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26 SULLE TRACCE DI ELSA MORANTE di Susanna Casoni Ai miei occhi è perfetta come te questa tua selvaggia gatta, ma come te ragazza e innamorata, che sempre cercavi, che senza pace qua e là t’aggiravi, che tutti dicevano: “È pazza”. È come te ragazza. UMBERTO SABA Ha ragione Marco Bardini, che è al momento il più accurato studioso di Elsa Morante, quando denuncia l’ormai imperante “mito pseudoromantico, gotico-barbarico (…) di un’inavvicinabile e imperscrutabile Morante-eremita, pazza visionaria e pitonessa (…): la santona”. 1 E a dargli ragione, nel rimettere l’intelletto al centro del discorso mostrando il solido progetto autoriale che sottende le opere di Elsa Morante e il suo inesausto confronto con i maggiori pensatori europei, non è qui il lettore appassionato della scrittrice, bensì il grafologo. Scrittura 1 1 M.BARDINI, Morante Elsa. Italiana. Di professione poeta, Pisa, Nistri-Lischi, 1999, pp. 21-22.

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SULLE TRACCE DI ELSA MORANTE

di Susanna Casoni

Ai miei occhi è perfettacome te questa tua selvaggia gatta,ma come te ragazzae innamorata, che sempre cercavi,che senza pace qua e là t’aggiravi,che tutti dicevano: “È pazza”.

È come te ragazza. UMBERTO SABA

Ha ragione Marco Bardini, che è al momento il più accurato studioso di Elsa Morante, quandodenuncia l’ormai imperante “mito pseudoromantico, gotico-barbarico (…) di un’inavvicinabile eimperscrutabile Morante-eremita, pazza visionaria e pitonessa (…): la santona”.1 E a dargli ragione,nel rimettere l’intelletto al centro del discorso mostrando il solido progetto autoriale che sottende leopere di Elsa Morante e il suo inesausto confronto con i maggiori pensatori europei, non è qui illettore appassionato della scrittrice, bensì il grafologo.

Scrittura 1

1 M.BARDINI, Morante Elsa. Italiana. Di professione poeta, Pisa, Nistri-Lischi, 1999, pp. 21-22.

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Come si vede in questa pagina di appunti – una delle tante che compaiono nei manoscritti diMenzogna e sortilegio2 -, siamo di fronte a una scrittura piccola, semplice, chiara e strutturata, daltratto vibrante, ineguale in dimensione, inclinazione, pressione, continuità e direzione, con spasmievanescenze e mazze, rovesciata, in ghirlanda, à rebours, crescente e decrescente, allargata conaddossamenti.

Scrittura che ci parla di una funzione Pensiero dominante e nettamente differenziata: si tratta quindidi qualcuno che si muove particolarmente bene nel campo delle idee, sa concentrarsi perapprofondirle, sa ordinarle, distinguerle, organizzarle, elaborarle.3

Da notare in particolare è l’architettura del bello spazio, dove le masse nere – tutte diversamenteconformate e variamente collocate – si stagliano sul fondo bianco balzando quasi in rilievo, comegli episodi e i personaggi dei suoi lunghissimi e labirintici romanzi sanno emergere via viaalternandosi su vari piani intercalati.

La curatrice dei manoscritti ci segnala, oltre tutto, quanto chiaro e rigoroso fosse il metodo di lavoroseguito dalla Morante, “un vero e proprio sistema codificato”, che va dall’accurata scelta deimateriali di scrittura, al modo di intervenire sul testo con correzioni e note, citazioni dediche epoesie, usando diversamente il verso dei fogli e i piatti anteriori e posteriori delle copertine deiquaderni.4

È poi davvero sorprendente il parallelo tra la descrizione che Jung dà del tipo di pensiero estroversoe le dichiarazioni di poetica messe a punto dalla Morante nel saggio Sul romanzo del 1959.Dice Jung che tale tipo, valutato interamente il bene e il male, il bello e il brutto attraverso la “suaformula intellettuale orientata verso l’oggetto”, vi assoggetta “anche il suo ambiente, per il suoproprio bene.(…)La morale del tipo di pensiero estroverso non gli concede di fare eccezioni. Il suo ideale deve inogni caso divenire realtà (…) una verità universalmente valida, indispensabile per il benedell’umanità”.5

Dice Elsa Morante che il “supremo impegno morale” del romanziere è di dare “intera una propriaimmagine dell’universo reale” attraverso la disinteressata interrogazione degli “oggetti”; ma “leloro verità, piuttosto che per se stessi, essi le scoprono per gli altri”, infatti il romanziere“rappresenta, nel mondo, la compiuta armonia della ragione e dell’immaginazione: (…) l’interventoche riscatta la città umana dai mostri dell’assurdo”.6

2 Per esplicita volontà della scrittrice, i suoi manoscritti sono stati donati dagli eredi nel 1989 alla Biblioteca NazionaleCentrale di Roma, dove sono conservati in un apposito Fondo. Ringrazio Carlo Cecchi che me ne ha generosamenteconsentito la visione e riproduzione.3 Cfr. A. MELE, I tipi psicologici junghiani. L’interazione delle funzioni in grafologia, CESGRAF, 2001.4 G. ZAGRA, I manoscritti di Elsa Morante alla Biblioteca Nazionale di Roma, in I manoscritti di Elsa Morante e altriscritti, (BVE quaderni, n.3), Roma, BNCR, 1995, pp.1-5. Cfr. anche G. ZAGRA e S. BUTTO’ (a cura di), Le stanze diElsa. Dentro la scrittura di Elsa Morante, Catalogo della mostra 27 aprile-3 giugno 2006 alla Biblioteca Nazionale diRoma, Roma, Editore Colombo, 2006.5 C.G. JUNG, Tipi psicologici, Torino, Boringhieri, 1984, p. 378.6 E. MORANTE, Sul romanzo, in Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, in Opere, vol.II, I Meridiani, Milano,Mondadori, 1990, pp. 1498-1515.

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Scrittura 2Se poi applichiamo alla grafia la chiave di lettura freudiana, ci accorgiamo d’esser di fronte a untipo di pensiero che tende ad abusare di se stesso, cioè ad un pensiero tendenzialmente ossessivo,‘assediante’.

Ciò si vede ancor più chiaramente nel secondo esemplare di scrittura, una lettera a Umberto Sabadel 1956. Qui l’incremento delle ineguaglianze in pressione e direzione, in aggiunta alle correzionie ai ritocchi, rende l’insieme assai più perturbato. Soprattutto la tenuta di riga, dove la continuacaduta di lettere sembra rappresentare un piede a cui manchi il suolo nel camminare, denota unlivello altissimo di ansia che sconfina in vera e propria angoscia. In questo contesto dal trattoingorgato della fase anale, già da solo il gesto arrotolato che scancella fittamente le parole dacorreggere – gesto tipico nei manoscritti morantiani – è emblematico di un pensiero che siarrovella, che gira e rigira inchiodato a una macina dal cui moto circolare non riesce a staccarsi.7

È certo che comportamenti in senso lato ‘maniacali’ non mancano in Elsa Morante; basterebbecitare il suo ossessivo terrore degli errori di stampa che nutre una vasta aneddotica: di lei SandroPenna diceva che “per una virgola sarebbe capace di prendere l’aereo con la nebbia”.8 Assai piùimportante è che i tratti tipici che costellano il mondo dell’ossessivo – l’ambivalenzasottomissione/dominazione, il senso di colpa e, soprattutto, l’angoscia di morte, sono imperanti neisuoi diari e nelle sue opere.

