Strani casi e bizzarre avventure per Sergio Da Silva

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Casi stravaganti e bizzarre avventure per Sergio Da Silva. Immergetevi nelle roboanti inchieste dell'ex "comisario" di Salvador da Bahia, l'uomo che ha dedicato la vita a risolvere enigmi solo d'estate e in luoghi dove l'umanità estranea se stessa. Situazioni altre, crociere, villaggi turistici

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UNO STRANO CASO

PER SERGIO DA SILVA

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Sinceramente credo che sia la cosa più assurda

che io abbia mai visto, disse la Signora

Mainfredi toccandosi la voluminosa

acconciatura.

Batatinha accennò un leggero sorriso, la fissò da

dietro i suoi occhiali da sole a goccia e

sentenziò: una samba batucada a Salvador da

Bahia, quella si che ha dell’assurdo,mia cara

signora, lì c’è dentro tutta l’ossessione

dell’Africa.

Sergio da Silva era un uomo che odorava di

tabacco, non perché fumasse molto anzi, ma era

una di quelle persone che lasciano il segno.

Passargli accanto quando era immerso a scrivere

nel suo taccuino nero era un affare di

imprescindibile sconsideratezza, voler entrare

nella sfera di una realtà così profonda e

penetrante non era certo un gesto di meditato

contatto emotivo perché inevitabilmente si finiva

per essere schiacciati dalla frenesia rettile delle

sue vene. Le mani lunghe sembravano un

groviglio di cavi elettrici scoperti dove le dita

facevano da corona ad un movimento, uno

slancio che probabilmente nasceva dallo

stomaco e si bagnava del sudore di una cultura

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creola. Batatinha scriveva molto, amava farlo

allungando le gambe e con una mano sola, senza

tenere il quaderno ( e anche se gli era stato fatto

notare più volte quanto fosse scomoda e

antipatica quella postura lui semplicemente se ne

fotteva). A volte s’interrompeva di scatto,

prendeva la sua scatola di fiammiferi, si

accendeva una camel gialla masticata dai

pantaloni e rimaneva immobile dopo la prima

aspirata. Cosa pensasse a nessuno era dato di

sapere. Attendeva qualche istante, si toglieva

dalla bocca piccoli rimasugli di tabacco

sputandoli a terra e non era difficile trovarlo a

canticchiare una samba bahiana usando la

scatola di fiammiferi come accompagnamento.

Sergio da Silva conosceva il mondo quel tanto

che bastava per essere arrivato alla conclusione

che nonostante tutto, nonostante tutto beh,

faceva schifo. Vestiva male, pantaloni cachi con

la vita alta, una camicia bianca aperta sul petto e

un cappello logoro che usava come ventaglio,

vederlo indossare una polo bucata della

friggitoria “Barroso chicken fried” lasciava

intendere che si fosse alzato tardi quella mattina

e avesse messo la prima cosa che si era ritrovato

tra le mani. A voler essere sinceri Sergio

sembrava in tutto e per tutto un poveraccio di

Rio de Janeiro, un uomo che viveva alla giornata

mangiava maiale e camminava molto. Niente

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lasciava presagire che dentro il portafoglio

portasse un distintivo scaduto della “ Polícia

Civil do Governo da Bahia” perché questo era

stato Sergio da Silva conosciuto come Batatinha,

un commissario di polizia brasiliano. La cosa

che aveva dell’incredibile era che dopo poco

tempo, ovunque lui fosse, nonostante fosse un

uomo di poche parole, tutti incominciavano a

chiamarlo “comissario”.

