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Capitolo 7 – L’energia da fonti rinnovabili 1 CAP. 7 – L’energia da fonti rinnovabili Le tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili e da rifiuti (con le relative sub-tipologie) sono riportati nella tabella seguente: Tipologia impianto Sub-tipologia impianto Fonte Idroelettrico acqua fluente a serbatoio a bacino acquedotto Idraulica Eolico on-shore off-shore Eolica Geotermoelettrico Geotermica Solare fotovoltaico fototermoelettrico Solare Termoelettrico a vapore a combustione interna a ciclo combinato a gas altro Rifiuti (1) Biomasse (2) Biogas (3) Ibrido* - co-combustione** - altro (come per gli impianti termoelettrici) Convenzionale + Rinnovabile Marino Maree Moto ondoso (*) Gli impianti ibridi sono impianti che producono energia elettrica utilizzando sia fonti non rinnovabili sia fonti rinnovabili, inclusi gli impianti di co-combustione. (**) Per co-combustione si intende la combustione contemporanea di combustibili non rinnovabili e di combustibili solidi, liquidi o gassosi ottenuti da fonti rinnovabili. La sub-tipologia di impianto è la stessa degli impianti termoelettrici. (1) Rifiuti ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili. (Sono i rifiuti previsti dall’art. 17, comma 1 e comma 3 del D.Lgs. n. 387/2003 ed elencati nel DM 5/2/1998, come modificato dal DM 5/4/2006 n. 186, e nel DM 5/5/2006). (2) Le biomasse si suddividono in: biomasse combustibili: materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate o da trattamento meccanico di coltivazioni agricole non dedicate, da interventi selvicolturali, da lavorazione meccanica di legno vergine e prodotti agricoli, sansa di oliva disoleata; biocombustibili liquidi: biodisel, bioetanolo e biometanolo, oli di semi, ecc.; biomasse da rifiuti etichettati con la lettera B nell’allegato 1 del DM 5/5/2006; parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani non compresi nell’allegato 1 del DM 5/5/2006. (3) I biogas possono essere: biogas da discarica, biogas da fanghi di depurazione, biogas da deiezioni animali, biogas da rifiuti agro- alimentari (a matrice organica); biogas da sostanze organiche non costituite da rifiuti.

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Capitolo 7 – L’energia da fonti rinnovabili

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CAP. 7 – L’energia da fonti rinnovabili Le tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili e da rifiuti (con le relative sub-tipologie) sono riportati nella tabella seguente: Tipologia impianto

Sub-tipologia impianto

Fonte

Idroelettrico

acqua fluente a serbatoio a bacino acquedotto

Idraulica

Eolico on-shore off-shore Eolica

Geotermoelettrico

Geotermica

Solare fotovoltaico fototermoelettrico Solare

Termoelettrico

a vapore a combustione interna a ciclo combinato a gas altro

Rifiuti (1) Biomasse (2)

Biogas (3)

Ibrido* - co-combustione** - altro

(come per gli impianti termoelettrici) Convenzionale + Rinnovabile

Marino Maree Moto ondoso

(*) Gli impianti ibridi sono impianti che producono energia elettrica utilizzando sia fonti non rinnovabili sia fonti rinnovabili, inclusi gli impianti di co-combustione. (**) Per co-combustione si intende la combustione contemporanea di combustibili non rinnovabili e di combustibili solidi, liquidi o gassosi ottenuti da fonti rinnovabili. La sub-tipologia di impianto è la stessa degli impianti termoelettrici. (1) Rifiuti ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili.

(Sono i rifiuti previsti dall’art. 17, comma 1 e comma 3 del D.Lgs. n. 387/2003 ed elencati nel DM 5/2/1998, come modificato dal DM 5/4/2006 n. 186, e nel DM 5/5/2006).

(2) Le biomasse si suddividono in: • biomasse combustibili: materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate o da trattamento meccanico di

coltivazioni agricole non dedicate, da interventi selvicolturali, da lavorazione meccanica di legno vergine e prodotti agricoli, sansa di oliva disoleata;

• biocombustibili liquidi: biodisel, bioetanolo e biometanolo, oli di semi, ecc.; • biomasse da rifiuti etichettati con la lettera B nell’allegato 1 del DM 5/5/2006; • parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani non compresi nell’allegato 1 del DM 5/5/2006.

(3) I biogas possono essere: • biogas da discarica, biogas da fanghi di depurazione, biogas da deiezioni animali, biogas da rifiuti agro-

alimentari (a matrice organica); • biogas da sostanze organiche non costituite da rifiuti.

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La direttiva 2001/77/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 27 settembre 2001 ha riaffermato che “la promozione dell’elettricità prodotta da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) è un obiettivo altamente prioritario per motivi di sicurezza e di diversificazione dell’approvvigionamento energetico, protezione dell’ambiente e coesione economica e sociale”. La stessa direttiva ha indicato, come valore di riferimento al 2010, che il 22% dell’energia elettrica nell’intera Comunità sia prodotto da FER. Il Gestore del Sistema Elettrico (GSE) promuove lo sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia attraverso l’erogazione degli incentivi previsti dalla normativa nazionale agli impianti di generazione e con campagne di informazione per un consumo dell’energia elettrica responsabile e compatibile con le tematiche dello sviluppo sostenibile. I principali provvedimenti di incentivazione delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica sono stati i seguenti:

1. Legge n. 308 del 1982 intitolata: “Norme sul contenimento dei consumi energetici, lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi”. Per sostenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili questa legge ha introdotto due novità: ha liberalizzato la produzione (ma non la vendita) di energia elettrica da fonti rinnovabili per gli impianti fino a 3 MW e ha stanziato dei contributi in conto capitale da erogare a chi ne faceva domanda secondo apposite graduatorie.

2. Provvedimenti CIP n. 15 del 1989, n. 34 del 1990 e n. 6 del 1992. In base al provvedimento CIP n. 6 del 1992, il fornitore monopolista del servizio elettrico (l’ENEL) è stato obbligato a ritirare l’elettricità prodotta da terzi al costo evitato, cioè al costo che avrebbe dovuto sostenere per produrla. Inoltre, per i primi 8 anni di funzionamento, è stato previsto un incentivo fissato in misura convenzionale a seconda del tipo di impianti: più basso per gli impianti idroelettrici, intermedio per gli impianti eolici e geotermici, elevato per gli impianti solari, a biomassa e a rifiuti solidi urbani.

