Storia delle idee d’Europa -...

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Appunti di Alberto Presti VIVERE SCIENZE POLITICHE Storia delle idee d’Europa Supporto appunti viverescienzepolitiche.it Vivere Scienze Politiche

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Appunti di Alberto Presti

VIVERE SCIENZE POLITICHE

Storia delle idee d’Europa

Supporto appunti

viverescienzepolitiche.it Vivere Scienze Politiche

1. La polis

2. Erodoto

3. Tucidide

4. Platone

5. Aristotele

6. Ellenismo

7. Epicuro

8. Stoicismo

9. Cicerone

10. Cristianesimo

11. Medioevo

12. Sant’Agostino

13. Idea d’Europa nell’età me-

dievale

14. Gregorio VII

VIVERE SCIENZE POLIT ICHE

Indice

Supporto appunti

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tolineare che gli appunti non sempre sono sufficienti per superare gli esami con profitto, quindi si

consiglia agli studenti che usufruiscono di questo servizio di integrarli con i testi indicati nelle schede di

trasparenza.

15. San Tommaso d’Aquino

16. Europa tra XIII e XIV secolo

17. Lo stato moderno

18. Niccolò Macchiavelli

19. Jean Bodin

20. La ragion di Stato

21. Tommaso Campanella

22. Giambattista Vico

23. Thomas Hobbes

24. John Locke

25. Illuminismo

26. Montesquieu

27. Jean-Jacques Rousseau

28. La Rivoluzione Americana

29. Immanuel Kant

30. George F. Hegel

31. Socialismo Utopistico

32. Karl Marx

33. Alexis de Tocqueville

34. Giuseppe Mazzini

35. Carlo Cattaneo

36. Costruzione europea

Alberto Presti

La Polis

Con il termine polis si indica una città stato tipica del mondo greco. Per l’uomo greco avere lo status

di cittadinanza significava partecipare attivamente alla vita politica, di conseguenza la polis

rappresentava il pensiero principale dell’uomo, a contrapporsi però a questa idea greca vi è il

cristianesimo, che sarà un evento rivoluzionario nell’ambito politico poiché sposta l’attenzione dallo

stato all’uomo.

In questo periodo nascono le prime contrapposizioni tra Europa e non Europa (asia). Dalle guerre

persiane del 499 – 479 a.c. fino all’impero di Alessandro Magno si forma un’idea d’Europa che

differisce dall’Asia sia per la rappresentazione della libertà che dall’organizzazione politica, infatti

l’organizzazione asiatica era caratterizzata dal dispotismo (forma di governo dove il potere viene

eseguito da una sola persona, esercitato senza alcun rispetto della legge). La città stato quindi è frutto

di un lungo processo che si concretizza nell’ VIII secolo a.c.

La monarchia patriarcale - formata da re, consiglio dei maggiorenti e assemblea dei cittadini – perde

progressivamente il suo potere a profitto dell’aristocrazia; il re si trasforma in una figura sacerdotale,

ovvero colui che salvaguarda i costumi e la religione occupandosi dei delitti che riguardano l’empietà

e l’ateismo. L’organizzazione ateniese viene modificata:

▪ Arconte polemarco (capo militare)

▪ Arconte eponimio (custode delle famiglie)

▪ Arconte re (gran sacerdote)

▪ 6 Arconti Tesmoteti (custodi della legge, fanno osservare la legge e istruiscono le cause pubbliche

e private)

▪ Bulé (arconti che hanno terminato la loro carica. I buleuti restano in carica a vita, sorvegliano i

magistrati e proteggono la costituzione sociale e politica)

Le cariche venivano attribuite o per sorteggio o per acclamazione.

Nel 380 a.c. Xenofonte scrive la Costituzione dei Lacedemoni. In questo periodo Atene è la polis più

popolata e importante, Sparta invece inizialmente era la polis più spopolata e meno importante ma a

poco a poco acquista la sua importanza, per questo Xenofonte si chiede come quest’ultima si possa

essere trasformata in una delle polis più importanti. Egli attribuisce la forza di Sparta alla sua forma

di governo. È un modello misto, ovvero una forma di governo che riesce a mescolare componenti

monarchiche, aristocratiche e democratiche.

Erodoto

Erodoto, storico greco, fu il primo che fece una classificazione del governo, egli identifica le tre forme

di governo migliori e le tre forme di governo peggiori.

▪ Democrazia (potere di una moltitudine) che si contrappone alla Demagogia

▪ Aristocrazia (potere dei pochi migliori) che si contrappone all’Oligarchia (pochi peggiori)

▪ Monarchia (potere di uno solo) che si contrappone alla Tirannide

Erodoto vive nel V secolo a.c. e in un dialogo da lui scritto intitolato Storie, egli spiega la

suddivisione delle tre forme di governo. I protagonisti sono Otane che rappresenta la monarchia,

Megabizo che rappresenta l’aristocrazia e Dario che rappresenta la monarchia; ognuno critica la scelta

dell’altro poiché ciascuno si rende conto che le forme di governo possono scivolare nel loro opposto

arrivando ad una degenerazione di ogni forma di governo. In realtà la parola democrazia non compare

nel dialogo bensì compare Isonomia ovvero uguaglianza davanti la legge.

Alberto Presti

L’organizzazione spartana prende il nome di Stato Oplitico. Al vertice vi erano due Re - siamo in

presenza di una diarchia – che hanno uguali diritti, in tempo di pace erano giudici dei problemi

familiari e religiosi, in guerra invece erano capi dell’esercito, uno partiva in guerra e l’altro restava

per gestire la polis. In seguito vi erano 5 efori ovvero dei magistrati che controllavano l’operato dei

re, essi duravano in carica solo un anno e la loro carica non era rieleggibile. Vi era anche la Gerusia

ovvero un senato composto a 28 membri eletti a vita e i due re, e infine l’Ecclesia, ovvero l’assemblea

popolare.

Tucidide

Tucidide, storico greco, rifiuta una rappresentazione mitologica della realtà. L’opera più importante

è La Guerra del Peloponneso, utilizza questo titolo perché l’oggetto dello scritto era proprio la

guerra del Peloponneso. Tucidide esamina questa battaglia cercando di dare un’indicazione ben

precisa per permettere al lettore una conoscenza autentica della guerra.

All’interno di questo scritto ritroviamo l’Encomio di Pericle. In questa parte Tucidide esalta Pericle

per aver contribuito nella riforma della mistoforia, ovvero le cariche politiche venivano retribuite per

la prima volta. Secondo Tucidide, Pericle rappresentava la monocrazia democratica, ovvero una

forma di governo che si basava sul consenso del demos (moltitudine). In particolare è l’apparente

consenso del popolo che permette il governo di un solo cittadino, il più degno.

Platone e Aristotele criticarono Pericle. Il primo sosteneva che la mistoforia era la causa che favorì

la corruzione. Tucidide era un sofista per questo egli sosteneva che le cose che appaiono a me non

appaiono agli altri individui, cosa che Socrate contesterà. Nell’opera tucididea vi è traccia di questo

pensiero, non usa elementi irrazionali o fantastici, ritiene che bisogna conoscere il fatto. Se egli non

è in grado di conoscere il fatto, propone al lettore due vie opposte in modo che quest’ultimo possa

farsi una propria idea, quindi una verità relativa.

Platone

Platone, filosofo greco, scrive due opere importantissimi, La Repubblica e il dialogo Le Leggi. Egli

appartiene ad una famiglia aristocratica, frequenta la scuola di Socrate, poiché vede lo sbocco alla

vita politica come una cosa naturale vista la sua provenienza. L’uccisione di Socrate (fu condannato

a morte e costretto a bere la cicuta – visto che era un uomo importante gli fu concesso un trattamento

rispettoso) fu molto significativa per Platone. Accusato di empietà e condannato a morte, i suoi

discepoli gli proposero la fuga ma egli rifiutò poiché sarebbe stata la negazione dei principi da lui

insegnati ovvero l’obbedienza alle leggi; era l’uomo giusto per eccellenza. Sempre secondo Socrate

la verità è una continua ricerca e per questo non può essere rinchiusa in un libro, infatti il teatro era

l’enciclopedia del tempo poiché l’oralità era fondamentale.

Platone cerca di edificare uno stato giusto e ideale per un uomo giusto come Socrate. Questo

idealismo platonico noi lo consideriamo utopico, ma per egli non era così. Il progetto platonico si

fonda sul legame tra filosofia e politica. Nella VII lettera (dialogo sulla giustizia) del suo epistolario,

spiega il perché si sia interessato alla politica e quale soluzione ha voluto indicare alla crisi che

logorava la polis del tempo. Una soluzione era quella che o i filosofi dovevano mettersi a governare

o i governanti dovevano mettersi a filosofare. Per Platone la repubblica ideale aveva ai vertici i filosofi

Alberto Presti

(se loro reggevano il potere la legge scritta risultava superflua perché l’uomo saggio garantisce

autentica giustizia).

Giustizia per Tucidide era il più forte che sovrastava il più debole. Per Platone invece la giustizia si

realizza nello stato quando qualcuno si colloca nella mansione per cui è portato naturalmente senza

attribuire mansioni diverse a chi ha già delle mansioni specifiche altrimenti si crea squilibrio.

L’iperuranio

Socrate rifiuta la percezione soggettiva della verità, del bene e della giustizia ma ne sostiene

l’universalità. Platone parte da questo concetto , lo supera e si sofferma sul valore dell’universalità

della conoscenza. Per egli la conoscenza risiede nel mondo delle idee astratte, l’iperuranio. E’ una

regione metaforica non spaziale. Qui si trovano tutte le idee che sono collocate in gerarchie, nel livello

più basso ritroviamo le idee infime mentre al vertice ritroviamo le idee perfette come il bene/bello.

Il bene da valore a tutto ciò che noi consideriamo valore, se l’onestà e il coraggio sono considerati

dei valori, è perché vengono avvalorati dall’idea verticistica del bello,fonte di tutti i valori. Supera

dunque la conoscenza tipica dei sofisti spingendosi su una concezione universale e dualistica della

conoscenza. Egli suddivide la conoscenza in conoscenza sensibile, fatta di doxa (opinione) che

appartiene al mondo sensibile o fenomenico e in conoscenza perfetta che risiede nel mondo della

perfezione, l’iperuranio.

Ciascun uomo non acquisisce conoscenza tramite l’esperienza ma tramite un processo innatistico

(idee innate), e attraverso un processo reminiscente (ricordo) esse fuoriescono, ma non sono altro

che copie delle idee; ricordando l’uomo riconosce -> anamnesi.

Lo stato viene descritto come paradigma (modello ideale) e l’uomo deve avvicinarsi il più possibile,

è una ricerca della più perfetta forma di governo.

I miti

Il mito della caverna spiega il ruolo dei filosofi e la concezione dualistica e cosmologica. Paragona

il mondo fenomenico a degli esseri che sono incatenati nella caverna e costretti a vedere il fondo di

quest’ultima (le catene rappresentano l’ignoranza degli individui). Essi scambiano le ombre che si

riflettono nelle pareti come la verità. Il filosofo è colui che si scatena e fuoriesce dalla caverna (le

ombre rappresentano il mondo sensibile, mentre gli uomini dietro il muro rappresentano il mondo

delle idee) ma rientra per aiutare gli altri individui a capire e scoprire la verità.

Nella Repubblica, Platone descrive lo stato ideale dove la saggezza è al potere, per spiegare

l’organicità dello stato egli procede con un parallelismo tra microcosmo uomo e macrocosmo stato.

Nel Microcosmo uomo, l’anima è tripartita. L’anima razionale rappresenta la saggezza, l’anima

irascibile rappresenta il coraggio e l’anima concupiscibile rappresenta la temperanza.

Nel mito della biga alata egli spiega che l’auriga che rappresenta l’anima razionale è la guida che

controlla il cavallo nero (coraggio) e il cavallo bianco (temperanza). Un uomo è giusto se il governo

delle sue azioni è in mano all’anima razionale che tiene a bada le altre due.

