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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Magistrale in Fisica STUDIO DELL’EFFETTO LEADING E MISURA DELL’ENERGIA EFFETTIVA IN COLLISIONI pp CON IL RIVELATORE ALICE A LHC Tesi di Laurea in Fisica Sperimentale Relatore: Chiar.mo Prof. LUISA CIFARELLI Correlatore: Dr. FRANCESCO NOFERINI Presentata da: MASSIMO BRIDA Sessione II Anno Accademico 2010/2011

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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALICorso di Laurea Magistrale in Fisica

STUDIO DELL’EFFETTO LEADINGE MISURA DELL’ENERGIA

EFFETTIVA IN COLLISIONI pp CONIL RIVELATORE ALICE A LHC

Tesi di Laurea in Fisica Sperimentale

Relatore:Chiar.mo Prof.LUISA CIFARELLI

Correlatore:Dr. FRANCESCO NOFERINI

Presentata da:MASSIMO BRIDA

Sessione IIAnno Accademico 2010/2011

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Indice

Introduzione 5

1 La fisica di ALICE 71.1 Cenni sul QGP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.2 Molteplicità in collisioni pp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

2 Il rivelatore 252.1 I sottorivelatori principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

2.1.1 La regione centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272.1.2 Il TOF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.1.3 La regione in avanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

2.2 Zero Degree Calorimeters . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.3 Il trigger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3 Analisi di simulazioni Monte Carlo 473.1 Selezione degli eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 473.2 Calibrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493.3 Accettanza dei calorimetri ZDC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593.4 Distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593.5 Deconvoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

4 Analisi di dati del 2010 654.1 Calibrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 654.2 Distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 684.3 Deconvoluzione nei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

Conclusioni 75

Bibliografia 79

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Introduzione

Lo scopo della tesi è lo studio della produzione di barioni ad alta rapidità(effetto leading) in collisioni protone-protone a

√s = 7 TeV con il rivelatore ALICE

a LHC. Questo studio rappresenta un primo tentativo di utilizzo dei calorimetri azero gradi di ALICE per caratterizzare gli eventi in collisioni pp a

√s = 7 TeV.

In primo luogo è stata svolta un’analisi su eventi prodotti da simulazioni MonteCarlo, volta a studiare la risposta dei rivelatori alla scala di energia appena citata,a valutarne l’accettanza e a confrontare le distribuzioni MC con quelle di prece-denti esperimenti (presso ISR e HERA). In particolare il lavoro si è concentratosull’indipendenza degli emisferi rispetto all’effetto leading e sulla misura delle di-stribuzioni barioniche in avanti. Per estrarre la corretta forma della distribuzionebarionica da quella misurata, rimuovendo gli effetti di risoluzione, è stato eseguitoun fit polinomiale scegliendo una base di polinomi di Legendre.

La medesima analisi è stata ripetuta su un insieme di dati raccolti nella pri-mavera del 2010 presso LHC, confrontando i risultati con quanto atteso dallasimulazione e con quanto trovato a scale di energia più basse.

I risultati qui presentati sono da considerarsi provvisori in quanto studi piùdettagliati sono necessari per valutare più precisamente l’accettanza dei calorime-tri.

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Capitolo 1

La fisica di ALICE

A Large Ion Collider Experiment (ALICE) è uno dei quattro esperimenti prin-cipali in funzione presso il Large Hadron Collider (LHC) del CERN. È l’unicodedicato allo studio delle collisioni fra ioni pesanti, pertanto è stato progettato ecostruito con caratteristiche adatte alla rivelazione di eventi con una produzionemolto elevata di particelle nello stato finale. La tipologia degli eventi oggetto del-l’analisi di ALICE e le peculiarità rispetto ad altri esperimenti derivano dalle moti-vazioni di fisica che hanno spinto alla sua realizzazione, prima fra tutte la confermadi quanto già noto dalla cromodinamica quantistica (Quantum ChromoDynamics- QCD) sulle interazioni di colore con un alto numero di particelle partecipantie l’indagine sulle nuove frontiere aperte dallo sviluppo della teoria e da recentiesperimenti.

1.1 Cenni sul QGP

La QCD è una teoria di gauge dell’interazione di colore fra i campi fermionicie i campi gluonici. I primi sono descritti come rappresentazioni fondamentali delgruppo SU(3)color, mentre i secondi come rappresentazioni aggiunte dello stessogruppo. Trattandosi di un gruppo non abeliano, lo scambio del grado di libertàdel colore che caratterizza le interazioni fra i diversi campi è possibile anche fragli stessi bosoni vettori, i gluoni. Così, un quark ipoteticamente isolato polarizzail vuoto con una nube di coppie quark-antiquark e gluoni colorati. I loop gluonicirendono la regione attorno al quark abbondante di cariche di colore dello stessosegno di quella del quark stesso. Una carica di prova che attraversa questa nubeavverte una carica di colore ridotta man mano che si avvicina al quark. Subendouna forza di minore intensità, l’accoppiamento è più debole a piccole distanze perquesto effetto di antischermatura della carica di colore. L’implicazione diretta diquesto ragionamento è che l’intensità dell’interazione di colore cresce all’aumentare

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della distanza dalla carica di colore (v. fig. 1.1). Ovvero l’esistenza di loop bosonicinel calcolo delle ampiezze di probabilità ha come conseguenza il particolare runningdella costante di accoppiamento forte αS al variare dell’energia.

Figura 1.1: Andamento dell’accoppiamento forte con la distanza dalla sorgente [1].

L’aumento dell’accoppiamento con la distanza determina il confinamento deipartoni all’interno degli adroni. Infatti non sono riportate osservazioni né di quarkné di gluoni liberi: essi generano jet dai quali è possibile ricavare una misura delleloro proprietà. In esperimenti di collisione fra particelle, aumentando l’energia edunque il quadrimpulso trasferito, ci si sposta a sinistra lungo l’ascissa del grafico infigura 1.1, verso valori di αS via via decrescenti. Ciò significa che a basse energienon è possibile svolgere sviluppi perturbativi a causa del valore della costantedi accoppiamento forte, al contrario di quanto accade alle alte energie, quandol’interazione lega meno i partoni all’interno degli adroni e la QCD diventa unateoria calcolabile. La scoperta di questo fatto, noto come libertà asintotica, è valsoil Nobel nel 2004 a David J. Gross, H. David Politzer e Frank Wilczek. Se netrae la conclusione che sarebbe possibile, a partire dalla materia adronica in faseconfinata, produrre uno stato di materia deconfinata attraverso un’interazione adalta energia, in cui perde senso la definizione di adrone in quanto i partoni nonsono più vincolati a rimanere legati per formare singoletti di colore. Tale statodella materia prende il nome di plasma di quark e gluoni (Quark Gluon Plasma -QGP).

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Lo studio del QGP è interessante per indagare la transizione di fase che portaalla sua formazione a partire dalla materia adronica ordinaria. Vari modelli di QCDperturbativa sono stati sviluppati per ricavare le proprietà del plasma e prevederela sua evoluzione. Dal punto di vista sperimentale si possono fare delle osservazionise si riescono a ricreare le condizioni alla base della transizione di fase, vale a direalta energia o alta densità. Essendo la condizione di alta densità presente solonelle stelle di neutroni, in laboratorio è più accessibile la prima situazione. La viamigliore per realizzarla è attraverso la collisione di ioni pesanti ultrarelativistici, iquali, per effetto della contrazione lorentziana, si presentano come bersagli sottili.Per questo motivo si considera la collisione come un’interazione che avviene fra isingoli nucleoni.

Una variabile importante nello studio dell’evoluzione del QGP è la densità dienergia, nel seguito indicata con ε, in quanto determina la transizione di fase. Fra imodelli teorici, quello di Bjorken [2] fornisce un’espressione per la densità di ener-gia che è legata ad altre variabili rilevanti che gli esperimenti passati e presenti sipropongono di misurare. La formula da lui suggerita è la seguente:

ε =3

2

〈mT 〉τfS

dNch

dy(1.1)

dove 〈mT 〉 è il valore medio della massa trasversa mT =√p2t/c

4 +m2, nel sistemadel laboratorio, delle particelle prodotte nella collisione, τf è il tempo caratteristicodi formazione del QGP, stimato a partire dal tempo di compenetrazione dei nucleie posto convenzionalmente pari a 1 fm/c, S è l’area di sovrapposizione dei nucleiincidenti, Nch è la densità di particelle cariche nello stato finale e y = 1

2ln(1+β1−β

la rapidità. Da calcoli di QCD non perturbativi, nell’ipotesi di un diverso numerodi sapori di quark interagenti, è possibile ricavare un andamento della densità dienergia in funzione della temperatura del plasma, come si vede in figura 1.2. Que-sto andamento è confrontato con i risultati sperimentali finora ottenuti e le stimedi quanto si spera di ottenere dalle collisioni fra ioni pesanti a LHC.

La progettazione di ALICE è stata fortemente influenzata dagli obiettivi che lacollaborazione si prefigge, e per ripetere e migliorare le misure sul QGP effettuateda altri esperimenti bisogna partire dai loro risultati e porsi la domanda di qualisiano le caratteristiche tecniche da sfruttare per lo scopo voluto.

Le prime collisioni fra ioni pesanti furono oggetto di studio a partire dagli anni’70. Ognuno degli esperimenti dedicati allo studio della materia adronica è rea-lizzato per indagare una parte dello spazio delle fasi in figura 1.3. Un parametroimportante per caratterizzare la transizione di fase e poter conoscere la regionedel diagramma in cui compiere ricerche è la densità di energia a cui avviene la

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Figura 1.2: Andamento della densità di energia ε in unità di T 4 in funzione dellatemperatura, da calcoli di QCD non perturbativi [3].

transizione stessa. Da calcoli di QCD si fornisce per la densità critica una stimanell’intervallo (1 ÷ 2) GeV/fm3. Questo valore va confrontato con quanto è otte-nibile dalla formula 1.1 basandosi sulle misure delle grandezze che vi compaiono.All’inizio del 2000 presso il Brookhaven National Laboratory a Long Island entròin funzione il Relativistic Heavy Ion Collider (RHIC), un collisore di ioni oro erame a energia di 100 GeV per nucleone nel centro di massa con una luminositànominale di 2 ·1026 cm−2s−1. Nel frattempo era già attivo al CERN il Super ProtonSynchrotron (SPS) anche come acceleratore di ioni piombo a energia di 17.7 GeVper nucleone nel centro di massa [5]. Fu con gli esperimenti condotti presso que-sto acceleratore che si poté indicare un limite inferiore per ε a (2 ÷ 3) GeV/fm3,superiore a quanto atteso dal calcolo teorico.

Assieme a questo, le prove della formazione del QGP si possono suddividerein due classi a seconda del ritardo temporale con cui si possono rivelare rispettoalla formazione stessa del plasma: sono denominate hard e soft. Fra le prime, lasoppressione della J/ψ, che al tempo è stato il principale indizio oltre alla misuradella densità di energia, mentre fra le seconde il flusso ellittico. I quark pesantic e b possono essere prodotti solo quando l’energia del sistema è superiore allasoglia di produzione, e data l’alta densità e la proprietà di antischermatura dellacarica di colore, avviene la creazione di quark di altri sapori cui si legano i c, por-tando dunque alla soppressione degli stati legati cc̄. Nella figura 1.4 è riportatoun riassunto delle misure effettuate a SPS sulla produzione di J/ψ in collisioni diadroni, dove si vede il deficit della misura rispetto al valore atteso per densità di

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Figura 1.3: Diagramma di fase della QCD. È evidenziata la transizione di fase tra lamateria adronica ordinaria e il QGP [4].

energie superiori a 2 GeV/fm3. Nella seconda classe di prove della formazione delQGP rientra il flusso ellittico. Con questa espressione ci si riferisce all’anisotro-pia dell’emissione di particelle in seguito a un urto che non avviene alla massimacentralità. La centralità è definita come la differenza percentuale fra la superficieofferta da un nucleo alla collisione e l’area sovrapposta all’altro nucleo (questa es-sendo S nella formula 1.1). La regione di sovrapposizione dei nuclei ha una formaellissoidale, come nella rappresentazione in figura 1.5. A causa del gradiente dipressione che si sviluppa all’interno dell’ellissoide, l’anisotropia si riflette nell’e-missione di particelle dalla regione della collisione, essendo questa preferenziale sulpiano della reazione. Il grafico riportato in figura 1.6 mostra i risultati ottenutipresso RHIC nella valutazione del flusso ellittico, con il confronto con calcoli teoriciper tipo di particelle. I nucleoni che non partecipano alla collisione prendono ilnome di spettatori, in quanto non determinano né la produzione di altre particellené l’evoluzione del sistema.

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Figura 1.4: Misura della soppressione della J/ψ a SPS.

Figura 1.5: Rappresentazione artistica della collisione fra due nuclei. In blu la parte dinucleoni spettatori. Le frecce rappresentano la direzione e intensità del flusso di particelleuscente dalla zona di sovrapposizione.

Fu principalmente la scoperta della soppressione della J/ψ, assieme al limiteinferiore suggerito per ε, che portò all’annuncio della scoperta del QGP al CERN al-

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Figura 1.6: Misura del flusso ellittico effettuata presso RHIC [6]. Il parametro ν2 èil primo coefficiente dello sviluppo in serie di Fourier di dNch/dpt. Le linee continuederivano da calcoli teorici.

l’inizio del 2000. In seguito con l’operatività di RHIC si approfondirono le ricerche,fino a quando nel novembre 2010 l’energia di LHC superò quella dell’acceleratoreamericano.

LHC accelera ioni piombo fino a energie nel centro di massa di 2.76 TeV percoppia di nucleoni. Ad alte energie la collisione avviene fra i costituenti fonda-mentali degli adroni, cioè i partoni. In ultima analisi ciò che determina l’energiadell’interazione è il quadrimpulso trasferito fra la sonda e il partone con cui inte-ragisce (minore è la lunghezza di de Broglie di una particella, maggiori sono le suecapacità di sonda). Il salto principale rispetto al passato consiste in un aumen-to marcato dell’energia fornita alle particelle interagenti e nella costruzione di unrivelatore con caratteristiche ad hoc per collisioni di ioni.