3. Decreto legislativo n. 79 del 1999, che ha liberalizzato completamente la produzione di energia elettrica e parzialmente la sua vendita (solo ai clienti idonei). In tale decreto è stato imposto a tutti i produttori da fonti energetiche convenzionali (esclusa la cogenerazione) e agli importatori di immettere in rete energia prodotta da fonti rinnovabili pari al 2% della quantità prodotta o importata. Il decreto prevede inoltre che si può soddisfare l’obbligo comperando i certificati equivalenti, chiamati “certificati verdi”, da terzi (i produttori da fonti rinnovabili) o sul mercato. Gli impianti a fonti rinnovabili hanno diritto ai certificati verdi solo per i primi 8 anni di funzionamento. Il GSE, per compensare le fluttuazioni produttive o l’offerta insufficiente, può comperare o vendere certificati verdi (corrispondenti a 50 MWh ciascuno). Il prezzo di vendita è determinato dalla differenza tra il costo dell’energia elettrica da CIP n. 6 acquistata e il ricavo per la sua vendita attraverso la borsa elettrica.

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1. Energia dal sole La radiazione solare convoglia sulla terra un quantità di energia il cui ammontare è certamente superiore ai prevedibili fabbisogni dell’umanità anche a lunga scadenza. L’energia che il sole diffonde nello spazio è sotto forma di radiazione elettromagnetica, di lunghezza d’onda compresa tra 0,2 e 3 μm. Al di sopra dell’atmosfera terrestre il flusso di energia radiante solare equivale a circa 1,4 kW termici per ogni metro quadrato, con una variazione stagionale del 6,8% dovuta alla ellitticità dell’orbita terrestre: ne segue che la potenza solare intercettata dalla terra è dell’ordine di 1,7⋅1014 kW termici. L’assorbimento da parte dell’atmosfera riduce sensibilmente la quantità di energia ricevuta dalla superficie terrestre; inoltre la distribuzione di tale energia sulla superficie terrestre varia molto con la latitudine, l’altitudine sul livello del mare, la stagione, l’ora del giorno, e può mutare rapidamente e in modo discontinuo in seguito a variazioni repentine delle condizioni meteorologiche locali. Complessivamente l’energia solare incidente in un anno sul globo terrestre ammonta a circa 0,67⋅1018 kWh, di cui 0,17⋅1018 kWh relativi alle terre emerse. Considerando solo la latitudine come elemento di valutazione, la zona terrestre di maggiore intensità della radiazione solare si trova tra 40° di latitudine N e 40° di latitudine S. In questa fascia l’intensità media della radiazione solare è superiore a 5.000 kcal per ogni metro quadrato e per ogni giorno. A latitudini superiori a 40° l’intensità della radiazione solare è proporzionalmente minore e presenta forti variazioni stagionali; il valore medio giornaliero alle latitudini della Pianura Padana (45° N) è di circa 3.700 kcal/m2⋅giorno. L’utilizzo dell’energia solare si presenta interessante per alcuni requisiti positivi, quali gratuità, rinnovabilità e disponibilità illimitata nel tempo, quantità e diffusione della fonte energetica. Per contro presenta il grande svantaggio di essere disponibile molto diluita, con ridotta potenza per unità di superficie, e ciò richiede una grande estensione degli impianti di raccolta (collettori) in qualsiasi tipo di utilizzazione. L’utilizzazione dell’energia solare nella forma termica risulta essere un sussidio all’impiego di energia termica da combustione e di energia elettrica in molte applicazioni civili e industriali. Un semplice schema di impianto per riscaldamento domestico comprende un collettore solare (posto sul tetto dell’abitazione, con orientamento tale da raccogliere la massima quantità di radiazione), un serbatoio di accumulo termicamente isolato, un impianto di distribuzione dell’energia captata e accumulata, un impianto ausiliario che sopperisce ai fabbisogni di energia quando la fonte solare è insufficiente. Il collettore solare costituisce il più importante componente del sistema: la radiazione solare, trasmessa attraverso una copertura di vetro, viene assorbita da una superficie metallica annerita, a contatto della quale sono posti tubi in cui circola acqua che così si riscalda. Le perdite di calore sono minimizzate isolando termicamente il collettore nella parte posteriore.

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1.1. Celle fotovoltaiche La conversione diretta dell’energia solare in energia elettrica avviene invece mediante l’effetto fotovoltaico. La cella fotovoltaica utilizza il fenomeno fisico dell’interazione dell’energia luminosa con gli elettroni di valenza nei materiali semiconduttori. Fino ad oggi il materiale maggiormente utilizzato nella costruzione delle celle fotovoltaiche è stato il silicio cristallino. I suoi atomi, costituiti da 14 elettroni, ne possiedono 4 di valenza, cioè disponibili per legarsi in coppia con elettroni di valenza di altri atomi. Per esempio, in un cristallo di silicio puro ciascun atomo è legato in modo covalente con altri quattro atomi: ogni elettrone di valenza si lega con un elettrone di valenza di un altro atomo. Questo legame elettrostatico può essere spezzato con una opportuna quantità di energia trasmessa dal sole all’elettrone di legame che, saltando così al livello energetico superiore (chiamato banda di valenza) diviene libero di muoversi nel semiconduttore e in grado di contribuire, in presenza di un campo elettrico, al flusso di elettricità. Nel passare alla banda di conduzione l’elettrone si lascia dietro una lacuna che facilmente può venire occupata da qualche altro elettrone vicino. A sua volta questo, spostandosi, crea una nuova lacuna nel posto lasciato libero. Il movimento degli elettroni determina così, nella struttura atomica, anche il movimento delle lacune. Il flusso di elettroni è ordinato e orientato da un campo elettrico creato, all’interno della cella, con la sovrapposizione di due strati di silicio, in ognuno dei quali si introduce un altro particolare elemento chimico, per esempio fosforo e boro, mediante un’operazione di drogaggio; il rapporto è di un atomo di fosforo o boro per ogni milione di atomi di silicio. Nello strato drogato con fosforo (che ha valenza 5) si costituisce una carica negativa debolmente legata, composta dal quinto elettrone di valenza di ogni atomo di fosforo. Analogamente, nello strato drogato con boro (che ha valenza 3) si determina una carica positiva in eccesso, composta dalle lacune presenti negli atomi di boro quando si legano al silicio. Il primo strato, a carica negativa, si indica con N; l’altro, a carica positiva, si indica con P. La zona di separazione è detta giunzione P-N. Sovrapponendo i due strati, si attiva un flusso elettronico dalla zona N alla zona P che, raggiunto il punto di equilibrio elettrostatico, determina un eccesso di carica positiva nella zona N, dovuto agli atomi di fosforo con un elettrone in meno, e un eccesso di carica negativa nella zona P, dovuto agli elettroni migrati dalla zona N. Il risultato è un campo elettrico stabile, che facilita il passaggio degli elettroni verso la zona N ostacolandone il flusso in senso inverso.

