa-zione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incon-tro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prende-re la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cer-carlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cri-sto: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo, Signore, ac-cettami ancora una volta fra le tue braccia redentri-ci». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo

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perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invita-to a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Tor-na a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infi nito e incrollabile. Egli ci permet-te di alzare la testa e ricominciare, con una tenerez-za che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!

9. Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni espe-rienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva u-na profonda liberazione acquisisce maggiore sensi-bilità davanti alle necessità degli altri. Comunican-dolo, il bene arricchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il su-o bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: «L’amore del Cristo ci pos-siede» (2Cor 5,14); «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16).

10. La proposta è vivere ad un livello superiore, pe-rò non con minore intensità: «La vita si rafforza do-nandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vi-ta agli altri». Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristia-ni il vero dinamismo della realizzazione personale: «Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la donia-

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mo per la vita degli altri. La missione, alla fi n fi ne, è questo». Di conseguenza, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funera-le. Recuperiamo e accresciamo il fervore, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. [...] Possa il mon-do del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irra-di fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo».

11. Un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche ai tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fe-de e una fecondità evangelizzatrice. In realtà, il suo centro e la sua essenza è sempre lo stesso: il Dio che ha manifestato il suo immenso amore in Cristo mor-to e risorto. Egli rende i suoi fedeli sempre nuovi, quantunque siano anziani, riacquistano forza, met-tono ali come aquile, corrono senza affannarsi, cam-minano senza stancarsi (Is 40,31). Cristo è il «Verbo eterno» (Ap 14,6) ed è «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8), ma la sua ricchezza e la sua bel-lezza sono inesauribili. Egli è sempre giovane e fonte costante di novità. [...] Egli sempre può, con la sua novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comunità, e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ec-clesiali, la proposta cristiana non invecchia mai. Ge-sù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. [...] Ogni auten-tica azione evangelizzatrice è sempre «nuova».

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4. Per l’approfondimento

Dalla costituzione Gaudium et Spes del Concilio ecumenico Vaticano II

10. Di fronte all’evoluzione attuale del mondo, di-ventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos’è l’uomo? Qual è il signifi cato del dolore, del male, della morte, che continuano a sus-sistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quel-le conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?

Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima voca-zione; né è dato in terra un altro nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chia-ve, il centro e il fi ne di tutta la storia umana. Inoltre, la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che mu-ta stanno le realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stes-so: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il Concilio intende rivolgersi a tutti per il-lustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo.

45. La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ri-cevere molto da esso, ha di mira un solo fi ne: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’in-tera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio

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può offrire all’umana famiglia, nel tempo del su-o pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l’universale sacramento di salvezza», che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo.

Infatti, il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapi-tolazione universale. Il Signore è il fi ne della storia umana, «il punto focale dei desideri della storia e della civiltà», il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esalta-to e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivifi cati e radunati nel suo Spi-rito, come pellegrini andiamo incontro alla fi nale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: «Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10).

Dal Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri della Congregazione per il Clero

35. Da ciò deriva che il sacerdote è coinvolto, in maniera del tutto speciale, nell’impegno dell’intera Chiesa per la nuova evangelizzazione. Partendo dalla fede in Gesù Cristo, redentore dell’uomo, ha la cer-tezza che in lui vi è «un’imperscrutabile ricchezza» (Ef 3,8) che nessuna cultura, nessuna epoca può e-saurire e alla quale possono attingere sempre gli uo-mini per arricchirsi.

È questa, pertanto, l’ora di un rinnovamento della nostra fede in Gesù Cristo, che è lo stesso «ieri, og-

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gi e sempre» (Eb 13,8). Pertanto, «la chiamata alla nuova evangelizzazione è innanzitutto una chiamata alla conversione». Al tempo stesso, è una chiamata a quella speranza, «che poggia sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua Parola, e che ha come certezza incrollabile la risurrezione di Cristo, la sua vittoria defi nitiva sul peccato e sulla morte, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di o-gni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana».

In tale contesto, il sacerdote deve anzitutto ravviva-re la sua fede, la sua speranza e il suo amore sincero al Signore, in modo tale da poterlo offrire alla con-templazione dei fedeli e di tutti gli uomini come ve-ramente è: una Parola viva, affascinante, che ci ama più di tutti perché ha dato la sua vita per noi; «nes-suno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Nello stesso tempo, il sacerdote, consapevole che o-gni persona è, in diverso modo, alla ricerca di un a-more capace di portarla oltre gli angusti confi ni del-la sua debolezza, del proprio egoismo e, soprattutto, della stessa morte, proclamerà che Gesù Cristo è la risposta a tutte queste ansie.

Nella nuova evangelizzazione il sacerdote è chiama-to ad essere araldo della speranza.

Da Servi e nulla più di Carlo Ghidelli

Non è vero che il prete è l’uomo di nessuno e non è vero che egli è fatalmente destinato alla solitudine e alla tristezza. Non è neppure vero che chi si fa prete si autocondanna a vivere da solo. A meno che suben-tri o riemerga una situazione patologica e a condi-

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zione che egli si dedichi totalmente e appassionata-mente alla sua missione, nessuno forse più del prete vive una rete di rapporti umani altamente gratifi can-ti, nessuno più del prete si trova nella felice situazio-ne di chi viene richiesto e contattato da molte perso-ne per i più svariati motivi. Con tutto il rispetto per chi ha scelto altre strade, questo fatto, a mio parere, è largamente confermato dall’esperienza.

Il prete appartiene nello stesso tempo a Cristo e al-la Chiesa, è il ministro di Dio e della comunità cri-stiana. Il prete è l’uomo di tutti, che ha imparato ad aprirsi alle necessità dei fratelli e delle sorelle nella fede, senza privilegiare alcuno e senza esclusione di altri. Questo non è ciò che il prete fa, ma quello che il prete è. Il suo vivere secondo queste specifi -che modalità incide a tal punto sulla personalità del prete che fi nisce per forgiarla in modo inconfondi-bile e sicuro.

Questa duplice appartenenza non lacera la persona-lità del prete, ma la corrobora incredibilmente fi no al punto che egli, con estrema facilità, passa dalla preghiera all’azione pastorale e dall’azione pastora-le alla preghiera senza traumi e senza scrupoli. Ad una condizione tuttavia: che il prete appartenga pie-namente a se stesso, nel senso che egli non deve mai abdicare alla piena e totale padronanza dei suoi sen-timenti e della sua vita interiore.

Un prete che conserva sempre viva in se stesso que-sta consapevolezza non si sente mai solo perché ha imparato a personalizzare ogni genere di relazione, perché ha imparato a fare unità nella sua vita. Questa unità, tanto preziosa e indispensabile, è certamente frutto della fedeltà alla propria vocazione, ma è an-che sintesi dinamica delle diverse e complementari appartenenze del prete. Intendo parlare di unità non solo psicologica, ma anche spirituale nel senso che il prete per essere in grado di risolvere gli immancabi-li problemi annessi alla sua scelta vocazionale, deve

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acquisire la capacità di auto-determinarsi e di auto-gestirsi in modo spontaneo e sereno.

Nel prete il rapporto con Cristo Signore costituisce l’apice e il vertice della sua spiritualità; il rapporto con la comunità ecclesiale costituisce l’habitat del suo ministero e della sua azione pastorali; il rappor-to con se stesso costituisce il centro e il perno delle sue scelte quotidiane.

(Tau, Roma 2011, pp. 10-11)

Da La gioia di essere prete di Christoph Schönborn

L’Eucaristia è il cuore della nostra vita di sacerdoti. Senza di essa la nostra vita sarebbe senza senso, sen-za centro. [...] L’Eucaristia è la nostra gioia e il no-stro peso. Essa è una sorgente inesauribile di gioia, di questa vicinanza unica a Cristo, quando diciamo, «nella sua persona», le parole che fanno del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue. Essa è la sor-gente di tutta la nostra missione, perché è da lì che ci viene questa urgenza di entrare nella missione di Gesù che si è consegnato «per la salvezza del mon-do». L’Eucaristia è il momento privilegiato, unico di intimità con il Maestro, l’Amico, ma anche il mo-mento più alto della comunione della Chiesa, che è il suo Corpo, il momento in cui la nostra vocazione di servitori del popolo di Dio si esprime in modo unico: strumenti di Gesù per la santità del popolo di Dio.

(Paoline, Milano 2010, pp. 77-78)

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SECONDO RITIRO

Una Chiesa in uscita

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

1. Adoro te devote, latens Déitas,quæ sub his fi guris vere latitas:tibi se cor meum totum subjicit,quia te contemplans totum defi cit.

2. Visus, tactus, gustus in te fállitur,sed auditu solo tuto créditur:credo quidquid dixit Dei Fílius:nil hoc verbo veritatis vérius.

3. In cruce latebat sola Déitas,at hic latet simul et humánitas:ambo tamen credens atque cónfi tens,peto quod petivit latro pænitens.

4. Plagas, sicut Thomas, non intúeor:Deum tamen meum te confíteor:fac me tibi semper magis crédere,in te spem habére, te dilígere.

5. O memoriale mortis Domini,Panis vivus, vitam præstans homini:præsta meæ menti de Te vivere,et Te illi semper dulce sàpere.

6. Pie pellicane Iesu Dómine,me immundum munda tuo sánguinecuius una stilla salvum fáceretotum mundum quit ab omni scélere.

7. Iesu, quem velatum nunc aspício,oro fi at illud quod tam sítio:

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ut te revelata cernens fácie,visu sim beatus tuæ gloriæ. Amen.

1. Come uno che l’amore rende pronto, io Ti adoro, o Dio che ti nascondi e in questi simboli a noi vero ti dai, inafferrabile. Interamente a te si sottomette il cuore: ché troppo sei gran-de, e vinci ogni sua forza di penetrazione.

2. Se mi lascio guidare da ciò che vedo, o tocco, o gusto, io cado nell’inganno. Posso soltanto udire: mi basta, a dare sicurez-za alla mia fede. Tutto quello che il Figlio di Dio disse, io lo credo: di questa tua parola di verità, nulla è più vero.

3. Quando fosti crocifi sso, il divino era nascosto; ma qui, anche l’umano tuo ci vien sottratto. E proprio qui, l’uno e l’altro credendo e proclamando, ti faccio anch’io la preghiera del ladrone in pentimento.

4. Neppure, come a Tommaso, mi è dato di scrutare le tue pia-ghe; e, nonostante, ti rendo confessione: “Sei tu il mio Dio!”. Fa’ che a te sempre di più io creda, e in te abbia speranza, e che ti ami.

5. O memoriale della morte del Signore! O pane vivo che all’uomo vai donando vita! Fammi un dono: viva di te l’a-nima mia, e sempre abbia gusto per te, come per un sapore grato.

6. La tua tenera e santa dedizione, Gesù Signore, giunge a do-nare interamente il sangue. Di questo sangue, anche una goccia piccola è in grado di salvare il mondo intero. Con questo sangue fai nettezza in me! Sono un immondezzaio.

7. Ti sto guardando, Gesù, che ti sei messo un velo. Sono asse-tato; e ti faccio una preghiera: fi ssare quel tuo volto d’uomo e senza più schermi ormai; e, dal veder direttamente la tua divina gloria, tutto restarne beatifi cato. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Invito alla preghiera

Cel. Pasqua nostra con noi vivi, Gesù fatto pellegrino, senza patria in cammino: fa’ di noi la tua città.Ass. Tu sei viatico del cielo, la sostanza che non muore, il ristoro e la sorgente sulla strada verso il regno.

Cel. Le due mense tu ci hai dato: il tuo pane e la parola, della vita a nutrimento e del cuore a sazietà.Ass. Nessun dica: o questa o l’altra! Una sola è la presenza, ed il Verbo si fa carne in noi sol per questa fede.

Cel. Egli disse: «Questa è vita: che te, Padre, ognun conosca»; egli disse: «Questo pane è il mio corpo in carità».Ass. Lui è il Verbo, il pane vero, ogni cosa in lui consiste: la parola sua consacri ogni pena ed ogni gioia.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Preghiera corale

Il pane che ci dai da mangiare ed adorare, o Signore, ci aiuti a vivere il tuo amore e a irradiarlo.

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Possa alimentare chi ha fame, guarire il male; far nascere pace e fi ducia, scomparire le angosce, fi orire la visione della vera gioia, quella che è in te e mai si esaurisce. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

In ascolto della parola di Dio (GEN 12,1-9)

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizio-ne. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti male-diranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le fami-glie della terra».

Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando la-sciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, fi glio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tut-te le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fi no alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei.

Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discenden-za io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. Poi Abram levò la tenda per an-dare ad accamparsi nel Negheb.

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Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale è possibile rifl ettere avvalendosi dei se-guenti passi di dom Hélder Câmara sulla dinamica dell’esodo.

Partire è anzitutto uscire da sé. Rompere quella cro-sta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro io. Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita.

Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti proble-mi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l’importanza di questo nostro mondo l’umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire.

Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche. Partire è anzi-tutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle no-stre, signifi ca avere il fi ato di un buon camminatore.

È possibile viaggiare da soli, ma un buon cammina-tore sa che il grande viaggio è quello della vita e che esso esige dei compagni. Beato chi si sente eterna-mente in viaggio e in ogni prossimo vede un compa-gno desiderato.

Un buon camminatore si preoccupa dei compagni sco raggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui co minciano a disperare. Li prende dove li trova. Li a scolta, con intelligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.

Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l’arrivo, lo sbarco.

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Ma c’è cammino e cammino: partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa mar-cia per costruire un mondo più giusto e umano.

Qualunque sia la tua situazione di vita, non lasciar-ti imprigionare dall’angusta cerchia della tua pic-cola famiglia. Una volta per tutte, adotta la famiglia umana. Bada di non sentirti estraneo in nessuna parte del mondo.

Sii un uomo in mezzo agli altri. Nessun problema, di qualsiasi popolo, ti sia indifferente. Vibra con le gioie e le speranze di ogni gruppo umano. Fa’ tue le sofferenze e le umiliazioni dei tuoi fratelli nell’umanità.

Preghiera di Compieta

INNO

Al termine del giorno, o sommo Creatore, veglia sul nostro riposo con amore di Padre.

Dona salute al corpo e fervore allo spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte.

Nel sonno delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba intoni la tua lode.

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Sia onore al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio trino ed unico nei secoli sia gloria. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

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Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

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LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

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Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

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Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Salve, Regina, dolce madre nostra tutta bontà, tutta clemenza e amor a te gemendo l’anima si prostra, sola speranza all’umano dolor, a te gemendo l’anima si prostra, sola speranza all’umano dolor. Orsù, quegli occhi tuoi, dolce Maria, pieni d’amor a noi rivolgi tu, sì che si sveli nella patria, o pia, il puro fi or del tuo seno, Gesù! Sì che si sveli nella patria, o pia, il puro fi or del tuo seno, Gesù!

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2. Brani biblici di riferimento

Libro dell’Esodo (2,23-3,15)

Dopo molto tempo il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemette-ro per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Gia-cobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero.

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suoce-ro, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deser-to e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fi amma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Ecco-mi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintenden-ti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido de-gli Israeliti è arrivato fi no a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli

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Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».

Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: «Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi». Mi diranno: «Qual è il suo nome?». E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»».

Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: «Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi». Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di genera-zione in generazione.

Vangelo di Luca (15,1-10)

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per a-scoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel de-serto e va in cerca di quella perduta, fi nché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegra-tevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giu-sti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente fi nché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vici-ne, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mone-ta che avevo perduto”.

Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

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Libro degli Atti degli Apostoli (17,16-34)

Paolo, mentre li attendeva ad Atene, fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli. Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. Anche certi fi losofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: «Che cosa mai vorrà dire questo ciarla-tano?». E altri: «Sembra essere uno che annuncia divini-tà straniere», poiché annunciava Gesù e la risurrezione. Lo presero allora con sé, lo condussero all’Areòpago e dissero: «Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu an-nunci? Cose strane, infatti, tu ci metti negli orecchi; deside-riamo perciò sapere di che cosa si tratta». Tutti gli Ateniesi, infatti, e gli stranieri là residenti non avevano passatempo più gradito che parlare o ascoltare le ultime novità.

Allora Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: «Atenie-si, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazio-ni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confi ni del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed e-sistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”. Poiché dunque sia-mo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dap-pertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mez-zo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».

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Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcu-ni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». Così Paolo si allontanò da loro. Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dio-nigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.

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3. Per la rifl essione

Guida alla lettura

La dinamica dell’esodo

L’evangelizzazione obbedisce al mandato missiona-rio di Gesù: Mt 28,19-20 (19).

Nella parola di Dio appare sempre questo dinami-smo di «uscita», che Dio vuole provocare nei cre-denti: Gen 12,1-3; Es 3,10; Ger 1,7. Siamo chiamati ad uscire dalla nostra comodità e ad avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (20).

La gioia del Vangelo, che riempie la vita della comu-nità dei discepoli, è una gioia missionaria: Lc 10,17; Lc 10,21; At 2,6 (21).

La gioia è il segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutti; la dinamica è quella dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del seminare sempre di nuovo: Mc 1,38; Mc 4,26-29 (22).

La gioia del Vangelo è per tutti: non può escludere nessuno: Lc 2,10; Ap 14,6 (23).

Gli atteggiamenti della comunità missionaria dei di-scepoli di Gesù sono: prendere l’iniziativa, coinvol-gersi (Gv 13,17), accompagnare, fruttifi care e festeg-giare (24).

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La pastorale della Chiesa esige conversione

Le comunità cristiane devono mettere in atto una conversione pastorale. Ad esse non serve più una «semplice amministrazione»: in tutte le regioni del-la terra devono porsi in uno «stato permanente di missione» (25).