Ma nel cammino poetico di Elsa Morante, propongo di leggere questi tratti non tanto –riduttivisticamente – come matrice patologica da sublimare, quanto – prospetticamente – comeaspetti psicologici di un destino personale da assumere con consapevolezza su di sé perraggiungere l’autenticità, e da oltrepassare poi per aprirsi alla dimensione ultraindividuale dellamissione poetica.C’è una caratteristica, però, considerata da Freud tipica dell’ossessivo, che in nessun modoappartiene al mondo morantiano, ed è il distacco dell’affetto dalle proprie rappresentazioni tramiteil meccanismo difensivo dell’isolamento. Se c’è una cosa che, al contrario, caratterizza la Morante,è la sua estrema passionalità: tutto è sempre vissuto come questione di vita o di morte.E per comprendere da un punto di vista grafologico questo perpetuo febbrile tormento dobbiamo, aquesto punto, accostarci allo studio del tratto, l’elemento considerato più costituzionale, innato nelgrafismo.9

7 Cfr. M.T.BOURA, La nevrosi ossessiva, in “Grafologia e sue applicazioni”, n.18, aprile 2002. Cfr. anche A. MELE, Idiversi aspetti dell’ambivalenza nelle fasi freudiane, CESGRAF.8 M. BARDINI, op.cit., p. 80n.9 A. MELE, Il tratto in grafologia: incontro fra natura e cultura, CESGRAF, 2002.

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L’ago è rovente, la tela è fumo, dice un verso della poesia Alla Favola che introduce il suo primoromanzo.10 E ‘rovente’ è davvero questo ‘ago’ che trapunta la tela del foglio. Nella scrittura di ElsaMorante troviamo, infatti, uno dei rari esempi di quel tratto vibrato interiorizzato che nella suaconduzione “non si impunta in scossoni e scatti, né si strappa in lacerazioni, ma è percorso da unfremito, quasi un filo elettrico che lo attraversa: indica una fortissima sensibilità, dolente econtenuta. La persona vibra profondamente dentro di sé. Per non rischiare accumuli cheporterebbero gravi nevrosi, la persona dovrebbe poter traslare le sue emozioni in forme dicreatività.”11

Propongo di provare a penetrare nella vita di questo filo grafico così particolare partendo dalpresupposto originario di Walter Hegar che, nel suo studio analitico del tratto, muove da unparagone molto concreto tra il foglio di carta e gli oggetti della vita quotidiana. Avremo così trattoappoggiato in chi percepisce il foglio come oggetto dotato di una propria resistenza che suscita inlui desiderio di opposizione e dominio; e tratto leggero in chi arriva alla percezione passandoattraverso la mediazione del suo mondo interiore. E ancora: tratto dai bordi aperti in chi percepisceil foglio come oggetto con cui stabilire il più largo contatto per ben compenetrarvisi; bordi invecerinserrati in chi desidera mantenere la più ampia autonomia rispetto alla materia che va acontattare. Il tratto sarà curvo se lo scrivente percepisce il foglio come impalpabile e indefinitaestensione bianca che liberi l’immaginazione e sia agevole assecondare con linee sinuose; saràinvece dritto il tratto di chi, piuttosto che dire di sì alle possibilità dell’indefinito, desideracontrastarlo con un proprio determinato progetto. Rapido sarà il tratto di colui che vede nel fogliosolo una strada liscia a sua disposizione per arrivare quanto prima alla meta; lento in chi sente ilsuo cammino ostacolato dalla pesante materialità della carta.

Particolare ingrandito della scrittura 1

Se ora mettiamo Elsa Morante di fronte al tanto da lei frequentato foglio in questione, vediamo chel’estrema leggerezza del suo tratto ci parla di un approccio alla realtà mediato dal mondo intimo ela prevalente nettezza ci comunica il desiderio di difendersi dagli influssi esterni; ma di fronte allacurvilineità dobbiamo scendere più nel dettaglio. Perchè anche quando nella macrostruttura il filografico appare curvo, nella sua microstruttura risulta in realtà costituito da una minuscolasuccessione di tratti curvi e dritti.Dunque, un po’ come accade nel tremito, che è anche una formazione di compromesso tra ildesiderio di muoversi e quello di stare fermi, ci troviamo qui di fronte a una vera e propriaambivalenza, a un rapporto con la realtà in cui i no e i sì si alternano continuamente, generandouna perpetua febbrile tensione che è già, per sua natura, potenzialmente creativa. Fra l’altro, questasuccessione di curve e minuscoli segmenti rallenta il decorso del tratto stesso e lascia intuirequanto ostacolato sia percepito il cammino nonostante la voglia di andare.

La nostra scrittrice aveva una sua particolare teoria dei personaggi, di cui si vantava come di unascoperta durante la sua prima giovinezza. Considerava questa teoria utile per affrontare “quello cheè il più grave problema di ciascun uomo: e cioè il problema dei suoi rapporti con la realtà”. Sidanno, secondo lei, tre tipi fondamentali di personaggi:

10 E. MORANTE, Menzogna e sortilegio, in Opere, vol.I, I Meridiani, Milano, Mondatori, 1989, p.5.11 A.MELE, Il tratto…cit, p. 18.

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1) il Pelide Achille, ovvero il Greco dell’età felice. A lui la realtà appare vivace, fresca,nuova e assolutamente naturale;

2) don Chisciotte. La realtà non lo soddisfa e gli ispira ripugnanza, e lui cerca salvezza nellafinzione;

3) Amleto. Anche a lui la realtà ispira ripugnanza, ma non trova salvezza, e alla fine scegliedi non essere.12

E fin da giovanissima la Morante è consapevole di appartenere al gruppo dei don Chisciotte, dicoloro cioè che, provando repulsione per una realtà insoddisfacente, non si arrendono ad essa, matendono con tutte le loro forze a ricrearla, cercando ‘salvezza’ – non fuga o evasione, ma salvezza– nella ‘finzione’. Sapendo questo, è forse permesso al grafologo rilevare, fra i possibili sensi diquesto tratto, il duplice moto ambivalente della ripulsa sdegnosa e netta e della reinvenzionefantastica di una Morante-don Chisciotte. Tenendo presente tutta l’intima urgenza contenuta erappresa nel gesto, poiché è della ‘salvezza’ che si va in cerca. “Questo è il compito dato da Dio aipoeti quel sabato in cui Egli finita la creazione si riposò – Io ho creato il mondo – disse – voidovete far sì che esso sia giovane e nuovo per gli uomini in eterno.”13 Elsa Morante tenevamoltissimo alla precocità della sua vocazione letteraria, tanto da lasciare persino il sospettosull’autenticità di certe date da lei diffuse. La considerava tanto importante perché in “un autoreprecoce (…) è quasi innata l’identificazione della poesia con la realtà”.14 E, prendendo per buonele considerazioni svolte sin qui sul tratto come DNA dello scrivente, il grafologo deve in qualchemisura darle ragione: il ‘vibrato interiorizzato’ della grafia morantiana, con la sua ambivalenza frasegmenti e curve, fra repulsa e reinvenzione, secondo una modalità del tipo ‘no-sì, no-sì, miripugni-ti reinvento, mi ripugni-ti reinvento’, porta già inscritti in sé gli sviluppi creativi chesegneranno il destino della sua autrice.