I fotoni della luce solare, quando colpiscono la cella fotovoltaica, possono essere riflessi, assorbiti, o attraversarla. Un fotone assorbito produce calore oppure, se ha sufficiente energia, libera un elettrone dallo stato legato spingendolo nella banda di conduzione. Le coppie elettrone-lacuna così prodotte, che ricadono sotto l’influenza del campo elettrico, vengono spinte in direzioni opposte (l’elettrone, nella banda di conduzione, verso la zona N; la lacuna,

nella banda di valenza, verso la zona P), dando origine a un flusso elettronico unidirezionale che, in caso di connessione con conduttori all’interno di un circuito chiuso, si traduce in corrente elettrica.

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Una cella fotovoltaica è sostanzialmente un diodo di grande superficie. Esponendola alla radiazione solare, la cella si comporta come un generatore di corrente il cui funzionamento può essere descritto per mezzo della caratteristica (V,I).

In generale la caratteristica di una cella fotovoltaica è funzione di tre variabili fondamentali: l’area della cella, l’intensità della radiazione solare, la temperatura. L’area della cella non ha alcun effetto sul valore della tensione; viceversa esiste una diretta proporzionalità tra questa e la corrente disponibile. L’intensità della radiazione solare non ha un effetto significativo sulla tensione a vuoto; invece l’intensità della corrente di corto circuito varia in modo proporzionale al variare dell’intensità dell’irraggiamento, crescendo al crescere di questo. La temperatura non ha un effetto significativo sul valore della corrente di corto circuito; al contrario, esiste una relazione di proporzionalità tra questa e la tensione a vuoto, diminuendo la tensione al crescere della temperatura.

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In condizioni di corto circuito la corrente generata è massima (Isc), mentre in condizioni di circuito aperto è massima la tensione (Voc). La potenza massima, erogabile in condizioni di illuminazione e temperatura specifiche, viene misurata in Wp (watt di picco). Le condizioni di riferimento convenzionali sono con una temperatura della giunzione di 25°C e un irraggiamento di 1000 W/m2.

Caratteristica elettrica di una cella solare e andamento della potenza L’efficienza di una cella fotovoltaica risulta dal rapporto tra la potenza massima da essa erogata e l’irraggiamento incidente sulla sua superficie. Un altro fattore importante che tiene conto della qualità della cella è il fill factor (fattore di riempimento), definito come rapporto tra la massima potenza disponibile e il prodotto Voc⋅Isc (in genere compreso tra 0,6 e 0,8 per celle al silicio cristallino):

fill factor = scoc

mm

scoc IVIV

IVW

⋅⋅

=⋅max

Vm e Im sono rispettivamente la tensione e la corrente nel punto di massima potenza.

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Di tutta l’energia che investe la cella solare sotto forma di radiazione luminosa, solo una parte viene convertita in energia elettrica disponibile ai suoi morsetti. L’efficienza di conversione per celle commerciali al silicio monocristallino è in genere compresa tra il 10% e il 14%, mentre realizzazioni speciali in laboratorio hanno raggiunto valori del 23%. Il silicio, materiale maggiormente utilizzato dalle industrie per la fabbricazione delle celle fotovoltaiche, è l’elemento più diffuso in natura dopo l’ossigeno. Tuttavia, per essere sfruttato opportunamente, deve presentare un’adeguata struttura molecolare e un elevato grado di purezza. Il problema che si presenta, e che è tipico anche di tutta la tecnologia di produzione dei semiconduttori, è quello della necessità di ridurre al minimo il tasso di impurezze presenti nel materiale, al fine di ottenere la migliore efficienza della conversione fotovoltaica. Le operazioni di drogaggio vengono poi effettuate in appositi forni, a temperature dell’ordine dei 900°C. Le celle vengono collegate insieme a formare stringhe, utilizzando appositi tracciati di saldatura. Viene quindi costituito un sandwich di cui il piano della cella costituisce la parte centrale e che vede, andando dall’esterno verso l’interno, prima una lastra di vetro a basso tenore di ossido di ferro, quindi un foglio sigillante e isolante, poi il piano della cella, un nuovo foglio isolante e infine un’altra lastra di vetro.

L’attività di ricerca nel campo fotoelettrico è attiva ed orientata nella riduzione dei costi e nel miglioramento dell’efficienza di conversione. Sono allo studio e già utilizzate celle all’arseniuro di gallio, celle a film sottile, celle a giunzione multipla, celle a concentrazione.

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La struttura di un sistema fotovoltaico può essere molto varia. Si hanno sistemi ad inclinazione fissa (in genere pari all’angolo corrispondente alla latitudine del luogo) oppure ad inseguimento (in modo da realizzare l’inseguimento continuo del sole). I sistemi possono essere isolati o connessi in rete: i sistemi isolati sono dotati di accumulo, necessario perché il campo fotovoltaico può fornire energia solo nelle ore diurne. I moduli sono opportunamente collegati in serie e in parallelo in modo da realizzare le condizioni operative desiderate. Più moduli assemblati meccanicamente tra loro formano il pannello, mentre moduli o pannelli collegati elettricamente in serie, per ottenere la tensione nominale di generazione, formano la stringa. Infine il collegamento in parallelo di più stringhe costituisce il campo. Il trasferimento di energia dal generatore fotovoltaico al carico è completato da un sistema di controllo della potenza, da una batteria di accumulo per garantire la continuità dell’erogazione di energia anche in caso di basso irraggiamento e da un inverter da corrente continua a corrente alternata (se l’utenza lo richiede).