Nessuno però osava fare commenti sulle strane

cicatrici che percorrevano le braccia del

commissario, distoglievano lo sguardo dalle

vene atrofiche puntate da spilli o “punture di

siringa, ne sono sicura, mio cognato è

infermiere” letti di fiume aridi che si trascinano

nella foresta, come il lento scorrere del cuore di

tenebra di Conrad. D’altronde la magrezza di

Batatinha non faceva sospettare nessun tipo di

dipendenza, questo era chiaro, la perfetta

lucidità di quell’uomo a volte era quasi

spiazzante, arguto figlio del Brasile Sergio

riusciva a mettere a disagio anche l’interlocutore

più smaliziato. Per non parlare delle donne, non

che fosse un erotomane da crociera ovviamente

ma Sergio da Silva professava una dedizione e

una conoscenza della seduzione e del sesso da

far tremare le gambe alle giovani sprovvedute

ragazze acerbe che frementi di quell’uomo

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creolo si lasciavano trascinare nel tumulto del

Candomblé, la “danza dei negri”, la religione

sincretica degli schiavi deportati. Ma

Sergio era la sua religione, si era fatto egli

stesso divinità feconda, e questo lo sapevano

bene anche le donne mature che aprivano le loro

gambe languide non più vergini per essere

possedute di volta in volta da Obaluiae oppure

da San Lazzaro.

Il passato del commissario era fumoso come il

colletto di camicia di un suonatore di Choro,

non presagiva niente di buono e sicuramente

avrebbe portato a lungo i segni del sudore (e del

sangue) versato. Questo ovviamente oltre alla

riluttanza di Sergio a parlare della sua attività a

Bahia, aveva portato la gente ad inventarsi ed a

propagare tutta una serie di leggende che ormai

il commissario non era più in grado di staccarsi

di dosso, non faceva niente per smentirle ma

alcune avevano dell’incredibile. Testimoni sicuri

andavano affermando che una sera di forti

bevute il commissario avesse rivelato particolari

inquietanti della sua attività svolta come

commissario nelle strade bahiane, di come

avesse con polso fermato rivolte nelle favelas e

di come più di una volta si fosse macchiato di

atroci delitti. Beh, non lui personalmente,

andava rimarcando l’informatissimo

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interlocutore, ma i poliziotti da lui comandati e

che in fin dei conti, se c’era stato il morto

l’ordine sarebbe per forza dovuto venire dal

commissario in carica. Alcuni però smentivano

tali dicerie affermando che l’estrazione povera e

la bontà d’animo di Sergio non avevano niente a

che vedere con tutte quelle storie frutto di male

lingue ed anzi, era grazie al comisario se in più

di un’occasione si era evitata la mattanza nelle

baraccopoli. Tra tutte le dicerie però, quella che

più risultava fantasiosa e che era veramente

difficile d’accettare riguardava il suo presente, o

meglio metà della sua vita attuale. Si andava

vociferando infatti che disgustato dalla violenza

delle strade del Brasile, di tutta quella povertà

generatrice di morte e di ossessioni avesse preso

una decisione radicale, avrebbe cioè dato una

svolta molto particolare alla sua vita. C’era chi

andava affermando che Sergio fosse arrivato alla

conclusione che vivere avesse senso solo

d’estate, perché è proprio in questa stagione che

la vita dell’uomo prende una piega più surreale e

quindi artistica. Si diceva che da Silva dopo

tanto meditare si fosse reso conto di come non

solo l’umore delle persone segue il naturale

andamento stagionale (malinconiche ed a volte

tristi d’ inverno) ma di come in fondo d’estate la

gente fosse realmente più libera. Libera dal

lavoro, durante le ferie e le vacanze estive, libera

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di pensare ad altro oltre le infinite scadenze

giornaliere, libera di uccidere in modo più

artistico. Era qui che di solito l’attenzione della

gente si faceva più pressante e attendevano con

particolare interesse il proseguo della storia.

Dopo tanti anni passati nei vari distretti di

polizia e dopo aver svolto indagini dei più

incredibili e strabilianti casi di omicidio

Batatinha aveva notato che, al di là del modus

operandi di ogni singolo criminale, d’estate,

quando il mondo si ferma un attimo per

respirare, l’inventiva e la crudeltà delle persone

trovano il loro naturale libero sfogo.