Tale appello è per la Chiesa intera. I testi del Con-cilio Ecumenico Vaticano II, infatti, parlano di rin-novamento, emendamento dei difetti, conversione, apertura e disponibilità ad una permanente riforma delle comunità cristiane, perché siano sempre più fedeli a Cristo (26).

Contro una specie d’introversione ecclesiale, la scel-ta missionaria deve trasformare ogni struttura, per-ché diventi canale adeguato all’evangelizzazione del mondo contemporaneo (27): 1) la parrocchia, per-ché non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano se stessi (28); 2) i gruppi, i movimenti e le associazioni (29); 3) la Chiesa particolare (30); 4) il vescovo (31); 5) il papa e le strutture centrali della Chiesa (32).

La pastorale in chiave missionaria esige di abbando-nare il comodo criterio del «si è fatto sempre così»: bisogna essere audaci e creativi nel compito di ripen-sare insieme i fi ni e i mezzi per raggiungerli (33).

Dobbiamo rivedere il nostro modo di comunicare il messaggio evangelico, perché possa giungere a tutti (34): 1) l’essenzializzazione dei contenuti e la semplifi cazione della proposta (35); 2) la gerarchiz-zazione delle verità (36), anche sul versante mora-le; 3) l’adeguata proporzione nella frequenza con la quale si menzionano alcuni temi e negli accenti del-la predicazione (38); 4) la giusta collocazione: ogni

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verità va posta in relazione all’armoniosa totalità del messaggio cristiano, perché nel contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente (39).

La Chiesa è missionaria, certo, ma pur sempre disce-pola, pertanto: 1) ha bisogno di crescere nell’inter-pretazione della Parola e nella comprensione della verità (40); 2) alla luce dei cambiamenti culturali in atto, deve prestare attenzione al linguaggio (rin-novamento delle forme di espressione) con il quale cerca di esprimere le verità rivelate, perché esso sia fedele al fondamento, ma anche capace di parlare all’uomo d’oggi, mantenendo la sua permanente no-vità (41-42); 3) deve rivedere le sue consuetudini, così come le sue norme e i suoi precetti (43).

Il cuore missionario è misericordioso (il prete nel confessionale) e si fa debole con i deboli (44-45). Una Chiesa in uscita è una Chiesa con le porte aper-te: i cristiani non sono controllori, ma facilitatori della grazia e se devono privilegiare qualcuno, questi è il povero (47-48). È meglio una Chiesa accinden-tata, ferita e sporca per essere uscita, che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze (49).

Dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco

24. La Chiesa «in uscita» è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvol-gono, che accompagnano, che fruttifi cano e festeg-giano. «Primerear – prendere l’iniziativa»: vogliate

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scusarmi per questo neologismo. La comunità evan-gelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’i-niziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr. 1Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invita-re gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offri-re misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infi -nita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa «coinvolgersi». Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvol-ge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio da-vanti agli altri per lavarlo. Ma subito dopo dice ai di-scepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,1-7). La comunità evangelizzatrice si mette mediante o-pere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fi no all’umiliazione se è ne-cessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzato-ri hanno così «odore di pecore» e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad «accompagnare». Accompagna l’uma-nità in tutti i suoi processi, per quanto duri e pro-lungati possano essere. L’evangelizzazione usa mol-ta pazienza, ed evita di non tenere conto dei limiti. Fedele al dono del Signore, sa anche «fruttifi care». La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. [...] Tro-va il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, ben-ché apparentemente siano imperfetti o incompiuti. Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fi no al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua po-tenza liberatrice e rinnovatrice. Infi ne, la comuni-tà evangelizzatrice gioiosa sa sempre «festeggiare».

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Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione [...].

27. Sogno una scelta missionaria capace di trasfor-mare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diven-tino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pa-storale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di «uscita» e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Ve-scovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cade-re preda di una specie d’introversione ecclesiale».

33. La pastorale in chiave missionaria esige di ab-bandonare il comodo criterio pastorale del «si è sempre fatto così». Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fi ni senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per rag-giungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divie-ti né paure, l’importante è non camminare da so-li, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discerni-mento pastorale.

49. Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Ge-sù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che mol-te volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires:

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preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoc-cupata di essere il centro e che fi nisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualco-sa deve santamente inquietarci e preoccupare la no-stra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li ac-colga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più del-la paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giu-dici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affama-ta e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).

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4. Per l’approfondimento

Da Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia della Conferenza episcopale italiana

34. Partiremo, dunque, interrogandoci sull’oggi di Dio, sulle opportunità e sui problemi posto alla mis-sione della Chiesa dal tempo in cui viviamo e dai mutamenti che lo caratterizzano, per passare, poi, a mettere a fuoco alcuni compiti e priorità pastora-li che ci pare di intravedere per i prossimi anni. Vi è però un’ulteriore e importante premessa da fare. Se vogliamo adottare un criterio opportuno dal qua-le lasciarci guidare per compiere un discernimento evangelico, dovremo coltivare due attenzioni tra loro complementari anche se, a prima vista, contrapposte. Di entrambe ci è testimone lo stesso Gesù Cristo.

La prima consiste nello sforzo di metterci in ascolto della cultura del nostro mondo, per discernere i se-mi del Verbo già presenti in essa, anche al di là dei confi ni visibili della Chiesa. Ascoltare le attese più intime dei nostri contemporanei, prenderne sul se-rio desideri e ricerche, cercare di capire che cosa fa ardere i loro cuori e cosa invece suscita in loro paura e diffi denza, è importante per poterci fare servi della loro gioia e della loro speranza. Non possiamo affatto escludere, inoltre, che i non credenti abbiano qual-cosa da insegnarci riguardo alla comprensione della vita e che, dunque, per vie inattese, il Signore possa in certi momenti farci sentire la sua voce attraverso di loro. L’animo giusto ci pare essere quello che, co-me scrive san Luca, l’apostolo Paolo assume dinan-zi agli ateniesi riuniti nell’areopago della città (cfr.

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At 17,22-331): vi è un Dio ignoto che abita nei cuori degli uomini e che è da essi cercato; allo svelamento del volto di Dio noi possiamo contribuire, per grazia, nella consapevolezza che in quest’opera di annuncio noi stessi approfondiamo la sua conoscenza.

35. L’attenzione a ciò che emerge nella ricerca dell’uomo non signifi ca rinuncia alla differenza cri-stiana, alla trascendenza del Vangelo, per acquie-scenza alle attese più immediate di un’epoca o di u-na cultura. Come ricorda san Paolo ai cristiani della Galazia: «Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12). Vi è una novità irriducibile del messaggio cristiano: pur additando un cammino di piena umanizzazione, es-so non si limita a proporre un mero umanesimo. Ge-sù Cristo è venuto a renderci partecipi della vita di-vina, di quella che felicemente è stata chiamata «l’u-manità di Dio». Il Signore ci ha fatti annunciatori della sua vita rivelata agli uomini e non possiamo misurare con criteri mondani l’annuncio che siamo chiamati a fare. In certi momenti il Vangelo è duro, impopolare, perché duri sono i cuori degli uomini – i nostri, a volte, più di quelli degli altri – bisognosi di essere ricondotti sulla via della vita per aprirsi al dono di una nuova e più piena umanità [...].

Da La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana della Conferenza episcopale italiana

20. Il ministero presbiterale è per sua natura mis-sionario, poiché Chiesa e mondo, fede e incredulità,

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santità e peccato si incontrano nel cuore dell’uomo: il presbitero quindi sperimenta sempre, nel suo tri-plice ministero, culminante nel servizio eucaristico, l’intrecciarsi delle due prospettive.

Lo stile di vita dei presbiteri italiani, apprezzato an-che da molti che si sentono lontani dalla Chiesa, è connotato dalla prossimità: essi sono vicini alla gen-te, nelle esperienze di gioia e dolore, nelle case, nei luoghi di educazione, di lavoro e di ritrovo, negli o-spedali e nelle case di riposo per anziani, nelle caser-me, nelle carceri, nelle comunità di accoglienza di poveri ed emarginati. È dunque prima di tutto nel loro ministero ordinario di annuncio, celebrazione e guida, che essi vivono fondamentalmente la dimen-sione missionaria del ministero. Tale dimensione si apre non solo a coloro che partecipano attivamente alla vita delle parrocchie, ma anche a quegli uomini e a quelle donne che, pur avendo ricevuto il battesi-mo, non vivono legami di piena e stabile comunione con la Chiesa, ai cristiani appartenenti ad altre Chie-se e comunità ecclesiali, ai credenti di altre religioni e a coloro che si professano atei.

Resta, inoltre, validissimo e urgente il ministero di annuncio ad gentes, costituendo in un certo senso il paradigma della missione della Chiesa nel mondo. Per questo i presbiteri che si dedicano interamente a tale missione sono preziosi. Anche per loro vale il legame con una Chiesa particolare: siano essi dioce-sani o religiosi, operano per far sorgere o rafforzare una concreta esperienza ecclesiale, specifi camente caratterizzata: realtà di Chiesa con un volto, una tra-dizione, una storia, con situazioni e problemi che ri-chiedono attenzione e rispetto, in particolare, i pre-sbiteri diocesani inviati ad gentes, quando rimango-no incardinati nella loro Chiesa d’origine, esercitano il ministero non a nome proprio ma come espressio-ne dell’attività pastorale della Chiesa che li ha inviati e alla quale appartengono, così che è l’intera comu-

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nità particolare a farsi carico, per mezzo loro, della missione presso una Chiesa sorella già costituita o in via di costituzione.

Da Aprirò anche nel deserto una strada di Domenico Sigalini

Molte volte papa Francesco ci dice che un atteggia-mento fondamentale per essere missionari è quel-lo di uscire, di rischiare incidenti, anziché amma-larsi di muffa e di noia. La maggioranza di noi cre-denti è disgraziatamente molto gnostica, è chiusa nell’immanenza della sua ragione, riduce la fede a buon senso, non si fi da di Dio, non fa il salto di qua-lità, non tenta nuovi punti di vista, non assume le visioni che dà solo la fede. Perde tempo a dimostra-re, è più preoccupata di giustifi care che di annuncia-re con convinzione, crede che sia assolutamente più importante rendere accettabili i miracoli trovando ipotesi che vanno d’accordo con le teorie scientifi che del momento, dando alla scienza un potere veritati-vo che non ha. Non è disposta a fi darsi di Dio, fa u-nicamente affi damento sulle proprie forze. Molti cri-stiani sono anche osservanti di determinate norme e, «invece di evangelizzare analizzano e classifi cano gli altri, invece di facilitare l’accesso alla grazia con-sumano le energie nel controllare. In entrambi i ca-si, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropo-centrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore» (EG, 94).

Occorre innescare un dinamismo di uscita. Il Papa a questo riguardo è di una radicalità inusitata: non c’è una autentica missione se non si è totalmente dispo-nibili a trovare l’uomo dovunque si trova, nelle peri-

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ferie umane (EG, 46). Quando non c’è missione op-pure quando manca la decisione di uscire, l’annun-cio cristiano si fa distorto e incomprensibile. Tante cose che anche Giovanni Paolo II ripeteva, che aveva annunciato nei suoi primi discorsi, qui vengono evi-denziate da un linguaggio coinvolgente e accompa-gnate da segni e gesti che lo attualizzano; ricordia-mo tutti la frase di papa Giovanni Paolo II nell’En-ciclica Redemptor hominis: «Quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimen-to della sua missione». Allora era visto come un bel principio; oggi è l’unica prassi possibile per l’evange-lizzazione, sperimentata e signifi cata dal suo ardore evangelizzatore, dal suo invito perentorio a uscire.

[...] I preti devono avere l’odore delle pecore, cioè devono stare in mezzo alla gente, a contatto vivo con la vita. Allo stesso modo il laico non riduce la sua adesione di fede all’interno del suo piccolo gi-ro di amici o di frequentatori della parrocchia, ma sa condividerla con il compagno di lavoro, con l’or-ganizzatore del tempo libero, con la condivisione del rischioso mestiere di vivere con tutti, soprattut-to con i più poveri. Uscire è vera missione cristiana solo quando va incontro all’uomo che ha concreta-mente davanti, non alla sua immagine o a una sua continua astrazione.

Non è tempo più di isolamenti comodi, che può an-che trovare nel religioso una forma di consumismo spirituale fatto anche «di relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofi sticati, da schermi e sistemi che si possono accendere e spegnere a co-mando» (EG, 88). Se i cristiani, gli uomini e le don-ne del nostro tempo «non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace e che nel medesimo tempo li richiami alla comunione solidale e alla fecondità missionaria, fi -niranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio» (EG, 89).

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È da almeno 15 anni che in Italia si dice che la pa-storale deve smettere di essere autoreferenziale e si deve aprire a una dimensione missionaria. Oggi papa Francesco ce ne mostra fi nalmente una pos-sibile realizzazione. Lo stare nelle periferie per a-scoltare, condividere, assumere il linguaggio della vita concreta, solidarizzare, accogliere la persona così come è, amarla e stimarla capace delle più al-te vette dell’umanità, della spiritualità, della stessa santità è un compito arduo, ma che può aprire stra-de nel deserto. Si tratta quindi di una vera conver-sione pastorale, non solo di tattiche strumentali ad una operazione di marketing.

(Presbyteri, [2/2014], pp. 117-119)

Da A immagine del Bel Pastore di Alessandro Greco

Il presbitero non è immune da fragilità e può essere preso nel vortice della tentazione di non svolgere bene il proprio ministero, lasciandosi coinvolgere dagli inte-ressi umani, fi no a considerare il gregge come un bene da sfruttare e non come una comunità da servire [...].

Per queste ragioni, il presbitero guarda al modello che è Cristo, si lascia sostenere dal suo esempio, dal-la sua parola per evitare di trasformarsi in mercena-rio (cfr. Gv 10,7-8). Vi sono fulgidi esempi di presbi-teri che hanno speso la vita per il bene del gregge. È suffi ciente pensare alla lunga e gloriosa schiera dei martiri non solo del periodo classico delle persecu-zioni, ma anche alla schiera – ogni giorno sempre più numerosa – dei sacerdoti martiri contemporanei e dei missionari. Ne richiamiamo alcuni.

Don Pino Puglisi, ucciso da Cosa nostra il 15 set-tembre 1993 per il suo impegno costante e coraggio-

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so nell’evangelizzazione e nella vita sociale, procla-mato beato, alla presenza di circa centomila perso-ne, sul prato del Foro Italico di Palermo il 25 maggio 2013. Il 5 settembre 2012, anniversario del martirio, l’arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo, durante l’ordinazione sacerdotale di quattro nuovi presbiteri, rivolge loro l’invito a considerare don Pu-glisi un modello di vita sacerdotale.

Don Giuseppe Diana, assassinato il 19 marzo 1994, a Casal di Principe, per il suo impegno contro la ca-morra. È possibile comprendere l’identità del presbi-tero pastore del gregge attraverso una lettera che fa circolare nell’intero territorio nel giorno di Natale del 1991: Per amore del mio popolo non tacerò. Gli viene conferita la medaglia al valor civile il 19 otto-bre 1994, con la seguente motivazione: «Parroco di un paese campano, in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consape-vole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schie-rarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva ad offi ciare la messa. Nobile esempio dei più alti ideali di giusti-zia e di solidarietà umana».

Don Tonino bello, splendida fi gura di sacerdote e di vescovo. Muore il 20 aprile 1993, offrendo la sua sof-ferenza per la Chiesa. Durante il suo ministero epi-scopale rinuncia a qualunque segno o forma di pote-re, mostra crescente attenzione agli ultimi, istituen-do la Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fon-da una comunità per la cura delle tossicodipendenze; l’episcopio è sempre aperto e disponibile per i sen-za fi ssa dimora che hanno necessità di trascorrere la notte. La Chiesa del grembiule, di cui parla, richiama l’umiltà e lo spirito di servizio della comunità, a par-tire dal pastore del gregge, sull’esempio di Cristo.

(Presbyteri, [3/2014], pp. 185-186)

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TERZO RITIRO

L’annuncio del Vangelo

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

1. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noicon il tuo Corpo che ci offri ancora;dona la fede nel gran Misteroai tuoi fedeli che si accostano a te.

Rit. Noi ti ringraziamo, Dio di salvezza, per tutto quello che tu dai a noi;

ogni giorno, riconoscenti, fa’ che ti lodiamo,fa’ che ti serviamo in umiltà (2 v.)

2. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noinella tua Chiesa che trasformi in te;dona vigore nella speranzaai tuoi fedeli che si accostano a te. Rit.

3. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noiin chi è solo e nella povertà;dona coraggio e forza d’amareai tuoi fedeli che si accostano a te. Rit.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Invito alla preghiera

Cel. Così Dio ha amato il mondo, da mandarci il Figlio suo, ed è lui la nostra pasqua: sacramento e sacrifi cio.Ass. Sacrifi cio in cui s’eterna la memoria della croce:

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morte a vita qui s’alterna per l’intera umanità.

Cel. «Fate questo in mia memoria,proclamate la mia morte,

annunciate che io vivo, attendete il mio ritorno».Ass. Comunione col suo corpo fa’ di noi un corpo solo, della terra un solo canto, una Chiesa in unità.

Cel. «Come, o Padre, a te è piaciuto, io mi offro in oblazione: ai fratelli dono pace, a te porto la creazione».Ass. A te, Padre di clemenza, per il Figlio tuo splendore, nello Spirito tuo amore, lodi e gloria in verità.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Preghiera corale

Ti ringraziamo, Signore Gesù, di averci mostrato l’inutilità delle discussioni per conoscerti, e indicato il silenzioso gesto della frazione del pane come segno che ti manifesta. Ti chiediamo lo slancio dell’anima per esprimere sempre la tua presenza con la frazione del tuo e nostro pane. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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In ascolto della parola di Dio (AT 2,1-13)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si tro-vavano tutti insieme nello stesso luogo.

Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stava-no. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo.

A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.

Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tut-ti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, del-la Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Li-bia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’al-tro: «Che cosa signifi ca questo?».

Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce».

Intervento del predicatore

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Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si può meditare a partire dalle suggesti-ve frasi che seguono, pronunciate o scritte da tre testimoni del nostro tempo.

Charles de Foucauld

La predicazione nei paesi musulmani è diffi cile, ma i missionari di tanti secoli passati hanno vinto ben altre diffi coltà. Tocca a noi essere i successori dei pri-mi apostoli, dei primi evangelisti, la parola è molto, ma l’esempio, l’amore, la preghiera sono mille volte di più. Diamo loro l’esempio di una vita perfetta, di una vita superiore e divina; animiamoli di quest’a-more onnipotente che si fa amare; preghiamo per loro con un cuore capace di attirare su di loro da parte di Dio una sovrabbondanza di grazie, e li con-vertiremo infallibilmente.

Non credo che occorra parlare molto, né molto scri-vere, ma occorre formare se stessi, riformare i nostri, cercare di riformare dolcemente, amichevolmente, coloro sui quali abbiamo un qualche ascendente.

Desidero condurre gli altri a Gesù non con la parola e la predicazione, ma con la bontà, la preghiera, la penitenza.

Vorrei fondare sulla frontiera marocchina, non una trappa, non un grande o ricco monastero, non un’a-zienda agricola, ma una specie di piccolo eremo nel quale alcuni poveri monaci potrebbero vivere di qual-che frutto e di un po’ di orzo raccolto da loro stessi, in una stretta clausura, in penitenza e adorazione del Santissimo Sacramento, senza uscire dal loro ritiro, senza predicare, ma dando ospitalità a tutti, buoni o cattivi, amici o nemici, mussulmani o cristiani.

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Voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, mussul-mani, ebrei a considerarmi come loro fratello, il fra-tello universale... Cominciano a chiamare la casa «la fraternità» e ciò mi è dolce.

Il mio deve essere l’apostolato della bontà. Vedendo-mi, si deve dire: «Possibile che questo uomo è così buono, la sua religione deve essere buona». Se mi si chiede perché sono mite e buono, devo dire: «Per-ché sono il servo di uno assai più buono di me. Se sapeste com’è buono il mio Padrone Gesù!».

I musulmani ricevono la loro religione unicamente attraverso la fi ducia nei loro antenati... Dobbiamo dunque cercare di guadagnare di più la loro fi du-cia... la santità ispirerà fi ducia... Se siamo santi, que-sta sarà una predicazione muta.

Frère Roger Schutz

Colui che accetta di trasmettere con la sua vita una parte del mistero di Cristo, colui che gli dà fi -ducia anche nei deserti dell’esistenza, sa che la sua scelta può condurlo fi no ad avvicinarsi invisibil-mente al martirio. Eppure per lui, qualsiasi cosa capiti, non ci saranno mai fallimenti irrimediabili: oppresso da ogni parte, non è schiacciato; colpito ma non ucciso.

Colui che vive le conseguenze della chiamata del Cristo fi no all’estremo vede il suo cuore universa-lizzarsi: senza compiacenza per se stesso diviene capace di ascoltare tutto, di condividere le pene e le miserie degli uomini. Lungi dall’indurirsi, lun-gi dall’abituarsi alla sofferenza, con gli anni il suo cuore s’allarga all’infi nito.

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Tu, Cristo, offri un tesoro di Vangelo, deponi in noi un dono unico, quello di essere portatori della tua vita. Ma, affi nché sia evidente che lo splendore viene da te e non da noi, hai posto quel dono insostituibile in vasi d’argilla, in cuori poveri; tu vieni a prender posto nella fragilità dei nostri esseri, proprio lì e non altrove. Allora, senza che sappiamo come, tu fai di noi, così sprovvisti e vulnerabili, l‘irradiazione della tua presenza in mezzo agli uomini.

Edith Stein

Credo che quanto più si è sprofondati in Dio, tanto più si debba «uscire da sé», entrare nel mondo, per portarvi la vita divina.

La preghiera è la relazione dell’anima con Dio. Dio è amore, e l’amore è il bene che fa dono di sé; una pienezza d’essere che non vuole restare chiusa in se stessa, ma si vuole comunicare agli altri e vuole do-narsi agli altri.

L’amore di Cristo non conosce frontiere, non ces-sa mai, non indietreggia rabbrividendo davanti alla bruttura e al sudiciume. È venuto per i peccatori e non per i giusti. E quando l’amore di Cristo vive in noi, allora facciamo come lui e andiamo alla ricerca della pecora smarrita.

Sono solo uno strumento del Signore. Se uno viene a me, vorrei condurlo a lui. E quando noto che non posso e che sono interessati alla mia persona, non potendo servire da strumento, prego il Signore che intervenga in un altro modo. Lui non è costretto a servirsi di un’unica persona.

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Preghiera di Compieta

INNO

Gesù, luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo. In te, santo Signore, noi cerchiamo il riposo dall’umana fatica, al termine del giorno. Se i nostri occhi si chiudono, veglia in te il nostro cuore; la tua mano protegga coloro che in te sperano. Difendi, o Salvatore, dalle insidie del male i fi gli che hai redenti col tuo sangue prezioso. A te sia gloria, o Cristo, nato da Maria vergine, al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

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Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.

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L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

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CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

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Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Alma Redemptoris Mater, quæ pervia caeli porta manes, et stella maris, succurre cadenti,

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surgere qui curat, populo: tu quæ genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore sumens illud Ave, peccatorum miserere.

O santa Madre del Redentore, porta dei cieli, stella del mare, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere. Tu, che accogliendo il saluto dell’angelo, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine, pietà di noi peccatori.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro del profeta Isaia (52,1-10)

Svégliati, svégliati, rivèstiti della tua magnifi cenza, Sion; indossa le vesti più splendide, Gerusalemme, città santa, perché mai più entrerà in te l’incirconciso e l’impuro. Scuotiti la polvere, àlzati, Gerusalemme schiava! Si sciolgano dal collo i legami, schiava fi glia di Sion! Poiché dice il Signore: «Per nulla foste venduti e sarete riscattati senza denaro». Poiché dice il Signore Dio: «In Egitto è sceso il mio popolo un

tempo, per abitarvi come straniero; poi l’Assiro, senza mo-tivo, lo ha oppresso. Ora, che cosa faccio io qui? – oracolo del Signore. Sì, il mio popolo è stato deportato per nulla! I suoi dominatori trionfavano – oracolo del Signore – e sem-pre, tutti i giorni, il mio nome è stato disprezzato. Pertanto il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: “Eccomi!”».

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme.

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Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confi ni della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Vangelo di Giovanni (1,29-51)

Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha invia-to a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”».

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fi ssando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservan-do che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, signifi ca Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbia-mo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il fi glio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che si-gnifi ca Pietro.

Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filip-po e gli disse: «Seguimi!». Filippo era di Betsàida, la città

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di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nel-la Legge, e i Profeti: Gesù, il fi glio di Giuseppe, di Nàza-ret». Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fi chi». Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fi chi, tu credi? Vedrai co-se più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Prima lettera di Paolo ai Corinti (9,15-27)

Io invece non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché si faccia in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! Infatti, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricom-pensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affi dato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.

Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto co-me Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guada-

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gnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma u-no solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece u-na che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalifi cato.

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3. Per la rifl essione

Guida alla lettura

Tutto il popolo di Dio annuncia il Vangelo

La Chiesa, soggetto dell’evangelizzazione, affonda le sue radici nella Trinità e ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore (110-111).

Il popolo di Dio è per tutti. La Chiesa è inviata da Gesù come sacramento della salvezza offerta da Dio: colla-bora con lui ed è strumento della sua grazia (112). La salvezza è per tutti: siamo convocati come popolo e non come esseri isolati (113). La Chiesa non è un gruppo di élite: Mt 28,19; Gal 3,28 (113). La Chiesa è fermento di Dio in mezzo all’umanità (114).

Il popolo di Dio si incarna nei popoli della terra, cia-scuno dei quali ha la propria cultura; il dono di Dio, si incarna nella cultura di chi lo riceve (115). Quan-do una comunità accoglie l’annuncio del Vangelo, lo Spirito ne feconda la cultura; il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale; attraverso le espressioni cristiane di un popolo evangelizzato lo Spirito abbellisce e arricchisce la Chiesa tutta (116 e 118). La diversità non minaccia l’unità della Chie-sa: lo Spirito, che suscita una molteplice e varia ric-chezza di doni, costruisce un’unità, che non è uni-formità, ma armonia che attrae (117).

Tutti siamo discepoli missionari. In tutti i battez-zati opera lo Spirito che spinge ad evangelizzare

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(sensus fi dei) (119). Con il battesimo ogni cri-stiano è costituito «discepolo missionario»; per la nuova evangelizzazione ci vuole un nuovo prota-gonismo dei battezzati: Gv 1,41; Gv 4,39; Ap 9,20 (120). Tutti siamo chiamati a crescere come evan-gelizzatori: vi è uno stretto rapporto tra annuncio e formazione (121).

Alcune vie di evangelizzazione

La pietà popolare è autentica espressione dell’azio-ne missionaria del popolo di Dio (122). Nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede si è incarnata in una cultura e continua a strasmet-tersi (123). La pietà popolare (spiritualità e mistica popolare) porta con sé la grazia della missionarietà (124). C’è da avvicinarsi ad essa con lo sguardo del buon pastore, che non cerca di giudicare, ma di ama-re (125). Siamo chiamati ad incoraggiare e rafforza-re la pietà popolare (126).

Quella da persona a persona è una forma di «predica-zione informale» che compete a tutti come impegno quotidiano (127). Tale predicazione, sempre rispet-tosa e gentile, consta di alcuni momenti: 1) il dialo-go personale di condivisione di gioie e tristezze, 2) la presentazione della Parola, 3) se è prudente, una breve preghiera conclusiva (128). La predicazione a volte si esprime in maniera indiretta, cioè con un gesto, un racconto e una testimonianza personale (128). Si trasmette in forme così diverse che sareb-be impossibile descriverle o catalogarle (129).

I carismi sono al servizio della comunione evange-lizzatrice. Essi sono doni dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale. Un segno decisivo dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità (130-131).

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È molto importante l’annuncio alle culture profes-sionali, scientifi che e accademiche; ci si dedichi al rapporto tra la fede, la ragione e le scienze (132). La teologia, in dialogo con altre scienze, ha un ruo-lo decisivo in ordine all’evangelizzazione (133). Le università sono un ambito privilegiato per l’evange-lizzazione, che deve prevedere la modalità interdi-sciplinare e integrata (134).

L’impegno per la crescita della fede non si dà solo o prioritariamente come «formazione dottrinale» (160-162). Educazione e catechesi sono al servizio di questa crescita (163). Nella catechesi un ruo-lo fondamentale ce l’ha il «kerygma» (164-165). Un’altra caratteristica della catechesi è l’iniziazione mistagogica (166-168).

L’accompagnamento personale esige uno sguardo di prossimità (169). L’accompagnamento deve condur-re verso Dio, in cui è possibile raggiungere la vera libertà (170). Gli atteggiamenti di chi accompagna sono l’ascolto, la pazienza e la comprensione (171-172). Lo scopo dell’accompagnamento è il servizio alla missione evangelizzatrice (173).

La predicazione all’interno della liturgia

L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vici-nanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo (135). Si fonda sulla convinzione che è Dio che desidera raggiungere i suoi fi gli attraverso il predicatore (136). È la proclamazione liturgica della Parola, dialogo di Dio con il suo popolo (137). L’omelia deve dare fervore e signifi cato alla cele-brazione (138). La Chiesa predica al popolo come una madre che parla a suo fi glio (lingua materna e cultura materna) (139-140). Gesù rivela lo sguar-

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do che deve avere il predicatore verso il popolo: Lc 12,32; Lc 10,21 (141). L’omelia è un dialogo che non è soltanto comunicazione di una verità (bellez-za e bene, sintesi del messaggio evangelico), pertan-to il predicatore ha il compito di unire i cuori che si amano (quello di Dio e quelli dei suoi fi gli) ponen-dosi in mezzo ai due abbracci (quello battesimale e quello del Padre misericordioso che ci attende nella gloria) (142-144).

Alla preparazione dell’omelia va dedicato un tempo prolungato di studio, preghiera, rifl essione e «cre-atività pastorale» (145). Le attenzioni da avere e le tappe del cammino di preparazione sono le seguen-ti. 1) Invocazione dello Spirito e attenzione al testo biblico (umiltà di cuore, pazienza, interesse e de-dizione gratuita, amore), che va compreso e con il quale il predicatore deve sviluppare una grande fa-miliarità personale (lasciarsi illuminare, commuo-vere e convertire dalla Parola): 1Ts 2,4; Mt  12,34; Mt 23,4; Gc 3,1; Eb 4,12; non ci è chiesto di esse-re «immacolati», ma in cammino (146-151); ci si prepara con la lectio divina (152-153). 2) In ascol-to del popolo, per scoprire quello che i fedeli han-no bisogno di sentirsi dire (il prete è contemplativo della Parola e contemplativo del popolo): si tratta di collegare il messaggio del testo biblico con una situazione umana (154-155). 3) Strumenti peda-gogici: attenzione non solo al che cosa, ma anche al come della predicazione; una buona omelia deve contenere un’idea, un sentimento, un’immagine; la predicazione dev’essere semplice, chiara, diretta, adatta, positiva (156-159).

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Dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco

110. L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di u-na istituzione organica e gerarchica, poiché anzitut-to è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta cer-tamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituziona-le. Propongo di soffermarci un poco su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo ultimo fonda-mento nella libera e gratuita iniziativa di Dio.

114. Essere Chiesa signifi ca essere popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la sal-vezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incorag-giano, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della mi-sericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accol-ti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo.

119. In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santifi catrice dello Spirito Santo che spinge ad evangelizzare. Il popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile «in creden-do». Questo signifi ca che quando crede non si sba-glia, anche se non trova le parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo condu-ce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un

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istinto della fede – il sensus fi dei – che li aiuta a di-scernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa conna-turalità con le realtà divine e una saggezza che per-mette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumento adeguati per esprimerle con precisione.

121. Certamente tutti noi siamo chiamati a cresce-re come evangelizzatori. Al tempo stesso ci adope-riamo per una migliore formazione, un approfondi-mento del nostro amore e una più chiara testimo-nianza del Vangelo. In questo senso, tutti dobbiamo lasciare che gli altri ci evangelizzino costantemente; questo però non signifi ca che dobbiamo rinunciare alla missione evangelizzatrice, ma piuttosto trova-re il modo di comunicare Gesù che corrisponda al-la situazione in cui ci troviamo. In ogni caso, tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifi co del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev’essere una scusa; al contrario, la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere. La testimonianza di fe-de che ogni cristiano è chiamato ad offrire, implica affermare come san Paolo: «Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla... corro verso la meta» (Fil 3,12-13).

136. Rinnoviamo la nostra fi ducia nella predicazio-ne, che si fonda sulla convinzione che è Dio che de-sidera raggiungere gli altri attraverso il predicatore

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e che egli dispiega il suo potere mediante la parola umana. San Paolo parla con forza della necessità di predicare, perché il Signore ha voluto raggiungere gli altri anche con la nostra parola (cfr. Rom 10,14-17). Con la parola nostro Signore ha conquistato il cuore della gente. Venivano ad ascoltarlo da ogni parte (cfr. Mc 1,45). Restavano meravigliati «beven-do» i suoi insegnamenti (cfr. Mc 6,2). Sentivano che parlava loro come chi ha autorità (cfr. Mc 1,27). Con la parola gli Apostoli, che aveva istituito «per-ché stessero con lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14), attrassero in seno alla Chiesa tutti i po-poli (cfr. Mc 16,15-20).

137. Occorre ora ricordare che «la proclamazione liturgica della parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente ripropo-ste le esigenze dell’Alleanza». Vi è una speciale valo-rizzazione dell’omelia, che deriva dal suo contesto eucaristico e fa sì che essa superi qualsiasi cateche-si, essendo il momento più alto del dialogo tra Dio e il suo popolo, prima della comunione sacramentale. L’omelia è un riprendere quel dialogo che è già a-perto tra il Signore e il suo popolo. Chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio, e anche dove tale dialogo, che era amoroso, sia stato soffocato o non abbia potuto dare frutto.

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4. Per l’approfondimento

Dall’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di papa Paolo VI

59. Se vi sono uomini che proclamano nel mondo il Vangelo della salvezza, lo fanno per ordine, nel nome e con la grazia del Cristo Salvatore. «Come lo annun-zieranno, senza essere prima inviati?» (Rm 10,15), scriveva colui che fu indubbiamente uno dei più grandi evangelizzatori. Nessuno può esercitare tale compito senza esservi stato inviato.

Ma chi ha, dunque, la missione di evangelizzare? Il Concilio Vaticano II ha riposto con chiarezza: alla Chiesa «per mandato divino incombe l’obbligo di an-dare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad o-gni creatura» (DH, 13). E in un altro testo: «Tutta la Chiesa è missionaria, e l’opera evangelizzatrice è un dovere fondamentale del popolo di Dio» (AG, 1).

Abbiamo già accennato a questo intimo legame tra Chiesa ed evangelizzazione. Quando la Chiesa an-nunzia il Regno di Dio e lo edifi ca, essa stessa af-fonda le radici nel cuore del mondo come segno e strumento di questo Regno che è presente e che vie-ne. Il Concilio ha riportato questa espressione molto signifi cativa di S. Agostino: «Generarono le Chiese predicando la Parola di verità».

