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Questo lavoro tratta il concetto di Riparazione, inteso come intervento su qualcosa che è rotto, logoro o in cattivo stato. Ho esaminato lo sviluppo progettuale che contraddistingue questa pratica, i suoi risvolti effettivi e le sue caratteristiche. Uno degli obiettivi principali di questo progetto è dimostrare come questa esperienza si inserisca in maniera significativa nella realtà contemporanea e come essa potenzialmente possa rispondere in modo coerente agli stimoli della società odierna e ai bisogni dell’individuo, sfatando in questo modo l’idea di riparazione come pratica sorpassata o addirittura regressiva. La riparazione si mostra all’interno della mia analisi come una pratica personale, accessibile a tutti, con potenzialità espressive e di apprendimento.

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Sulla RiparazioneProva di laurea elaborata da Evelyn Dalmonechper la sessione d’esame 2012/13,13.1 Relatrice Emanuela De Cecco - Correlatore Steffen Kaz

Libera Università di Bolzano Facoltà di Design e Arti

Font Times LT Std - Univers LT StdCarta Munken linx mano 150 gr - Serymax 300 gr

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Introduzione

ProgettoDemiurghiPost produzione

RotturaContinuitàBellezza

ImprevistoIngegnoEspressività

Conclusioni aperte

Bibliografia

Sitografia

INDICE

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Questo lavoro tratta il concetto di Riparazione, inteso come intervento su qualcosa che è rotto, logoro o in cattivo stato. Mi interessa esaminare lo sviluppo progettuale che contraddistingue questa pratica, i suoi risvolti effettivi e le sue caratteristiche. Uno degli obiettivi principali di questo proget-to è dimostrare come questa esperienza si inserisca in maniera affine nella realtà contemporanea e come essa potenzialmente possa rispondere in modo coerente agli stimoli della società odierna e ai bisogni dell’individuo, sfatando in questo modo l’idea di riparazione come pratica sorpassata o addirittura re-gressiva. Questo libro si presenta come visione d’insieme della ricerca svolta in questi mesi, è supportato da un volume che raccoglie integralmente le interviste realizzate, una raccolta fotografica di risultati di riparazioni specifiche di un buco in una stoffa ed un libro che descrive il percorso empirico svolto per riparare delle calze da donna.

Gli ultimi anni in Europa hanno avuto come protagonista indiscussa la Crisi, che ha visto la nascita (o la rinascita) di molte pratiche come il riuso, il fai da te, il riciclo e la ripara-zione. Ho deciso di trattare in particolare di quest’ultima per-ché, rispetto alle altre esperienze sopra elencate, si pone come obiettivo quello di mantenere la funzione originale dell’oggetto rotto, rispondendo ad una logica semplice secondo la quale se riparo un oggetto rotto non lo devo ricomprare.

Il design non si è tenuto all’esterno di questo dibattito dando vari contributi progettuali. Rilevante è stato il dialogo aperto dal collettivo Platform 21, che attraverso alcuni eventi, una serie di workshop ed esposizioni, hanno presentato la riparazione come una forza creativa, culturale ed economica, elencando all’interno del loro manifesto undici motivi per

INTRODUZIONE

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cui sia meglio riparare. Altri contributi da parte del mondo del design possono essere attribuiti al gruppo 5.5, che hanno realizzato una serie di sostituzioni per complementi d’arredo rotti, come lo schienale delle sedie oppure le gambe dei mobili. Altri progettisti come Lotte Dekker e Gieke van Lon hanno ripreso e sviluppato una antica tecnica giapponese per riparare le ceramiche, detta kintsugi, rendendola facile ed accessibile.

L’argomento, nonostante tratti di un’attività da sempre esi-stita e di un’esperienza condivisa da diverse società e genera-zioni, manca di una bibliografia distinta e specifica, per questo dopo la lettura di testi e articoli, la mia analisi è proseguita attraverso diversi mezzi.Ho intervistato persone di varie età, genere, professione ed esperienze per comprendere meglio come viene concepita questa pratica e quali siano le qualità, positive e negative, che le vengono generalmente attribuite. Queste interviste hanno la caratteristica di essere dei colloqui molto informali, poiché il tema discusso non è disciplina ma una pratica, ed inoltre spesso è collegato ad esperienze personali e private.

La fase successiva di ricerca ha visto la nascita di un pic-colo workshop dove ho consegnato ad un campione eterogeneo di circa cinquanta persone un quadrato di stoffa bianco con un buco centrale. A queste persone veniva chiesto di ripararlo a loro modo (Repair it in your way), spiegando successivamente il metodo ed i materiali impiegati. Questa esperienza mi è servita per apprendere le varie sfumature che il verbo riparare acquisisce in base alle esperienze personali, e vedere come l’ingegno e l’espressività possano scaturire da questa pratica.