Le variabili che destano l’interesse principale riguardo alle diverse fasi dellosviluppo temporale del QGP (v. fig. 1.7) sono: la densità di energia critica εa cui si ha la formazione del plasma; il tempo di formazione del plasma τQGP0

al quale si raggiunge l’equilibrio termodinamico nelle interazioni fra partoni; iltempo di ritorno a una fase confinata, detto tempo di adronizzazione o di freezeout chimico τQGP ; il tempo in cui cessano le interazioni nella zona centrale dellacollisione, o tempo di freeze out τfo. Con il miglioramento delle caratteristichetecniche degli acceleratori, soprattutto l’aumento dell’energia fornita per nucleonee la luminosità, nel tempo sono cambiati i valori accessibili di queste grandezze,come si vede nella tabella 1.1 . Nell’era di LHC, al momento il più potente collisore

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Figura 1.7: Evoluzione temporale del QGP.

di adroni al mondo, si spera di poter gettare luce con molta più precisione sugliaspetti ancora non noti del QGP.

In sintesi, l’interazione fra ioni pesanti ultrarelativistici permette di raggiungerele condizioni di temperatura e densità di energia per la formazione del QGP. Con ilrivelatore ALICE è possibile aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza dellaQCD perturbativa, per studiare la transizione di fase fra la materia adronica e ilplasma e investigarne le equazioni di stato. Come si è esposto in questa sezione,una variabile molto importante è la molteplicità di particelle cariche per unità dipseudorapidità, e nel seguito si sviluppa un argomento essenziale per una migliorestima di questa grandezza.

SPS RHIC LHCτQGP0 [fm/c] 1 0.2 0.1ε [GeV/fm3] 3 35 500τQGP [fm/c] ≤ 2 2-4 ≥ 10τfo [fm/c] 10 20-30 30-40

Tabella 1.1: Tabella riassuntiva di confronto fra i valori accessibili dei parametricaratteristici del QGP a diversi acceleratori.

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1.2 Molteplicità in collisioni pp

Oltre a focalizzarsi sull’importanza della fisica degli ioni pesanti, per ALICEè stato elaborato un ricco programma di ricerca anche in collisioni fra protoni. Ilprincipale interesse sul confronto fra le due situazioni è dato dalla valutazione delfondo dovuto alla QCD che si osserva in collisioni pp.

L’andamento della molteplicità di particelle cariche in funzione dell’energia nelcentro di massa caratterizza lo stato finale di un’interazione. La domanda a cui ri-spondere è se la produzione di particelle sia legata alle caratteristiche cinematichedella collisione, e se la descrizione di un evento con un alto numero di nucleoni inte-ragenti possa essere riferita alle medesime grandezze usate nello studio di collisionifra due particelle. A tale scopo è importante esaminare il comportamento di 〈nch〉al variare di

√s per diversi tipi di urti per vedere se si ritrova un comportamento

che suggerisca l’efficacia nell’utilizzare proprio questa variabile. Per giungere aspiegare come uno studio di questo tipo sia fattibile con il rivelatore ALICE incollisioni pp è interessante richiamare le conoscenze acquisite in precedenza a par-tire dai risultati degli esperimenti presso l’acceleratore Intersecting Storage Rings(ISR) al CERN.

ISR è stato il primo collisore di adroni al mondo, operativo dal 1971 al 1984.Come acceleratore di protoni poteva fornire un’energia massima di 56 GeV nelcentro di massa e una luminosità di 4 · 1030 cm−2s−1 [7], valore superato solo nel2004. Il programma di ricerca iniziale comprendeva misure della sezione d’urtopp, dei picchi di diffrazione in interazioni di scattering elastico, spettri di particellenote e ricerca di nuove particelle. Il principale merito di ISR fu di aver reso chiarocome fosse possibile con questo tipo di esperimenti ottenere risultati significativi.La principale limitazione durante gli anni di operatività derivava dal non poteraumentare ulteriormente la luminosità, comunque questo non impedì di trarreconclusioni interessanti da confrontare con analoghi esiti di esperimenti condottipresso acceleratori per e+e−.

In merito alla molteplicità carica media ricavata da collisioni e+e−, un buoncompendio dei risultati ottenuti al Deutsches Elektronen-Synchrotron (DESY) diAmburgo è riportato in [8] (v. fig. 1.8), con diversi fit possibili tratti da unavalutazione empirica o da calcoli di QCD nell’approssimazione leading log per lacostante di accoppiamento. A basse energie i calcoli suggeriscono un andamentolegato a parametri della QCD, mentre nella regione più a destra un fit empiricopossibile è un polinomio di ln(s). Ciò concorda con quanto trovato da esperimentiprecedenti [9]: i risultati di ISR a basse energie sono ben descritti da un andamentoproporzionale a ln(s), mentre in un intervallo di energia più alta si accordanomeglio con ln2(s).

Il confronto fra la misura di 〈nch〉 a energie maggiori apre uno scenario inte-ressante. La figura 1.9, tratta da [10], mostra una discrepanza rispetto al fit dei

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Figura 1.8: Molteplicità carica media in funzione di√s.

dati da e+e− per quanto misurato in pp. La molteplicità carica media (in figura icerchi vuoti) appare sistematicamente più bassa a parità di energia nel centro dimassa, comportamento che suggerisce che l’energia a disposizione nella collisionein questo caso non sia

√s. Questa considerazione è dovuta al fatto che se si cam-

bia la variabile cinematica di riferimento in modo opportuno allora l’andamentodella molteplicità carica media assume un aspetto universale. Se si ipotizza chela giusta dipendenza non sia dall’energia nel centro di massa ma da una quantitàdenominata energia effettiva Eeff , ottenibile da

√s con un opportuno riscalamento

a seconda del tipo di collisione, allora le discrepanze nei dati spariscono. In talemodo si asserisce che l’energia disponibile nel centro di massa in urti pp, e più ingenerale in collisioni dove vi sia almeno un adrone nello stato iniziale, non sia

√s

ma questa energia ridotta. Ciò a causa di un fenomeno, noto come effetto leading,che consiste nell’alta probabilità di emissione in avanti, nella direzione dei fasciincidenti, di un adrone con grande componente longitudinale dell’impulso e checonservi il flusso dei numeri quantici.

Si definisce leading un adrone con alta componente longitudinale dell’impulso,

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Figura 1.9: Molteplicità carica media in funzione di√s misurata in e+e− e in pp. La

linea tratteggiata mostra un fit logaritmico ai dati da e+e−.

fra i prodotti primari di una collisione. In collisioni pp la particella leading è unbarione. Più precisamente, in un generico evento

p y → p′ Y

con Y che indica un qualsiasi stato finale anche ad alto numero di particelle, p′è un barione leading se trasporta una parte dell’impulso del fascio e conserva ilnumero barionico. Questo perché l’effetto leading è legato alla conservazione delflusso di numero quantici in collisioni che avvengono fra fasci di adroni (in questocaso si stanno considerando protoni). La particella che porta la maggior parte deicostituenti dell’adrone dello stato iniziale (p) porta anche i loro numeri quanticidi flavour, colour e JPC [11]. La sua caratteristica di essere un barione leadingconsiste nel portare una frazione consistente dell’impulso di p e di essere emessoa grande rapidità. La peculiarità della fenomenologia risultante è l’abbassamentodell’energia effettiva disponibile per un’interazione. Trattandosi di interazioni dicolore fra adroni, avviene l’adronizzazione dei partoni che hanno in ultima analisipreso parte all’evento, cosicché la topologia degli stati finali osservati differiscerispetto alle collisioni fra leptoni. Il modo in cui la produzione di adroni è diversa

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in collisioni e+e− rispetto a pp è ben rappresentato in figura 1.10. In queste ultimela mancanza di correlazione nell’emissione di barioni leading implica la produzionedi jet con energie scorrelate.

Figura 1.10: Confronto schematico fra collisioni e+e− e pp [12].

I barioni leading sono emessi ad angoli molto piccoli rispetto all’asse dei fasci,che equivale a dire ad alta pseudorapidità, e dunque necessitano rivelatori dedicatiper poter raccogliere un loro segnale. Queste particelle, se cariche dunque protoni,tenderebbero a rimanere all’interno della beam pipe. Avendo però un momento edi conseguenza un’energia inferiore alle altre che circolano all’interno del sistemadi accelerazione, sono presto deflesse a un raggio di curvatura inferiore. Da qui lanecessità di rivelatori posti a distanza dal punto di interazione e in grado di racco-gliere particelle con alta rapidità, quindi vicino all’asse dei fasci. Ci si è riferiti aibarioni carichi in termini di protoni, infatti qualora ci sia la produzione di risonan-ze barioniche come prodotti immediati della collisione, nella grande maggioranzadei casi decadono prima di raggiungere il rivelatore e così il segnale raccolto è spu-rio benché appartenga a un protone. Può anche avvenire la produzione di barionineutri, dunque sarà necessario a sua volta un apparato sperimentale in grado diraccogliere neutroni emessi a basso angolo e con alta energia. L’argomento saràtrattato nel dettaglio nella sezione 2.2.

Assumendo l’effetto leading si possono dare due definizioni di energia effettiva.La prima si basa sulla misura evento per evento dell’energia del barione leadingemesso in uno dei due emisferi in cui un evento si osserva, rispetto al punto diinterazione. Indicando con Eleading

i tale energia nell’emisfero i, l’energia effettiva

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in quello stesso emisfero è

Eeffi =

√s

2− Eleading

i . (1.2)

In eventi che mostrano la produzione di due barioni leading, uno in ciascun emi-sfero, si può anche considerare la massa invariante disponibile per la collisione

M =√s(1− xF 1)(1− xF 2) (1.3)

dove xF i = 2pLi/√s è la Feynman-x del barione leading nell’emisfero i. È provato

che le due definizioni qui riportate sono entrambe efficaci per la descrizione delsistema [10].

I processi che portano all’emissione di barioni leading non sono ancora bencompresi all’interno della QCD. Sono legati all’interazione fra partoni, oppure fraun partone e un bosone vettore dell’interazione elettromagnetica o debole. Perstudiare la fenomenologia correlata con l’effetto leading, le proprietà cinematichedei barioni emessi a basso angolo e la conservazione del numero barionico, alcu-ne collaborazioni lo hanno incluso nel loro programma di ricerca. Un importanterisultato ottenuto presso ISR riguarda l’indipendenza degli emisferi rispetto al-l’effetto leading. Ciò consiste nella misura della distribuzione in Feynman-x deibarioni emessi nelle due direzioni possibili rispetto al punto di interazione. Comesi vede in figura 1.11, non vi è alcuna correlazione fra gli emisferi.

In seguito ai risultati di ISR era chiara la necessità di indagare più a fondola natura delle interazioni forti, e anche che per comprenderle meglio non si po-teva prescindere dalla struttura interna dei nucleoni. Quindi, benché non fossemanifestamente fra gli obiettivi principali ma di sicuro in stretta relazione con ilprogramma di fisica per cui era stato costruito, fu dedicato un certo spazio all’ef-fetto leading anche al collisore Hadron Elektron Ring Anlage (HERA) al DESY.HERA è stato operativo dal 1992 al 2007 e faceva scontrare elettroni, o positroni,con protoni a energie nel centro di massa di 318 GeV. Uno dei risultati più impor-tanti è arrivato con la determinazione delle funzioni di struttura partoniche con gliesperimenti di diffusione anelastica profonda (deep inelastic scattering - DIS), chemettevano in evidenza come procedesse l’interazione fra un leptone ad alta energiae uno dei partoni del protone. Fra i diversi stati finali possibili, in alcuni appareevidente la presenza di un protone leading. La figura 1.12 mostra il diagramma diFeynman all’ordine più basso per un’interazione e±p. Lo stato finale è formato daun protone che non ha la stessa energia di quello incidente in quanto parte è stataconvertita nella produzione di uno stato finale a molte particelle genericamente in-dicato con X. Lo stato X può essere il risultato di un’interazione elettromagnetica,come mostra la figura 1.13, o debole, in corrente carica o neutra.

Fra i risultati ottenuti presso HERA è opportuno citare le distribuzioni dibarioni leading carichi e neutri, riportate in figura 1.14.

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Figura 1.11: Indipendenza degli emisferi verificata a ISR: a sinistra la distribuzione inFeynman-x dei protoni leading a

√s = 62 GeV, nei due emisferi indicati con 1 e 2; a

destra il profilo della stessa distribuzione lungo uno dei due assi [13].

Per quanto riguarda la topologia dell’interazione e la struttura interna delleparticelle incidenti, con la risoluzione raggiunta dagli esperimenti era possibile mi-surare frazioni estremamente piccole di impulso del protone trasportate dal partoneche interagiva con il leptone. Detta x questa frazione e Q2 il modulo quadro delquadrimpulso del bosone vettore scambiato, il legame con pL è dato dalla relazione

x =Q2

Q2 +M2X

(1− pL)

dove M2X è il quadrato della massa invariante del sistema X di particelle prodotte.

Si vede che questa quantità è legata al tipo di interazione, e che la topologia e Q2

forniscono importanti informazioni da confrontare con modelli di QCD.Un altro motivo di forte interesse per lo studio dell’effetto leading viene dal

legame con gli eventi diffrattivi (diffractive events). Si definiscono tali, eventi dicollisione fra protoni, o di un protone con un leptone, in cui un (o il) protonerimane quasi intatto mentre lo stato finale presenta anche una grande molteplicitàdi particelle prodotte, con un grande intervallo vuoto in pseudorapidità rispettoal protone stesso. Si denota questa situazione anche come interazione senza scam-bio di colore (colourless) dal momento che, indicato con X lo stato finale esclusoil protone leading, esso nella sua totalità è un singoletto di colore e in analogiaalla figura 1.12 può essere pensato come il risultato di un’interazione fra adroni

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Figura 1.12: Diagramma di Feynman all’ordine più basso per un generico processo e±p→e′p′X. I momenti trasferiti ai vertici del leptone e del protone sono indicati con q e t,mentre W è l’energia nel centro di massa del sistema γp [14].