Nel Macrocosmo stato egli si sofferma sulle tre classi dello stato ideale alle quali attribuisce la

tripartizione dell’anima. L’anima razionale appartiene al filosofo, la classe politica plasmata d’oro.

L’anima irascibile appartiene ai guerrieri, incaricati solamente della difesa e non dell’attacco, è la

classe plasmata d’argento. L’anima concupiscibile appartiene ai lavoratori, incaricati di mantenere il

sostentamento delle due altri classi sociali, è una classe forgiata di bronzo e ferro.

Se il modello di questo stato sarà utilizzato, si affermerà la giustizia.

Alberto Presti

Nella VII lettera del suo epistolario egli sostiene la teatrocrazia ovvero che la crisi ateniese si è

trasformata in una rappresentazione disgustosa dei valori e la politica si è adeguata a questo. Solo lo

stretto connubio tra filosofia e politica può salvare Atene dalla crisi. Lo scopo fondamentale è donare

giustizia.

Comunismo platonico

Platone ritiene che il governo non debba avere “conflitti d’interesse”, quindi deve essere privato di

beni propri, questo è il comunismo platonico. Cerca quindi di eliminare le cause degli squilibri e

conflitti sociali, l’eliminazione della troppa ricchezza e della troppa povertà dona pace e serenità allo

stato. Chi governa ed è in possesso di beni tende ad anteporre questi al suo lavoro, oppure utilizza il

proprio potere per fare i propri interessi. E’ di estrema importanza per la polis l’eliminazione della

proprietà privata e della famiglia per i governanti poiché si devono completamente dedicare alla polis.

Non è però vietato ai politici di avere dei figli, ma questi ultimi verranno educati in orfanotrofi di

stato. Il compito dei lavoratori quindi è quello di garantire dei mezzi di sussistenza per i guerrieri e

per i filosofi che mangeranno in delle mense collettive. Platone considera la donna più o meno uguale

all’uomo e per questo la donna può accedere agli stessi studi dell’uomo.

La Repubblica

Per Platone la forma di governo perfetta è l’aristocrazia o la monarchia. Quando i filosofi

incominceranno ad avere beni propri subentrerà la corruzione quindi il governo che si istaurerà sarà

una timocrazia gestita dai guerrieri. La timocrazia è la prima delle forme reali,meno perfetta rispetto

alla monarchia o aristocrazia, ma meno corrotta rispetto a quelle che la succedono. Quando subentra

l’ambizione sfrenata, il potere passa alla terza classe, i lavoratori più ricchi, quindi si istaura

un’oligarchia, il loro principio è la prosperità collettiva che sfocerà però in ingordigia e avarizia, in

questo modo il governo passa ai poveri, quindi si istaura la democrazia. Quest’ultima per Platone è

la peggiore delle forme rette e la migliore tra le degenerate. Il principio dei poveri è la libertà che

però sfocerà in licenza e dunque il governo si trasformerà in tirannide, la peggiore forma di governo.

Platone era antidemocratico poiché non credeva che il popolo potesse autogovernarsi poiché il loro

potere degenera in un abuso di libertà. Con questo termina il dialogo La Repubblica.

I dialoghi

Nel dialogo Il Politico Platone sostiene che l’uomo politico deve destreggiarsi nell’arte regia. Il vero

uomo politico è colui che ha il senso della misura, nella sua gestione deve evitare l’eccesso e il difetto.

Nel dialogo Le Leggi Socrate è assente. Questo dialogo dimostra come la scuola di Platone abbia

approfondito e esaminato le costituzioni vigenti e aveva cercato di delineare un prototipo di stato che

prendesse le cose buone dalle diverse costituzioni. I primi 6 capitoli esaminano le costituzioni, per

esempio quella di creta. Gli altri 6 capitoli esaminano lo stato ideale dove applicare la costituzione.

Qui Platone capisce che bisogna ripristinare la proprietà privata, la famiglia e le leggi scritte, compito

di 37 cittadini diventerà custodire la legge.

Ai tempi di Platone l’ateismo era considerata una malattia da curare. Un consiglio notturno incontrava

l’ateo di notte per convincerlo a comprendere come la sua visione atea della vita deve essere superata.

Se dopo 5 anni l’ateo non si era ricreduto egli poteva essere ucciso.

Alberto Presti

Aristotele

Le opere essoteriche ovvero quelle destinate al pubblico sono state perdute, mentre le opere esoteriche

ovvero quelle destinate agli allievi sono pervenute. Secondo Aristotele l’Europa non coincide

geograficamente e politicamente. Per Isocrate l’Europa coincide con la Grecia, per Ippocrate l’Europa

coincide con la Sciizia (Kazakistan, ucraina) mentre per Aristotele l’Europa non è la Grecia.

Aristotele sostiene la teoria dei climi, secondo lui una forma di governo non è esportabile. Egli era

un meteco ovvero uno straniero e quindi non godeva dei diritti ateniesi. Il padre di Aristotele lavorava

presso il Re Aminta, nonno di Alessandro Magno. Aristotele divenne l’educatore di Alessandro

Magno.

A differenza di Platone, Aristotele si sofferma sulla realtà.

Le scienze

Aristotele distingue le scienze in tre: teoretiche, pratiche e produttive. Le teoretiche sono le scienze

più importanti come la matematica, la fisica e la metafisica, scienze che occupano il vertice poiché

ricercano il sapere per se stesso. Si differenziano dalle pratiche che invece si soffermano per

approfondire il sapere (politica). Le scienze produttive invece sono finalizzate alla produzione di cose,

e sono le meno importanti.

Egli utilizza una metodologia scientifica, pone al lettore le difficoltà e cerca di rispondere alle ipotesi

delle domande che il lettore potrebbe fare, questo metodo è chiamato …..

Dio

Aristotele parte dal presupposto che la natura è soggetta ad una trasformazione, pone due estremi,

uno è rappresentato dalla materia e l’altro è rappresentato dalla forma pura Dio. La materia tende alla

forma che contiene intrinsecamente. Dio muove le cose - è un motore immobile - senza essere mosso,

è la causa che muove le cose.

Le anime

Aristotele afferma che gli esseri viventi sono posti in un ordine gerarchico così come le anime. Per

Aristotele esistono tre tipi di anima, l’anima vegetativa posta ad un piano più basso, propria delle

piante, l’anima sensitiva posta ad un piano intermedio, propria degli animali e l’anima razionale

posta al piano più alto propria dell’uomo. L’uomo è l’unico che possiede le tre anime.

La felicità e le virtù

Per Aristotele il fine dell’uomo è vivere secondo ragione ovvero raggiungere la felicità. La vera

felicità è lo stato di appagamento che riguarda i beni spirituali ovvero la beatitudine. La felicità può

essere correlata ai beni terreni e materiali l’importante è che non offenda quella aulica.

Due tipi di virtù (libero conformarsi del volere al sapere) consentono all’uomo di raggiungere la

felicità. Le virtù dianoetiche, tipiche dell’attività speculativa (spirituale) è indispensabile per lo

sviluppo della ragione, queste sono: l’Arte, la Saggezza, l’Intelligenza, la Scienze e la Sapienza,

quest’ultima è la più importanti delle virtù dianoetiche.

Alberto Presti

Le virtù etiche, che non derivano dal sapere, si conseguono con l’abitudine e la pratica, consentono

lo sviluppo del’animo, esse sono: il Coraggio, la Liberalità, la Magnanimità, la Mansuetudine e la

Giustizia, quest’ultima è la più importante delle virtù etiche.

La Giustizia

La giustizia non è un giusto mezzo come le altre virtù, ma è la più completa, è la virtù suprema ed

unica. La giustizia riguarda la comunità politica, è giusto ciò che è vantaggioso per la comunità. Egli

sostiene ch non esiste una legge uguale per ogni stato o territorio ma va identificato un giusto naturale

e giusto legale. La giustizia naturale vale ovunque, in qualsiasi circostanza. La giustizia legale è

variabile da polis a polis, da continente a continente e varia a seconda dalla situazione. . La giustizia

legale può essere suddivisa in giustizia distributiva e in giustizia correttiva. La giustizia distributiva

è basata sul principio della proporzione geometrica ovvero una giustizia meritocratica (dare a

ciascuno ciò che gli spetta per il contributo dato alla produzione). La giustizia correttiva o

commutativa è basata sul principio aritmetico e regola gli scambi economici e le punizioni.

L’attacco al comunismo platonico

Aristotele attacca il comunismo platonico poiché il fatto di non avere nulla non spinge nessuno a fare

qualcosa e di conseguenza si sfocia in un dimensione di parassitismo. Il diritto di proprietà dona

all’uomo la soddisfazione e lo spinge a fare di più e ad impegnarsi.

Individuo e stato

Secondo un ordine cronologico per Aristotele prima viene l’individuo, poi la famiglia e poi lo stato,

come frutto di una dedizione le lavoro. Un cittadino non può vedere la propria vita se non è inserita

nella polis, non vi è autosufficienza senza la polis. Secondo un ordine logico invece lo stato è prius

cioè primo.

Gerarchie delle intelligenze

La famiglia si basa su dei diversi rapporti che trovano una giustificazione nella gerarchia delle

intelligenze. Al vertice vi è il padre o padrone, mentre alla basi vi sono gli schiavi che hanno poca

intelligenza, considerati animali da soma. Nel rapporto schiavo-padrone non ci si concentra sullo

sfruttamento, ma il fatto di essere schiavo è una necessità al fine di arrivare alla felicità che la sua

poca intelligenza può dargli. Nel rapporto moglie-marito, l’uomo è più intelligente e la moglie subisce

i comandi dell’autorità del marito. Aristotele però si sofferma anche sulla schiavitù innaturale. La

schiavitù innaturale è data dal diritto di guerra, il vinto diventa schiavo del vincitore. Questo è

interpretato negativamente da Aristotele, il quale non concepisce questo tipo di schiavitù.

L’impossibile scissione tra bene comune e individuale

La politica per Aristotele è scienza pratica poiché è compete con la realizzazione dell’etica. L’etica è

strettamente legata alla politica. La politica vuole il bene comune mentre l’etica vuole il bene

individuale, questo binomio è indissolubile.

L’economia e la crematistica

Aristotele distingue l’economia dalla crematistica. Economia è naturale, è l’arte di amministrare i

beni della famiglia o dello stato senza lucro. La crematistica è un’economia innaturale, è un arte tipica

del commercio che tende a produrre profitti. La moneta viene introdotta per finalizzare lo scambio di

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beni essenziali, ed è considerata la causa del passaggio da economia a crematistica. Il denaro produce

altro denaro, questo ha prodotto l’usura, che è una forma immorale di arricchimento.

La Politica

Nel testo La Politica Aristotele analizza scientificamente le forme di governo. Secondo egli vi sono

due parametri fondamentali, il criterio quantitativo e il criterio qualitativo, quest’ultimo fa la

differenza. La qualità ci fa capire come si governa, bene o male. La democrazia che lui chiama politìa

è considerata buona ma la parola democrazia lui la utilizza come demagogia.

Ellenismo

Il primo a coniare il termine ellenismo fu Droysen. L’ellenismo è un periodo post aristotelico che

parte dal 323 a.c. ovvero la morte Alessandro Magno fino al 31 a.c ovvero la battaglia di Azio. Nel

359 a.c. Filippo il macedone sale al trono della Macedonia e comunica la volontà di creare una

confederazione, ovvero una lega panellenica, mettendosi a capo della polis e andando contra la Persia.

Vi è quindi la fine della visione circoscritta della polis e la creazione di una monarchia universale. Il

progetto di Filippo non viene portato a termine perché viene ucciso. Sale al trono Alessandro Magno.