L’ultimo passaggio del mio lavoro tratta l’argomento da un punto di vista concreto: cercando una soluzione ad una rottura, come quella delle calze o collant da donna. Ho individuato questo soggetto come esempio sia perché i buchi e le sma-gliature costituiscono un incidente molto comune, sia perché mi sembra di particolare interesse il significato che questa peculiare rottura implica, tanto per chi la indossa quanto per chi la nota. Il mio obiettivo è stato quello di trovare una ripa-razione facile e democratica, nel senso che non abbia bisogno di particolari competenze, e soprattutto che lasci la libertà di esprimersi attraverso di essa.

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Il percorso che ho svolto non rappresenta un discorso chiu-so rispetto a questa pratica, che proprio grazie alla peculiarità di essere un’esperienza personale e soggettiva apre a nuove riflessioni e discorsi.

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“WHY ARE YOU DOING THIS?”was the question I asked myself as I sat repairing the covers of my old leather couch. I had repaired the splitting seams of these same cushion covers perhaps a half dozen times without this question coming to mind. This time was different thought; the repair was much more involved due to continued deterioration of the leather which had absorbed so many impacts and spills. It required the search for a study material to bind the seams, a particularly noxious adhesive, a new spool of upholstery thread and about six solid hours. The answer came to me as I placed stitch beside stitch...“BECAUSE YOU ENJOY IT”.maybe it was the glue talking.

Ken Vickerson, Acts of Redemption: The culture of Repair, 2008

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“Platform21 = Repairing started with the idea that repair is underestimated as a creative, cul-tural and economic force. If we don’t consider repair a contemporary activity we will loose an incredibly rich body of knowledge – one that contributes to human independence and plea-sure. The situation is especially puzzling when you consider current global interest in other ideas related to sustainability, such as recycling and the cradle-to-cradle philosophy. With Platform21 = Repairing we aimed to raise awareness of a mentality, a culture and a practice that not so long ago was completely integrated into life and the way we designed it. In the hope of spurring a reappraisal of repair, Platform21 wrote and published a manifesto describing the benefits of fixing things and calling upon designers and consumers to break the chain of throwaway thinking.”

Platform about the project Repairing, 2009

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“Woolfiller repairs holes and hides stains in woollen jumpers, cardigans, jackets and carpets, for example. How? Through embrac-ing the specific character of wool. The fibres of wool contain miniscule scales which open up when they are pricked with a felt needle. The open scales bind with each other and will not be separated. Not even in the wash.Woolfiller can be used with a special machine or with the hand. It is simple, sustainable and satisfying. A new solution for an age old problem.”

Heleen Klopper about Woolfiller, 2009

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“Reanimate, recuperate, reintroduce, rehabilitate, recycle, restore, rethink, dress, cure… the designer becomes the objects doctor and uses his knowledge to increease the life expectancy of rejected pieces of furniture.The aim is not to restore (a practice which seeks to restablish something to its orginal state) nor to repair (an activity which involves utilising basic methods to prolong life) nor transforming (changing the use of) but to reeducate furniture (by systemising the intervention). These doctor designers use deterioration, weak-ness and alterations as a mean to create. Their surgical operation gives back to the patient its initial function, and the perception of products. This new subject which makes the object central to his worries, may cause the beginning of a true system of production. The cured object thus finds its place within its habitat and regains it’s right to live. This visit to the first hospital for furnitures enables you to discover atypical medecine which in turn may inspire you to treat your own furniture.”

5.5 Designers about Réanim, 2004

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“Dispatchwork does not defy deterioration. Rather, it aims to emphasize transitoriness as a chance for the construction and reconstruction of our environments. Adapting to various cities, the project infiltrates walls of cultural heritage, historic facades, fortifications and yet many more less spectacular corners as a colorful repair of shabby walls within our shared spaces.Dispatchwork contradicts and satirizes the superimposed seriosity of constructions in the cityscape. Within all that rigidity and stiffness there are plenty of chances for your own creativ-ity. The project also aims to put the focus on the playful, hands-on aspects of creation in our daily lives, and further, on the possibilities for participa-tion to construe and design our own reality.”

Jan Vormann about Dispatchwork, 2007

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“The Mended Spiderweb series came about during a six-week period in June and July in 1998 which I spent on Pörtö. In the forest and around the house where I was living, I searched for broken spiderwebs which I repaired using red sewing thread. All of the patches were made by inserting segments one at a time directly into the web. Sometimes the thread was starched, which made it stiffer and easier to work with. The short threads were held in place by the stickiness of the spider web itself; longer threads were reinforced by dipping the tips into white glue. I fixed the holes in the web until it was fully repaired, or until it could no longer bear the weight of the thread. In the process, I often caused further damage when the tweezers got tangled in the web or when my hands brushed up against it by accident. The morning after the first patch job, I discovered a pile of red threads lying on the ground below the web. At first I assumed the wind had blown them out; on closer inspection it became clear that the spider had repaired the web to perfect condition using its own methods, throwing the threads out in the process. My repairs were always rejected by the spider and discarded, usually during the course of the night, even in webs which looked abandoned.”

