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Storia delle istituzioni e delle idee politiche Corso di laurea in Filosofia, a.a. 2016-2017

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Storia delle istituzioni e delle idee politicheCorso di laurea in Filosofia, a.a. 2016-2017

Disobbedienza civileOtto e Novecento

Henry David ThoreauResistance to Civil Government (poiCivil disobedience), 1849

Contesto

Henry Thoreau (Concord - Mass., 1817-1862), filosofo e scrittore, nel 1846 rifiutò di pagare le tasse e fu brevemente incarcerato, perché dissentiva dalle scelte aggressive e schiaviste del governo degli Stati Uniti, impegnato in una guerra con il Messico (che avrebbe portato all’annessione del Nuovo Messico, della California e del Texas).

Nel 1848 tenne al Concord Lyceum una conferenza dal titolo Resistance to Civil Government, il cui testo fu pubblicato con lo stesso titolo nel 1849, e ripubblicato postumo con il titolo Civil Disobedience.

H. Thoreau, Disobbedienza civile

«Ma per parlare praticamente e da cittadini – a differenza di quelli che si definiscono anarchici, io non chiedo l’immediata abolizione del governo, bensì, e subito, un governo migliore. Che ognuno faccia sapere quale tipo di governo ispirerebbe il suo rispetto e sarà il primo passo per ottenerlo.

«In fondo, la ragione pratica per cui, una volta che il governo è nelle mani del popolo, si permette che una maggioranza continui a reggere lo Stato per un lungo periodo di tempo, dipende non già dalla probabilità che la maggioranza abbia ragione, o che la cosa sembri giusta alla minoranza, ma dal fatto che la maggioranza è materialmente più forte. E però, un governo dove la maggioranza governa su ogni questione non può essere basato sulla giustizia – anche ad accettare il termine nel nostro senso umano. Non potrebbe esservi, invece, un governo nel quale a decidere praticamente su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto non fosse la maggioranza ma la coscienza? Un governo dove la maggioranza decidesse solo su questioni alle quali è applicabile la regola dell’opportunità? Deve sempre il cittadino – seppure per un istante e in minimo grado – abbandonare la propria coscienza nelle mani del legislatore? E allora perché ha una coscienza? Penso che dovremmo essere uomini prima che sudditi. Non è da augurarsi che l’uomo coltivi il rispetto per le leggi ma piuttosto che rispetti ciò che è giusto».

Trad.it. RCS – Corriere della Sera, Milano 2010, p.17-18

«La legge non riuscì mai a rendere gli uomini più giusti neppure di tanto; anzi, proprio per il rispetto che portano alla legge, persino uomini di buoni principi si trasformano, quotidianamente, in agenti di ingiustizia.

« […] E’ così che la massa degli uomini serve lo Stato, non come uomini coraggiosi ma come macchine, con il loro corpo. Sono l’esercito permanente, la milizia volontaria, i secondini, i poliziotti, il posse comitatus [gruppo di volontari organizzati per la cattura di fuorilegge] ecc. Nella maggioranza dei casi non c’è nessun libero esercizio del giudizio e del senso morale, sono al livello del legno, della terra, delle pietre […] Altri – come la maggioranza dei legislatori, dei politicanti, degli avvocati, dei preti e dei tenutari di cariche –servono lo Stato soprattutto in base a ragionamenti astratti; e poiché fanno assai di rado distinzioni morali, hanno la stessa probabilità di servire Dio che, senza volerlo, di servire il diavolo. Pochissimi – gli eroi, i patrioti, i martiri, i riformatori in senso ampio e gli uomini – servono lo Stato anche con la loro coscienza: e così, nella maggior parte e di necessità, si oppongono al governo che di solito li considera nemici».

« […] Neppure un istante posso riconoscere, come mio governo, quell’organizzazione politica che è un governo schiavista.

«Tutti riconoscono che esiste un diritto alla rivoluzione – il diritto di rifiutare obbedienza o di opporsi a un governo la cui inefficienza o tirannia siano grandi e insopportabili.

« […] In altre parole, quando un sesto della popolazione di uno Stato, che s’è impegnato a essere il rifugio della libertà, è formato da schiavi, e tutto il Paese è ingiustamente percorso e conquistato da un esercito straniero e sottomesso alla legge marziale, penso che una ribellione degli onesti non sarebbe affatto prematura, Ciò che rende questo dovere estremamente pressante è che il Paese percorso da orde straniere non è il nostro, ma che nostro è l’esercito invasore».