60. La constatazione che la Chiesa è inviata e desti-nata all’evangelizzazione, dovrebbe suscitare in noi due convinzioni. La prima: evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profon-damente ecclesiale. Allorché il più sconosciuto pre-

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dicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa, e il suo gesto è certamente collegato mediante rapporti istituzionali, ma anche mediante vincoli invisibili e radici profonde dell’or-dine della grazia, all’attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa. Ciò presuppone che egli agisca non per u-na missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa.

Come conseguenza, la seconda convinzione: se cia-scuno evangelizza in nome della Chiesa, la quale a sua volta lo fa in virtù di un mandato del Signo-re, nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con potere discre-zionale di svolgerla secondo criteri e prospettive in-dividualistiche, ma deve farlo in comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori. La Chiesa, l’abbiamo già rilevato, è tutta intera evangelizzatrice. Ciò signifi ca che, per il mondo nel suo insieme e per ogni singola parte del mondo ove si trovi, la Chiesa si sente re-sponsabile del compito di diffondere il Vangelo.

Dal decreto Presbyterorum Ordinis del Concilio ecumenico Vaticano II

13. [...] Essendo ministri della parola di Dio, i presbi-teri leggono ed ascoltano ogni giorno questa stessa parola che devono insegnare agli altri e se si sforzano anche di riceverla in se stessi, allora diventano disce-poli del Signore sempre più perfetti, secondo quanto dice l’apostolo paolo a Timoteo: «Occupati di que-ste cose, dedicati ad esse interamente, affi nché sia-no palesi a tutti i tuoi progressi. Vigila su te stesso e

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sul tuo insegnamento, persevera in tali cose, poiché così facendo salverai te stesso e quelli che ti ascolta-no» (1Tm 4,15-16). Infatti, cercando il miglior modo di trasmettere agli altri ciò che hanno contemplato, assaporeranno più intimamente «le insondabili ric-chezze di Cristo» (Ef 3,8) e la multiforme sapienza di Dio. Non dimenticando mai che è il Signore ad aprire i cuori e che l’effi cacia non proviene da essi, ma dalla potenza di Dio, all’atto stesso di predicare la parola si uniranno più intimamente con Cristo ma-estro e saranno guidati dal suo Spirito. Uniti così a Cristo, partecipano alla carità di Dio, il cui mistero, nascosto nei secoli, è stato rivelato in Cristo.

Dal Come evangelizzare oggi di Enzo Bianchi

Da tutte le parti si va dicendo che per evangelizzare oggi occorre la coscienza di essere da tempo usciti dal regime di cristianità e di essere ridotti a una mi-noranza [...] Certamente, chi si sente minoranza può provare sentimenti di irritazione, di paura, a causa della minore infl uenza che esercita nella società, e può quindi essere tentato di perseguire forme di pre-senza forte e aggressiva che sfociano in una cattiva comunicazione con gli uomini; di fatto molti sog-getti evangelizzatori, muniti di zelo missionario, fi -niscono per annunciare l’agape di Dio, il Deus cari-tas, contraddicendo la carità interumana, quasi che si possa annunciare il Vangelo solo condannando i tempi attuali e giudicando ogni tentativo di costru-zione di un mondo più umano alla stregua di un mu-ro cadente. L’evangelizzazione cristiana deve sempre farsi nella carità e attraverso la benevolenza verso tutti, la pazienza e la magnanimità verso gli uomi-

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ni e le loro culture. Sì, noi possiamo ripetere con Paolo: «Guai a me se non evangelizzo» (1Cor 9.16), ma l’annuncio deve avvenire in una buona comuni-cazione (la «bella condotta» di cui parla 1Pt 2,12), in una pratica cordiale del confronto e dell’alterità; non deve avvenire ad ogni costo, né attraverso l’ar-roganza dell’identità cattolica pura e dura, né con un ritorno alle certezze che mortifi cano o agli splendori abbaglianti della verità.

Paolo VI ha più volte chiesto alla Chiesa, in vista dell’evangelizzazione «di farsi dialogo-conversazio-ne» (Ecclesiam suam), di evitare di diventare una setta, «di guardare con immensa simpatia il mon-do perché, anche se il mondo si sentisse estraneo al cristianesimo, la Chiesa non può sentirsi estranea al mondo, qualunque l’atteggiamento del mondo verso la Chiesa» (6 gennaio 1964, Betlemme). Ecco per-ché è necessaria l’assunzione della categoria «com-pagnia degli uomini» per defi nire la condizione del cristiano nella storia. Si tratta di stare nella storia come i cristiani descritti nella Lettera a Diogneto, con una bella condotta, una serena accettazione di essere cristiani tra non cristiani.

Nessuna visibilità della Chiesa ad ogni costo, come molti oggi vorrebbero, nessuna tentazione di ricom-posizione del mondo cattolico, come se nell’attuale società vi fossero forze anticristiane, nessun rifi uto della post-modernità gettando sugli uomini di oggi disprezzo e condanna, nessuna volontà di interven-tismo sulla società attraverso un magistero diretto o attraverso gruppi di pressione. Il cardinale Carlo Ma-ria Martini, nel signifi cativo discorso del 6 dicembre 1995, per la festa di sant’Ambrogio, ha ricordato che i cristiani non devono «perseguire l’obiettivo della cristianizzazione della società con strumenti forti di potere, ma devono preservare con la massima cura, quasi con gelosia, le differenze e le peculiarità della Parola cristiana rispetto alle parole correnti».

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Evangelizzazione è immettere lievito nella pasta, sale e condimento sul cibo, è immettere diastasi di senso, e questo nella consapevolezza che Cristo ha voluto la Chiesa come pusillus grex, munita sì della potenza del Verbo, ma coerente con la debolezza sto-rica della croce.

(Qiqajon, Magnano [BI], pp. 39-42)

Da Omelia: l’arte di annunciare il Vangelo di Manlio Sodi

Parlare in pubblico richiede attenzioni e competen-ze di vario genere; tra le tecniche della comunica-zione e i contenuti da proporre si deve instaurare un intreccio tale da favorire al massimo l’incontro tra emittente e ricevente.

Parlare in pubblico in un contesto religioso richiede ulteriori attenzioni e competenze proprie dello spe-cifi co ambito entro cui tale comunicazione si attua. In questa linea bisogna riconoscere che negli anni del dopo Concilio Vaticano II non è fi orita una biblio-grafi a abbondante, forse nell’illusione che tutto fosse già chiaro nel contesto dei linguaggi celebrativi.

Pertanto, di fronte alle sfi de che provengono dall’a-rea massmediale, di fronte ai linguaggi verbali e non verbali della liturgia, e di fronte alle attese dell’as-semblea e della stessa azione liturgica, si impongono competenze e attenzioni da non disattendere.

Numerose sono le competenze da acquisire da par-te dell’omileta-predicatore; qui se ne individuano le principali, raggruppandole in due ambiti.

Superare, anzitutto, i difetti di vario genere è la pri-ma sfi da che si pone di fronte al predicatore; del re-sto, è la prima realtà che colpisce l’ascoltatore. Difet-ti di ordine psicologico; difetti che manifestano poca

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preparazione culturale e tecnica; difetti propri di chi non si accorge che parlare in pubblico è cosa ben di-versa dal parlare a tu per tu; difetti relativi alla poca conoscenza dei destinatari (si attiva un linguaggio che non tocca minimamente né il cuore né la vita dei fedeli); difetti nel modo di proporsi esteticamen-te e nel modo di usare il microfono... Sono tutti ele-menti che contribuiscono allo sviluppo del linguag-gio «ecclesialese» che ostacola alla radice la pecu-liare comunicazione tra Dio e il suo popolo quale si attua nella liturgia; o al consolidamento dell’impres-sione diffusa che la predica è cosa noiosa, soporifera e dunque... da evitare!

In secondo luogo, porre massima attenzione ai temi offerti dai Lezionari per le singole celebrazioni. L’o-melia non è il luogo per parlare di tutto e di nulla, ma il momento per operare una formazione e una coscientizzazione a partire da quel particolare tipo di esegesi quale si attua nella liturgia e in modo specifi -co nell’omelia. Se la metodologia del Lezionario, con i titoli preposti alle singole letture, non è patrimonio connaturale per l’omileta, si continuerà a deludere le attese dei fedeli, che nel contesto celebrativo, soprat-tutto domenicale, si trovano di fronte a un progetto di annuncio del Vangelo e di formazione cristiana u-nico nel suo genere, ma non sono aiutati a vederne la logica e ad approfondirne i temi essenziali.

(M. RUSSOTTO [a cura di], Ripartire da Cristo, Palermo 2002, pp. 123-124)

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QUARTO RITIRO

La dimensione sociale dell’evangelizzazione

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

Rit. Anima Christi, sanctifi ca me.Corpus Christi, salva me.Sanguis Christi, inebria me.Aqua lateris Christi, lava me.

1. Passio Christi, conforta me.O bone Iesu, exaudi me.Intra vulnera tua asconde me. Rit.

2. Ne permittas a te me separari.Ab hoste maligno defende me.In hora mortis meæ voca me. Rit.

3. Et iube me venire ad te,ut cum sanctis tuis laudem teper infi nita sæcula sæculorum. Amen. Rit.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Invito alla preghiera

Cel. Vera dimora di Dio è il cielo, la creazione intera è sua tenda: suo tabernacolo il corpo dell’uomo, suo corpo è tutto il genere umano.Ass. Dio che sei l’unità di ogni vita, e attrai a te nell’amore le cose, fa’ di noi tutti una sola famiglia nell’armonia necessaria e libera.

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Cel. Tutte le genti da sempre ricercano pure incoscienti quest’unica cosa: tutti chiamati a formare un regno che attraversa l’intera creazione.Ass. Questo il mistero nascosto nei secoli che ora nel Figlio ci hai rivelato una è la fede, il corpo, il destino, uno il Padre che opera in tutti.

Cel. Per questo, Cristo, sei l’ultimo uomo: perché nessuno si senta escluso! Umanità senza te non esiste, il solo ideale che tutti cerchiamo.Ass. Così la Chiesa è chiamata ad essere, il vero paese dell’uomo, il segno che il prodigio è ancora possibile, perché il regno può sempre avverarsi.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Preghiera corale

Amore, sorgente di acqua viva, noi t’invochiamo! Abbiamo bisogno della tua luce, del tuo ardore, della tua freschezza. Sciogli ciò che è gelido, riscalda ciò che è tiepido, illumina ciò che è oscuro, irriga ciò che è arido. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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In ascolto della parola di Dio (MT 25,31-46)

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli.

Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pe-core dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno prepa-rato per voi fi n dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi a-vete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signo-re, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lon-tano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbia-mo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me».

E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna.

Intervento del predicatore

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Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si può meditare a partire da alcune brevi rifl essioni di Madre Teresa di Calcutta (cfr. MADRE TERESA, Come una goccia nell’oceano, Città Nuova, Roma 2000).

Quando porgete un bicchiere d’acqua a un assetato, è Gesù che lo porge. È un insegnamento semplice, piccolo, ma, a ben guardare, è il più importante.

Non si possono amare due persone in maniera tota-le; ma si possono amare tutte le persone in maniera totale se in tutte si ama Gesù.

Il Dio che dobbiamo annunciare è un Dio vivo, il Dio dell’amore. Dal nostro cuore devono scaturire parole che sappiano comunicare ai poveri la gioia di Dio.

La gioia sprizza dagli occhi, dal viso e da ogni mo-vimento. Non potete soffocarla, perché preme per uscire. Quando gli altri vedono la gioia nei vostri oc-chi, sanno di essere fi gli di Dio.

La gioia dev’essere un tratto distintivo della nostra esistenza. Una sorella allegra è per la comunità come un sole radioso. Perché Dio ha benedetto il lavoro nella baraccopoli? Non per premiare qualità perso-nali, ma per la gioia che le sorelle irradiano. Cosa sarebbe la nostra vita, se noi sorelle non fossimo gioiose? Non riusciremmo ad attirare nessuno. Im-maginatevi una sorella che cammini per la baracco-poli con l’espressione triste e l’incedere pesante: non porterebbe nulla di buono alle persone che vivono lì, anzi non farebbe che accrescere la loro tristezza. La gioia è contagiosa; è per questo che bisogna essere sempre gioiosi quando si va verso i poveri.

Non lasciare mai che le tue preoccupazioni cresca-no fi no al punto da farti dimenticare la gioia del

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Cristo risorto. Tutti noi aneliamo al paradiso, ma possiamo essere sin da ora con Gesù e comunicare la sua gioia. Questo signifi ca: amare come Lui ama; aiutare come Lui aiuta; dare come Lui dà; servire come Lui serve; salvare come Lui salva. Signifi ca es-sere con lui ventiquattro ore al giorno e toccarlo nel suo aspetto più malandato.

Senza Gesù non potremmo fare tutto quello che fac-ciamo, perlomeno non per la vita intera: si potreb-be continuare per un anno, forse due, ma non per sempre; e tutto questo senza aspettarsi un segno di gratitudine o qualcosa in cambio, se non la possibi-lità di soffrire con colui che ci ha amati al punto da dare la vita per noi. Senza Gesù la nostra vita sarebbe assurda, incomprensibile; solo lui le dà un senso.

Quando curiamo un ammalato o un indigente, toc-chiamo il corpo sofferente del Cristo. Questo contat-to fa sì che dimentichiamo la nostra naturale rilut-tanza. Dobbiamo guardare a queste persone con la profonda convinzione di vedere Cristo in loro. Nei corpi macerati e nelle vesti luride si nascondono i più belli dei fi gli di Dio. Avremmo bisogno delle mani di Cristo, per poter toccare questi corpi segnati dal dolore e dalla sofferenza.

Per essere accolti dai poveri, dobbiamo vivere come loro. La povertà è la nostra dote. Noi non subiamo la povertà, ma la scegliamo spontaneamente, per amo-re di Gesù e dei poveri.

I poveri sono coloro che conoscono le privazioni materiali e spirituali. I poveri sono gli affamati e gli assetati. I poveri sono i senza patria e gli sradicati, i malati e gli handicappati. I poveri sono le persone sole. I poveri sono gli ignoranti e i dubbiosi. I poveri sono gli affl itti. I poveri sono i derelitti. I poveri sono

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gli arrabbiati, i peccatori, gli sbeffeggiatori. I poveri sono gli indesiderati, gli emarginati delle società, i poveri siamo in qualche modo noi stessi.

Ci fossero i poveri sulla luna, dovremmo andare an-che lì.

Chi semina amore deve saper aspettare il raccolto.

All’inizio credevo di dover convertire. Poi ho impa-rato che il mio compito è amare. E l’amore converte quando vuole.

Maria è per noi causa di gioia, poiché ci ha donato Gesù. Anche noi possiamo diventare causa di gioia per gli altri, donando Gesù. Oggi la gente ha fame più che mai di Gesù. Egli è l’unica risposta se davve-ro vogliamo portare la pace in questo mondo.

Cari sacerdoti, le persone non cercano i vostri talen-ti, ma cercano Dio in voi. Portateli a Dio, non a voi stessi. Quando non portate gli uomini a Dio, cercate voi stessi e siete amati per voi stessi, non perché ri-cordate Gesù.

Preghiera di Compieta

INNO

Al termine del giorno, o sommo Creatore, veglia sul nostro riposo con amore di Padre.

Dona salute al corpo e fervore allo spirito,

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la tua luce rischiari le ombre della notte.

Nel sonno delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba intoni la tua lode.

Sia onore al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio trino ed unico nei secoli sia gloria. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

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Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

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LETTURA BREVE (Ef 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

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Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

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Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Regina cœli, lætáre, alleluia: quia quem meruisti portare, alleluia, resurréxit, sicut dixit, alleluia. Ora pro nobis Deum, alleluia.

Regina del cielo, rallegrati, alleluia: perché colui che meritasti di portare, alleluia, è risorto come aveva promesso, alleluia. Prega per noi il Signore, alleluia.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro della Genesi (4,1-16)

Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Cai-no e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.

Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primo-geniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai».

Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Al-lora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fra-tello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia col-pa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucci-derà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden.

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Vangelo di Luca (4,14-30)

Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sina-goghe e gli rendevano lode.

Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette.

Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fi ssi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il fi glio di Giuseppe?».

Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo pro-verbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».

Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purifi cato, se non Naamàn, il Siro».

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo con-dussero fi n sul ciglio del monte, sul quale era costruita la lo-ro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

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Prima lettera di Giovanni (3,1-24)

Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chia-mati fi gli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fi n d’ora siamo fi gli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Chiunque ha questa speranza in lui, purifi ca se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche l’iniquità, perché il peccato è l’iniquità. Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto.

Figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavo-lo, perché da principio il diavolo è peccatore. Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavo-lo. Chiunque è stato generato da Dio non commette pecca-to, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio. In questo si distinguono i fi gli di Dio dai fi gli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello.

Poiché questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal Maligno e uccise suo fratello. E per quale motivo l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie, mentre quelle di suo fratello erano giuste.

Non meravigliatevi, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappia-mo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui.

In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuo-re, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.

In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rim-

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proveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fi ducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la ri-ceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.

Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli ri-mane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

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3. Per la rifl essione

Guida alla lettura

Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma

Se la dimensione sociale dell’evangelizzazione non è debitamente esplicitata, si corre il rischio di sfi gura-re il signifi cato autentico ed integrale della missione evangelizzatrice (176). Il kerygma ha un contenuto sociale: nel cuore del Vangelo ci sono la vita comuni-taria e l’impegno con gli altri; il contenuto del primo annuncio ha una ripercussione morale, al cui centro vi è la carità (177). Dio, in Cristo, non redime solo la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini, da qui un’intima connessione tra evangeliz-zazione e promozione umana (178). C’è uno stret-to legame tra accoglienza dell’annuncio ed effettivo amore fraterno: Mt 25,40; Mt 7,2; Lc 6,36-38 (179).