Nina Katchadourian about Mended Spiderweb Series, 1998

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Come progettisti siamo chiamati a sviluppare vari tipi di artefatti con determinate caratteristiche, che rispondano a cri-teri e domande ben precise, quindi che definiscano interamente un’idea progettuale. Il lavoro di un designer segue una fase di ricerca concettuale, culturale e di mercato, dove si esplorano tutte le conoscenze nel campo e si indagano le innovazioni materiali e tecniche fino al momento utilizzate. La terza fase ipotizza le possibilità concrete che vengono poi analizzate e messe alla prova fino a raggiungere un risultato coerente con il punto di partenza. Questo processo si conclude nel momento in cui il risultato del lavoro del progettista passa nelle mani del fruitore, che lo acquisisce.

Come utenti ci relazioniamo in maniera istintiva verso un artefatto, ce ne appropriamo leggendone le forme inscritte e decodificando i messaggi in pensieri e comportamenti. Cruciale è questo passaggio dell’appropriazione: esso non è prevedibile. Ciò significa che la comunicazione non è lineare, il messaggio di partenza e quello del destinatario non possono essere definiti a priori, e possono essere incerti. Il designer non può prevedere con certezza come poi il fruitore si porrà nei confronti del frutto del suo lavoro.

Questo principio naturale, insito nella progettazione è co-stituito da due facce: il tentativo utopico da parte del designer di controllare nella fase di progettazione ogni singolo aspetto di ciò che sarà il risultato della relazione con l’utente, e allo stesso tempo l’accettazione, o meglio, la rassegnazione che es-sere creatori non implica il totale controllo sui nostri artefatti.

Questo discorso apre una riflessione sul momento posterio-re al progetto, ovvero su quegli elementi che partecipano nella determinazione di un oggetto dopo la sua realizzazione.

PROGETTODEMIURGHIPOST PRODUZIONE

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Fondamentale è comprendere che l’artefatto non compie solo un passaggio dall’autore all’utente, ma che l’utente stesso ne diventa autore nel momento in cui si appropria e fa uso di esso. La tradizionale distinzione tra produzione e consumo viene sradicata, così come viene scardinata l’idea individuali-stica di creazione ed originalità. Il Demiurgo, figura mitica che plasma la materia trasformandola in cose, non è più unico ed individuale, ma plurimo, e perde la sua natura divina divenen-do umano e terreno.

All’interno dell’arte vi sono varie dimostrazioni di questo concetto. Gli artisti elaborano opere d’arte sulla base di opere già esistenti, non creano una forma da un materiale grezzo. Essi si appropriano di oggetti e forme già presenti nel mercato culturale e le includono in nuovi contesti o relazioni, dimo-strando la volontà di inscrivere l’opera d’arte all’interno di una rete di segni e significati, invece che considerarla forma auto-noma o originale. Troviamo molti contributi in questo senso a partire da Marcel Duchamp, che attraverso i suoi readymade ha realizzato opere d’arte con oggetti appartenenti alla realtà quotidiana, l’apporto dell’artista è rappresentato non più dalle sue capacità ma dalle scelte compiute.

È in questa circostanza che si inserisce la riparazione: è un‘azione che si pone dopo la produzione, che deve ripensare in maniera progettuale un oggetto già informato. Non crea da una materia primaria o informe ma elabora e manipola ciò che ha a disposizione per poi rimettere in scena non lo stesso artefatto, ma neppure qualcosa di originale inteso come autenticamente nuovo, essa presenta qualcosa di alternativo, un ibrido tra ciò che era e ciò che il riparatore, o nuovo autore, ha aggiunto. Questo nuovo artefatto non è da intendersi come un punto terminale di questo sviluppo, ma esso stesso può rappresentare un nuovo punto di partenza, un nuovo materiale da manipolare. La rottura propone l’occasione di rivedere il progetto, ciò non significa fare tabula rasa ma ripartire da un grado zero. Il riparatore quindi non risulta diverso da un fruitore, in quanto è agente attivo in una nuova concezione di cultura dell’utilizzo, che vede il consumo come possibilità di contribuire allo sviluppo dell’oggetto, attraverso slittamenti, sovrapposizioni ed incastri in contesti alternativi.

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“Tutto, compreso l’universo, si trova in uno stato costante e perenne di divenire e di dissolvimento. Spesso definiamo arbitrariamente come finiti o compiuti certi momenti specifici, certi punti lungo il cammino, l’idea di compimento è priva di fondamento”.

Leonard Koren, Wabi-Sabi per Artisti, Designer, Poeti e Filosofi, 2002

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“Rust has always had a negative connotation, the signal of abandonment. A life that leaves positive mark to the future is the best we could wish. Sum.Rust is a pot made of ceramic, loaded with iron in it. using water for the flowers inside the vase makes the iron inserts oxidize, and the rust generated creates a color decoration on the surface of the withe pot.”

Eugenia Morpurgo about Sum.Rust., 2007

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“Per quanto illusorio e utopista, ciò che conta è introdurre una specie di uguaglianza, le stesse capacità tra me stessa (che sono all’origine di un dispositivo, di un sistema) e gli altri, la possibilità di un rapporto egualitario che permetta di organizzare la loro storia come risposta a ciò che hanno appena visto, e ai suoi riferimenti”.

