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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® 224/1 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI Dalla caduta dell’Impero Romano alle Costituzioni del XX secolo STORIA delle ISTITUZIONI POLITICHE Estratto della pubblicazione

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

224/1COLLANA TIMONE

ESAMI e CONCORSI

• Dalla caduta dell’Impero Romanoalle Costituzioni del XX secolo

STORIA delleISTITUZIONIPOLITICHE

Estratto della pubblicazione

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Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:

224 • Elementi di storia del diritto medievale e moderno586 • Dizionario storico del diritto italiano204 • Elementi di diritto costituzionale e amministrativo4/3 • Compendio di storia della pubblica amministrazione4/6 • Diritto delle amministrazioni pubbliche221/1 • Diritto privato comparato254 • Lexikon di dottrine e scienze politiche

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Il testo è stato curato dal Prof. Federico del Giudice e dai Dott. GianlucaDe Nicola, Pietro Emanuele e Chiara Schettino

Libro made in ItalyFinito di stampare nel mese di gennaio 2010

dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)

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PREMESSA

Questo agile testo, redatto nel consueto stile espositivo della collanaLast Minute, si rivolge a tutti gli studenti di corsi di laurea che prevedonostudi sociali interdisciplinari, in cui i mutamenti storico-culturali siano trat-tati in stretta connessione con l’evoluzione delle istituzioni politiche e giuri-diche (Scienze politiche, Storia, Filosofia, Sociologia, Scienze della comu-nicazione).

Pertanto, il volume affronta l’intreccio tra mutamento storico-sociale egenesi del profilo istituzionale nell’evoluzione degli ordinamenti e degli as-setti politico-burocratici del mondo occidentale.

In forma sintetica vengono analizzate le fondamentali teorie di dottrinapolitica, in relazione a quegli eventi della nostra storia che più hanno contri-buito a determinare l’attuale struttura istituzionale dei principali paesi euro-pei.

In tale ottica, i contenuti specifici del volume esaminano, in chiave sto-rica, i temi politico-istituzionali che caratterizzano la disciplina, offrendoun ideale completamento dei manuali tradizionali di storia medioevale, mo-derna e contemporanea.

Definite nel primo capitolo le coordinate diacroniche della nostra storiapolitica, nei capitoli successivi vengono affrontati gli elementi-chiave chehanno caratterizzato le forme, le tipologie, le novità e le trasformazioni del-le principali istituzioni dell’Occidente, in un arco temporale che va dallacaduta dell’Impero Romano alla prima metà del XX secolo.

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CAPITOLO PRIMO

INTRODUZIONE STORICO-TEMATICA: I GRANDI TEMIDELLE ISTITUZIONI POLITICHE

Sommario: 1. Arco cronologico generale. - 2. La sovranità o potere supremo. - 3. Leforme di Stato. - 4. Le forme di governo. - 5. L’irrisolvibile intreccio tra politica edeconomia.

1. ARCO CRONOLOGICO GENERALE

A) Dalla caduta dell’Impero Romano a Carlo Magno

Il punto di partenza per un’indagine sull’evoluzione storica delle istitu-zioni politiche occidentali è generalmente rappresentato dalla fine dell’Im-pero Romano d’Occidente, che identifica anche, secondo le più comuniposizioni storiografiche, la fine dell’età antica e l’inizio dell’epoca medioe-vale (476 d.C.).

Con la fine di Roma si aprì, infatti, il periodo dei regni barbarici (V-VIII secolo d.C.), preceduto dalla progressiva erosione delle strutture am-ministrative e degli assetti territoriali che avevano caratterizzato l’Impero.Dopo la conquista da parte dei popoli germanici, infatti, si assistette ad unprogressivo frazionamento del territorio in un groviglio di regni semino-madi tra loro ostili, che spazzò via i progressi compiuti dalle civiltà greca eromana sul piano giuridico-politico senza che venisse creato, in alternativa,un nuovo tipo di ordinamento.

Dopo oltre tre secoli di dominio barbarico, l’arduo compito di ricostitui-re un nuovo ordine in Occidente venne raccolto dalla dinastia carolingia,che regnò tra la metà dell’VIII e la fine del IX secolo operando il tentativodi ricomporre l’unità politica dell’Occidente arginando, così, le forze cen-trifughe e disgregatrici allora presenti.

Tale impresa trovò il suo punto di riferimento in Carlo Magno, la cuiincoronazione nell’800 d.C. in veste di Imperatore del Sacro RomanoImpero riportò ordine e stabilità sul territorio e consentì all’Occidente dirifiorire, riducendo così il divario con l’Oriente (perché entrambi dotati ditre momenti di vertice un Imperatore, una capitale ed un capo spirituale).

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Capitolo Primo6

I secoli X e XI furono, invece, caratterizzati dall’affermazione del feu-dalesimo, che fu l’ordinamento politico dominante nel contesto europeo-occidentale. In realtà, già al tempo dei Carolingi si era assistito alla divisio-ne del territorio in feudi ma Carlo Magno era riuscito a contenere il feno-meno disgregativo e a formare un Impero unitario in cui i signori feudali,pur titolari di ampi poteri, restavano fedeli all’Imperatore.

B) La caduta del potere centrale

Con la fine dell’età carolingia, invece, il localismo si accentuò fino atrasformarsi nella principale causa di dissoluzione delle istituzioni politi-che statuali; il potere dei signori feudali sfuggì progressivamente al con-trollo degli imperatori franco-germanici, spezzando gli antichi vincoli ge-rarchici, ed il sistema feudale si tradusse nello strumento con cui le nuovearistocrazie locali posero fine all’accentramento di poteri nelle mani deiSovrani.

Solo nel 1100 un nuovo ribaltamento dei rapporti di potere costituì labase per ripristinare la centralità della figura monarchica, con dirette con-seguenze sull’organizzazione dell’amministrazione statale (cui i sovranidedicarono ingenti risorse umane e finanziarie) e, naturalmente, con ricadu-te positive sulle condizioni economiche e culturali collettive dell’Impero.Da qui iniziò un lento processo che si concluse con la formazione delloStato moderno, le cui premesse vanno ricercate in specifiche circostanzestoriche:

— da un lato, la concezione universalistica della Res publica Christiana,che implicava l’obbligo di riconoscere il primato della sfera spiritualesu quella temporale, fu affermata con tale forza dal Papa (e messa inpratica con la lotta per le investiture negli anni tra il 1057 ed il 1122) daprovocare una definitiva, insanabile rottura dei rapporti del Papato conl’Imperatore e, dunque, dell’unità politico-religiosa dell’Occidente;

— dall’altro, tale rottura sancì definitivamente l’autonomia della politicadalla religione, e consentì alla figura del principe di affrancarsi dal po-tere tanto del Papa, quanto dell’Imperatore (si ebbe, così, il tramonto dei«due soli» citati nel De Monarchia di Dante).

