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Università degli studi di Bergamo a.a. 2012-2013 Corso di laurea in Filosofia Storia delle istituzioni politiche Modulo 2: La democrazia Lezione settima : La CITTADINANZA ATTIVA: HANNAH ARENDT

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Università degli studi di Bergamo a.a. 2012-2013

Corso di laurea in Filosofia

Storia delle istituzioni politiche Modulo 2: La democrazia

Lezione settima: La CITTADINANZA ATTIVA: HANNAH

ARENDT

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Hannah Arendt (Linden/Hannover 1906 – New York 1975)

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Parte prima. L’antisemitismo

L’antisemitismo contemporaneo nasce da un paradosso: nello Stato nazionale, di diritto, gli ebrei ottengono l’uguaglianza giuridica e quindi la piena cittadinanza; tuttavia sotto il profilo sociale essi non sono integrati; anzi, con l’avvento della società di massa la loro specificità e la loro diversità spiccano ancora di più; dal resto della società essi sono guardati con interesse, per la loro eccezionalità, e con timore, in ogni caso non sono inclusi.

L’ebreo stimola reazioni di esclusione da parte dell’uomo-massa, che aspira all’eguaglianza intesa come omogeneità.

L’affaire Dreyfus scoppiato in Francia a fine secolo è la prima testimonianza eclatante degli effetti dell’antisemitismo.

L’antisemitismo per Arendt diventa esemplare dell’atteggiamento che in generale la società di massa adotta davanti alla diversità e all’eccezionalità.

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Parte seconda. L’imperialismo / 1

L’imperialismo degli ultimi decenni dell’Ottocento stravolge lo Stato nazionale.

Nelle colonie il potere appartiene alla burocrazia; esso non è più soggetto a controllo politico, come nello Stato nazionale.

La necessità di giustificare ideologicamente l’imperialismo agli occhi del popolo porta a formulare il concetto di RAZZA.

La RAZZA sostituisce nell’ideologia di massa la Nazione. Il concetto di RAZZA contiene un elemento conflittuale. “In realtà il RAZZISMO può segnare il tramonto del mondo occidentale

e dell’intera civiltà umana … Perché, a prescindere da quel che possono dire gli scienziati, la razza è, da un punto di vista politico, non l’inizio dell’umanità ma la sua fine, non l’origine dei popoli ma la loro decadenza, non la naturale nascita dell’uomo ma la sua morte innaturale”.

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Parte seconda. L’imperialismo / 2

In Europa i semi del razzismo secondo Arendt sono gettati dall’età della rivoluzione francese e dell’espansione napoleonica.

In Inghilterra si oppongono “diritti inglesi” ai diritti umani della Dichiarazione dell’ 89 [Burke].

Nella Germania il fine dell’unità etnica subentra a quello dell’emancipazione nazionale, in seguito all’aggressione napoleonica della Prussia, e continua a svilupparsi nell’età del romanticismo.

1853 Arthur de Gobineau, Essai sur l’inegalité des races humaines

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Parte seconda. L’imperialismo / 3

Agganciato ai ‘valori’ etnici l’imperialismo prolifera anche sul suolo d’Europa, in una forma continentale che è quella dei pan-movimenti / questi mirano alla realizzazione dell’unità etnica [pan-germanesimo; pan-slavismo].

I pan-movimenti assumono la forma di un NAZIONALISMO TRIBALE

Non è un caso che laddove si sono sviluppati e pan-movimenti, siano poi germinati i totalitarismi. I totalitarismi vengono da questi movimenti.

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Parte seconda. L’imperialismo / 4

L’imperialismo genera un’ideologia contraria allo Stato nazionale.

Questa ideologia etnica e anti-umanistica è propugnata da movimenti, che si propongono come alternativa ai partiti dello Stato nazionale borghese.

Cita Sigmund Neumann, Die deutschen Parteien, 1932: ai tempi della Repubblica di Weimar “ogni nuovo gruppo riteneva di non poter trovare di fronte alle masse corteggiate una legittimazione migliore della marcata ostentazione del fatto di non essere un ‘partito’ ma un movimento” [p. 350 ed. Einaudi, Torino 2009]

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Parte seconda. L’imperialismo / 5

“L’ostilità dei pan-movimenti verso il sistema dei partiti acquistò un significato pratico dopo la prima guerra mondiale, quando quel sistema cessò di funzionare in modo normale, perché il sistema classista, su cui poggiava, cominciò a sgretolarsi sotto la pressione delle masse declassate dagli avvenimenti. Allora vennero alla ribalta non più dei semplici pan-movimenti, ma i loro successori totalitari” [363].