Dominique Gonzalez-Fœrster, 1998

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“Young Dutch designer Maarten Baas is one of a new breed of designers whose work involves customizing existing items of furniture rather than creating them from scratch. Baas appropriates and metamorphoses found wooden objects, making them his own with a signature technique that involves singeing them with a blowtorch. Baas developed his Smoke furniture for his graduation show at Design Academy Eindhoven in 2002. He was interested in the way that the wear and damaged suffered by well-used pieces of furniture gave them new – and to him, more interesting – qualities. To replicate this effect, he tried soaking, scratching and throwing chairs off tall buildings before discovering that he could give them an entirely new character by burning them. The wood chars in unpredictable ways, giving even the plainest object a random but highly decorative patina.”

about Maarten Baas’ series Smoke, 2002, via Dezeen

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Da un punto di vista economico, un oggetto è semplice-mente una merce. Esso viene prodotto, esiste, viene scam-biato con altre cose, solitamente per denaro, circolando così attraverso il sistema economico. Se però guardiamo da un’altra prospettiva, un bene non viene solo prodotto materialmente, governato dalla legge di domanda e offerta, e destinato all’uso e allo scambio, esso porta una storia, una vita propria, ha per-sonalità entrando nel mondo umano sotto forma di significato, condiviso o individuale.

All’interno del libro Biografie di oggetti. Storie di cose, nello specifico nella parte curata da Michela Nacci, gli oggetti vengono uguagliati agli esseri viventi. Ciò non ci sorprenderebbe se parlassimo da un punto di vista letterario, dell’immaginazione romanzesca e poetica, in cui spesso accade che ad un oggetto vengano attribuite qualità, difetti, comportamenti, sentimenti, pensieri ed intenzioni. Nel mondo delle fiabe è assolutamente legittimo che le parti di un oggetto vengano descritte come membra di un corpo o che esso abbia un suo carattere peculiare. La considerazione in questo senso invece non riesce ad esprimersi nella realtà, risulta difficile rivolgere un tale sguardo agli oggetti nel mondo della scienza e della razionalità.

Questa visione rinvia ad un interesse per gli oggetti e per il loro mondo e contiene forse qualcosa di più serio di quanto si pensi. Non è necessario vestire i panni del bambino o usare l’immaginazione, è indispensabile però adottare un nuovo sguardo a cui non siamo abituati. Percepire gli oggetti come non diversi dagli esseri viventi porta ad una considerazione semplice ma al tempo stesso fondamentale: gli oggetti, come gli uomini, hanno un ciclo vitale.

ROTTURA CONTINUITÀBELLEZZA

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Siamo abituati a pensare che gli oggetti siano costituiti da un materiale duraturo rispetto a quello deteriorabile di cui siamo fatti noi. Invece gli oggetti al pari di tutte le cose viventi, nascono, hanno un’esistenza, si ammalano, invecchiano e proprio come noi muoiono. Questa non è solo una metafora: si parla di nascita di un oggetto nel momento in cui costituiscono ancora un’invenzione e muovono i primi passi per affermarsi su altri o nelle abitudini della gente. Nel momento in cui domi-nano il mercato o il loro settore in modo affermato sono adulti. Possono invecchiare quando non sono più attraenti per chi li usa, perché considerati brutti, imperfetti. Si ammalano nel senso che non svolgono più la loro funzione come un tempo o presentano delle imperfezioni. La morte di un oggetto soprag-giunge quindi per malattia oppure perché viene soppiantato da un altro prodotto appena nato, scompare, ma può sempre ricomparire in seguito sotto nuove sembianze, fisicamente mo-dificato o come oggetto estetico, museale o di antiquariato per esempio. Riprendendo questa formula io vorrei soffermarmi sulla malattia dell’oggetto.

Gli oggetti sono sensibili alle vicissitudini e come gli esse-ri viventi incorporano materialmente i segni del tempo. La rottura è una manifestazione della caducità a cui tutte le cose sono soggette, il momento in cui avviene l’incidente è eternamente catturato. L’obiettivo della riparazione non è quel-lo di cancellare i passaggi del tempo, al contrario raggruppa le vicissitudini dell’oggetto che non potrebbero essere espresse in maniera più chiara. L’oggetto riparato subisce una rinascita, incorpora e trascende allo stesso tempo la sua vecchia identità. Nella riparazione fattori immateriali ed effimeri assumono una presenza materiale e diventano una parte inestricabile dell’aspetto dell’oggetto. In questo sta il fascino dell’oggetto riparato: nella manifestazione della sua caducità, nell’equili-brio tra qualità immateriali e materiali, emozionali e visive.Gli eventi si incorporano materialmente nell’oggetto, in parti-colare la rottura diventa nella riparazione l’elemento centrale della metamorfosi dell’oggetto danneggiato in un oggetto con nuove caratteristiche e una nuova apparenza. Generalmente l’artefatto riparato acquisisce un valore maggiore rispetto al suo stato precedente.

