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DI GABRIELLA MANCINI, G. L. E MARCO BELLO «E ORA VOLERAI» STORIE DI AFFIDAMENTO FAMIGLIARE

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DI GABRIELLA MANCINI, G. L. E MARCO BELLO

«E ORA VOLERAI»STORIE DI AFFIDAMENTO FAMIGLIARE

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della tua rosa». In queste pagine abbiamo cercato di dare qualche ele-mento su cos’è l’affido famigliare, come si fa a diven-tare affidatari e quali sono le principali sfide e diffi-coltà. Senza voler essere esaustivi in una materia cosìdelicata. Le storie di genitori affidatari che hanno vo-luto condividere pezzi della loro esistenza con noisono il grande valore aggiunto di questo lavoro.

Gabriella Mancini e Marco Bello

OSSIER

PREMESSA

«PROMETTO CHEGLI INSEGNERÒ A VOLARE»

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Da qualche tempo parlare di affidamentoè diventato parte del gergo comune. Nonera così fino a qualche anno fa, quandol’affidamento si considerava ancora unapratica astrusa. Nonostante ciò qualchedubbio sul «cugino povero» dell’adozione

ancora permane e ci sembrava così doveroso inda-gare sulle caratteristiche e sulle sfumature di un im-pegno così profondo. L’affido parte da un moto del cuore e si trasforma nel-l’accoglienza temporanea di un bambino o ragazzoper un tratto della sua strada, mantenendo il legametra «affidato» e famiglia di origine.

È la possibilità di crescere in un ambiente famigliareadeguato mentre i suoi genitori sono in difficoltà, ri-spettandone la storia individuale e della famiglia diorigine. Dalla narrativa giungono le frasi più vere e più toc-canti per parlare di affido: «Ora volerai, Fortunata.Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avraimolti motivi per essere felice, uno di questi si chiamaacqua, un altro si chiama vento, un altro ancora sichiama sole ed arriva sempre come ricompensa dopola pioggia. Apri le ali ... Ora volerai. Il cielo sarà tuttotuo». Come recita Luis Sepulvéda, nel suo «Storia diuna gabbianella e del gatto che le insegnò a volare»,l’affido è un atto di amore gratuito. Dà e non chiedenulla in cambio. Se volessimo utilizzare la metaforadel piccolo Principe e della sua rosa, plageremmo leparole di Antoine de Saint Exupery sostenendo che:«È il tempo che hai perduto per la tua rosa che hafatto la tua rosa così importante. Tu diventi responsa-bile di ciò che hai addomesticato. Tu sei responsabile

Art 1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria fa-miglia.Art 2. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostantegli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una fa-miglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicu-rargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli habisogno. (Legge n. 184 del 4 maggio 1983)

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«Mi presti la tua famiglia? La miaè un po’ in difficoltà». Lo slogandella campagna per gli affida-menti del comune di Torino ri-assume bene l’idea. Si parte da

un disagio, la «difficoltà», in questo caso di una fami-glia con uno o più minori, e si cerca un aiuto tempo-raneo presso un’altra famiglia. Questo è il senso di«mi presti», diverso da «mi regali». «Il concetto è proprio questo - spiega GiuseppinaGanio Mego, dell’associazione Gruppi per l’affida-mento e l’adozione di Torino - si abbinano due fami-glie, quella di origine compreso il figlio da affidare equella affidataria». Queste sono due grosse differenze con l’adozione: lapresenza della famiglia di origine e la temporaneitàdell’azione. L’affidamento ha soprattutto lo scopo diassicurare ai minori la possibilità di crescere in unafamiglia evitando così l’inserimento in comunità oistituti. E questo per un periodo, più o meno lungo,nel quale a causa di «gravi motivi», il minore nonpossa continuare a vivere nella propria famiglia. La legge che norma l’affido, la 184 del 1983 e succes-sive integrazioni, dà priorità a famiglie con figli, maprevede anche coppie e singoli come famiglie affida-tarie. Scegliere di essere disponibili all’affido è un impe-gno civico (oltre che fisico e mentale) non indiffe-rente. Ci si scontra però subito con le prime diffi-coltà. «La famiglia si presenta ai servizi sociali e c’èun primo contatto di reciproca conoscenza» rac-conta Giuseppina. Sono previsti alcuni incontri di gruppo di informa-zione, dove viene spiegato l’affido sotto i vari aspetti:sociale, psicologico, giuridico. Sono presenti famiglieaffidatarie che portano la loro esperienza. Questa èuna fase di auto selezione.

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VALUTATI«Poi si attivano percorsi di conoscenza e selezionevera e propria, ovvero diversi incontri con assi-stente sociale e psicologa. Un cammino difficile - ri-corda ancora Giuseppina - è un mettersi a nudo,sentirsi giudicati e valutati». Il servizio deve valutare se la famiglia può andarebene per accogliere un bambino, ma anche con chetipologia di minori (e famiglie di origine). Poi ci sonoi tempi di attesa, perché, anche se sono molti i bimbiche aspettano, occorre fare bene l’abbinamento.«Questo può creare scoraggiamento e possono cam-biare le condizioni, per cui la famiglia ritira la suadisponibilità. È anche possibile che si valuti la fami-glia non idonea al momento attuale all’affido, sa-pendo che potrebbe diventarlo in seguito». Adesempio perché ha figli troppo piccoli.Giuseppina ha una lunga esperienza e ora è «nonna»affidataria, perché anche sua figlia dopo essersi co-struita una famiglia, si è lanciata con entusiasmo inquesto impegno di vita.Ma che caratteristiche deve avere una famiglia affi-dataria? «È necessario non essere rigidi, ma aperti,disponibili a mettersi in discussione, capaci di me-diare». Particolare attenzione è data ai figli della po-tenziale famiglia affidataria: «I servizi fanno dei col-loqui con i figli durante la visita domiciliare. Se sonopiccoli, si vede se hanno molto bisogno di affetto osono in grado di condividerlo con altri. Ogni bam-bino ha la sua storia e le sue problematiche. Nei rap-porti tra le persone non si può mettere la regola, mabisogna usare dei principi, dei paletti. Importante èche i bimbi non entrino in competizione. Ma ancheche i genitori sappiano accettare dei “No” dei figli,

LA PAROLA ALLE ASSOCIAZIONI

LE MIE DUE FAMIGLIE DI MARCO BELLO

Oltre il 70% degli affidi sono decisi dalgiudice. Mentre 15.000 bambini e ra-gazzi sono ancora in attesa in istituto.Ma diventare famiglia affidataria è unpercorso a ostacoli. Le associazionisono un attore importante di accompa-gnamento e aiuto. E anche di pressione sulle autorità permigliorare il sistema. Contro i tagli alsociale.

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senza forzarli né colpevolizzarli. Altrimenti si mettea repentaglio la propria famiglia, oltre che il bam-bino stesso e la sua famiglia di origine».

TIPOLOGIE E NUMERIEsistono diversi tipi di affidamenti famigliari, ma oc-corre distinguere due categorie principali: l’affidopuò essere consensuale, ovvero con il consenso dellafamiglia di origine, oppure giudiziale, disposto dalTribunale per i minorenni. Secondo gli ultimi datidisponibili del ministero del Lavoro e delle Politichesociali (al 31 dicembre 2008), il 72,4% degli affidisono giudiziali. A quella data risultavano in affido15.200 minori, di cui la metà a parenti e il 16,4% stra-nieri. Ma, dato più allarmante, 15.500 minori resta-vano in servizi residenziali, quindi in attesa di rice-vere una eventuale famiglia affidataria.