Figura 1.13: Diagrammi di Feynman di interazioni elettromagnetiche e±p. Sono icontributi all’ordine più basso alla formazione dello stato finale della figura 1.12 [14].

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Figura 1.14: Tasso di produzione di protoni (cerchi pieni) e neutroni (cerchi vuoti) infunzione della variabile Feynman-x a HERA [15]. Le bande rappresentano l’incertezzasistematica.

in cui non c’è scambio di numeri quantici fra i partoni. Nel caso di collisioni e±pla topologia finale è la medesima, ed è come se il protone rimanesse integro dopol’interazione con il leptone pur scambiando una certa quantità di momento conil fotone virtuale. Fa differenza un evento non diffrattivo (non-diffractive) in cuiè come se i partoni dei due adroni si scambiassero colore e gli adroni si rompes-sero, risultando in una produzione uniforme di particelle. Gli eventi diffrattivi sipossono a loro volta classificare come mostrato in figura 1.15. Lo studio di eventidiffrattivi serve ad approfondire la conoscenza su diverse questioni di QCD. Daessi si possono trarre importanti informazioni sulla struttura interna del protonee sulla sezione d’urto pp. Comprendere meglio la struttura dei nucleoni permettedi trarre conclusioni confrontabili con i risultati teorici di QCD non perturbativa,in particolare con simulazioni sulla natura del nucleone stesso. Ciò è alla base diuna migliore comprensione dei processi all’origine dei fenomeni oggetto di studiodella QCD.

Tornando a considerare solo eventi pp, a cui fa riferimento questa tesi, comegià anticipato si può dire che la produzione di barioni leading contribuisce alla

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Figura 1.15: Diagrammi di Feynman rappresentanti la distinzione fra eventi di diffusioneelastica e anelastica diffrattiva [16]. Le regioni colorate dei piani η − φ rappresentanoquelle in cui vi è maggiore abbondanza di particelle nello stato finale: si notano gliintervalli di rapidità.

quantità di dati ancora da spiegare tramite la QCD non solo come fenomeno fisicoin sé ma, come visto nel corso della sezione, anche in relazione ad altri fatti fon-damentali. Dopo una presentazione dei risultati finora ottenuti sull’argomento, cisi chiede quali siano i nuovi traguardi da raggiungere e quali caratteristiche debbaavere un rivelatore per poter migliorare la conoscenza in merito. Non vi è dubbioche un aumento dell’energia nel centro di massa ai livelli possibili a LHC aiutanell’espandere la regione di indagine di ALICE verso zone prima inaccessibili adaltri esperimenti. Finora sono stati accelerati protoni fino a

√s = 7 TeV, mentre

per collisioni Pb-Pb è stata raggiunta un’energia nel centro di massa per coppia dinucleoni di 2.76 TeV. Tutto ciò comporta la necessità di verificare che uno studiosull’effetto leading, che comporta la valutazione di variabili come la molteplicitàcarica media al variare della pseudorapidità, sia possibile con un rivelatore pro-gettato per essere operativo in collisioni di ioni pesanti. I dettagli su ALICE sonoesposti nel capitolo 2, mentre nelle prossime righe si dà menzione dello studio difattibilità sulla molteplicità carica in collisioni pp [10].

Innanzitutto è da notare come ALICE sia in grado di misurare la molteplicitàcon buona accuratezza, alta efficienza e accettanza. In collisioni pp, definito lea-ding il barione (protone o neutrone) con il maggiore impulso longitudinale e quindiriscalando opportunamente l’energia disponibile per la creazione di particelle, lesimulazioni suggeriscono un accordo con i dati e+e− per l’andamento della molte-plicità. Ad ALICE durante i periodi di fisica con collisioni pp sono selezionati tipidi eventi per i quali si richiede alta efficienza di trigger, nello specifico si trattadi eventi minimum bias. Questa categoria comprende interazioni anelastiche nondiffrattive e con singola e doppia diffrazione, in modo più sintetico tutti gli even-ti anelastici che sarebbero visti da un trigger con selezione assai poco ristretta.Come sarà specificato nella sezione 2.2 ALICE è equipaggiata con strumentazioneappropriata per rivelare barioni leading in un ampio intervallo di energie e impulso

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longitudinale. La molteplicità carica nel caso di collisioni fra ioni pesanti raggiungevalori molto alti, la misura a

√s = 2.76 TeV per coppia di nucleoni è riportata in

figura 1.16.

Figura 1.16: Confronto della misura della molteplicità carica per unità di pseudorapiditàin ALICE per collisioni Pb-Pb centrali e pp nonsingle diffractive con diversi modelliteorici [17]. Il valore fornito è dNch/dη = 1584± 4(stat)± 76(syst).

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Capitolo 2

Il rivelatore

Il rivelatore ALICE è stato progettato per rispondere alle esigenze dettatedalla fisica delle collisioni fra ioni pesanti. Mentre negli anni ’90 al CERN sisviluppavano questi studi alle energie allora raggiungibili e si concretizzava anchel’idea del futuro LHC, si iniziò a pensare a un rivelatore dedicato allo studiodi collisioni nucleo-nucleo con caratteristiche derivate dalla tecnologia del tempoma evolute di pari passo con quello che sarebbe stato il grande salto da SPS aLHC. L’aumento dell’energia nel centro di massa per coppia di nucleone fino a√s = 2.76 TeV e della luminosità portano a elevati valori per la molteplicità e

l’energia dei prodotti dell’urto. Ciò influenza le qualità che un rivelatore deveavere per fornire misure di precisione in un ampio intervallo di energie, con unafrequenza di eventi relativamente bassa rispetto agli altri esperimenti di LHC macon una produzione di particelle per evento molto maggiore. Sono state spessoadottate soluzioni ad hoc per rendere il rivelatore adatto all’ambiente di collisionifra ioni di piombo. La mole di dati prodotta, la frequenza della produzione e laforte presenza di eventi a basso quadrimpulso trasferito, dunque fisica già nota,hanno richiesto lo sviluppo di un sistema di trigger adeguato.

ALICE è realizzato con lo scopo di studiare la materia fortemente interagentee il plasma di quark e gluoni a valori di densità di energia molto elevati in colli-sioni nucleo-nucleo. Inoltre raccoglie dati anche durante collisioni pp per otteneredei riferimenti per collisioni fra ioni pesanti e indagare tematiche della QCD chelo rendono complementare agli altri rivelatori di LHC [18]. Le dimensioni del ri-velatore sono 16x16x26 m3 per un peso complessivo di 104 t. In figura 2.1 vi èuna schematizzazione di ALICE con i suoi sottorivelatori. I diversi apparati sonostati progettati e ottimizzati per fornire una buona risoluzione ad alti momenti,un’eccellente separazione e identificazione di particelle in un ampio intervallo dienergie, tutto alle molteplicità raggiungibili a LHC. Basandosi su quanto stimatoper il valore della molteplicità carica rispetto alla pseudorapidità, ALICE è statoottimizzato per operare a valori di dNch/dη = 4000 [18]. La parte di tracciamento

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Figura 2.1: Rappresentazione schematica di ALICE con la disposizione deisottorivelatori [19].

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è stata particolarmente curata e utilizza un’informazione sulla traccia composta daun alto numero di punti (anche oltre 100) disposti nello spazio a tre dimensioni im-merso in un campo magnetico solenoidale. La misura dell’impulso delle particelle èda effettuarsi in un intervallo abbastanza largo, da 10−2 a 102 GeV/c. Ciò richiedeche sia ridotto lo scattering multiplo e che sia alta la risoluzione rispettivamente abasso e alto impulso trasverso. Per valutare meglio variabili che dipendono dallamassa o dal flavour è necessaria una buona capacità di identificazione di particelle(Particle IDentification - PID), che in ALICE è ottenuta attraverso l’analisi dellaperdita di energia per ionizzazione, del tempo di volo, della radiazione di tran-sizione, della radiazione Čerenkov, della calorimetria, di filtri per muoni e dellaricostruzione topologica di un decadimento.

2.1 I sottorivelatori principali

L’interesse di ALICE è focalizzato sulla fisica a rapidità intermedie, con maggio-re densità di energia e minore densità di barioni. A partire da ciò si è concentrata lamaggior parte dei sottorivelatori in una regione estesa di circa tre unità in rapidità,sufficiente a rivelare decadimenti di particelle con basso impulso, frammentazionedei jets e a ricostruire la produzione di migliaia di particelle evento per evento.

Come si vede dalla figura 2.1 la maggior parte dei sottosistemi che compongonoALICE fa parte di un corpo a simmetria cilindrica, il barrel, al cui centro si trova ilpunto di interazione dei fasci (interaction point - IP). Tutto ciò che non rientra nellacopertura spaziale del barrel finisce nello spettrometro per muoni e nei calorimetria zero gradi, questi ultimi speculari rispetto a IP da entrambi i lati del rivelatorevicino all’asse dei fasci. L’intera regione occupata da ALICE è convenzionalmenteripartita in tre zone: centrale, antioraria (anticlockwise - A) e oraria (clockwise -C). Il riferimento per identificare ognuna delle zone è dato dal verso della rotazioneideale da compiere per passare da una posizione a pseudorapidità nulla all’asse deifasci: la regione C è quella che ospita lo spettrometro.

2.1.1 La regione centrale

I sottorivelatori del barrel sono alloggiati all’interno del magnete del precedenteesperimento L3 del Large Electron Positron Collider (LEP). Si tratta di un sole-noide le cui dimensioni interne sono 12.1 m di lunghezza e 5.75 m di raggio e cheproduce un campo di intensità 0.5 T. A partire dall’IP verso l’esterno, si indivi-duano i vari sottosistemi in base al compito svolto: si può dare una grossolanadistinzione in rivelatori dedicati al tracciamento e al riconoscimento di particelle.Con una disposizione diversa si trovano anche sistemi più piccoli che fornisconouna valutazione di proprietà globali.

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La maggior parte dei diversi tipi di particelle prodotte (principalmente adroni,e± e fotoni) è emessa e rivelata all’interno della regione spaziale delimitata dalmagnete, con una copertura nell’intervallo di pseudorapidità |η| < 0.9. Il trac-ciamento è compito di un sistema di sottorivelatori dedicati con caratteristichedi alta granularità: l’Inner Tracking System (ITS), la Time Projection Chamber(TPC) e il Transition Radiation Detector (TRD). I primi due misurano anche laperdita di energia per ionizzazione, il terzo per emissione di radiazione di transi-zione, contribuendo in questo modo all’identificazione di particelle. Quest’ultimocompito è espletato principalmente dal Time Of Flight (TOF), e da due rivelatoricon parziale copertura azimutale, per particelle a rapidità intermedie . Si trattadell’High-Momentum Particle Identification Detector (HMPID), un contatore ringimaging Čerenkov, e di un calorimetro elettromagnetico a cristalli scintillatori, ilPHOton Spectrometer (PHOS).

L’ITS è costituito da sei strati cilindrici concentrici di rivelatori al silicio, dispo-sti in modo da identificare con alta efficienza le tracce che si originano nella zonadi interazione dei fasci con una buona risoluzione sul parametro d’impatto, e, perquanto riguarda lo strato più esterno, poter collegare le tracce a quelle ricostruitedalla TPC. I sei cilindri si possono raggruppare in tre coppie. Dall’interno versol’esterno: Silicon Pixel Detector (SPD), Silicon Drift Detector (SDD) e SiliconStrip Detector (SSD). A impulsi inferiori a 100 MeV/c la sensibilità allo scatteringmultiplo è minore e quindi sono migliori le prestazioni in termini di tracciamentoe identificazione.

La TPC di ALICE è la più grande del mondo, e ne è il sottosistema principale ditracciamento. Sebbene sia un rivelatore relativamente lento, dato che il massimotempo di deriva degli elettroni al suo interno è di 88 µs, è stato scelto per lacapacità di ottenere buone prestazioni anche con un numero di particelle caricheall’interno dell’ordine di 104. Assieme all’ITS deve fornire una buona ricostruzionedel vertice di interazione, e può spingersi a ottenere buone risoluzioni fino a valoridell’impulso trasverso di 100 GeV/c. La sua forma è quella di un guscio cilindricocon raggi interno ed esterno rispettivamente di 85 e 250 cm e altezza di 500 cm.L’interno è riempito con una miscela di Ne/CO2 (90% 10%), il cui uso permette dilimitare gli effetti di scattering multiplo grazie a un basso coefficiente di diffusionee un’alta lunghezza di radiazione. La lettura del segnale è affidata a pad catodichesu camere proporzionali a molti fili disposte in modo da ottimizzare la risoluzionesulla misura del momento per tracce ad alto impulso. In figura 2.2 è riportato ungrafico di performance del sistema di tracciamento ITS+TPC nella risoluzione inimpulso trasverso in collisioni Pb-Pb, mentre nella successiva figura 2.3 la capacitàdi separazione di diverse particelle per la sola TPC in eventi pp.

Lo scopo principale del TRD è quello di separare e± da π± a momenti superioria 1 GeV/c, non avendo l’ITS e la TPC abbastanza risoluzione in questo intervallo.

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(GeV/c)T

p0 20 40 60 80 100

T)/

pT

(pσ

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

|<0.8η = 2.76 TeV, |NN

sALICE, Pb­Pb,

resolutionT

TPC­ITS p

>1 GeV/c)T

fit (p

syst. errors

ALICE Performance

22/05/2011

Figura 2.2: Risoluzione in pt ottenuta combinando il tracciamento dell’ITS e della TPCdi ALICE [19].