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La spiegazione può essere trovata in una percezione esteti-ca giapponese, la quale, invece che considerare difetti, associa l’invecchiamento e l’imperfezione ad un flusso, e trovano una profonda e toccante qualità in essi. Questo riconoscimento estetico della transitorietà della vita viene espresso con le parole wabi-sabi. Questo concetto trova la bellezza nell’im-perfezione e vede dei limiti e delle costrizioni nelle tendenze perfezionistiche a cui generalmente ci orientiamo. Niente di ciò che esiste è privo di imperfezioni, ma è proprio questo elemento che offre apertura ed energia.

Gli ideali estetici del wabi-sabi si inseriscono nella cultura del tè e si esprimono perfettamente nelle ceramiche riparate. Vi sono due principali metodi di riparazione delle teiere o ciotole rotte, il primo chiamato kintsugi utilizza un lacquer misto a polvere di metallo, che può essere argento oppure oro, per incollare i cocci, il secondo invece per fratture molto ampie in-serisce frammenti per riempire il danno, questi possono essere parti della ceramica originale, oppure volutamente estranei e diversi, o addirittura può utilizzare materiali alternativi. La riparazione diviene in questa occasione parte centrale e valore estetico dell’oggetto, non viene nascosta ma accentuata tramite l’utilizzo di materiali di pregio, stimando la rottura come valore aggiunto della ceramica. L’apparenza concorda con l’essenza. La riparazione viene decisa dal proprietario in base al valore storico, estetico, personale o sociale di un pezzo. L’uso di polvere d’oro o argento esprime la profonda stima sentita per l’oggetto danneggiato.

Per capire le ragioni per cui si ripara una ceramica rotta, bisogna prima comprendere la cerimonia del tè. Nella cultura giapponese l’oste che presiede l’evento raggruppa degli uten-sili che decoreranno la stanza da tè, verranno usati per servire il pasto o per la preparazione. Gli ospiti, amici cari dell’oste, sanno che la scelta degli utensili non è casuale ma che essi rappresentano una combinazione di significati unica che emer-gono in un tema più ampio. Il tema non viene svelato fino alla fine del rito, ed è compito degli ospiti trovare più connessioni di significati possibili per arrivare a comprendere l’argomento. Solo dopo il rituale vi è una aperta discussione sui significati degli utensili. Durante tutta la cerimonia gli ospiti gli pongono

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domande o fanno intendere all’oste che hanno trovato alcune connessioni, ma mai in maniera esplicita. L’oste è rappresenta-to dagli utensili che usa e la loro storia viene raccontata tramite il loro uso. Per questo motivo è molto importante che le origini degli strumenti e le loro vicissitudini vengano documentate e tramandate dall’oste. Le cose wabi-sabi possono essere ap-prezzate solo con il contatto diretto ed il loro utilizzo, non sono scibili dalla loro storia e non sono fatte per essere contemplate.

La riparazione è un segno della storia dell’oggetto, più che un compromesso della sua integrità materiale. Gli oggetti riparati esprimono simultaneamente un senso di rottura e continuità, che costituisce il loro valore estetico. Una bellezza imperfetta, impermanente e incompleta.

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“Il wabi-sabi è la bellezza delle cose imperfette, temporanee e incompiute. È la bellezza delle cose umili e modeste. È la bellezza delle cose insolite”.

Leonard Koren, Wabi-Sabi per Artisti, Designer, Poeti e Filosofi, 2002

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“A charachteristic feature of the use of lacquer to repair ceramics is the fact that, in addition to the wholly practical funcion of restoring the functional usefulness of cherished ceramic arifacts, lacquer simultaneously also serves as a medium for the artistic and aesthetic transformatin of the flawed object through inten-tional inclusion of the damage.”

Charly Iten about Kintsugi in Flickwerk, the Aesthetics of Mended Japanese Ceramics, 2008

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“What interests me most are small intimate situations in daily life, just because they are so ordinary. The point of my repairs is not to make a two day bag from a one day bag. My question is if there is still a space for these handicapped objects and their stories.”

Siba Sahabi about One day bag, 2009

“Sometimes you see in the gesture of repair an abiding concern for continuity, both of function and of beauty.”

Kiff Slemmons, My eye in imperfection, 2008

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“Devo sempre trovare un modo per sbarcare il lunario, l’ho imparato fin da picco-la. Nell’ambiente in cui siamo cresciuti, nel bisogno costante, eravamo costretti a rattoppare i vestiti e a rammendare le calze per farle durare di più. Risistemia-mo i vestiti e trattiamo tutto con attenzione, perchè così durano di più e non si spendono soldi preziosi. Quando rammendo i vestiti di qualcuno siano calze, una camicia o una maglia, provo una sensazione d’affetto e calore nei confronti della persona che li porta. Cerco di lavorare con la massima cura e spesso mi dà una grande soddisfazione. Spero sempre che il mio lavoro piaccia, che venga apprez-zato. Certo, se fosse possibile scartare gli abiti vecchi e comprarne di nuovi sono sicura che nessuno obietterebbe, ma siccome i vestiti sono difficili da trovare non possiamo fare altro che rattoppare quelli che abbiamo”.