Ivi, p. 20-21

«Si vota, forse, come si pensa sia giusto; ma non si è vitalmente interessati a che il giusto prevalga. Siamo disposti a lasciarlo alla maggioranza. Il dovere di voto, pertanto, non supera mai il dovere di compiere ciò che è conveniente. Persino votare per ciò che è giusto è come non fare nulla per esso: significa soltanto esprimere debolmente il desiderio che ciò che è giusto prevalga. Un uomo saggio non lascia il giusto alla mercé del caso né desidera che esso si affermi attraverso il potere della maggioranza. C’è pochissima VIRTU’ nell’azione di masse di uomini».

Ivi, p. 24-25

«L’azione condotta in base a un principio, cioè la percezione e l’attuazione d’un diritto, muta le cose e i rapporti, è un fatto essenzialmente rivoluzionario, non armonizza completamente con nulla di ciò che pre-esisteva. […]

«Le leggi ingiuste esistono: saremo felici di obbedirvi? Tenteremo di emendarle però osservandole fintantoché non avremo avuto successo? E se le trasgredissimo subito, all’improvviso? In un governo come il nostro l’opinione corrente è che, per emendarle, si deve attendere il momento in cui avremo persuaso la maggioranza a farlo; e che opporsi a quelle leggi sarebbe un rimedio peggiore del male. Ma colpa è del governo se il rimedio è in effetti peggiore del male. E’ il governo che lo rende tale. Perché non è più pronto a prevenire questa situazione mettendo in atto delle riforme? Perché non protegge la sua saggia minoranza? Perché grida e si oppone ancora prima d’essere stato ferito? Non dovrebbe incoraggiare i cittadini a star pronti a indicargli i suoi errori, a fare meglio di quanto vorrebbe facessero, invece di seguitare a crocifiggere Cristo, scomunicare Copernico e Lutero, dichiarare ribelli Washington e Franklin?

«Si direbbe che un pratico e deliberato diniego della sua autoritàsia la sola offesa che il governo non ha mai contemplato; altrimenti perché mai non avrebbe stabilito nessuna definita e proporzionata punizione a questo misfatto?»

[Ivi, p. 29]

«Venni al mondo non principalmente per trasformarlo in un luogo buono dove vivere ma per vivervi, buono o cattivo che fosse. Un uomo non deve fare tutto, ma qualche cosa; e poiché tutto non lo può fare, non è necessario che faccia qualcosa di sbagliato. Non è affar mio presentare petizioni al Governatore o alla Legislatura non più di quanto non è affar loro presentare delle petizioni a me. Se non prestassero ascolto alla mia petizione che dovrei fare? Ma in questo caso lo Stato non ha provveduto ad alcuna soluzione e allora il male sta proprio nella Costituzione […]

«Non esito a dire che coloro che si autodefiniscono Abolizionisti dovrebbero subito, effettivamente, rifiutare il loro appoggio al governo del Massachussettsinvece di attendere il momento in cui avranno costituito una maggioranza di uno per far valere ciò che è giusto, Penso che dovrebbe bastargli la certezza d’avere Dio dalla loro parte e che non occorre aspettare nessun altro appoggio».

[ivi, p. 31]

«Una MINORANZA che si conformi alla maggioranza è senza forza, non è neppure più una minoranza; ma diventa irresistibile quando si oppone con tutto il suo peso, Se la scelta è tra tenere in galera tutti gli uomini giusti e rinunciare alla guerra e alla schiavitù, lo Stato non avrà esitazioni, Se quest’anno un migliaio di persone non pagassero le tasse non si tratterebbe di un’azione violenta o sanguinosa come sarebbe invece pagarle e così permettere allo Stato di commettere violenze e versare sangue innocente.

«Se una rivoluzione pacifica è possibile, questa lo è. Quando l’esattore mi chiede, come mi ha chiesto, ‘E allora io che devo fare?’, la mia risposta è: ‘Dà le dimissioni

dall’incarico’. Basta che il cittadino rifiuti ogni alleanza allo Stato, e che l’esattore rinunci al suo incarico, perché si realizzi la rivoluzione».

[ivi, p. 34-35]

«Non mi sono rifiutato di pagare l’imposta per la manutenzione delle strade statali poiché desidero essere un buon vicino tanto quanto desidero essere un cattivo suddito; e per ciò che riguarda sostenere le scuole, sto facendo la mia parte a educare i miei concittadini. Non perché io obbietti a qualche particolare voce nella cartella delle ‘imposte’ che mi rifiuto di pagare; è semplicemente perché desidero rifiutare obbedienza allo Stato, e ritirarmi e starne discosto effettivamente».