La prima guerra mondiale determinò vasti movimenti di popolazione; Il dissolvimento degli imperi centrali, a carattere multietnico e il sorgere al

loro posto di nuovi stati nazionali accrebbe in modo significativo il fenomeno degli apolidi, di individui privi di cittadinanza, di stato giuridico.

“Qui è il nocciolo del problema. La privazione dei diritti umani si manifesta soprattutto nella mancanza di un posto nel mondo che dia alle opinioni un peso e alle azioni un effetto” [410]-

L’APOLIDE, in ogni sua declinazione, diventa il bersaglio dei movimenti, la

figura negativa contro la quale combatterà il totalitarismo.

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Parte seconda. L’imperialismo / 6

I movimenti post-bellici di stampo fascista e nazista mettono sotto attacco lo Stato nazionale e il parlamentarismo;

Essi contestano l’ideologia classista e propongono alle masse come alternativa una nuova concezione di unità nazionale;

Il movimento nazista assume a fondamento il principio etnico declinato in senso razzista.

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Parte seconda. L’imperialismo / 7

“La perdita dei diritti nazionali ha portato con sé in tutti i casi la perdita dei diritti umani … La concezione dei diritti umani è naufragata nel momento in cui sono comparsi individui che avevano perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualità umana. Il mondo non ha trovato nulla di sacro nell’astratta nudità dell’essere-uomo.

[…] I superstiti dei campi di sterminio, gli internati dei campi di concentramento e gli apolidi hanno potuto rendersi conto … che l’astratta nudità dell’essere nient’altro-che-uomo era il loro massimo pericolo […]

L’esistenza di una simile categoria di persone racchiude in sé un duplice pericolo. Il loro distacco dal mondo, la loro estraneità sono come un invito all’omicidio, in quanto che la morte di uomini esclusi da ogni rapporto di natura giuridica, sociale e politica, rimane priva di qualsiasi conseguenza per i sopravviventi […]

Inoltre il numero crescente degli apolidi minaccia la nostra civiltà e il nostro mondo politico in modo più inquietante degli elementi della natura scatenati e dei barbari una volta … IL pericolo è che una civiltà universale produca dei barbari dal suo seno costringendo, in un processo di decomposizione interna milioni di persone a vivere in condizioni che, malgrado le apparenze, sono quelle delle tribu’ selvagge”. [pp. 415-419]

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Parte III. Cap. XII. Il regime totalitario / 1

Regimi totalitari storicamente determinati sono la dittatura nazista dopo il 1938 e quella staliniana dopo il 1930.

Il regime totalitario non è focalizzato sulla politica di potenza; non mira prima di tutto all’espansione e all’affermazione dello Stato, all’appropriazione di risorse etc.

Esso ha al proprio cuore il movimento e resta identificato con il movimento, ben più che non con lo Stato; lo Stato serve al movimento come facciata verso l’esterno. Le sue istituzioni sono quelle del movimento; al centro sta la polizia segreta.

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XII. Il regime totalitario / 2

Il regime totalitario assume a proprio fondamento ideologico la categoria di “nemico oggettivo”, che è universale, cioè prescinde dal suo contenuto determinato.

“La categoria dei nemici oggettivi sopravvive ai primi nemici del movimento … ne vengono scoperti, secondo le circostanze, di nuovi”.

L’annientamento del nemico è rivolto a uniformare tutti gli uomini in un unico ‘tipo’, eliminando i diversi, i deboli, gli sconfitti.

Alla persecuzione del nemico oggettivo è votata la polizia segreta. Il fine è perseguito con ferrea e meccanica organizzazione.

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XII. Il regime totalitario / 3

CAMPO DI CONCENTRAMENTO E DI STERMINIO come forma tipica generata dal totalitarismo.

Laboratorio dove si sperimenta il dominio assoluto e totale sull’uomo.

Questo dominio mira a annullare la pluralità, l’individualità, la diversità.

Ogni uomo è uguale all’altro se è ridotto a un fascio di reazioni, a un’esistenza il più possibile vicina a quella meramente biologica.