Figura 2.3: Spettro di dE/dx al variare dell’impulso misurato dalla TPC di ALICE incollisioni pp a 7 TeV [19]. Le linee corrispondono ai valori attesi per le diverse specieassumendo una comune parametrizzazione della curva di Bethe-Bloch.

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Combinando la misura con quella dei due sottorivelatori appena descritti è possi-bile anche studiare anche la produzione di risonanze vettoriali leggere e pesanti ericostruire decadimenti semileptonici di mesoni con un quark c o b. Le particellecariche devono essere identificate all’interno di una molteplicità molto elevata econ una buona risoluzione nella misura dell’impulso. Ognuno dei 18 supermoduliin cui è diviso il TRD, disposti a coprire tutto l’angolo azimutale in una regione dipseudorapidità di poco inferiore a quella della TPC, consta di 30 moduli ciascunodei quali comprende un radiatore, una sezione riempita di una miscela di Xe/CO2

(85% 15%) dove avviene la deriva degli elettroni creati nel radiatore e una cameraproporzionale a molti fili con pad di lettura del segnale. Il gas della sezione dideriva è adatto sia a permettere la conversione dei fotoni prodotti nel radiatorein uno sciame elettromagnetico, sia, se la particella incidente ha energia sufficien-te a superare la soglia per l’emissione di radiazione di transizione (γ ' 1000), apermettere la conversione dei fotoni di bremsstrahlung. I pioni e gli elettroni sonoseparati principalmente perché i secondi generano un segnale più alto, sia per lamaggiore perdita di energia specifica, sia per l’emissione di radiazione di transizio-ne. La capacità di tracciamento del TRD migliora la risoluzione nell’impulso delletracce ad alto pt che hanno origine nella TPC. In figura 2.4 è riportato un graficodelle prestazioni del TRD in collisioni pp a 7 TeV.

Al TOF, il principale sottosistema deputato all’identificazione di particelle inALICE, è dedicata la sezione 2.1.2.

L’HMPID è in grado di estendere l’intervallo di energia in cui sono separati gliadroni carichi oltre quanto è possibile dalla combinazione delle tecniche usate neisottorivelatori precedentemente descritti. Si tratta di sette moduli di contatori ringimaging Čerenkov che occupano una superficie totale di 11 m2. La raccolta dei fo-toni prodotti nel liquido radiatore è affidata a Multi Wire Pad Chambers (MWPC)il cui catodo è ricoperto di un sottile strato di CsI. Gli elettroni prodotti per io-nizzazione in prossimità delle MWPC sono bloccati da un elettrodo polarizzatopositivamente. Grazie alla tecnica con cui sono realizzati i suoi componenti, è pos-sibile operare con l’HMPID in condizioni di basso guadagno in collisioni ione-ioneper rigettare il fondo di particelle al minimo di ionizzazione (minimum ionizingparticles - MIP), mentre in collisioni pp la minore molteplicità permette di operaread alto guadagno per migliorare l’efficienza.

Il PHOS è un altro rivelatore a copertura limitata, situato nella zona a bassarapidità per la misura con alta risoluzione di fotoni diretti e da decadimenti. Èun calorimetro costituito da prismi PbWO4, uno scintillatore inorganico, dispostisu una superficie di circa 8 m2 a una distanza di 4.6 m dal punto di interazione.La risoluzione alle alte energie è permessa dall’uso di un materiale denso ad altagranularità, mentre un’alta risoluzione spaziale è permessa avendo scelto le dimen-sioni di una delle celle in cui sono divisi i moduli, delle stesso ordine del raggio di

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TRD Signal (a. u.)0 20 40 60 80 100

No

rmalize

d Y

ield

0

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

0.18

0.2

pp, 7 TeV/c:PionsElectrons

Testbeam 2004:

Pions

Electrons

p = 2.0 GeV/c

ALICE Performance

19/05/2011 = 7 TeVspp,

Figura 2.4: Deposito di carica nel TRD di ALICE per pioni ed elettroni di impulsop = 2 GeV/c in collisioni pp a 7 TeV [19]. Per gli elettroni la media è più alta consideran-do il contributo dell’assorbimento della bremsstrahlung e della radiazione di transizionenella zona di deriva.

Molière dello scintillatore. Entrambe queste caratteristiche sono richieste per unamigliore identificazione dei fotoni.

Al lato opposto del PHOS rispetto al punto di interazione si trova il calorime-tro elettromagnetico (ElectroMagnetic CALorimeter - EMCAL). È un calorimetroa campionamento con assorbitori di piombo, dalla forma cilindrica e con una co-pertura in pseudorapidità nell’intervallo |η| < 0.7. La scelta di un rivelatore conrisoluzione energetica moderata ma sensibilità a particelle con elevato impulso tra-sverso è diretta alla ricostruzione dei jet, per migliorare la misura della componenteelettromagnetica e misurare le altre nello stessa regione dello spazio delle fasi. Lacombinazione della misura di EMCAL con quelle del sistema di tracciamento per-mette una buona ricostruzione sia in collisioni pp sia in quelle Pb-Pb.

Nel barrel sono anche presenti dei rivelatori situati ad alta rapidità con unacopertura ridotta nell’angolo azimutale. Il Photon Multiplicity Detector, (PMD)si trova a 3.5 m dal punto di interazione al limite della zona antioraria e copreuna regione di pseudorapidità 2.3 < η < 3.5. È costituito da due piani di camere

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proporzionali a molti fili separate da un convertitore di piombo di spessore pari atre lunghezze di radiazione. Il suo scopo è misurare la molteplicità e la distribu-zione spaziale per stimare la componente elettromagnetica dell’energia trasversa1.Da entrambi i lati dell’ITS si trova il Forward Multiplicity Detector (FMD), uninsieme di anelli di strip di silicio per la misura della molteplicità di particelle ca-riche in una regione al di fuori dell’accettanza geometrica degli altri rivelatori delbarrel, a basso angolo rispetto all’asse dei fasci in un intervallo di pseudorapidità1.7 < |η| < 5.1. La determinazione del numero di particelle prodotte durante lacollisione è di primaria importanza per la determinazione delle condizioni inizialidell’urto e anche per capire alcune proprietà fondamentali del QGP. Il numero diparticelle che danno segnale sulle strip di FMD è funzione del numero totale diparticelle prodotte, e se per collisioni Pb-Pb è al massimo di 3 per ogni strip, caladrasticamente in pp. Gli ultimi due sottorivelatori a essere compresi nella partecentrale di ALICE sono denominati T0 e V0, e sono dedicati a fornire informazio-ni sulle condizioni iniziali dell’evento. Entrambi sono divisi in due parti disposteasimmetricamente rispetto al punto di interazione in prossimità dell’asse del fa-scio, vicino al FMD e al PMD. Il T0 deve fornire segnali di trigger a diversi livelli,una misura approssimativa della posizione del vertice di interazione e dare unastima della molteplicità. La necessità di disporre di queste informazioni on-line,vale a dire mentre l’evento è in corso, si traduce nella realizzazione di un rivelato-re con tempo morto molto basso (25 ns), un’alta risoluzione temporale (50 ps) egrande resistenza alla radiazione. Infine il V0, anch’esso, come il T0, con lo scopodi fornire informazioni utili come trigger. Ognuno dei due dischi di scintillatoreplastico di cui è composto ha circa le stesse dimensioni del FMD. I suoi compitisono fornire una stima di centralità ricavandola dall’energia depositata, essere ingrado di rigettare il fondo per i rivelatori della parte in avanti e il fondo da eventidi interazione fra le particelle del fascio e molecole di gas residuo nella beam pipe.

All’esterno del magnete, su tre facce della sua superficie superiore, si trovaALICE COsmic Ray DEtector (ACORDE), un rivelatore di raggi cosmici compo-sto di sessanta moduli di scintillatori plastici. Ha il duplice scopo di fornire unsegnale rapido di trigger per la calibrazione delle parti dedicate al tracciamento e,in combinazione con la TPC il TRD e il TOF, studiare raggi cosmici di energia1015 − 1017 GeV.

1Si definisce energia trasversa la quantità

Et = E sin θ

dove θ è l’angolo polare.

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2.1.2 Il TOF

Il TOF è il principale sistema di ALICE dedicato all’identificazione di particel-le. L’importanza della PID per gli scopi di ALICE è stata trattata nella sezione 1.1.Il TOF è in grado di separare π, K e p in un intervallo di pseudorapidità |η| < 0.9e di momento intermedio, sovrapponendosi parzialmente alle prestazioni dell’HM-PID. A bassi impulsi è completato dalle informazioni di ricostruzione del verticee perdita dell’energia per ionizzazione di ITS e TPC fino a momenti di 1 GeV/c.Nelle collisioni ione-ione, la maggior parte delle particelle prodotte ha un impulsominori di 2 GeV/c, dunque il TOF è stato progettato per identificare al meglioparticelle con impulsi compresi tra 0.3 e 2.5 GeV/c, intervallo in cui la molteplicitàè massima.

Le sue caratteristiche peculiari sono un’alta efficienza, superiore al 95%, un’ec-cellente risoluzione temporale, alta granularità, capacità di operare a una frequenzaelevata e uniformità della risposta. Per realizzare uno strumento che soddisfi tuttequeste richieste è stata scelta la tecnologia delle Multigap Resistive Plate Chambers(MRPC). La risoluzione temporale totale del rivelatore è di 100 ps, e ciò permetteuna separazione a 3σ per π/K fino a 2.5 GeV/c e per K/p fino a 4 GeV/c.

Il TOF è suddiviso in 18 settori lungo l’angolo azimutale, e ognuno di questiin 5 segmenti sovrapposti lungo la direzione z perpendicolare all’asse dei fasci erivolta verso l’esterno del rivelatore. Le sue dimensioni sono 370 cm di raggiointerno e 399 cm di raggio esterno. Ognuno dei segmenti alloggia una MRPC di122x13 cm2 suddivisa in 48 pad di 3.5x2.5 m2 ciascuna, per un’area efficace totaleper ogni MRPC di 120x7.4 cm2 [20]. Ogni modulo contiene le MRPC, in numerodi 15 per il segmento centrale, 19 per gli altri, e l’elettronica di lettura. Le MRPCsono un’estensione delle camere a piani resistivi (Resistive Plate Chambers - RPC)in cui, fra il piano anodico e il piano catodico esterno, sono interposti diversi pianicatodici liberi, vale a dire che non sono posti a una tensione di lavoro prestabilita.Gli spazi (gaps) fra i piani sono molto sottili e riempiti di una miscela gassosadi C2H2F4/i-C4H10/SF6 (90%/5%/5%). Al passaggio di una particella, nel gas siha la creazione di coppie elettrone-ione che migrano verso gli elettrodi. A causadel valore del campo elettrico si forma una valanga che induce un segnale su unpiano ad alta resistività, il quale a sua volta induce un segnale di segno oppostosul catodo. La risoluzione temporale intrinseca è l’indeterminazione sul tempo dideriva degli elettroni per generare un segnale sopra la soglia applicata agli elettrodi.Più è largo il gap e più spazio c’è per la formazione della valanga e di conseguenzapeggiora la risoluzione temporale in una misura di tempo di volo [3].

In figura 2.5 è mostrato un modulo del TOF e la sua localizzazione all’internodel rivelatore, mentre in figura 2.6 è schematizzata la struttura di una delle MRPCche lo costituiscono.

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Figura 2.5: Visione della posizione di un modulo all’interno della struttura del TOF [18].A destra una foto dello stesso modulo.

Ci si può fare una buona idea dell’alta efficienza e dell’elevata risoluzione tem-porale raggiungibili con il TOF guardando i grafici in figura 2.7. A una tensionedi lavoro di 13 kV la risoluzione temporale dei soli campioni di MRPC studiatiarriva a essere circa 40 ps. Il valore prima citato di 100 ps comprende l’elettronicae molti altri contributi.

La procedura di PID si applica alle tracce provenienti dalla TPC ed eventual-mente prolungate nel TRD, cercando successivamente la corrispondenza con unsegnale sul TOF. La tecnica usata si basa sulla valutazione del tempo tTOF neces-sario a una particella di massa m, carica q e impulso p a percorrere una distanzanota L dal punto di interazione. Dalla definizione di impulso per una particellarelativistica con velocità v = βc, se ne ricava la massa:

m =p

βγ= p

√(ctTOFL

)2

− 1 . (2.1)

Da cui differenziando:(dm

m

)2

=

(dp

p

)2

+ γ4[(

dtTOFtTOF

)2

+

(dL

L

)2](2.2)

dove γ è il fattore di Lorentz [22]. Per particelle relativistiche p � m, dunquepesano solo le incertezze sui tempi e le lunghezze. Ipotizzando una risoluzione dello

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Figura 2.6: Schematizzazione di una MRPC del TOF di ALICE [21].

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Figura 2.7: Efficienza e risoluzione temporale in funzione della tensione applicata per uncampione di MRPC [18].

p/z (GeV/c)­5 ­4 ­3 ­2 ­1 0 1 2 3 4 5

β

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

TOF PID

ALICE Performance = 7 TeVspp

21/05/2010

πK

d

p

Figura 2.8: Valore di β misurato dal TOF di ALICE in funzione dell’impulso in collisionipp a

√s = 7 TeV [19].

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0.1% sulla misura della lunghezza della traccia e dell’1% su quella dell’impulso,l’accuratezza sulla massa è determinata dalla risoluzione temporale del rivelatorea tempo di volo. Considerando t = 90 ns per coprire una lunghezza L = 3 m,per ottenere una precisione dell’1% sulla misura del tempo di volo occorre cheil rivelatore abbia una risoluzione complessiva di circa 100 ps. In figura 2.8 èriportata un’analisi basata sui dati raccolti dal TOF da cui è evidente quale sia ilpotere di separazione di questo rivelatore.