Ljubov’ Archipova 1995

in Design del popolo. 220 invenzioni della Russia post-sovietica, Vladimir Archipov

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“Strange Fruit began as a means of consolation for the artist af-ter the death of a friend, but now presents a wide range of pos-sible readings, including a meditation on loss and mortality. The fruit skins—emptied, dried, faded, repaired, and ornamented—have the feel of relics, almost like photographs. Transformed by the artist’s delicate mending, they are subject to effects of time that are as unpredictable as they are inevitable.Taking its title from a song by Billie Holiday, Strange Fruit is unique in its materials but not in its themes. It recalls the vener-able tradition of vanitas still-life paintings, which show objects that suggest the fleeting nature of life, such as a flickering can-dle or a wilting flower. Far more direct than a picture, Strange Fruit actually will decay. By introducing the natural rhythms of a work of art’s life into the museum setting, Strange Fruit raises questions about the permanence of art, and whether it resides in objects, ideas, or people’s experiences and memories.”

about Zoe Leonard’s Strange fruit, 1992-97, via Philadelphia Museum Of Art

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Tutti gli esseri al mondo seguono un flusso continuo di eventi che li reinventa e modifica ma che simultaneamente li porta a reinventarsi e modificarsi, secondo un moto di causa–effetto a cui tutti partecipano attivamente. In questo continuo dinamismo siamo abituati a definire incidente, imprevisto o errore, fatti che non erano stati previsti, non intenzionali e che ci hanno costretti a ripensare delle forme o situazioni che non si sono presentate così come avevamo calcolato. Generalmente questi episodi sono concepiti come fatti negativi, restrittivi.

La riparazione si introduce in questo passaggio all’interno del corso naturale delle cose, rimediando a queste situazioni inattese. La cultura della riparazione lavora con l’errore, l’im-previsto e l’incidente, ma essi invece che essere dei limiti, in questa ottica divengono il punto zero dello sviluppo proget-tuale, il punto di partenza su cui focalizzarsi. La riparazione quindi è innanzitutto un cambio radicale di prospettiva, vede apertura e possibilità in ciò che prima è concepito come un ostacolo ed un blocco. Questa pratica si appropria degli errori e lavora sulle variazioni spostando l’attenzione sull’elemento imprevisto suggerendo la possibilità di ripensare l’errore come attrezzo dell’invenzione. Essa è una vera e propria strategia, che studia ogni particolare situazione che si presenta e predi-spone i mezzi atti a raggiungere quel peculiare obiettivo.

Una caratteristica di questa mentalità è quella di non avere dei piani a lungo termine, perché accettando l’imprevedibilità degli eventi, non si può che basare il progetto sul qui ed ora, sulla particolare situazione che si è venuta a presentare. Per questo motivo spesso un’opera può essere rimaneggiata nel corso del tempo, modificando le vecchie strutture in vista di altre più idonee alla nuova circostanza.

IMPREVISTOINGEGNOESPRESSIVITÀ

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Non è possibile all’interno di questa pratica delineare delle linee guida o delle regole fisse in quanto non si può prevedere quali caratteristiche avranno le situazioni che si presenteranno e su cui dovremo agire.

La pratica della riparazione non a caso appartiene ad una categoria più ampia che è quella del bricolage. Questa scienza “primaria”, come Claude Lévi-Strauss nell’opera Il pensiero selvaggio la denomina, è una pratica il cui nome deriva dal verbo francese bricoler, il quale nel suo significato antico rimandava all’evocazione di un movimento incidente ed impre-visto. Sempre secondo Lévi-Strauss: “Per bricoleur s’intende chi esegue un lavoro con le proprie mani, utilizzando mezzi diversi rispetto a quelli usati dall’uomo del mestiere”.

Nell’immaginario del bricoleur per esaudire un compito non è necessario possedere le conoscenze o gli strumenti tradizionalmente prestabiliti per quel particolare campo di azione. Per il bricoleur è fondamentale avere un’apertura tale da consentirgli di adattare i mezzi che possiede alle diverse circostanze. Egli, attraverso tutte le occasioni che gli si presen-tano, conserva e arricchisce il suo stock di strumenti, di residui di costruzioni precedenti e di conoscenze. L’insieme dei mezzi quindi non è definito dal progetto ma al contrario, determina in base alla sua strumentalità lo sviluppo del disegno. Il suo equipaggiamento quindi è finito ed eteroclito, risulta variegato e bizzarro e proviene da disparati ambiti. Ogni nuovo com-ponente di questa raccolta non viene accumulato per le sue funzioni specifiche o qualità peculiari, ma segue il principio che “può sempre servire” e può sempre essere reinventato.

Gli elementi di questo repertorio quindi non sono deter-minati da un impiego specifico, e questo fa si che il bricoleur non abbia bisogno dell’assortimento di mezzi e conoscenze di tutti i campi professionali. Ogni unità presenta un insieme di relazioni concrete e allo stesso tempo possibili.