Nella condizione del campo si elimina con il diverso, l’individuale, l’imprevedibile, il nuovo, lo spontaneo.

Si crea un mondo artificiale, totalmente prevedibile, automatico in cui ciò si realizza, consentendo il dominio totale.

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XII. Il regime totalitario / 4

La condizione umana nel campo è quella di una morte in vita.

La natura umana è così profondamente trasformata dal dominio totale, che gli uomini sono resi superflui e la loro esistenza insensata.

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XII. Il regime totalitario / 4

Il regime totalitario, grazie alla categoria sempre rinnovata del nemico oggettivo, fa vivere tutti i cittadini nel terrore.

Attraverso il terrore le masse intere sono dominate, quasi come se tutti vivessero nei campi, come se la condizione di tutti tendesse a quello.

Ciascun individuo è costantemente tenuto in scacco, isolato dagli altri. Così perde la capacità di esperienza e di pensiero, la capacità di distinguere realtà e finzione, vero e falso.

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Dopo avere indagato le origini del totalitarismo sotto un profilo storico-antropologico, Arendt torna a esaminare la condizione umana con approccio filosofico.

Le due opere sono strettamente collegate e la seconda contiene pure la proposta filosofico-politica ritenuta capace di fare da antidoto alla tentazione totalitaria insita nella società di massa e nella democrazia.

Constatata la catastrofe della politica occidentale avvenuta a metà del XX secolo, la riflessione in positivo di Arendt mira a scoprire una nuova strada, un nuovo modo di essere della politica e soprattutto dell’uomo nella collettività.

L’antidoto al totalitarismo è una radicale ripoliticizzazione dell’uomo. E non si parla di uomo al singolare, ma di uomini, eguali perché tutti appartenenti alla specie umana, ma distinti nella loro individualità (mentre gli individui dello stato totalitario sono uguali perché privi di individualità, sono seriali).

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Hannah Arendt

The Human Condition The University of Chicago, 1958

[trad. it. H.A., Vita activa. La condizione umana, Bompiani,

Milano 2008]

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The Human Condition (1958) / 1

Prologo I. La condizione umana 1. La vita activa e la condizione umana 2. Il termine vita activa 3. Eternità e immortalità

II. Lo spazio pubblico e la sfera privata 4. L’uomo: animale sociale o animale politico 5. La polis e la sfera domestica 6. L’avvento della sfera sociale 7. La dimensione pubblica: l’essere-in-comune 8. La sfera privata: la proprietà 9. Il sociale e il privato 10. La posizione delle attività umane

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The Human Condition (1958) / 2

III. Il lavoro Premessa

11. ‘Il lavoro del nostro corpo e l’opera delle nostre mani’ 12. La cosalità del mondo 13. Lavoro e vita 14. Lavoro e fecondità 15. Il carattere privato della proprietà e della ricchezza 16. Gli strumenti dell’opera e la divisione del lavoro 17. Una società di consumatori

IV. L’opera 18. Il carattere durevole del mondo 19. La reificazione 20. Strumentalità e animal laborans 21. Strumentalità e homo faber 22. Il mercato di scambio 23. La permanenza del mondo e l’opera d’arte

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The Human Condition (1958) / 3

V. L’azione 24. Il rivelarsi dell’agente nel discorso e nell’azione 25. L’intreccio delle relazioni umane e la narrazione 26. La fragilità delle cose umane 27. La soluzione dei greci 28. Il potere e lo spazio dell’apparenza 29. Homo faber e lo spazio dell’apparenza 30. Il movimento del lavoro 31. La tradizionale sostituzione del fare all’agire 32. Il carattere processuale dell’azione 33. L’irreversibilità e il potere di perdonare 34. L’imprevedibilità e il potere della promessa

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The Human Condition (1958) / 4

VI. La ‘vita activa’ e l’età moderna 35. L’alienazione del mondo 36. La scoperta del punti di Archimede 37. Scienza naturale e scienza universale 38. Il dubbio cartesiano 39. L’introspezione e la perdita del senso comune 40. Il pensiero e la visione moderna del mondo 41. Il capovolgimento dell’ordine tradizionale di contemplazione e

azione 42. Il capovolgimento nell’ambito della vita activa e la vittoria

dell’homo faber 43. La disfatta dell’homo faber e il principio di soddisfazione 44. La vita come bene supremo 45. La vittoria dell’animal laborans