[Ivi, p. 43]

«Sulla mia persona e proprietà il governo ha i diritti che gli concedo e nulla più. L’evoluzione da monarchia assoluta a monarchia costituzionale, e dalla monarchia costituzionale a democrazia, è verso il rispetto dell’individuo. Persino il filosofo cinese [Confucio] era tanto saggio da considerare l’individuo come base dell’impero. E’ da chiedersi: la democrazia come noi la conosciamo è realmente la forma di governo più progredita possibile? E’ forse impossibile fare un passo più avanti, verso il riconoscimento e l’organizzazione dei diritti dell’uomo? Non ci sarà uno Stato veramente libero e illuminato finché lo Stato stesso non riconoscerà l’individuo come una forza più alta e indipendente, dalla quale la forza e l’autorità di esso Stato derivano, e non giungerà a trattarlo di conseguenza. Mi piace immaginare che un giorno ci sarà uno Stato che potrà permettersi d’essere giusto verso tutti gli uomini e tratterà gli individui con lo stesso rispetto con cui si tratta un vicino; uno Stato che addirittura non penserà che sia pericoloso per la sua quiete che alcuni individui vivano per proprio loro conto, senza alcun rapporto o commercio con esso – individui che abbiano compiuto tutti i loro doveri di vicini e di esseri umani».

[ivi, p. 51-52]

Hannah ArendtLa disobbedienza civile, 1970

Le origini del totalitarismo

• 1951

The human condition (Vita activa)

• 1958

La banalità del male

• 1963

Hanna Arendt,

La disobbedienza civile (1970)

in P.P. Portinaro (a cura di), Stato, Laterza 2004, p. 157-169

Cenni esplicativi

Questo saggio si iscrive nel discorso di Arendt sulla riappropriazione della politica

da parte dei cittadini.

Arendt distingue fra la crescente illegalità che pervade la società americana, cui fa

riscontro una crescente impunità, cioè l’incapacità dei poteri pubblici di applicare e

di far rispettare le leggi, dalla disobbedienza civile.

Quest’ultima consiste in una deliberata, programmatica violazione di norme

considerate ingiuste o incostituzionali, da parte di cittadini che sopportano poi le

sanzioni previste. Essa è praticata per fini politici; è uno strumento della minoranza

per denunciare leggi adottate dalla maggioranza ritenute inique e lesive dei diritti

fondamentali.

Arendt vede nella disobbedienza civile l’agire di gruppi di pressione, di forme associative volontarie

tipiche della società americana e ampiamente elogiate da Tocqueville come antidoto al dispotismo della

maggioranza e strumenti capaci di riequilibrare il funzionamento della democrazia americana.

Anzi, secondo A. la disobbedienza civile dovrebbe avere un ruolo istituzionale. Una sorta di versione

laica del judicial review, il sindacato diffuso delle leggi vigente nei paesi di common law. Secondo lei

dovrebbe essere riconosciuto dalla costituzione.

Si inserisce in un ridimensionamento del ruolo della sovranità e in una concezione della democrazia che

intende garantire equilibri e minoranze.

A. tuttavia sostiene che rispetto all’ottocento tocquevilliano, nella società di massa lo spirito di

associazione si è stemperato. Ciononostante l’associazionismo resta per gli americani “l’unico mezzo

che hanno per agire”.

A. mette infine in guardia contro la contaminazione ideologica di queste lotte, dei movimenti. Secondo

lei le ideologie dividono e dissolvono il movimento.

On revolution1963

Sollecitazione

Pubblicazione del primo volume di

• Robert Palmer, The Age of the Democratic Revolution: A Political History of Europe and America, 1760–1800 (1959-1964)

trad.it. L’era delle rivoluzioni democratiche

Rosa Luxemburg

Rosa Luxemburg

La rivoluzione russa. Un esame critico (1918)

•«… lo scopo della rivoluzione era ed è sempre stato, la libertà»

• [Introduzione, edizione Einaudi 2006, p. 3]

Temi

• Guerra e rivoluzione

• Significato del lemma

• La felicità

• La libertà

• Un nuovo ordine

• La tradizione rivoluzionaria e il tesoro perduto

Rivoluzione = guerra, violenza?

