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Sulle composizioni All’età di 16 anni, Felix Mendelssohn scrisse l’Ottetto op. 20 in mi bemolle maggiore per un insolito organico strumentale di due quartetti d’archi, ovvero quattro violini, due viole e due violoncelli, creando una delle composizioni più straordinarie ed imponenti nella storia della musica da camera. Tutti e quattro i movimenti dell’Ottetto sono dei veri capolavori. Il primo movimento (Allegro moderato ma con fuoco) colpisce l’ascoltatore immediatamente con l’impeto del tema principale esaltato dal soprano, tremoli sonori nelle voci medie, ed un basso in movimento decrescente in direzione contraria. Dopo la presentazione del secondo tema cantabile ed una sofisticata elaborazione e sovrapposizione di ambedue i temi, la partitura giunge ad una fase molto tranquilla, quasi statica. All’improvviso il tempo si arricchisce di nuovo, e passaggi paralleli quadrupli in tutte le voci sfociano, attraverso una drammatica esplosione armonica, in una ripresa del tema principale. Il secondo movimento (Andante) in do minore comincia con un tema lirico che all’inizio viene ripetuto varie volte, interrotto anche da una figura di terzine che più tardi prende il sopravvento e viene sviluppata indipendentemente come secondo tema. Solo verso la fine del movimento il tema principale compare un’altra volta nella forma originale. Nella parte intermedia, Mendelssohn crea meravigliosi intrecci polifonici, con imitazioni e ritardi che ricordano l’arte contrappuntistica del tardo Mozart. Segue il terzo movimento, uno sfumato scherzo (Allegro leggero) che fu talmente amato e popolare tra i coetanei di Mendelssohn che dopo l’esecuzione venne spesso ripetuto su richiesta del pubblico. La sorella Fanny descrisse il brano in maniera suggestiva: “L’intero brano viene suonato staccato e pianissimo, i singoli brividi tremolanti, i mordenti scintillanti, tutto ciò è nuovo, estraneo, e ciononostante attraente, gentile, e ci sentiamo vicini al mondo dei fantasmi, sospesi con tanta leggerezza nell’aria, che ci viene voglia di prendere il manico di scopa per poter seguire questo branco arioso di spiriti e spettri.Anche il quarto movimento (Presto) è una perfetta combinazione di cantabilità e contrappunto. Il movimento inizia con un tema fugato nel basso che prorompe in un tempo a sei voci. Subito dopo segue, come secondo tema, una sequenza di salti di tre quarti, una specie di fanfara che già Händel usò nell’Alleluia del Messiah per un maestoso fugato. Questa fanfara determina tutto lo svolgimento dell’ultimo movimento che alla fine termina con una fulminante stretta.

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Sulle composizioni

All’età di 16 anni, Felix Mendelssohn scrisse l’Ottetto op. 20 in mi bemolle maggiore per un insolito organico strumentale di due quartetti d’archi, ovvero quattro violini, due viole e due violoncelli, creando una delle composizioni più straordinarie ed imponenti nella storia della musica da camera.

Tutti e quattro i movimenti dell’Ottetto sono dei veri capolavori. Il primo movimento (Allegro moderato ma con fuoco) colpisce l’ascoltatore immediatamente con l’impeto del tema principale esaltato dal soprano, tremoli sonori nelle voci medie, ed un basso in movimento decrescente in direzione contraria. Dopo la presentazione del secondo tema cantabile ed una sofisticata elaborazione e sovrapposizione di ambedue i temi, la partitura giunge ad una fase molto tranquilla, quasi statica. All’improvviso il tempo si arricchisce di nuovo, e passaggi paralleli quadrupli in tutte le voci sfociano, attraverso una drammatica esplosione armonica, in una ripresa del tema principale.

Il secondo movimento (Andante) in do minore comincia con un tema lirico che all’inizio viene ripetuto varie volte, interrotto anche da una figura di terzine che più tardi prende il sopravvento e viene sviluppata indipendentemente come secondo tema. Solo verso la fine del movimento il tema principale compare un’altra volta nella forma originale. Nella parte intermedia, Mendelssohn crea meravigliosi intrecci polifonici, con imitazioni e ritardi che ricordano l’arte contrappuntistica del tardo Mozart.

Segue il terzo movimento, uno sfumato scherzo (Allegro leggero) che fu talmente amato e popolare tra i coetanei di Mendelssohn che dopo l’esecuzione venne spesso ripetuto su richiesta del pubblico. La sorella Fanny descrisse il brano in maniera suggestiva: “L’intero brano viene suonato staccato e pianissimo, i singoli brividi tremolanti, i mordenti scintillanti, tutto ciò è nuovo, estraneo, e ciononostante attraente, gentile, e ci sentiamo vicini al mondo dei fantasmi, sospesi con tanta leggerezza nell’aria, che ci viene voglia di prendere il manico di scopa per poter seguire questo branco arioso di spiriti e spettri.”