In Italia sono stati realizzati impianti fotovoltaici con potenze unitarie variabili da 350 W a 3 kW per l’alimentazione di utenti isolati (rifugi alpini, parchi nazionali, isole), impianti ibridi fotovoltaico-diesel per l’alimentazione di piccole reti per comunità isolate (80 kW a Vulcano, 70 kW a Stromboli), impianti collegati alla rete di bassa tensione (70 kW ad Adrano, 35 kW a Taranto, 24 kW a Palermo, ecc.). Un grande impianto fotovoltaico si trova a Serre, in provincia di Salerno: esso è collegato alla rete di media tensione, ha una potenza di picco di 3,3 MW ed è dotato di circa 26.500 m2 di moduli, suddivisi in 10 sottocampi da 330 kWp ciascuno e occupanti un’area totale di circa 7 ettari. Tra le energie rinnovabili, la fotovoltaica è quella che merita la maggior attenzione in Italia, tenuto conto della radiazione solare disponibile e del potenziale elettrico teoricamente ad essa associabile. Il problema del fotovoltaico è però rappresentato dai costi, attualmente molto elevati anche se in progressiva diminuzione. Il costo medio di un sistema fotovoltaico è intorno a 7.000 €/kW. In Italia è attivo un sistema di remunerazione dell’energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico, connesso alla rete elettrica nazionale o a piccole reti rurali, con una tariffa incentivante di circa 0,40 €/kWh (variabile in funzione della potenza dell’impianto e della sua integrazione architettonica).

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1.2. Solare termoelettrico Per solare termoelettrico si intende l’insieme delle tecnologie e dei sistemi finalizzati a convertire la radiazione solare in energia elettrica mediante processi termodinamici. Le tecnologie del solare termoelettrico sono basate sul principio che un elemento assorbitore, investito da un intenso flusso di radiazione solare concentrata, può essere riscaldato a diverse centinaia di gradi centigradi e rendere disponibile energia termica ad una temperatura utile a sostenere un ciclo termodinamico dal quale ottenere lavoro meccanico convertibile in energia elettrica. La sperimentazione in questo settore, iniziata verso la fine degli anni ’70, ha portato ad identificare tre filiere di impianti differenti:

• torre solare (solar tower o power tower), • parabole lineari (parabolic trough), • disco-parabole (dish – Stirling).

Recentemente si è aggiunta una quarta tecnologia: • collettori lineari di Fresnel (Compact Linear Fresnel Reflector – CLFR).

Negli impianti a torre solare la radiazione del sole viene riflessa e concentrata da specchi lievemente concavi, detti eliostati, su un ricevitore posto alla sommità di una torre. Gli eliostati si muovono in modo coordinato in modo che la radiazione riflessa e concentrata incida costantemente sul ricevitore. Nel ricevitore circola un fluido che si riscalda e cede calore in un generatore di vapore di un ciclo Rankine.

Le esperienze su questi impianti, effettuate durante i primi anni ’80, hanno evidenziato che la generazione diretta del vapore in un ricevitore risulta problematica a causa della discontinuità della sorgente e degli stress indotti sui materiali. Si è passati quindi ad impianti che utilizzano sali fusi come fluido primario e che sono dotati di un sistema di accumulo dell’energia (costituiti da due serbatoi, uno di carica e l’altro di scarica): ciò ha permesso di superare la problematica dei transienti termici dovuti alla variabilità del cielo e soprattutto di poter generare energia elettrica per alcune ore anche in mancanza di sole. I sali fusi, una miscela di nitrato di sodio e nitrato di potassio, operano tra circa 250°C (a 220°C solidificano) e 550°C (al di sopra di 570°C diventano molto corrosivi per gli acciai).

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La taglia massima per questi impianti è attualmente di 10 MWe.

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Per ridurre i rischi finanziari associati con lo sviluppo dei nuovi impianti e per diminuire l’incidenza del costo del kWh solare, gli impianti a torre solare con potenza superiore a 30 MWe saranno probabilmente integrati con gli impianti convenzionali a combustibili fossili. Molte soluzioni integrate sono possibili con cicli combinati a gas naturale e con impianti a carbone e a olio combustibile funzionanti con ciclo Rankine. Un esempio è dato dalla figura seguente.

La turbina a vapore è sovradimensionata dal 25% al 50% per poter funzionare con l’apporto dell’energia da fonte solare, quando essa è disponibile.

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Negli impianti a parabole lineari la radiazione solare viene concentrata mediante parabole lineari specchianti su una tubazione isolata nella quale scorre olio sintetico che si riscalda fino a 390°C e che a sua volta genera vapore per un ciclo Rankine tradizionale. Le parabole lineari sono in grado di ruotare lungo l’asse longitudinale in modo da inseguire il moto del sole.

Il componente chiave dei paraboloidi lineari è il tubo collettore, posto sulla linea di fuoco del paraboloide e costituito da un tubo di acciaio rivestito da una serie di materiali che determinano un’altissima assorbanza. Le taglie tipiche di realizzazione di questi impianti sono di 30 e 80 MWe. Essi sono costituiti da vasti campi solari realizzati mediante il collegamento a rete di lunghi loop di più collettori.

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Attualmente la ricerca sta lavorando in due direzioni diverse per conseguire miglioramenti a questa tecnologia: • La prima è quella del miglioramento della componentistica: maggiore efficienza dei tubi

collettori, riduzione delle rotture meccaniche, maggiore resistenza degli specchi all’azione del vento, nuovi design e materiali per le strutture dei paraboloidi.

• La seconda è quella della sostituzione del fluido primario, ovvero il passaggio dall’olio diatermico attuale al vapore o ai sali fusi1. L’utilizzo del vapore punta alla riduzione dei costi d’impianto e di generazione mediante l’eliminazione del fluido primario e di tutta la sua componentistica. L’utilizzo dei sali fusi punta ad un aumento della producibilità grazie al miglioramento del rendimento per effetto di una più alta temperatura di esercizio e grazie alla possibilità di aumentare la disponibilità dell’irraggiamento solare annuale mediante l’accumulo di grandi quantità di energia termica.

Al fine di evitare che nei punti freddi delle superfici dello scambiatore sali/acqua di ciclo possa aversi solidificazione dei sali fusi, è necessario ricorrere ad un ciclo secondario di scambio termico, che impiega quale fluido termovettore un “dowtherm” commerciale, la cui caratteristica principale è quella di presentarsi in forma liquida anche a temperatura ambiente.

1 Entrambi questi sistemi permettono una riduzione decisiva del costo dell’energia elettrica solare che si avvicinerebbe ai costi della produzione convenzionale.

