Strada Maestra di vita Scuola Secondaria di 1° grado di Gossolengo (PC) Via G. Marconi 7 tel. 0523...
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Strada
Maestra di vita
Scuola Secondaria di 1° grado di Gossolengo (PC)Via G. Marconi 7 tel. 0523 779334 tel./fax. 0523 770575
e mail - [email protected] sito - www.icri-go.it
classi 2C – 2D
La vita è una strada lunga, a volte difficile, in salita o con
vertiginose discese.
Noi giovani spesso l’affrontiamo con leggerezza, a volte
in modo spericolato, troppo spesso senza renderci conto
del rischio che corriamo quando non rispettiamo le regole
e i divieti che la legge ci impone.
Per affrontare questo percorso abbiamo bisogno di guide,
di persone adulte, genitori, insegnanti, educatori, che ci
supportino, ci sgridino, ci aiutino, ci spronino per
affrontare al meglio la strada che ci aspetta.
Non diversamente è accaduto a Dante nel suo lungo
viaggio nei profondi e oscuri meandri dell’inferno; la sua
discesa, costellata da titubanze, paure, esitazioni, non
sarebbe stata possibile se non ci fosse stato accanto a lui
Virgilio, guida amorosa e severa che non lo abbandona un
istante.
Attraverso questo percorso Dante imparerà a superare le sue paure, a valutare le
conseguenze che derivano dall’abbandono della retta via, a testimoniare il dolore altrui,
soffrendo, piangendo ma anche trovando sollievo nel suo maestro; non diversamente noi,
nel nostro percorso di crescita, impareremo tante lezioni, più o meno severe, che ci
rafforzeranno, ci faranno crescere lungo questo percorso, lungo questa strada “maestra di
vita”.
La selva in cui si trova Dante è un luogo pieno di insidie e di pericoli, così come la vita, e se non si è ben guidati si può perdere la strada.
Canto I, vv. 1 -12Nel mezzo del cammin di nostra vitami ritrovai per una selva oscura,ché la diritta via era smarrita.Ahi, quanto a dir qual era è cosa duraesta selva selvaggia e aspra e forteche nel pensier rinova la paura!Tant’è amara che poco è più morte;ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,dirò de l’altre cose ch’ i’ v’ho scorte.Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,tant’era pien di sonno a quel puntoche la verace via abbandonai.
vv. 60 – 66Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,dinanzi a li occhi mi si fu offertochi per lungo tempo parea fioco.Quando vidi costui nel gran diserto,“Miserere di me” gridai a lui“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”[Virgilio rispose]“A te convien tenere altro viaggio […]Se vuo’ campar d’esto loco selvaggio” […]Allor si mosse, e io li tenni dietro.
La selva in cui si trova Dante è un luogo
pieno di insidie e di pericoli, così come la
vita, e se non si è ben guidati si può
perdere la strada.
Nella selva l’uomo si smarrisce a causa
del sonno della ragione, cioè l’incapacità
di discernere ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato.
Le tre fiere, che nell’inferno dantesco
rappresentano il peccato, possono essere
intese da noi moderni come i pericoli, le
difficoltà che ognuno di noi deve
affrontare e che ci respingono nel buio
della selva.
Ecco allora che appare una guida, Virgilio,
che mostra a Dante il percorso da
affrontare, una strada lunga e difficile ma
che insegna tante cose, che può
diventare “maestra di vita”.
... ma come a Dante si affianca Virgilio, che lo incita ad abbandonare qualsiasi timore, così i giovani possono contare su guide sagge ed esperte
Canto III vv. 1 – 14“Per me si va nella città dolente,per me si va ne l’etterno dolore,per me si va tra la perduta gente […].Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.Queste parole di colore oscuroVid’io scritte al sommo di una porta;per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro”.“Qui si convien lasciare ogne sospetto;ogne viltà convien che qui sia morta”. […]E poi che la sua mano a la mia puoseCon lieto volto, ond’io mi confortai,mi mise dentro a le segrete cose. Canto III vv. 82 – 92Ed ecco verso noi venir per naveUn vecchio, bianco per antico pelo,gridando: “Guai a voi, anime prave!”Non isperate mai veder lo cielo:i’ vegno per menarvi a l’altra rivane le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.E tu che se’ costì, anima viva,pàrtiti da cotesti che son morti”. […]E ‘l duca [a] lui: “Caron, non ti crucciare:vuolsi così colà dove si puoteciò che si vuole, e più non dimandare”.
Il cammino di Dante comincia con la porta
infernale, che reca sulla sua sommità la
celeberrima scritta: “Lasciate ogni speranza, voi
che entrate”.
L’inizio di un percorso è sempre difficile, per
chiunque, soprattutto quando porta verso l’ignoto.
Così accade per i ragazzi che, da bambini protetti e
tutelati dai genitori, diventano giovani uomini e
giovani donne con precise responsabilità verso se
stessi e gli altri; ma come a Dante si affianca
Virgilio, che lo incita ad abbandonare qualsiasi
timore, così i giovani possono contare su guide
sagge ed esperte che indicano loro il modo più
efficace per seguire la propria strada.