Nel 300 a.c. vengono create nuove scuole: scetticismo, stoicismo e epicureismo. Queste scuole

esaminano indirettamente la politica, ma ebbero una forte influenza. Dello Stoicismo il creatore fu

Zenone. Egli parlava agli studenti nella stoà ovvero un portico. Dell’epicureismo fu Epicuro e del

Cinismo fu Antistene il quale sosteneva che l’uomo doveva essere considerato apolide ovvero non

deve appartenere ad una patria ma deve essere cosmopolita.

Epicuro

Epicuro fu considerato il medico dell’anima poiché l’uomo del tempo aveva perso i punti di

riferimento dati dalla polis. La sua scuola era aperta a tutti donne e schiavi. Il suo insegnamento si

fonda sull’edonistica ovvero la ricerca del piacere e l’assenza del dolore. L’edonistica è il facile

raggiungimento del piacere. Pone una distinzione tra piaceri cinetici ovvero i piaceri del corpo e

piaceri catastematici ovvero l’assenza del dolore che porta ad un piacere statico. Epicuro sostiene a

teoria di Democrito ovvero che la materia è costituita da atomi. L’aggregazione degli atomi sfocia

nella politica (non siamo più nel zoon politikon aristotelico ovvero che l'uomo è un «animale

politico» e in quanto tale è portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità). La

sua è una concezione contrattualistica dello stato, non vi è nessuna propensione nell’uomo ma vi è

la volontà nel ricercare lo stato e di farne parte. Gli individui (atomo) fanno un patto (concezione

patristica) per formare uno stato. Le leggi sono convenzioni umane. Per Epicuro la politica è un

carcere, è fonte di tribolazione, soltanto l’estremo razio (costrizione) deve portare l’uomo a

partecipare alla vita politica attiva. Tetrafarmaco.

Stoicismo

Lo stoicismo, a differenza dello dell’epicureismo, accetta la concezione naturalistica dello stato

aristotelico, anche se attacca la gerarchia delle intelligenze. Zenone sostiene un principio di

eguaglianza, tutti sono dotati di ragione e di conseguenza nessuno nasce schiavo. Il saggio per gli

stoici è colui che deve raggiungere l’apatia ovvero l’annullamento delle passioni. Questo porta gli

stoici ad affermare che l’uomo in preda alle sue passioni esprime una forma di schiavitù. Non è la

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mancanza di ragione che crea la schiavitù ma è la passione. Per garantire l’apatia l’uomo deve evitare

l’amore. L’uomo invece deve farsi governare dalla propria ragione in modo da armonizzarla con

l’ordine naturale. Disarmonico dalla natura è l’uomo che non è saggio, importante è farsi guidare dal

logos, dalla natura e dal fato. Una legge che offende la natura non è una legge.

Cicerone

Cicerone riprende l’insegnamento storico platonico secondo il quale l’uomo saggio deve mettersi a

disposizione le proprie capacità anche a rischio della propria felicità. Egli fu un grandissimo oratore,

filosofo ed eclettico. Autore di De Republica e di De Legibus. Appartiene ad un ceto equestre molto

agiato, in concorrenza con il senato. Il De Legibus esprime l’ida che la legge umana deve conformarsi

a quella naturale. De officiis è l’unico scritto a forma di trattato sul problema della morale e sui doveri;

critica molto Cesare. Cicerone rispetto all’aristocrazia romana non partecipava alla vita politica. Nel

De Republica fa costante riferimento alla realtà storica. Rispetto all’opera platonica c’è un excursus

storico e sull’uomo di stato. Il sogno di Scipione fu l’unico libro del De Republica che venne

conservato integro poiché adattava alla cultura medievale. L’influenza platonica farà in modo che

Cicerone non racconti che in realtà si tratta di un dialogo immaginario, affida le proprie riflessioni

politiche a Scipione l’africano.

De Legibus: per parlare di stato ci vuole giustizia, non si può parlare di stato se non c’è giustizia. Le

norme giuridiche devono identificarsi nella legge naturale.

De officiis: si sofferma sui tanti doveri dell’uomo politico che deve pensare prime alle esigenze dei

cittadini. Causa della crisi romana è causata dalla corruzione del potere e dall’assenza di

magnanimità.

De Republica: scritto nel 54 a.c. e ambientato nel 129 a.c. Cicerone si affida a Scipione. Egli si pone

una domanda, cosa distingue il popolo dalla massa? Parliamo di popolo quando la gente si aggrega

attraverso il diritto, che è essenza della società. Gli uomini che si aggregano istintivamente nella

società lo fanno tramite il diritto, ma si trasformano in popolo solo se il diritto è conforme alla legge

naturale. Cicerone prende ad esempio le 3 forme di governo di Aristotele e di Erodoto, e sottolinea

che le forma di governo possono sfociare in qualcosa di negativo naturalmente. Le forme semplici

hanno insite la loro degenerazione. Da maggiore garanzia di funzionalità il mix di monarchia,

democrazia e aristocrazia, questo forma la res publica. Attraverso Scipione, Cicerone esalta la forma

mista. Però egli non esclude che queste forme rette possano degenerare. L’uomo politico deve saper

prevedere i mutamenti costituzionali e quindi deve essere introdotta la quarta forma di governo

ovvero la mescolanza tra le tre forme rette. Questo dialogo ha luogo in tre giorni nella villa di

Scipione, ogni giorno 2 libri, in totale 6 libri.

Cristianesimo

Con il cristianesimo nasce l’indifferenza verso la politica attiva, è dunque un evento rivoluzionario

della teoria aristotelica cronologica e logica ovvero prima l’uomo e non lo stato, di conseguenza prima

si è cristiani e poi si è cittadini. L’uomo vede Cristo come sovrano temporale ma invece Gesù è il

primo laico a comprendere che il potere temporale deve essere separato da quello religioso. Il

cristianesimo porta all’anarchismo sociale ovvero all’apatia rispetto alla vita politica, questo non

significa che il cristiano non debba rispettare lo stato. San Paolo nella lettera ai romani afferma

“Omnis potestas ad Deo” ovvero che bisogna rispettare ogni sovrano poiché è mandato da Dio e non

bisogna ribellarsi nemmeno ai tiranni. Anche San Pietro riprende le affermazioni di San Paolo

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dicendo che bisogna obbedire a tutte le autorità anche ai padroni più prepotenti. Bisogna sostenere

una resistenza passiva di fronte ad un governante iniquo e ingiusto, bisogna solo pregare Dio per

liberarsi di lui ma non bisogna ribellarsi. Gesù afferma “dai a Cesare quel che è di Cesare e dai a Dio

quel che è di Dio”, poiché il buon cristiano non può sottrarsi dal pagare le tasse e dall’obbedire, ma

deve anche ricordarsi che ha un obbligo nei confronti di Dio. L’obbedienza a Dio deve prevalere su

quella statale se le due entrano in conflitto. Quindi se questa armonizzazione viene meno dovrà pagare

con la propria vita ma senza combattere e fare violenza. Sant’Agostino invece sostiene un passaggio

da resistenza passiva a resistenza attiva. Nasce quindi la patristica ovvero i padri della chiesa, il primo

fu Oligene, e Sant’Agostino fu un importante rappresentate della patristica.

Con l’editto di Milano del 313 d.c. emanato da Costantino si sancisce la tolleranza religiosa e infine

con l’editto di Tessalonica emanato da Teodosio il cristianesimo diventa religione di stato.

Medioevo

La chiesa cede ad un processo di temporalizzazione, rifiutando ciò che aveva professato sin dai tempi

antichi. Il papa diventa a tutti gli effetti un capo di stato. In questo periodo nascono due tipi di

riflessioni: la riflessione di Papa Gelasio e quella di Giustiniano.

Papa Gelasio I fu l’autore di una lettera nella quale identifica due autorità, il Papa e il Sovrano.

Dedica questa epistola all’imperatore Anastasio d’oriente. Egli sostiene la teoria delle due spade

Divisio Glaudiourm. Gelasio sostiene che l’imperatore è subordinato al papa dal punto di vista

religioso e dalla supremazia della dignità. Anche Dante riprende questa teoria chiamandola teoria dei

due soli poiché tutti e due vivono di luce propria.

Giustiniano era un cesaropapista. La sua teoria si fonda sulla separazione delle supremazie e

autonoma superiorità dal punto di vista della dignità: teocrazia. Egli scrive un epistola per

l’arcivescovo di Costantinopoli dicendo che l’uomo politico deve trarre ispirazione della vita

sacerdotale ma questo non significa che egli sostiene la teoria gelasiana, anzi il contrario. Egli vuole

stabilire una supremazia dell’autorità temporale su quella religiosa, l’imperatore deve sostenere

l’unità di fede anche con l’uso della forza per rinsaldare l’autorità politica. Giustiniano è noto per

aver scritto il Corpus Iuris Civilis ovvero una codificazione delle leggi romane che Giustiniano

volle. I Giuri consulti erano coloro che avevano il compito di custodire le leggi. Questo scritto è diviso

in tre parti: la prima sono le “istituzioni” ovvero vi sono raccolti i principi generali del diritto; la

seconda parte è “digesto” o “pandette” ovvero dove vi sono raccolti tutti gli scritti dei giuristi classici;

l’ultimo è il “codex” ovvero la raccolta di tutte le leggi emanate dai vecchi imperatori partendo dal

136: Costituzione di Adriano. Questo è il precursore di un’importante riforma politico-amministrativa

che da vita ad una monarchia teocratica, ovvero una compenetrazione tra autorità politica e religiosa,

ampliando i poteri della chiesa.

Sant’Agostino

Agostino d’Ippona è considerato il padre dell’europa secondo la filosofa spagnola Anna Zambrano.

Egli fa parte della corrente della patristica. Inizialmente egli aderisce al manicheismo religione

dualista fondata da Mani che afferma l’esistenza di due principi eterni increati: il bene e il male. Tra

le opere più importanti ritroviamo De Civitate Dei, scritta tra il 412 e il 426, fu un opera molto

impegnativa che lo occupò per 14 anni. È considerata un’opera occasionale poiché fu l’occasione del

sacco di Roma del 410 a spingerlo a scriverla. È uno scritto apologetico ovvero ha il fine di difendere

Alberto Presti

i cristiani da un’accusa ingiusta ovvero che la fine di Roma è attribuita al cristianesimo. Agostino

confuta questa dea comune nel tempo soprattutto dopo il sacco. Il libro è diviso convenzionalmente

in due parti. La prima parte è l’attacco alla religione pagana, nella seconda parte egli espone la genesi

delle due città: terrena e celeste, secondo Agostino le due città vivono insieme nell’uomo. Queste due

città sono la città di Dio e la città del diavolo. L’amor dei è l’amore di Dio e del prossima e identifica

il cittadino celeste, mentre amor sui è l’amore di se stessi e identifica il cittadino terreno. È presente

nel santo un pessimismo antropologico poiché egli non sostiene che chi fa parte della chiesa è

automaticamente cittadino della città celeste. Vi è una continua lotta tra le due città, egli sottolinea

inoltre che la città di Dio non è la chiesa e la città del diavolo non è lo stato.

Il sacco del 410 aveva alimentato l’odio contro il cristianesimo. Il De Civitate Dei è un’opera

apologetica che egli scrive al fine di difendere i cristiani dalle false accuse, in tendenza con la

patristica. In quest’opera egli parla anche del mondo pagano e quindi studiò il paganesimo

attentamente per evitare di essere contestato; è una prosa estremamente curata che gli procurò molta

fatica.

Agostino è considerato la cerniera tra mondo il classico e l’Europa. Per il santo la concezione dello

stato non può prescindere dalla concezione antropologica, il pessimismo antropologico è dunque

necessario per comprendere la sua concezione di stato. Le istituzioni politiche sono conseguenze del

peccato e quindi rimedio, egli infatti lo definisce remedium peccati, l’umanità è disperata e tendente

a commettere il male, senza la grazia di Dio, l’uomo sarebbe senza possibilità di salvezza e riscatto.