C) La nascita dello Stato assoluto

Nel Cinquecento si assistette, dunque, alla nascita delle grandi monar-chie nazionali (Inghilterra e Francia prima, Spagna poi), in cui il sovrano

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7Introduzione storico-tematica

riuscì ad affermare la propria autorità sia, come detto, verso l’alto (sotto-forma di indipendenza dall’Impero e dalla Chiesa), sia verso il basso, neiconfronti dei corpi intermedi (ceti borghesi, nobiltà, parlamenti etc.).

Tali monarchie costituirono, peraltro, i primi modelli di Stato assoluto,perché caratterizzate dalla preminenza del sovrano e dalla centralizzazionedell’amministrazione, e solo tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Otto-cento si trasformarono in monarchie costituzionali e parlamentari.

Convenzionalmente, in realtà, la dottrina fa risalire la nascita dello Stato moderno al 1648,anno in cui fu stipulato il Trattato di Westfalia, che pose fine alla sanguinosa Guerra deiTrent’anni. Solo allora, infatti, si ebbe il definitivo declino dell’autorità papale e di quellaimperiale, e si instaurò, a livello internazionale, una comunità paritaria di Stati sovrani.

D) Dall’ascesa della borghesia al suffragio universale

Nel secolo XIX si assistette all’ascesa della borghesia che, possedendoi mezzi di produzione e, dunque, detenendo il potere economico, aveva re-clamato (e ben presto ottenuto) anche un parziale potere politico.

In questo contesto si affermò il liberismo, pensiero politico nato in In-ghilterra e Olanda già tra il XVI ed il XVII sec., che attribuiva valore prima-rio all’individuo, ai suoi diritti (inizialmente diritti civili: libertà personale,diritto di proprietà privata etc.), nonché ai principi di eguaglianza dei citta-dini dinanzi alla legge e a quello della divisione dei poteri.

Tali assunti costituirono il fondamento teorico che portò alla nascita delloStato liberale, ossia di quella forma di Stato caratterizzata dalla presenza diuna Costituzione (o Statuto) come legge fondamentale, dalla tripartizionedei poteri in esecutivo, legislativo e giudiziario e dall’affermazione delloStato di diritto (principio in base al quale tutti i soggetti dell’ordinamento,compresi il sovrano ed i poteri pubblici, sono sottoposti alla supremaziadella legge).

Ad eccezione di alcune realtà nazionali, le quali tuttavia non restaronoimmuni dal controllo popolare, si tratta di un modello che si è affermatoprogressivamente in quasi tutti gli Stati europei.

Solo molto più tardi, tra il XVIII ed il XIX sec., il popolo cominciò amaturare la consapevolezza della propria forza e ad avanzare richieste af-finché lo Stato liberale, anche definito Stato monoclasse perché guidatodalla sola borghesia, si evolvesse in Stato democratico, ampliando la pro-pria base sociale e promuovendo i due valori fondamentali di sovranitàpopolare e giustizia sociale.

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Capitolo Primo8

Il movimento democratico culminò, a testimonianza dell’ascesa politicadel popolo, nell’adozione del suffragio universale (Giolitti lo proclamònel 1912 per il Regno d’Italia, sebbene riservandolo ancora alla sola popo-lazione di sesso maschile).

In una prospettiva sociologico-politica, secondo Max Weber esistono sostanzialmente treforme di potere legittimo, distinte in base alle motivazioni che inducono i soggetti a sotto-mettersi a tali poteri: carismatico, tradizionale e razionale.Il potere tradizionale si fonda sulla convinzione che chi lo esercita derivi la propria auto-rità da tradizioni riconosciute come sacre e, per questo, valide da sempre (le forme digoverno monarchiche sono, dunque, giustificate dalla tradizione secondo cui la successio-ne al potere avviene per discendenza dinastica).Nel caso del potere carismatico, i consociati riconoscono al capo un carattere «straordina-rio», una personalità tale da poter assumere (legittimamente, appunto) la leadership politica.La legittimità del potere razionale, infine, deriva dalla convinzione, da parte del grupposociale, che i governanti esercitino le proprie funzioni nel rispetto della legalità e di procedu-re predefinite. È quest’ultimo tipo di potere, per Weber, a caratterizzare lo Stato moderno.

2. LA SOVRANITÀ O POTERE SUPREMO

Altrettanto importante, al fine di comprendere l’evoluzione storica delleforme di governo, si rivela una breve analisi del concetto di «sovranità» edelle innumerevoli elaborazioni dottrinarie che di esso sono state fatte incampo politico-giuridico e filosofico.

Il termine indica anzitutto il potere di comando di ultima istanza, ov-vero il potere supremo, esclusivo e non derivato che distingue una societàpolitica da altre forme di aggregazione umana (MATTEUCCI).

A) Antichità e Medioevo

Sin dall’antichità, per esprimere il medesimo concetto, si ricorreva soventead espressioni quali summa potestas, summum imperium, plenitudo potestatis,tutte accomunate dal fatto di indicare un potere superiorem non recognoscens.

Nel Medioevo si sviluppò la concezione per cui il «sommo potere» nondoveva essere astrattamente riferito ad un’istituzione o ad un ordinamento,bensì alla persona del sovrano, il quale rappresentava il vertice di un siste-ma gerarchico che vedeva al gradino più basso il suddito.

Il Re, dunque, era sottoposto anzitutto alla legge divina, derivando daessa la sua legittimazione, e, secondariamente, al rispetto della legge «terre-na» (che prendeva corpo nelle consuetudini in uso nel territorio in cui re-gnava).

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9Introduzione storico-tematica

In tal senso, Bracton (ca. 1210-1268) fu tra i primi a sostenere che il sovrano fosse sotto-posto prima a Dio e poi alla legge; sulla stessa posizione si pose Hotman (1524-1590)che, però, biasimava quel potere che si ponesse nella condizione da risultare assoluto oincontrollato.Molto differente era l’impostazione del glossatore Accursio (1184-1263) che, ferma re-stando l’autorevolezza dei princípi espressi dal diritto romano, sosteneva che l’Imperatorenon fosse sottoposto alla legge (era, cioè, legibus solutus), pur essendo suo dovere rispet-tarla nella misura in cui essa costituiva la fonte legittimante ed autoritativa del suo potere.

L’impostazione filosofica per cui il sovrano era sub Deo spiega la legit-timità dell’intervento del Papa (principale rappresentante della volontà di-vina) con sanzioni terrene, come la scomunica, ed ultraterrene, con le quali«ridimensionava» il potere dell’Imperatore affermando la superiorità delpotere spirituale su quello temporale.

L’episodio di Enrico VIII a Canossa (1077), luogo ove l’Imperatore sirecò a far penitenza e a sottomettersi dinnanzi a tutti, in umili vesti, all’au-torità papale, ne costituisce l’esempio storicamente più significativo (v. in-fra cap. 4, p. 5, lett. c).