L’ingegno del bricoleur consiste nel fronteggiare ogni volta un problema diverso ed imprevisto. Il suo compito risiede nel fare l’inventario di tutte le conoscenze, capacità e mezzi tecnici che possiede e trovare dei collegamenti tra essi adatti alla circostanza ed in grado di restringere il campo delle soluzioni. I diversi legami che il bricoleur forma si traducono nelle scelte

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che lui opera. In questo modo realizza ogni volta un elaborato unico e individuale.

Egli mette sempre qualcosa di sé nel suo lavoro. Involon-tariamente, attraverso le decisioni progettuali che compie, il bricoleur esprime una parte di sé. Le scelte non sono mai tra un numero infinito di possibilità, ma tra un numero limitato che deriva dalle esperienze vissute dalla persona. Il lavoro del bri-coleur, o del riparatore per analogia, esprime quindi il carattere e la vita del suo autore. L’espressività rappresenta l’elemento di forza della riparazione e appare inscindibile da essa.

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“Il termine noncuranza (o deskill) fu usato per la prima volta nel saggio di Ian Burn Gli anni sessanta:crisi e conseguenze (Ovvero memorie di un artista ex-concettuale) in Art & Text, nel 1981. Si tratta di un concetto di notevole importanza per descrivere con una certa precisione molti tentativi dell’arte del XX secolo, tentativi legati dal persistente sforzo di eliminare l’abilità artigianale e altre forme di virtuosismo nel disegno e al finito nella pittura venne rimossa dal terremoto dell’applicazione del pigmento in pennellate visibilmente separate, che sostituiva le lisce superfici della pittura accademica con i segni del lavoro manuale e dei tocchi di pigmento eseguiti in modo meccanico e disposti secondo un ordine seriale. La noncuranza ebbe il suo primo trionfo nel contesto del collage cubista, in quanto gli elementi trovati di carta ritagliata annullavano sia l’esecuzione pittorica che la funzione del disegno, mettendo al loro posto le tonalità puramente trovate e gli schemi grafici che la carta ritagliata portava con sé. Il secondo momento di fortuna - forse il momento alto di questo genere di critica all’abilità manuale e al virtuosismo - fu immediatamente successivo al collage cubista, e si identifica con l’avvento del readymade. Nel momento in cui l’oggetto trovato industriale, da cui ogni processo artigianale (manuale) è bandito, è stato proclamato opera d’arte, la produ-zione collettiva dell’oggetto meccanico in serie ha preso il posto dell’opera eccezionale realizzata dal virtuosismo.”

Arte dal 1900: Modernismo, Antimoderismo, Postmodernismo, 2006

Marcel Duchamp, Fountain, 1917

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“Gli esseri viventi sono delle strutture storiche, sono letteralmente delle creazioni della storia. Non hanno la percezione di un’opera concepita e realizzata da un ingegnere, rappresentano il risultato di un lungo rammendo, come abiti d’Arlecchino fatti da toppe rappezzate dove e quando si presentava l’occasione.”

François Jacob, Evoluzione e bricolage. Gli espedienti della selezione naturale, 1978

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“Boro textiles were made in the late 19th and early 20th century by impoverished Japanese people from reused and recycled indigo-dyed, cotton rags. What we see in these examples are typical—patched and sewn, piece-by-piece, and handed down from generation-to-generation, where the tradition continued. These textiles are generational storybooks, lovingly repaired and patched with what fabric was available. Never intended to be viewed as a thing of beauty, these textiles today take on quali-ties of collage, objects of history, and objects with life and soul.”

About Japanese Boro textile 1900, via Accidental Mysteries

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Tinguely Jean, Balouba, Number 3, 1961

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“Osserviamolo all’opera: per quanto infervorato dal suo progetto, il suo modo pratico di procedere è inizialmente retrospettivo: egli deve rivolgersi verso un insieme già costituito di utensili e di materiali, farne o rifarne l’inverntario, e infine, soprattutto, impegnare con esso una sorta di dialogo per inventariare, prima di sceglierne una, tutte le risposte che l’insieme può offrire al problema che gli viene posto. Egli interroga tutti quegli oggetti eterocliti che costituiscono il suo tesoro, per comprendere ciò che ognuno di essi potrebbe ‘significare’, contribuendo così alla definizione di un insieme da realizzare che alla fine, però, non differirà dall’insieme strumentale se non per la disposizione interna delle parti. Quel blocco cubico di quercia potrebbe servire da bietta per rimediare all’insufficienza di un’asse d’abete, oppure da piedistallo, cosa che permettereb-be di valorizzare la venatura e la levigatezza del vecchio legno. In ogni caso sarà estensione, nell’altro materia. Ma queste possibilità vengono sempre limitate dalla storia particolare di ciascun pezzo e da quanto sussiste in esso di prede-terminato, dovuto all’uso originale per cui era stato preparato o agli adattamenti subìti in previsione di altri usi”.