Anche il quarto movimento (Presto) è una perfetta combinazione di cantabilità e contrappunto. Il movimento inizia con un tema fugato nel basso che prorompe in un tempo a sei voci. Subito dopo segue, come secondo tema, una sequenza di salti di tre quarti, una specie di fanfara che già Händel usò nell’Alleluia del Messiah per un maestoso fugato. Questa fanfara determina tutto lo svolgimento dell’ultimo movimento che alla fine termina con una fulminante stretta.

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Benché la versione originale dell’Ottetto sia per noi il modello e la quintessenza dell’integrazione di archi nella musica da camera, la versione per pianoforte a quattro mani si afferma con uguale autorità. E’ interessante notare come Mendelssohn riesca ad integrare con grande maestria tutte le voci nella versione per pianoforte, senza mai sovraccaricare la partitura pianistica. Al contrario, lo Scherzo diventa particolarmente trasparente, più comprensibile e leggero nella versione per pianoforte che nella forma originale. L’indicazione esplicita di Mendelssohn riguardante lo scherzo è: Si deve suonare questo Scherzo sempre pianissimo e staccato. Sicuramente la sua premura per la versione per pianoforte aveva anche un motivo pratico, visto che Mendelssohn stesso suonò questa versione varie volte con Sophy Horsley ed Ignaz Moscheles.

La corrispondenza tra Mendelssohn e il suo editore fornisce alcune informazioni interessanti; sembra che la trascrizione dell’Ottetto per pianoforte a quattro mani non sia stata affatto un lavoro casuale, ma al contrario un’opera alla quale Mendelssohn teneva con tutto il cuore. Infatti propose alla casa editrice Breitkopf & Härtel di Lipsia: “Il mio desiderio è che l‘Ottetto sia pubblicato simultaneamente anche per 4 mani, essendo molto adatto a questo scopo.” Mendelssohn partecipò con vivo interesse alla correzione e messa in stampa, e fu molto soddisfatto del risultato. In una lettera ringraziò l’editore dicendo: “La veste tipografica è talmente bella che non lascia affatto a desiderare, cosicché il Vostro regalo mi ha fatto un immenso piacere.”

Durante un viaggio che intraprese in Scozia nel 1829, Mendelssohn fu ispirato non solo alla creazione della sua Sinfonia Scozzese in la minore, pubblicata nel 1842, ma anche di un poema sinfonico (ouverture per orchestra) in si minore chiamato prima L’isola solitaria, poi pubblicato sotto il nome The Fingal’s Cave (La Grotta di Fingal). Ritoccò l’opera ancora due volte, e la pubblicò nel 1830 come op. 26 sotto il nome di Ouverture Le Ebridi. La prima rappresentazione avvenne a Berlino nel 1833 sotto la sua direzione. Durante la sua permanenza in Scozia mandò una lettera a casa, indicando come mittente “Su una delle Ebridi”. Questa lettera contiene la frase: “ Per farvi capire la strana sensazione che provo sulle Ebridi, ho tracciato il seguente.” Seguono le prime 20 misure dell’Ouverture.

Parallelamente alla versione per orchestra Mendelssohn stesso scrisse – come nel caso dell’Ottetto – una versione per pianoforte a quattro mani, che risultò finita un giorno prima dello spartito per orchestra e porta la data London 19th June 32. L’opera, una delle creazioni più famose di Mendelssohn, fu apprezzata moltissimo dai suoi coetanei (tra l’altro, anche Wagner). Johannes Brahms disse:

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“Avrei dato via tutte le mie composizioni se avessi potuto scrivere un brano come le Ebridi di Mendelssohn.”

La Sonata per due pianoforti in sol minore (in un movimento, senza titolo e indicazione di tempo) è un’opera giovanile di Mendelssohn, scritta all’età di soli undici anni, insieme a una sonata in re maggiore (in tre movimenti), sempre per due pianoforti. Alcuni storici sostengono che Mendelssohn, brillante pianista, abbia scritto questi due brani virtuosistici per se stesso e la sorella Fanny. Essendo con molta probabilità le prime composizioni conservate del giovane Felix, il manoscritto – nonostante numerosi evidenti errori di scrittura ed imprecisioni – fu gelosamente custodito dalla famiglia Mendelssohn.

Le Canzoni senza parole (Lieder ohne Worte) sono tra le composizioni più conosciute ed eseguite di Mendelssohn. E’ meno conosciuto, però, che Mendelssohn stesso scrisse, parallelamente alla versione originale per pianoforte solo, anche una versione per pianoforte a quattro mani di alcune delle canzoni. La canzone in mi bemolle maggiore op. 67, 1 è senza dubbio tra le più belle, un tranquillo Andante cantabile che Mendelssohn dedicò alla Regina inglese Victoria con le seguenti parole: “Con il gentile permesso di Sua Altezza Reale ho arrangiato per Lei il quinto fascicolo delle Canzoni senza parole per pianoforte a quattro mani. Perciò oso di posare le suddette canzoni ai piedi di Sua Maestà e Sua Altezza Reale. […] Voglia Sua Altezza Reale suonare alcune di esse ogni tanto, considerandole come dimostrazione della mia più fervida gratitudine per la benevola accoglienza e le ore indimenticabili che Lei mi ha fatto voler godere anche durante la mia ripetuta permanenza la settimana scorsa!”