È con queste premesse che propongo ora un breve viaggio tra diari, opere e scritture di ElsaMorante sulle tracce della sua febbrile ossessione poetica.

12 E. MORANTE, I personaggi, in Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, in Opere, vol.II, p.1467-8 RaccontaMoravia in un’intervista del 1986 per “Le Figaro littéraire”: “Nous avions deux tempéraments très différents. Elle medisait que j’étais un mélange d’Achille et d’Hamlet, et qu’elle était don Quichotte ou Mme Bovary”. (Avevamo duetemperamenti molto diversi. Mi diceva che ero un misto di Achille e di Amleto, mentre lei era don Chisciotte o laBovary). Citato in M. BARDINI, op.cit., 120n.13 Appunto manoscritto in Menzogna e sortilegio riportato in G. ZAGRA, op.cit., p. 4.14 Dalle note di sovraccoperta – stese dall’autrice – per Lo scialle Andaluso nel 1963, in M. BARDINI, op.cit., p.573.

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Nacqui nell’ora amara / del meriggio, nel segno del Leone, / un giorno di festacristiana,15domenica 18 agosto1912, a Roma, da Irma Poggibonsi, ebrea emiliana di Modena,maestra elementare, e da Francesco Lo Monaco, siciliano, padre naturale anche dei suoi quattrofratelli, mentre il padre anagrafico, Augusto Morante, è istitutore in un riformatorio per minorenni.All’età di sei anni viene ospitata per qualche tempo dalla madrina “che aveva per sua sortefavolosa sposato un conte ricchissimo (…) E così, durante la mia infanzia, io ho frequentatougualmente bambini traviati, bambini poveri e bambini patrizi.”

In tal modo, con appassionata ironia descrive nel 1939 dalle colonne di “Oggi” il suo ambivalenteteatro intimo: “l’anima mia era una cosa grossa e nera, piena di occhi curiosi e di tortuosi, cupivicoli. Era un mostro ipocrita e spietato. Anzitutto, mentre gli altri mi credevano piccola, erogrande; ma la piccola servilmente fingeva per lusingare la grande. Questa era gonfia diconvenzioni e di strani pregiudizi, possedeva un’Idea, e si contorceva in una Ribellione”.16

Cresce autodidatta, senza frequentare le elementari, scrivendo fiabe e poesie che dai 13 anni di etàcomincia a pubblicare con sue illustrazioni su “Il Corriere dei piccoli”e altri giornalini. Sulle ormedel suo amatissimo Rimbaud, a 18 anni, finito il liceo, lasciò per sempre la sua famiglia.

Così riassume Barbato: “per molto tempo ebbe un vestito solo, bianco e rosso, leggero (…) anched’inverno, rabbrividendo. Progettava viaggi, sperava (…) un’avventura continua, un destinomaledetto ma fantastico. E invece si consumava in compagnie mediocri, in sere svogliate nelletrattorie di quart’ordine (…) insonne, ossessionata, infelice. Finchè incontrò Moravia, e nel 1941 losposò.”17 Incontrò Moravia nel novembre 1936 tramite il pittore Capogrossi, nipote di padreTacchi Venturi – il gesuita che negoziò il Concordato con Mussolini – che era allora il confessoredella religiosissima Elsa. Una sera, dopo una cena fra amici, Elsa gli mette in mano le propriechiavi di casa; gesto ambivalente quanto mai: apparentemente una resa totale, ma ancheun’ingiunzione; e Moravia non glielo perdonerà mai: “Elsa ha voluto essere la mia sposa, con unacerta violenza da parte sua”18 “Non ero innamorato, ma affascinato da qualcosa di estremo, distraziante, di passionale che c’era nel suo carattere (…) Diciamo la verità, io non provavo unviolento desiderio per lei.”

Risale a questo periodo uno straordinario documento intimo della Morante lettrice di Freud, il“diario dantesco, tra la veglia e il sonno”19 Lettere a Antonio, dove Antonio è un suo alter-ego.A dominare in queste pagine febbrili e tormentate, che, fra l’altro, contengono dei veri pezzi daantologia – come il sogno con Greta Garbo in visita al Marchese de Sade o quello della morte diKafka con addosso il vestito a fiori rossi di lei -, a dominare è, appunto, l’angoscia di morte e,accanto a una sessualità vissuta come colpevole ignominia (“Sogni erotici (…) Niente mi dà ilsenso della morte come il mio spirito schiavo per ore e ore di questi piccoli divertimenti osceni.”),appaiono evidenti i connotati sadomasochistici del rapporto con Moravia.

Il 19 gennaio 1938: “A. è infatti uno snob e io vorrei soddisfare con la mia persona il suosnobismo, avendo per esempio un’alta posizione sociale o essendo illustre. Niente di tutto questoè”. E un mese dopo: “A. mi ama solo quando fuggo ma io non posso farlo non ho denari. Lui è

15 E. MORANTE, Alibi, in Opere, vol. I, p. 1390.16 Citato nella pregevolissima Cronologia, a cura di Carlo Cecchi e Cesare Garbali, tutta ricostruita con brani dellastessa Morante, che apre il I volume delle Opere nei Meridiani Mondatori. D’ora innanzi Cron., pp. XX e XXII.17 Citato in M. BARDINI, op.cit., p. 571.18 A. MORAVIA, Amore e morte, in J-N. SCHIFANO e T. NOTARBARTOLO (a cura di), Cahiers Elsa Morante,Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993,p. 65.19 Cron., p. XXX.

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celebre e ricco fra pochi giorni va a Parigi (…) per il suo trionfo attuale e io? Una solitudinespaventosa, precipito.(…) Mi fa paura la vecchiaia la morte.”20

Segnalata da Giacomo Debenedetti pubblica fin dal ’37 dei racconti e nel ’41 la raccolta Il giocosegreto. Nell’estate ’44, al ritorno dalla Ciociaria dove si era rifugiata con Moravia dopo l’8settembre, comincia la stesura definitiva del suo primo romanzo.