L’esistenza umana corrisponde al torchio utilizzato per la spremitura delle olive, la sofferenza umana

portano l’uomo a una nuova rinascita, da amor sui a amor dei. Non tutti però riescono a utilizzare

questa opportunità, di conseguenza c’è chi diventa olio e chi diventa morchia. La spremitura delle

olive è la metafora dell’esistenza umana, la tribolazione è l’occasione per rinascere. In Agostino non

c’è il concetto di predestinazione, Lutero invece aveva dato questa spiegazione alla filosofia

agostiniana. C’è la possibilità di conciliare il libero arbitrio con la grazia, in termini di prescienza.

Per Sant’Agostino, le leggi di uno stato e tutto ciò che riguarda i poteri terreni hanno il compito di

amministrare il mondo – paragonato ad una valle di lacrime – ed amministrano le contingenze terrene.

Lo stato è remedium peccati secondo Agostino, cioè si tratta di concepire i poteri terreni come

strumenti finalizzati ad andare in soccorso alla fede e dunque alla chiesa nella sua missione di

redenzione, lo stato con le sue leggi aiuta l’unità dell’ortodossia. Lo stato collabora da sottomesso

alla chiesa dal punto di vista teocratico. Lo stato non sorge dall’umana natura (no zoon politikon), è

costituito da un’associazione di uomini, da vincoli sociali, da un patto che regolamenta i rapporti di

comando e obbedienza che stanno a fondamento dello stesso. Ma una serie di convenzioni che

costituiscono lo stato, è sufficiente? Agostino in maniera sublime dice che laddove manca la giustizia

le regole non sono sufficienti, senza giustizia siamo in presenza di una banda di ladroni non in uno

stato. Nel libro IV di De Civitate Dei, il potere della giustizia, Agostino afferma che una volta che si

è rinunciato alla giustizia siamo un’accozzaglia di malfattori. I malfattori formano dei piccoli stati,

un gruppo di uomini tenuti insieme da un patto comune secondo una legge tacita, se questo male si

allarga e fissa una sede conquistando città e popoli acquista il nome di regno, che viene dal

conseguimento dell’impunità che porta ad un’esasperazione pattizia. Agostino non condivide la

concezione ciceroniana di stato, dice che il suo non fu mai un vero stato poichè non vi fu vera

giustizia, si fondava sulla schiavitù e sull’ineguaglianza, la vera giustizia è in quello stato fondato e

retto da Cristo.

Alberto Presti

Egli riprende il tema della guerra. Agostino accetta la liceità della guerra se combattuta non per la

libido dominandi, ovvero il desiderio di dominare altri territori, ma solo se esclusivamente finalizzata

alla pace poiché prima si devono esaurire tutte le armi pacifiche, quindi solo in caso di extrema ratio.

Deve esserci la retta intenzione come dice Agostino. Nel VII libro egli dice che chi cerca la guerra

vuole la gloria e la vittoria, la pace è il fine che si desidera dalla guerra, nessuno cerca la guerra

attraverso la pace.

Agostino in linea con gli altri padri della chiesa si chiede come deve essere il rapporto dei cristiani

con le istituzioni politiche. Accetta il fatto che i cristiani debbano rispettare le istituzioni ma non fino

al sacrificio. Egli afferma che la provvidenza divina porta al potere anche uomini iniqui, resistenza

passiva non violenta. Egli dice che chi è cristiano e non vuole pagare le tasse sbaglia completamente,

dobbiamo sopportare la condizione di sudditi, ricordando che così facendo ubbidiamo di più a Dio e

non agli uomini. Egli precisa che non vi è una forma di governo per eccellenza, ma ne accetta

l’esistenza. Nel De libero arbitrio egli dice che se il popolo è tanto saggio da potersi governare

(democrazia) è custode del bene comune, e l’auspicio è che questo popolo regga lo stato, ma se questo

va depravandosi non vi è alcun male nel ricercare all’interno della comunità stessa un uomo giusto

(monarchia) o pochi giusti (aristocrazia) a cui cedere il potere. Tutte le forme rette sono buone ma

non ve n’è una migliore. Se non vi è empietà e ingiustizia tutte le forme sono buone.

L’umanità è incapace di salvarsi senza l’aiuto di Dio, il fratricidio di Caino e Abele riflette l’uomo

nella valle di lacrime. Anche Roma si è edificata da un fratricidio. Libro XV di De Civitate Dei parla

del fratricidio di Caino e non bisogna sorprendersi se nella città terrena si è corrisposta l’immagine

del fratricidio. Però vi è una differenza poichè loro erano entrambi cittadini terreni e il desiderio di

gloria e dominio è la causa di questo fratricidio, e quindi Roma non accusi per la sua decadenza i

cristiani ma piuttosto accusi quelle divinità pagane di non averla difesa.

Idea d’Europa nell’età medievale

L’idea di Europa medievale si consolida anche grazie a Carlo magno. È un’idea d’Europa verticistica,

lontana dall’idea di Europa dei popoli. Carlo magno si presenta come l’avvocato della chiesa.

Antagonismo tra mondo civile, identificato con la cristianità e mondo di barbarie che coincide con il

mondo pagano. Questa contrapposizione tra i due mondi non vede un’Europa ancora con una sua

fisionomia morale, ancora nel IX secolo l’Europa è solo una dimensione geografica. Carlo Magno è

definito come rex pater europae o europae venerandum vertex. Il contenuto morale dell’Europa del

tempo è identificato nel concetto di ecclesia romana. Ciò significa che la cristianità è sinonimo

d’occidente contrapposto all’oriente, un’Europa politicamente sottoposta a Carlo Magno diversa dalla

cristianità orientale che ha il suo nucleo in Bisanzio sottoposta all’imperatore di Costantinopoli.

Europa=cristianità=occidente che si fonda sulla res publica e sull’ecclesia, sottoposta ad un unico

capo temporale e unico capo spirituale rappresentato dal pontefice. -> Sacro Romano Impero.

Tutti i Gregorio che sono saliti al papato sono stati teocratici -> idea di supremazia.

Gregorio VII

Egli si formò nel monastero di Cluny. La riforma cluniacense diventa espressione di autonomia della

chiesa e pone fine alla simonia (vendita delle cariche ecclesiastiche). Il desiderio di Cluny ha portato

alla lotta tra impero e chiesa. Gli scritti politici tra XI e XII secolo ci esprimono la vivacità del dibattito

di carattere polemico sui rapporti tra chiesa e impero. Si pongono i problemi dei limiti del potere e

Alberto Presti

quale deve essere l’istituzione a esprimere supremazia. L’espressione più violenta fu l’elezione di

Gregorio VII. Era stato educato con un’idea di autonomia.

Ottone I nel 962 con il privilegium ottonis si era erogato il potere di avere l’assenzio imperiale sulla

nomina del papa e dei vescovi conti. In Sicilia vi fu la legazia apostolica: i re di Sicilia potevano

nominare i vescovi, potere che ebbero fino al 1870.

Quando Gregorio VII sale al trono papale nel 1037, l’ingerenza dell’imperatore (nomina del papa)

non poteva continuare più. Il conflitto nasce contro l’imperatore Enrico IV.

Con il capitolare di Querzy e con la constitutio de feudis, i feudi maggiori e minori vengono dati in

eredità, vi erano ottime possibilità di lasciare i feudi ai discendenti. Il feudo non torna nelle mani del

Signore. Nasce l’idea di assegnare i feudi ai vescovi-conti così il feudo può ritornare al Signore. La

cerimonia comprendeva anche la nomina del vescovo.

Il pontefice nel 1075 scrive un registro di lettere, contenenti 27 proposizioni, il Dictatus Papae, dove

egli esprime estremo desiderio nel donare supremazia alla chiesa. La XII la XIII sono più importanti,

la prima afferma che solo al pontefice è lecito deporre gli imperatori mentre la seconda afferma che

solo al pontefice è lecito trasferire i vescovi. Il potere politico della scomunica è molto importante,

se il Papa scomunica un imperatore l’obbedienza del popolo all’imperatore veniva meno.

Enrico IV convoca a Worms in Germania un sinodo che accusa il papa di alimentare la discordia e

proclama decaduto il papa. Gregorio VII scomunica l’imperatore. L’imperatore chiede scusa al Papa

per ripristinare il proprio potere. È un conflitto che non si conclude con i due interessati, viene ripreso

dai rispettivi successori e troverà una soluzione nel 1122 con il Concordato di Worms stipulato tra

Enrico V e Callisto II. Stabilisce che la nomina dei vescovi appartiene alla chiesa e una volta investito,

l’imperatore può investire civilmente il vescovo con cariche pubbliche. Questa è la lotta per le

investiture.

San Tommaso D’Aquino

In questo periodo la filosofia aristotelica viene riscoperta attraverso i filosofi arabi Avicenna e

Averroè. L’aristotelismo viene percepito in Europa attraverso i maestri laici di Parigi, chiamati

averroisti i quali ritengono che fede e ragione sono due concetti inconciliabili; e attraverso i maestri

dell’ordine domenicano ai quali appartiene Tommaso D’Aquino e Alberto Magno i quali sostenevano

che fede e ragione possano essere conciliati.

San Tommaso D’Aquino, maestro dell’ordine domenicano e doctor evangelicus sostiene che fede e

ragione sono in relazione e conciliabili, l’una è necessaria tanto quanto l’altra e aiuta l’uomo ad

arrivare alla verità. Sono due rette parallele che convergono all’infinito, l’infinito è rappresentato da

Dio. Sia la fede che la ragione derivano da Dio. In questo pensiero non vi è una concezione teocratica,

Chiesa e Stato collaborano insieme essendo al corrente che ognuno è supremo solo nel proprio

ambito. Egli concilia l’aristotelismo con il cristianesimo, secondo Tommaso bisogna avvalorare

l’aristotelismo con il cristianesimo, per questo egli diede un grande contributo. Egli supera la

condanna che la chiesa fece contro l’aristotelismo, questo nuovo pensiero di conciliazione tra

aristotelismo e cristianesimo viene definito tomismo che diventerà un’importante pensiero filosofico

della Chiesa. Anche Tommaso è un padre della chiesa.

Nell’800 d.c. nasce la scolastica e Tommaso, nonostante visse nel XIII secolo è uno degli esponenti

insieme ad Alberto Magno, questo periodo viene chiamato il periodo aureo della scolastica.

La scolastica designa la filosofia del medioevo, deriva dalla parola latina scolasticus , è una filosofia

che viene insegnata nelle scuole ed organizzata dalla Chiesa. Questo è un insegnamento che si fonda

Alberto Presti

sulle discipline chiamate trivio e quatrivio. Nel trivio fanno parte discipline come la grammatica, la

logica e la retorica del quatrivio invece, l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia. Le lezioni

si svolgevano in due momenti, la disputatio e la lectio. Prima vi era una discussione sul testo

(disputatio), poi vi era il commento al testo (lectio).

Tra le sue opere ritroviamo De Regimine Principum, la Summa Theologiae, la Summa contra

Gentiles (gentiles = pagani) e poi i commenti alle opere di Aristotele. Le sentenze a Pietro

Lombardo (vissuto nel 1100, vescovo di Parigi, italiano) fu utile per contribuire alla liceità della

resistenza attiva. San Tommaso è d’accordo nel rispondere alla violenza con la violenza ma solo dopo

aver esaurito tutti gli strumenti pacifici, è lecito solo per extrema ratio.