• Tendenza a considerare la rivoluzione come guerra

• Arendt: due concetti da non confondere

• La rivoluzione non va identificata con la violenza, anche se può essere violenta

• Intento: esplorare il concetto di rivoluzione

•«Proprio perché la violenza ha un ruolo predominante nelle guerre e nelle rivoluzioni, entrambe vengono a trovarsi al di fuori del campo politico in senso stretto» (p. 12)

• «Il suo vero significato [dello stato di natura] sta anche oggi nel riconoscimento che un organismo politico non si produce automaticamente là dove un certo numero di individui vivono insieme, e che esistono eventi i quali, pur verificandosi in un contesto strettamente storico, non sono realmente politici e forse non sono neppure connessi con la politica […]

• «L’ipotesi dello stato di natura implica infatti l’esistenza di un COMINCIAMENTO che è separato da tutti gli sviluppi successivi da una frattura invalicabile» (13)

Storia del lemma

• Rivoluzione = mutamento

• Rivoluzione = moto circolare = ritorno a una condizione preesistente

• La rivoluzione inglese fa ancora riferimento a questo significato di ripristino di un ordine perduto

• Con la rivoluzione americana emerge un nuovo significato

•«Le rivoluzioni sono gli unici eventi politici che ci pongono direttamente e inevitabilmente di fronte al problema di un nuovo inizio» [cap. I, p. 16]

La Rivoluzione americana

I «Padri fondatori» manifestarono la consapevolezza di costruire un nuovo ordine politico

Da allora il significato del termine rivoluzione cambia e diventa:

- sostituire il vecchio ordine politico con uno nuovo

- Per Arendt è questa la rivoluzione esemplare

Ricerca della felicità

La ricerca della felicità non deve appannare

la NATURA POLITICA DELLA RIVOLUZIONE

Questione sociale?

• L’irrompere della questione sociale trasforma la rivoluzione e la fa deviare su una strada non proficua e violenta, conduce all’instaurazione del terrore

• La questione sociale in rivoluzione dà potere ai ‘tribuni’ che guidano le masse

• La forza delle masse arrabbiate diventa irresistibile e genera violenza

• In un sistema la libertà è protetta se potere politico e potere economico sono distinti

In questo Arendt dissente da Robespierre e da Marx

• «L’America era divenuta il simbolo di una società senza povertà molto prima che l’età moderna nel suo sviluppo tecnologico senza precedenti avesse realmente scoperto i mezzi per abolire quell’abietta miseria fatta di fame che era stata sempre considerata necessaria ed eterna. E solo dopo che questo fosse avvenuto, e dopo che l’umanità europea ne avesse preso coscienza, la QUESTIONE SOCIALE e la RIBELLIONE DEI POVERI sarebbero riuscite a svolgere un ruolo veramente rivoluzionario. L’ANTICO CICLO DEI SEMPITERNI RICORSI si era basato su una presunta distinzione ‘naturale’ fra ricchi e poveri; l’esistenza reale e concreta della società americana prima dello scoppio della rivoluzione aveva spezzato quel ciclo una volta per tutte».

• (p. 18)

• «E non la rivoluzione americana e la sua aspirazione a fondare uno stato nuovo, una nuova forma di governo, bensì l’America, il ‘nuovo continente’, e l’americano, ‘l’uomo nuovo’, ‘l’amabile eguaglianza’, per dirla con le parole di Jefferson, ‘che i poveri godono allo stesso modo dei ricchi’, rivoluzionarono lo spirito degli uomini, dapprima in Europa e poi in tutto il mondo – e in misura tale che dalle ultime fasi della rivoluzione francese fino alle rivoluzioni del nostor tempo parve ai rivoluzionari più importante cambiare la struttura della società, come era stata cambiata in America prima ancora della rivoluzione, che non cambiare la struttura delle istituzioni politiche».

• (p. 20)

• Il cristianesimo ha cambiato il modo di concepire il tempo, da ciclico a lineare

• La rivoluzione presuppone un tempo lineare

• Il NUOVO INIZIO è possibile soltanto in questa prospettiva

• (22)

• «Il concetto moderno di rivoluzione, inestricabilmente connesso con l’idea che il corso della storia ricominci improvvisamente dal principio, che stia per svolgersi una storia interamente nuova, una storia mai vissuta né narrata finora, era sconosciuto prima delle due grandi rivoluzioni della fine del diciottesimo secolo» (24)

• Quando le rivoluzioni presero l’avvio, ciò fu chiaro ai protagonisti

• «Quanto alla trama, si trattava inequivocabilmente del sorgere della LIBERTA’».