2.1.3 La regione in avanti

La regione in avanti comprende il sistema di ALICE dedicato alla rivelazionedei muoni e i calorimetri a zero gradi, questi ultimi posti simmetricamente rispettoa IP. Ai calorimetri è dedicata la sezione 2.2. L’apparato per la misura dei muoniè interamente localizzato nella regione C, ed è preceduto da un assorbitore conicoa poca distanza da IP quindi ancora contenuto nel barrel, per schermare dalleparticelle secondarie create nella beam pipe. Come si vede in figura 2.9, la struttura

Figura 2.9: Schema dello spettrometro per muoni di ALICE [18].

dello spettrometro per muoni consiste essenzialmente in una serie di tracciatoriinterposti fra due assorbitori spessi, seguiti da quattro piani di RPC. Uno deitracciatori è immerso in un campo magnetico dipolare dell’intensità di 0.67 T.

Lo scopo principale di questo apparato è misurare la produzione di risonanzemesoniche con quark pesanti, tramite la rivelazione del loro decadimento nel canaleµ+µ−. Ciò rende possibile uno studio del loro tasso di produzione in funzione di

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variabili quali la centralità della collisione o l’impulso trasverso. La considerazioneche l’identificazione di muoni in una collisione fra ioni pesanti è possibile soloriducendo l’alto flusso di adroni con uno spesso strato di assorbitore, e quindi seil loro impulso è superiore a 4 GeV/c [18], porta alla scelta di un rivelatore concopertura a bassi angoli rispetto all’asse dei fasci, ovvero ad alta rapidità. Infattilo spettrometro occupa la regione −4.0 < η < −2.5.

Il primo strato di assorbitore serve a fermare adroni e fotoni provenienti di-rettamente da IP. I tracciatori sono distribuiti in 5 stazioni composte ognuna dadue piani catodici sui quali è letto il segnale. Due di queste sono poste prima deldipolo magnetico, per una misura più precisa del punto di uscita del muone dallabeam pipe. La risoluzione spaziale per i tracciatori è di 100 µm, con cui si puòottenere una risoluzione di 100 MeV/c nella misura della massa invariante della Υ.Successivamente si trova un secondo strato di assorbitore per schermare il flusso dimuoni a basso pt verso le RPC che hanno funzione di trigger per lo spettrometro.Questo perché in ogni evento Pb-Pb ci si aspetta che otto muoni dal decadimentodi π eK raggiungano lo spettrometro se provvisti di un adeguato boost lorentziano,e bisogna distinguere gli eventi in cui vi è una produzione associata di muoni adalto pt, in quanto questi ultimi provengono dal decadimento di risonanze pesantio sono oggetto di interesse per ALICE.

2.2 Zero Degree Calorimeters

In ALICE sono presenti i seguenti sistemi di rivelazione di particelle a piccolis-simi angoli rispetto alla beam pipe: due calorimetri elettromagnetici (Zero DegreeElectromagnetic Calorimeter - ZEM) e quattro calorimetri adronici con caratteri-stiche e posizioni lievemente differenti per cui si distinguono in due calorimetri perneutroni (ZN) e due per protoni (ZP). In figura 2.10 si ha un’idea della disposizionedi questi rivelatori rispetto al resto dei sistemi di ALICE e alla beam pipe.

Figura 2.10: Disposizione di calorimetri a zero gradi in ALICE [18].

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I due ZEM sono situati a 7 m da IP da entrambe le parti della beam pipe nellaregione A. Ciascuno ha dimensioni di 7x7x20.4 cm3 per coprire un intervallo dipseudorapidità 4.8 < η < 5.7. Sono realizzati con 40 strati di assorbitore in piom-bo, ognuno spesso 3 mm, fra i quali sono interposte delle fibre di quarzo disposte a45° rispetto all’asse dei fasci per raccogliere la luce Čerenkov emessa dalle particelleche li attraversano. Le fibre convogliano la radiazione in un fotomoltiplicatore. Loscopo principale di questo rivelatore è dare una stima della centralità, assieme aicalorimetri adronici, attraverso la misura evento per evento dell’energia depositatada particelle emesse ad alta rapidità. La centralità è valutata dalla correlazionedel segnale nei ZEM e nei ZN e ZP (v. figura 2.11): in particolare la massimacentralità si ha con un segnale alto in ZEM e basso in ZN.

ZEM Amplitude (a.u.)0 500 1000 1500 2000 2500 3000

ZD

C E

ne

rgy

(G

eV

)

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

220

240310×

0­5%

5­10%

10­20%

20­30%

ALICE Performance06/05/2011

ZDC Energy vs ZEM Amplitude (4 centrality bins selected by V0 Amplitude)

Figura 2.11: Correlazione dei segnali in ZN e ZEM [19]. Le linee rappresentano i bin dicentralità.

Ciò che determina la sorte dei frammenti spettatori (v. sezione 1.1) è il rappor-to carica/massa: se è vicino al valore dei fasci la loro traiettoria non viene deviatadall’ottica, altrimenti è possibile separarli. Il dipolo D1 (v. fig. 2.10), posto acirca 80 m da IP, permette anche di deviare la traiettoria dei protoni spettatorie dei barioni leading carichi, i quali, possedendo un’energia inferiore rispetto alleparticelle del fascio, curvano seguendo una traiettoria di raggio inferiore. È perquesto motivo che ZN e ZP sono posizionati subito prima del successivo dipoloD2 lungo l’asse dei fasci, a 116 m da IP, quando le due beam pipe per i due versidi circolazione delle particelle sono appena separate, l’uno al centro lungo l’asse

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dei fasci e l’altro in posizione interna. Il principio secondo cui sono realizzati è ilmedesimo degli ZEM: si tratta di calorimetri a campionamento con strati di assor-bitore molto denso per limitare le dimensioni trasversali dello sciame intervallati afibre di quarzo che fungono da radiatore Čerenkov e guida di luce verso i fotomol-tiplicatori. La scelta dei materiali è dovuta alla necessità di occupare uno spaziolimitato a causa della strumentazione circostante, basta pensare che la zona nellaquale sono situati è immediatamente esterna a un punto di interazione, dove devetrovare alloggio anche il sistema di accelerazione, e anche a quella di resistere a unalto tasso di radiazione. L’utilizzo dei calorimetri a zero gradi come generatori diun segnale di trigger è possibile dal fatto che hanno un tempo di risposta moltobreve essendo veloce l’emissione di luce Čerenkov.

In figura 2.12 è riportata una foto di due calorimetri adronici una volta collocatinella loro sede.

Figura 2.12: Calorimetri adronici a zero gradi nella loro sede [23].

I due ZN, così come i due ZP, sono calorimetri a campionamento. Le dimensioniminori di ZN rispetto a ZP sono dovute al fatto che le particelle neutre giungonoin maniera più collimata dunque su un’area più ristretta rispetto alle particellecariche. I due ZN sono parallelepipedi di 7.2x7.2x100 cm3 composti di 44 stratidi assorbitore costituito da una lega di tungsteno, nichel e ferro, alternati a fibredi quarzo a distanza di 1.6 mm l’una dall’altra, pari allo spessore delle lastre diassorbitore. La geometria secondo cui è disposto il materiale attivo segue la traiet-

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toria con cui vi incidono le particelle. Le fibre infatti sono inclinate di 0° rispettoall’asse dei fasci e disposte “a spaghetti”, nel senso della lunghezza lungo la dire-zione parallela alla beam pipe. All’opposto della faccia su cui incidono le particelle,le fibre sono raggruppate in cinque canali che portano ad altrettanti fotomoltipli-catori diversi. Dunque è al livello della lettura del segnale che i calorimetri sonosegmentati: una fibra ogni due viene portata a un unico fotomoltiplicatore co-mune, mentre per le altre vale una suddivisione in quadranti, o torri, della stessasuperficie. In questo modo la somma dei quattro canali singoli riceve un numerodi fibre equivalente al canale comune. Nelle fotografie in figura 2.13 si vede ladisposizione delle fibre in ZN e la segmentazione. A livello di simulazione MonteCarlo questa suddivisione è molto utile per la valutazione di diverse variabili sucui applicare tagli per migliorare la calibrazione, la risoluzione dei calorimetri ela valutazione delle distribuzioni delle particelle incidenti per tipo e per torre (v.capitolo 3). Durante la presa dati le informazioni che si possono ricavare sono datedalla conversione del segnale dei fotomoltiplicatori tramite un ADC.

(a) (b)

Figura 2.13: Fotografie di ZN: a sinistra (a) la disposizione di fibre e assorbitori, conle uscite verso i fotomoltiplicatori; a destra (b) la segmentazione in canali, essendo lequattro singole torri colorate diversamente [24].

La struttura dei calorimetri per protoni è molto simile a quella dei calorimetriper neutroni, ma presenta alcune differenze dovute alle diverse condizioni speri-mentali. Innanzitutto, come accennato, la superficie su cui si distribuiscono leparticelle incidenti è maggiore, dunque le dimensioni di ZP sono 22.8x12x150 cm3.Il materiale assorbitore è ottone, con lastre dello spessore di 4 mm. Alla medesi-ma distanza si trovano le fibre di quarzo, con la stessa disposizione vista per ZNma segmentazione in torri verticali invece che in quadranti (v. fig. 2.14). Questoperché le particelle che vi incidono sono cariche e cadono in una zona diversa, piùesterna maggiore è la differenza in energia rispetto alle particelle che continuano a

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circolare nella beam pipe. In questo modo la maggior parte del segnale è raccoltodalle prime due torri interne, mentre le altre spesso non raccolgono nulla.

Figura 2.14: Fotografia di ZP in cui si nota la segmentazione in canali secondo torriverticali [25].

Prima dell’installazione sono stati effettuati dei test su entrambi i tipi di calo-rimetri. I risultati principali e più interessanti per lo studio svolto per questa tesiriguardano la risoluzione in energia e l’uniformità della risposta [26] [27].

Per uno dei ZN sono state eseguite delle misure con fasci di prova di adroni epositroni con diversi valori dell’impulso. La risoluzione in energia è stata valutatain entrambi i casi come descrivibile da un andamento del tipo(

σ

E

)2

=a2

E(GeV)+ b2 .

Lo stesso si riscontra con lo studio effettuato in questa tesi (v. i capitoli 3 e 4).L’estrapolazione a energie di 2.76 TeV per nucleone in collisioni Pb-Pb porta aprevedere una risoluzione intorno all’11% per la fisica ione-ione. Per quanto ri-guarda invece i calorimetri ZP, la risoluzione in energia è stata valutata con lostesso procedimento sperimentale e ne è stata ricavata la medesima espressione.All’energia nominale di LHC per collisioni ione-ione la risoluzione è prevista esseredell’ordine del 10%, valore al di sotto delle fluttuazioni del numero di spettatori ineventi centrali.

Durante gli stessi test è stata valutata anche la risposta dei rivelatori in funzionedel punto di impatto delle particelle rispetto alla posizione delle fibre. Per ZN larisposta è uniforme su tutta la superficie. Per ZP il numero di fibre attivate

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varia con la coordinata orizzontale del punto di impatto, questo è dovuto al fattoche le particelle arrivano tutte preferenzialmente dalla stessa direzione in quantodella stessa carica (è trascurabile il flusso di particelle neutre). Da questa misuraè ricavato un valore di 14 mm per lo sviluppo trasversale dello sciame adronicorivelabile da una singola torre. In ogni caso il segnale dei calorimetri a zero gradi è,per i canali singoli o il comune, la somma dei segnali registrati da ogni singola fibra,fatto che durante la presa dati compensa le eventuali differenze locali all’internodi ogni torre.

2.3 Il trigger

La tabella in figura 2.15 riassume le caratteristiche principali dei sottorivelatoridi ALICE, precedentemente descritti. Salta all’occhio l’alto numero di canali dielettronica di lettura, da cui dipende la grandezza della mole di dati raccolta, cheè direttamente collegata alla quantità di eventi acquisiti e al tipo di fisica in essicontenuta. Con la luminosità e l’energia di LHC il numero di collisioni è altissimo,e ancora maggiore è il numero di segnali sui rivelatori, senza l’ausilio di alcunaselezione. In particolare nell’ambiente di ALICE durante periodi di presa datiPb-Pb saranno prodotte tracce cariche in modo massicciamente maggiore rispettoa esperimenti precedenti. Inoltre la segnatura di uno stato finale spesso non èunivoca ma si tratta di congiungere le misure di più variabili per caratterizzare unevento complesso. Ecco perché è fondamentale l’attivazione di trigger a più livelli.Nel grafico in figura 2.16 è riportata la frequenza di attivazione di un trigger dilivello medio-basso in vari esperimenti in funzione della mole di dati acquisiti perogni evento. A differenza degli altri rivelatori di LHC, la caratteristica di ALICEè quella di raccogliere eventi molto massicci in termini di quantità di dati, ma conuna bassa frequenza. È partendo da questi presupposti che è stato progettato ilsistema di trigger di ALICE.

Esso è suddiviso in una parte hardware e una software. La prima consta diuno stadio veloce, diviso a sua volta in due livelli denominati L0 e L1, e unostadio più lento con un tempo di risposta pari alla latenza del segnale nella TPC(v. sezione 2.1), denominato L2. La seconda consiste in un trigger di alto livello(High Level Trigger - HLT) realizzato da un alto numero di calcolatori connessiin rete per selezionare ulteriormente gli eventi e comprimere i dati raccolti dallaTPC, affinché non sia necessario occupare troppo spazio su supporto permanente.I periodi più critici per la selezione degli eventi sono durante le collisioni Pb-Pb,in cui alla luminosità di 1027 cm−2s−1 vi è un tasso di interazione fino a 8 kHz.Un compromesso con la grandezza dei dati raccolti dall’elettronica di front-end stanella scelta di evitare ove possibile l’uso di pipeline, necessitando però di un triggermolto veloce. Il segnale del livello L0 ha un ritardo di 1.2 µs rispetto all’interazione,

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Figura 2.15: Tabella riassuntiva delle caratteristiche dei sottorivelatori di ALICE [18].