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Negli impianti disco-parabole con motori Stirling un paraboloide di alcuni metri di diametro concentra la radiazione su un ricevitore di un motore Stirling in grado di azionare direttamente un generatore elettrico di alcuni kW. Questi impianti sono in grado di inseguire il sole nel suo moto diurno e di ritornare automaticamente in posizione di alba durante la notte.

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Il collettore lineare di Fresnel è costituito da una serie di eliostati lineari, posti orizzontalmente in prossimità del suolo, che riflettono e concentrano la radiazione solare diretta su un tubo isolato termicamente e posto a una decina di metri da terra. Gli eliostati sono in grado di ruotare lungo l’asse longitudinale in modo da inseguire il moto del sole e mantenere costantemente la radiazione solare riflessa sul tubo ricevitore. Questo tipo di collettore è destinato alla generazione di vapore diretta.

In linea di principio questi collettori risultano meno costosi delle parabole lineari, data la maggior semplicità strutturale, e sono in grado di produrre una maggiore potenza di picco per unità di superficie impegnata. Infine temono molto meno i danni causati dal vento poiché i riflettori si trovano al suolo in angolazione quasi orizzontale. Per contro potrebbero avere maggiori problemi di precisione, data la focale di 10 metri, e al momento raggiungono temperature inferiori a quelle ottenute dai paraboloidi lineari. Nella versione attuale infatti sono concepiti per produrre vapore saturo a 270°C, da utilizzare come contributo ai cicli termici Rankine di impianti convenzionali.

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2. Energia dal vento L’energia eolica, cioè l’energia ricavabile dal vento, è una delle fonti di energia primaria a cui l’uomo ha fatto ricorso fin dall’antichità per la propulsione dei natanti (propulsione a vela) e, successivamente, per l’azionamento dei mulini, i cosiddetti mulini a vento. Applicazioni più recenti riguardano l’utilizzazione dell’energia eolica con motori a vento, generalmente adibiti al sollevamento dell’acqua per uso agricolo, oppure la produzione di energia elettrica. In quest’ultimo caso, il vento aziona delle turbine a vento, che esigono una potenza meccanica pressoché proporzionale al cubo della velocità del vento. Le turbine a vento sono costituite da un rotore, composto da un mozzo e da alcune pale (in genere tre, per garantire più efficienza e maggiore silenziosità). Il rotore è accoppiato a un moltiplicatore di giri, che trasforma la rotazione lenta delle pale in una rotazione più veloce, adatta al funzionamento del generatore. Un sistema di controllo, racchiuso all’interno della navicella, regola automaticamente le funzioni dell’intero sistema assicurandone le migliori prestazioni e garantendone la sicurezza (ad esempio attraverso il blocco dell’aerogeneraatore in caso di malfunzionamento o di eccessiva velocità del vento). L’aerogeneratore è sostenuto da una torre ancorata al terreno o, in caso di applicazioni off-shore, al fondale marino.

Per calcolare la potenza fornita dal vento al rotore si può fare riferimento alla teoria di Betz. Le ipotesi base di tale teoria sono le seguenti:

1) il tubo di corrente che attraversa il disco attuatore non interagisce con la restante porzione di fluido che lo circonda;

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2) in ogni sezione di flusso sussiste una distribuzione di velocità permanente, uniforme e monodimensionale lungo l’asse;

3) il rallentamento di vena sul disco attuatore è distribuito uniformemente sulla sezione del disco;

4) nelle sezioni infinitamente a monte e a valle si può ritenere una situazione fluidodinamica indisturbata;

5) il flusso eolico non incontra ostacoli oltre la turbina, né sopravento né sottovento; 6) il vento è stazionario e di intensità costante con la quota; 7) non ci sono effetti di rotazione della vena; 8) si trascura la comprimibilità dell’aria.

La vena fluida, caratterizzata da una velocità v1, raggiunge le pale del rotore. Lì essa viene rallentata fino alla velocità v2.

Naturalmente nel passaggio da 1 a 2 deve valere l’equazione di continuità. Si può quindi scrivere, supponendo costante la densità dell’aria per l’ipotesi 8:

mAvAv &== 2211 ρρ

Deve essere verificata anche l’equazione della quantità di moto, per cui:

vmdtdvvmF =−= )( 21

rr&

F è la forza (orizzontale) esercitata dal flusso sulla macchina, da intendersi come media temporale della forza nell’arco di una rivoluzione completa del rotore. La potenza è dunque:

)( 21 vvmvvFW −== &

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Facendo un bilancio tra entrata e uscita dell’energia cinetica associata alla vena fluida si trova la potenza ceduta:

2

22

21 vvmW −

= & Sarà perciò:

2)(

22

21

21vvmvvvmW −

=−= && e quindi:

221 vv

v+

= Il rallentamento avviene dunque per metà nel tratto di corrente a monte e per metà nel tratto di corrente a valle del disco attuatore.

Definendo un fattore di interferenza 1

1

1

1v

vvvva

−=−= si ottiene:

)1(1 avv −⋅= e quindi è:

)21(12 avv −⋅= Il fattore a rappresenta la misura in cui il flusso viene rallentato a monte della turbina (al massimo a=0,5 quando si ha il blocco del flusso nella sezione 2). Si ottiene quindi la potenza estraibile da un flusso eolico secondo la teoria di Betz:

231 )1(4

21 aavAW −⋅= ρ

La forza agente sul rotore è quindi:

)1(421 2

1 aavAF −⋅⋅⋅= ρ

Imponendo l’annullamento della derivata prima di W rispetto ad a si trova l’interferenza ottimale che vale 1/3. Si può così definire un coefficiente di prestazione:

Av

aaAvc p

31

231

21

)1(421

ρ

ρ −⋅⋅=

che per a=1/3 vale circa 0,6. Si può dunque sottrarre al massimo il 60% della potenza associata alla vena fluida. In realtà tale efficienza è molto difficile da raggiungere, e un aerogeneratore con un'efficienza compresa tra il 40% e il 50% viene considerato ottimo.