Camminando di notte tra le strade di Bahia (ma

non solo) si possono incontrare solitari gruppi di

persone vagare senza meta, le luci delle case a

volte sono accese fino a notte tarda ma c’è

qualcosa di strano, di più estraniante, di più

surreale. Ti rimane addosso una particolare

sensazione di frenesia sessuale, quel senso cioè

di abbandono e rilassatezza con un basso ventre

ancora in agitazione dove l’uomo non può che

accettare quel particolare stato di “nervoso

godimento” come una benedizione. L’estate

risulta essere perciò un stagione-fuori-dal-

tempo, perché senza destinazione possiamo

trovarci a vagabondare ed a fumarci una

sigaretta in silenzio, da soli, come nelle ore che

precedono l’alba ma ancora non abbandonano

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l’infinita profondità della notte. Ci ritroviamo

così in uno stato di grazia. Il resto dell’anno

per Sergio era pura spazzatura esistenziale. E

allora si andava dicendo che le punture sulle

braccia fossero rivelatrici di una pratica

morbosa. Secondo taluni d’inverno il

commissario entrava in uno stato catatonico,

quasi di vegetativo letargo iniettandosi le più

folli e blasfeme droghe, e poi d’estate si

risvegliasse per godere dell’unica stagione che

avesse senso essere vissuta. Perché infangare

metà della propria vita con la mediocrità e con

realtà spicciola?! Chi lo seguisse in tali pratiche

e soprattutto con quanti e quali soldi si potesse

permettere questo stile di vita non ci è dato

saperlo.

L’unica cosa sicura, e qui è il punto, è che

Sergio da Silva detto Batatinha continuava a fare

l’unico lavoro che sapesse fare da sempre, cioè il

“comisario” di polizia e nelle lunghe estati che

lo attendevano si ritrovava coinvolto nei più

surreali e strabilianti casi di omicidio. Per non

sbagliarsi e per non perdere la rotta esistenziale

però frequentava solamente non-luoghi, luoghi-

altri, in cui le persone si ritrovano coattamente e

forzatamente in contatto, vuoi una crociera vuoi

un villaggio turistico, e dove il più delle volte la

follia dell’uomo riemergeva dal profondo degli

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istinti primordiali. Ed è proprio in un villaggio

turistico in Marocco che Sergio fu coinvolto

nello strano caso della signora Mainfredi.

Nella stanza da letto della bella ereditiera calò il

silenzio. Il commissario di bordo guardò

Batatinha cercando un appoggio alla razionalità

che stava vacillando. La signora Mainfredi, sulla

quarantina, si stava asciugando la fronte con un

fazzoletto e controllando che l’abbronzatura non

si scolorisse. Il corpo ancora bellissimo era

fasciato da un vestito di lino bianco e sotto si

poteva intravedere solo il pezzo inferiore del

costume, il seno turgido era libero di premere

contro il vestito. Il marito dell’ormai ereditiera

era accasciato a terra, vicino al tappeto

dell’esotica dependance contorto con

un’espressione di terrore stampata nel viso.

Tumefazioni ovunque, sangue rappreso sotto la

pelle fredda. Alcuni turisti morbosamente

curiosi si affacciarono alla porta. Il commissario

di bordo di una nave da crociera attraccata li

vicino fu chiamato per l’occasione al villaggio

turistico. Alla fine riuscì finalmente a parlare: “

In vita mia non ho mai visto una cosa del genere,

quale mente malata può uccidere un uomo con

un espediente del genere?” “ Lo trova strano?”

disse Batatinha. “Certo perdio, come si può

uccidere un uomo a colpi di scimmia? Sentenziò

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il poliziotto guardando Sergio da Silva. “Beh mi

sembra la cosa più razionale vedendo in che

stato è il corpo di Antoine Meinfredi” (notaio di

Bologna). “ E secondo lei dovremmo berci una

così “razionale” spiegazione? Crede che quattro

peli ritrovati sulla scena del delitto e una cagata

non ben identificata su un angolo possano essere

più che sufficienti per arrivare alla conclusione

che il notaio sia stato ucciso a colpi di scimmia?