La proposta del Vangelo (il regno di Dio) non consi-ste solo in una relazione personale con Dio, per que-sto nella misura in cui egli regnerà tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, giustizia, pace e dignità per tutti: Mt 6,33; Mt 10,7 (180). Il Pa-dre desidera che tutti gli uomini si salvino: Ef 1,10; Mc 16,15 (181).

L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali

Il compito dell’evangelizzazione implica ed esige la promozione concreta e integrale di ogni essere uma-no, del resto Dio desidera la felicità dei suoi fi gli an-

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che su questa terra (182). Non possiamo relegare la religione alla segreta intimità delle persone, giac-ché una fede autentica implica sempre il desiderio di cambiare il mondo per renderlo migliore (183).

Due sono le fondamentali questioni attuali: 1) l’in-clusione sociale dei poveri; 2) la pace e il dialogo so-ciale (185).

L’inclusione sociale dei poveri

Siamo tutti chiamati, come singoli e comunità, ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la pro-mozione dei poveri, in modo che possano integrar-si pienamente nella società: Es 3,7-8.10; Gdc 3,5; Dt 15,9; Sir 4,6; 1Gv 3,17; Gc 5,4 (187).

La Chiesa ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze: Mc 6,37 (188). La funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni sono realtà anteriori alla proprie-tà privata; la solidarietà è la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde (189). I cristiani devono ascoltare il grido dei poveri; a volte si tratta del grido di interi popoli (190-191). Il sogno è che non solo abbiano il necessario, ma che possano avere prosperità nei suoi molteplici aspetti (192).

L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo (misericor-dia) nel più intimo di fronte al dolore altrui: Mt 5,7; Gc 2,12-13; Dn 4,24; Tb 12,9; Sir 3,30; 1Pt 4,8 (193).

Le esortazioni bibliche, dunque, invitano all’amore fraterno, al servizio umile, alla giustizia e alla mi-sericordia verso il povero (194). Il criterio chiave di autenticità della fede è il non dimenticarsi dei poveri

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(Gal 2,10); un segno che non deve mai mancare è l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società get-ta via (195-196).

I poveri hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio: egli stesso è nato in un presepe, grazie al sì di un’umile ragazza, è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guada-gnarsi il pane: 2Cor 8,9; Lc 2,24 e Lv 5,7; Lc 4,18; Lc 6,20; Mt 25,35 (197). L’opzione per i poveri, quin-di, è una categoria teologica prima che culturale, so-ciologica, politica o fi losofi ca (198).

Il nostro impegno, che non comporta solo azioni o programmi di promozione e assistenza, consiste prima di tutto in un’attenzione d’amore: i poveri devono sentirsi a casa loro nelle nostre comunità cristiane (199). La più grande discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale (200). Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale (201). L’inequità è la radice dei mali sociali, perciò bisogna risolvere le cause strutturali della povertà (202). Il bene comune e la dignità di ogni persona sono questioni che dovrebbero strutturare la politica economica e non solo (203-204). La po-litica è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità (205). L’economia dovreb-be essere l’arte di raggiungere un’adeguata ammi-nistrazione di quella casa comune che è il mondo intero (206).

La Chiesa non può stare tranquilla (207-209), deve aver cura della fragilità: poiché Gesù, l’evangelizza-tore, si identifi ca con i piccoli, anche noi dobbiamo prenderci cura dei più fragili della terra (209). Bi-sogna prestare attenzione, per essere vicini a nuove forme di povertà e fragilità (210). Dio grida e chiede

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a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?» (Gn 4,9) (211). Tra i deboli di cui prendersi cura con predilezione ci sono i bambini nascituri, per questo è necessario portare avanti la difesa della vita e del valore della persona umana (213-214). Altri esseri fragili e indifesi sono le creature: siamo custodi della creazione (215).

Il bene comune e la pace sociale

Il frutto della parola di Dio non è solo la gioia, ma anche la pace (Gal 5,22) (217). La pace sociale non è irenismo e neanche mera assenza di violenza ot-tenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre, ma una realtà che si costruisce giorno per giorno, come frutto dello sviluppo integrale di tutti (218-219). La pace è un processo costante (220).

Sono quattro i principi che orientano lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un po-polo le cui differenze si armonizzano in un progetto comune: 1) il tempo è superiore allo spazio (222-225); 2) l’unità prevale sul confl itto (226-230); 3) la realtà è più importante dell’idea (231-233); 4) il tutto è superiore alla parte (234-237).

Il dialogo sociale è contributo per la pace; l’evange-lizzazione, poi, implica un cammino di dialogo, al-meno in tre ambiti: 1) con gli Stati; 2) con la società (culture e scienze); 3) con altri credenti che non fan-no parte della Chiesa cattolica (238-241).

Vi è da considerare, inoltre, il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze (242-243), il dialogo ecume-nico (244-246), quello con l’ebraismo (2547-249) e quello interreligioso (250-254). Il dialogo socia-le va condotto in un contesto di libertà religiosa (255-258).

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Dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco

176. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio. Ma «nessuna defi nizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ric-ca, complessa e dinamica, quale è quella dell’evan-gelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfi no mutilarla». Ora vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se que-sta dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfi gurare il signifi cato au-tentico e integrale della missione evangelizzatrice.

177. Il kerygma possiede un contenuto ineludibil-mente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il con-tenuto del primo annuncio ha un’immediata riper-cussione morale il cui centro è la carità.

178. Confessare un Padre che ama infi nitamente ciascun essere umano implica scoprire che «con ciò stesso gli conferisce una dignità infi nita». Confes-sare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana signifi ca che ogni persona umana è stata e-levata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di con-servare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un signifi cato sociale perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini». Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: «Lo Spirito Santo possie-

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de un’inventiva infi nita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende u-mane anche più complesse e impenetrabili». L’evan-gelizzazione cerca di cooperare anche con tale azio-ne liberatrice dello Spirito. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo re-alizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangeliz-zazione e promozione umana, che deve necessaria-mente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione e-vangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nel-la vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri.

191. In ogni luogo e circostanza i cristiani, incorag-giati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, come hanno affermato così bene i Vescovi del Brasile: «Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del popolo brasiliano, specialmente delle popolazio-ni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scan-dalizza il fatto di sapere che esiste cibo suffi ciente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzio-ne dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco».

192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici a-spetti». Questo implica educazione, accesso all’assi-

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stenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’es-sere umano esprime e accresce la dignità della pro-pria vita. Il giusto salario permette l’accesso adegua-to agli altri beni che sono destinati all’uso comune.

197. Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso «si fece povero» (2Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il sì di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, co-me accadeva per i fi gli dei più poveri; è stato presen-tato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnel-lo (cfr. Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. Quando iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così mani-festò quello che Egli stesso aveva detto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore, oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: «Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio» (Lc 6,20); e con essi si identifi cò: «Ho avuto fame e mi avete dato da man-giare», insegnando che la misericordia verso di loro è la chiave del cielo (cfr. Mt 25,35s).

198. Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una cate-goria teologica prima che culturale, sociologica, po-litica o fi losofi ca. Dio concede loro «la sua prima mi-sericordia». Questa preferenza divina ha delle conse-guenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). I-spirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i

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poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà te-stimonianza tutta la tradizione della Chiesa». Que-sta opzione – insegnava Benedetto XVI – «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto pove-ro per noi, per arricchirci mediante la sua povertà». Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fi dei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lascia-mo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazio-ne è un invito a riconoscere la forza salvifi ca delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a compren-derli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.

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4. Per l’approfondimento

Dall’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di papa Paolo VI

31. Tra evangelizzazione e promozione umana – svi-luppo, liberazione – ci sono dei legami profondi. Le-gami di ordine antropologico, perché l’uomo da e-vangelizzare non è un essere astratto, ma è condizio-nato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fi no alle situazioni molto concrete dell’ingiu-stizia da combattere e della giustizia da restaura-re. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come, infatti, proclama-re il comandamento nuovo senza promuovere nel-la giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo? Noi abbiamo voluto sottolineare questo ricordando che è impossibile accettare che «nell’e-vangelizzazione si possa o si debba trascurare l’im-portanza dei problemi, oggi così dibattuti, che ri-guardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel mondo. Sarebbe dimenticare la lezione che ci viene dal Vangelo sull’amore del prossimo soffe-rente e bisognoso» [...].

32. Non dobbiamo nasconderci che molti cristia-ni, anche generosi e sensibili alle questioni dram-matiche che racchiude il problema della liberazione, volendo impegnare la Chiesa nello sforzo di libera-zione, hanno spesso la tentazione di ridurre la sua missione alle dimensioni di un progetto semplice-

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mente temporale; i suoi compiti a un disegno an-tropologico; la salvezza, di cui essa è messaggera e sacramento, a un benessere materiale; la sua attivi-tà, trascurando ogni preoccupazione spirituale e re-ligiosa, a iniziative di ordine politico o sociale. Ma se così fosse, la Chiesa perderebbe la sua signifi ca-zione fondamentale. Il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e fi nirebbe facil-mente per essere accaparrato e manipolato da siste-mi ideologici e da partiti politici. Essa non avrebbe più autorità per annunziare, come da parte di Dio, la liberazione. Per questo noi abbiamo voluto sot-tolineare nella medesima allocuzione all’inizio della terza Assemblea Sinodale «la necessità di riafferma-re chiaramente la fi nalità specifi camente religiosa dell’evangelizzazione. Questa perderebbe la sua ra-gion d’essere se si scostasse dall’asse religioso che la governa: il Regno di Dio prima di ogni altra cosa, nel suo senso pienamente teologico».

33. Circa la liberazione, che l’evangelizzazione an-nunzia e si sforza di realizzare, bisogna dire piutto-sto: essa non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all’uomo intero, in ogni sua dimen-sione, compresa la sua apertura verso l’assoluto, an-che l’Assoluto di Dio; è dunque radicata in una cer-ta concezione dell’uomo, in una antropologia, che non può mai sacrifi care alle esigenze di una qual-sivoglia strategia, di una prassi o di una effi cacia a breve scadenza.

34. Per questo, col predicare la liberazione e con l’associarsi a coloro che operano e soffrono per essa, la Chiesa – senza accettare di circoscrivere la pro-pria missione al solo campo religioso, disinteressan-dosi dei problemi temporali dell’uomo – riafferma il primato della sua vocazione spirituale, rifi uta di so-

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stituire l’annuncio del Regno con la proclamazione delle liberazioni umane, e sostiene che anche il suo contributo alla liberazione è incompleto se trascura di annunziare la salvezza in Gesù Cristo.

Dalla lettera enciclica Redemptoris Missio di papa Giovanni Paolo II

60. «La Chiesa nel mondo intero – dissi durante la mia visita in Brasile – vuol essere la Chiesa dei pove-ri. Essa vuol estrarre tutta la verità contenuta nelle beatitudini e soprattutto nella prima: “Beati i poveri in spirito”. Essa vuole insegnare questa verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che venne a fare e a insegnare». Le giovani Chiese, che per lo più vivo-no fra popoli affl itti da una povertà assai diffusa, e-sprimono spesso questa preoccupazione come parte integrante della loro missione. La Conferenza gene-rale dell’episcopato latino-americano a Puebla, dopo aver ricordato l’esempio di Gesù, scrive che «i pove-ri meritano un’attenzione preferenziale, qualunque sia la condizione morale o personale in cui si trova-no. Fatti a immagine e somiglianza di Dio per essere suoi fi gli, questa immagine è offuscata e persino ol-traggiata. Perciò, Dio prende le loro difese e li ama. Ne consegue che i primi destinatari della missione sono i poveri, e la loro evangelizzazione è per eccel-lenza segno e prova della missione di Gesù». Fede-le allo spirito delle beatitudini, la Chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri e gli oppressi di ogni genere. Esorto, perciò, tutti i discepoli di Cristo e le comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli istituti religiosi, a fare una sincera revisione della propria vita nel senso della solidarie-tà con i poveri. Nello stesso tempo, ringrazio i mis-

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sionari che con la loro presenza amorosa e il loro u-mile servizio operano per lo sviluppo integrale della persona e della società mediante scuole, centri sani-tari, lebbrosari, case di assistenza per handicappati e anziani, iniziative per la promozione della donna e simili. Ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religio-se e i laici per la loro dedizione, mentre incoraggio i volontari di organizzazioni non governative, oggi sempre più numerosi, che si dedicano a queste opere di carità e di promozione umana. Sono, infatti, que-ste opere che testimoniano l’anima di tutta l’attività missionaria: l’amore, che è e resta il movente della missione, ed è anche «l’unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azio-ne e il fi ne a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono».

Da Dietro il povero, Gesù di Jean Vanier

Il povero aspetta un incontro fatto di gratuità e di amore, dove sia riconosciuto e dove non si ab-bia paura di «perdere tempo» insieme. Cerca una relazione che comprenda qualcosa di assoluto, un impegno. Ma, da parte nostra, si ha paura di amare perché amare è impegnarsi con le persone, è far mo-rire qualcosa in sé: agi, comodità, ricchezza, impie-go del proprio tempo, svaghi, cultura, reputazione, successo e forse le proprie amicizie. E com’è vinco-lante vivere con il povero sprovvisto di tutto! Vinco-lante perché non sa parlare o camminare o fare le cose da sé. È vincolante perché ha bisogno di avere quasi sempre qualcuno accanto.

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Il grido del povero è esigente. E noi non abbiamo tempo.

Forse è facile incontrare fugacemente una persona menomata, ferita; può anche essere una bella espe-rienza. È abbastanza facile starle vicino per qualche mese. È facile lavorare con lei come professionista per un certo tempo. Però quella persona ha biso-gno di altro. Ha bisogno di qualcuno che sia con lei nei momenti di gioia, ma anche nei momenti duri; qualcuno che non sia né sentimentale, né superpro-tettore; qualcuno che sia segno della tenerezza di Dio e della sua fedeltà nel tempo; qualcuno che le riveli il suo dono, il senso della sua vita e che l’ac-colga e l’ami così com’è.

[...] Per uscire dalla solitudine, dalla prigione nella quale si è rinchiuso, il ricco ha bisogno del povero. Il pericolo che lo minaccia è quello di bastare a se stesso e di rinchiudersi nella sua sicurezza, nelle sue conoscenze, nel suo potere. Il povero lo disturba.

Se si lascia disturbare, allora può accadere il mira-colo. Il povero penetra attraverso le sbarre della su-a prigione. Lo sguardo del povero penetra nel suo cuore per risvegliarlo alla vita. È l’incontro. Allora il ricco scopre in sé un cuore che comincia a vibrare e ad amare; scopre anche le sue paure, le sue barriere, la sua ricerca di comodità e di sicurezza.

Se il ricco, colpito nell’intimo, si lascia trasportare dal richiamo del povero, scopre a poco a poco una forza, un’energia nascosta, più profonda delle sue conoscenze e delle sue capacità d’azione. Scopre la potenza del suo cuore fatto per l’incontro, per il servizio e per essere segno dell’amore di Dio. Sco-pre la potenza della tenerezza, della bontà, della pazienza, del perdono, della gioia e della celebra-zione! Una sorgente fi no allora sepolta comincia a zampillare.

(Messaggero, Padova 1981, pp. 12-16)

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Da La pasqua di Primo Mazzolari

Gesù era un senza casa, uno sfollato, e aveva biso-gno che uno gli cedesse un po’ della sua, almeno per la Pasqua (cfr. Mc 14,12-16.22-26). Vi sono giorni in cui non si può mangiare sul margine della strada o all’ombra di un fi co. Il cuore, assalito dai ricordi, o tra-boccante di un dono incontenibile, non può dichiarar-si a qualunque crocevia. Ci vuole un uscio che si apra e sopra una larga stanza, se no, sarebbe sacrilegio.

Questa sera l’amore di Cristo ha bisogno di questa larga stanza, ma non vuota e dissipata come certe nostre cattedrali. Ne ha bisogno per lavare i piedi dei suoi poveri apostoli, per fare il Pane della vita, per suggellare l’istituzione col suo testamento.

Ed ecco che un uomo senza nome, un padrone di casa, gli impresta la sua camera più bella. I senza casa di ogni tempo, gli sfollati di oggi, che sono mi-lioni, hanno il loro santo protettore, un santo senza aureola, senza chiesa e senza altare, in colui che ha imprestato a Cristo la prima chiesa e il primo altare. E gli ha dato ciò che aveva di più grande, perché in-torno al grande sacramento ci vuole tutto di grande: camera e cuori, parole e gesti.

Oggi, tutte le chiese dovrebbero avere la massima latitudine spirituale per ospitare i diseredati e i tri-bolati di ogni fronte, per baciare ei poveri piedi che hanno camminato migliaia e migliaia di chilometri nel fango e nella neve.

Così fu il primo ostensorio eucaristico, preparato da quell’ignoto padrone di casa. Me lo raffi guro, alla fi -ne del banchetto, con la moglie e i fi glioli, nel vano della porta semiaperta, per farsi avanti per ultimo, mendicante più che commensale di un Pane che a-veva preparato con le sue mani e che il Cristo, bene-dicendolo, aveva cambiato in pane di vita eterna.