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Figura 2.16: Frequenza di trigger di livello L1 in funzione della mole di dati raccoltaper diversi esperimenti passati e presenti [28]. Gli esperimenti principali di LHC hannouna posizione diversa sul grafico: le modalità di selezione e acquisizione dati sono moltospecifiche.

ma non essendo in grado di raggiungere tutti i sottosistemi è completato dal livelloL1 che giunge a 6.5 µs. La latenza del livello L2, come già detto, è di 88 µs.

Lo scopo principale del sistema di trigger è quello di selezionare gli eventidi fisica ritenuti interessanti, scartando gli altri e cercando di ridurre quanto piùpossibile la mole di dati. Senza entrare nei dettagli, basta dire che il riconoscimentodel tipo di evento, in particolare della topologia dell’interazione (da cui dipendonomolte caratteristiche dello stato finale, v. capitolo 1), è affidato principalmente airivelatori dedicati al tracciamento posti a piccolo angolo rispetto all’asse dei fasci.La valutazione della centralità, se si desidera uno studio specifico di interazionicon una determinata sovrapposizione fra nucleoni incidenti, è affidata ai livelli L1e L2. Ci sono situazioni in cui il rivelatore è per comodità suddiviso idealmentein regioni di interesse, all’interno delle quali è separatamente ricercato un segnaleche potrebbe far scattare un trigger. Il motivo della suddivisione è quello di nonraccogliere e analizzare dati dai sottosistemi più grandi nella loro interezza, ma

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solo in parte. Una volta identificata la regione di cui si vuole proseguire l’analisi,tale compito può essere lasciato a HLT.

Un dettaglio schematico del funzionamento di HLT è riportato in figura 2.17.In interazioni pp la luminosità è maggiore che nel caso Pb-Pb, portando a una

maggiore frequenza di interazione ma molteplicità minori. In questo caso si richiedeanche che la lettura del segnale dai sottorivelatori avvenga in modo efficace, senzache alcune parti vengano trascurate.

Figura 2.17: Schematizzazione del processo di funzionamento del livello HLT [18].

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Capitolo 3

Analisi di simulazioni Monte Carlo

Lo scopo della tesi è stato lo sviluppo e il perfezionamento su simulazioniMonte Carlo di strumenti per l’analisi di dati. Una volta che gli algoritmi sonostati validati e ne è stata provata la correttezza nel riprodurre risultati noti, si èproceduto all’esecuzione dell’analisi sui dati. Il processo è stato attuato in tre passiprincipali: lo studio degli eventi simulati riferendo le grandezze misurate al lorovalore vero, lo studio sugli stessi dati Monte Carlo ignorando il confronto con ildato noto a priori, e il confronto delle medesime osservabili fra dati e simulazione.

L’analisi è stata condotta su un insieme di eventi facenti parte del periodoLHC10f6a, di riferimento per collisioni pp a

√s = 7 TeV del corrispondente periodo

di presa dati (run) LHC10d. La statistica accumulata è dell’ordine di grandezza di3 ·107 eventi. Tutti questi eventi sono stati simulati con il generatore PYTHIA. Unconfronto fra PYTHIA e un altro generatore Monte Carlo di collisioni adroniche,PHOJET, sarebbe interessante ma esula dagli scopi di questa tesi. La differenzafra i due pacchetti, per quello che è importante in questo contesto, sta nella pro-cedura seguita per generare particelle a basso impulso trasverso, nello stato finaledell’interazione. PYTHIA si basa sulla regolarizzazione della divergenza della se-zione d’urto di interazione fra due partoni per pt → 0, dunque un’approssimazionedella QCD perturbativa. Invece in PHOJET si segue un modello teorico, noto co-me Dual Parton Model (DPM), in cui la produzione di stati finali a molti adroni èdovuta a processi hard, descrivibili dalla QCD perturbativa, e soft, con interazionimediate da particelle ipotetiche e non derivabili dalla QCD.

3.1 Selezione degli eventi

Per ogni evento sono state considerate le particelle uscenti dalla regione diinterazione con valore della pseudorapidità tale da essere compatibile con una tra-iettoria diretta contro l’area coperta dai calorimetri a zero gradi. Sia nel caso di

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particelle neutre sia cariche sono stati considerati leading i barioni con |η| > 7.0.Date le dimensioni di ZN, un neutrone con rapidità agli estremi di questo intervallogiungerebbe sul bordo del calorimetro; si è tenuto lo stesso limite per le particel-le cariche, valutato all’uscita dalla regione di interazione, prima della deviazionedovuta all’ottica del sistema di accelerazione. Un’ulteriore richiesta è che questeparticelle siano selezionate a livello di generazione e non come prodotti secondaricreati durante la propagazione dei primari. In questo modo sono comprese nellaprima selezione tutte le particelle di qualsiasi specie emesse come prodotti primaridell’interazione ad altissima rapidità.

Figura 3.1: Distribuzione inclusiva delle particelle incidenti sui calorimetri ZN1 e ZP1,senza separazioni per tipo e tagli di selezione. È sovrapposto uno schema della seg-mentazione (nell’emisfero A la nomenclatura è identica, ma la distribuzione si ottieneinvertendo idealmente la curvatura della beam pipe e le posizioni reciproche dei due ca-lorimetri). Si nota molto bene la schermatura dovuta al collimatore posto di fronte aZN1.

La distribuzione del segnale raccolto dai calorimetri a zero gradi in seguito alpassaggio di queste particelle è quella in figura 3.1, dove è visibile la diminuzionedella statistica verso l’esterno per ZP a causa della perdita di energia e l’effettodi schermatura di un collimatore su ZN. Tale collimatore è posto anteriormenteal calorimetro e oscura parzialmente due torri, sia sul lato A che sul lato C, esarà rimosso dopo la pausa tecnica prevista per l’inverno 2011-2012. Le figurerelative ai lati A e C sono analoghe, quello che cambia è la posizione speculare

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rispetto al verso di circolazione delle particelle nella beam pipe, dunque è invertitala proporzione relativa della statistica accumulata dalle torri nei due casi.

Per accettare un segnale e procedere all’analisi successiva, si è considerato comepuro un segnale proveniente da ZP o ZN quando nello stesso evento l’altro calori-metro mostra un segnale molto basso in termini di canali di ADC (la calibrazionefra ADC e energia vera delle particelle è oggetto della sezione 3.2), per ogni emi-sfero. Ciò anche per il seguente motivo: i barioni candidati a finire nei calorimetria livello di generazione sono sempre in numero molto basso, normalmente si haun unico candidato. In ogni modo si è preferito porre un taglio per escludere ilmaggior numero possibile di eventi con più di una particella leading. Riferendosialla figura 3.2, sono stati pertanto scartati gli eventi con le seguenti caratteristiche:

• EZDCP>80 GeV, per accettare il segnale su ZN.

• EZDCN>160 GeV, per accettare il segnale su ZP.

Questo taglio permette di ridurre la contaminazione dovuta a decadimenti di statirisonanti come ∆+ → n π+ e Λ0 → p π−.

L’ultima richiesta sul segnale raccolto dai ZDC nell’analisi di simulazioni Mon-te Carlo riguarda la minima quantità di energia depositata in ogni torre rispettoa tutte le altre in un singolo evento. Al fine di considerarlo come raccolto da unasingola torre, un unico segnale doveva essere pari almeno all’80% di quello costi-tuito dalla somma dei segnali raccolti da tutte le torri. Con questa selezione siintendeva ottenere un segnale più pulito e associato a una torre, specialmente perZN. I risultati presentati nel seguito ereditano tutti le richieste fin qui elencate. Al-l’occorrenza ne sono state aggiunte altre, come nel caso della stima dell’accettanza(v. sezione 3.3). È ovvio che la soglia dell’80% per ogni torre è un valore arbitra-rio, che è stato coniugato con la necessità di non abbassare troppo la statistica.L’analisi potrà essere ripetuta cambiando tale valore con eventuali osservazioni in-teressanti soprattutto per quanto riguarda le distribuzioni di particelle in funzionedell’energia (v. anche sezione 3.4).

3.2 Calibrazione

Il primo passo verso i risultati è stato quello della calibrazione dei canali diADC rispetto all’energia vera, fornita al livello della generazione Monte Carlo,delle particelle, assieme alla calibrazione relativa fra i diversi canali di ogni ca-lorimetro. Per la calibrazione assoluta è stato considerato il canale comune diogni calorimetro. Il valore di riferimento per l’energia delle particelle, vale a direl’energia vera, è un dato della simulazione, dunque non è stato difficile ricavarele costanti di calibrazione per ogni calorimetro. Per quanto riguarda le singole

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Figura 3.2: Correlazione dei segnali raccolti da ZN e ZP nello stesso emisfero.

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torri, è stato attuato un processo iterativo di calibrazione relativa. Tale approcciosi è reso necessario in quanto la grandezza da confrontare con il segnale di ADCproveniente dal canale comune era la somma dei segnali provenienti da tutte letorri nonostante l’80% dell’energia fosse raccolta da una singola torre. Questo hacomportato che in questa procedura le costanti di calibrazione erano accoppiate,seppure debolmente. La variazione del coefficiente di calibrazione relativo fra cana-le comune e una torre incideva sul valore di energia della somma nella calibrazionedelle altre torri al passo successivo. Dopo quattro iterazioni il risultato è statotrovato stabile. Le costanti definitive (k quelle assolute e j quelle relative) sonoriportate in tabella 3.1, secondo la convenzione

Etrue = k ∗ ZDCX[0]ZDCX[0] = j ∗ ZDCX[i]

essendo ZDCX[0] il canale comune di un qualsiasi ZDC. La calibrazione è stataeseguita su un campione di eventi pari a circa un terzo della statistica disponibile,utilizzata per l’analisi completa.

k || j k || j

ZDCN1[0] 3.0792 ZDCP1[0] 4.3707ZDCN1[1] 0.996 ZDCP1[1] 0.987ZDCN1[2] 1.021 ZDCP1[2] 0.977ZDCN1[3] 1 ZDCP1[3] 1.111ZDCN1[4] 0.994 ZDCP1[4] 1ZDCN2[0] 3.4395 ZDCP2[0] 4.3198ZDCN2[1] 1.006 ZDCP2[1] 1ZDCN2[2] 1.006 ZDCP2[2] 0.934ZDCN2[3] 1.006 ZDCP2[3] 1.018ZDCN2[4] 1 ZDCP2[4] 0.994

Tabella 3.1: Costanti di calibrazione assolute e relative trovate per il campione di eventisimulati.

Nelle figure 3.3 e 3.4 sono riportate le distribuzioni bidimensionali dei segnaliraccolti dai vari canali di ZDC usati come riferimento per la calibrazione relativa.Come si vede da questi istogrammi e anche dalla tabella 3.1, vi sono torri per cui lacalibrazioni è risultata difficoltosa. Esse sono, rispettivamente, per i due ZN le torricon la massima schermatura dei collimatori, e per i due ZP le due più lontane dallabeam pipe. In entrambi i casi non è stato possibile correlare accuratamente i segnalicon il relativo canale comune a causa della statistica troppo bassa. Un tentativo

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di abbassamento sensibile della soglia (< 80%) non ha portato a cambiamentisignificativi, quindi si è scelto di porre in quei casi la costante di calibrazionerelativa pari a 1.

Una volta disponibili gli spettri calibrati dei segnali raccolti dai calorimetriera necessario valutarne la risoluzione. Tale compito si distingue in due parti: lavalutazione della risoluzione strumentale del fotomoltiplicatore del canale singolo,e delle fluttuazioni dello sciame adronico. Indicando con σPM la prima componentee con σsciame la seconda, allora la risoluzione σM della media fra energia del canalecomune e delle torri risulta:

σ2M =

σ2PM

2+ σ2

sciame . (3.1)

La spiegazione di come si giunge all’espressione 3.1 è abbastanza semplice. Unavolta eseguita la calibrazione, la risoluzione della distribuzione della differenza fral’energia della somma delle torri e quella del canale comune rispetto alla mediadelle due fornisce essa stessa una valutazione di

√2σPM . Tale risoluzione è stata

valutata attraverso un fit gaussiano in intervalli molto stretti di energia dell’i-stogramma bidimensionale in figura 3.5, che riporta appunto l’andamento delladifferenza rispetto alla media. La differenza, se la calibrazione è stata eseguitacorrettamente, deve risultare in media nulla.

Come è noto, per un calorimetro sia esso omogeneo o a campionamento, larisoluzione in energia rispetta un andamento del tipo(

σ

E

)2

=

(a

E

)2

+ b2 . (3.2)

Dunque è stato eseguito un fit con la funzione dell’espressione 3.2 della dipendenzadi σ/E da E, per valutare i parametri a e b. Indicando con C e S il canale comunee la somma dei canali delle singole torri, si ha che la differenza D = S − C e lamedia M = (S + C)/2 hanno risoluzioni

σD =√

2σPM =√σ2C + σ2

S =√

2σC =√

2σS .

La 3.1 segue considerando che σM è la composizione della risoluzione intrinsecanella misura dell’energia con le fluttuazioni dello sciame σsciame.

Nelle figure 3.6 sono riportati i grafici bidimensionali relativi alla risoluzionedella media, questi ultimi ottenuti selezionando ulteriormente gli eventi per i qualiil valore assoluto della differenza fra S eM è entro 3σD. Gli effetti di non linearitàosservabili sono stati parametrizzati e utilizzati successivamente per correggere ledistribuzioni finali. Nelle successive figure 3.7 e 3.8 compaiono i relativi fit conun’espressione analoga a quanto fatto per σPM e l’andamento di σsciame. A causadegli effetti di non linearità e della ridotta accettanza, per i ZP la procedura di fit

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Figura 3.3: Calibrazione relativa dei calorimetri ZN con simulazione Monte Carlo. Inascissa vi è l’energia del canale comune e in ordinata quella delle torri.

53

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Figura 3.4: Calibrazione relativa dei calorimetri ZP con simulazione Monte Carlo. Inascissa vi è l’energia del canale comune e in ordinata quella delle torri.