“ Il poliziotto era in evidente imbarazzo e

nervosamente agitato “E dove sarebbe questa

fantomatica scimmia mio caro “comisario”,

dov’è l’arma del delitto? Vuol farci credere che

l’omicida dopo questo folle atto “artistico” abbia

costretto la vittima a mangiarsi il corpo del

primate e l’abbia forzatamente soffocato?”

Batatinha non rispose, prese la scatola dei

fiammiferi, si accese la sua camel e inspirò.

“Non ho mai detto che la scimmia sia morta, ne

che dovremmo ritrovarne il corpo, ho solo detto

che probabilmente il signor Antoine Mainfredi è

stato ucciso a colpi di scimmia!” Sempre più

confusi gli astanti guardarono il brasiliano. “ E

allora perlamadonna, dov’è sta scimmia?”

Batatinha strinse gli occhi, si guardò intorno,

fece cadere la sigaretta per terra e con la punta

del mocassino la spense. Fissò la signora

Mainfredi per un attimo e poi di scatto le strappò

la veste stringendo con forza anche il costume. Il

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corpo della donna rimase nudo di fronte ad una

platea attonita, l’irruenza dell’atto congelò tutti.

Le labbra del sesso della donna emergevano da

un pube folto ma curato, languidamente bagnate

ipnotizzarono gli occhi dei presenti i quali

inorriditi poterono notare come in realtà la

crespa peluria proseguiva anche nella parte

posteriore, intorno ad una protuberanza che

sembrava una coda atrofica, delineavano i glutei

della donna come il posteriore di un gibbone. Il

corpo della signora Mainfredi aveva ora

qualcosa di scimmiesco, sensualmente attraente

e nello stesso tempo animale.

Inconsapevolmente la signora con un gesto

pudico si coprì il seno con le mani senza badare

al fatto che lo scandalo fosse da tutt’altra parte.

Batatinha lasciò la stanza accennando una samba

con il movimento dei fiammiferi dentro la

scatola, senza spiegare quale fosse il movente

dell’omicidio, senza spiegare perché la donna

quasi-scimmia avesse malmenato il marito fino

ad ucciderlo e poi avesse defecato in un angolo.

Ma questo spettava al commissario di bordo,

questo riguardava la vita normale, non quella di

un uomo di samba.

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No me vai ornamentar

E pra no sofrer desiluso

Nem passar decepo

Eu vou sambar

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UNA TELEFONATA

INASPETTATA PER

SERGIO DA SILVA

Nemmeno il silenzioso spumare del mare ebbe

la forza di contrastare il corpo mulatto e

carismatico di Sergio Da Silva.

Quella mattina era sceso presto verso la spiaggia

solamente con una sacca militare senza una

cinghia e con delle espadrillas consunte. Sergio

era stato e continuava ad essere un uomo di

mare, perché era convinto, e dava a vedere, che

le priorità della vita che si era prefissato

seguissero uno schema di stabile equilibrio. L’ex

“comisario” di Salvador da Bahia aveva delle

mani nerborute, ostinatamente maschili, bruciate

dal sole e levigate dal seno di innumerevoli

donne che come pietre pomici ne avevano

lisciato la pelle.

Come se l’acqua del mare fosse l’ennesima

amante, Sergio nuotando la stringeva e la

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spingeva ad ogni bracciata. Era mattina presto e

ancora prima aveva seguito il sentiero lungo il

litorale che lo avrebbe portato alla spiaggia dei

“sassi neri”. Ancora la calca dei corpi abbronzati

e dei giovani aitanti era lontana a venire e questo

era per Sergio il momento migliore per farsi una

nuotata e scaricare il nervosismo di una notte

insonne. Capitava spesso infatti che per un

numero imprecisato di sere il commissario

andasse a dormire agitato senza una precisa

motivazione e il più delle volte ciò precludeva

un sonno ristoratore.