(La Locusta, Vicenza 1982, pp. 46-48)

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Testimoni esemplari

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Oscar Arnulfo Romero

Profi lo personale

Oscar Arnulfo Romero nacque il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios, nello stato di El Salvador. Segnato dalla malattia fi n da piccolo, Oscar si rendeva con-to della propria debolezza e ne soffriva. La malattia ebbe ripercussioni a livello psicologico, traducendo-si in poca fi ducia in se stesso e nel bisogno di essere incoraggiato per sentirsi sicuro nelle proprie azioni. Fin dall’infanzia e per tutta la vita prestò grande at-tenzione a scegliere gli amici. Sostanzialmente egli rimase un solitario e si trovò sempre a suo agio nel silenzio e nella meditazione.

Il giovane Romero entrò in Seminario nella città di san Miguel e fu mandato poi a studiare a Roma, dove venne ordinato sacerdote nel 1942.

Nel 1943 ritornò in El Salvador e operò come parroco nella diocesi di San Miguel. La stessa intransigenza che Romero aveva con se stesso l’aveva anche con gli altri. Tutti erano convinti delle sue doti, ma lo giudi-cavano troppo rigido. La profonda spiritualità di pa-dre Romero si esprimeva concretamente nella carità: aiutare i poveri era per lui un’imperiosa necessità.

Nel 1968 fu fatto segretario della conferenza episco-pale salvadoregna. Nel 1970 venne nominato ausilia-re nell’arcidiocesi di San Salvador. Nel 1975 diventò vescovo di Santiago de Maria; due anni dopo fu scel-to come arcivescovo di San Salvador, scontentando l’ala più progressista della Chiesa che lo considerava troppo vicino al potere.

Il cambiamento che si manifestò in lui subito dopo l’assunzione del ministero episcopale fu per molti una vera sorpresa. Si può parlare di una vera e pro-

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pria conversione, anche se non nel senso repentino di una via di Damasco. Si trattò di una conversio-ne che era andata maturando poco a poco nel cuore di quell’uomo a volte tormentato, a volte intrepido, sempre generoso.

Giunse però l’ora di un passaggio decisivo. Nella drammatica situazione politica e sociale del suo Pae-se, mons. Romero cominciò a denunciare con forza le ingiustizie e le violenze subite dai contadini e dai poveri. Tutto ciò era vissuto nel discernimento alla luce della parola di Dio di quanto accadeva. L’ucci-sione di padre Rutilio Grande segnò una svolta deci-siva in questo cammino.

Nei tre anni di episcopato nella capitale Romero fu promotore del dialogo e della riconciliazione in seno alla Chiesa e al Paese. La sua popolarità crebbe enormemente; ma assieme al favore di poveri attirò anche l’ostilità dei potenti e di parte della stessa ge-rarchia cattolica salvadoregna.

Mentre ormai la nazione scivolava verso la guerra ci-vile, Romero si fece voce dei senza voce, difensore dei poveri sottoposti alla spirale di violenza scatenata dal governo militare e dalle formazioni guerrigliere di op-posizione. La sua posizione di mediatore lo rese inviso ai fautori della violenza e delle soluzioni di forza. Fu così che si arrivò alla morte, un vero atto di martirio, destinato a rimanere nella memoria collettiva.

La sera del 24 marzo 1981, alle sei cominciò a ce-lebrare la messa. Alle sei e venticinque era giunto all’offertorio. Qualcuno accostò un’auto al muro del recinto, salì sul tetto, con un fucile a cannocchiale, prese di mira il celebrante attraverso un fi nestrone della cappella. Un solo sparo. Colpito al cuore, mons. Romero cadde a terra con il calice in mano, moren-do quasi all’istante.

Chi lo ammazzò non avrebbe mai potuto immagina-re l’enorme eco del tragico evento e la forza spiritua-le che esso suscitò e continua a suscitare.

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Testi

Omelia

Vi parlerò semplicemente come pastore che, assieme al suo popolo, ha imparato la bella e dura verità che la fede cristiana non ci separa dal mondo, ma ci im-merge in esso; che la Chiesa non è un fortino isolato dalla città, ma segue l’esempio di quel Gesù che visse, lavorò, lottò e morì nella città, nella polis. In questo senso, vorrei parlare della dimensione politica della fede cristiana: nel senso preciso delle ripercussioni della fede nel mondo e anche delle ripercussioni che l’inserimento nel mondo provoca nella fede.

Dobbiamo essere chiari fi n dal principio sul fatto che la fede cristiana e l’azione della Chiesa hanno sempre avuto ripercussioni sociali e politiche. Agendo o non agendo, per connivenza con l’uno o l’altro gruppo sociale, i cristiani hanno sempre infl uito nella confi -gurazione del mondo in cui sono vissuti. Il problema è come deve essere l’infl usso sul mondo sociale e po-litico affi nché questo mondo sia veramente plasmato secondo la fede. [...]

Il nostro mondo salvadoregno non è un’astrazione; è un mondo che nella sua enorme maggioranza è for-mato da uomini e donne poveri e oppressi. Di questo mondo dei poveri diciamo che è la chiave per com-prendere la fede cristiana, l’azione della Chiesa e la dimensione politica di questa fede, di questa azione ecclesiale. Sono i poveri che ci dicono cos’è la polis, e che cosa signifi ca per la Chiesa vivere realmente nel mondo. Permettetemi che, partendo dai poveri del popolo che io rappresento, spieghi brevemente la situazione e l’azione della nostra Chiesa nel mondo in cui viviamo e rifl etta poi, partendo dalla teologia, sull’importanza di questo mondo reale, culturale, sociale e politico per la fede.

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Negli ultimi anni la nostra Arcidiocesi è andata prendendo, per quanto riguarda la sua attuale pa-storale, una direzione che si può descrivere e capire solo defi nendola «un giro attorno al mondo dei po-veri». Come è successo in altri luoghi nell’America Latina, dopo molti anni e forse secoli, sono risuona-te fra noi le parole dell’Esodo: «Le grida del mio po-polo sono giunte a me, ho veduto l’oppressione che fa soffrire» (Es 3,9). Queste parole della Scrittura ci hanno dato nuovi occhi per vedere ciò che sempre è stato fra noi, ma tante volte nascosto, anche allo sguardo della stessa Chiesa. [...]

In questo mondo inumano, la Chiesa della mia Arcidiocesi ha cercato di incarnarsi. Non dico ciò con spirito trionfalistico, dal momento che so bene quanto ancora dobbiamo fare per questa incarna-zione. Però lo dico con immensa gioia, perché ab-biamo fatto lo sforzo di non passare alla larga, di non ignorare il ferito lungo la strada, ma di avvici-narci a lui come il buon samaritano.

È questo avvicinarci al mondo dei poveri che inten-diamo per incarnazione e conversione.

I cambiamenti necessari all’interno della Chiesa, nella pastorale, nell’educazione, nella vita religiosa e sacerdotale, negli stessi movimenti laici che non eravamo riusciti a ottenere all’interno della Chiesa, li stiamo conseguendo ora rivolgendoci al mondo dei poveri.

Questo incontro con i poveri ci ha fatto recuperare la verità centrale del Vangelo con la quale la Parola di Dio ci incita alla conversione. La Chiesa ha una buona novella da annunciare ai poveri. Quelli che per secoli hanno ascoltato cattive notizie e hanno vissuto le realtà peggiori, stanno ascoltando ora at-traverso la Chiesa la parola di Gesù: «Il regno di Dio si avvicina», «Fortunati voi poveri perché vostro è il regno di Dio».

Da ciò possiamo trarre una buona novella anche

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per i ricchi: che si convertano alla povertà per con-dividere con i poveri i beni del Regno. Per chi co-nosce il nostro continente latino-americano sarà molto chiaro che non c’è ingenuità in queste paro-le e tanto meno oppio che addormenta. Quello che c’è in queste parole è la coincidenza tra l’anelito di liberazione del nostro continente e l’offerta dell’a-more di Dio ai poveri.

È la speranza che offre la Chiesa e che coincide con la speranza, a volte sopita e molte volte manipolata e frustrata, dei poveri del continente. È una novità per il nostro popolo che i poveri vedano oggi nel-la Chiesa una fonte di speranza e un appoggio alle lotte di liberazione. La speranza che dà forza alla Chiesa non è ingenua, né passiva. È un richiamo, tratto dalla parola di Dio, alla propria responsabilità verso le maggioranze povere, in un paese in cui, a volte con maggiore intensità che altrove, ogni or-ganizzazione è proibita per legge o per convenien-za. È un appoggio, a volte anche critico, alle giuste cause e rivendicazioni dei poveri. La speranza che predichiamo ai poveri è quella di ritrovare la digni-tà, affi nché essi stessi siano artefi ci del loro proprio destino. In una parola, la Chiesa non solo si è rivolta al povero, ma fa di esso il destinatario privilegiato della sua missione, perché – come dice Puebla – «Dio prende la loro difesa e li ama». [...]

La Chiesa non solo si è incarnata nel mondo dei po-veri e dà loro una speranza, ma si è impegnata con fermezza nella loro difesa. Le maggioranze povere del nostro Paese sono oppresse e represse quotidia-namente dalle strutture economiche e politiche. Da noi continuano a essere vere le terribili parole dei profeti d’Israele. Esistono fra noi quelli che vendono il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; quelli che ammucchiano nei loro palazzi violenza e bottino; quelli che schiacciano i poveri; quelli che cercano di provocare un regno di violenza, coricati

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in letti d’avorio; quelli che aggiungono casa a casa e campo a campo, fi no a occupare tutto lo spazio e restarsene soli nel Paese.

Questi testi dei profeti Amos e Isaia non sono voci lontane di molti secoli fa, non sono solo dei testi che leggiamo con riverenza nella liturgia. Sono realtà di ogni giorno, la cui crudeltà e intensità viviamo quotidianamente. Le viviamo quando parliamo con madri e spose di prigionieri e di scomparsi, quando compaiono cadaveri sfi gurati in cimiteri clandesti-ni, quando sono assassinati coloro che lottano per la giustizia e la pace. [...]

Questa difesa dei poveri in un mondo seriamente lacerato ha causato qualche cosa di nuovo nella storia recente della nostra Chiesa: la persecuzio-ne. Voi sapete i dati più importanti. In meno di tre anni più di centocinquanta sacerdoti sono stati attaccati, minacciati e calunniati. Sei di loro sono martiri, sono stati assassinati; vari sono stati tor-turati e altri espulsi. Anche i religiosi sono stati oggetto di persecuzione. L’emittente dell’arcive-scovado, istituzioni educative cattoliche e di ispi-razione cristiana sono state attaccate, minacciate e intimidite con bombe. Vari conventi parrocchiali sono stati violati.

Se ciò è stato fatto con i rappresentanti più visibili della Chiesa, fi guratevi quello che è successo al sem-plice popolo cristiano, ai campesinos, ai loro cate-chisti e portavoce, alle comunità ecclesiali di base. Lì si contano a centinaia coloro che sono stati mi-nacciati, catturati, assassinati. Come sempre, anche nella persecuzione è stato il popolo cristiano il più colpito. È dunque chiaro che la nostra Chiesa è stata perseguitata durante gli ultimi tre anni.

È comunque più importante vedere perché è stata perseguitata. Non è stato perseguitato qualsiasi sa-cerdote, né è stata attaccata qualsiasi istituzione. Si è perseguitata e attaccata quella parte di Chiesa

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che si è posta a fi anco del povero e si è alzata a sua difesa. E di nuovo troviamo qui la chiave per capire la persecuzione da quando si è occupata dei poveri. La persecuzione è stata determinata dalla difesa dei poveri e non è altro che un partecipare al destino dei poveri.

La vera preoccupazione si è indirizzata verso il po-vero, che è oggi il corpo di Cristo nella storia. Sono i poveri il popolo crocefi sso come Gesù, il popolo per-seguitato come il Servo di Javhé. Sono i poveri quelli che completano sul loro corpo quello che manca alla passione di Cristo. E per questa ragione, quando la Chiesa si è organizzata e unifi cata, raccogliendo le speranze e le angosce dei poveri, ha avuto la stessa sorte di Gesù e dei poveri: la persecuzione.

(G. FAZZINI, «Scritte con il sangue», S. Paolo, Milano 2014, pp. 172-175)

Da una delle ultime interviste

Sono stato spesso minacciato di morte. Devo dirle che, come cristiano, non credo nella morte senza ri-surrezione; se mi uccidono, risusciterò nel popolo salvadoregno. Glielo dico senza presunzione alcuna, con la più grande umiltà.

Come pastore sono obbligato, per mandato divino, a dare la vita per coloro che amo, che sono tutti i salvadoregni, anche per quelli che mi vogliono uc-cidere. Se arrivassero a compiersi le minacce, sin da questo momento offro a Dio il mio sangue per la re-denzione e la risurrezione del Salvador.

Il martirio è una grazia di Dio che non credo di me-ritare. Ma se Dio accetta il sacrifi cio della mia vita, possa il mio sangue essere semente di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà.

Se è accetta a Dio, possa la mia morte servire alla liberazione del mio popolo ed essere una testimo-

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nianza di speranza nel futuro. Se arrivassero ad ucci-dermi, potrà dire che perdono e benedico coloro che lo faranno.

Possano così convincersi che perderanno il loro tempo: morirà un vescovo, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai.

(AA. VV., Il vescovo Romero, Emi, Bologna 1980, p. 129)

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Filippo Neri

Profi lo personale

Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515. La famiglia Neri, pur avendo conosciuto una certa im-portanza, al momento della nascita di Filippo, vive-va in modesto stato economico. Per il suo carattere altruista, allegro, vivace e gentile, Filippo si meritò l’appellativo di “Pippo il buono”.

Dal padre ricevette la prima istruzione, ed ereditò la passione per i libri e per la lettura. La formazione re-ligiosa di Filippo avvenne nel convento dei Domeni-cani di San Marco dove era molto sentita l’infl uenza di Girolamo Savonarola.

Intorno ai diciotto anni, su consiglio del padre, si recò da un cugino, avviato commerciante senza fi -gli, a Cassino, ma il commercio non rappresentava la sua vocazione, tanto che durò pochissimo tempo, e neppure le prospettive di un’agiata situazione eco-nomica, o l’affetto della nuova famiglia, riuscirono a trattenerlo.

Ben presto si trasferì a Roma, dove giunse come pel-legrino nel 1534; fu ospitato nella casa di Galeotto Caccia, uomo d’affari fi orentino per il quale Filippo assunse l’incarico di precettore dei fi gli.

Gli studi teologici e fi losofi ci lo attraevano enorme-mente, ma era affascinato ancora di più dalla vita contemplativa che gli impediva talvolta di concen-trarsi sugli argomenti delle lezioni.

La sua intensissima vita contemplativa era unita ad un’altra, altrettanto intensa attività, da laico, di apo-stolato nelle piazze e per le vie della nuova Roma dei giovani di strada, degli artigiani e commercianti, degli uomini d’affari, dei Banchi, di carità presso gli

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Ospedali degli incurabili, di partecipazione alla vita di alcune confraternite come ad esempio quella della SS. Trinità, dedicata all’assistenza dei Pellegrini, di cui fu il principale artefi ce insieme al suo confessore e padre spirituale Persiano Rosa.

Fu ordinato sacerdote il 23 maggio 1551, a trentasei anni, dopo aver ricevuto, in pochi mesi, gli ordini minori e maggiori, continuando da sacerdote l’in-tensa vita apostolica già vissuta da laico.

Andò ad abitare con altri sacerdoti secolari nella Casa di San Girolamo, entrando così a far parte di un cen-tro di spiritualità per grandi ceti popolari e poi, gra-zie anche allo sviluppo della riforma tridentina, per uomini di Curia, prelati, nonché appartenenti all’alta fi nanza e al patriziato. Qui Filippo, iniziò nella sua piccola camera quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che, tra il 1553 e il 1555, cominciarono a prendere la fi sionomia di riu-nioni; per il crescente numero di persone che parte-cipavano ai suoi incontri, Filippo ottenne, dalla Con-fraternita della Carità, di poter utilizzare un locale sopra una navata della chiesa. Furono questi incontri che diedero luogo alla costituzione dell’Oratorio.

Nel 1564 i suoi discepoli accettarono di andare ad abitare a San Giovanni dei Fiorentini, di cui Filippo aveva dovuto accettare la responsabilità. La piccola comunità costituitasi intorno a Filippo, sorta come comunità senza vincoli di voti, divenne sempre più vasta e le riunioni dell’Oratorio ebbero un successo sempre maggiore. A questo successo corrispose una notevole diffi denza, tanto che ci furono inchieste da parte del Vicariato romano e dell’Inquisizione, che non riuscivano a comprendere questo metodo di ra-gionamenti spirituali, che prevedeva la partecipazio-ne dei laici e che cercava nuovi spazi per il raggiun-gimento della perfezione clericale e laicale, oltre i canali consueti. Queste inchieste si conclusero nel nulla, anzi l’infl usso di Filippo e del suo gruppo di-

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venne sempre più forte anche nell’ambiente curiale. Il 15 luglio 1575 fu affi data a Filippo e ai suoi preti,

da papa Gregorio XIII, la piccola e fatiscente chiesa di S. Maria in Vallicella. Il vecchio edifi cio venne ab-battuto e in due anni fu edifi cata la nuova chiesa, che ancora oggi è possibile ammirare.

Filippo, nonostante avesse continuato a vivere nell’a-mata cameretta di San Girolamo fi no al 1583, rimase capo carismatico della sua comunità, diventando ri-ferimento e consigliere di prelati, cardinali e anche di pontefi ci. Nel 1593, in seguito a una dolorosa e lunga malattia (aveva già 78 anni), diede le dimis-sioni dalla funzione di preposto della congregazione. Morì all’età di ottant’anni, il 26 maggio 1595, amato dai suoi e da tutti quelli che lo avevano conosciuto durante il suo apostolato a Roma.