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La condizione umana

“Ciò che facciamo è il tema principale di questo libro” [p. 5]

Ciò che facciamo = ‘vita activa’

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La ‘vita activa’

VITA ACTIVA =

- lavorare (→ uomo come animal laborans)

- costruire (→ uomo come homo faber)

- agire (→ uomo come essere politico)

[ed. Bompiani Tascabili, pp. 7-8]

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Pluralità

L’AZIONE, che rende l’uomo politico, presuppone la PLURALITA’, cioè

“il fatto che gli uomini, non l’Uomo, vivono sulla

terra e abitano il mondo” (7) “la pluralità è il presupposto dell’azione umana

perché noi siamo tutti uguali, cioè umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà” (8)

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Natalità

“Delle tre attività, è l’azione che è in più stretto rapporto con la condizione umana della natalità; il cominciamento inerente alla nascita può farsi riconoscere nel mondo solo perché il nuovo venuto possiede la capacità di dar luogo a qualcosa di nuovo, cioè di agire”

“.. Poiché l’azione è l’attività politica per eccellenza, la natalità, non la mortalità, può essere la categoria centrale del pensiero politico in quanto si distingue da quello metafisico”.

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Oggettività

“L’oggettività del mondo – il suo carattere oggettivo o cosale – e la condizione umana si integrano reciprocamente; poiché l’esistenza umana è un’esistenza condizionata, sarebbe impossibile senza le cose, e le cose sarebbero un coacervo di enti privi di relazioni, un non-mondo, se non condizionassero l’esistenza umana”.

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Concetto di vita attiva

Aristotele – bios politikos

Agostino – vita neg/otiosa

Cristianesimo medievale: degradazione della vita activa di fronte alla vita contemplativa

p. 13

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Azione / contemplazione

L’uso del concetto di vita activa in Arendt prende le distanze dalla tradizione:

“La mia obiezione è semplicemente questa: l’enorme peso della contemplazione nella gerarchia tradizionale ha oscurato le distinzioni e le articolazioni all’interno della vita activa stessa …”

Il rovesciamento del rapporto operato di Marx e Nietzsche non ha mutato la prospettiva.

“Il moderno capovolgimento condivide con la gerarchia tradizionale l’assunto che la stessa preoccupazione umana centrale deve prevalere in tutte le attività degli uomini, perché senza un principio comprensivo fondamentale nessun ordine potrebbe essere stabilito. Questo assunto non è scontato e l’uso che faccio dell’espressione vita activa presuppone che l’interesse relativo alle varie attività, e non sia inferiore o superiore, a quello centrale della vita contemplativa”. (14)

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Eternità / immortalità

La vita contemplativa ricerca l’eternità in una dimensione separata da quella terrena e politica.

La vita attiva ricerca l’immortalità sulla terra.

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Sfera domestica / sfera politica

Recupera da Aristotele la distinzione fra sfera domestica e sfera politica.

La casa è il campo della natura, della necessità, del bisogno / il campo della riproduzione della vita fisica / il campo della gerarchia

La polis è il campo della società, della libertà / il campo del discorso e dell’azione / il campo dell’uguaglianza

Nota che Tommaso ha travisato Aristotele ritenendo la

famiglia una figura dello Stato / Arendt vuole invece ripristinare la concezione aristotelica originaria.

Il pensiero politico medievale secondo Arendt nega la politica: esiste solo il privato; il bene comune non è che la comunanza di interessi privati

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La sfera sociale

La società è la comunità dei ‘privati’. E’ il campo del disciplinamento dell’individuo (30). “Col sorgere della società di massa la sfera sociale è giunta finalmente,

dopo diversi secoli di sviluppo, ad abbracciare e controllare tutti i membri di una data comunità in maniera uniforme e con la stessa forza. Ma la società rende eguali in tutte le circostanze, e la vittoria dell’eguaglianza nel mondo moderno è solo il riconoscimento politico e giuridico del fatto che la società ha conquistato l’ambito pubblico, e che la distinzione e la differenza sono diventate faccende private dell’individuo.

“Questa eguaglianza moderna, basata sul conformismo intrinseco alla società è possibile solo perché il comportamento ha sostituito l’azione come modalità primaria di relazione tra gli uomini, è sotto ogni aspetto differente dall’eguaglianza dell’antichità, e particolarmente della città-stato greca.”