IL PROGETTO DI AFFIDO«L’affidamento realizzato d’intesa con la famiglia diorigine ha molta più probabilità di riuscire, sia per-ché si pone in ottica preventiva, non si arriva a farintervenire il tribunale per i minorenni, sia perchél’adesione al progetto di affido da parte della fami-glia di origine è un valore aggiunto molto impor-tante». Chi parla è Frida Tonizzo, che si batte dauna vita per l’affidamento famigliare. Assistente so-ciale, dopo aver lavorato per anni all’Anfaa (Associa-zione nazionale famiglie adottive e affidatarie), orane è membro del Consiglio direttivo, e continua amettere a disposizione la sua esperienza come vo-lontaria.

«Occorre trasmettere un valore importante dell’affi-damento: quello che il bambino può crescere condue famiglie, vivendo in un nucleo affidatario e man-tenendo i rapporti con la sua famiglia di origine. In-vece il fatto che si debba ricorrere al tribunale per iminorenni, fa assumere al provvedimento un signifi-cato impositivo». Una priorità dell’associazione èfare in modo che la percentuale di affidi consensualiaumenti rispetto al totale.Un’altra questione importante è legata al ruolo dellostato. Il diritto del minore a crescere in famiglia, affermatodalla legge 184 non è però un diritto esigibile. Questoperché è subordinato alle disponibilità finanziarie diregioni ed enti locali. Ricorda Frida: «Gli affida-menti famigliari sono disposti dai servizi sociali, chedevono incaricarsi di tutto l’iter: individuare i bam-bini per cui proporre l’affidamento, preparare la fa-miglia di origine all’affido, valutare, selezionare epreparare gli aspiranti affidatari, e poi sosteneretutti. Ma con i tagli alla spesa sociale, questi servizinon sempre assolvono in maniera adeguata quelleche sono le disposizioni di legge». Una delle battaglie della società civile è propriocombattere la riduzione delle spese e fare in modoche le regioni deliberino affinché l’accoglienza nonsia condizionata dai fondi stanziati. Occorre ricordare che c’è molta differenza tra le re-gioni italiane: ad esempio il Piemonte è all’avanguar-dia, mentre la Sicilia è la più in dietro di tutte. L’ultimo rapporto «I diritti dell’infanzia e dell’adole-scenza in Italia», del gruppo di lavoro per la «Con-venzione sui diritti del fanciullo» delle NazioniUnite, uscito a giugno, ha stigmatizzato questegrosse disparità. Il gruppo è un coordinamento diassociazioni italiane (tra cui l’Anfaa) che realizza unmonitoraggio costante sull’attuazione della Conven-zione in Italia.

SPENDERE OGGI PER RISPARMIAREDOMANI«Come associazione pensiamo che razionalizzando laspesa sia possibile fare interventi che rispondanomeglio alle necessità dei bambini, perché i tagli indi-scriminati sono una scelta miope». Continua Frida.«Se non si interviene in maniera tempestiva e ade-guata nei confronti di bambini con situazioni fami-gliari complesse, il rischio è quello dell’istituto a vita.La grande sfida che può vincere l’affidamento fami-gliare è quella di far diventare il bambino, che è a ri-schio di restare utente dei servizi per sempre, uncittadino, un elemento attivo della società e non unsuo carico.Se non si riesce a intervenire sulla famiglia di ori-gine per favorire un ritorno del minore, se non c’èaffidamento questo resta in comunità fino a 18 - 20anni. Una volta fuori è solo ad affrontare la vita. Conl’affidamento invece, anche quando è concluso, c’è lasperanza che la persona abbia dei punti di riferi-mento per i momenti difficili. Si resta presenti attivi,come genitori affidatari, anche quando il “figlio” affi-dato prende il volo». L’attivista ricorda che anche un bilancio meramenteeconomico vede importante l’istituto dell’affido, inquanto un inserimento in comunità costa circa 100

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euro al giorno. Come dire: togliere i finanziamentioggi all’affido vuol dire aumentare i costi totali oggie domani.«L’affido funziona se ognuno fa la sua parte. L’assi-stente sociale deve interloquire con psicologo, tribu-nale dei minorenni, famiglia di origine e affidataria».I tagli incidono in tutta l’organizzazione dei serviziche sono oggi sotto organico. Mentre in alcune re-gioni è stato tolto il contributo economico alle fami-glie affidatarie. «Il fondo nazionale è stato azzerato, i fondi regionaliridotti» denuncia ancora Frida Tonizzo.

UNA RETE DI ASSOCIAZIONIMa le associazioni continuano il loro lavoro di pres-sione e di proposizione attiva nei diversi contesti.Esiste un tavolo nazionale delle reti e associazionisull’affidamento famigliare (www.tavolonazionaleaf-fido.it), che ha lavorato per mettere insieme una basecomune condivisa di visione dell’affidamento e i suoiaspetti positivi; lavoro sfociato nel documento

«Dieci punti per rilanciare l’affidamento famigliarein Italia, 2010».Le associazioni di famiglie affidatarie sono attive atavoli ai diversi livelli: regionale, provinciale, comu-nale. Allo stesso tempo, le associazioni spesso sup-pliscono ai vuoti lasciati dallo stato, appoggiando lefamiglie affidatarie.«Oggi i servizi sociali sono ridotti, più che in pas-sato, mentre sono aumentate le situazioni di disagio». Ricorda Giuseppina Ganio Mego, che comeufficio famiglia della Caritas di Torino siede al tavolodi lavoro del comune, provincia e regione Piemonte.«Nel tavolo di lavoro della provincia, dove ci sono iconsorzi, gli operatori dei servizi chiedono alle asso-ciazioni e parrocchie di essere aiutati sul loro terri-torio con il progetto “dare a una famiglia un’altra fa-miglia”. Si sono convinti che se riusciamo a soste-nere una famiglia all’inizio delle difficoltà, prima chepeggiorino, avranno meno utenza, tra qualche anno,lo stato avrà meno cittadini da assistere e le personestaranno meglio». Con questo progetto, una o più fa-miglie, forniscono un aiuto a un nucleo in difficoltà(genitori con figli, spesso mamme sole con bambini).I servizi danno una supervisione e, se possibile ap-poggiano economicamente (es. assicurazione), ma,ricorda Giuseppina, «abbiamo invertito la dinamica:non sono i servizi a togliere i figli ma la persona nelbisogno a chiedere di essere aiutata».In generale, molto spesso le famiglie affidatarie si la-mentano di essere abbandonate dai servizi, e si ri-volgono ad associazioni territoriali, che sono diven-tate un anello imprescindibile di questa delicatis-sima catena. Racconta Elio Biasi tra i fondatori deiGruppi volontari per l’affidamento e l’adozione: «Senon ci sono le reti di associazioni che ti sostengono èdifficile farcela. Vediamo se tra noi riusciamo ad aiu-tarci. Qualcuno porta la problematica e vediamo secon il “auto mutuo aiuto” riusciamo a condividere,dare dei consigli, magari risolvere».