Claude Lévi-Strauss a proposito del bricoleur, Il pensiero selvaggio, 1962

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“Evidence of imperfection is often evidence of hand.”

Kiff Slemmons, My eye in imperfection, 2008

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“Mio padre faceva il giornalista e doveva pranzare e prepararsi il tè al laoro perché non sempre riusciva a tornare a casa. Be’, come si fa un buon tè? devi lasciarlo in infusione in una teiera e poi ti servono tazze e cucchiaini. Ma lui non aveva intenzione di comprarli perchè era molto parsimonioso e non voleva nem-meno prendere le stoviglie di casa. Così quando gli capitava di trovare qualcosa di rotto o che non funzionava non lo gettava, ma cercava di riutilizzarlo in ufficio. Un giorno una delle due teiere che avevamo a casa è caduta e si è rotto il mani-co. Era impossibile usarla così com’era, ma il papà non si decideva a buttarla per-chè al lavoro avevano soltanto una teiera minuscola. Quindi decise di aggiustarla: prese delle strisce di metallo e le saldò in cerchio, come quelle che tengono insieme le botti, poi fissò al cerchio il manico di legno di una vecchia zangola. Sì certo, non era una meraviglia, ma era solida, affidabile. Con la coscienza pulita, se la portò al lavoro e in ufficio l’hanno usata tutti finchè qualcuno ha regalato a mio padre una teiera nuova per il suo compleanno, migliore di quella fatta da lui. Così l’ha reagalata a un amico a cui piacevano le cose originali, e la vecchia teiera ha trovato una casa che l’ha accolta”.

Anonimo 1987 in Design del popolo. 220 invenzioni della Russia post-sovietica, Vladimir Archipov

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CONCLUSIONIAPERTE

Ho impostato il mio percorso di ricerca esplorando questa pratica in maniera coerente alla natura personale e soggettiva della riparazione . Questo intento mi ha portato ad impiega-re dei mezzi di ricerca che non mi hanno diretto verso dati statistici, ma piuttosto verso esperienze condivise o personali e punti di vista specifici. L’approccio in questi termini ha prodot-to delle riflessioni aperte alla discussione, che si offrono come spunto di partenza per ulteriori considerazioni o metodologie di progetto. Questo tipo di sviluppo progettuale sui vari aspetti che caratterizzano il concetto di riparazione mi ha portato a vedere questa pratica con occhi differenti. Nell’immaginario comune riparare è una scelta legata a questioni economiche, una pratica povera perché non rappresenta una professione, in alcuni casi è una scelta ecologica. Nonostante questi siano assolutamente degli elementi da non trascurare, credo però che ragionare in questi termini sia sottovalutare questa esperienza,

L’elemento essenziale è costituito dalla rottura. La rottura riporta a diversi significati. Essa esprime la caducità che regola l’universo ed incarna le vicissitudini dell’oggetto, come il termine giapponese wabi-sabi descrive, un oggetto rotto mani-festa la bellezza dell’imperfezione e dell’impermanenza delle cose, così come della natura umana.

La rottura rappresenta anche un momento nella vita di un oggetto, che attraverso la riparazione non è considerata come punto di fine, ma piuttosto come genesi di una metamorfosi. All’oggetto riparato non viene posticipata la morte, ma esso letteralmente rinasce sotto nuove caratteristiche e sembianze che non sono totalmente slegate da quelle antecedenti la rottu-ra, le incorporano e allo stesso tempo le trascendono, scardi-nando il principio di compiutezza radicato nella nostra cultura.

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La necessità di uno sviluppo progettuale posteriore al momento in cui l’oggetto è realizzato, quindi ritenuto finito, rovescia due concetti fondamentali della mentalità occidentale: quello di originalità e di creatore. La rottura impone la ripro-gettazione di un oggetto già informato, che ha una forma e una materialità definita, per cui il riparatore si trova nella posizione dell’artefice iniziale ma simultaneamente compone un nuovo progetto da una base già determinata. L’origine dell’oggetto quindi non è un momento solo ma si ripresenta ogniqualvolta l’artefatto viene riprogettato, ed allo stesso tempo il creatore non è unico ma chiunque riconsidera e rielabora l’oggetto.

La rottura nasce dall’incidente e dall’imprevisto che all’in-terno della riparazione rappresentano uno stimolo. Questa è una sfida che va superata con l’ingegno, con una strategia defi-nita analizzando ogni elemento e caratteristica della particolare situazione che si è presentata. Le soluzioni vengono ricercate all’interno dei mezzi a disposizione dell’individuo, che si trova ad adattare costantemente le sue capacità e i suoi strumenti all’episodio specifico. Ciò fa sì che la riparazione rappresenti un ritratto dell’autore, le scelte che ha compiuto esprimono parte di ciò che lui è e delle esperienze che ha vissuto.

La riparazione si presenta come una pratica personale e accessibile a tutti, apre potenzialità di espressione e manifesta il carattere dell’autore, dando nuova vita ad un oggetto che altrimenti non avrebbe altra possibilità di progresso.

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