L’ostacolo successivo che Dante deve affrontare è
l’attraversamento del fiume Acheronte.
Il traghettatore oppone un deciso rifiuto al
passaggio di Dante: solo i morti possono percorrere
quella via.
Ancora una volta Virgilio, guida saggia e maestro,
interviene a favore del poeta, imponendo la propria
autorità che deriva da Dio.
La strada di Dante è costellata quindi da mostri
Come accade nella vita di ciascuno, le difficoltà temprano il carattere e la saggezza acquisita dall’esperienza permette di diventare più forti ma anche più prudenti.
Stavvi Minos orribilmente e ringhia (Canto V v. 4)
Cerbero, fiera crudele e diversa,con tre gole caninamente latra(Canto VI vv 13 -15)
“Pape Satan, pape Satan aleppe!”Cominciò Pluto con voce chioccia (Canto VII vv 1– 2)
[…] io vidi una nave piccolettaVenir per l’acqua verso noi in quella,sotto il governo d’un sol galeotto,che gridava: “Or se’ giunta, anima fella!”(Canto VIII vv. 15 – 18) Com’io fui dentro, l’occhio intorno invio:e veggio ad ogne man grande campagna,piena di duolo e di tormento rio.[…] i sepulcri tutt’il loco vario[…] facevano quivi d’ogne parte (Canto IX vv. 109 – 111; vv. 115 – 117)
Il percorso di Dante procede verso il basso, il
poeta scende da un cerchio all’altro; lui e il suo
maestro superano la palude Stigia, giungono ai
piedi di un’alta torre, da cui compaiono
inquietanti segnali luminosi che solcano
l’oscurità; servono per avvertire Flegiàs, un
nocchiero come Caronte, che grida contro Dante
e Virgilio in preda a una costante sovreccitazione
dettata dall’ira, il peccato che i dannati immersi
nella palude Stigia devono espiare. La strada di
Dante è costellata quindi da mostri (Cerbero,
Minasse, Pluto), da demoni (Caronte, Flegiàs) che
urlano contro di lui, gli si oppongono
terrorizzandolo.
E ogni volta Dante chiede conforto al suo
maestro, e ogni volta il suo maestro gli infonde
coraggio, partecipa alla sua inquietudine e al suo
tormento; la strada è ancora lunga, il percorso
sempre più difficile e Dante ha bisogno di tutte le
sue forze.
“Ma ficca li occhi a valle, ché s’approcciala riviera del sangue in la qual bollequel che per violenza in altrui noccia”.(Canto XII vv- 46 – 48)
[…] noi ci mettemmo per un boscoChe da neun sentiero era segnato.Non fronda verde, ma di color fosco;non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.(Canto XIII vv . 2 – 6)
[…] arrivammo ad una landaChe dal suo letto ogne pianta rimuove.[…] Lo spiazzo era una rena arida e spessa.(Canto XIV vv. 8 – 13)
Il paesaggio infernale cambia continuamente:
oltre le alte mura della Città di Dite, i due poeti
attraversano una landa in cui si aprono sepolcri
arroventati, poi un fiume di sangue bollente, il
Flegetonte, una macchia di cespugli spinosi, un
deserto di sabbia su cui precipita una pioggia di
fuoco.
Dante incontra schiere di dannati, tormentati
dalle pene più atroci, ma il suo animo è sempre
più saldo.
Come accade nella vita di ciascuno, le difficoltà
temprano il carattere e la saggezza acquisita
dall’esperienza permette di diventare più forti ma
anche più prudenti.
il demonio Gerione ...è il simbolo della frode
il volto sorridente e
amico può celare la più
terribile delle insidie.
Canto XVII vv. 10 – 27
[Gerione]La faccia sua era faccia d’uom giusto,tanto benigna avea di fuor la pelle,e d’un serpente tutto l’altro fusto;due branche avea pilose insin l’ascella;lo dosso e ‘l petto e ambedue le costedipinti avea di nodi e di rotelle.[…] Nel vano tutta sua coda guizzava,torcendo in su la velenosa forcach’a guisa di scorpion la punta armava.
Il passaggio tra il VII e l’ VIII cerchio è
segnato da una ripa scoscesa che i due
poeti non possono superare da soli;
interviene allora il demonio Gerione che,
con il suo volto di uomo benigno, il corpo
di serpente, la coda armata da una
forbice velenosa che resta nascosta nel
baratro, è il simbolo della frode.
Il suo aspetto, infatti, induce a fidarsi di
lui, che tuttavia è pronto ad ingannare il
prossimo con le sue armi.
Anche nella descrizione di questo mostro,
Dante impartisce un insegnamento di
vita: il volto sorridente e amico può
celare la più terribile delle insidie.
Allo stesso modo, giustificare, o peggio,
accompagnarsi a persone che non
rispettano le regole del corretto vivere
civile può portarci sulla strada sbagliata.