Marco Bello

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OSSIER

Giulia, sei anni, è uno scricciolo dai ca-pelli ispidi e indomabili. Alice una far-falla inafferrabile. Per fortuna abbiamotanti animali in giardino e lei si perde acercarli come la sua omonima nel paesedelle meraviglie. E mentre la più pic-

cola, felice di aver finalmente trovato qualcuno dachiamare mamma, non mi molla un attimo, neppurequando vado in bagno, Alice si ambienta a modo suonella nuova casa e nella nuova famiglia, sparendoalla vista.Arrivano da noi a luglio, il giorno dell’anniversariodel nostro matrimonio: strana coincidenza! Hannoalle spalle quattro anni di comunità, due tentativi dirientro a casa, falliti. Si portano dentro un indicibiledesiderio di mamma, di famiglia, di normalità.Il primo giorno è tutto un chiamare: «Mamma,mamma». Le blocco: «No bimbe, voi avete unamamma. Se volete chiamarmi, va bene Lucia oppuremamma Lucia». Ma non funziona: «Troppo lungo, cosa penserannogli altri bambini se ti chiamiamo solo Lucia?». Diecisecondi ed è già un vociare forte cosicché tutti pos-sano sentire che ora la mamma l’hanno anche loro.Quella vera, in realtà, c’è ma... non c’è. Quando la in-contrano, sarebbe meglio non ci fosse. Ogni volta ladelusione è grande! Se non c’è, però, manca troppoe bisogna andarla a incontrare, vedere com’è, spe-rare che sia migliore. Ogni volta, ogni quindicigiorni. Il resto del tempo lo trascorriamo a ricucirebrandelli di speranze tradite, di disincanto. Mahanno solo 6 e 8 anni. E così trascorrono i giorni, imesi, gli anni. Quanti giorni ci sono in tredici anni diaffido? Molti di più di 4.375! Di certo io, mamma affi-dataria, sono invecchiata, cresciuta, cambiata com-pletamente... Mi guardo indietro e ricordo fatica,tanta, troppa... Poi guardo le donne che le due sonoora diventate e intravedo miracoli accaduti pianopiano, senza che ne cogliessimo l’incipit e la magnifi-cenza.

ELISAQuando le bimbe arrivano da noi, in casa c’è giàElisa da quattro anni. Lei è in piena confusione prea-dolescenziale e vive nel suo mondo. Dolcissima allavista, nasconde una rabbia incredibile sotto quell’ap-parenza di acqua cheta da laghetto montano. Inrealtà c’è un vulcano lì sotto che dà spettacolo di sénei momenti meno opportuni, quando c’è un po’ dipubblico. Elisa ha una storia di abbandono e vio-lenza che lascia emergere col contagocce perchéaprirsi sarebbe vedere troppo dolore e soccombere.Il suo amore non ricevuto da piccola la porta adamare chi è più in difficoltà e proprio in quei periodibui delle medie, in cui tutto va come non vorrestiche andasse, durante i campi estivi dei centri sale-siani, lei è la prima a occuparsi dei ragazzi in diffi-coltà, di chi è limitato nel movimento, nell’appren-dere e nel giocare. Noi andiamo a trovarla l’ultimogiorno e ce ne rendiamo subito conto: ci sono tutti,150 ragazzi, ma lei no. Dove si sarà cacciata? Poi lavediamo arrivare da un lato, con i suoi 13 anni spingesul terreno accidentato di montagna la carrozzinadell’amico disabile che ha conosciuto pochi giorniprima. Gli occhi le si illuminano quando ci vede, masi contiene, presa com’è dal suo ruolo di croceros-sina. Se prima non sapevamo assolutamente che indi-rizzo consigliarle per la scuola superiore, ora è chia-rissimo: una scuola a indirizzo sociale. Abbiamo laconferma che è stata la scelta giusta anni dopo,quando ci chiede di comprarle la divisa da barellierae sale sul treno dei malati che partono per Lourdes.La vedo indossare collant e velo, in quei giorni soffo-canti di fine luglio, e stento a comprendere come ildesiderio di avere cura di qualcuno, quella stessacura che a lei è mancata, possa essere talmentegrande che…non c’è caldo che tenga.Quando Giulia e Alice invadono la casa e le nostrevite, Elisa diventa la mammina dolcissima che sa ar-

INCONTRI

IL PREZZO PER QUALCOSA DI GRANDEDI G. L.

Tredici anni di affidamenti raccontati con passione. Nonostante fatiche e inadem-pienze, non si è mai perso di vista l’obiettivo: dare una famiglia ai minori che non cel’hanno. Per un unico scopo: proiettarli in un futuro migliore.

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rivare dove noi non riusciamo: un abbraccio, una ca-rezza, il correre a vedere dove sono e di cosa sistanno entusiasmando, esserci di nascosto, quandole due pesti, dalla finestra del balcone che mette incomunicazione le loro camerette, le chiedono di ri-solvere gli esercizi di matematica più difficili. Oggi Elisa è sposata con una bimba di tre anni e unacreatura in pancia, ma se Giulia e Alice sono in diffi-coltà, lei prende l’auto e arriva. Ed è ricambiata daloro che, pur diversissime, non si negano se lei ha bi-sogno.Mi riempie il cuore vedere come si creano legami difratellanza ben al di là del Dna: sono fili emozionaliche non si spezzano e permettono di riconoscersicome appartenenti allo stesso cammino, un cam-mino che nasce nel dolore e si evolve, grazie al soste-gno di chi c’è intorno, verso la vita.

I DIFFICILI RAPPORTI CON I SERVIZI SOCIALIGiulia e Alice crescono coinvolgendoci così tanto chenon abbiamo più tempo di pensare, comprendere,tenere le distanze. Come accade con i propri figli, inquegli anni che si trascorrono a correre per portarlie seguirli ovunque, non c’è tregua. La scuola, losport, il catechismo, la festa di compleanno, gli invitidagli amici, le note sul diario, tante, troppe, le verifi-che che hanno sempre un voto basso e un com-mento: «Potrebbe fare molto di più!», le botte a que-sto e quello che «mi ha guardato male, mi ha insul-tata».Scopriamo in quegli anni il vero significato dell’affi-damento: un bambino che non può vivere con i suoigenitori, perché non ci sono le condizioni necessarieper l’accudimento, viene «preso in carico» dalla so-cietà che sceglie di fare le veci della famiglia che nonc’è. In realtà, dopo mille parole, colloqui, verifichepsicologiche, sanitarie, familiari della coppia affida-taria o adottiva che viene messa a nudo e rivoltatacome un calzino per vedere se idonea, dopo tuttoquesto dire, la società sparisce e il bimbo resta nellafamiglia nuova che si deve arrangiare. Le assistenti sociali «di riferimento» sono in realtàun susseguirsi continuo di figure diverse, sia perchéle famiglie naturali si spostano da un paese all’altroe cambiano i riferimenti, sia perché queste si amma-lano, si trasferiscono, sono spostate a occuparsi d’al-tro.Tolte rarissime eccezioni, siamo noi che facciamo lerelazioni sulla situazione e le inviamo sia al serviziosociale sia al Tribunale. Ma c’è un caso in cui il ser-vizio è molto presente: quando la famiglia di origineva in pallone e aumenta la sue richieste o le pres-sioni psicologiche sui figli. Allora aumentano le vi-site, tutte le settimane si prevedono colloqui… poitutto sfuma in una bolla di sapone e mentre noi lavo-riamo con le bambine per recuperare alcune condi-zioni di base per crescere verso l’autonomia, nes-suno fa altrettanto con la famiglia naturale. Capiscoche sia difficile, però… se alla famiglia, contempora-neamente all’affido dei figli, fosse proposto un cam-mino serio e costante, qualche cosa migliorerebbe:di certo i bambini sarebbero più sereni e i costi so-ciali, a lungo andare, diminuirebbero.Negli anni delle medie viviamo in balia delle onde:

tutto dipende dagli umori della famiglia di origineche convince le bambine che l’affidamento sta termi-nando. Qualunque nostra indicazione educativaviene messa a tacere con: «Non importa se non sieted’accordo, intanto torniamo dalla mamma tra pochigiorni». Ogni rientro a casa è un colpo di scena e l’assistentesociale non è in grado di tenerne la regia: quando lechiediamo di intervenire, lei non sa cosa fare e si la-scia trasportare dagli eventi. Sono anni difficilis-simi, dobbiamo imparare la tolleranza, la flessibilitàe ripeterci in ogni istante che stiamo facendo un ser-vizio per il tempo che è necessario. Dobbiamo impa-rare a comprendere cosa sta dietro le distanze chele ragazzine mettono tra loro e noi, quel sogno di«normalità» per il quale farebbero qualunque cosa;e mentre proviamo a capire non possiamo demor-dere.Due anni più tardi, davanti al giudice del Tribunaledei minori, che convoca tutti per decidere comechiudere l’affidamento, la mamma dice che è meglioche le bambine stiano con gli affidatari. L’ennesimocolpo di scena riduce Alice e Giulia a uno straccio. Civogliono due o tre mesi per riprendersi e Giulia ini-zia a non voler più mangiare. Piano piano, non drammatizzando le cose e mante-nendo nel cuore la profonda fiducia che queste bam-bine possano farcela, si chiacchiera della delusione edella paura e si arriva a comprendere che «lamamma ha scelto il meglio per voi, lei sa che non ri-usciva a stare dietro a tutto quello che fate: quantecose fate! Come farebbe lei da sola a correre dietro avoi tutto il giorno? Lei ha scelto il meglio perché vivuole molto bene e dovete esserle grate per questo».Piano piano la fame ritorna… accade ancora, bastauna notizia che sconquassa. E anche questa voltadobbiamo ricominciare.

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GRUPPO DI MUTUO AIUTORiesco a scrivere di queste cose con calma adesso,con il distacco favorito dal tempo trascorso. In queigiorni era più complicato: se con loro mantenevoun saldo equilibrio, da sola o con mio marito, la te-sta mi si affollava di preoccupazioni. Per fortunaeravamo inseriti in un gruppo di auto mutuo aiuto(Ama) con compagni di viaggio formidabili, capacidi ascoltare, ragionare insieme a noi e suggerire pi-ste di azione in base alla loro esperienza, molto si-mile alla nostra. In quegli anni, mentre viviamo in un vortice impe-gnativo, la scuola dimostra tutta la sua incapacità.Io, che sono anche insegnante, divento una furiaquando vedo l’incomprensione totale nei miei colle-ghi. Il motto dei più è: «I ragazzi sono tutti uguali,ognuno ha la sua storia e non possiamo stare die-tro agli alti e bassi di ciascun allievo. La scuoladeve andare avanti».Quale scuola, mi chiedo io? Di certo non quella cheintendeva don Milani e neppure quella in cui credo!Questa scuola che sa tutto, che riempie vasi vuotidi saperi freddi e distanti, che stabilisce standardcui bisogna arrivare quando e come ha stabilitoqualche dio sceso in terra è totalmente cieca e nonriesce a incoraggiare l’apprendimento dei ragazzi,a partire dalla loro unicità. E in questa scuola, letre figlie che ho in affidamento annegano: 3 boccia-ture, 3 cambi di istituto superiore, 3 abbandonidopo la qualifica. Ragazzine intelligentissime siperdono nella fitta foresta dei loro problemi, men-tre qualcuno continua a gridare: «Non hai ancorastudiato pagina 20»!Per fortuna, il gruppo Ama ci aiuta a non caderenella trappola che porterebbe alla rottura: lascuola è importante, ma al primo posto c’è la rela-zione. Per evitare litigi furibondi e quotidiani perstudiare e fare i compiti, ci facciamo aiutare da unastudentessa che viene in casa al pomeriggio a oc-cuparsi di scuola. E così piano piano, Elisa, Alice,Giulia crescono e noi, un po’ puntellati, riusciamo aresistere.

A QUOTA DICIOTTOIl servizio sociale rivela la sua totale incompetenzaquando le ragazze si avvicinano alla maggiore età, i 18anni. Quello è un momento difficilissimo di crisi iden-titaria: «Che fine farò? Tornerò dai genitori? Staròqui? Gli affidatari mi terranno?»I pensieri non detti risuonano e alzano la tensione incasa. Per Elisa, un’assistente illuminata arriva e, guar-dandola negli occhi, le restituisce un rimando di realtànel quale i sogni stanno da una parte e le possibilitàdall’altra. Non c’è da scegliere. La casa e la famiglia incui sperimentare l’autonomia sono una sola: quella af-fidataria. Per Alice e poi Giulia, no. L’assistente socialeè in aspettativa e non viene sostituita se non per le for-malità burocratiche. Mentre una ragazzina alla voltalotta con se stessa e con noi per mettersi alla prova escappa di casa due volte al mese, nessuno ci aiuta.bAt-tingiamo a risorse insperate e proviamo a fare ciò chedovrebbe fare chi è pagato per questo: le costringo aun dialogo a quattrocchi in cui mettiamo sul tavolopaure, idee, speranze e rabbie. Poi facciamo un patto:tempi, modi, risorse per andare a vivere in autonomia,se è questo che desiderano. Funziona! Giulia e Alice partono entrambe, a distanzadi un anno, per sperimentarsi da sole: a soli 19 anniiniziano a gestirsi in un alloggetto, riescono a pagarele bollette (con qualche aiutino di papà), puliscono, la-vano, fanno la spesa, sperimentano la gestione deltempo. Per Alice è più facile perché il suo ragazzo l’ap-poggia e sceglie di convivere con lei.Per Giulia cerco aiuto: trovo uno splendido servizio dieducatori che accompagnano ragazzi delle comunitàverso l’autonomia. Bastano sei ore a settimana per so-stenerla nella sua vita autonoma, dove sperimentarsisenza mamma e papà, ma non proprio in solitudine.E anch’io piano piano imparo a ridefinirmi, a sosti-tuire la presenza costante con l’attesa fiduciosa, astare al mio posto, a non perderle di vista da lontano,pronta ad aprire loro la porta quando la nostalgia dicasa riaffiora per un attimo, quando c’è bisogno di unabbraccio per ritrovare forza e ripartire.

G.L.