Nelle oltre ottocento pagine di Menzogna e sortilegio, in una imprecisata Sicilia di fine ‘800, lagiovane Elisa, io-narrante, dopo la prematura morte dei suoi, è spinta a raccontarne la tormentatastoria, a cominciare dalla nonna Cesira, orgogliosa e povera maestra che per rivalsa sociale sposaun nobile decaduto. Dall’infelice matrimonio nasce Anna, bella fiera e indifferente madredell’adorante Elisa. Fin da piccola Anna si innamora follemente del bellissimo conte suo cugino, losdegnosamente tirannico Edoardo, ma per sopravvivere acconsente a sposare il povero butterato einnamoratissimo Francesco che morirà alla fine del libro in un incidente, dopo anni di sofferenzeinflittegli dalla sprezzante moglie.Ma lo snodo principale della vicenda si ha dopo che il seducente Edoardo muore per mal sottile eAnna, non potendosi rassegnare, passa folli notti a scrivere a se stessa lettere appassionate chefinge di ricevere dal cugino. “L’io-recitante di Menzogna e sortilegio s’incammina verso lanecropoli del proprio mito familiare: pari a un archeologo che parte verso una città leggendaria,per disseppellire, alla fine, solo delle povere macerie.”21

Pubblicato nel 1948 da Einaudi grazie a Natalia Ginzburg, non ebbe successo. I critici -si era inpieno neorealismo- ne dettero due letture assolutamente opposte: una fiabesca e fantastica, l’altra,sulle orme del marxista Lukàcs, di realismo critico sociale.

Prendendo le distanze da entrambe, Carlo Sgorlon sottolinea, invece, la compresenza continua deidue punti di vista: “Il sentimento di rifiuto e di disgusto e quello di equivoca attrazione si alternanocontinuamente nel romanzo e generano la sua fondamentale ambiguità.”22 Così, l’ambivalenzarilevata dal grafologo è qui direttamente trasfusa nell’abile gioco della narratrice, ed è ciò che, amio avviso, rende questo ottocentesco romanzo così moderno.

Quanto al tema sottomissione/dominazione, fin dal riassunto della trama balza agli occhi comel’amore nella Morante non sia mai “un rapporto libero tra pari. È sempre un rapporto tra schiavo epadrona, e viceversa.”23 Altre suggestioni ci provengono poi dalla junghiana Von Franz, quandodescrive l’irrompere, nei tipi Pensiero, del Sentimento “barbaro e assoluto”, funzione inferiore,cioè inconscia e non sviluppata, che può perciò “improvvisamente sfociare in episodi di fanatismodistruttivo.”24

Potremmo quindi vedere in Elsa Morante l’espressione della propria funzione inferiore nell’artenarrativa come via maestra al processo di individuazione.

20 E. MORANTE, Lettere a Antonio, in Opere, vol. II, pp. 1580 e 1604.21 Dalla quarta di copertina – per mano dell’autrice – dell’edizione del 1975, in Cron., p. LVI.22 C. SGORLON, Invito alla lettura di Elsa Morante, Milano, Mursia, 1972, p. 45.23 E. e C. SGORLON, Profilo di Elsa Morante, in J.-N. SCHIFANO e T. NOTARBARTOLO, op.cit., p. 19.24 M.-L. VON FRANZ, Tipologia psicologica, Como, Red Edizioni, 1988, p. 72.

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Scrittura 3Fra i quaranta quaderni manoscritti, troviamo poi questa pagina di scrittura illustrata che contieneuna prodigiosa summa dei temi morantiani. E: che bello spazio dobbiamo anche qui rilevare!Niente si intrica e tutto è perfettamente leggibile: testi scritti e disegni si intercalano, come su pianidiversi, a commentarsi reciprocamente, resi ancor più espressivi dal tremolio del tratto vibrato. Eancora è da notare l’ossessiva ripetizione dei temi che si aggirano dentro le mura del foglio,richiamandosi da un angolo all’altro, come dentro l’assediata psiche della loro autrice. Seguendo leindicazioni sulla scrittura illustrata di Gille Maisani – “il disegno è un test proiettivo”25 – ciavventuriamo quindi nell’analisi dei tanti temi che affollano la pagina.

25 J..C. GILLE MAISANI, Psicologia della scrittura, Napoli, Liguori, 1990, p. 131.

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I gatti, innanzitutto. Tema tutt’altro che peregrino e tutto da indagare, presenza costante nellestanze, nelle foto, nelle amicizie, nei romanzi, nelle poesie – ben tre – dedicati all’animale. Nelsimbolismo romano e celtico, spesso associato alle potenze delle tenebre, il gatto gode cattivafama, mentre in India, in Cina, in Egitto è presenza benefica e protettrice dell’uomo; per lopsicologo poi è “l’animale femmina per eccellenza”, animale della notte, radicato, quindi, “nel latooscuro e indecifrabile dell’esistenza”.26

E per Elsa Morante? Gli animali in genere, ancora partecipi delle delizie del Paradiso terrestre nonavendo mangiato il frutto della conoscenza, rappresentano l’unica consolazione dell’uomo con laloro compagnia: “uno sguardo vivente che ci dichiari l’amicizia più tenera, senza nessuna ombra digiudizio! (…) Non dovrete temere le apparizioni delle rughe sulla vostra faccia: la bruttezza, lamalattia e la vecchiaia non sono vizi ripugnanti per lui.”27

“Posso dire che, fino ad oggi, io sono arrivata a conquistare una sola verità assoluta: gli animalisono gli angeli. E fra questi angeli, gli arcangeli, le fate, sono i gatti siamesi.”28Mediatori fra ilmondo del conscio e le radici profonde della psiche, gli animali “sono i messaggeri deglidei”29.Come dice ancora la Von Franz, “Il legame che la funzione inferiore stabilisce con il regnodella natura animale all’interno dell’individuo è sorprendentemente profondo”.30 Sull’onda di tuttequeste suggestioni, scopriamo che davvero ampio è il ventaglio di significati che i gatti – ma anchealtri animali – aprono nel mondo morantiano. E tutti passano dal canale della funzione inferioreSentimento e da quello di una Sensazione anch’essa perturbante: si va dalla fisicità del contatto cheapre alla tenerezza e alla vita affettiva, alla sensazione domestica e rassicurante di godere unrapporto privilegiato con agenti profondi e inquietanti, fino a percezioni più sottili e spirituali cheallargano l’Io verso dimensioni mistiche e stati di coscienza più ampi.

Ritornando alla densa pagina della figura 3, riconosciamo subito negli sdegnosi volti di donna, chesi rispecchiano in diagonale da un angolo all’altro, dei veri e propri autoritratti. Dobbiamo alloraconfrontarci con il tema del narcisismo, tema ineludibile parlando di Elsa Morante, tanto più chebuona parte della critica letteraria ha risolto il problema dell’esegesi delle sue difficili opere,considerandole tout-court frutto di un irrisolto complesso narcisistico. Qui il grafologo può forsedire qualcosa. Alienato nell’identificazione con un’immagine idealizzata di sé che fa da schermofra la sua persona e il mondo, impedendo rapporti autentici con gli altri, il moderno Narciso ha ingenere scrittura orale con zona media – quella dell’Io – nettamente preponderante, dalle grandilettere gonfie che inglobano lo spazio, arrotolate per concentrare la libido su di sé, con conchiglie elacci per catturare le attenzioni, ornate, con maiuscole importanti per abbellirsi agli occhi altrui,mostrando al tempo stesso soddisfazione dell’apparenza e ricerca.31 Niente di tutto ciò troviamonella piccola, semplice scrittura in questione. Al contrario, evanescenze, spasmi, segni d’ansia erovesciamenti indicano che siamo in presenza di un narcisismo sofferente.