Con San Tommaso siamo lontani dal pessimismo agostiniano, la visione di Tommaso è assolutamente

diversa, vede l’uomo come incline al bene, e la prospettiva dello Stato non nasce per correggere il

male, ovvero non come remedium peccati, ma essendo un essere proteso verso il bene, lo stato diventa

strumento per realizzare il bene dell’uomo. Riprende da Aristotele il concetto di virtù, come

disposizione pratica a vivere rettamente, se la virtù consente all’uomo di raggiungere la felicità

secondo Aristotele, la virtù aiuta a fuggire dal male secondo Tommaso. Le virtù per eccellenza sono

quelle cardinali ovvero giustizia, temperanza ecc… Le virtù morali ed intellettuali conducono l’uomo

a vivere rettamente e fargli raggiungere la felicità, ma per trasformare questa felicità in una felicità in

termini di beatitudine sono necessarie le virtù teologali ovvero fede, speranza e carità. Attraverso il

cristianesimo egli ricrea la filosofia di Aristotele. Con carità, Tommaso la intende nei termini tracciati

sulla solidarietà verso il fratello meno fortunato, non carità opportunistica.

Sant’Agostino è definito il Platone cristiano mentre Tommaso è l’Aristotele cristiano.

La logica aristotelica viene reinterpretata. San Tommaso si basa sul metodo storico, logico e

sistematico. Storico perché quando egli parla di qualcosa indaga sugli studiosi che già si sono occupati

dell’argomento prima di lui, fa un omaggio alla tradizione e rivede tutte le posizioni dei suoi

predecessori. Logico perché utilizza un rigore razionale nel raccontare gli argomenti che sta

esaminando, non vi è alcuna divagazione. Sistematico perché tende a dare organicità alla trattazione.

L’obiettivo di Tommaso è cristianizzare il grande filosofo Aristotele. Nel 1260 incomincia a girare

una traduzione latina delle opere politiche di Aristotele ad opera di un padre fiammingo domenicano

Guillaume de Mocambique. Si riprende un attenzione sulle forme di governo che si era persa. Questo

consente la produzione di una nuova forma di scrittura chiamata specula principis (specchio dei

principi), gli scrittori politici cercano di delineare un modello virtuoso dove i principi possono trovare

parametri che gli consentano di governare bene. Caratteristica determinante della produzione che si

ispira all’opera aristotelica. Anche Tommaso si dedica a questo scrivendo il De regimine principum

ad regem Cypri, scrivendo al principe di Cipro Ugo II (il suo ordine è molto presente a Cipro per

questo decide di dedicarlo proprio al re di Cipro), giovane adolescente che ritrova nelle sue mani un

grande potere. Tommaso delinea le virtù affinché egli possa governare bene, l’opera è incompleta e

completata da Bartolomeo da Lucca (suo allievo). Il santo mette in guardia il principe, se egli non si

ispirerà alle virtù è lecito che il popolo si ribelli uccidendolo. Questo ha fatto nascere un grande

dibattito, Tommaso non avrebbe accettato le nuove riflessioni aggiunte dall’allievo.

Aristotele aveva sottolineato la differenza tra giusto naturale e giusto legale, ma nel medioevo la legge

viene ritenuta un possesso esclusivo del popolo, espressione di una consuetudine, quindi il sovrano

interveniva per mettere in chiaro una norma che era consuetudinaria, espressa dalla tradizione. Nasce

Alberto Presti

l’idea di concepire il rapporto di governati e governanti come espressione di un patto con obblighi

reciproci, vi deve essere obbedienza da parte dei governati e il governante deve avere come obiettivo

il bene comune, deve anteporre il bene comune e quello personale. Nasce l’idea che questo rapporto

sia un patto di soggezione, pactum subiectionis. Se il governante viola il patto, questo

automaticamente viene sciolto e il popolo si riappropria degli strumenti che gli consentano di eleggere

e nominare un nuovo governante. Tommaso precisa che è vero che San Paolo sosteneva che ogni

potere deriva da dio, omins potestas ad Deo, ma solo in termine astratto, concretamente nessuno ha

mai visto Dio delegare qualcuno al governo di una comunità. Concretamente l’assegnazione del

potere è di mero diritto umano. L’espressione paolina trova nel pensiero tomasiano una correzione.

È il popolo che concede il potere ad una autorità affinché il governante governi rettamente, omnis

potestas Deo ad omnis.

Nella Summa Theologiae egli evidenzia i diversi tipi di legge. È influenzato dal pensiero medievale,

di conseguenza secondo il santo Ragione e legge sono inscindibili, non è possibile separarli. Lex

significa legare, la legge è una norma che ci obbliga o ci vieta ad agire in un certo modo. La legge

non sempre secondo Tommaso va rispettata, ovvero quando è difforme da quella naturale (si esprime

in ciò che è giusto retto e immutabile secondo cicerone).

La legge è prescrizione della ragione in vista del bene comune stabilita e promulgata da colui a cui

spetta la cura della comunità. Egli suddivide diversi tipi di legge:

• Lex aeterna è il piano razionale di Dio, ordine dell’universo intero, attraverso cui Dio dirige tutte

le cose al loro fine. È il piano della provvidenza noto solo a Dio. C’è però una parte di questa

legge eterna di cui l’uomo, essere razionale, è partecipe. Tale partecipazione alla legge eterna è

la legge naturale.

• Lex naturalis come esseri razionali, gli uomini conoscono la legge naturale che ha il suo precetto

nel fare il bene ed evitare il male. Il bene è la protezione e crescita dei figli; il bene è vivere in

società. La legge naturale è propria dell’uomo portato ad agire secondo ragione. La legge naturale

non è istinto.

• Lex humana è la legge giuridica, è diritto positivo, è posta dall’uomo. Per Tommaso è essenziale

che la legge umana derivi da quella naturale poiché se la contraddice essa non esiste come legge.

Se la legge non è giusta diventa come disse Agostino “il regno dei malfattori”.

• Lex divina è la legge rivelata dell’antico e del nuovo testamento, è la legge divina positiva.

Vi è una stretta correlazione tra legge e ragione: la legge è prescrizione della ragione in vista del bene

comune. La comunità più vasta è l’universo regolato da Dio e dunque la prima delle leggi è la lex

aeterna. Quest’ultima coincide con la ragione di Dio e la finitezza dell’uomo è tale da non poterla

comprendere, è trascendente all’uomo. Ma grazie alla razionalità l’uomo partecipa alla legge divina,

è una creatura ragionevole, egli partecipa alla legge eterna attraverso la lex naturalis. Tommaso

sottolinea il libero arbitrio dell’uomo, essendo l’uomo un essere libero egli è anche capace di redigere

leggi contrarie all’ordine divino e provvidenziale. La lex humana è quella fatta dall’uomo, legge

positiva, espressione della propria libertà, per questo la sua produzione normativa non è sempre

conforme alla legge naturale. La legge umana può cambiare da luogo in luogo. La lex divina è quella

legge rilevata e contenuta nel vecchio e nuovo testamento, che deriva da quella eterna.

La legge naturale è un inclinatio ad bonum, ovvero l’uomo è propenso a fare il bene, ha rispetto per

la propria vita, ha un principio naturale di allevare i figli; tutto ciò è espressione della legge naturale.

Alberto Presti

Questo principio di autoconservazione, presente sia nell’uomo che nell’animale è però differente, per

quanto riguarda l’animale questo principio viene considerato istinto, mentre per l’uomo è

partecipazione al piano razionale di Dio. Tommaso sottolinea che se la legge naturale si esprime in

tutti quei principi sopra citati, la norma fatta dall’uomo (lex humana) va rispettata se conforme alla

legge naturale. Questo è il principio cardine. Una legge dello stato che non tutela la vita non va

rispettata.

Il de De regimine principum ad regem Cypri è un’opera importante che sottolinea l’importanza

della resistenza attiva. Si fa sostenitore della liceità della resistenza attiva. Egli mostra di essersi

forgiato grazie alla lettura e alla meditazione sull’opera aristotelica. Tommaso è a favore

dell’uccisione del tiranno iniquo. Egli procede esaltando la forma monarchica, si sofferma a motivare

questa sua preferenza affermando che il governo di uno solo risponde ad un criterio naturale delle

cose (un sole, un’ape regina), di conseguenza l’uomo è essere socievolmente portato alla comunità

(zoon politikon aristotelico). Il suo opposto diventa la peggiore delle forme di governo (tirannide),

che si traduce in una violenza perpetrata da un uomo solo ai danni della società. Riprende totalmente

la concezione aristotelica. Il tiranno non ha rispetto per i sudditi e per i loro beni, è un essere che è

animato da cupidigia e che sparge sangue e violenza per un non nulla.

La descrizione che egli fa non appare umana ma piuttosto viene assimilata ad una belva feroce. Egli

non sollecita il popolo a ribellarsi immediatamente, ma è sempre considerata una decisione

tormentata, che deve essere concretizzata solo dopo che le soluzioni pacifiche sono terminate. Se la

tirannide non è eccessiva, aggiunge Tommaso, è meglio sopportare con pazienza piuttosto che

rivoltarsi, poiché la ribellione può dare un esito negativo facendo inasprire il tiranno nei confronti

della popolazione. La loro vittoria può creare discordia nella comunità e conduce alla creazione di

fazioni. Se qualcuno aiuta la popolazione a insorgere contro il tiranno egli può imporsi su di essa

creando un governo ancora più aspro. Tommaso sostiene che il successore è sempre peggiore del

predecessore. Il governo di un tiranno deve essere combattuto dalla comunità soppesando costi e

benefici, non bisogna rispondere alla violenza con altra violenza in maniera superficiale, infatti la

storia ci insegna che è più opportuno sopportare piuttosto che incorrere in pericoli più gravi. La

decisione finale di una possibile rivolta sanguinaria spetta all’intera comunità e non ad un singolo

cittadino. Egli ci prospetta due tipologie di tiranno: il tirannus regiminis o anche definito tirannus

ad exercitio e il tirannus usurpationis o anche definito tirannus a titulo. Il primo è il re che

legittimamente ha preso il potere ma nell’esecuzione del suo mandato abusa del suo potere; egli ha

legittimità del suo ruolo poiché è stata la comunità politica a concedergli il potere. L’intera comunità

deve valutare la possibilità di rivoltarsi contro, vista la sua legittimità. Nel momento in cui la comunità

decide di rivoltarsi, un privato cittadino può eseguire l’atto, ma il desiderio non deve mai venire da

un solo privato cittadino. Diverso invece è il trattamento che bisogna riservare all’usurpatore. Questo

tiranno non ha ricevuto il potere legittimamente, ha detronizzato il re legittimo e si è impossessato

del potere, di fronte questa figura Tommaso fa due precisazioni. Se l’usurpatore antepone il bene

comune al suo, la comunità non può rivoltarsi contro, sebbene si tratti di un usurpatore, egli ha preso

potere con violenza ma se non persevera nella violenza, non bisogna rivoltarsi. Se invece l’usurpatore

persevera nella violenza, anche un privato cittadino può ucciderlo.

Tommaso sostiene che ogni potere deriva da Dio astrattamente (ad iure divino) ma attraverso il

popolo concretamente (ad iure umano). Nella Summa Theologiae, egli si domanda se il diritto di

proprietà è conforme alla legge naturale. Non si allontana dalla riflessione di Aristotele. La proprietà

privata è l’espressione di una legge umana, ma è in contrasto con quella naturale? Egli parte dal

Alberto Presti

principio che i beni materiali esprimono un’esigenza primaria di una natura umana. La suddivisione

dei beni trova una giustificazione nel diritto positivo, ovvero che si è aggiunto in un secondo momento

ma che tuttavia non è disarmonico con la legge naturale. Il primo aspetto che egli sostiene è che con

l’esercizio della proprietà privata si evita il parassitismo, ognuno con un proprio bene è più sollecito

a procurarsi cose a lui solo appartenenti, mentre nella condivisione di beni ognuno fugge la fatica

perché tanto il suo bisogno sarà soddisfatto lo stesso. Il secondo aspetto che egli sostiene è che se

ciascuno si occupa di cose alla rinfusa, si crea confusione, la società stessa ne beneficia se è presente

la proprietà privata. Terzo aspetto che egli sostiene è che la convivenza umana è più pacifica quando

ciascuno si appaga del suo. Egli però fa una distinzione tra diritto di proprietà e uso di beni, il primo

si esprime nella legge umana ma conforme a quella naturale, la seconda rientra nella legge naturale

ovvero solidarietà dell’altro e uso comune dei beni, carità.