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si presenta più difficile rispetto ai ZN e qui non è riportata. La figura 3.9 riportainvece un grafico che oltre a servire come controllo della bontà delle calibrazioni edei fit, fornisce un’indicazione per valutare il termine della distribuzione in energiadelle particelle leading nei dati: il rapporto fra σD/E e la funzione con cui è statafittata. Questa quantità è in genere vicina all’unità, e aumenta velocemente incorrispondenza dell’energia limite visibile ai calorimetri.

(sum+common)/2 energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

sum

-co

mm

on

en

erg

y (G

eV)

-1000

-800

-600

-400

-200

0

200

400

600

800

1000

1

10

210

N1

(a)

(sum+common)/2 energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

sum

-co

mm

on

en

erg

y (G

eV)

-1000

-800

-600

-400

-200

0

200

400

600

800

1000

1

10

210

N2

(b)

(sum+common)/2 energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

sum

-co

mm

on

en

erg

y (G

eV)

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

1

10

210

310

P1

(c)

(sum+common)/2 energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

sum

-co

mm

on

en

erg

y (G

eV)

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

1

10

210

310

P2

(d)

Figura 3.5: Differenza fra la somma dell’energia misurata nei canali di singola torre el’energia misurata dal canale comune in funzione della misura totale.

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true MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

mea

n-t

rue

ener

gy

(GeV

)

-2000

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

2000

1

10

210

N1

(a)

true MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

mea

n-t

rue

ener

gy

(GeV

)

-2000

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

2000

1

10

210

N2

(b)

true MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

mea

n-t

rue

ener

gy

(GeV

)

-2000

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

2000

1

10

210

310

P1

(c)

true MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

mea

n-t

rue

ener

gy

(GeV

)

-2000

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

2000

1

10

210

310

P2

(d)

Figura 3.6: Differenza fra la misura e l’energia vera in funzione dell’energia vera.

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true MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6/E - ZDCN1Mσ

true MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

/E - ZDCN2Mσ

Figura 3.7: Andamento di σM/E per i calorimetri ZN. Il fit è sovrapposto.

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0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

0.2

0.4

0.6

0.8

1

- ZDCN1sciameσ

Figura 3.8: Fluttuazione dello sciame (σsciame) per ZN1. Il fit è sovrapposto.

(a) (b)

Figura 3.9: Rapporto fra σD/E e il relativo fit.

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3.3 Accettanza dei calorimetri ZDC

L’accettanza è stata valutata per ogni torre come il rapporto fra il numerodi candidati (particelle più energetiche) che danno segnale sulla torre stessa e ilnumero di candidati totali. L’energia del candidato è l’energia al livello della ge-nerazione. Avendo fissato una soglia di energia dell’80% per identificare la torrecolpita con un criterio sperimentale, nei grafici che seguono si intenderà per accet-tanza il prodotto dell’accettanza geometrica per l’efficienza del taglio. La richiestache il candidato sia anche la particella che dà segnale nel calorimetro è comple-tata dalla selezione di tracce neutre o cariche nel calorimetro corrispondenti allapropagazione di un candidato. Ovviamente nell’analisi sono stati considerati soloeventi con almeno un barione candidato leading.

Nella figura 3.10 sono sovrapposti gli istogrammi che rappresentano l’accettan-za per le torri dei ZDC.

3.4 Distribuzioni

Come prova della bontà dell’analisi effettuata fino a questo punto, e come con-fronto con lo studio sui dati, sono state prodotte le distribuzioni in energia delleparticelle che impattano sui calorimetri a zero gradi, ripulendo opportunamenteil segnale applicando tagli a 3σ sulla risoluzione dei fotomoltiplicatori, assumendoche sia il canale comune sia quelli di singola torre siano soggetti alle stesse fluttua-zioni dello sciame adronico. Benché questo studio sulle simulazioni Monte Carloriproduca un risultato già noto, è utile valutare l’apporto dovuto alle diverse speciedi particelle.

Sono state elaborate, separatamente per ogni torre, le distribuzioni in energiamisurata dei segnali raccolti e le distribuzioni in energia vera distinguendo i diversitipi di particelle. Questo è stato molto utile perché ha permesso di valutare qualisiano le componenti che maggiormente contaminano la distribuzione dei barionileading e a fino a che punto. Come si vede dalla figura 3.11, mentre la quantitàdi mesoni si può trascurare senza alterare significativamente i risultati, la maggiorparte dei segnali a basse energie è dovuta a fotoni, siano essi diretti o provenienti daldecadimento di π0. Gli spettri veri differiscono da quelli misurati per la mancanzadell’effetto di risoluzione che allunga la distribuzione verso valori dell’energia chenon sarebbero possibili, oltre i 3.5 TeV.

Combinando queste osservazioni con la stima dell’accettanza e le dimensio-ni dei calorimetri, si è convenuto di considerare leading i neutroni nell’interval-lo 0.4 < xF < 0.9 e i protoni in 0.3 < xF < 0.6, corrispondenti rispettivamente a1400 GeV< En <3150 GeV e 1050 GeV< Ep <2100 GeV. Il primo limite è per

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accettanzaN1_1Entries 3Mean 2179RMS 798.3

true energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06accettanzaN1_1

Entries 3Mean 2179RMS 798.3

ZDCN1 acceptance

N1_1 acceptance

N1_2 acceptance

N1_3 acceptance

N1_4 acceptance

(a)

accettanzaN2_1Entries 4Mean 2139RMS 801.9

true energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06 accettanzaN2_1Entries 4Mean 2139RMS 801.9

ZDCN2 acceptance

N2_1 acceptance

N2_2 acceptance

N2_3 acceptance

N2_4 acceptance

(b)

true energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 35000

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

ZDCP1 acceptance

P1_1 acceptance

P1_2 acceptance

P1_3 acceptance

P1_4 acceptance

P1_1 acceptance

P1_2 acceptance

P1_3 acceptance

P1_4 acceptance

(c)

true energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 35000

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

ZDCP2 acceptance

P2_1 acceptance

P2_2 acceptance

P2_3 acceptance

P2_4 acceptance

(d)

Figura 3.10: Accettanza dei calorimetri. I colori si riferiscono alle diverse torri.

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calN1_measEntries 2.886141e+07Mean 350.7RMS 724.4

mean MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

210

310

410

510

610calN1_meas

Entries 2.886141e+07Mean 350.7RMS 724.4

Measured and true MC distribution - ZDCN1

total, measured

photons and leptons, true

baryons, true

mesons, true

calP1_measEntries 2.237159e+07Mean 219.8RMS 579.1

mean MC energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

1

10

210

310

410

510

610calP1_meas

Entries 2.237159e+07Mean 219.8RMS 579.1

Measured and true MC distribution - ZDCP1

total, measured

photons and leptons, true

baryons, true

mesons, true

Figura 3.11: Abbondanza relativa delle particelle ad alta pseudorapidità, da simulazioneMonte Carlo.

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contenere la contaminazione dovuta ai fotoni e gli effetti di risoluzione ad alteenergie, mentre il secondo è dovuto all’accettanza dei ZP.

3.5 DeconvoluzioneL’ultimo passo è stato volto a trarre un andamento della componente barionica

delle distribuzioni a questa scala di energie, disaccoppiandola da quella fotonica(come accennato, la componente mesonica è trascurabile). Per fare ciò si è ricorso aun procedimento di fit della distribuzione misurata come somma di un’esponenzialedecrescente (la parte fotonica) e di una funzione ignota a priori, da estrapolare.È stato aggiunto un effetto di risoluzione (separatamente per barioni e fotoni)convoluto con le funzioni di fit per rimuovere la dipendenza dalla risoluzione deicalorimetri.

La funzione di fit usata per la componente barionica consiste in un’espansionein serie di polinomi di Legendre, così facendo l’intero processo risulta più stabileche se si fosse usata una serie di potenze. I polinomi di Legendre P (x) al gradon-esimo sono soluzione dell’omonima equazione:

d

dx

[(1− x2) d

dxP (x)

]+ n(n+ 1)P (x) = 0 . (3.3)

L’espressione generale di un polinomio di Legendre di grado n-esimo è data dallaformula di Rodrigues:

Pn(x) = (2nn!)−1dn

dxn[(x2 − 1)n] . (3.4)

L’utilità di una base di Pn(x) è che essi sono ortogonali nell’intervallo [−1, 1]:∫ +1

−1Pn(x)Pk(x) dx = δnk .

Per eseguire il fit le distribuzioni sono state espresse in funzione della variabilexF , che ha un limite superiore a 1 per le distribuzioni in energia vera. Dunquel’utilizzo dei polinomi di Legendre garantisce la stabilità del processo.

Nella figura 3.12 si vede qual è il risultato della deconvoluzione applicata auna torre di ZN1. I simboli vuoti rappresentano le distribuzioni vere a cui sonosovrapposte le curve che ne descrivono l’andamento. Ripetendo il procedimento indiverse condizioni si è provato che il grado dei polinomi di Legendre ottimale peruna rapida ed efficace convergenza del processo è 10. La corretta stima della pen-denza dell’esponenziale, quindi la valutazione del peso della componente fotonicasoprattutto nell’intervallo xF < 0.4, è importante per una migliore estrapolazione

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della componente barionica. Nell’intervallo in cui si è scelto di considerare leadingi neutroni, si vede che il fit riproduce l’andamento della distribuzione vera, seppu-re con qualche discrepanza ancora da investigare. Bisogna tenere presente che ledistribuzioni vere sono dovute a segnali relativi solo a tracce primarie selezionatea livello di generazione.

Figura 3.12: Risultato della deconvoluzione sui dati raccolti dalla torre 4 del calorime-tro ZN1, dalla simulazione Monte Carlo. Sono anche disegnate le curve che mostranol’andamento della vera componente fotonica e di quella barionica.

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Capitolo 4

Analisi di dati del 2010

L’analisi dei dati è stata effettuata con i medesimi algoritmi utilizzati per lesimulazioni Monte Carlo, ove possibile. La differenza fra la registrazione di unevento reale da parte di ZDC e la sua simulazione è che nel primo caso, oltre allaconversione del segnale raccolto dalle fibre attraverso un ADC, dunque un valoredell’energia della particella rivelata, non si conoscono le altre variabili con cui èstato più precisamente caratterizzato l’evento.

Gli eventi su cui è stata condotta l’analisi fanno parte del periodo LHC10d, conuna statistica totale accumulata dell’ordine di grandezza di 6 · 107 eventi. I criteridi selezione sono molto simili a quelli usati per la simulazione: la richiesta che seun calorimetro abbia registrato il passaggio di una particella il segnale nell’altronel medesimo evento sia molto basso, e il taglio di compatibilità a 3σ tra il segnaledel canale comune e della somma delle torri nel riempimento degli istogrammi delledistribuzioni. Ovviamente nel caso dei dati non è possibile distinguere le diversespecie di particelle, ma l’applicazione del medesimo procedimento di deconvoluzio-ne usato con la simulazione permette di ricavare la forma di una distribuzione dibarioni, da confrontare con i risultati precedenti.

4.1 Calibrazione

Il processo di calibrazione è proceduto analogamente a quanto effettuato per lasimulazione, a eccezione della valutazione delle costanti di calibrazione assoluta.Per quanto riguarda i neutroni, il valore di riferimento era fornito dallo studio diprocessi di dissociazione elettromagnetica osservati in collisioni Pb-Pb a

√s = 2.76

TeV per coppia di nucleoni. Tale situazione si verifica in collisioni ultrarelativisti-che di ioni pesanti: quando il parametro d’impatto è maggiore della somma deiraggi dei nuclei incidenti, l’interazione è puramente elettromagnetica e il maggiorcontributo all’ampiezza di probabilità risulta nell’emissione di neutroni. Questi

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neutroni sono monoenergetici: in processi in cui ne è emesso uno solo, questo haenergia di 1.38 TeV, al valore di

√s prima citato (v. figura 4.1). Per quanto riguar-

Figura 4.1: Spettro energetico dei neutroni emessi in un processo di dissociazioneelettromagnetica in collisioni Pb-Pb a

√s = 2.76 TeV [29].

da invece la calibrazione assoluta dei ZP, è stata effettuata valutando il segnalenella regione al limite dell’accettanza nei dati e nel Monte Carlo. Ad alta energianella distribuzione in figura 4.2 si evidenziano due accumuli spostati rispetto allazona centrale dove la correlazione fra i due segnali è verificata. Ciò è dovuto aprotoni che impattano sul bordo del calorimetro, producendo due segnali con mi-nore correlazione. Proiettando un taglio stretto della coda della distribuzione adalte energie si produce l’istogramma di figura 4.3, dove il picco più a sinistra è incorrispondenza della massima energia dei protoni.

Una volta ricavate le costanti di calibrazione assolute, è stato seguito il medesi-mo procedimento iterativo usato per trovare quelle relative sulla simulazione. Perriuscire a calibrare il maggior numero di torri si è scelto di mantenere la soglia perl’attribuzione del segnale alle torri dei ZN all’80% sulla somma, mentre per i ZP èstata abbassata al 60% per aumentare la statistica. La situazione finale è rappre-sentata nelle figure 4.4 e 4.5. Le costanti trovate sono riportate nella tabella 4.1,con la stessa convenzione della sezione 3.2. È stata verificata la consistenza deiprocedimenti utilizzati per la calibrazione in collisioni pp e Pb-Pb.