• La rivoluzione ha come scopo sia la liberazione, sia la libertà.

• Per liberazione si intende la fine dell’oppressione, per libertà si intende la libertà politica

• Non basta la conquista dei diritti civili per la libertà politica.

• «Mentre il primo, il desiderio di essere liberi dall’oppressione, si poteva anche appagare sotto un governo monarchico – non però sotto un governo tirannico, per non dire dispotico – il secondo richiedeva l’istituzione della REPUBBLICA» (29)

• Gli americani non solo sentono il bisogno della liberazione dal dispotismo, ma avvertono anche il fascino della libertà politica.

• Agendo per la liberazione essi iniziano a sperimentare la libertà politica.

«Infatti gli atti e i gesti che la liberazione esigeva da loro, li spingevano nella vita pubblica, dove, intenzionalmente o più spesso inaspettatamente, cominciavano a costruire quello spazio del fenomenico in cui la libertà può dispiegare il suo fascino e divenire una realtà visibile e tangibile».

(30)

• Esperienza del piacere della libertà politica.

• «Quale che fosse il valore della rivendicazione iniziale della rivoluzione americana – niente tassazione senza essere rappresentati – non poteva certamente attirare solo in virtù del suo fascino. Invece ben diversamente stavano le cose per quel che riguardava il parlare e il decidere, l’oratoria e gli affari, il pensare e il persuadere, e l’azione pratica che risultò necessaria per portare questa rivendicazione alla sua conclusione logica: GOVERNO INDIPENDENTE e FONDAZIONE DI UN NUOVO ORGANISMO POLITICO» 30

•«Quello che le rivoluzioni fecero emergere era questa esperienza di essere liberi» 30

• «Tutti questi fenomeni [colpi di stato, rivoluzioni di palazzo ecc]hanno in comune con la rivoluzione il fatto che si compiono in modo violento: è questa la ragione per cui sono così frequentemente identificati con essa.

• «Ma per descrivere il fenomeno della rivoluzione, la violenza come criterio è tanto poco adeguata quanto il cambiamento; solo quando il cambiamento avviene nel senso di un INIZIO NUOVO, quando la violenza è impiegata per COSTITUIRE UNA FORMA DI GOVERNO DEL TUTTO DIVERSA, per realizzare una nuova struttura statuale, insomma QUANDO LA LIBERAZIONE DALL’OPPRESSIONE MIRA ALMENO ALL’INSTAURAZIONE DELLA LIBERTA’ possiamo parlare di rivoluzione […]

• 32

•«Lo spirito rivoluzionario di questi ultimi secoli, ossia l’aspirazione a liberarsi e a COSTRUIRE UNA DIMORA NUOVA DOVE LA LIBERTÀ POSSA ABITARE, è senza precedenti e senza eguali in tutta la storia del passato» (32)

La necessità?

• Il processo rivoluzionario non deve essere considerato necessario, ineluttabile, come invece si è fatto (Saint Just, Tocqueville, Proudhon, Hegel, Trockij)

• La rivoluzione non deve essere un destino, né dare origine a una filosofia della storia

Bandire la categoria di necessità dal discorso della/sulla rivoluzione

Costituire la libertà

• La ‘vera’ rivoluzione instaura la libertà

• La LIBERTA’ deve essere il fine della rivoluzione

• Per questo essa produce

una costituzione

un governo democratico

COME GARANZIE DI LIBERTA’

Libertà politica = partecipazione agli affari pubblici

• I francesi ne avevano amato l’idea

• Gli americani ne avevano fatto esperienza

Un nuovo ordine

• L’ordine politico creato dalla rivoluzione deve essere

democratico-partecipativo

Rivoluzione francese e russa

• Entrambe secondo A. sono rivoluzioni fallite, perché non hanno prodotto libertà e partecipazione politica

ma

• Regimi dittatoriali, fondati sul terrore, sul potere della burocrazia di partito, nel caso della russa totalitari

Predeterminazione

• Una rivoluzione è predeterminata dal carattere dell’ordine che la precede

Gli americani si ribellano contro una monarchia costituzionale

Un assoluto fondante

• Per gli americani è la Costituzione

• Per i francesi è la Volontà generale

• Per i russi la dittatura del proletariato

Il Senato

• Organo che impersona l’opinione

Bibliografia

• Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, introduzione di R. Zorzi, Einaudi 2009