Egli è sostenitore della liceità della guerra. Va alla ricerca di una giustificazione nella legge. Un

evento bellico può essere considerato giusto? Cerca dei requisiti per mandare avanti la liceità della

guerra. Si parla di guerra giusta se siamo in presenza di tre requisiti, ovvero l’iniziativa statale, la

motivazione giusta e la retta intenzione. Il primo è inteso come la liceità che giustificava la rivolta

contro il tiranno, il privato cittadino non può dichiarare guerra, è il sovrano che dichiara lo stato di

guerra. Il secondo esprime il fatto che si esige che la causa sia giusta, ovvero coloro che noi

offendiamo con la guerra devono aver commesso qualcosa di veramente grave e oltraggioso. Il tezo

è che l’intenzione dei belligeranti sia retta, che evitino il male, deve essere una guerra finalizzata al

raggiungimento del bene. È lecito portare avanti la guerra giusta se ci sono questi requisiti. Non ritiene

che i chierici possano armarsi poiché chi tratta il sangue di Cristo non può versare il sangue altrui, la

guerra è contro il ministero della chiesa.

Europa tra XIII e XIV

L’impero perde il suo ruolo a vantaggio del consolidamento delle monarchie nazionali. Il sovrano

francese Filippo IV esprime emblematicamente questo fatto dicendo: rex in regno suo est imperator

et superiorem non recognoscens ovvero il re nel suo regno è come un imperatore che non riconosce

al di sopra di se alcuna autorità. Non vi è più l’imperatore in contrasto con l’autorità papale. Il conflitto

nasce tra le monarchie nazionali e un papa che in maniera anacronistica pensa ancora di poter essere

in un’ epoca (basso medioevo) in cui può portare avanti le teorie teocratiche.

Enrico VI e Federico II (discendenti di Federico Barbarossa) riprendono il progetto di consolidare il

potere imperiale in Germania e in Sicilia. I comuni d’Italia e il papato non accettano questa presenza

imperiale. Federico II viene scomunicato due volte da Gregorio IX. Il potere in Sicilia va al figlio

Manfredi che anche lui viene scomunicato da Urbano II che assegna la corona al fratello del re di

Francia Carlo d’Angiò. Gli imperatori cominciano a restare in Germania, non sono presenti

fisicamente nella penisola italiana, ma sono presenti solo attraverso i vicari. Nel 1300 cominciano le

discese degli imperatori, essi scendono nella penisola. Dante vede la discesa di Arrigo VII come una

cosa positiva, che può pacificare gli enti politici minori.

Il conflitto tra il re di Francia e il papa segna Dante. Nasce per la necessità di Filippo IV detto il bello

(1302) di convocare gli stati generali ovvero nobiltà, clero e terzo stato, per la prima volta. Egli ha

necessità di fare cassa, di pagare e sovvenzionare le sue guerre, le spese della gestione e della

monarchia. Vuole porre sotto tassazione i beni ecclesiastici. Le bolle papali sintetizzano i pensieri di

Bonifacio VIII.

Alberto Presti

Lo stato moderno

La caratteristica dello stato moderno è il monopolio della forza ovvero la capacità da parte dello

stato di esercitare coazione su i soggetti all’interno del territorio, elemento non presente nello stato

medievale. Il compito dello stato è infatti quello di evitare il bellum omnium contra omnes ovvero la

guerra di tutti contro tutti. In una organizzazione gerarchica medievale il monopolio della forza non

era presente Un’altra caratteristica è il fatto che esso possiede la sovranità. Jean Bodin incentra la sua

riflessione sulla sovranità ed è egli che conia il termine. Lo stato ha un potere di comando al di sopra

di ogni altro potere e lo esercita nei confini del suo territorio. La sovranità si manifesta nella capacità

di garantire la pace tra i cittadini e di evitare la guerra. Lo stato rifiuta interferenze date da altri stati,

l’indipendenza è fondamentale. Tra il XIV secolo incomincia ad abbozzarsi un’idea di stato moderno

per poi arrivare al suo completamento nel XVI secolo. Emergono le monarchie assolute, ab solutus.

Queste monarchie si basano su una sovranità assoluta, svolgono un’attività unificatrice che distrugge

i residui feudali precedenti. Nicola Matteucci afferma che “per stato si intende quella forma

storicamente determinata di organizzazione del potere o delle strutture delle autorità contrassegnata

dal fatto che ogni istanza, quella statuale appunto, detiene il monopolio legittimo della costrizione

fisica”.

Niccolò Machiavelli

Niccolò Machiavelli nasce nel 1469 a Firenze, quando Lorenzo il magnifico prende il potere.

Con egli siamo in presenza di un freddo teorico della verità testuale ovvero viene eliminato ogni

contenuto teologico. La sua carriera politica inizia dopo la morte di Girolamo Savonarola egli è

sostenitore della democrazia teocratica, viene arso in piazza della Signoria nel 1498 per volontà di

Papa Alessandro VI Borgia poichè il suo modello di chiesa non coincideva con quella del tempo.

Machiavelli diviene il segretario fiorentino presso la seconda cancelleria. Nel settembre 1512 la

repubblica fiorentina cade e viene restaurata la signoria dei medici. Il suo incarico da segretario della

repubblica finisce. Viene considerato pericoloso e confinato nella sua casa senza potersi avvicinarsi

a Firenze. In questi anni fino alla morte egli si mette a disposizione dei medici con incarichi di poco

conto. Nel 1527 viene restaurata la repubblica e i repubblicani lo definiscono traditore e si

guarderanno bene nel coinvolgerlo, morirà poco dopo.

I primi scritti politici costituiscono secondo gli studi le bozze per i discorsi di Pierso de Rini. Egli

scrive De Principatibus, e Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Vengono scritti durante

questo esilio forzato a San Casciano, egli ci svela che prima che cadesse la repubblica si stava

dedicando alla stesura dei Discorsi. In questo testo è presente un stoicismo polibiano. Egli parafrasa

alcune cose tratte dall’opera polibiana. Il tema è la repubblica. Per Machiavelli non ha più senso

riprendere questa opera dopo la ripresa del potere dai medici, questo non significa che lui metta in

discussione il suo pensiero politico ma ritroviamo invece un realismo politico. Secondo Machiavelli

all’Italia rispetto alla Francia e alla Spagna, è mancata l’opportunità di affermarsi come stato forte e

solido. Niccolò afferma che se in Italia è presente il barbaro dominio ovvero gli stranieri è perché la

chiesa non ha consentito di essere privata degli stranieri, non è stata forte da permettere una

liberazione del territorio nazionale né ha consentito che qualcun’ altro potesse occuparsi dell’Italia.

È un accusa forte, al trono di Pietro vi è un papa mediceo. Secondo lui la famiglia dei medici deve

occuparsi dell’Italia anche perché avrà l’appoggio del papa facente parte della sua famiglia.

Nella lettera dedicatoria a Lorenzino de’ Medici presente nel De Principatibus scrive che solitamente

ai principi si porgono dei doni ma egli afferma che non ha altro che la conoscenza delle cose antiche.

Alberto Presti

Egli scrive il perché può dare consigli: il principe dall’alto vede il bisogno del popolo mentre lui dal

basso vede la grandezza degli uomini potenti.

Egli scrive i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio per colmare l’ignoranza della gente,

l’ispirazione di Machiavelli deriva dalle storie di Polibio infatti ritroviamo una parafrasi di ciò che

aveva scritto Polibio. Deriva da Polibio la concezione pessimistica della storia, l’idea di una

mancanza di progresso, di un perenne ritorno. Fa propria la ciclicità polibiana, ma usando cautela:

Machiavelli cambia il linguaggio al posto dell’aristocrazia pone il governo degli ottimati e al posto

di oclocrazia pone il governo dei licenziosi. Solo la forma mista da migliori risultati. Esprime l’amore

per la repubblica, odia la tirannide che egli vede diversa rispetto all’esperienza della res publica

romana dove il dictatur era il magistrato eccezionale, chiamato in occasioni di gravi disordini per

porre fine a questi, ma vi era un accentramento dei poteri. Esalta la res publica romana, la mescolanza

delle tre forme rette da migliori risultati di durata. Quindi fa una distinzione fra dictatur e tirannide.

Egli volgarizza il termine stato, è lui che lo fissa definitivamente, come organismo fornito di capacità

di esercitare il monopolio della forza (stato moderno), esprime anche nella sua idea di stato il suo

pessimismo antropologico che lo porta a scrivere nelle pagine del Principe che gli uomini dimenticano

prima la morte del padre che della roba. Egli descrive in maniera cinica i familiari che dibattono

dell’eredità. Vi è una malvagità nell’uomo che spinge Machiavelli a dare dei consigli specifici al

principe, se gli uomini fossero buoni questi consigli non sarebbero adatti. L’uomo che ha successo è

colui che ha il coraggio dinanzi l’ignoto e l’imponderabile di sapersi destreggiare e farsi avanti. È

potente ma non onnipotente, concede all’uomo una possibilità di modificare gli eventi sebbene

limitatamente. Le azioni degli uomini sono dominate dal 50 % dalla capacità e dal 50 % dalla fortuna

che non sempre è considerata positiva. Se un uomo non riesce a contrastare l’ignoto egli resta in balia

della fortuna.

La fortuna è come un fiume in piena che straripando inonda le terre vicine quando in tempo di quiete

l’uomo non ha provveduto nella costruzione di argini. Pretendere di farlo quando le acque sono

ingrossate è irrazionale e irragionevole. La fortuna è paragonata al fiume in piena, se l’uomo non

contrasta l’imponderato, l’azione impetuosa della fortuna si impone su di noi. La capacità di colui

che governa è di non affidarsi ciecamente alla fortuna, deve prevedere le azioni, anticipare le

situazione e porre un rimedio. Egli apprezza coloro che hanno questa capacità, disprezza i mediocri

ovvero coloro che non sono capaci. Non c’è mai una definizione precisa della fortuna machiavelliana

ma egli da degli esempi. In un altro esempio la identifica come una donna che va battuta e sottomessa.

Per lui il principe è spregiudicatezza, audacia e lo identifica in Cesare Borgia figlio del papa

Alessandro VI. Caterina Sforza raggiunge l’acne della spregiudicatezza (rappresenta bene anche lei

nel Principe). Gli uomini sono avidi e dunque lo stato diventa strettamente correlato a questa necessità

di arginare una natura umana che esprime profondo pessimismo. Egli inizia dicendo che tutti gli stati

che hanno governato sui popoli o sono o repubblica o principati. Lo stato è qualcosa che esiste e va

consolidato rafforzato e conservato. Il suo obiettivo è solo consolidarlo, riformarlo e pensare alla sua

grandezza e alla buona salute. La sua anima repubblicana non viene meno nel suo trattato. Foscolo

ammette che Machiavelli vuole mettere in guardia il popolo di quale nefandezze il principe potesse

essere capace quindi non vuole dare insegnamenti. Stessa cosa afferma Rousseau, un’opera

pedagogica diventa un’opera repubblicana. Fingendo di educare il principe egli dona un

insegnamento ai popoli. Nella famosa lettera a Francesco Vettori egli afferma di aver scritto un’opera

pedagogica.

La stesura dei due testi è contemporanea, in quel contesto la famiglia dei Medici può trarre beneficio

dal Principe. Il clero corrotto ha corrotto i costumi. La sua concezione religiosa è presente nel De

Principatibus, infatti la religione è considerata instrumentum regni ovvero è un potente strumento

Alberto Presti

nelle mani del principe poiché il popolo si compiacerà di questa devozione che sia vera o falsa che si

traduce in uno strumento politico. Questo non ci deve far cadere nell’errore come colui che non

considera l’importanza della religione, la religione ha contribuito al passaggio da una felinità ad una

umanizzazione. Ciò che porta a detestare la chiesa secondo Machiavelli è il comportamento del clero

corrotto che ha contaminato il popoloma anche il fatto che ella tiene l’Italia divisa.