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Da una decina d’anni l’energia del vento contribuisce in misura sempre più significativa alla produzione di elettricità in diversi Paesi. Aerogeneratori di diversa taglia (da 500-750 kW fino a pochi anni fa, oggi da 1.500 kW ed oltre) sono installati nelle centrali eoliche collegate alla rete. Di questa fonte viene apprezzata la caratteristica di essere rinnovabile e di consentire generazione pulita di energia elettrica, utilizzando una risorsa primaria disponibile localmente e gratuita. Il fascino di questa fonte è limitato solo dalla bassa concentrazione energetica, che fa sì che gli aerogeneratori debbano avere dimensioni ragguardevoli in rapporto alla loro potenza, con una visibilità non sempre gradevole in rapporto al paesaggio. Sotto l’aspetto operativo, la fonte eolica si rende inoltre disponibile con una marcata aleatorietà ed intermittenza. Il vento è sfruttabile per la produzione di energia elettrica quando la sua velocità è compresa tra un minimo di 4-5 m/s ed un massimo di 20-25 m/s, al di sopra del quale la macchina viene posta fuori servizio per tutelarne l’integrità. Anche all’interno del suddetto intervallo, la produzione a potenza nominale avviene soltanto a velocità del vento superiori alla velocità del vento nominale (attorno a 10-12 m/s). Tutte queste caratteristiche portano ad attribuire alla fonte eolica un ruolo integrativo e non alternativo alle fonti tradizionali; nell’ambito dei sistemi elettrici le centrali eoliche contribuiscono a coprire il carico di base, nelle misura in cui il vento è disponibile. I limiti non hanno comunque impedito alla fonte eolica di svilupparsi con innegabile successo e ormai, a livello internazionale, i costi medi di produzione, secondo recenti stime, indicherebbero una tendenza verso il valore di 0,03 €/kWh, del tutto concorrenziale rispetto ai costi dell'energia generata da fonti convenzionali. Un numero considerevole di impianti è già stato installato nel mondo, non solo da parte di società elettriche, ma anche e soprattutto di investitori privati, grazie allo stimolo di incentivi concessi dai governi dei rispettivi paesi sotto forma di contributi in conto capitale, di prezzi di favore per l’energia immessa nella rete pubblica e, recentemente, anche di meccanismi di mercato basati sui cosiddetti certificati verdi.

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La qualificazione di un sito eolico per l’installazione degli impianti prevede l’individuazione delle aree idonee, la caratterizzazione dei siti individuati, lo studio anemologico di dettaglio, la stesura del progetto, le valutazioni economico-finanziarie. Un’analisi sistematica del territorio mediante modelli matematici consente di evidenziare le macro-aree potenzialmente più ventose, all’interno delle quali vengono individuati, mediante campagne sul territorio, i siti idonei ad ospitare impianti eolici. I dati raccolti nelle indagini anemologiche e in sito sono validati ed elaborati per ottenere valutazioni di producibilità energetica. Nel caso di aree ad orografia complessa è necessario effettuare analisi di dettaglio, mediante più stazioni anemometriche sullo stesso sito e utilizzando opportuni modelli matematici, al fine di trovare la disposizione ottimale delle macchine sul terreno e di massimizzare la resa energetica.

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Per quanto concerne i prodotti commerciali, le macchine eoliche presenti sul mercato possono essere in linea generale raggruppate, con riferimento alla loro potenza nominale, in tre categorie: • aerogeneratori di media taglia connessi alla rete elettrica, con potenza nominale unitaria fino a 1

MW; • aerogeneratori di grande taglia, anche per applicazioni off-shore, con potenza nominale

superiore a 1 MW; • aerogeneratori di piccola taglia, con potenza nominale unitaria generalmente inferiore a 50 kW,

per connessione alla rete BT o sistemi ibridi “stand alone” o in isola. Gli sviluppi qualitativamente maggiori riguardano sicuramente le macchine di media e grande taglia per la realizzazione di centrali eoliche connesse alla rete. Negli anni si è registrato un continuo e rapido incremento della taglia dei singoli aerogeneratori commerciali in termini di potenza nominale, diametro rotore e altezza torre. L’impressionante evoluzione delle dimensioni delle macchine è stata spinta dall’esigenza della riduzione dei costi. A conferma di tale tendenza, i maggiori costruttori hanno già realizzato o comunque stanno sviluppando progetti di macchine di potenza nominale di 3÷5 MW e diametro rotore intorno ai 100 metri. Bisogna tenere conto anche del fatto che probabilmente il mercato delle macchine di grande taglia sarà soprattutto limitato a quei Paesi con caratteristiche del territorio ed infrastrutture adeguate per il loro trasporto e montaggio. Peraltro il loro ingresso sul mercato coincide con lo sviluppo di impianti off-shore. Per quanto riguarda il numero e la tipologia delle pale, le macchine tripala hanno riscosso il maggiore successo commerciale (superano l’80% delle installazioni). Altri costruttori perseguono tuttora la strada del rotore bipala, che ha il vantaggio di essere meno pesante, mentre sembra ormai esaurita l’esperienza industriale del rotore monopala.

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Aerogeneratore General Electric 1,5 MW

• numero pale 3 • lunghezza pale 34 m • area interessata 3.902 m2 • velocità rotore 11÷20 giri/min • altezza torre 65÷100 m • velocità del vento 3÷25 m/s.

Aerogeneratori Offshore General Electric 3,6 MW

• numero pale 3 • diametro rotore 104 m • area circolare interessata 8.495 m2 • velocità rotore 8,5÷15,3 giri/min • velocità del vento accettata 3,5÷27 m/s.

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Relativamente alle modalità di controllo della potenza, gli aerogeneratori di media e grande taglia utilizzano o la variazione del passo delle pale o lo stallo aerodinamico2 (a passo fisso), con prevalenza di quest’ultimo per macchine di media taglia, mentre per le macchine di grande taglia la soluzione a passo variabile, con attuazione indipendente del passo per le tre pale, è quella maggiormente diffusa in quanto ritenuta più affidabile e sicura. Per quanto concerne le modalità di generazione della potenza, è da rilevare come siano sempre più numerose soluzioni che prevedono velocità variabili di rotore, anche se generalmente in un campo non molto ampio, conseguendo una diminuzione dei carichi meccanici sulla linea d’assi e migliori prestazioni in termini energetici e acustici. Un’ulteriore variante di questa soluzione è rappresentata dall’utilizzo di generatori sincroni multipolari (anche a magneti permanenti) che, potendo generare potenza a basse velocità di rotazione, non richiedono la presenza del moltiplicatore di giri fra rotore aerodinamico (normalmente “lento”) e generatore (normalmente “veloce”), con conseguente eliminazione dal sistema di un componente che negli anni può risultare critico in relazione alla sua affidabilità ed ai costi di manutenzione. In ogni caso, prescindendo dalla specifica soluzione progettuale, un aerogeneratore competitivo deve generare energia elettrica a bassi costi e con elevata affidabilità su un arco di vita tecnica attesa di circa 20 anni. Il costo medio delle installazioni eoliche (anno 2008) varia da 2000 $/kW per impianti on-shore a 4000 $/kW per impianti off-shore.