Durante i suoi quarantaquattro anni di vita sacerdo-tale ricevette il titolo, fi no ad allora riservato a Pietro e Paolo, di «Apostolo di Roma». Il processo canoni-co, iniziato subito dopo la sua morte, si concluse nel 1615 con la beatifi cazione, mentre la canonizzazio-ne avvenne nel 1622. 

Testi

Scritti e massime

La volontà di Dio

Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.

Quando l’anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che abbia ad intervenire bene.

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Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfi gurato: accompagnar Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.

Desiderio di perfezione

Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.

La preghiera

L’uomo che non fa orazione è un animale senza ra-gione.

Il nemico della nostra salute di nessuna cosa più si contrista, e nessuna cosa cerca più impedire che l’o-razione.

Non vi è cosa migliore per l’uomo che l’orazione, e senza di essa non si può durar molto nella vita dello spirito.

Per fare buona orazione deve l’anima prima profon-dissimamente umiliarsi e conoscersi indegna di sta-re innanzi a tanta maestà, qual è la maestà di Dio, e mostrare a Dio il suo bisogno e la sua impotenza, ed umiliata gettarsi in Dio, che Dio le insegnerà a fare orazione.

Ai giovani diceva: «Non vi caricate di troppe devozio-ni, ma intraprendetene poche, e perseverate in esse. Non tante devozioni, ma tanta devozione».

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L’umiltà

Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.

Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, perchè possiate diventar grandi negli occhi di Dio.

Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d’umiltà, e un sentir basso di sé. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l’essere gonfi ato della propria stima.

Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.

A proposito della vanagloria diceva: «Vi sono tre sor-ta di vanagloria. La prima è Padrona e si ha quando questa va innanzi all’opera e l’opera si fa per il fi ne della vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l’uomo non fa l’opera per fi ne di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel far l’opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime».

Per acquistare il dono dell’umiltà sono necessarie quattro cose: disprezzare il mondo, non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d’esse-re disprezzato. E soggiungeva, rispetto all’ultimo grado: «A questo non sono arrivato: a questo vorrei arrivare».

Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: «Fi-gliuoli miei, prendete in bene le mie parole, piutto-sto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il pensiero di simili dignità. Desidero

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bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi, ma non già le grandezze loro».

La mortifi cazione

Molto più giova mortifi care una propria passione per piccola che sia, che molte astinenze, digiuni e discipline.

Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla con mortifi ca-zioni spirituali e se la trovava mortifi cata e umile, ne teneva conto, altrimenti l’aveva per sospetta, di-cendo: «Ove non è gran mortifi cazione, non può esservi gran santità».

Le mortifi cazioni esteriori aiutano grandemente al l’ac quisto della mortifi cazione interiore e delle altre virtù.

La gioia cristiana

Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate allegri.

Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupo-li e malinconie, lontani da casa mia.

L’allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, de-rivato dalla buona coscienza, mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle cele-sti... Si oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può neanche assaporarla: le si oppone principalmente l’ambizione: le è nemi-co il senso, e molto altresì la vanità e la detrazione.

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La nostra allegrezza corre gran pericolo e spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto degli spettacoli.

Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di colo-ro che si lamentavano, diceva: «Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vo-stro, e state allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E quando doveva frenare l’irrequietezza dei ragazzi diceva: State fer-mi, e, sotto voce, se potete».

La confessione

La confessione frequente de’ peccati è cagione di gran bene all’anima nostra, perché la purifi ca, la ri-sana e la ferma nel servizio di Dio.

Nel confessarsi l’uomo si accusi prima de’ peccati più gravi e de’ quali ha maggior vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto dalla confessione.

La tentazione

Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e te-nebroso, non si vincono meglio che con l’umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramen-te senza coperta i peccati e le tentazioni al confessore.

La vera custodia della castità è l’umiltà: e però quan-do si sente la caduta di qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà in simili casi, è segno manifesto di dover pre-stamente cadere.

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Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cat-tive compagnie, non nutrire delicatamente il corpo, aborrire l’ozio, fare orazione, frequentare i Sacra-menti spesso, e particolarmente la Confessione.

(S. FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, La Scuola, Brescia 1994;

S. FILIPPO NERI, «Chi cerca altro che Cristo...»: Massime e ricordi, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2006)

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Roger Schutz

Profi lo personale

Roger Schutz nacque il 12 maggio 1915 in un paesino di montagna della Svizzera, ultimo di nove fratelli. Il padre era un pastore protestante esperto in esege-si biblica, la madre un’appassionata di musica. Sarà soprattutto la testimonianza della nonna materna a segnarlo profondamente. Durante la prima guerra mondiale, infatti, questa donna, che aveva tutti e tre i fi gli combattenti al fronte, fece della sua casa un luogo di accoglienza e di riparo per quanti fuggiva-no. Nello stesso tempo, lei di fede protestante, ma pervasa da uno spirito di riconciliazione, cominciò a frequentare la chiesa cattolica. Dirà un giorno frère Roger a Giovanni Paolo II: «Segnato dalla testimo-nianza della sua vita e ancora abbastanza giovane, ho trovato, seguendola, la mia identità di cristiano, riconciliando in me la fede delle mie origini con il mistero della chiesa cattolica, senza rompere la co-munione con nessuno».

A venticinque anni Roger lasciò la Svizzera per tro-vare in Francia una casa dove avviare un’esperienza di vita monastica, fatta di preghiera e di accoglienza. La scelta cadde sul piccolo e sconosciuto villaggio di Taizé. Era il 20 agosto 1940, quando il giovane Ro-ger, passando per quel luogo, fu invitato a fermarsi a pranzo da una donna anziana che, conosciuta la sua intenzione, gli disse: «Si fermi qui, siamo così soli e così poveri». Roger confesserà che in quelle parole sentì la voce del Cristo.

In piena guerra Roger Schutz prese ad accogliere e a nascondere a Taizé quanti poteva, aiutandoli poi a varcare il confi ne con la neutrale Svizzera. Ben pre-

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sto altri giovani si unirono a lui, colpiti da quell’idea-le di comunione.

Nel 1948 il nunzio apostolico a Parigi, mons. Ron-calli, fi rmò l’autorizzazione perché la piccola co-munità protestante potesse riunirsi nella chiesa cattolica del villaggio. Fu lo stesso nunzio che una decina d’anni dopo, divenuto papa Giovanni XXIII, accogliendo frère Roger esclamò: «Ah, Taizé, quella piccola primavera!».

Il Concilio Vaticano II, a cui frère Roger era stato invitato, vide la sua attiva partecipazione. L’irradia-zione di Taizé cominciò a diffondersi in tutto il mon-do. Fu, però, soprattutto a partire dal ‘68 che molti giovani trovarono nella collina di Taizé un luogo di accoglienza e di ascolto. La passione di frère Roger e dei suoi fratelli fu sempre quella di condurli alle sorgenti della fede per vivere lo spirito delle beatitu-dini: «Gioia, semplicità, misericordia». La preghiera celebrata tre volte al giorno nella grande chiesa della Riconciliazione, resasi ben presto insuffi ciente, di-venne la struttura portante delle settimane trascor-se a Taizé da migliaia di giovani. L’annuncio di un «Concilio dei giovani», dato all’inizio degli anni set-tanta, si trasformò di lì a poco in «un Pellegrinaggio di fi ducia sulla terra», al fi ne di stimolare i giovani a divenire nel loro ambiente creatori di pace e porta-tori di riconciliazione.

Al cuore dell’impegno di frère Roger c’era la «gioiosa notizia»: «Cristo risorto viene ad animare una festa nel più profondo dell’uomo. Egli ci prepara una pri-mavera della Chiesa».

Frère Roger è entrato nell’eternità di Dio il 16 ago-sto 2005, ucciso da una donna squilibrata, durante la preghiera della sera, attorniato da migliaia di Giova-ni. Un giorno lontano aveva scritto. «O Cristo, Tu mi apri la via del rischio. Tu mi precedi sul cammino di santità, dove felice è colui che muore d’amore, dove il martirio è l’ultima risposta».

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Testi

La gioia e la bontà del cuore

Un giorno chiesi a un giovane cosa fosse più essen-ziale ai suoi occhi per sostenere la sua vita. Rispose: «La gioia e la bontà del cuore».

L’inquietudine, la paura di soffrire, possono portar via la gioia.

Quando sorge in noi una gioia attinta dal Vangelo essa porta un soffi o di vita.

Non siamo noi a creare tale gioia, è un dono dello Spirito Santo. Essa è incessantemente ravvivata dal-lo sguardo di fi ducia di Dio sulle nostre vite.

Lungi dall’essere ingenua, la bontà del cuore compor-ta una vigilanza. Può portare ad assumere dei rischi. Non lascia posto ad alcun disprezzo verso l’altro.

Essa rende attenti ai più bisognosi, a coloro che sof-frono, al dolore dei bambini. Sa esprimere attraverso il viso, nel tono della parola, che ogni essere umano ha bisogno di essere amato.

Durante una visita a Taizé, il fi losofo Paul Ricoeur diceva: «La bontà è più profonda del male più pro-fondo. Per quanto il male sia radicale, non è così profondo come la bontà».

Sì, Dio ci consente di andare avanti portando, nel profondo dell’anima, una scintilla di bontà che chie-de solo di diventare fi amma.

Mia madre rimane per me una testimone della gioia e della bontà del cuore. Aveva imparato sin dall’infan-zia la benevolenza per ciascuno: nella sua famiglia ci si rifi utava di mettere in cattiva luce gli altri con una parola che mettesse in ridicolo o che si esprimesse un giudizio severo.

Dava ai propri fi gli una fi ducia totale. Nel corso dell’esistenza, anche se delle prove ci pongono degli interrogativi su noi stessi, ci fanno scoprire i nostri

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limiti, rimane questo dono insostituibile: «Puoi ave-re fi ducia in te». Era ciò che voleva trasmettere mia madre a ciascuno dei suoi nove fi gli.

Sprigionava una grande pace e questo proveniva dalle prove che aveva attraversato. Se veniva a co-noscenza di una situazione diffi cile, aspettava per qualche momento che tornasse la tranquillità, poi riprendeva un altro argomento, semplicemente, come se non fosse accaduto nulla. Non aveva un at-teggiamento esaltato ma una gioia che proveniva dal profondo. Sembrava conservare come una pienezza di pace. Tuttavia, qualche volta mi ha detto: «Voi cre-dete che la pace interiore rimanga sempre in me, al contrario, c’è una lotta profonda».

(F. ROGER, «Avverti una felicità?», Elledici, Torino 2005, pp. 29-31)

La tua festa sia senza fi ne

L’invito ad una gioia interiore ci mette davanti ad una scelta fondamentale: sapremo prendere la deci-sione di vivere nello spirito della lode? Nella sua vita sulla terra, Cristo ha pregato talvolta con lacrime e suppliche, ma anche con la gioia del cuore.

Sappiamo quanti gesti semplici possono rinnovare una gioia? Un giorno, per il mio compleanno, dall’A-merica Latina dove viveva soprattutto con i poveri, il nostro fratello Robert, che era medico e che è morto da tempo, mi mandava un breve telegramma: «La tua festa sia senza fi ne!».

Robert si riferiva al pensiero di un credente del IV secolo, sant’Atanasio, che avevamo letto insieme: «Il Cristo risuscitato fa della vita dell’essere umano una festa continua».

Sì, stupore di una gioia: il Vangelo porta con sé una speranza così chiara che vorremmo giungere sino al dono di noi stessi per trasmetterla.

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Dov’è la sorgente della speranza e della gioia? È in Dio, che ci cerca instancabilmente e che trova in noi la bellezza profonda dell’animo umano.

Dio fa di noi dei poveri del Vangelo. Ci chiama a dar-gli la nostra fi ducia in grande semplicità. Ci tiene vicini a lui come esseri limpidi, trasparenti come un cielo di primavera.

«Cristo è luce per ogni essere umano nel mondo». Saremo portatori di una luce del Vangelo?

(F. ROGER, «Avverti una felicità?», Elledici, Torino 2005, pp. 32-33)

Una chiamata per tutta la vita

Se il Cristo ci domandasse: «Per te chi sono io?», noi potremmo rispondergli: «Tu, il Cristo, tu sei colui che ci ama persino nella vita eterna. Tu compren-di tutto di noi. Noi vorremmo essere del tutto tra-sparenti con te e donarti non soltanto un periodo di tempo, ma tutta la nostra vita».

E siccome il Cristo comprende tutto di noi, capiterà forse a qualcuno di dirgli: «I giorni passavano e io non rispondevo alla tua chiamata. Arrivavo al punto di chiedermi: ho davvero bisogno di Dio? Esitazioni e dubbi mi facevano andare alla deriva, lontano da te. Tuttavia, anche quando stavo lontano da te, tu mi aspettavi. Tu rimanevi vicino a me. Giorno dopo giorno, rinnovi in me una spontaneità che mi per-mette di restare saldo in un sì. Il tuo sguardo di com-prensione rende possibile questo sì che mi porterà sino all’ultimo respiro».

Agli inizi della nostra comunità, eravamo coscienti delle esitazioni che sarebbero potute sorgere in noi, quei momenti in cui il sì ed il no si scontrano. Ci chiedevamo: come resteremo saldi nella chiamata che Dio ci rivolge? Avevo scritto un testo sulla nostra ricerca e non posso dimenticare un incontro con

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una donna che l’aveva letto. Avevo molta stima di lei. Inferma sin dalla nascita, era una scrittrice e co-nosceva molto bene il Nuovo Testamento. Mi disse: «Temete di non riuscire a perseverare? Ma lo Spirito Santo è presente, è abbastanza forte per sostenere una vocazione per tutta la vita».

Con i miei fratelli, a poco a poco, abbiamo capito che lo Spirito Santo era sempre presente e che avrebbe guidato il nostro cammino. Divenne chiaro che, per rimanere fedeli, dovevamo impegnarci per l’intera esistenza. Prendemmo i voti per tutta la vita nella Pasqua del 1949. Eravamo sette fratelli.

Chi cerca una comunione in Dio si lascia plasmare per sempre a una delle frasi più limpide del Nuovo Testamento: «Dio non ci ha dato uno spirito di pau-ra, ma uno spirito di amore».

Avverti una felicità? Sì, Dio ci vuole felici! E l’umile dono di sé rende felici.

(F. ROGER, «Avverti una felicità?», Elledici, Torino 2005, pp. 15-17)

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Giovanni Antonio Farina

Profi lo personale

Nato a Gambellara (provincia di Vicenza) l’11 gennaio 1803 da Pietro e Francesca Bellame, Giovanni An-tonio Farina ricevette la prima formazione dallo zio paterno, un santo sacerdote che fu per lui vero mae-stro di spirito e anche suo precettore, non essendoci all’epoca scuole pubbliche nei piccoli paesi. A quin-dici anni entrò nel Seminario diocesano di Vicenza dove frequentò tutti i corsi, distinguendosi per bontà d’animo e una particolare attitudine allo studio. A 21 anni, mentre ancora frequentava la teologia, venne destinato all’insegnamento in Seminario, rivelando spiccate doti di educatore.

Il 14 gennaio 1827 ricevette l’ordinazione sacerdota-le e subito dopo conseguì il diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari. Nei primi anni di ministero ebbe vari incarichi: la docenza in Seminario per 18 anni, la cappellania di San Pietro in Vicenza per 10 anni e la partecipazione a varie isti-tuzioni culturali, spirituali e caritative cittadine, tra cui la direzione della scuola pubblica elementare e liceale. Nel 1831 diede inizio in Vicenza alla prima Scuola popolare femminile e nel 1836 fondò le Suore Maestre di S. Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, un Isti-tuto di consacrate dedite interamente all’educazione delle fanciulle povere. Subito egli volle che le sue religiose si dedicassero anche alle fanciulle di buona famiglia, alle sordomute e alle cieche; le inviò, quin-di, all’assistenza degli ammalati e degli anziani negli ospedali, nei ricoveri e a domicilio.

Nel 1850 fu nominato vescovo di Treviso e ricevette la consacrazione episcopale il 19 gennaio 1851. Nella

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nostra diocesi svolse una multiforme attività apostoli-ca: iniziò subito la visita pastorale e organizzò in tutte le parrocchie associazioni per l’aiuto materiale e spi-rituale agli indigenti, tanto da essere chiamato «il ve-scovo dei poveri». Incrementò la pratica degli esercizi spirituali e l’assistenza ai sacerdoti poveri e infermi; curò la formazione dottrinale e culturale del clero e dei fedeli, l’istruzione e la catechesi della gioventù. Il 18 settembre 1858 a Castelfranco Veneto conferì l’ordinazione sacerdotale a don Giuseppe Sarto, futu-ro san Pio X. L’intero decennio del suo episcopato a Treviso fu turbato da questioni giuridiche con il Ca-pitolo della cattedrale; queste gli crearono profonda sofferenza e condizionarono la realizzazione del suo programma pastorale frenando molte iniziative, fi no a impedirgli la celebrazione del sinodo diocesano.

Il 18 giugno 1860, su sua richiesta, venne trasferito alla sede vescovile di Vicenza, ove mise in atto un vasto programma di rinnovamento e svolse un’im-ponente opera pastorale orientata alla formazione culturale e spirituale del clero e dei fedeli, all’inse-gnamento catechistico dei fanciulli, alla riforma de-gli studi e della disciplina nel Seminario. Indisse il sinodo diocesano nel 1863. Istituì numerose confra-ternite per il soccorso ai poveri e ai sacerdoti anziani e per la predicazione di esercizi spirituali al popolo; incrementò una profonda devozione al Sacro Cuore di Gesù, alla Madonna e all’Eucaristia. Partecipò al Concilio Vaticano I.