Nella prima parte del De Principatibus egli distingue gli Stati in Repubbliche e in Principati, nello

stesso egli entra nei particolari e suddivide i tipi di principato. Il Principato ereditario che si eredita

per discendenza, solo un inetto può perdere un principato ereditario, è più umiliante perdere un

principato ereditario che uno nuovo. Il principato misto è un principato per metà ereditato e per metà

dato da nuove conquiste. Il principio base è dato dalla mescolanza tra conservazione e innovazione.

Nel principato nuovo il principe diventa tale grazie alla fortuna, alla virtù e alla scelleratezza, si può

fare un buon uso delle azioni scellerate: troviamo due tipi di scelleratezza il primo è quello positivo

dato da Agatocle tiranno di Siracusa il quale usa la violenza per prendere il potere ma non persevera

e lo conserva, quindi il successo politico secondo Machiavelli è la conservazione del potere;

l’esempio negativo è dato da Oliverotto da Fermo il quale persevera con la violenza. Machiavelli

consiglia al Principe di trasferirsi nella nuova parte di principato nuovo in modo che il popolo si

compiaccia dal fatto che egli ha abbandonato la sede storica per vivere lì. Egli così può controllare

costantemente gli umori del popolo ed evitare una ribellione, se il Principe non può fisicamente

trasferirsi quantomeno deve mandare dei suoi delegati. I principati civili vengono formati dai cittadini

grazie al consenso dell’aristocrazia o del popolo. I principati ecclesiastici coincidono con i territori

della chiesa nei quali la religione diventa uno strumento di coesione che grazie al timore di Dio

possibile mantenere a bada gli spiriti, ed è quindi semplice da mantenere, l’unica difficoltà è la

conquista. Si ottiene o per virtù o per fortuna.

Egli focalizza la sua analisi sul principe nuovo che per lui è il capo perfetto, crea organizzazione

politica, concentra su di se la virtù. Nella concezione machiavelliana il principe è colui che riesce a

rappresentare lo stato e incarna i desideri della società, utilizza i sudditi come strumenti della sua

volontà. La virtù non è legata alla religione ma si traduce nella capacità del principe di contrapporsi

agli eventi e di dominarli. Cesare Borgia riuscì a dominarla, ma la fortuna ebbe il sopravvento

nell’altra metà. Virtù che deriva da vis vigore e da vir uomo. In questa virtù egli distingue i profeti

armati e disarmati. Savonarola è considerato disarmato perché è destinato al fallimento, mentre Mosè

è considerato armato. Il consenso si afferma con la forza , con le parole piano piano si perde. Solo

l’armato può avere successo. Meglio essere audace e impetuoso che rispettoso. Il principe deve essere

astuto come una volpe e forte come un leone.

Una renovatio interiore è necessaria per rinnovare lo stato. Lo stato non può essere ipotecato

dall’etica. Del male si può dire bene dice Machiavelli, è accettato un delitto politico, ma non vi deve

essere una perseverazione nella crudeltà. La necessità giustificava la crudeltà. Non bisogna mai

sporcarsi le mani, in prima persona bisogna dare gli onori ma l’esecuzione la deve rimettere a dei suoi

funzionari.

Quando la sicurezza dello stato è messa in discussione le crudeltà diventano ben usate, la sicurezza

dello stato è una necessità. La sua anima repubblicana è conforma alla res publica romana e non

conforme alla repubblica fiorentina. Per Machiavelli la res publica romana è perfetta poiché è

armonicamente consolidata e coinvolta da tutte le classi sociali, mentre la repubblica fiorentina

escludeva alcune classi sociali. Pierso Da Rini era l’emblema dell’inettitudine politica poiché aveva

modificato la carica di gonfaloniere in un ruolo a vita.

Alberto Presti

Nella seconda parte del De Principatibus egli analizza il problema della milizie. Esistono diversi tipi

di milizie: la prima è la milizia mercenaria, è considerata inaffidabile, non vi è scrupolo in questo

tipo di milizie nel schierarsi prima da un lato e poi da un altro poiché si vende al migliore offerente,

non lo fa per spirito patriottico ma per soldi. Machiavelli li chiama “armi infelici”, è compito del

Principe evitare di utilizzare questa milizia. La seconda è la milizia ausiliare che Machiavelli

definisce “armi inutili”. Queste milizie vanno in ausilio del Principe quando egli non è in possesso

di un esercito e quindi chiede aiuto ad uno Stato potente che invierà delle milizie ausiliari per

sostenerlo. Ma non sempre questo esercito può essere valoroso e quindi portare facilmente il Principe

alla rovina, in caso contrario, se le milizie vincessero allora non si accontenteranno facilmente

solamente del bottino di guerra e quindi il Principe diventerà una facile preda. L’ultima è la milizia

propria, composta da sudditi e da cittadini, definita da Machiavelli “armi proprie”. Essi combattono

per spirito patriottico e non per soldi.

Nella terza parte del De Principatibus è presente la precettistica machiavelliana, egli da consigli e

suggerimenti sul modo di governare e fa presente al Principe degli esempi che vanno imitati o evitati.

Qui egli è particolarmente incisivo e fa emergere il suo realismo, ovvero il freddo teorico della verità

effettuale. Delinea le linee guida sulle qualità umane e politiche che un Principe deve avere. Da qui

emerge il pessimismo antropologico machiavelliano, la massa è fatta da uomini che non sono buoni

e che possono rovinare lo stato. La necessità è una costante nella concezione di Machiavelli. Egli si

pone un quesito, tra crudeltà e umanità cosa deve scegliere il Principe? Meglio essere amato o odiato?

Machiavelli afferma che il Principe deve essere clemente e mai troppo crudele ma non deve abusare

della sua clemenza e della sua pietà. L’etichetta di crudele è quasi scontata e prima o poi il Principe

la acquisirà automaticamente. Egli non può esasperare la vita del popolo, deve essere una crudeltà

che deve saper bene usare, il timore che deve suscitare non deve sfociare nell’odio. Da questo quindi

nasce una disputa poiché un Principe cerca di essere sia crudele che clemente ma Machiavelli afferma

che è meglio che il Principe sia temuto che amato. Gli uomini sono ingrati, e quindi non saranno mai

riconoscenti nei confronti del Principe. Un comportamento lodevole non è premiato.

Quando non c’è pericolo gli uomini si mettono a disposizione, quando invece la necessità richiede

che gli uomini si mettano a disposizione del Principe, quest’ultimo non troverà nessuno ad aiutarlo.

Il Principe si deve guardare bene dal toccare il patrimonio del popolo appunto perché questa

esasperazione del pessimismo antropologico machiavelliano ci mette in guardia dal fatto che l’uomo

dimenticherà prima la morte del padre che la perdita del patrimonio. Meglio essere parsimonioso, non

bisogna far troppo uso dei beni dei sudditi, è necessario l’utilizzo dei soldi dei bottini di guerra, ed

essere dispendioso e parsimonioso solo in questo caso.

Machiavelli avverte il Principe che deve allearsi con i confinanti più deboli e non con quelli più forti,

poiché con quelli più deboli può creare un’alleanza più forte. Il Principe deve essere capace di capire

chi sono i buoni consiglieri, e non deve lasciare una troppa libertà di parola, deve avere consigli solo

quando lo richiede egli stesso.

Nella quarta parte del De Principatibus Machiavelli esorta il Principe a prendere le armi e a liberare

l’Italia dal dominio straniero, l’ultima parte è chiamata exortatio.

Jean Bodin

Jean Bodin fu giurista e deputato agli Stati generali dal 1576. Ad egli si attribuisce il concetto di

sovranità. Sostenne la libertà di culto, ma con le sue teorie, favorì anche la persecuzione della

stregoneria. Vanno ricordati i suoi scritti Methodus ad facilem historiarum cognitionem e Six

livres de la république. Aderì al partito dei politici che era contrapposto al partito dei monarcomachi.

Alberto Presti

Il loro compito è quello di rafforzare il potere e non di limitarlo, contraltare invece è il partito dei

monarcomachi, che altro non è che il partito calvinista, che sollecita una limitazione del potere

affinché una fede religiosa possa avere miglior raggio d’azione. I monarcomachi si fanno sostenitori

di una resistenza attiva e di un’alleanza in primo luogo tra Dio e il popolo e di conseguenza

quest’ultimo diventa difensore di Dio e in secondo luogo un’alleanza tra il re e il popolo che si fa

difensore della legge di Dio. Egli si fa propugnatore della differenza di forma di stato e forma di

governo ovvero titolarità ed esercizio della sovranità. Quando lo stato è corrotto è colpa della forma

di governo.

La notte di San Bartolomeo ovvero la notte di massacro tra cristiani e ugonotti, segnò profondamente

le opera bodiniane. Queste tensioni spingono Bodin ad affermare che se lo stato ha intenzione di

rafforzarsi deve stare al di fuori delle dispute religiose; questo suo pensiero però non deve essere

considerato come una tolleranza religiosa. Nel Colloquio tra i sette saggi Bodin afferma che compito

del sovrano è quello di garantire a ciascuno la liberà di professare il proprio credo religioso poiché ha

dei risvolti positivi nella centralità dello stato, nulla a che fare però con l’instrumentum regni

machiavelliano.

La riflessione del partito monarcomaco è rappresentata da Théodore de Bèze che si fa sostenitore

della limitazione del potere, fu allievo di Calvino, autore di uno scritto Du droit des Magistrats sur

leurs sujets. L’opera che però ben sintetizza il pensiero monarcomaco è Rivendicazione contro i

tiranni scritta in latino e apparsa con uno pseudonimo, sotto il nome di Junius Brutus, ma

probabilmente redatta da due rappresentanti illustri ovvero Philippe Duplessis-Mornay e Hubert

Languet . In questo testo il tema fondamentale è la liceità della resistenza attiva, vengono posti

all’interno di quest’opera quattro quesiti fondamentali, dove gli autori rispondono sempre

affermativamente. 1) I sudditi devono disobbedire al principe quando comanda cose contrarie alla

legge di Dio? 2) In questi casi è lecito attaccare con violenza? 3) È lecito resistere al principe se fa

una politica oppressiva? 4) Se è oppresso un altro popolo è lecito andare in aiuto? Sì afferma il testo,

ponendosi a favore della resistenza attiva. Per comprendere da dove viene tratta la giustificazione

della liceità della resistenza attiva dobbiamo prima sottolineare che negli autori non vi è presente un

pensiero democratico, non vi è alcuna esaltazione della democrazia piuttosto comprendiamo che vi è

una fonte biblica la quale dona liceità alla resistenza contro un governatore iniquo. Alla base vi è

quindi il pensiero monarcomaco di un duplice contratto che ha fondamento nella bibbia, contratto tra

Dio e popolo e tra popolo e Re. Nel primo contratto è il popolo che con la sua alleanza e fede difende

Dio da tutti coloro che osano offenderlo ed è lecito rivoltarsi chi offende la legge divina mentre nel

secondo contratto il Re deve regnare con giustizia e secondo legge divina e se non rispetta la giustizia

è lecita la resistenza attiva.

Bodin appartiene agli Stati Generali ed era sostenitore del terzo stato. Grazie al testo Demonomania

degli stregoni favorisce la persecuzione della stregoneria.

Appartiene a quella borghesia che riesce ad acquistare le cariche più importanti, divenne anche

avvocato nel parlamento di Parigi, il parlamento aveva solo un potere giudiziario. Fu anche un

economista, scrisse l’opera Résponse à Monsieur de Malestroit dove parla del rincaro dei prezzi.