B) Lo Stato assoluto

Sul finire del Cinquecento si affermò una nuova interpretazione del con-cetto di sovranità secondo cui il monarca, pur trovando ancora un limite alsuo potere nella legge divina, non era più tenuto al rispetto di quelle terrene:conquistando, infatti, il monopolio della produzione giuridica, il sovranodivenne colui che detta legge e che, pertanto, non viene da essa limitato(è, pertanto, sub Deo, ma supra legem).

Ciò produsse due conseguenze di rilievo:

— sul piano esterno, il Re si emancipò dalla sottomissione al Papa e al-l’Imperatore;

— sul piano interno, egli assunse una posizione di totale supremazia nei con-fronti dei sudditi e di tutti i corpi intermedi (ceti, autonomie locali, signorifeudali etc.) e la piena immunità per qualsiasi suo comportamento.

C) I contributi di Bodin, Hobbes e Locke

La nuova, moderna concezione di «sovranità» costituì, pertanto, la pre-messa teorica per la costituzione dello Stato assoluto, e trovò la sua formu-lazione più compiuta nel pensiero di autori come Jean Bodin (vedi ampliuscap. 6, par. 4) e Thomas Hobbes (vedi amplius infra, cap. 6, par. 6, lett. A).

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Capitolo Primo10

Il transalpino Jean Bodin, autore de I sei libri della Repubblica (1576), teorizzò la legitti-mazione della sovranità in base al principio secondo cui il Re non può essere sottoposto alcomando altrui, ma, invece, alle sue leggi sono sottoposti i sudditi del regno.Hobbes, autore del Leviatano (1651), vedeva nella costituzione dello Stato l’unica alterna-tiva razionale alla guerra dell’uomo contro uomo. Lo Stato assoluto, fonte di ogni regola,era per Hobbes la sola garanzia di pace in grado di assicurare a tutti i consociati la tuteladel diritto fondamentale alla vita.La visione «assolutistica» dell’autorità fu fortemente influenzata dalle opinioni di autore-voli civilisti e canonisti come Azzo Azzone (1150-1225) e Baldo degli Ubaldi (1327-1400), che ponevano la figura del sovrano sopra la legge in quanto ritenuto la «fonte». IlRe, in questo senso, costituiva la legge «vivente ed animata» e l’Imperatore incarnaval’«Impero stesso».Su posizioni diverse si pose, invece, Marsilio da Padova (1275-1342), il quale impostò laquestione in modo rivoluzionario per i suoi tempi sostenendo che il Re, in quanto esercitafunzioni di governo, non può considerarsi “immune” nei confronti della legge e può esserechiamato a rispondere delle proprie azioni.

Benché assoluta ed indivisibile, per Bodin la sovranità trovava un limitenelle leggi naturali e divine ed in quelle riguardanti la struttura dell’ordi-namento, nonché nel giuramento fatto dal sovrano di rispettare i patti stipu-lati con i sudditi (pacta sunt servanda).

Il concetto di sovranità limitata fu ulteriormente sviluppato negli anni successivi da au-tori come John Locke, contemporaneo di Hobbes, ma sostenitore di valori antitetici a quellidell’assolutismo. Considerato, anzi, uno dei primi teorizzatori del costituzionalismo liberale,per Locke la sovranità spettava al Parlamento, e veniva limitata dal contratto con cui i conso-ciati davano vita all’ordinamento (la Costituzione).

D) La «spersonalizzazione» del potere e il concetto di sovranità popolare

Nel pensiero di Bodin si rintraccia un secondo elemento rilevante: lasovranità veniva definita in termini impersonali ed astratti, riferita nonalla persona del Re, ma alla Corona (intesa come insopprimibile istituzionemonarchica).

Anche tale aspetto venne ripreso nelle epoche successive, poiché dalSeicento in poi si sviluppò in Europa un processo di spersonalizzazionedel potere in base al quale la sovranità spetta di diritto all’ente-Stato, inte-so come persona giuridica pubblica distinta dai singoli individui preposti aivertici del potere politico.

Su questo filone si pose Jean-Jacques Rousseau, sostenendo più pro-priamente che sovrana debba essere considerata solo la volontà generale

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11Introduzione storico-tematica

(il popolo), e non tanto lo Stato, in quanto la prima rappresenta l’elementofondante e legittimante del secondo.

Si giunse, così, alla definizione di sovranità propugnata dalle teorie de-mocratiche dell’Ottocento, secondo cui sovrano è il popolo che, non po-tendo esercitare in concreto il proprio potere per ragioni pratiche, demandatale compito allo Stato, al Parlamento ed al Governo. Tale assunto costitui-sce il fondamento dello Stato democratico contemporaneo che, qualifican-dosi come Stato di diritto, pone il rispetto della Costituzione e delle leggicome unico limite alla sovranità popolare.

3. LE FORME DI STATO

Con l’espressione «forma di Stato» si intende generalmente il rappor-to intercorrente tra i vari elementi costitutivi dello Stato (popolo, terri-torio, sovranità).

Tale rapporto si presenta sotto una duplice prospettiva:

— da un punto di vista strutturale, ossia di organizzazione dell’apparatostatuale, è possibile distinguere tradizionalmente lo Stato unitario daquello federale e regionale;

— se si considerano, invece, le finalità perseguite, si può individuare unasuccessione cronologica in cui, partendo dall’ordinamento feudale, siassiste allo sviluppo di differenti forme di Stato:

a) Stato patrimoniale;b) Stato assoluto;c) Stato di polizia;d) Stato liberale;e) forme di Stato contemporanee.

Secondo la dottrina costituzionalista prevalente, esiste una tripartizionefra Stato democratico, evolutosi in Stato sociale (Welfare State), Statosocialista e Stato autoritario fascista. Questi ultimi, infine, possono de-generare in Stati totalitari.

Il discorso sulle forme di Stato implica anzitutto un’analisi della dicotomia democrazia-autocrazia, vale a dire di come si sia configurato di volta in volta all’interno di uno Stato ilrapporto tra libertà ed autorità. Occorre, dunque, prendere a modello la presenza di istitutiquali la partecipazione popolare al potere, il principio di separazione dei poteri, nonché lasussistenza (o meno) del pluralismo.

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Capitolo Primo12

In particolare:— nella democrazia gli organi di governo sono liberamente scelti dal popolo, titolare del

potere sovrano, e controllati dall’opposizione che aspira a divenire forza di governo.In base al principio pluralista, il potere è distribuito fra più organi a livello centrale(Parlamento, Governo, Magistratura etc.), oltre che a livello territoriale (mediante lediverse forme di autonomia locale);

— nell’autocrazia, invece, vi è assenza di investitura popolare del potere, o, qualora esista,tale investitura assume carattere meramente formale. L’ordinamento è controllato da oli-garchie di potere che, reprimendo qualsiasi forma di opposizione, si impongono al verti-ce del sistema mediante la forza fisica o forme più raffinate – talvolta subdole – di per-suasione (come, ad esempio, il controllo massiccio dei mezzi di informazione).