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Tra le tante tipologie dell’affido ne esisteuna più recente che approfondiamo par-tecipando ai due incontri rivolti agliaspirati affidatari. Si tratta del «Pro-getto neonati», l’affidamento di bambinipiccolissimi (0-24 mesi) per un breve

periodo, possibilmente inferiore all’anno. Nella sala della Casa dell’affidamento adibita all’in-contro, la gente inizia a sedersi e ad aspettare gli

operatori. Al completo, siamo circa otto parteci-panti - con una maggioranza femminile - e 5 opera-tori tra assistenti sociali, educatori e psicologi. L’atmosfera è distesa ma anche carica di aspetta-tive. Prendere in affidamento un bimbo così piccoloapre una pagina nella vita di ognuno di noi e ri-chiede una dose di amore ma anche e, soprattutto,di consapevolezza non indifferente.

NASCITA DEL PROGETTO NEONATIA raccontarci come nasce e si sviluppa il progetto èla responsabile dello stesso, l’assistente sociale Pa-trizia Gamba: «Il Progetto neonati nasce a Torino inmodo pionieristico e sperimentale alla fine deglianni ’90 e nel 2001 prende il volo grazie a un proto-collo d’intesa tra diversi servizi (sociali, sanitari, psi-cologici), le istituzioni e le associazioni di famiglie af-fidatarie che ne condividono il senso e le modalitàorganizzative. L’obiettivo principale del progetto è dievitare lunghe permanenze in ospedale o in comu-nità a tutti quei bambini che si trovano in unasituazione di incertezza circa il loro futuro fa-miliare. Sono bambini riconosciuti dai geni-tori, che il Tribunale dei minori stabiliscedebbano essere momentaneamente allonta-nati dalla famiglia e “ceduti” alle cure diuna famiglia affidataria».

Il Progetto neonati può, a buon diritto,definirsi un ponte di sostegno tra ilprima e il dopo dei bambini. I ser-vizi, per tutta la durata dell’affido,si impegnano a verificare il recu-pero delle famiglie di origine e afornire alle autorità giudizia-rie tutti gli elementi per as-sumere - nel più brevetempo possibile - una deci-sione circa le sorti del bebè(rientro con i genitori, col-

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VOCI ED ESPERIENZE DEL PROGETTO NEONATI DI TORINO

SIAMO PICCOLI MA CRESCEREMODI GABRIELLA MANCINI

L’affidamento famigliare dei neonati è un passaggio fondamentale. È «accompa-gnare» il bebè verso la sua nuova famiglia negli anni più importanti per formare lasua personalità. Necessari: equilibrio emozionale, sicurezza e buon senso. Ma ancheuna buona dose di spensieratezza.

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locazione presso la famiglia allargata, affido a lungotermine, apertura all’adottabilità). Per il 65% deibambini che vengono presi in affido, si aprono leporte dell’adottabilità.

LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO «Le coccole, i giochi, le intimità del poppare attra-verso le quali il bambino impara la piacevolezza delcorpo di sua madre, i rituali dell’essere lavati e ve-stiti con i quali il bambino impara il valore di sestesso, attraverso l’orgoglio e la tenerezza della ma-dre verso le sue piccole membra, queste sono le coseche mancano» (J. Bowlby).Il Progetto neonati si fonda sulla teoria dell’attacca-mento, sostenuta e studiata da John Bowlby, uno deipiù grandi psicoanalisti del ventesimo secolo. Ema-nuela De Maria (psicologa del Progetto neonati, pre-sente all’incontro di formazione) ci racconta il per-ché di questa connessione tra affido e attaccamento:«Solo una famiglia con una mente pensante che si oc-cupi del bambino può favorire una crescita sana egettare le basi per una futura fiducia affettiva e rela-zionale. Bowlby sosteneva che «l’attaccamento èparte integrante del comportamento umano dallaculla alla tomba”. All’inizio della vita l’essere nutritiequivale all’essere amati, all’essere desiderati, volutie accettati per quello che si è. Ecco perché per la for-mazione di una personalità solida e sicura è impor-tante che, fin dai primi mesi di vita, il bambino vengacircondato da figure stabili. La pratica dell’affido ri-sulta così essere la giusta alternativa alle comunità,dove l’avvicendarsi degli operatori non può supplireil calore e la fiducia delle quattro mura familiari».Tra i sinonimi del termine «legame», oltre alla rela-zione, al vincolo e all’affinità, esiste la parola «af-fetto». Non è dunque un caso che, più le relazioni co-struite nei primi anni di vita sono nutrienti e posi-tive, più sarà semplice costruire dei legami impron-tati alla fiducia nel futuro. Come ci racconta infatti Emanuela De Maria: «Chisceglie di prendere in affido un piccolo di 0-24 mesideve essere una figura di riferimento, serena edequilibrata, in grado di coccolare e consolare ma an-che di dare delle regole, di creare un contatto emo-tivo e dei forti legami che aiutino il piccolo a cre-scere».

IL PROFILO DELL’AFFIDATARIOCompito arduo quello dell’affidatario di un neonato.Tramite fra due pagine fondamentali della storia diun essere: il ventre della madre e i primissimi tempiin casa o in ospedale e il definirsi di un futuro certo,o in famiglia o in adozione. Anche se può sembrareun paradosso, ciò che viene infatti chiesto alle fami-glie affidatarie - e ribadito più volte nel corso dellaserata - è che un affido non è un’adozione e quindi,una volta stabilite le decisioni del Tribunale dei mi-nori, la famiglia affidataria deve essere in grado di«accompagnare» con serenità il piccolo verso i suoinuovi genitori. Amarlo e lasciarlo libero di andare

per la sua strada quando sarà il momento giusto. Patrizia Gamba ci informa a questo riguardo chesono attivi dei gruppi di sostegno delle famiglie affi-datarie, condotti dalle assistenti sociali. Uno stru-mento di confronto e compartecipazione, fondamen-tale per affrontare al meglio ogni fase dell’affido. Un brano riportato da una mamma affidataria chia-risce bene questa disponibilità d’animo e l’equipag-giamento umano e psicologico che occorre avere perpartire per questo viaggio: «Oggi abbiamo saputoche ci sei. Ci sei e non sai che nel tuo destino èscritto che farai un pezzo di strada con noi… Stasera, senza sapere nulla di te, penso a come sa-rai, all’emozione che proveremo quando ti vedremoe un mare di sensazioni si alternano nel mio cuore.Penso che ti vogliamo già bene e che faremo per tetutto ciò che meriti. So che sarà per poco tempo, mava bene così: nulla e nessuno ci appartiene per sem-pre, ma possiamo sperare che il tempo insieme siaun buon tempo e che l’amore che diamo lasci unatraccia, che, lei sì, può essere per sempre».Diventare affidatari non presuppone solamente uncoinvolgimento del cuore, ma un buon equilibrioemozionale; il calore ma anche il raziocinio; la sicu-rezza e il buon senso ma anche una buona dose di al-legria e spensieratezza. Non tutti sono votati a essere dei «buoni» affidatari.Chiediamo allora a Patrizia Gamba e a Emanuela DeMaria come avviene la «selezione» per valutare lemotivazioni ed entrare nella rete degli affidatari.«L’affidatario non deve essere necessariamente unafamiglia, ma può essere un single o una coppia piùavanti con gli anni. È importante però che abbiaavuto esperienza con i bambini e che non abbia piùun desiderio di genitorialità biologico. Dopo i dueprimi incontri formativi, aperti alle persone interes-sate, si consegna una scheda di adesione al percorsoindividuale di conoscenza. Da qui, inizia un iter dicirca quattro mesi con un assistente sociale e unopsicologo, volto a considerare la fattibilità dell’affidoda parte dell’interessato. La valutazione avvienesulla coppia e sulla famiglia - compresi i figli, se sonopresenti - come affidatari e non sulla loro storia per-sonale».Durante l’incontro sia Patrizia Gamba sia gli altrioperatori ribadiscono inoltre che nulla viene celatoal bambino, al quale viene raccontata la sua storiafin dalla nascita. Gli incontri con la famiglia di ori-gine facilitano l’acquisizione verso una duplicerealtà e la sinergia affettiva e non falsata tra bam-bino e affidatari, stimola la successiva capacità diadattamento alle nuove situazioni. La forza del le-game instaurato nei primi mesi di vita e la fiduciaassimilata, sarà il perno su cui costruire un nuovofuturo.