La sfera pubblica antica era egualitaria, ma esaltava l’individuo, che in essa

competeva con altri individui per dimostrare il proprio valore.

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Scienza sociale

Grandi numeri Statistica Economia L’emersione della sfera sociale richiama il lavoro nel suo

campo: il lavoro diventa pubblico [differenza del moderno dall’antico]

Teoria della mano invisibile Tendenziale eliminazione dello Stato cui tende la dottrina

liberista (33) → NEGAZIONE DELLA POLITICA

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La sfera pubblica / 1

E’ un campo nel quale gli individui sono in presenza di altri individui, separati e in relazione al tempo stesso.

Non tutti gli aspetti dell’esistenza umana sopportano di stare nella luce della sfera pubblica. Anzi, nell’età della società di massa l’esperienza della sfera pubblica appare annullata. Gli individui stanno assiepati gli uni vicino agli altri ma non si riconoscono, non si relazionano, vivono ciascuno nella propria privatezza.

Analogamente nel medioevo mancava l’esperienza della sfera pubblica. La comunità cristiana non era pubblica, né politica. Essa costituiva un’unità organica, un corpo cui gli individui ugualmente appartenevano, invece di entrare in relazione a partire dalla loro separatezza.

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La sfera pubblica e immortalità / 2

La sfera pubblica trascende la vita individuale e si fonda sulla permanenza. Tuttavia si tratta di una ‘immortalità terrestre’.

Quindi la sfera pubblica dona all’uomo un particolare tipo di immortalità.

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La sfera pubblica e oggettività / 3

La sfera pubblica realizza una perfetta OGGETTIVITA’ poiché la sua realtà si fonda nella ‘presenza simultanea di innumerevoli prospettive’ [42].

“Solo dove le cose possono essere viste da molti in una varietà di aspetti senza che sia cambiata la loro identità, così che quelli che sono radunati intorno a esse sanno di vedere la stessa cosa pur in una totale diversità, la realtà del mondo può apparire certa e sicura” [43].

La SOGGETTIVITA’ è la condizione della sfera domestica e anche quella dell’individuo nella società di massa, che vive in una situazione completamente privatizzata.

Questa soggettività estrema porta alla DISSOLUZIONE DEL MONDO COMUNE.

“La fine del mondo comune è destinata a prodursi quando esso viene visto sotto un unico aspetto e può mostrarsi in una sola prospettiva” [ibid.]

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Il lavoro

L’attività dell’animal laborans ha come scopo la RIPRODUZIONE DELLA VITA BIOLOGICA, cioè sostenere il metabolismo; inoltre difendere il mondo umano dalla natura, che trasforma e consuma incessantemente;

Il lavoro è un’attività incessante, senza fine, circolare. Essa cessa solo con la morte dell’organismo.

La soddisfazione che il lavoro dà è concomitante con l’attività stessa e non durevole.

“Non c’è alcuna felicità duratura all’infuori del ciclo prescritto dell’esaurimento doloroso e della gradevole rigenerazione” [77].

La condizione di fondo dell’animal laborans è quella di NECESSITA’.

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Il lavoro e sfera pubblica

L’animal laborans è estraneo al mondo perché prigioniero della privatezza dei processi biologici.

Tuttavia le filosofie e i sistemi politici moderni, a partire dal XVII secolo, hanno esaltato proprio il lavoro, e la proprietà, come fuoco delle relazioni collettive.

Al contempo l’animal laborans si è parzialmente emancipato dall’obbligo del lavoro e dalla sua pena.

Inoltre, è entrato nella sfera pubblica come cittadino. Esso però non è diventato per questo più adeguato alla

dimensione pubblica: “per tutto il tempo che l’animal laborans ne rimane in possesso,

non può esistere una vera sfera pubblica, ma solo attività private esibite apertamente”.

Emancipato e collocato nella sfera pubblica l’animal laborans non

è altro che un CONSUMATORE.

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L’opera

L’homo faber si colloca su un gradino più alto del precedente sia per quanto riguarda l’oggettività, sia per quanto riguarda la durevolezza, cioè il vantaggio sulla morte, sia per quanto riguarda il suo essere-in-comune.