Canto XX vv. 19 – 30
Se Dio ti lasci, lettor, prender fruttoDi tua lezione, or pensa per te stessocom’io potea tener lo viso asciutto,quando la nostra immagine di pressovidi sì torta, che ‘l pianto de li occhile natiche bagnava per lo fesso.Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchidel duro scoglio, sì che la mia scortaMi disse: “Ancor se’ tu de li altri sciocchi?Qui vive la pietà quand’è ben morta;chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta?
Giunto nell’ VIII cerchio, Dante incontra gli indovini,
la cui punizione consiste nell’avanzare con la testa
ruotata di 180°.
La constatazione di come il peccato devasti l’uomo,
spinge il poeta a commuoversi per il destino di
queste anime; il suo atteggiamento
compassionevole scatena un duro rimprovero di
Virgilio: commuoversi per chi ha commesso un
peccato così grave (volere penetrare i misteri del
futuro, non rispettando così i limiti che Dio ha
imposto all’uomo) è sbagliato, vorrebbe dire
giustificarlo.
Qui è pietoso mostrarsi spietati, afferma Virgilio, la
cui severità costituisce l’altra faccia di quella
paternità che lui tante volte ha manifestato con gesti
di affettuosa sollecitudine.
Allo stesso modo, giustificare, o peggio,
accompagnarsi a persone che non rispettano le
regole del corretto vivere civile può portarci sulla
strada sbagliata.
E’ questo l’ammonimento dei nostri genitori, dei
nostri insegnanti e degli adulti in genere che si
occupano di noi, un ammonimento che troppo
spesso tendiamo a non ascoltare.
dovendo fuggire velocemente dai diavoli...Virgilio lo afferra
Anche noi, davanti a un imminente pericolo che ci minaccia o fisicamente o psicologicamente, siamo stati soccorsi dalla nostra guida
Canto XXIII vv. 37 – 51
Lo duca mio di subito mi prese,come la madre ch’al romore è destae vede presso a sé le fiamme accese,che prende il figlio e fugge e non s’arresta,avendo più di lui che di sé cura,tanto che solo una camicia vesta;e giù dal collo de la ripa durasupin si diede a la pendente roccia,che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.Non corse mai sì tosto acqua per doccia[…]Come ‘l maestro mio per quel vivagno,portandosene me sovra ‘l suo petto,come suo figlio, non come compagno.
Fino ad ora Virgilio si è dimostrato padre
severo o affettuoso; nella quinta bolgia
dell’ VIII cerchio, il suo amore verso
Dante si manifesta non solo a parole, ma
come aiuto concreto: dovendo fuggire
velocemente dai diavoli e non avendo il
tempo necessario per trovare una zona
meno ripida per agevolare la discesa del
suo discepolo, Virgilio lo afferra, si cala
insieme a lui sino al fondo della sesta
bolgia. In questa scena toccante il poeta
latino viene paragonato ad una madre
ansiosa ed eroica che salva il figlio dalle
fiamme.
Anche noi, davanti a un imminente
pericolo che ci minaccia o fisicamente o
psicologicamente, siamo stati soccorsi
dalla nostra guida, il cui amore si è
manifestato in tante occasioni, che ci ha
tratto in salvo.
ci sono dei limiti imposti dalla legge, non divina ma umana, che non possono, non devono essere superati
Canto XXVI vv. 123 – 143
[…] volta nostra poppa al mattinoDè remi facemmo ali al folle volo,sempre acquistando dal lato mancino.[…] cinque volte racceso e tante cassoLo lume era di sotto da la luna,poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,quando n’apparve una montagna, brunaper la distanza, e parsemi alta tantoquanto veduta avea alcuna.Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;chè de la terra un turbo nacquee percosse del del legno il primo canto.Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque;a la quarta levar la poppa in susoe la prora ire in giù, com’altrui piacqueinfin ch ‘l mar fu sovra noi richiuso.
Il “folle volo” di Ulisse è il superamento dei
limiti umani imposti da Dio.
Il discorso di Dante può essere considerato
attuale: ci sono dei limiti imposti dalla legge,
non divina ma umana, che non possono, non
devono essere superati.
Questi divieti sono nati per tutelare noi e il
prossimo, e infrangerli significa provocare danni
a se stessi e agli altri. Molto spesso noi giovani
abbiamo la tendenza a ricercare emozioni
“forti”, che ci facciano superare le barriere
sociali che ci vengono imposte dall’alto, che ci
permettono di vincere la noia che spesso ci
affligge.
Per questo, stupidamente, molti di noi ricorrono a droghe e alcool per
superare i limiti dati al nostro corpo e al nostro cervello dalla natura.
Lo “sballo” è innaturale, è artificiale, è una forzatura delle nostre potenzialità
fisiche, ma la sua ricerca diventa l’obiettivo di tanti giovani, di tante serate
noiose.
E poi ci si mette in macchina, si corre nella notte sentendosi invincibili, in
grado di affrontare qualsiasi pericolo.
Troppo spesso, però, quella sensazione di onnipotenza, quella esaltazione,
come dice Ulisse, “torna in pianto”.
E la strada diventa un mare di catrame che “sovra noi richiuso”.