Narcisismo: è questa la ragione per cui mi delizio tanto di esporre il mio corpo al sole?Probabilmente, sì, la ragione è questa: giacchè, se fossi brutta, non avrei più desiderio difarlo.(…) Fu mai proprio bella, la E.M.? No, mai. Aveva i denti troppo separati unodall’altro (segno di fortuna, dicevano le donne), e la fronte troppo alta, e le unghie di unaforma non perfetta. Queste erano le sue amarezze, fin da bambina, ma gli altri, nonostante

26 H. BIEDERMANN, Enciclopedia dei simboli, Milano, Garzanti, 1999, pp. 215-6. Cfr. anche J. CHEVALIER e A.GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, Milano, Rizzoli, 1997.27 E. MORANTE, Il Paradiso terrestre. Il vero re degli animali, in Pro o contro… cit., pp. 1475-6.28 Cron., p. LX.29 N. RUSSACK, Animali guida. Nella vita, nel mito, nel sogno, Bergamo, Moretti & Vitali, 2003, p.22.30 M.-L. VON FRANZ, op.cit., p. 98.31 Cfr. H. MATHIEU, Narcisse et le narcissisme, in “La Graphologie”, n. 214, aprile 1994; M.T. BOURA, IlNarcisismo, in “Grafologia e sue applicazioni”, n.5, marzo 1998; A. DONDERO - M. REDAELLI, Narcisismo,egocentrismo, megalomania, CESGRAF,2003.

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questi difetti, la giudicavano graziosa e bella. Di più, essa voleva essere un grande poeta. Etutto questo perché? Per essere molto amata. Nessuno l’amò mai.32

Due settimane dopo la pubblicazione della sua teoria dei personaggi, Elsa Morante mette a puntouna parallela teoria dei ‘tre Narcisi’, secondo cui si ha:

ANGELO, OSSIA NARCISO FELICE Angelo piace a se stesso, e non dubita di piacere agli altri. Il suo prossimo non è per lui che

uno specchio (…)SAVERIO, OSSIA NARCISO FURIOSO

Saverio piace a se stesso, non dubita di essere bello e affascinante, né di essere un genio;ma alla continua domanda del suo cuore ansioso, il prossimo risponde: “No, carosignore.(…) tu non sei bello, non sei affascinante, non sei un genio. Il Tal e il Talaltro, sì, losono, a tuo dispetto. Ma tu, no.” (…) Lo studio appassionato (…) delle vicende altrui, nonha per lui altro fine (…) che di convincerlo dell’altrui nullità e del proprio valore. Da ciònascono il suo disprezzo e il suo odio verso gli altri, e la sua feroce aggressività (…)

LUDOVICA, OSSIA NARCISO INFELICE(…) Ella non piace a se stessa, si giudica brutta, sgradevole, ignorante, e non dubita cheanche gli altri siano della sua stessa opinione.(…)

Come don Chisciotte, la Morante è, naturalmente, un ‘Narciso furioso’, ma è anche il poeta chericerca il proprio Doppio nel riflesso dello specchio (“O Riflesso, o amante caro e infido! In teconosco il viso fraterno del cangiante mio desiderio.” 33). Sappiamo che la scrittrice ben conoscevaIl Doppio di Otto Rank, il discepolo di Freud che con più convinzione ha applicato le teorie delmaestro sulla sessualità alla personalità creativa. Secondo Rank, artisti e scrittori ricorrono sempre,nei momenti di maggior inquietudine, al motivo del ‘doppio’, non solo per superare il loroirresolubile narcisismo, “ma soprattutto per darsi una dimensione genitiva; per assicurare (…) laloro preservazione contro l’estinzione, e per allontanare proiettivamente in un’otticasovraindividuale il disagio causato dalla loro ‘perdita d’identità’, dalla loro insostenibile ‘angosciadi morte’”.34 Infatti, Menzogna e sortilegio nasce anche dall’elaborazione della sempre presenteangoscia di morte, ora stimolata pure dalla notizia del suicidio del padre naturale, avvenuta nel1943. Vale la pena, a questo punto, leggere il testo della nostra scrittura 1 :“Il libro volge alla fine(se, Dio volendo, sarà mai finito) e comincia l’agonia di E.M., che avrà fine il giorno in cui fra lapaura della morte e la paura della vita, vincerà quest’ultima. Senz’altra ragione che la paura”.Paura che il grafologo può rilevare, oltre che nella generale costrizione del gesto, nelrovesciamento: l’io si fa piccolo e recalcitra di fronte a una realtà oscura e sormontante, senzafuturo possibile. È da notare che il rovesciamento è sempre, in tutti i testi, molto più accentuatonella E maiuscola, che è per la Morante l’iniziale del suo nome e, come tale, in qualche modo una‘lettera affettiva’, e tenera, infantile ne è la forma: come due piccole insenature che si ritraggono difronte alle ondate minacciose di uno sconfinato oceano.

Una profonda e violenta crisi caratterizza, per Elsa Morante, gli anni del dopoguerra, con plateali econtinue minacce di suicidio. Tra il ’47 e il ’48, assumerà anche massicce dosi di anfetamine, intale quantità che, secondo Moravia, ne fu “completamente distrutta”.35 Le anfetamine spiegano, tral’altro, agli occhi del grafologo, le frequentissime vere e proprie isole di evanescenza –nonriproducibili qui- che caratterizzano i manoscritti di Menzogna e sortilegio. Dalle pagine di diariodel febbraio ’45: “O Signore, dammi un segno favorevole – non tutti contrari altrimenti crederò

32 Da pagine di diario del 1952, in Cron., pp. LXI-II.33 Dal quaderno Narciso (Versi poesie e altre cose molte delle quali rifiutate) tenuto dalla Morante tra il ’43 e il ’45,ora in parte pubblicato da Garboli in appendice a E. MORANTE, Alibi, Torino , Einaudi, 2004, p. 77.34 M. BARDINI, op.cit., p. 131.35 Ivi, p. 274n.

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che tu stesso voglia quella cosa (…) è una notte fonda senza via d’uscita.”36 La ‘via d’uscita’, nelsuo caso, è, in realtà, la creazione letteraria: nel quaderno XV Elsa Morante rielabora la frase diFlaubert ‘Après tout, le travail c’est ancore le meilleur moyen d’escamoter la vie’ (Dopo tutto, illavoro è ancora il modo migliore di eludere la vita): “le seul moyen c’est travailler / e cioè unacondanna per fuggire l’orribile privilegio (dell’angoscia)”37

Ma la nostra pagina di scrittura illustrata (scr. 3) ci riserva altre sorprese. Se poniamo lo sguardosul margine destro in basso, in luogo della firma, leggiamo in lettere greche εαυτοντιµορουµενος, cioè il ‘punitore di se stesso’, topos letterario fra i più frequentati eineludibile per la tormentata Morante. E il grafologo potrà rilevare che in una personalità comequella della scrittrice, sempre minacciata dall’angoscia di morte, l’autopunizione passa soprattuttoattraverso il senso di colpa. Nella sua scrittura troviamo rappresentati tutti gli indici – tranne loSpazio – che compongono la sindrome grafica del complesso di colpa: “un Movimento pocopropulsivo, con un’Inclinazione spesso rovesciata, una Direzione quasi sempre regressiva; unaForma poco appariscente, seppur curata, quasi sempre schiacciata e tormentata; (…) una Pressionedalle sensibili sfumature – di solito con cunei, spasmi di vario tipo, spostamenti, annerimenti. LaDimensione è quasi sempre piccola e fortemente disuguale, ristretta, con prolungamenti in alto;frequenti ed importanti sono i gesti di inibizione nella Continuità; la Velocità è spesso lenta,contratta, trattenuta. Gli indici di Costrizione prevalgono su quelli di Liberazione”38