L’AFFIDO: UNA PARENTESI DI TEMPOIMPORTANTEIn tutto il periodo dell’affido, una rete di attori entrain campo e - sinergicamente - si adopera perchétutto scorra nella misura più agevole possibile. Assi-stenti sociali, psicologi ed educatori lavorano a brac-cetto e seguono da un lato il recupero della famigliad’origine e dall’altro la crescita del bimbo nella fami-glia affidataria.

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UNA STORIA,UNA MAMMAEntriamo in casa di Daniela.L’ambiente è curato, i colorialle pareti sono caldi, tutto èpredisposto per la quotidianitàcon una piccolina. C’è quellapiacevole aria ludica che ri-corda il bozzolo delle farfalle.La piccola Giulia – di 10 mesi -è solare e socievole. Emette iprimi tentativi pre-linguistici,la classica lallazione, e noncessa un attimo di sorridere. Iltemperamento non le manca eneanche la dolcezza. Daniela èun’energica 50enne con due fi-gli biologici adolescenti, duestorie di affido alle spalle e unain corso.

Le chiediamo com’è iniziata lasua avventura di mamma affi-dataria nel Progetto neonati:«Il mio viaggio nel mondo del-l’affidamento è iniziato nel2008. I miei due figli comincia-vano a essere più autonomi e,sull’onda dell’entusiasmo diuna coppia di nostri amici affi-datari, mio marito e io ini-ziammo il percorso di cono-scenza. Il primo affido di unmaschietto durò un anno emezzo e gli ultimi 7 mesi fu-rono di inserimento nella fami-

glia di origine. Terminato unaffido, si viene rivalutati e – nelgiro di poco tempo – fummo ri-contattati per il secondo. Perquello che riguarda la miaesperienza, i due precedentibimbi sono tornati alle famigliedi origine, con le quali conti-nuiamo ad aver un buon rap-porto». Daniela, da mamma af-fidataria, cosa si sente di con-sigliare a chi vuole intrapren-dere questo iter? «Innanzituttouna duttilità mentale e unagrande disponibilità di tempo.Alle mamme affidatarie si ri-chiede infatti di prendere al-meno 6 mesi di astensione dallavoro (la maternità è previstaper gli affidi) e di sapere apriori che seguire un bambinoaffidato necessita un surplus ditempo e di disponibilità affet-tiva. A volte occorre portare ilbambino per tre volte alla set-timana nel luogo neutro. Nonbasta dunque solo la motiva-zione ma anche esser consciche “mettersi a disposizione”presuppone qualche rinuncia.Va detto, poi, che le previsionisul tempo relativo all’affidonon sono mai certe; le variabilisono troppe e la permanenzadel bambino può dilatarsi». Ein termini emotivi come oc-corre «corazzarsi»? «È neces-sario acquisire una mentalità

di servizio a “tempo” e far ma-turare dentro sé stessi la con-sapevolezza di essere un mec-canismo dell’ingranaggio “Af-fido” dove la tutela del bam-bino è il centro del progetto enon si è mai soli, ma supportatidai servizi sociali e psicologici.I gruppi di sostegno tra le fami-glie sono poi un ottimo stru-mento per infondersi fiducia emettersi a nudo nei momentipositivi e in quelli difficoltosi».

Mentre dialoghiamo davanti auna tazza di tè, Giulia alternarapide gattonate ad acrobazieda equilibrista. È il momentopomeridiano della nanna, maprima di andar via chiediamo aDaniela di offrirci un’immagineo un suo personale sentire sul-l’affido. «La piantina per es-sere trapiantata necessita diaver buone radici. La piantina èil bimbo e le radici sono gli af-fidi. Più forte e sereno saràstato il periodo dell’affido, piùsemplice sarà il passaggioverso il futuro. Senza contareche anche per gli affidatari vigelo stesso discorso che per i ge-nitori: amore e fiducia ma an-che regole per aiutare i bam-bini a radicarsi al meglio nellanuova realtà».

Gabriella Mancini

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Più incontri alla settimana avvengono tra la famigliad’origine e il bambino in un «luogo neutro» alla pre-senza degli educatori che seguono il caso. Famigliad’origine e famiglia affidataria si incontreranno solonel momento in cui il Tribunale dei minori avrà sta-bilito il rientro del bambino in famiglia. Sia se il bambino rientrerà in famiglia, sia se verràdichiarato adottabile, gli affidatari si adopererannoaffinché il passaggio dalle loro braccia a quelle dellanuova famiglia avvenga nel modo più fluido e menotraumatico possibile. Solitamente l’inserimento nelnuovo contesto familiare avviene in un tempo con-sono a quello dei tempi del bambino. A seconda delledifferenti personalità tra i famigliari affidatari, diorigine o adottivi e dell’empatia - o meno - creatasidurante il periodo di inserimento del bambino, saràpossibile valutare se continuare una relazione ami-chevole o interrompere il rapporto.

LUOGHI NEUTRI ED EMOZIONISul luogo neutro è Emanuela De Maria a darci al-cune delucidazioni: «Si definisce luogo neutro inbase alla neutralità stessa che riveste, sia per i geni-tori di origine che per il bimbo, ma in realtà diventaben presto un luogo carico di emozioni dove en-trambe le parti portano con se differenti energie e sipercepisce un carico emotivo molto forte. Nel luogoneutro, oltre al bambino e ai genitori, è presente -per osservare le dinamiche ed essere di supporto -l’educatrice che segue la famiglia. Se la famiglia nonsi presenta a tre appuntamenti presso il luogo neu-tro, vengono momentaneamente sospesi gli incontrie si valuta approfonditamente la situazione».Storia, sguardo indulgente, passione e cura. Altreparole chiave della serata. Patrizia Gamba ci chiari-sce il perché: «Alle famiglie affidatarie spetta il com-pito di costruire un pezzo di storia insieme al bam-bino; il paragrafo iniziale della sua vita che altri-menti sarebbe stato mancante. Ma, la storia delbambino è fatta soprattutto della sua famiglia di ori-gine ed è proprio verso questa che la famiglia affida-taria deve mantenere uno sguardo indulgente, di so-stegno e “di tifo”, auspicandole un netto recuperoper sé stessa e - soprattutto - per il suo bambino. Lapassione e la cura, invece, vanno oltremodo river-sate sul neonato, affinché possa crescere e vivere di-ventando un punto di riferimento per una societàpiù solidale».