Costi di investimento di un impianto eolico

Impianto % Aerogeneratore 65 Trasporti 3 Montaggio 2 Trasformatori BT/MT, quadri elettrici 6 Opere civili, cavidotti di centrale 15 Linea elettrica di trasmissione, trasformatori MT/AT 5 Ingegneria 4

totale 100

Confronto base di impianti di generazione elettrica per tipologia (USD2007/kW)

Tipo d’impianto Taglia (MW) Costo 2008 Ciclo combinato a gas avanzato 400 948 Carbone (polverino) 600 2058 Carbone (gassificazione e ciclo combinato) 550 2378 Idem con CCS (Carbon Capture & Storage) 400 3496 Nucleare (3° generazione) 1350 3318 Biomassa 80 3766 Rifiuti 30 2543 Eolico on-shore Eolico off-shore

50 100

1923 3851

Solare termico Solare fotovoltaico

100 5

5021 6038

Celle a combustibile 10 5360 Idroelettrico - geotermoelettrico N.D. – variabile con contesto locale

2 Il profilo aerodinamico delle pale è tale che, per valori di velocità del vento superiori alla velocità nominale di

progetto dell’aerogeneratore, si ha una diminuzione intrinseca della potenza estratta dalla vena fluida.

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3. Energia dalle biomasse e dai rifiuti Con il termine di biomassa viene indicata la materia organica, prevalentemente vegetale, sia spontanea che coltivata dall’uomo, terrestre e marina, prodotta per effetto del processo di fotosintesi clorofilliana con l’apporto dell’energia della radiazione solare, di acqua e di sostanze nutritive. Sono quindi biomasse:

• tutti i prodotti delle coltivazioni agricole e della forestazione, • i residui delle lavorazioni agricole e gli scarti dell’industria alimentare, • le alghe, • tutti i prodotti organici derivanti dall’attività biologica animale, • i rifiuti solidi urbani.

Le biomasse possono suddividersi in quattro categorie:

• residui forestali dell’industria del legno (che derivano dalle lavorazioni delle segherie, dalla trasformazione del prodotto legno, dagli interventi di manutenzione del bosco),

• sottoprodotti agricoli (paglie, stocchi, sarmenti di vite, ramaglie di potatura, ecc.), • residui agroalimentari (sanse, vinacce, noccioli, lolla di riso, ecc.), • colture energetiche (che servono per la produzione di biomasse per lo sfruttamento

energetico o per la realizzazione di biocombustibili: girasole, colza, miscanto, canna da zucchero, sorgo da fibra zuccherina, pioppo, acacia, eucalipto, ecc.).

Le biomasse, prodotte e utilizzate in maniera ciclica, costituiscono una risorsa energetica rinnovabile e rispettosa dell’ambiente. Esse sono neutre per quanto attiene l’effetto serra, poiché l’anidride carbonica prodotta durante la loro combustione viene riassorbita dalle piante con la fotosintesi3. Il basso contenuto di zolfo e di altri inquinanti fa sì che, quando utilizzate in sostituzione di carbone e di olio combustibile, le biomasse contribuiscano ad alleviare il fenomeno delle piogge acide.

3 Ad esempio il metanolo, ottenuto da biomasse vegetali ed utilizzato in motori diesel, produce nella combustione anidride carbonica che viene riutilizzata per la crescita delle stesse piante. Il ciclo della CO2 è così perfettamente chiuso.

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In sintesi, i processi di conversione in energia delle biomasse possono essere ricondotti a due grandi categorie:

• processi termochimici, • processi biochimici.

I processi di conversione termochimica sono basati sulle reazioni chimiche esotermiche di combustione delle biomasse (legna e suoi derivati, sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico e taluni scarti di lavorazione quali lolla, pula, gusci, noccioli). I processi di conversione biochimica permettono di ricavare energia per reazione chimica dovuta al contributo di enzimi, funghi e micro-organismi. Risultano idonei alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, ortive, patata, ecc.), i reflui zootecnici e alcune tipologie di reflui urbani e industriali. L’impiego più tradizionale delle biomasse è quello che ha come obiettivo la produzione di calore. Il mercato del calore per il riscaldamento degli edifici vede già ora le biomasse ligno-cellulosiche in posizione di grande competitività nei confronti dei combustibili fossili, a causa dell’alta incidenza delle imposte sui prodotti petroliferi e sul gas naturale per questo uso finale dell’energia. Per il riscaldamento di singoli edifici con biomassa, la tecnologia offre almeno due distinte soluzioni impiantistiche: le caldaie a legna in pezzi grossi e le caldaie a legno sminuzzato (cippato). Le prime, a caricamento manuale e con potenza fino a un centinaio di kW termici, sono adatte per uso familiare. Le caldaie a cippato hanno sistemi di caricamento del combustibile e di controllo della combustione completamente automatici. Le potenze vanno dal centinaio di kWt fino a qualche MWt. Questi impianti sono particolarmente adatti al riscaldamento di edifici di una certa dimensione (alberghi, scuole, ospedali, condomini). Se gli utenti da riscaldare sono numerosi e situati a breve distanza tra loro può risultare conveniente realizzare un impianto di teleriscaldamento a biomassa. Dalle biomasse si può produrre energia elettrica con impianti che utilizzano varie tecnologie. La più diffusa, per taglie di qualche MWe fino ad alcune decine di MWe, si basa sulla combustione in caldaie a griglia o a letto fluido. Il vapore prodotto in caldaia alimenta una turbina che trascina un alternatore. Tali cicli a vapore sono caratterizzati da rendimenti piuttosto limitati: ad esempio, impianti con ciclo a vapore e letto fluido da 10 MWe progettati con criteri moderni hanno rendimenti elettrici dell’ordine del 25÷30%. Il calore non convertito in energia elettrica viene disperso nell’ambiente oppure può essere recuperato negli impianti di tipo cogenerativo che producono calore, impiegato per processi industriali e per il riscaldamento residenziale, ed energia elettrica.