Il 20 settembre 1952 affida alle pagine di diario: “La mia colpa: non saper comunicare con gli altri,non capirli, non amarli abbastanza. La mia colpa: non essere mai amata. La mia colpa: non avereamici; non essere felice.(…) chi non è amato, e non ha amici, e non è felice, è certamente di unaqualità meschina, che un giorno si scoprirà.”39

Nella primavera del ’52 comincia a scrivere L’isola di Arturo. Gli anni che separano i due primiromanzi sono anni di grandi letture scientifiche, psicologiche, marxiste e positiviste, a testimoniare“un continuo lavoro della ragione che combatte per attenuare la pressione urgentedell’irrazionalismo”40che aveva prodotto Menzogna e sortilegio. Scrive nell’estate 1952 in undiario dall’Engadina: “Quando imparerò il distacco da se stessi, raccontarsi senza quellapartecipazione affannosa; la misura, la cronaca? ”41 L’isola di Arturo nasce anchedall’elaborazione del suo –davvero impossibile- innamoramento per Luchino Visconti; tratti delregista andranno poi a delineare il più sofisticato personaggio dell’opera, Wilhelm, il padre diArturo. “Quest’ultimo amore impossibile, doloroso e pazzo, oramai vedo è proprio finito. Dal 1949fino a oggi ho sempre avuto quel viso nella mente, a sbarrarmi ogni altro pensiero.”42 L’isola diArturo esce da Einuadi nel ’57 e vince il premio Strega. Questa volta il successo è assai vasto.Romanzo di formazione, racconta l’iniziazione alla vita dell’eroe-ragazzo Arturo, io-narrante,(Enzo Siciliano vi ha felicemente visto una sorta di biografia ‘mediterranea’ di Arthur Rimbaud),che trascorre, orfano di madre, una mitica fanciullezza nell’isola di Procida, in assoluta libertà e intotale adorazione dell’indifferente e inafferrabile padre, inquieto girovago. Primo rito di passaggioè il rapporto di furioso amore incestuoso per Nunziatina, la ragazza napoletana che Wilhelmimprovvisamente sposa. Ma lei lo rifiuta con orrore pur contraccambiandolo. Secondosconvolgente passaggio è la scoperta dell’omosessualità paterna, e la scelta –divenuta inevitabile-

36 Cron., p. XLIX.37 Riportato in M. BARDINI, op.cit., p. 279.38 A.DONDERO–M.REDAELLI, I complessi di colpa ed inferiorità. Modi dell’io inconfortevole,CESGRAF,2002, p.5.39 Cron., p. LXIV.40 Ivi, p. 14.41 Cron., pp. LIX-LX.42 Ivi, p. LXIII.

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di lasciare l’isola per andare a combattere in guerra. Riporto parte della pagina finale delmanoscritto, dove compaiono i versi che saranno poi posti come dedica all’inizio del romanzo.

Scrittura 4

Dove c’è da notare la particolare costrizione del gesto e una non comune compattezza (ma lapagina finale di un suo romanzo è, forzatamente, per la Morante, un momento ‘non comune’).Quanto ai piccoli segni, è qui molto evidente il maggior rovesciamento della E maiuscola di cuiparlavo prima; e vorrei ancora segnalare la ‘o’ lunare, ultima lettera del testo, assai spesso presentenei manoscritti (per esempio, nella prima colonna della scrittura 1). Colo e Pinon dicono chequesto gesto può essere associato

à une nostalgie de l’harmonie antérieure, celle de la relation fusionnelle du début de la vie,qui maintient l’illusion de toute-puissance qui s’y rattache (...) De là un centrage sur soi,une force qui semble se nourrir d’elle-meme, une économie de contacts avec l’extérieur,voire une négation de ce dernier (...) Manière de se consoler des déceptions de l’existenceen recréant un monde imaginaire, virtuel, où tout semble possible. (a una nostalgia dell’armonia anteriore, quella della relazione fusionale dell’inizio dellavita, che mantiene l’illusione di onnipotenza connessavi (…) Da qui una focalizzazione sudi sé, una forza che sembra nutrirsi di se stessa, un’economia di contatti col mondo esterno,se non addirittura una negazione di quest’ultimo (…) Maniera di consolarsi delle delusionidell’esistenza ricreando un mondo immaginario, virtuale, dove tutto sembra possibile.)43

Se è vero che la scuola francese guarda con molto sospetto alla grafologia del piccolo segno, direiche, in questo caso, possiamo fare un’eccezione, dal momento che così tanta parte dell’universomorantiano giace racchiusa in quel piccolo cerchio. Quella, che tu credevi un piccolo punto dellaterra,/ fu tutto.(…) Il tuo primo amore non sarà mai violato.44

L’Eden perduto e la relazione fusionale che lo caratterizza ci mettono in contatto con il tema piùcentrale in Elsa Morante, già prefigurato al centro –non è un caso- della pagina di scritturaillustrata presentata come figura 3: il tema della maternità. Inquietante immagine di ibrido, questagattesca maternità si presenta anche, nello stupore e nell’innocenza del volto, comeun’Annunciazione. La sacralità e una sorta di ibridazione sono, appunto, i caratteri principali diquesto tema nella Morante. È soprattutto Cesare Garboli a vedere “Al centro del rito, il temaandrogino, ermafrodito, che attraversa in chiave materna tutta la letteratura (e non solo laletteratura) della Morante; tema apertamente dichiarato in Alibi: il viluppo carnale di madre efiglio, inseparabili, stretti in una creatura sola.”45 Riguardo al personaggio della semplice e

43 C. COLO – J. PINON, Traité de graphologie. Dynamique del’écriture, Paris, Expansion Scientifique Française,2002, p. 157.44 E. MORANTE, L’isola…cit., p. 947.45 C. GARBOLI, Il gioco segreto. Nove immagini di Elsa Morante,Milano, Adelphi, p. 36. Per Garboli, Alibi, la poesiache chiude l’omonima raccolta del 1958, “ci invita ad assistere al ritrovamento di sé, alla proiezione di sé in un

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primitiva Nunziatina, la Morante confessa che in lei: “io ho voluto descrivere quella che per me èla donna ideale. Se fossi uomo non potrei innamorarmi che di una donna simile a lei. Difatti(all’opposto di Weininger che distingue le donne in due tipi: la prostituta e la madre, e sceglie laprima) io penso che una donna tanto più è bella quanto più è materna.” Quanto all’altra metà delladiade, il fanciullo figlio, la Morante racconta in vari luoghi che, scrivendo le memorie di Arturo,realizzava un suo vecchio sogno: “Ho sempre desiderato di essere un ragazzo, e ancora adessovorrei esserlo: non un uomo, ma un ragazzo.(…) i giochi delle bambine sono privi di fantasia”.46

È certo che l’eros, in Elsa Morante, si rivolge prevalentemente alla figura materna, ma, come cimostra la sua scrittura, questo non avviene da una posizione orale, abbandonica, bensìdall’ambivalenza della fase anale, con tutto il sadomasochismo che qui la caratterizza, e cheabbiamo visto in azione nei confronti della figura maschile, sia Moravia, Visconti o altri. È inquesto contesto che vanno inserite anche le sue amicizie amorose con giovani artisti in cerca disuccesso – che, con insopportabile malafede, Dario Bellezza ha trasformato nel mito di unaMorante ‘sciupatrice’ di giovani uomini –, fra cui l’americano Bill Morrow.