IL MOMENTO DELL’ABBANDONO…Chi ha sperimentato un rapporto con un neonato,saprà quanto possa essere forte il legame sia in ter-mini emotivi che fisici. Il neonato ha bisogno di curema anche di coccole, richiede un contatto fisico co-stante e scatena l’istinto primordiale della prote-zione e della tenerezza. Non è semplice, dunque, la-sciarlo andar via. Come avviene questo passaggio ecome si prepara il bambino a una nuova pagina dellasua vita?«Pagina è il termine corretto» osserva Emanuela DeMaria, che prosegue: «Noi richiediamo a tutte le fa-

miglie affidatarie di creare un diario fotografico contutte le fotografie inerenti l’esistenza del bambino(dai primi tempi in comunità o con la famiglia, alpercorso con gli affidatari) e chiediamo poi alla fa-miglia d’origine o ai futuri adottivi di proseguire conquesto importantissimo strumento. L’album dellefoto è fondamentale per mantenere integra la storiadel bambino, per dimostrargli che i passaggi dellasua vita sono stati, comunque, carichi di amore e at-tenzione. Il momento del passaggio dalla famiglia diaffidatari a quella definitiva del bambino è il cuoredi tutto il progetto, la compiutezza in termini disenso di questo percorso».

Gabriella Mancini

TIPI DI AFFIDOAll’interno dell’affidamento «residenziale»(il bambino/ragazzo viene accolto nella casadell’affidatario), si individuano:

- Affidamento familiare di bimbi piccoli (0-24mesi): alternativo alla comunità e per pocotempo.

- Affidamento a famiglie comunità: acco-glienza di minori in difficoltà in famiglie al-largate caratterizzate dalla presenza diuna coppia affidataria che ospita fino a 4bambini.

- Affidamento di mamme con bambini: acco-glienza e sostegno, attraverso modelli fa-miliari positivi, a favore della madre e delpiccolo.

- Reti di famiglie: gruppi di famiglie volonta-rie o aggregate che possono essere di sup-porto presso la famiglia o con altre moda-lità.

- Affidamenti difficili con ulteriori sostegni:qualora una famiglia sia disponibile ad ac-cogliere un minore ospite di una comunità,si può predisporre l’ausilio di personaleprofessionale.

- Affidamento oltre il compimento dei 18anni del minore: se il minore non può rien-trare in famiglia d’origine, è possibile laprosecuzione dell’affido oltre il 18esimoanni di età.

Affidamento «diurno»

Nell’affidamento diurno, esiste la possibi-lità di inserire il bambino nella propria fa-miglia per qualche ora al giorno o di sup-portare l’intera famiglia.

Misure di sostegno

La città riconosce un contributo alle spese,da valutare a seconda dei casi e del co-mune stesso.

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Non è un azzardo se, per saperne di piùsulla pratica dell’affidamento ci rivol-giamo alla Casa dell’affidamento di To-rino. La capitale sabauda ha una lungastoria in tema di affido. Lo dimostranoanche i santi sociali che si sono adope-

rati per i giovani e i senza famiglia. Dal Beato Alla-mano a San Giovanni Bosco, a San Giuseppe Ca-fasso, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, BeatoFrancesco Faà di Bruno, Beato Piergiorgio Frassati,San Leonardo Murialdo. Un lungo elenco di perso-nalità votate al recupero e all’amore gratuito verso ipiù indifesi e una storia narrativa non da poco se sipensi che la deliberazione istitutiva di tale servizionella città di Torino risale al 1976 ed è ben antece-dente alla legge n. 184 del 1983, che ha normato l'affi-damento e l'adozione a livello nazionale. La Casa dell’affidamento è un luogo accogliente, unappartamento con più aree di incontro, di cui alcunead hoc per i più piccoli e le loro famiglie. Nasce isti-tuzionalmente nel 2000, dopo un lungo lavoro di unarete di operatori sul territorio (assistenti sociali,educatori e psicologi) che dal 1988 si adoperano perstrutturare in misura più articolata e solida la pra-tica dell’affido. La Casa dell’affidamento è il contra-rio del non-luogo, è infatti un luogo con la «L» maiu-scola che si presta a più funzioni a seconda della ne-

cessità. Da luogo di confronto tra famiglie affidata-rie e operatori competenti in materia; a luogo di in-contro per gruppi misti o di sostegno; a luogo di co-ordinamento tra gli operatori che si occupano del-l'affidamento nelle dieci circoscrizioni della città,allo scopo di uniformare le modalità di agire dei«servizi» (d’ora in poi intesi come servizi sociali,ndr); a luogo di documentazione in cui poter trovaree consultare materiale bibliografico e informativo inun clima tranquillo e rilassato. Dalla sua apertura fino al dicembre 2006 alla Casadell'affidamento si sono presentate 936 famiglie,sono stati organizzati 50 gruppi informativi ai qualihanno partecipato quasi 530 nuclei. Hanno poi di-chiarato la disponibilità all'affidamento 337 nuclei.

COMUNICARE IL TEMA DELL’AFFIDOA Piera Dabbene, assistente sociale e responsabiledella Casa dell’affidamento, chiediamo come si è la-vorato sulla tematica dell’affido per sensibilizzare lepersone: «Già a partire dal 2001 la collaborazionetra il comune di Torino, le aziende sanitarie localicittadine, le autorità giudiziarie minorili, l’associa-zione famiglie affidatarie e tanti altri attori nel terri-torio, avevano dato vita a una prima campagna disensibilizzazione. Il primo layout grafico sul tema ri-produceva un bambino intento a gustare un gelato.

Con il tempo e grazie al lavoro sulcampo ci siamo resi conto che quel-l’immagine associava all’affido esclu-sivamente bambini molto piccoli. Eraun’immagine che inteneriva e invo-gliava più gente a telefonare per fis-sare un incontro. L’affido, però, aprele braccia a una larga rete di soggettiin difficoltà (bambini e ragazzi finoalla maggiore età e non solo bimbipiccolissimi) e ci siamo impegnatiper trovare un’immagine che illu-strasse la tematica in maniera piùautentica. Il confronto tra più sog-getti protagonisti del “tema affido” el’esperienza ci ha portati a elaborarela campagna del 2007 con più va-rianti. Lo stesso ragazzino (non più piccolis-simo e con un atteggiamento spor-

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VIAGGIO NELLA CASA DELL’AFFIDAMENTO DI TORINO

UNA CASA PER VOLAREDI GABRIELLA MANCINI

Un luogo, spazio di incontro, confronto, coordinamento, documentazione. Nasce nel2006 nel cuore di Torino. E poi comunicazione sull’affido ma anche coinvolgimento dicomunità straniere. Per allargare la frontiera della genitorialità sociale.