A) Lo Stato patrimoniale

In seguito alla dissoluzione dell’Impero romano nacque in Europa unaforma di Stato che sarà prevalente per tutto l’Alto Medioevo: lo Stato pa-trimoniale.

In esso mancava una struttura amministrativa stabile e permanente, e gliinteressi della collettività erano perseguiti da un gruppo ristretto di soggetti(i signori feudali), che consideravano il territorio, ove si estendeva il loropotere sovrano, alla stregua di una proprietà privata.

Dominava, pertanto, una concezione privatistica del potere, sulla terrae sulla persona dei sudditi considerate «mere appendici» del territorio: dal-la proprietà del feudo, infatti, discendeva non solo il dominio legittimo suogni cosa e persona che vi si trovasse all’interno, ma anche la titolaritàdell’esercizio di funzioni pubbliche embrionali come l’esazione dei tri-buti e l’amministrazione della giustizia.

Secondo lo schema feudale, inoltre, la nobiltà terriera era articolata inuna fitta rete di rapporti di vassallaggio gerarchicamente organizzata, chetrovava nell’Imperatore la sua figura di vertice.

Per tali caratteristiche, quella patrimoniale rappresenta una forma sta-tuale atipica. La dottrina prevalente tende addirittura a negare che si possaparlare di Stato patrimoniale, preferendo piuttosto la generica espressionedi «ordinamento feudale» (vedi infra, cap. 3, par. 3) antecedente alla na-scita dello Stato così come modernamente inteso (che, per convenzione, sifa risalire alla Pace di Westfalia del 1648).

B) Lo Stato moderno o assoluto: caratteri e assetto verticistico

Tra i secoli XV e XVIII si ebbe un sostanziale accrescimento dei compi-ti assunti dallo Stato: la società dell’epoca, infatti, aprendosi a numerose

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13Introduzione storico-tematica

attività economiche, mostrò l’inadeguatezza della forma di Stato patrimo-niale e rese necessaria una diversa organizzazione del potere, capace di sup-portare lo sviluppo economico (provvedendo alla sicurezza interna, alla re-alizzazione di infrastrutture etc.), di superare la frammentazione feudale (invista della creazione di uno Stato nazionale) e, nel complesso, di porsi comeobiettivo primario il benessere della collettività.

Nacque, così, lo Stato assoluto, caratterizzato dai seguenti elementi:

— la formazione di un apparato burocratico unitario e centralizzato (conla conseguente esautorazione delle vecchie strutture locali);

— il monopolio della produzione normativa da parte dello Stato centrale;— La creazione di una diplomazia stabile portavoce della volontà della Co-

rona;— la progressiva crescita della vecchia nobiltà feudale, accanto alla bor-

ghesia;— la formazione di eserciti direttamente dipendenti dal sovrano;— la graduale affermazione del primato dello Stato nei confronti della Chie-

sa, avente come corollario la secolarizzazione del potere e la razionaliz-zazione della politica.

Al vertice di tale forma di Stato era posto il sovrano, che esercitava ilproprio potere senza limiti, né restrizioni; vennero, infatti, riaffermati dueprincípi di tradizione romanistica, in base ai quali il re deve considerarsilegibus solutus (sciolto dal vincolo del rispetto della legge) e che quod prin-cipi placuit legis habet vigorem («ciò che piace al re ha forza di legge»).

C) Lo Stato di polizia

Tra il XVII ed il XVIII sec. l’assolutismo assunse una forma razionaliz-zata solitamente definita «Stato di polizia» («polizia» deriva dal greco po-lis, «città», e significa «soddisfazione dei bisogni della città»), che si diffu-se prevalentemente nell’Austria (da parte della Regina Maria Teresa) e nellaPrussia.

Tale espressione fu coniata a metà Ottocento dagli storici costituzionalitedeschi per indicare quella forma di Stato antitetica allo Stato di diritto,cui erano sottesi valori in parte opposti rispetto a quelli liberal-borghesi: seda un lato, infatti, venivano riconosciute ai singoli alcune posizioni sogget-tive tutelabili dinanzi ai giudici (a differenza di quanto avveniva nello Statoassoluto), dall’altro i tempi non erano ancora maturi per l’affermazione dei

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Capitolo Primo14

principi e diritti dello «Stato di diritto», quali, ad esempio, la separazionedei poteri, il primato della legge, la tutela delle libertà individuali (prima-riamente il diritto di proprietà) ed il diritto di voto alla nascente classe bor-ghese.

Malgrado la dizione apparentemente repressiva, in tale forma di Stato ilconcetto di «polizia» definiva tutte le attività di amministrazione internaposte in essere dagli organi statali per il benessere dei sudditi, nella convin-zione che la felicità collettiva (bonus commune), oltre che a costituire un fine,fosse al tempo stesso un mezzo per assicurare la convivenza pacifica dei sud-diti e la prosperità dello Stato.

Per la sua realizzazione lo Stato era chiamato a garantire sia la sicurez-za, mediante un apparato militare efficiente, sia lo sviluppo economico,mediante un’attività di guida e regolamentazione dell’economia che si espli-cava in interventi diretti da parte di tecnici ed amministratori.

Lo Stato di polizia si caratterizzò, pertanto, per un forte interventismo(anche negli ambiti religioso, dei costumi, della sanità), e l’amministrazio-ne raggiunse una tale complessità da configurarsi come organizzazione «pro-pria e … distinta da quella costituzionale, frapponendosi fra la collettivitàgenerale e gli organi costituzionali deliberativi» (GIANNINI).

Tale struttura finì per condizionare e limitare i poteri del sovrano in quantoquest’ultimo, pur concentrando su di sé tutte le funzioni dello Stato, non siidentificava più con esso (in base al principio di spersonalizzazione del po-tere teorizzato da Bodin, infatti, il monarca aveva ormai assunto la veste diorgano dello Stato).

Sebbene lo “Stato di polizia” mirasse al benessere economico e soddisfacesse, dunque, gliinteressi delle classi borghesi emergenti, come già accennato in precedenza non garantivaloro, però, un corrispondente peso politico nel sistema garantito soprattutto dal diritto divoto; da ciò il diffuso malcontento alla base dei moti liberali che, a partire dalla Rivoluzio-ne francese del 1789, si estesero al resto d’Europa nel XIX sec.