Dopo l’uscita di Menzogna e sortilegio, si era aperta l’epoca dei tanto desiderati viaggi, che laporteranno in tutti i continenti. Nel 1959, a New York, incontra il ventitreenne pittore delKentucky, Bill Morrow che la seguirà a Roma e avrà con lei per tre anni un’intensa relazione,finchè il 30 aprile 1962, rientrato in America, muore tragicamente, precipitando da un grattacielo.

Pochi mesi dopo, Moravia lascia il loro appartamento di Via dell’Oca per andare a vivere conDacia Maraini.

Secondo Garboli, a partire da questo anno terribile – che è anche quello in cui compiecinquant’anni- comincia nella Morante un processo di inarrestabile involuzione, una “metamorfosianche fisica. Sembrava invasa da una forza estranea al suo corpo e contraria, ostile anche alla suaanima.(…) diventò un’altra persona; e smarrì, o uccise in sé, la gioia della sua grazia.”47

Quest’interpretazione, seguita poi dalla maggior parte della critica letteraria, mi lascia un po’perplessa come grafologa, per la semplice ragione che la sua grafia, d’ora in avanti, ci mostra, sì,un cambiamento, ma non certo nel senso dell’implosione.

Scrittura 5

Questa è una delle prime strofe – vergate con penna a sfera blu nel 1964 – della lunghissima poesiaAddio che apre la sua nuova opera, Il mondo salvato dai ragazzini, pubblicata nel 1968. La persona

fanciullo-figlio immaginario, che è la propria identità ritrovata e insieme il proprio ‘alibi’” (Ivi, p. 103) Cfr. anche A.PATRUCCO BECCHI, Stabat mater. Le madri di Elsa Morante, in “Belfagor”, a. XLVIII, n. 4, 31 luglio 1993 e N.CACCIAGLIA, L’esperienza materna nella narrativa di Elsa Morante, in Maternità trasgressiva e letteratura, (a curadi A. Geiger), Napoli, Liguori, 1993.46 La prima citazione è da un’intervista del 1957 in M. BARDINI, op.cit., p. 455. Anche la seconda è citata ivi, p. 456.47 C. GARBOLI, Il gioco…,cit., p. 203.

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da cui Elsa Morante si congeda –chiedendo: “perdonami questa indecenza di sopravvivere”- è,naturalmente Bill Morrow. Ebbene, mai finora, nei manoscritti morantiani, era apparsa una grafiapiù serena, con pressione quasi vellutata, morbida tenuta di riga leggermente convessa, formaparticolarmente chiara, senza grandi sbalzi in dimensione, continuità da legata a raggruppata esenza scatti, con messa in pagina ordinata e lettere affettive non tanto ammaccate; dove è ancora danotare la sottolineatura morbidamente tracciata –mai vista prima una riga così diritta!- e alcunefinali che si aprono in curva accogliente. Che cosa è successo? C’era da aspettarsi perlomeno unasindrome del complesso di colpa, visto che oltre tutto era stata la Morante a spingere Bill Morrowa ritornare in America dai genitori. Decisamente la grafia smentisce l’interpretazione di Garboli diun percorso morantiano diviso tra un’età ancora felice e un improvviso traumatico declino.Sembrerebbe piuttosto convalidare la lettura di Marco Bardini che vede Elsa Morante, fino allafine degli anni ’50, impegnata in uno sforzo per combattere le sue tendenze irrazionalistiche conletture scientifiche, mentre, dall’inizio degli anni ’60, dopo la rinuncia al progetto del suo terzogrande romanzo, Senza i conforti della religione, lo stesso sentiero sarà rifatto in direzionecontraria: “dagli scoscesi versanti di uno scientismo scoperto infine come ambivalente eingannevole (…), Elsa Morante torna a percorrere la china che senza più compromessi le faràaccettare il suo destino di poeta.”48

Nell’originalissima opera in versi Il mondo salvato dai ragazzini, partendo dall’elaborazione di unlutto personale, arriva alla proposta follemente allegra di una finale comunione terrestre, in cui ilmondo alienato nell’irrealtà tecnologica sarà salvato dai ‘ragazzini’, i disinseriti, i ribelli, i poveridi spirito. Vuol rappresentare, con ciò, “l’avventura disperata di una coscienza che tende, nel suoprocesso, a identificarsi con tutti gli altri viventi della terra.”49

Leggiamo in un’agenda del 1964: “Due anni da quel 30 aprile. E continuo a vivere come se fossiviva.(…) L’unico rimedio per arrivare alla fine umanamente è non essere io, ma tutti gli altri tuttoil resto. Non separare. Essere tutti gli altri passati presenti futuri vivi e morti. Così posso essereanche te.”50

Scrittura 6 pennarello verde

48 M. BARDINI, op.cit., p. 14.49 Dalle note di copertina –per mano dell’autrice- dell’edizione del 1971, ivi, p. 689.50 Cron., pp. LXXVII-VIII.

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Ne Il mondo salvato dai ragazzini è incastonato, fra l’altro, il più bel gioiello concepito neiminerali saturnini della scrittura morantiana accesi da mercuriali fuochi, il poema in forma didramma La serata a Colono. Qui, in un ospedale psichiatrico finisce i suoi giorni un modernoEdipo, sostenuto dalla pietà filiale della mentecatta analfabeta Antigone. Qui, lasciato il complessofreudiano, Edipo torna ad essere il sofocleo emblema dell’ineluttabilità del fato; rappresentante diun’inutile conoscenza lineare, ora inchiodato alla ruota dell’eterno ritorno, invoca e ottiene dallaSuora-Madre l’unica medicina possibile, la dissoluzione dell’io nella notte prenatale: “la coscienzasi libera dal dolore (e ricuce la separatezza e guarisce la morte) attraverso l’estinzionedell’illusione che esista l’io.”51

E nella pagina finale manoscritta de La serata a Colono troviamo l’appunto a pennarello verderiprodotto come scrittura 6. Avendo presenti le molte note che compaiono sul verso dei fogli, senon fosse per le costanti di forma si potrebbe a colpo d’occhio pensare all’indebita intrusione di unchiosatore sconosciuto.