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tivo e vivace) punta il dito sui suoi possibili genitori“affidatari” che possono essere una famiglia conprole, un single, una coppia di anziani o un papà configlio. La campagna ha avuto un rimando di inte-resse fortissimo che ci ha garantito comunque unacontinuità di coinvolgimento anche negli anni suc-cessivi al boom». A volte, parlare attraverso le im-magini è più efficace di tante parole e se l’obiettivo èsensibilizzare verso la solidarietà e la genitorialitàsociale, ben venga anche l’azione pubblicitaria. PieraDabbene ci chiarisce però che il merito di un conti-nuo interesse sull’affido non è solo dovuto ai media.Quello che favorisce la sensibilizzazione e la motiva-zione sul tema è «il passaparola» tra famiglie affida-tarie e amici, vicini di casa, conoscenti. Questo fa sìche una quarantina circa di famiglie nuove all’annodiventi affidataria presso la Casa dell’affidamento.

ALCUNE TIPOLOGIE DI AFFIDATARICERCANSI…A Patrizia Gamba - assistente sociale, responsabileProgetto neonati - domandiamo espressamente seesistono preferenze da parte degli aspiranti affida-tari sul loro affidato e quale è l’atteggiamento e lasensibilità più affine all’affido. «Solitamente la ri-chiesta è di bambini relativamente piccoli (al mas-simo intorno agli 8 anni) e - in questo periodo - sem-bra ci sia uno spiccato interesse verso le bambine.Lancio a questo proposito un appello: abbiamo moltiadolescenti con anni di comunità alle spalle e bam-bini con disabilità psichiche e fisiche che necessite-rebbero in egual modo di essere affidati. Per questi,abbiamo molta difficoltà a trovare famiglie affidata-rie. Esistono varie tipologie di affido, dal residen-ziale - che implica una convivenza quotidiana - aquello diurno che richiede un impegno di poche oreal giorno (vedi box). In mezzo, tutte le varianti: dal«Progetto neonati», alla famiglia comunità, all’affidodi mamme con bambini. Ognuno di noi ha una diffe-rente spinta nel cuore che lo porta a scegliere - an-che in base al suo standard di vita e al tempo dispo-nibile - un tipo di affido piuttosto che un altro. L’im-portante è l’approccio che deve essere di estremagenerosità e indulgenza».

MULTIETNICITÀ E AFFIDOSe il tema dell’affido si sta sempre più facendo largonella mentalità odierna, cosa ne pensano in merito inostri concittadini stranieri? A offrirci alcune delu-cidazioni sull’argomento è Mercedes Gentile (re-sponsabile assistenza sociale) e mamma affidatariadi una famiglia comunità con 4 bambini: «Al mo-mento i numeri delle richieste di affidatari stranierisono bassi ma stiamo lavorando in questo senso. Nel 2011 è infatti nato il “progetto omoculturale” ba-sato sull’idea di collaborare con gli opinion leaderdelle comunità straniere per trovare anche tra diloro delle risorse. Quello che è emerso è che occorreprima ricostruire un rapporto di fiducia sull’affido esulle istituzioni ma le prerogative sono buone. La co-munità congolese ha esordito dichiarando: “Final-

mente anche noi siamo considerati risorse per la so-cietà e non un peso”. Una solida sinergia si è creatacon la comunità marocchina anche se - in linea dimassima - qualche pregiudizio ancora sussiste epermane una spiccata predilezione verso l’affidomamma-bambino».

IL FUTURO DELL’AFFIDOCi sorge allora spontanea una domanda: quale po-trebbe essere la felice evoluzione dell’affido? Merce-des sorride e ci risponde: «Credo che il futuro debbaessere quello di far crescere le motivazioni sociali enon solo personali in virtù di un approccio alla geni-torialità sociale. Parlare di affido è anche parlare diuna società che cambia, che rispetta le differenze ele ritiene un arricchimento, che si adopera per ren-dere integro il tessuto sociale, lavorando sull’uma-nità e sulla collaborazione. Non a caso, proprio in questa direzione, stiamo in-traprendendo un percorso che coinvolga anche lascuola (gli insegnanti nel primo passo e successiva-mente gli allievi) al fine di strutturare una mentalitàvolta alla solidarietà».

Gabriella Mancini

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FILM, LIBRI E SITISUGGERIMENTI FILMOGRAFICI• Valentin, regia di Alejandro Agresti, Argen-

tina/Olanda 2002.• Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, regia di

François Dupeyron, 2003.• La guerra di Mario, regia di Antonio Capuano,

Italia 2005.• Quando sei nato non puoi più nasconderti, re-

gia di Marco Tullio Giordano, Italia 2005.• La mia casa è la tua, regia di Emmanuel Exitu,

Italia 2005.• Salvatore questa è la vita, regia di Gian Paolo

Cugno, Italia 2006.• Hereafter, regia di Clint Eastwood, Stati Uniti

2010.• Il rifugio, regia di F. Ozon, 2010.• Il ragazzo con la bicicletta, regia di Jean-

Pierre Dardenne, 2011.

SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI• Donata Micucci, Frida Tonizzo, Ti racconto l'af-

fidamento. Ed. Utet, 1997.• Ondina Greco, Raffaella Iafrate, Figli al con-

fine, una ricerca multimetodologica sull'affi-damento. Ed Franco Angeli, 2002.

• Gemma Beretta: Storie di affidamento - L'ob-bligo leggero. Ed. Liguori, 2002.• Roberto Maurizio (a cura di), Dare una famiglia

a una famiglia. Verso una nuova forma di af-fido. Ed. Ega, 2007.

• Rosalinda Cassibba, Lucia Elia, L'affidamentofamiliare. Dalla valutazione all'intervento. Ed.Carocci, 2007.

• Ivana Comelli, Ondina Greco, Raffaella Iafrate,Tra le braccia un figlio non tuo. Operatori e fa-miglie nell'affidamento di neonati. Ed. FrancoAngeli, 2010.

• Aa.Vv. A Babele non si parla di affido. Costru-zione e gestione dei progetti individualizzati diaffidamento familiare dei minori. Ed. FrancoAngeli, 2010.

• Carla Forcolin, Io non posso proteggerti. Ed.Franco Angeli, 2010.

• Anna Rosa Favretto, Cesare Bernardini, Mipresti la tua famiglia? Per una cultura dell'af-fidamento eterofamiliare per minori. Ed.Franco Angeli, 2010.

SITIAnfaa, Associazione nazionale famiglie adottivee affidatarie, fondata da Francesco Santaneranel dicembre 1962: www.anfaa.it, [email protected]. Tavolo nazionale affido: www.tavolonazionaleaffido.it.Gruppo Crc: www.gruppocrc.net.Aibi, Associazione amici dei bambini:www.aibi.it, [email protected] Papa Giovanni XIII:www.apg23.org.Centro ausiliario per i problemi minorili, Milano:www.cam-minori.org.

RINGRAZIAMENTISi ringraziano Giuseppina Ganio Mego ed ElioBiasi dei Gruppi volontari per l’affidamento e l’a-dozione; Frida Tonizzo dell’Anfaa; tutti gli opera-tori della Casa dell’Affidamento di Torino per ladisponibilità e il materiale fornitoci; G.L. e tutticoloro che hanno condiviso la loro testimo-nianza.

Si ringrazia sentitamente la famiglia di G.L. peril servizio fotografico.

COORDINAMENTO EDITORIALE: Marco Bello, redattore Mc.

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