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Impianto a biomasse di Cuijk (Olanda)

Combustibile cippato (virgin wood chips) Portata combustibile 30 t/h Potenza termica prodotta 78 MW Portata vapore 98,7 t/h Pressione vapore 100 bar Temperatura vapore 525°C Potenza elettrica nominale 27,4 MW Pressione condensatore 0,1 bar Avviamento commerciale ottobre 1999

Tecnologie più innovative adottano cicli combinati, che utilizzano una turbina a gas e un ciclo a vapore alimentato dai gas di scarico del turbogas. Per alimentare questo tipo d’impianto con biomasse, le stesse vengono gassificate e depurate: i gas così prodotti alimentano la camera di combustione della turbina a gas. Il rendimento elettrico può raggiungere il 40%. La biomassa può essere convertita in energia elettrica anche in centrali tradizionali alimentate con combustibile fossile, sostituendo una frazione di questo con biomassa (“co-combustione”). Per piccoli impianti, di potenza inferiore al MWe, il rendimento del ciclo a vapore diminuisce drasticamente fino a diventare antieconomico. In questi casi possono essere utilizzati turbogeneratori a fluido organico, in cui la turbina è azionata da vapore organico ad alta massa molecolare. Per potenze ancora minori, installabili presso utenze isolate, sono in fase di sperimentazione prototipi da alcuni kWe basati su motori Stirling o su gassificatori associati a motori a combustione interna.

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Combustibili liquidi possono essere ottenuti da diverse biomasse vegetali. Dai semi delle colture oleaginose (girasole, colza) si ricava olio che, sottoposto a esterificazione, viene convertito in biodiesel, un carburante biodegradabile avente caratteristiche molto simili a quelle del gasolio. Dalla fermentazione di biomasse zuccherine (come barbabietola e sorgo, ma anche mais e frumento) si ricava bioetanolo che, opportunamente trasformato, può essere miscelato alle benzine migliorandone le caratteristiche ottaniche e ambientali. Il bioetanolo può essere ottenuto anche dalle biomasse ligno-cellulosiche (legno, paglia) per idrolisi enzimatica o acida. Mediante un processo di conversione, detto pirolisi, dalle biomasse ligno-cellulosiche si può ottenere un liquido denominato biolio. Il biolio di pirolisi potrà essere in prospettiva utilizzabile per l’autotrazione o in turbine a gas per la produzione di energia elettrica. I reflui animali prodotti dagli allevamenti zootecnici costituiscono una biomassa di notevole interesse a fini energetici, poiché essa può essere trasformata dando luogo alla produzione di biogas (metano). Il processo consiste in una fermentazione in ambiente privo d’aria, detto digestione anaerobica. Con tale processo si ottengono due funzioni: il trattamento di reflui organici, notevolmente inquinanti, e la loro conversione in energia. Il biogas prodotto può essere infatti utilizzato in loco per produrre energia termica ed elettrica mediante sistemi di cogenerazione o per alimentare un impianto a ciclo combinato.

Impianto a ciclo combinato integrato, con sistema di gassificazione atmosferica per la conversione di biomassa in energia elettrica

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Nell’ambito della promozione delle fonti energetiche rinnovabili la valorizzazione energetica dei rifiuti solidi urbani (RSU)4 costituisce un’operazione realisticamente praticabile e quantitativamente significativa, benché sia attualmente relegata in Italia a un valore marginale5, inferiore alla maggior parte dei Paesi europei. Ciò comporta innanzitutto una riduzione progressiva dell’utilizzo della discarica (oggi circa il 76% dei rifiuti solidi urbani in Italia è smaltito in discarica). Gli RSU indifferenziati, cioè i rifiuti a valle dei recuperi di frazioni merceologiche attuati con la raccolta differenziata, presentano caratteristiche chimico-fisiche particolarmente idonee per essere utilizzati come combustibili in moderni impianti di termovalorizzazione (WTE), ad elevata efficienza energetica, sempre più simili a centrali termoelettriche alimentate a combustibili poveri.

4 I rifiuti sono da annoverare fra le fonti energetiche rinnovabili in Italia da un punto di vista strettamente normativo (decreto legislativo n. 79 del 1999). Da un punto di vista tecnico occorre tenere conto che alcuni componenti (plastiche, fibre) provengono da fonti di origine fossile. Sono quindi certamente rinnovabili solo le componenti biodegradabili. 5 Complessivamente oggi in Italia si sottopongono a combustione circa 2 milioni di tonnellate annue, pari all’8% degli RSU prodotti.

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I parametri qualitativi e quantitativi dei rifiuti sono fortemente cambiati nel tempo in funzione delle mutate condizioni socio-economiche. Si è passati da una produzione annua di circa 250÷270 kg/abitante nel 1975-80 agli oltre 500 kg pro-capite attuali. Di pari passo si è riscontrato un aumento del potere calorifico, soprattutto per la diffusione di imballaggi in plastica e materiale cellulosico. Il potere calorifico inferiore nel 1980 era di circa 1550 kcal/kg; agli inizi degli anni ’90 era già pari a 2000 kcal/kg; nel 2000 raggiungeva 2800 kcal/kg (11,7 MJ/kg).

Composizione tipica dei rifiuti solidi urbani nel 2000 e loro grado di rinnovabilità

RSU – frazioni secche Componente

Grado di rinnovabilità

% Contenuto

% Frazione rinnovabile

% carta e cartoni (cellulosici) 100 41 41 plastiche e gomme 0 17 0 organico 100 18 18 legno 100 3 3 tessili 50 3 1,5 vetro e inerti 0 8 0 metalli 0 4 0 sottovaglio 60 6 3,6

Totale 100 67,1 Carbonio totale % in peso 31

p.c.i. MJ/kg

11,7 Gli impianti WTE hanno combustore a griglie raffreddate ad acqua e caldaia a tubi d’acqua, sistemi di depurazione dei fumi con denitrificatore, torre di condizionamento, sistema di iniezione a secco di calce e carbone attivo, filtri per il trattenimento delle ceneri. Le percentuali di ossigeno nei fumi sono prossime al 6%, con temperature all’uscita dell’economizzatore intorno a 170÷200°C. Il vapore prodotto ha temperature fino a 450 °C e pressioni di 40÷50 bar. I rendimenti elettrici netti raggiungono valori intorno al 25%.