Egli produce non mera sussistenza, ma oggetti che acquistano valore in sé, indipendenza dal produttore e persistenza nel tempo.

La sua è un’attività più proficua di REIFICAZIONE. Egli crea un mondo artificiale intorno a sé e così si libera dalla natura.

Anche se l’oggetto finisce, resta il MODELLO, imperituro. Homo faber vive nel campo della tecnologia. Egli si colloca anche nel mercato, che concretizza la sua

dimensione relazionale: scambiando gli oggetti che produce, si inserisce in una rete di relazioni economiche.

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Limite dell’homo faber

L’homo faber resta vincolato alla STRUMENTALITA’, al rapporto strumentale con gli oggetti, ma anche con gli altri individui.

Gli oggetti e i soggetti nel mercato hanno solo valore di scambio, non valore intrinseco.

L’attitudine che vige nel mondo dell’hf è utilitaristica.

Per questo hf versa ancora in una situazione di privazione, e quindi di privatezza, poiché gli manca la LIBERTA’ su cui fondare le relazioni.

Egli non è ancora un soggetto pienamente politico.

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L’AZIONE

Nell’azione l’uomo comunica se stesso agli altri, consapevole della reciproca alterità, dunque della pluralità, e dunque dell’unicità propria e di ciascuno.

Nell’azione, che è anche discorso, l’uomo si manifesta agli altri uomini in quanto tale.

AZIONE E’ L’UOMO CHE SI RIVELA.

Essa pertanto deve avere luogo nella luce.

Protagonista dell’azione è il soggetto, il CHI.

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L’AZIONE e l’inizio

L’azione è INIZIATIVA, “cominciamento”, novità.

Essa presuppone la LIBERTA’.

Questo implica però anche IMPREVEDIBILITA’. Il nuovo è imprevedibile, e improbabile.

C’è dunque un elemento di RISCHIO, un potenziale FALLIMENTO.

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L’AZIONE, lo spazio relazionale, la storia

Le azioni dei soggetti creano uno spazio relazionale. Lo spazio relazionale diventa il mondo dell’oggettività, che rivela al

contempo la soggettività di ciascuno degli attori. L’oggettività che nasce nello spazio relazionale non è fatta di oggetti, ma è

INTRECCIO, NARRAZIONE, dunque STORIA. La storia così intesa, non è teleologica, non è rivolta a un fine, ma è

l’effetto del libero manifestarsi degli uomini gli uni agli altri attraverso l’azione.

La grandezza della storia, e degli uomini nella storia, sta nel rischio che essi continuamente, e consapevolmente, corrono, agendo.

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L’AZIONE e il potere

Il potere nasce dall’agire umano nello spazio relazionale, è generato dall’essere-insieme.

Non è forza, ma facoltà e libertà.

“La tirannia impedisce lo sviluppo del potere … nell’intera sfera pubblica” [149].

Essa sostituisce il potere con la violenza.

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L’AZIONE e la politica

L’azione così intesa è la sostanza della POLITICA, che realizza la sfera pubblica.

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La svalutazione della politica [cioe’ dell’AZIONE]

Il mondo moderno ha costantemente perseguito la svalutazione della politica, cercando di riempire la sfera pubblica di altro.

Ha cercato di sostituire all’agire il fare [attività dell’homo faber] o addirittura il lavorare e consumare [animal laborans].

Storicamente: - Il mondo cristiano-medievale ha dato priorità alla vita

contemplativa su quella attiva - Il mondo moderno, a partire dal XVI secolo, ha recuperato

l’attività, ma quella dell’homo faber → esaltazione del FARE - Dalla fine del XVIII secolo però l’enfasi si è spostata sulla

soddisfazione della necessità, cioè sul LAVORARE, sulla conservazione della vita. Questa è la cultura della società di massa, una cultura intrinsecamente anti-politica.

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Democrazia

Arendt non parla di democrazia. Tuttavia dal suo percorso sulla Vita activa nel mondo

moderno si desume una diagnosi dello stato e delle possibilità della democrazia contemporanea.

La sua debolezza è antropologica e morale, prima che istituzionale e politica.

La democrazia, per non essere fittizia o potenzialmente autoritaria, dovrà fondarsi su una nuova antropologia, che riporti l’AZIONE in cima alla gerarchia delle rilevanze con riferimento alla condizione umana.