Sicuramente l’alcol e qualche pesante bicchiere

di rum Añejo giocavano a suo sfavore, a volte

però si faceva persistente il ricordo del vecchio

Brasile, quel languido luogo della memoria che

gli bagnava l’anima, e come una ferita non

poteva scrollarsi di dosso la sensazione di un

pattugliamento notturno ad un quartiere

controllato dai trafficanti di uomini, mercenari

della carne, insulsi pederasti dell’umanità.

Vedeva questi venefici scarafaggi elettrici

leccare le gambe sporche e acerbe di giovani che

avevano condannato la loro esistenza per un po’

di colla e la polizia agitata rastrellare favelas e

sporcarsi le mani con il sangue di innocenti…

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Niente di tutto questo, o solo in parte riusciva a

filtrare quella barriera prima mentale e poi fisica

che faceva del commissario un uomo

straordinariamente silenzioso. Uscendo

dall’acqua si lisciò i capelli all’indietro, si mise a

posto il costume e guardò il cielo. Buio pesto,

nubi pesanti oscuravano l’alba, un pomeriggio di

piogge battenti l’avrebbero costretto a

rinchiudersi in casa come un topo spaventato.

Con il sapore del mare nell’anima e il desiderio

di tabacco sulle labbra Sergio prese la via del

ritorno. Tra gli scogli, come fosse un’alga

marrone o una bottiglia d’acqua incrostata, un

anziano pescava in disparte. Sergio lo fissò. -

Che di nuovo vecchio? L’uomo sorrise – Sei

solo? – disse l’anziano

- Mi guardi dentro pescatore? – sentenziò

ironico Sergio da Silva detto Batatinha

- La spiaggia è deserta, non ho mai visto

nessuno farsi una nuotata così di buon ora

- Non riuscivo a dormire… Il vecchio fece un

cenno d’assenso con la testa, segno di empatica

comprensione e svogliatamente continuò a

pescare. Giravano voci, ovunque andasse che

per dimenticare il passato o per apprezzare

meglio il presente Batatinha facesse un uso poco

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oculato di sostanze “esotiche” ed anzi ancora più

inquietante era la diceria riguardante il suo

surreale e malsano stile di vita.

Si diceva infatti che rifiutando l’inverno come

stagione tristemente reale Sergio Da Silva si

rifugiasse in un sonno drogato per almeno la

metà dell’anno e si risvegliasse solamente

durante la bella stagione per assaporare quel

senso di distacco e di irreale silenzio di un’afosa

domenica d’estate o di una notte d’agosto in una

città deserta. Rifiutando di lavorare, di scendere

a patti con la realtà, di abbassarsi all’inutile

pedanteria di un periodo privo di fantasia Sergio

viveva la sua vita estiva lenta e sospesa come se

ogni giorno gli istanti di vita seguissero ubriachi

un ritmo sensualmente tropicale.

Come riuscisse a farlo e chi lo aiutasse in

un’impresa così folle a nessuno era dato di

sapere. Nei sogni morfinici di Batatinha gli dei

del Candomblè danzavano erotici. Sergio si

accese una Camel, prese la sacca e si avviò al

resort canticchiando una samba

accompagnandosi ritmicamente con una scatola

di fiammiferi. Quando risalendo la scarpata vide

del movimento dalla posizione sopraelevata

e notò che dall’altra parte della spiaggia, più in

basso, una piccola imbarcazione della guardia

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costiera stava tornando accolta da alcune

persone. Incuriosito si mise seduto su una pietra

continuando a fumare. Cosa avevano trovato?

Perché tanto movimento? A cena venne a sapere

da alcune facoltose villeggianti che il cadavere

di uomo era stato ritrovato su sul fondale

marino.