D) Lo Stato liberale (o di diritto)

Lo «Stato liberale», che trova il suo fondamento teorico nella correntepolitica definita «liberalismo», nonché nella diffusione delle dottrine ra-zionaliste e illuministe (a partire dalle opere di Locke, Voltaire, Diderot eMontesquieu), si sviluppò in Inghilterra nel XVII sec. al termine della«Gloriosa Rivoluzione» (1688-1689), diffondendosi poi negli Stati Uniti

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15Introduzione storico-tematica

con la guerra d’indipendenza del 1776 e nel resto d’Europa dopo la Rivolu-zione francese (1789).

Esso costituì un’innovazione radicale rispetto allo Stato assoluto, isti-tuendo un sistema di garanzie del singolo nei confronti del potere politico.

Alcune di queste garanzie si erano già parzialmente affermate in epoca precedente. Essesono alla base della trasformazione dei sudditi in cittadini grazie al riconoscimento a questiultimi di libertà civili e diritti politici (vedi infra) prime fra tutte l’istituzione di assembleerappresentative dei ceti sociali (clero, nobiltà e borghesia) ed il mantenimento di una (limitata)autonomia dei giudici dal potere regio, ma con il progressivo consolidarsi delle monarchieassolute nell’Europa continentale esse persero del tutto il proprio ruolo di contenimento delpotere sovrano.

L’unica eccezione fu l’Inghilterra che, del resto, non conobbe mai l’esperienza dell’assoluti-smo (vedi infra, Cap. 6, par. 3): sin dall’emanazione della Magna Charta Libertatum (1215) edelle successive dichiarazioni parziali dei diritti dell’uomo — tra cui il Bill of Rights del 1689 el’Act of Settlement del 1701 (che stabilì, tra l’altro, a tutela del principio di divisione dei poteril’indipendenza dei giudici dal governo) — i sovrani inglesi si impegnarono al rispetto di unaserie di norme fondamentali a tutela dei sudditi, volte a riconoscerne diritti, libertà e prerogative.

Si stabilì, pertanto, il principio di supremazia della legge (rule of law),che rese lo Stato liberale uno Stato di diritto: tutti i pubblici poteri eranotenuti al rispetto della legge (incluso il sovrano), e l’agire della pubblicaamministrazione doveva svolgersi secondo il principio di legalità, ossiasenza violare la legge e sulla base di una previa norma che le attribuissepoteri e competenze.

Si affermò, inoltre, il principio di divisione dei poteri, in base al qualel’organo legislativo, dato il suo carattere rappresentativo, è chiamato a for-mulare le regole generali ed astratte della convivenza civile, l’organo ese-cutivo ad attuarle e quello giudiziario a giudicare, in modo imparziale edindipendente, che i comportamenti dei consociati siano conformi ad esse,irrogando, in caso contrario, pene e sanzioni ai contravventori.

Benché distinti, tali poteri devono, però, limitarsi a vicenda (cd. princi-pio di bilanciamento dei poteri), affinché nessuno prevalga sull’altro ecommetta abusi sui singoli.

Sul piano dei diritti e delle libertà, come già accennato, lo Stato libera-le si caratterizzava per una concezione garantista; in esso, infatti, trovaro-no pieno riconoscimento:

— le libertà civili, volte a garantire il singolo dalle ingerenze del poterepolitico (tra cui libertà di pensiero, religione, espressione, circolazione,domicilio etc.);

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Capitolo Primo16

— i diritti politici, finalizzati a coinvolgere l’individuo nella vita pubblica(diritto di associazione, riunione, manifestazione etc.). Fondamentale,in tal senso, fu la concessione del diritto di voto alla classe borgheseche, per quanto si trattasse ancora di un suffragio ristretto (potevanovotare solo i cittadini che pagavano le tasse di un certo ammontare),consentiva l’elezione dei componenti di almeno una delle assemblee par-lamentari (di regola la Camera bassa; il Senato, invece, rimaneva dinomina regia).Con l’acquisizione dei diritti politici il suddito, prima sottoposto allavolontà assoluta del sovrano, si trasformò in cittadino, partecipando at-tivamente alla gestione della res publica.

Nell’ambito delle libertà civili affermatesi nello Stato liberale, un ruolochiave assunsero quelle economiche (soprattutto a favore della borghesiapossidente ed industrializzata), che ebbero come inevitabile corollario losviluppo di una concezione non interventista dello Stato: pur mantenendocome finalità il soddisfacimento degli interessi collettivi, lo Stato liberale sitrasformò in mero tutore del pacifico svolgimento della vita socio-economi-ca, evitando interventi pubblici diretti nelle attività dei cittadini.

L’ideologia politica liberale si fuse, pertanto, con le teorie economiche liberiste, che pro-pugnavano le virtù di un sistema economico caratterizzato dal laissez-faire, secondo cui leleggi di mercato — lasciate libere di autoregolamentarsi — avrebbero garantito corrispon-denza tra produzione e consumi, investimenti e risparmio, offerta e domanda di lavoro(Adam Smith).

Il ridimensionamento del ruolo dello Stato, dunque, investì tutti i settoridella vita pubblica: l’azione statale era ritenuta legittima solo se indiretta,ossia volta a garantire la sicurezza nella politica estera ed in quella interna, ilrispetto dei diritti e delle libertà, nonché la pace sociale (evitando lo scontro,divenuto poi inevitabile, fra le classi più abbienti e quelle povere).

Naturalmente, anche lo Stato liberale ha conosciuto gravi contraddi-zioni interne: pur garantendo, formalmente, il principio di uguaglianza e idiritti di libertà, esso ha permesso che il libero esercizio del potere econo-mico finisse con il causare gravi diseguaglianze sociali.

Questo stato di cose ha determinato la cosiddetta «questione sociale»,che ha costituito uno dei temi più scottanti, a livello socio-politologico, ne-gli ultimi due secoli.

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17Introduzione storico-tematica

E) Lo Stato democratico e sociale (Welfare State)

Tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento lo Stato liberale sitrovò di fronte a gravi diseguaglianze economiche createsi tra le classi e la con-seguente diffusione dell’ideologia socialista diffusa negli strati meno abbienti.

Fu così che, di fronte alle sempre più pressanti richieste di un movimentooperaio ormai compiutamente organizzato, ne recepì alcuni principi: estese pro-gressivamente il numero dei titolari di diritti civili e politici (primariamenteil diritto di voto, fino al raggiungimento del suffragio universale) e riconobbesoprattutto a favore delle classi meno agiate una nuova categoria di diritti (idiritti economici e sociali, anche definiti «di seconda generazione»).

Nacque, così, lo Stato democratico e sociale (quale naturale evoluzio-ne di quello liberale), i cui obiettivi primari tendevano alla rimozione degliostacoli di natura sociale ed economica che impedivano la partecipazionedi tutti gli individui alla vita pubblica e allo sviluppo dei valori di soli-darietà e cooperazione, necessari per il mantenimento della pace sociale.