Confrontando la figura 4.4 con quella analoga ottenuta sul Monte Carlo (figu-ra 3.3) si può notare che non vi è esatta corrispondenza per i ZN nei dati: solo una

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Figura 4.2: Distribuzione utilizzata per la calibrazione della torre 1 del calorimetro ZP1.I segnali raccolti si concentrano nella banda centrale, con la corretta correlazione fra ilcanale comune e il canale di singola torre. Le strutture a destra e a sinistra risultano daeventi in cui le fluttuazioni nella misura di un singolo fotomoltiplicatore sono dominanti.

torre sembra essere completamente oscurata. Ciò è dovuto alla non perfetta ripro-duzione dell’effetto dei collimatori nella simulazione. Per questo motivo si è sceltodi eseguire l’analisi utilizzando la torre con accettanza completa (ZDCN1[4]).

k || j k || j

ZDCN1[0] 2.842 ZDCP1[0] 4.365ZDCN1[1] 1.378 ZDCP1[1] 0.901ZDCN1[2] 1.297 ZDCP1[2] 0.971ZDCN1[3] 0.99 ZDCP1[3] 0.952ZDCN1[4] 1.292 ZDCP1[4] 1ZDCN2[0] 3.8 ZDCP2[0] 4.329ZDCN2[1] 0.9735 ZDCP2[1] 1ZDCN2[2] 0.9354 ZDCP2[2] 1.087ZDCN2[3] 1.11 ZDCP2[3] 1.05ZDCN2[4] 1.021 ZDCP2[4] 0.988

Tabella 4.1: Costanti di calibrazione assolute e relative trovate per il campione di dati.

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Figura 4.3: Proiezione della distribuzione dell’energia raccolta da una torre di ZP rispettoal canale comune, in uno stretto intervallo di energia.

4.2 Distribuzioni

La prima verifica della correttezza dell’analisi svolta è stata la riproduzione diun risultato già ottenuto presso ISR: l’indipendenza degli emisferi rispetto all’ef-fetto leading. In figura 4.6 si riportano le distribuzioni inclusive dei segnali suicalorimetri di uno e dell’altro emisfero, non corrette per accettanza né per gli ef-fetti di risoluzione. La prova esplicita dell’indipendenza è data dal profilo delledistribuzioni stesse.

In secondo luogo sono state ricavate le distribuzioni delle particelle emesse conalta pseudorapidità come viste dai vari calorimetri. La selezione è la medesimaapplicata alla simulazione. Analogamente, la componente puramente barionicanon è ancora stata disaccoppiata. In figura 4.7 sono riportati gli andamenti per icalorimetri ZN e ZP. Si nota un grande piedistallo, ma la forma delle distribuzioniè la medesima nelle diverse torri, a parte minime differenze dovute alla diversastatistica accumulata o alla risoluzione dei fotomoltiplicatori.

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1000 2000 3000 4000 5000 6000

1000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCN-C-1 vs ZDCN-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCN-C-2 vs ZDCN-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

-110

1

10

ZDCN-C-3 vs ZDCN-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCN-C-4 vs ZDCN-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCN-A-1 vs ZDCN-A-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCN-A-2 vs ZDCN-A-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCN-A-3 vs ZDCN-A-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

-110

1

10

ZDCN-A-4 vs ZDCN-A-0

Figura 4.4: Distribuzioni dei segnali sulle torri di ZN dopo la calibrazione.

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1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCP-C-1 vs ZDCP-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

410

ZDCP-C-2 vs ZDCP-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

ZDCP-C-3 vs ZDCP-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

-210

-110

1

ZDCP-C-4 vs ZDCP-C-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

-210

-110

1

ZDCP-A-1 vs ZDCP-A-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

-110

1

10

ZDCP-A-2 vs ZDCP-A-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCP-A-3 vs ZDCP-A-0

1000 2000 3000 4000 5000 60001000

2000

3000

4000

5000

6000

1

10

210

310

ZDCP-A-4 vs ZDCP-A-0

Figura 4.5: Distribuzioni dei segnali sulle torri di ZP dopo la calibrazione.

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(a) (b)

(c) (d)

Figura 4.6: Indipendenza degli emisferi misurata a LHC. Gli scatter plot sono riferitisolo ai dati, mentre nelle figure di destra è mostrato il confronto fra il profilo loro e delledistribuzioni Monte Carlo. Queste distribuzioni non sono corrette per accettanza né pergli effetti di risoluzione.

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calN1_0_measEntries 2.519494e+07Mean 462.9RMS 792.3

mean energy (GeV)0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

210

310

410

510

610 calN1_0_measEntries 2.519494e+07Mean 462.9RMS 792.3

Measured total distribution from data

ZDCN1

ZDCN2

ZDCP1

ZDCP2

Figura 4.7: Distribuzioni di particelle ad alta pseudorapidità misurate da ZN e ZP.

4.3 Deconvoluzione nei datiL’ultimo passo consisteva nell’estrazione della componente barionica dalle di-

stribuzioni mediante la stessa procedura seguita per la simulazione. Oltre a variareopportunamente le costanti di calibrazione va tenuto presente che, per i dati, lagiusta risoluzione da attribuire alla misura è

σ2M =

σ2PM

2+ σ2

sciame (4.1)

dove σPM è anche in questo caso valutabile direttamente sui dati, mentre σsciamedeve essere riferito alla simulazione, in quanto l’informazione dell’energia vera pos-seduta dalla particella non è ricavabile dai dati. Il risultato del fit si vede infigura 4.8.

La distribuzione vera dei barioni leading estratta dal processo di deconvoluzio-ne è confrontata in figura 4.9 con quella simulata (senza correzioni per accettan-za). Sebbene questi risultati siano ancora molto preliminari, si notano differen-ze nelle forme che indicano che probabilmente PYTHIA non riproduce del tuttocorrettamente tutta la fenomenologia correlata all’effetto leading.

La forma delle distribuzioni trovate per i dati si accorda qualitativamente coni precedenti risultati di HERA (distribuzione piatta in 0.4 < xF < 0.8, v. se-zione 1.2). Inoltre lo studio effettuato per questa tesi permette di aumentare la

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F x0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4

1

10

210

310

410

510

N1_4N1_4

fit

ffinal

ffinalPhNC

Figura 4.8: Risultato della deconvoluzione sui dati raccolti dalla torre 4 del calorimetroZN1.

precisione sulla misura, e di estendere la conoscenza sulla molteplicità barionica adalta rapidità a una nuova scala di energie. Tramite la deconvoluzione è possibilefornire una stima della vera distribuzione della sola componente barionica.

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Figura 4.9: Confronto fra le distribuzioni deconvolute dei neutroni leading per la torre 4di ZN1 ricavate dalla simulazione Monte Carlo e dai dati. Nessuna delle due è correttaper accettanza.

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Conclusioni

I risultati ottenuti dall’analisi effettuata per questa tesi rappresentano un pri-mo tentativo di estendere la conoscenza dell’effetto leading a una nuova scala dienergie. Lo studio dimostra che un’analisi di questo tipo è effettuabile in collisionipp con un apparato sperimentale quale quello costituito dai calorimetri adronici azero gradi presso ALICE a LHC.

Dopo i risultati ottenuti presso ISR e HERA, è stato possibile porre a confrontosimulazione Monte Carlo e dati per ricavare le distribuzioni di barioni emessi adalta pseudorapidità, separando le contaminazioni dovute a effetti di risoluzione epresenza di altri tipi di particelle. Una grande attenzione è stata dedicata alla ca-librazione dei calorimetri in collisioni pp, in quanto non era ancora stata effettuatané su simulazioni né su dati. È stata verificata la consistenza del procedimentocon quanto noto dallo studio di collisioni Pb-Pb. Tramite la messa a punto di unprocedimento di deconvoluzione è stata ricavata la forma delle distribuzioni bario-niche ad alta pseudorapidità. Ne è risultato che il generatore PYTHIA riproducecorrettamente l’indipendenza degli emisferi rispetto all’effetto leading, per la qualein media non si osservano grandi discrepanze negli intervalli di massima accet-tanza, benché per quanto riguarda le distribuzioni appaiano delle differenze dallamisura. Tuttavia per quanto riguarda la misura delle distribuzioni ad alte rapidità,lo studio necessita di una valutazione più accurata delle accettanze, considerandoanche che i segnali raccolti nel 2012 saranno più puliti grazie alla rimozione deicollimatori che oscurano parzialmente i calorimetri per neutroni.

Uno sviluppo futuro dello studio svolto potrà essere costituito dalla misura del-l’energia effettiva disponibile evento per evento, calcolando la massa invariante delsistema dopo aver sottratto l’energia in avanti. Sarà inoltre interessante studia-re la correlazione dell’energia effettiva con altre variabili globali riguardanti unacollisione adronica, per esempio la molteplicità carica.

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Elenco delle figure

1.1 Andamento dell’accoppiamento forte con la distanza dalla sorgente. 81.2 Andamento della densità di energia ε in unità di T 4 in funzione della

temperatura, da calcoli di QCD non perturbativi . . . . . . . . . . 101.3 Diagramma di fase della QCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.4 Misura della soppressione della J/ψ a SPS . . . . . . . . . . . . . . 121.5 Rappresentazione artistica della collisione fra due nuclei . . . . . . . 121.6 Misura del flusso ellittico effettuata presso RHIC . . . . . . . . . . . 131.7 Evoluzione temporale del QGP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.8 Molteplicità carica media in funzione di

√s. . . . . . . . . . . . . . 16

1.9 Molteplicità carica media in funzione di√s misurata in e+e− e in pp. 17

1.10 Confronto schematico fra collisioni e+e− e pp. . . . . . . . . . . . . 181.11 Indipendenza degli emisferi verificata a ISR . . . . . . . . . . . . . 201.12 Diagramma di Feynman all’ordine più basso per un generico pro-

cesso e±p→ e′p′X. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211.13 Diagrammi di Feynman di interazioni elettromagnetiche e±p. . . . . 211.14 Tasso di produzione di protoni e neutroni in funzione della variabile

Feynman-x a HERA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221.15 Diagrammi di Feynman rappresentanti la distinzione fra eventi di

diffusione elastica e anelastica diffrattiva . . . . . . . . . . . . . . . 231.16 Confronto della misura della molteplicità carica per unità di pseu-

dorapidità in ALICE per collisioni Pb-Pb centrali e pp nonsinglediffractive con diversi modelli teorici . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

2.1 Rappresentazione schematica di ALICE con la disposizione dei sot-torivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.2 Risoluzione in pt ottenuta combinando il tracciamento dell’ITS edella TPC di ALICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.3 Spettro di dE/dx al variare dell’impulso misurato dalla TPC diALICE in collisioni pp a 7 TeV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.4 Deposito di carica nel TRD di ALICE per pioni ed elettroni diimpulso p = 2 GeV/c in collisioni pp a 7 TeV . . . . . . . . . . . . . 31

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2.5 Visione della posizione di un modulo all’interno della struttura delTOF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

2.6 Schematizzazione di una MRPC del TOF di ALICE . . . . . . . . . 352.7 Efficienza e risoluzione temporale in funzione della tensione appli-

cata per un campione di MRPC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362.8 Valore di β misurato dal TOF di ALICE in funzione dell’impulso in

collisioni pp a√s = 7 TeV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

2.9 Schema dello spettrometro per muoni di ALICE . . . . . . . . . . . 372.10 Disposizione di calorimetri a zero gradi in ALICE . . . . . . . . . . 382.11 Correlazione dei segnali in ZN e ZEM . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.12 Calorimetri adronici a zero gradi nella loro sede . . . . . . . . . . . 402.13 Fotografie di ZN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.14 Fotografia di ZP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422.15 Tabella riassuntiva delle caratteristiche dei sottorivelatori di ALICE 442.16 Frequenza di trigger di livello L1 in funzione della mole di dati

raccolta per diversi esperimenti passati e presenti . . . . . . . . . . 452.17 Schematizzazione del processo di funzionamento del livello HLT . . 46

3.1 Distribuzione inclusiva delle particelle incidenti sui calorimetri ZN1e ZP1 con sovrapposto uno schema della segmentazione. . . . . . . 48

3.2 Correlazione dei segnali raccolti da ZN e ZP nello stesso emisfero. . 503.3 Calibrazione relativa dei calorimetri ZN con simulazione Monte Carlo. 533.4 Calibrazione relativa dei calorimetri ZP con simulazione Monte Carlo. 543.5 Differenza fra la somma dell’energia misurata nei canali di singola

torre e l’energia misurata dal canale comune in funzione della misuratotale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

3.6 Differenza fra la misura e l’energia vera in funzione dell’energia vera. 563.7 Andamento di σM/E per i calorimetri ZN. . . . . . . . . . . . . . . 573.8 Fluttuazione dello sciame per ZN1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 583.9 Rapporto fra σD/E e il relativo fit. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 583.10 Accettanza dei calorimetri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 603.11 Abbondanza relativa delle particelle ad alta pseudorapidità, da si-

mulazione Monte Carlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.12 Risultato della deconvoluzione sui dati raccolti dalla torre 4 del

calorimetro ZN1, dalla simulazione Monte Carlo. . . . . . . . . . . . 63

4.1 Spettro energetico dei neutroni emessi in un processo di dissociazio-ne elettromagnetica in collisioni Pb-Pb a

√s = 2.76 TeV . . . . . . 66

4.2 Distribuzione utilizzata per la calibrazione della torre 1 del calori-metro ZP1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

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4.3 Proiezione della distribuzione dell’energia raccolta da una torre diZP rispetto al canale comune, in uno stretto intervallo di energia. . 68

4.4 Distribuzioni dei segnali sulle torri di ZN dopo la calibrazione. . . . 694.5 Distribuzioni dei segnali sulle torri di ZP dopo la calibrazione. . . . 704.6 Indipendenza degli emisferi misurata a LHC. . . . . . . . . . . . . . 714.7 Distribuzioni di particelle ad alta pseudorapidità misurate da ZN e

ZP. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 724.8 Risultato della deconvoluzione sui dati raccolti dalla torre 4 del

calorimetro ZN1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 734.9 Confronto fra le distribuzioni deconvolute dei neutroni leading per

la torre 4 di ZN1 ricavate dalla simulazione Monte Carlo e dai dati. 74

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[29] N. De Marco, Jun 2011.http://indico.cern.ch/getFile.py/access?contribId=74&sessionId=

6&resId=1&materialId=slides&confId=100963.

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