- Le giuro commissario

- Ex commissario signora mia,l’interruppe

Batatinha

- Certo come vuole, scusi, beh veramente

qualcosa di inquietante, ancora ho i brividi se ci

ripenso- disse la signora Maria Teresa Orpelli

moglie affettuosa e fedele consorte del

maresciallo Orpelli Michele

- Non si faccia impressionare troppo da queste

cose mia cara signora, la gente muore, un

piccolo turbamento che inaspettatamente rompe

la tranquillità di questi giorni stanchi- disse

Sergio allungandogli un drink dall’improbabile

colore. La signora Orpelli non ascoltando affatto

il consiglio del “comisario” continuò il suo

racconto con malcelato patema di cuore.

- Ho sentito dire che l’uomo alloggiasse qui in

albergo, un certo Tazio Battevardi credo-

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sussurrò la bionda cinquantenne cercando con lo

sguardo l’approvazione dell’amica.

- Non capisco come si possa compiere un delitto

del genere! Si fece avanti l’amica interpellata

- Zavorrare un uomo con grossi macigni,

spingerlo giù fino in fondo al mare e lasciarlo

morire così, affogato, senza via di scampo! Si

mise le mani davanti agli occhi

- Ho sentito dire che l’hanno rinvenuto seduto,

come se stesse aspettando una telefonata e

infatti… La signora Johanna si interruppe.

Batatinha la fissò incuriosito – E infatti?!

l’incalzò lui – E infatti (continuò la signora

Orpelli) l’hanno trovato con un cavo telefonico

che gli fuoriusciva dallo sfintere anale, se mi

permette la parola, e si inseriva nella sabbia del

fondale come per collegarlo al buco del culo

dell’oceano – disse maliziosamente divertita

Maria Teresa Orpelli con un leggero bagliore di

perversione negli occhi troppo audace per la

moglie di un maresciallo.

Sergio la fissò incuriosito, si inumidì le labbra,

vi accese una Camel e appoggiò i gomiti sul

tavolino del bar Mocambo dell’albergo. Non

disse niente, si limitò ad aspettare. L’accaduto

aveva tutte le carte in regola per essere un

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“nuovo caso per Sergio Da Silva”.Per ora però

quello di cui aveva bisogno era di una doccia

fredda e di una Camel fumata in solitudine. Non

per meditare beninteso, per quello aveva tempo,

ma per prendersi un attimo di respiro.

L’omicidio di Tazio Battevardi era ormai sulla

bocca di tutti e le indagini andarono avanti per

giorni.

La polizia di paese, risvegliata da un letargo

debilitante era ormai sicura di essere vicina alla

risoluzione del caso. Come l’inetto si mette al

lavoro freneticamente vuol dimostrare la sua

attitudine all’operare. Batatinha divertito seguiva

lo svolgersi delle indagini. Inutile a dirlo era

convinto che stessero sbagliando tutto. Infatti la

via scelta dalla polizia di un piccolo paesino di

mare era inevitabilmente quella dal risvolto

pruriginoso, un caso di gelosia di morte e di

omosessualità per il piacere delle signore

villeggianti e di paese. Tutti ormai sapevano ed

erano convinti che Tazio Battevardi tenesse in

piedi una relazione omosessuale extraconiugale

e che l’amante ingelosito dalle telefonate

continue della moglie avesse voluto punire il

libidinoso Tazio. Era chiaro che la moglie

sospettasse qualcosa (anche se lei continuava

imperterrita a negare) e che il violento pederasta

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avesse inflitto una pena deviata al suo amante

come era nelle corde della sua natura.

In questo caso più che di corde, si parlava di

cavi telefonici nella fattispecie. Il problema vero

risiedeva nel fatto che non si riuscisse a trovare

l’amante geloso, anzi nessun candidato era

disponibile anche se molti, illuminati dalle

indagini, andavano “ricordando” atteggiamenti

perniciosi e scabrosi con i più improbabili

villeggianti. Come da copione infatti il bagnino

risultò essere l’uomo ambiguo che il caso

richiedeva. Dopo due giorni di interrogatori però

fu rilasciato per insufficienza di prove ed ora si

brancolava nel buio.