Con l’avvento dello “Stato liberale”, infatti, vasti strati della società, soprat-tutto quelli più disagiati (poveri, proletari e sottoproletari) erano stati totalmen-te emarginati dalla vita politica, restando privi di qualsiasi forma di coscienzapubblica, in quanto spettatori e non protagonisti delle fortune dello Stato.

La partecipazione alla vita pubblica di classi fino ad allora escluse portòalla nascita di formazioni sociali spontanee come i sindacati e dei partiti dimassa, ossia di strutture organizzate permanenti che, configurandosi comecentri di aggregazione di interessi all’esterno del Parlamento (DE VER-GOTTINI), riducevano il ruolo di preminenza assunto da quest’ultimo nel-lo Stato liberale.

Sul piano giuridico, dunque, lo Stato democratico si caratterizza per l’affermazione:— del principio di costituzionalità (quale evoluzione del principio liberale di legalità).

Nacquero, infatti, le prime Costituzioni rigide (ossia suscettibili di modifica solomediante un procedimento aggravato rispetto a quello previsto per le leggi ordinarie);

— del principio di solidarietà, che diventa il terzo pilastro della democrazia accanto aquelli di libertà ed uguaglianza, che si erano già affermati con lo Stato di diritto;

— del principio di sovranità popolare, per garantire la partecipazione politica di tutti icittadini attraverso i tradizionali istituti di democrazia rappresentativa a cui si affian-cano i canali della democrazia diretta (referendum, iniziativa legislativa, petizione po-polare) e della democrazia diffusa (partiti, sindacati, associazioni, gruppi d’interesseetc.);

— del pluralismo, da cui derivano il riconoscimento e la promozione dell’autonomiadelle formazioni sociali, ossia delle comunità intermedie fra gli individui e lo Stato.

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Capitolo Primo18

Sul piano economico-sociale, si verificò il passaggio dall’astensioni-smo dello Stato all’interventismo: l’economia divenne uno dei settori prin-cipali in cui lo Stato era chiamato ad esplicare la propria azione, attraversola gestione diretta dei servizi pubblici e di una parte delle imprese (spessoin posizione monopolistica); si trasformò, dunque, in economia mista, incui l’iniziativa pubblica si affiancava a quella privata, diventando talvoltapredominante dando vita a norme di «diritto pubblico dell’economia».

Lo Stato democratico ha, così, assunto la veste di Stato sociale, o Statodel benessere (Welfare State, secondo la denominazione anglosassone):pur rispettando i dogmi della proprietà privata dei mezzi di produzione edella libera iniziativa economica, esso ha sancito l’esistenza di diritti eco-nomici che, se destinati a tutti, permettono il raggiungimento del benesserecollettivo. Per la loro applicazione sono state varate vaste ed articolate legi-slazioni in materia di tutela del lavoro e sicurezza sociale a favore delleclassi meno abbienti (es.: Carta del lavoro).

Si è affermato, in tal modo, una forma di Stato assistenziale, il qualeinterviene concretamente nel sistema per migliorare il tenore di vita dell’in-tera popolazione, favorendo l’inclusione sociale ed economica di chi nonriesce a raggiungere i livelli reddituali minimi di dignitosa sopravvivenza.

In questo senso lo Stato sociale-assistenziale crea una rete di servizi e diprestazioni (tutela della salute, diritto all’istruzione, diritto alla casa, assi-stenza sociale e previdenziale etc.) finalizzata ad eliminare ogni grave for-ma di privilegio economico e a garantire il soddisfacimento dei bisogni mi-nimi vitali, promuovendo così un miglioramento generalizzato della qua-lità di vita dei cittadini.

Le basi concrete per la costituzione dello Stato sociale furono poste negli anni Venti eTrenta del ‘900: da un lato, la prima guerra mondiale indusse lo Stato ad interveniremassicciamente tanto nella produzione industriale (in primis quella bellica), quanto nelladistribuzione di beni di prima necessità; dall’altro, la grave crisi economica del 1929 resenecessari un forte incremento della spesa pubblica, l’adozione di provvedimenti anti-infla-zionistici e a sostegno dell’occupazione, nonché l’istituzione di specifiche strutture pubbli-che per l’erogazione di servizi sociali e aiuti economici (tipico è il caso del New Dealpromosso negli Stati Uniti dal Presidente F. D. Roosevelt fra il 1933 ed il 1937).Con la fine del secondo conflitto mondiale si ebbe la definitiva affermazione del WelfareState: a partire dalle politiche assistenziali realizzate in Gran Bretagna, in tutti i Paesiindustrializzati fu progressivamente creato un sistema volto a garantire prestazioni pubbli-che uguali a tutti i cittadini.

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19Introduzione storico-tematica

In realtà, già nei secoli precedenti lo Stato patrimoniale e quello di polizia avevano comefinalità la promozione del benessere dei sudditi e, pertanto, l’adozione di misure a tuteladei più poveri. Tutto ciò era, però, visto dai sovrani come un dovere morale del Sovrano eun obbligo naturale di ogni cristiano, affondando le radici nella concezione secondo cuiil potere supremo, trovando legittimazione nella volontà divina, doveva applicare i valoricristiani di pietas e caritas anche alla sfera politica.Gli interventi in campo sociale posti in essere tra il XVIII e il XIX sec. in vari Stati europei,inoltre, comportavano l’esclusione di qualsiasi diritto civile e politico alle classi disagia-te, e servivano anzi ad evitare pericolose rivolte popolari scaturenti dalle loro condizioni dipovertà e portatrici di ideali rivoluzionari: la legislazione sociale varata in Prussia da Bi-smarck tra il 1883 ed il 1889, ad esempio, se da un lato tutelava il proletariato industriale,dall’altro negava ad esso qualsiasi forma di rappresentanza politica (con una legge «antiso-cialista» emanata nel 1878, infatti, erano già stati negati i diritti di riunione ed associazio-ne).

Dalla fine degli anni Sessanta del XX secolo si è assistito a una crisidello Stato sociale, causata da una dilatazione della spesa pubblica (spessoaccompagnata dall’inefficienza degli apparati pubblici nella gestione e ra-zionalizzazione delle risorse disponibili, che si è tradotta in un vero e pro-prio spreco di denaro pubblico). Ciò ha portato negli anni successivi ad uncontenimento dell’intervento statale in economia, e all’adozione di im-ponenti misure di liberalizzazione e privatizzazione di matrice neo-libe-rista (ne costituiscono un chiaro esempio le politiche di Margaret Tatcherin Gran Bretagna e Ronald Reagan negli Stati Uniti nonché le politicheeconomiche adottate in Italia a partire dalla «Seconda repubblica») che hannoliberalizzato alcuni importanti settori economici.

F) Lo Stato socialista

La forma di Stato socialista, affermatasi in Russia dopo la Rivoluzionebolscevica del 1917 e progressivamente estesa agli Stati limitrofi, attrattinella sfera di influenza sovietica, ha trovato il suo fondamento dottrinarionell’ideologia comunista ed, in particolare, nella concezione marxista delloStato, elaborata nella seconda metà del XIX sec. ed oggetto di successiviaggiornamenti dettati dalle esigenze della pratica politica.