La dimensione, anzitutto: cubitale, se paragonata alla piccolezza del testo: sembra proprio che larinuncia all’io sia stata totalmente devoluta alla figura di Edipo. E poi l’aria, che per la prima voltaentra a gonfiare e arrotolare il filo grafico. È proprio la usuale carenza di Sanguigno, a rendere così‘forastica’ - per usare una sua parola - la partecipazione al mondo della Morante: “Il bel pubblicodelle premières a me procura, a volte, dei disturbi allergici così gravi da bloccarmi perfino il sensodell’udito.”52

Da notare ancora la scomparsa delle ossessive scancellature a spirale in favore di semplici lineerette e i sempre presenti gesti à rebours, che per Colo e Pinon esprimono ricerca di stile personale,un anticonformismo più o meno ostentato, quando non insurrezione contro ogni disciplina.53 E inElsa Morante atteggiamenti trasgressivi ‘pour épater le bourgeois’, come vantarsi di aver fatto laprostituta54, stanno accanto a una concezione della vita e dell’arte che - l’abbiamo visto - si opponecon assoluta determinazione al sentire e al pensare dominanti.

Altro gesto importante che compare qui per la prima volta è il legamento di ‘tête-à-pied’ dellascrittura ricombinata in arco: “è un segno di idealismo religioso (non per niente questo arco nellazona alta ricorda le scritture medioevali) appartenente a persona che (…) aspira all’assoluto ed haun forte senso etico”.55

Grande è l’evoluzione fatta dalla Morante sul piano religioso: siamo partiti dall’atmosferasoffocante e sepolcrale degli anni ’30, con una giovane ossessionata che rivolge febbrili supplichea Maria dei miracoli – racconta Carlo Levi, che nel ’37 andò a trovarla nella sua stanzaammobiliata: “Quello che mi colpì subito fu un lumino acceso davanti a una Madonna a capo delletto”56 – e ci troviamo ora di fronte a un vissuto spirituale sempre più aperto e sincretistico:Socrate e Buddha sono interrogati quanto le Upanishad, Lao Tse e Einstein. Senza i conforti dellareligione, il suo romanzo non scritto, è, paradossalmente, anche quello di cui ha parlato di più. Nel1963 dichiara in proposito a “Il Giorno”: “Non si può vivere senza religione (…) Parlo di quellareligione che è l’altruismo, il lavorare per gli altri. L’arte, per esempio, nasce da questo desideriodi spendersi, è una forma di religione.”57

51 M. BARDINI, op.cit., pp. 637.52 E. MORANTE, Alta fedeltà, in “Discoteca”, 15 ottobre 1960, ora in M. BARDINI, op.cit., p. 715.53 C. COLO- J. PINON, Traité…cit., p. 266.54 Su questa equivoca storia, Moravia dirà che, prima di conoscerlo, Elsa aveva avuto “amori sì a pagamento ma (…)per necessità e da gente non proprio raccolta in via del Corso”. Citato in M. BARDINI, op.cit., p. 27n.55 A. MELE da J. C. Gille - Dispense del corso triennale, I, XIX, p. 3.56 Cron., p. XXIX.57 Cron., p. LXIX.

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Gli sviluppi della spiritualità di Elsa Morante sono, comunque, imprescindibili dalla fortissimaidentificazione – fatale, secondo Garboli- con la filosofa francese Simone Weil, appassionatamenteassetata di trascendenza, tanto da lasciarsi letteralmente morire per raggiungere la comunione conle sofferenze dell’Altro.

Anche l’idea del suo terzo grande romanzo La Storia nasce come “un’Iliade dei nostri giorni”,ispirata dal saggio sull’Iliade di Simone Weil, che elaborando il concetto di schiavitù, aveva vistonella guerra di Troia la metafora dell’allora annientante distruzione nazista.

Le ottocento pagine de La Storia, “uno scandalo che dura da diecimila anni”, raccontano, col tonosemplice e partecipato della cronaca di quartiere, le affannose, tragiche vicende di una famigliolamezzo-ebrea – in realtà una sacra diade madre-figlio – a Roma, durante e subito dopo l’ultimaguerra. Romanzo concepito e sentito più come “un’azione politica” che come opera letteraria, ebbeuna strabiliante fortuna di pubblico alla sua uscita.

Nel 1976 comincia la stesura del suo ultimo romanzo, Aracoeli, che esce da Einaudi nel 1982,quando già la salute della Morante ha subito duri colpi, prima per i penosi postumi di una rotturadel femore che le impediscono del tutto di camminare; poi per l’idroencefalia che le vienediagnosticata in aprile, dopo un tentativo di suicidio. Passerà gli ultimi anni in clinica, per morirviil 25 novembre 1985.

Per Aracoeli, giova riutilizzare le stesse identiche parole usate da lei per Menzogna e sortilegio:“l’io-recitante (…) s’incammina verso la necropoli del proprio mito familiare: pari a un archeologoche parte verso una città leggendaria, per disseppellire, alla fine, solo povere macerie.” Né cidobbiamo stupire di questo: il percorso di Elsa Morante non si adatta, infatti, allo sviluppo lineare;molto meglio si presta al rivolgimento nella circolarità.

Nel romanzo, Manuele, quarantenne omosessuale infelice e fallito, è spinto dallo squallore delpresente a un viaggio, nel tempo e nello spazio, di recupero della figura materna, l’andalusaAracoeli che, dopo averlo teneramente e vischiosamente amato - al punto da impedirgli qualsiasicrescita - lo ha all’improvviso allontanato da sé con brutalità, quando la crisi per la morte della suaneonata apre in lei un’involuzione verso la ninfomania e un mortale tumore al cervello.58

Al centro del romanzo sono le vicissitudini del corpo: il corpo dell’estasi neonatale - mai tantefelici pagine erano state dedicate dalla Morante alla descrizione del ‘viluppo carnale’ madre-figlio-; il corpo della squallida e colpevole bruttezza, e quello dell’orrida malattia devastante: “Il nostroproprio corpo, difatti, è straniero a noi stessi quanto gli ammassi stellari o i fondi vulcanici. Nessundialogo possibile.”59

Dai manoscritti riporto un’ultima scrittura, tracciata a roller blu e pennarello rosso.

58 La stesura del romanzo è incominciata un anno circa dopo la morte di Pasolini; e giustamente sono stati rilevati trattidecisamente pasoliniani nel personaggio di Manuele. Cfr. M. R. GILIO, Le ‘lusinghe’ di Maia nelle opere di ElsaMorante, Roma, Sovera, 2003, pp.50-1.59 Ivi, p. 1353.

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Scrittura 7

Lungo un percorso ondivago, determinato da tanti svariati eventi e, prima di tutto, dagli specificidestini della sua creatività, mi sembra che la grafia morantiana tenda, nonostante l’involuzione delcorpo, verso un’evoluzione: lo sviluppo di una funzione ausiliaria Intuizione, visibile qui nellamaggior leggerezza e liberazione del tracciato, nello spazio più ampio, nei gesti svettanti versol’alto: le antiche mazze si sono liberate in acerazioni sia nella zona media che, soprattutto, in zonasuperiore, dove le barre delle t puntano sempre più arditamente verso le sommità, per poi inarcarsispesso in bellissimi legamenti di ‘tête-à-pied’ che divengono, in Aracoeli, una costante.

E mi sembra di capire perché Elsa Morante dica , di questo assolutamente disperato romanzo, “maio, durante tutta la stesura, ho provato una grande gioia a scriverlo”60

La grande gioia qui, mi pare, è quella di essere un grande poeta.

60 J.-N. SCHIFANO, op.cit., p. 9.