Gli ultimi anni della vita furono contrassegnati da aperti riconoscimenti per la sua attività apostolica e la sua carità, ma anche da profonde sofferenze e da ingiuste accuse di fronte alle quali egli reagì con il silenzio, la tranquillità interiore e il perdono, con fedeltà alla propria coscienza e alla regola suprema della «salute delle anime».

Dopo una prima grave malattia nel 1886, le sue forze fi siche si indebolirono gradatamente, fi no all’attacco

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di apoplessia che lo portò alla morte il 4 marzo 1888. La sua salma riposa a Vicenza, nella Casa madre della congregazione da lui fondata. Dopo la sua morte la fama di santità andò crescendo negli ambienti eccle-siastici e civili; fi n dal 1897 si cominciò a ricorrere alla sua intercessione per ottenere grazie e favori celesti.

Il 4 novembre 2001 è stato dichiarato beato da Giovan-ni Paolo II. Papa Francesco lo iscrive nel registro dei santi il 23 novembre 2014. La sua memoria liturgica è collocata dal Martirologio Romano al 14 gennaio. 

Testi

Invito agli esercizi spirituali per il clero

Treviso, 25 luglio 1854

Quanta consolazione abbia provato l’animo nostro nello scorso anno vedendo il numeroso ed edifi cante concorso di tutti agli esercizi spirituali, che furono dati nel Seminario, ci mancano le parole a saperve-lo dire. Ci pareva meno grave il giogo del ministero pastorale in quell’istante, e la responsabilità enorme dei nostri doveri trovava allora uno sfogo, un ristoro, ed una contentezza indicibile.

Tutti insieme uniti in vincolo santo di fraterna carità ad altro non desideravate che di spingerci innanzi per sentire la volontà del Signore, disiosi di rispon-dere alla medesima indirizzando l’anima nostra e quella del prossimo sul continuo sentiero delle cri-stiane virtù. Che giorni beati! Che pace di Paradiso abbiamo goduta!

Oh! Ascoltiamo la voce del Signore. Essa ci corrobori e ci confermi negli antichi buoni propositi, e, dove occorra, ci lavi le macchie anche lievi, che per ven-tura ci si fossero solidifi cate nel cammino della vita,

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affi nché incoraggiati con intrepida alacrità possiamo poi essere animati a correre la gloriosa gara della no-stra e dell’altrui santifi cazione.

Ma come raggiungere, o miei venerabili fratelli, tan-to grado di perfezione? Avvicinandosi alla fonte della luce e della grazia, raccogliendosi nella meditazione delle verità eterne e di quelle, che specialmente con-vengono ai bisogni ed alla sublime importanza della nostra vocazione.

E nel silenzio del ritiro che parla il Signore. E nel rifugio da ogni distrazione terrena che sostiene le anime di aiuti straordinari. Digiune di essi come potrebbero reggere al peso delle fatiche quotidiane? Come potremmo noi vivere, noi che quantunque Sa-cerdoti siamo anche uomini sottoposti alle passioni, a cui tutti gli uomini son sottoposti?

Premuniamoci dunque della forte armatura del-le preghiere e delle pratiche pie, e questo è anche nostro dovere per corrispondere all’altezza di quel carattere, di cui fummo insigniti nella sacra Ordi-nazione.

Riavvolgendosi ogni giorno fra la oscura polvere del mondo è umanamente impossibile tener sempre viva la purezza dei principi che ci furono istillati... E poi si danno certi difetti, che veramente non of-fendono molto le coscienze, ma pure le distaccano dalla benevolenza di Dio. Lasciano le anime anche tranquille, ma addormentate nel bene. Sono degli atti d’impazienza, di rozzezza nell’udire, nel parlare, nel trattare. Sorgono momenti infelici, in cui l’esa-sperazione ci tribola, e forse il sentore di persona-li antipatie ci predomina. Si parla a discredito, una puerile leggerezza investe tutto quanto lo spirito, l’animo diventa condiscendente alla satira, ritroso all’obbedienza, non fervido nelle orazioni, labile sul-le promesse, che ha già dichiarate. Bisogna adunque raccogliersi, rinsaldarsi, e porsi tutti in una vita se-ria, occupata, ed interamente ecclesiastica.

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Congedo dalla Diocesi di Treviso

Treviso, 16 ottobre 1860

Un supremo momento per me si avvicina. Non so, se potrò avere parole bastevoli ad esprimervi oggi i miei sentimenti, perché provo dentro del cuore una grande tempesta, che mi agita tutto.

Figlioli! In seguito non potrò più chiamarvi con que-sto nome. Io non sarò più vostro Padre: io già mi distacco da voi. Piacque al Signore nei profondi con-sigli della sua Provvidenza mandarmi altrove, ed è giunto il momento.

Lasciate che prima di abbandonarvi possa ancora una volta farvi sentire la mia parola, ancora una vol-ta porgervi un saluto. Vi assicuro che a questo punto mi sento stringere il cuore, anzi mi si rompe, mi si strazia, perché vi ho sempre amati. Capite? Io vi ho sempre amati nel Signore. Lui cito a testimone, Lui, che mi deve giudicare se sempre, ed assai vi ho ama-ti, e se per questo solo amore ho sempre guardato, e curata la vostra eterna salvezza.

Oh Dio! Lo sa Lui, quante lagrime ho sparse, quando mi si diceva che forse qualched’uno era meno dispo-nibile alla mia regola, perché d’altro lato forse essa si manifestava più dura di quanto fosse conveniente, o meno persuasiva di quanto occorreva. Ma sempre sia benedetto, e nelle consolazioni, di cui tante volte fu veramente generoso verso di me, e nelle limitazioni, che per mio bene e miglioramento certo avrà voluto farmi patire, benché in grado assai scarso rispetto ai miei demeriti. Le prime furono balsamo salutare alla mia debolezza estrema, le seconde eroica medicina per umiliare lo spirito, e per renderlo istruito sull’av-venire. Ma almeno col desiderio sempre intenso, al-meno con la volontà sempre viva io vi assicuro che sempre e solo ho cercato il vostro bene spirituale.

Vi ringrazio di cuore, o miei Sacerdoti, o Parroci tutti, e Vicari Foranei, che avete faticato con me nel gran-

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de campo per quasi due lustri, ed effi cacemente avete aiutato il compimento della volontà del Signore.

Ringrazio di cuore tutto il mio popolo, che docile se-condò per mio conto la voce ed il comando dei pro-pri pastori, e coll’obbedienza, e coll’esempio, e col consiglio e colle orazioni sostenne, e rese feconda la mia opera. Ora vi metto nel mio cuore

Voi non cessaste mai, anche in seguito, di donarmi il conforto del vostro sostegno, pregando per me, usandomi la vostra indulgenza, per la quale ho fi -ducia che il Principe dei Pastori vorrà al suo giorno essere meno severo in giudizio con me.

Figlioli! Lasciate che ancora una volta mi scenda sul labbro questo nome carissimo. Quantunque lontani vi guarderò come Figli, e quel tenero affetto, e quella dolce memoria che per voi nutro nel cuore diventerà incancellabile presso di me fi nché Dio mi concederà spirito di vita.

Mi rimane da dirvi una cosa. Siate continui nel-la pratica delle virtù cristiane, nella frequenza dei Sacramenti, siate solleciti nell’educazione dei fi gli, siate lontani dal consorzio dei peccatori, e per questi pregate, affi nché toccati dalla luce abbagliante della divina misericordia abbandonino fi nalmente le stra-de della perdizione, e si convertano.

Per amore di Gesù Cristo vi torno a pregare di ri-cordarvi anche sempre di me. Col cuore spezzato vi supplico, per la misericordia di Dio, tutti aborrite il male, operate il bene, amatevi in vera carità da veri fratelli, servite il Signore e siate fervorosi nella fede, siate costanti nella Speranza, rassegnati nelle tribolazioni, moderati nella prosperità ed indefessi nelle preghiere; e il Dio di ogni pazienza e di ogni consolazione (ve ne assicuro) vi arricchirà de suoi più grandi carismi, per cui abbiate sempre secondo Cristo, e la sua santa legge un medesimo sentimen-to nella pace del cuore che è guardia e suggello di ogni eroica virtù.

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Raccolta di preghiere

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Tu sei la luce

Stai con me, e io inizierò a risplenderecome tu risplendi;a risplendere fi no ad essere luce per gli altri.La luce, o Gesù, verrà tutta da te:nulla sarà merito mio.Sarai tu a risplendere,attraverso di me, sugli altri.Fa’ che io ti lodi così,nel modo che tu più gradisci,risplendendo sopra tutti coloroche sono intorno a me.Da’ luce a loro e da’ luce a me;illumina loro insieme a me, attraverso di me.Insegnami a diffondere la tua lode,la tua verità, la tua volontà.Fa’ che io ti annunci non con le parolema con l’esempio,con quella forza attraente,quella infl uenza solidaleche proviene da ciò che faccio,con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,e con la chiara pienezza dell’amoreche il mio cuore nutre per te. Henry Newman

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Riscalda il mio cuore col tuo amore

Spirito santo, vieni nel mio cuore;per la tua potenza attiralo a te, Dio vero.Concedimi carità e con essa il timore.Custodiscimi da ogni pensiero malvagio,riscaldami e infi ammami con il tuo dolcissimo amore,così che ogni peso mi parrà leggero.Padre santo,dolce mio Signore,aiutami in ogni mio ministero.Cristo amore! Cristo amore! Caterina da Siena

Tu attendi la mia conversione

Signore,la tua bontà mi ha creato,la tua misericordia ha cancellato i miei peccati,la tua pazienza fi no ad oggi mi ha sopportato...Tu attendi, o Signore misericordiosola mia conversionee io attendo la tua graziaper raggiungere attraverso la conversioneuna vita secondo la tua volontà.Vieni in mio aiuto, o Dio che mi hai creatoe che mi conservi e mi sostieni.Di te sono assetato, di te sono affamato,te desidero, a te sospiro,te bramo al di sopra di ogni cosa. Anselmo di Aosta

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Preghiera per ottenere il dono delle lacrime

Dio onnipotente e d’infi nita mitezza,che per il tuo popolo assetatohai fatto sgorgare dalla pietrauna sorgente d’acqua viva,fa’ sgorgare dalle durezze del nostro cuorelacrime di compunzione,affi nché possiamo piangere i nostri peccati,e per la tua misericordiane possiamo ricevere la remissione e il perdono.Per Cristo nostro Signore. Dalla Liturgia Romana

Giungere a te, Altissimo

Dio onnipotente, eterno,giusto e misericordioso,concedi a noi miseri di fare,a causa di te stesso,ciò che sappiamo che tu vuoie di volere sempre ciò che a te piace,affi nché, interiormente purifi cati,interiormente illuminatie accesi dal fuoco dello Spirito santo,possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto,il Signore nostro Gesù Cristo,e, per tua sola grazia,giungere a te, o Altissimoche nella Trinità perfetta e nell’Unità semplicevivi e regni e sei glorifi cato,Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Francesco d’Assisi

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Sequela

Signore,rendici capaci di vivere con amore la nostra vocazione,da veri innamorati della bellezza spirituale,rapiti dal profumo di Cristoche esala da una vita di conversione al bene,stabiliti non come schiavi sotto una legge,ma come uomini liberi guidati dalla grazia. Agostino d’Ippona

Preghiera del lucernario

O Dio che abiti una luce inaccessibiletu hai dato vita a ogni creaturaseparando la luce dalle tenebree ponendo il sole a dominio del giornoe la luna e le stelle a dominio della notte.Tu ci permetti ora di stare davanti a teper lodare il tuo Nomee per offrirti la lode della sera:ricevila come profumo di soave odore.Accordaci una notte di pace;rivestici delle tue armi di lucee liberaci dalle tenebre del male.Donaci il riposo, che ci hai concessocome ristoro alla nostra debolezza.Fa’ che anche durante questa nottec i ricordiamo del tuo santo Nome,e che ci leviamo nella luce dei tuoi comandamentiper dar gloria a te,che sei benedetto nei secoli dei secoli. Dalla Liturgia bizantina

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Tu non sei un dio del male

Ma tu non ami la mortetu sei venuto fra noiper mettere in fuga la morteper snidare e uccidere la morte.Anche a te la morte fa maleper questo sei amicodi ognuno segnato dal male:e ogni male tu vuoicondividere...Solo un abbaglio, o equivoco amaro – quando non sia stoltezza –fa dire di te che seila «divina Indifferenza». David Maria Turoldo

Suscipe

Prendi e ricevi, Signore,tutta la mia libertà,la mia memoria,la mia intelligenzae tutta la mia volontà.Tutto quello che ho e possiedo,me l’hai donato tu:a te, Signore, io lo rendo.Tutto è tuo,tu puoi dispornesecondo la tua piena volontà.Accordami il tuo amore e la tua grazia,sono abbastanza, per me. Ignazio di Loyola

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Ogni ricchezza che non sia Dio è miseria

Dammi te stesso, Dio mio,restituiscimi te stesso.Io ti amo.Se così è poco,rendi più forte il mio amore.Non posso misurareper sapere quanto manca al mio amoreperché basti a spinger la mia vitafra le tue bracciae a far sì che non si volga indietrofi nchè non si rifugial riparo del tuo volto.So questo soltanto:che tutto ciò che non è teper me è male,non solo al di fuori di me, ma anche in me stesso;e ogni mia ricchezza,se non è il mio Dioè miseria. Agostino d’Ippona

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Fa’ che io ami grazie alla Presenza

Mio Dio,donami il continuo sentore della tua presenza,della tua presenza in me e attorno a me...e, al tempo stesso, quell’amore carico di timoreche si prova in presenza di tutto ciòche si ama appassionatamente,e che fa sì che si rimangadavanti alla persona amata,senza poter staccare gli occhi da lei,con il desiderio grandee la volontàdi fare tutto quel che la compiaccia,tutto quel che è buono per lei;e con il grande timore di fare,dire o pensarequalcosa che le dispiaccia o la ferisca...In te, da te e per te.Amen. Charles de Foucauld

Restare uniti eternamente

Signore,dato che nessuno può desiderare per gli altrinulla di meglio di ciò che desidera per sé,non mi separare, te ne prego, dopo la mia morte,da quelli che ho teneramente amato sulla terra.Signore, ti chiedo che dove sarò io,anche loro siano con me:anche là io possa goderedi restare unito a loro,eternamente. Ambrogio di Milano

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Preghiera per i vivi

Salvaci, Signore, e abbi pietàdegli anziani e dei giovani,dei poveri,degli orfani e delle vedove,di coloro che sono malatie dei tuoi servi che sono nel dolore,nella disgrazia e nell’affl izione,in prigione,in detenzione,nella reclusione,e anzitutto di quelli che sono perseguitati a motivo del tuo Nome.Ricordati di loro,visitali,fortifi cali,dona loro la libertà e la liberazione.Salva, o Signore, e abbi pietàdi coloro che mi odiano,che mi offendono,che mi perseguitano,e non lasciare che si perdano a causa mia,di me che sono peccatore. Dalla Liturgia ortodossa

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Voglio amare come te

Signore mio Gesù,voglio amare tutti coloro che tu ami.Voglio amare con te la volontà del Padre.Non voglio che nulla separi il mio cuore dal tuo,che qualcosa sia nel mio cuoree non sia immerso nel tuo.Tutto quel che vuoi io lo voglio.Tutto quel che desideri io lo desidero.Dio mio,ti do il mio cuore,offrilo assieme al tuo a tuo Padre,come qualcosa che è tuoe che ti è possibile offrire,perché esso ti appartiene. Charles de Foucauld

Vergine degna di lode

Noi ti onoriamobenedetta Madre di Cristo.A te tributiamo il culto dovutoper il posto unico, ineffabile e umanoche tu hai avuto e hai tuttoranell’economia della salvezza.Vicino a te ci sembra di essere introdottinell’intimità di Gesùdi essere sorretti dal tuo incomparabile esempiodi fede, di carità di perfezione evangelicadi meglio capire in te il mistero della Chiesadi cui tu, Maria, sei il sublime modellodella fecondità dello Spirito Santo. Paolo VI

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Preghiera a Maria

Vergine e Madre Maria, tu che, mossa dallo Spirito, hai accolto il Verbo della vita nella profondità della tua umile fede, totalmente donata all’Eterno, aiutaci a dire il nostro sì nell’urgenza, più imperiosa che mai, di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.Tu, ricolma della presenza di Cristo, hai portato la gioia a Giovanni il Battista, facendolo esultare nel seno di sua madre. Tu, trasalendo di giubilo, hai cantato le meraviglie del Signore. Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce con una fede incrollabile, e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione, hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.Ottienici ora un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della vita che vince la morte. Dacci la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della bellezza che non si spegne.Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione, madre dell’amore, sposa delle nozze eterne, intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima, perché mai si rinchiuda e mai si fermi nella sua passione per instaurare il Regno.Stella della nuova evangelizzazione, aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione, del servizio, della fede ardente e generosa, della giustizia e dell’amore verso i poveri, perché la gioia del Vangelo

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giunga sino ai confi ni della terra e nessuna periferia sia priva della sua luce.Madre del Vangelo vivente, sorgente di gioia per i piccoli, prega per noi. Amen. Alleluia. Papa Francesco

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Indice

PRESENTAZIONE ......................................................................5

PRIMO RITIRO

La gioia del Vangelo ..........................................................9

SECONDO RITIRO

Una Chiesa in uscita .......................................................35

TERZO RITIRO

L’annuncio del Vangelo ...................................................65

QUARTO RITIRO

La dimensione sociale dell’evangelizzazione .................97

TESTIMONI ESEMPLARI

Oscar Arnulfo Romero ................................................131 Filippo Neri..................................................................139 Roger Schutz ...............................................................147 Giovanni Antonio Farina ............................................153

RACCOLTA DI PREGHIERE ......................................................159