Il pensiero marxista costituisce l’esito di un’evoluzione dottrinale le cui origini possonorintracciarsi sin nell’antichità.Dalla Repubblica di Platone, passando attraverso le esperienze del cristianesimo, dei movi-menti ereticali pauperistici del Medioevo e di riformatori quali J. Wycliffe, J. Hus e T. Mun-tzer, fino ai grandi filosofi dell’età moderna (Tommaso Moro) e dell’illuminismo (i socialisti

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Capitolo Primo20

utopisti, tra cui F.N. Babeuf, C.H. de Saint-Simon, C. Fourier, R. Owen, F. Buonarroti, L.A.Blanqui), molti pensatori hanno propugnato l’abolizione della proprietà privata (conside-rata la fonte di accumulazione capitalistica e, quindi, la principale causa di discriminazionetra i cittadini) e proposto il comunismo come modello di società ideale.K. Marx e F. Engels ripresero questi temi e li svilupparono alla luce di una completa analisistorico-economica della società capitalistica.Il marxismo, che trova compiuta formulazione in varie opere (tra cui il Manifesto delPartito comunista del 1848), costituisce la premessa teorica del progetto proletario checostiutisce l’aspirazione dagli ordinamenti socialisti, comunque, mai realizzata.Punto di partenza di tale «progetto» è la presa di coscienza delle disfunzioni del sistemacapitalistico, dominato da una logica del profitto che genera disparità di benessere e potereed è, pertanto, fonte di attriti e ribellioni suscettibili di minacciare la stabilità del sistema.Più in particolare, nel capitalismo solo un gruppo ristretto di individui riesce ad appropriar-si dei mezzi di produzione, ad accumulare ricchezza a scapito degli altri membri dellacollettività e, conseguentemente, a creare strutture di potere, tra cui, in primis, lo Stato, perdifendere e consolidare la loro posizione dominante.Il progetto proletario mira a riorganizzare la produzione su basi sociali e collettive, diverseda quelle proprie del capitalismo, in modo da superare le contraddizioni in esso sperimen-tate e realizzare una società su basi egualitarie.Per arrivare a tale scopo i paesi socialisti hanno rovesciato i rapporti di forza tra le classiinstaurando con la rivoluzione una provvisoria dittatura del proletariato, per consentirealla classe dei lavoratori di riappropriarsi del controllo sui mezzi di produzione ed eserci-tare il potere politico. Tale dittatura, però, non ha mai portato alla completa realizzazionedel progetto socialista ed è, pertanto, completamente fallita alla fine del XX secolo.

Nell’ottica marxista, dunque, la costituzione di uno Stato proletario do-veva rappresentare una fase puramente transitoria di dittatura dei verticidel partito, finalizzata al «passaggio finale» per la realizzazione del «pro-getto comunista».

La realtà dei fatti è stata, però, ben diversa: dopo la Rivoluzione russa del 1917 e la presadi potere da parte dei bolscevichi, con la Costituzione del 1918 la precedente Russia zarista futrasformata in RSFSR (Repubblica socialista federativa sovietica russa), e nel 1924 fu solenne-mente proclamata la nascita dell’URSS (Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche).

Tradendo l’ideologia originaria mirante alla realizzazione del progetto fi-nale egualitario e democratico, lo Stato socialista si trasformò in una struttu-ra stabile di potere perpetratasi per oltre settant’anni e, paradossalmente, inun regime totalitario in cui all’ideale di liberazione degli oppressi si sostituìuna ben più cruda realtà caratterizzata dall’accentramento del potere in manoai vertici del partito e dalla repressione di ogni forma di dissenso.

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21Introduzione storico-tematica

Tale modello organizzativo fu imposto anche agli Stati dell’Europa cen-tro-orientale e balcanica caduti sotto l’influenza dell’URSS (e per questodefiniti «Paesi satelliti»), che divennero vittime delle decisioni di Mosca.

Le caratteristiche che hanno accomunato i vari ordinamenti socialistipossono essere così sintetizzate:

— affermazione del principio di legalità socialista, secondo il quale era ne-cessario diffondere grandi testi legislativi ispirati ai modelli di civil law(in primo luogo Costituzioni e codici), al fine di tutelare i valori delloStato e del Popolo. Furono pertanto emanate Costituzioni scritte che però,a differenza dello Stato di diritto, costituivano solo dei testi programmati-ci, poiché individuavano gli obiettivi da conseguire nel processo di realiz-zazione del comunismo, e dunque flessibili, ovvero modificabili anche danorme ordinarie successive tese a difendere con tutti i mezzi la «provviso-ria» dittatura del proletariato e della classe politica dominante;

— dominio del partito comunista, la cui diretta conseguenza fu l’aboli-zione del pluripartitismo e, quindi, la cancellazione di una dialetticapolitica tra le forze. Solo in alcuni casi, per simulare un poco credibilepluralismo elettorale, fu consentita l’esistenza di partiti minoritari, ob-bligati, comunque, ad allinearsi a quello comunista ed al suo program-ma politico;

— presenza di un capo carismatico, solitamente impersonato dal Segreta-rio generale del Partito comunista (si pensi a Lenin e Stalin in URSS, aTito in Jugoslavia), capace di porsi demagogicamente in rapporto diret-to con le masse, grazie anche ad una costante e pressante propagandamediatica;

— organizzazione giudiziaria amministrata in parallelo da corti di giustiziaed organi di controllo popolari (i ccdd. «tribunali dei compagni»);

— uso discrezionale e non legale degli apparati di sicurezza e polizia(tra cui le «famigerate» polizie politiche dei Paesi dell’est);

— funzionalizzazione delle libertà fondamentali ai presunti interessi delsocialismo e loro progressiva restrizione. Pur formalmente riconosciutinel progetto comunista, diritti e libertà sono stati per decenni significa-tivamente compressi perché ritenuti minacciosi per la stabilità del regi-me.

Sul piano economico, la rivoluzione socialista ha proceduto a misure diespropriazione, nazionalizzazione e collettivizzazione allo scopo di abo-

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Capitolo Primo22

lire la proprietà privata dei mezzi di produzione ed affermare, invece, il cd.diritto di proprietà socialista: in base ad esso, lo Stato costituisce il legitti-mo detentore dei mezzi produttivi e li concede in uso ai lavoratori (o a coo-perative di lavoratori).

Per rendere efficiente la produzione, lo Stato è stato chiamato ad inter-venti di pianificazione e programmazione, concretizzatasi nell’elaborazio-ne di piani quinquennali (a loro volta suddivisi in piani annuali, territoriali,di settore, fino ad arrivare al piano specifico per la singola impresa). Laprevaricazione degli apparati burocratici del “partito” sul sistema ha poisoffocato l’iniziativa e la libertà dei cittadini, calpestando anche i diritti piùelementari e facendo così fallire, così come la dittatura del proletariato,anche l’ideale del progetto comunista.