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- Commissario lei cosa ne pensa? gli chiese un

giorno il maresciallo Cordiali

- Non sono più commissario da tempo- rispose

Sergio pensieroso giocherellando con uno

stecchino da denti tra le dita

- Ha dell’incredibile questo, non crede?

Batatinha non rispose -Eravamo sicuri ormai di

aver risolto il caso anche se il bagnino non so,

secondo me nasconde qualcosa- Perché avete

pensato proprio al bagnino?

- Beh chi altri avrebbe potuto trascinare il corpo

di Tazio fino in fondo al mare e fissarlo al

fondale con un cavo telefonico, in quella

maniera poi… voglio dire ci vuole una certa

abilità e confidenza con il mare per poter ordire

e portare a termine un omicidio così efferato!

- Anche io so nuotare- disse sorridendo e

provocatorio Sergio

- Beh ma che c’entra, lo sa come vanno queste

cose , quando la gente va in vacanza beh, è un

po’ come il maestro di sci.. Sergio lo fissò, il

maresciallo per fortuna si fermò da solo. Nella

stanchezza di un afoso pomeriggio estivo

solamente le cicale osavano cantare, tutto il resto

era silenzio. Maresciallo se mi permette credo

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che abbiate sbagliato il punto di vista, tutto ciò

che parte ha un punto di origine.

- Non la seguo.

- E’ proprio questo il punto, dovevate seguire il

cavo non risalirlo, non avete notato che manca il

telefono nell’alloggio in Hotel? E con questo? –

Secondo me se i sub scavassero nel fondale

probabilmente avrebbero un’inaspettata

sorpresa… Ormai alle corde la polizia seguì i

consigli di Batatinha. Sotto la sabbia tra i detriti

del fondale fu ritrovato un telefono digitale da

camera, quello di Tazio probabilmente, con il

cavo tagliato dai sub al momento del

ritrovamento del cadavere. Con molta

probabilità Sergio Da Silva aveva colto nel

segno perché la polizia non aveva né

l’intelligenza né un’agilità mentale superiore per

poter pensare allo stupefante ritrovamento di un

oggetto di un’antica civiltà pre-oceanica

scomparsa. Non che Sergio l’avesse mai

pensato, chiaramente, ma tra di loro chi era

ottuso non era di certo lui. Una volta asciugato e

ripulito Batatinha fece collegare l’apparecchio

alla rete telefonica e pigiò il tasto che

richiamava l’ultima telefonata effettuata. Tutti

rimasero con il fiato sospeso. Rispose una

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casella vocale, la voce di Tazio Battevardi

risuonò metallica e rauca.

“Registro questa che non è né una confessione

né un mea culpa, non voglio la vostra

compassione e non ne ho per voi, mi siete

indifferenti come mi è indifferente la mia vita

(in sottofondo il rumore di un televisore acceso).

Non credo potrò guarire o almeno questo è

quanto mi è stato detto, anzi da quanto mi è

parso di capire mi manca meno di niente, Cristo

che merda (il rumore di un bicchiere di vetro che

si riempie di liquido), comunque ho convertito

tutti i miei averi che avevo messo da parte in

blocchi d’oro, me ne vado nel fondo dell’oceano

con la mia preziosa zavorra ma almeno la bella

signora dai facili costumi, la troietta insomma,

non avrà altro da me. Ho sprecato troppo tempo

con mia moglie, ora voglio solo stare un po da

solo (rumore di una bevuta)…beh…fanculo”.

La registrazione si interruppe. Sergio fissò gli

astanti e sorrise al pensiero dei lingotti d’oro

spacciati per pietra grezza e usati come zavorra e

soprattutto lo divertì il pensiero che nei prossimi

giorni sarebbero partite delle spedizioni per

ritrovare quelle pietre di inestimabile valore che

con molta superficialità erano state rigettate in

mare. In fin dei conti, anche da morto, Tazio

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Battevardi l’aveva messa in culo a tutti. Ma

ancora l’idea non era emersa nelle menti

disorientate dei presenti, presto però ci si

sarebbe divertiti.

- Samba -