G) Lo Stato autoritario

Per regimi autoritari si intendono quei sistemi che «privilegiano ilmomento del comando e sminuiscono in modo più o meno radicale quellodel consenso, concentrando il potere politico in un uomo o in un solo orga-no e svalutando gli istituti rappresentativi» (STOPPINO).

Tale definizione abbraccia una moltitudine di esperienze politiche svilup-patesi in varie parti del globo nel corso dei secoli: il dispotismo orientale, letirannidi greche, le monarchie assolute, lo Stato di polizia, fino ad arrivarealle forme di Stati autoritari contemporanei, come i paesi socialisti.

Di questi ultimi fanno essenzialmente parte:

— i regimi post-totalitari nati negli ordinamenti socialisti dopo il processo di destalinizza-zione;

— i regimi post-coloniali tipici dei Paesi in via di sviluppo;— i regimi burocratico-militari sorti nella Spagna di Primo de Rivera, nel Portogallo di Sala-

zar , nonché in Brasile ed Argentina in alcuni periodi della loro storia, caratterizzati da unascarsa partecipazione politica;

— i regimi fascisti, espressione con cui si è soliti accomunare il fascismo italiano, il franchi-smo spagnolo ed il nazionalsocialismo tedesco.

Come sostenuto dal politologo spagnolo LINZ, caratteristica comune ad ognuno di essi è ilfatto di essere «sistemi a pluralismo politico limitato, la cui classe politica non rendeconto del proprio operato, che non sono basati su un’ideologia guida articolata, ma sonocaratterizzati da mentalità specifiche, dove non esiste una mobilità politica capillare e suvasta scala, salvo in alcuni momenti del loro sviluppo, ed in cui un leader, o a volte unpiccolo gruppo, esercita il potere entro limiti mal definiti sul piano formale, ma in effettipiuttosto prevedibili».

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23Introduzione storico-tematica

Gli Stati autoritari fascisti, in particolare, si ispirano ai principi del-l’autorità e della gerarchia, in dispregio agli ideali di libertà ed eguaglian-za dei singoli.

Essi si rifanno al concetto di ordine e ad una visione della società fondata su una gerarchianaturale, che trova la sua giustificazione in Dio e nella tradizione.Il pensiero autoritario nasce, dunque, con una marcata tendenza conservatrice, in reazio-ne alla Rivoluzione francese prima (BURKE) e, successivamente, come risposta alla mo-dernizzazione, alla diffusione delle ideologie democratiche, ai processi di industrializza-zione.

L’ordinamento di tale forma di Stato è caratterizzato dall’assenza di unvero pluralismo politico, ossia dall’esistenza di un partito (unico o attor-niato da pochi ininfluenti partiti in posizione subordinata) che detiene ilmonopolio politico, il cui capo assume la guida dello Stato ed è consideratala figura carismatica (führer, duce, caudillo) del sistema.

Secondo una concezione pseudo-corporativista, che mira al supera-mento della lotta tra classi e dell’individualismo mediante l’adozione diproprie forme di solidarietà e cooperazione, le masse sono inquadrate inorganizzazioni funzionali all’ordine sociale (es.: ordinamento corporativo)e coinvolte nella diffusione dei valori del regime.

Sono, inoltre, presenti meccanismi di democrazia, come ad esempioquello elettorale, che, in presenza di un unico partito che controlla i canalidi informazione, sopprime l’opposizione ed è pronto a ricorrere anche aforme istituzionalizzate di violenza e terrore (si pensi allo «squadrismo fa-scista»), non possono che rivelarsi puramente formali.

Tale tipo di regime (al contrario di quello totalitario) non richiede sem-pre una mobilitazione permanente del popolo, a cui vengono semplicemen-te richiesti una partecipazione politica agnostica e, comunque, non è per-messa alcuna forma di dissenso.

La propaganda politica è segnata da un marcato nazionalismo, cui sto-ricamente si è affiancata spesso una politica estera che persegue obiettivi diespansione coloniale a sfondo marcatamente imperialista.

Il sistema economico, infine, pur dando spazio all’iniziativa privata efavorendo l’arricchimento della grande borghesia, è caratterizzato da formedi dirigismo statale che mirano a controllare i rapporti economico-sociali eridurne la conflittualità, nominando dall’alto i vertici corporativi e sindacali(es.: Camera dei fasci e delle Corporazioni).

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Capitolo Primo24

H) Lo Stato totalitario

La nozione di «totalitarismo» è utilizzata da alcuni studiosi al fine diaccomunare in una sola categoria residuale le forme più estreme e parti-colarmente esasperate di autoritarismo: vi rientrano la Germania nazi-sta, l’Unione sovietica ai tempi dello stalinismo, la Cina maoista e la Cam-bogia di Pol Pot.

Ne Le origini del totalitarismo (1951) Hannah Arendt pone sullo stesso piano nazismo estalinismo (intesi, rispettivamente, come totalitarismo di destra e di sinistra), e definisce iltotalitarismo come specifica forma di oppressione del XX secolo, mirante al controllodelle coscienze degli individui, oltre che alla dominazione fisica.

Lo Stato totalitario, in effetti, si distingue da quello autoritario solo intermini quantitativi, in quanto si fonda su una mobilitazione permanentedelle masse e prospetta una esclusiva ideologia ufficiale, imposta mediantel’uso massiccio della forza, supportata dall’appoggio costante e totalizzantedei mezzi di comunicazione e che non ammette nessuna forma di dissenso.

Per aversi «totalitarismo» appaiono, pertanto, indispensabili (VOLPI):

— la predisposizione di un partito unico;— una forma assillante di continua propaganda mediatica che condizio-

na la vita politica e sociale;— la presenza di un capo carismatico, verso cui si indirizzano forme ono-

rifiche estreme che possono giungere fino al culto della personalità;— un’efficiente struttura repressiva di carattere poliziesco;— la totale integrazione tra Stato e società, in virtù della quale le varie

forme di associazionismo (dal partito al sindacato) diventano strumentidello Stato che investono capillarmente tutti i momenti della vita sociale.

Si noti, infine, che alcune forme di autoritarismo caratterizzano la pri-ma fase di un regime antidemocratico, che degenerano successivamente informe totalitaristiche.

Cosa distingue un regime totalitario da uno autoritario?La differenza è prevalentemente quantitativa, in relazione alla maggiore pressione ideolo-gica e politica esercitata sui cittadini.La limitazione della libertà dei singoli è esercitata attraverso un sistema mediatico di pro-paganda asfissiante e totalizzante che coinvolge sia la dimensione pubblica che quellaprivata degli individui.

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Estratto della pubblicazione