Ripristina il binomio tra economia e politica, cerca di limitare apparentemente il potere del sovrano

poiché secondo lui una caratteristica fondamentale della sovranità è l’assolutezza. La limitazione sta

solo nel senso che il sovrano ha un limite umano rispetto a Dio, per il resto ha un potere illimitato.

Per Bodin la Repubblica è una forma di stato e non di governo. Nell’opera Methodus ad facilem

historiarum cognitionem egli fa un retaggio aristotelico, coglie nella concezione della storia un’idea

di progresso e riconosce il compito dell’uomo che con la sua volontà costruisce e fa la storia. Il male

Alberto Presti

non è un elemento ineliminabile dalla storia. La cellula fondamentale dell’organizzazione dello stato

è la famiglia. L’uomo grazie alle prime organizzazioni familiari organizza dei governi più complessi

fino ad arrivare alla creazione di uno stato. Nell’opera Six livres de la république egli scrive contro

Machiavelli, lo accusa di aver fondato lo stato su cose assolutamente diverse ovvero sull’empietà e

sull’ingiustizia anziché sulla giustizia e sulla religione. Il contributo più importante che egli diede

nella disciplina delle scienze politiche e nel diritto pubblico è di aver dato la fondamentale definizione

di sovranità. Sovranità è la facoltà di dare, annullare, interpretare e modificare la legge, sovrano è

colui che ha il potere legislativo, colui che fa la legge; definisce legge “il comando di colui o coloro

che hanno pieno potere sugli altri senza eccezione per alcuno sia collettivamente che singolarmente

restandone eccettuato solo colui che comanda”. Il sovrano è ab solutus è sciolto dal comando,

presenta al di sopra solo Dio che è l’unico limite. Il cardine della riflessione bodiniana è la sovranità.

La Repubblica per Bodin è un governo giusto di più nuclei familiari e di ciò che è loro comune con

potere sovrano. È comune alle famiglie il territorio, il tesoro pubblico, le strade, le leggi, la giustizia,

tutto ciò che è pubblico. Nell’organizzazione dello stato esclude qualunque ipotesi di collettivismo e

comunismo, viene ripreso nella sua riflessione Platone, ma si astiene dal condividere l’idea del

comunismo platonico. La proprietà diventa il cardine dello stato, una sovranità che si palesa nella

deliberazione della guerra, nella stipula dei trattati di pace, nell’imposizione dei tributi e la concezione

della grazia. Senza la sovranità non possiamo parlare di stato, ha una funzione unificatrice, come una

nave si riduce ad essere un pezzo di legno se vengono smontate le parti fondamentali, senza sovranità

non si può parlare di stato. Questa sovranità ha delle caratteristiche fondamentali. La sovranità è

perpetua, assoluta, indivisibile e inalienabile (ovvero non può essere né ceduta né venduta).

L’indivisibilità della sovranità smonta un principio cardine dei pensatori classici, ovvero che la

mescolanza delle forme retta garantisce uno stato più durevole; egli è completamente in disaccordo

con la forma mista, Bodin afferma che è un “regime bastardo e ingannatore”, la sovranità non può

essere suddivisa in soggetti eterogenei. È perpetua perché non muore con l’individuo che la detiene,

la sovranità è per sempre, è legata alla coscienza direttiva della società ovvero non è legata ai titolari

che sono sempre momentanei, esseri umani soggetti a morte, la sovranità non ha limiti temporali, non

muore. L’assolutezza è la caratteristica più importante della sovranità. Bodin ha la consapevolezza

di dare per la prima volta una definizione di sovranità. Le forme di stato hanno la titolarità della

sovranità mentre le forme di governo sono esercizio della sovranità. Egli pone una distinzione tra le

due forme. Nove sono le forme di governo, frutto delle diverse combinazioni. Il titolare può

coincidere con l’esercizio ma può anche non coincidere. Se corruzione c’è è colpa della forma di

governo. La forma di stato non è soggetta alla corruzione. Presenti diversi tipi di giustizia, giustizia

geometrica, aritmetica e armonica.

Egli nel Methodus ad facilem historiarum cognitionem riprende il concetto della teoria dei climi.

La migliore latitudine si presta a presentare la monarchia regia ovvero la migliore tra le forme di

governo, il sovrano è assoluto ma è limitato dal potere di Dio. Le latitudini nordiche sono

caratterizzate da uomini forti e per governarli è necessaria la forza; le latitudini meridionali sono

caratterizzate da uomini portati alle attività contemplative e speculative, come la filosofia e la

matematica e per governarli è necessaria la religione. Nella latitudine centrale sono presenti gli

uomini di mezzo che sono meno forti delle popolazioni nordiche e meno intelligenti delle popolazioni

meridionali però sono quelle che si governano con ragione e giustizia poiché mescolano le due

attitudini, non troppo forti e non troppo intelligenti. Hanno un equilibrio di spirito e forza che li porta

ad avere la migliore forma di governo e sono naturalmente inclini alla monarchia regia, legittima.

Bodin si guarda bene dal poter concludere questa analisi con delle indicazioni meccanicistiche ma ci

Alberto Presti

vuole dire che se si applica una forma di governo non consona alle peculiarità di quelle popolazioni

l’esito è sempre disastroso, vanno assecondati i caratteri peculiari. Astrattamente parlando scrive

Bodin che la sovranità assoluta può risiedere in uno, pochi o molti l’unità da maggiori esiti di durata.

La monarchia regia è la migliore perché la giustizia si esplica nella sua forma armonica. Bodin che

esclude inizialmente la mescolanza ammette arriva ad ammettere più o meno consapevolmente la

mescolanza tra giustizia aritmetica e geometrica. La prima non tiene conto di un dovere meritocratico

mentre la seconda si. Contempla la bontà di entrambe le giustizie quindi del principio di uguaglianza

e del principio meritocratico e mescola queste due applicandole all’interno della monarchia regia.

Nell’opera Six livres de la république fa una distinzione tra tre tipi di tirannia. Il tiranno usurpatore,

in esercizio e in esercizio limitato. Quest’ultimo è una tipologia nuova nata dalla divisione tra forma

di governo e di stato. Il tiranno usurpatore è colui che può essere ucciso e non ha legittimità nel

governare. Il tiranno in esercizio è colui che ha preso legittimamente il potere ma in secondo

momento ne abusa. Egli è il titolare della sovranità (monarchia monarchica) e non può essere ucciso,

bisogna utilizzare solo una resistenza passiva. Il tiranno in esercizio limitato (aristocrazia monarchica

o democrazia monarchica) dove il monarca non è un sovrano in assoluto, non è detentore del potere

e può essere ucciso (?).

Davanti alla ginocrazia (potere delle donne) esprime un’idea retrograda, secondo Bodin uno stato

non può essere guidato da una donna. Per Bodin la guerra può avere dei risvolti positivi se uno stato

è impegnato in battaglia, è benefica perché ha ripercussioni benefici all’interno dello stato, una guerra

contro un altro stato difficilmente consentirà la nascita di guerre civili. Guerra come realtà inevitabile

poiché sebbene l’uomo è un essere razionale spesso l’abbandona e sfocia in una espressione bestiale.

Le guerre difensive e preventive sono legittime anche quelle che vanno a sostegno di uno stato

tirannico, ha il compito di purgatore dello stato.

Il cittadino onesto è colui che davanti la richiesta del sovrano, dichiarerà i propri redditi, il sovrano

non osa mettere le mani nelle proprietà dei cittadini, ma può mettere delle tassazioni sui redditi per

usufruirne socialmente e creare benessere. Ordinare le finanze utilizzando le entrate fiscali in modo

vantaggioso.

La ragion di Stato

Trattasi di una teoria politica, è un’espressione che appartiene al tardo rinascimento, usata per

sottolineare il ricorso alla forza, a strumenti eccezionali, il ricorso da parte dei soggetti politici

legittimati per garantire l’ordine della società. É una locuzione che nasce con Machiavelli sebbene

non ci sia una pagina dell’opera machiavelliana che riporti questa espressione. La fonte che ci

consente di affermare ciò è il capitolo XVIII dell’opera De Principatibus, dove Machiavelli afferma

“facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: è mezzi iudicati onorevoli e da ciascuno

saranno laudati”, questa concezione è definita la quinta essenza di Machiavelli. Una riflessione di

questo tipo durante il periodo della controriforma mossa del Concilio di Trento (1545-1563) spinge

la condanna dell’opera di machiavelliana nel 1559. La ragion di stato non è un argomento discusso

solamente nelle corti ma chiunque discute di ragion di stato in qualsiasi luogo, diventa un tema

oggetto di una conversazione popolare.

Nell’opera di Francesco Guicciardini Del Reggimento di Firenze (1521-1523) egli scrive che la

ragion di stato è una voce poco cristiana e poco umana, tutti gli stati sono violenti afferma, lo stato

Alberto Presti

non è altro che una violenza sopra i sudditi palliata con qualche titolo di onestà. Chi osserva l’origine

dello stato non può che evidenziare la natura violenta.

Monsignor Della Casa nell’opera Orazione a Carlo V (1547) definisce la ragion di stato voce

beduina e demoniaca.

Giovanni Botero, gesuita, ci fa riflettere anche sulla sua idea d’Europa, riprende la tradizione

scolastica e afferma che la città è la necessaria premessa del vivere civile, la non Europa non è soltanto

rappresentata dall’America ma anche dalla Cina che diventa il paese dalla grande civiltà, il regno

ricco e grande, il regno ben ordinato. Egli da un contributo nella riflessione della ragion di stato,

Botero sottrae l’idea di ragion di stato dallo statuto di prassi politica immorale per attribuirle un

contenuto neutro, nell’ambito degli studi Della ragion di stato. Botero interroga sulla ragion di stato.

La definisce come “notizia dei mezzi atti a fondare, conservare e ampliare un dominio così fatto”,

l’aspetto più importante però è la conservazione, poiché la conservazione del potere viene interpretata

da Botero come garanzia di pace. Botero precisa che è più semplice conservare i territori mezzani

ovvero che non sono né troppo grandi né troppo piccoli, poiché i territori piccoli sono facile preda e

i territori grandi suscitano invidia. Egli distingue inoltre la buona ragion di stato dalla cattiva.

Avremo una buona se la ragion di stato è finalizzata alla conservazione di una buona forma di

governo, perversa e cattiva se sarà finalizzata alla conservazione di una forma degenerata.

Altro autore è Scipione Ammirato, autore di Discorsi sopra Cornelio Tacito nella quale opera egli

distingue una ragione naturale, civile, militare e internazionale. Naturale laddove siamo in presenza

dei primi aggregati tra individui; la ragion civile nasce con la nascita della vita associata; militare è

la ragion di stato che prende il sopravvento quando vi è un conflitto; internazionale laddove vi sono

relazioni tra stati diversi.

Norberto Bobbio da la definizione più importante di ragion di stato: “Per ragion di stato s’intende

quell’insieme di principi e di massime in base alle quali, azioni che non sarebbero giustificate e

compiute da un individuo singolo, sono non solo giustificate, ma addirittura, in taluni casi, esaltate

e glorificate se compiute dal principe e chiunque eserciti il potere in nome dello stato”. Secondo

Bobbio è necessario che ci sia la legittimità che deriva da chi detiene il potere, ovvero chi è a capo

del governo deve cercare tutti i mezzi per garantire la conservazione dello stato.

Importante è dunque far riferimento alla nascita di un fenomeno nato nel periodo della Controriforma

ovvero il tacitismo. Nascono due forme di tacitismo, quello retto e quello falso. Il tacitismo buono fa

chiaro riferimento a quei letterati che veramente si ispirano allo storico latino Tacito. Mentre il

tacitismo falso invece fa riferimento a coloro che nominano Tacito solo come éscamotage per non

nominare Machiavelli visto che non era consentito fare chiaro riferimento alle opere machiavelliane

e alla ragion di stato.

Tommaso Campanella

Tommaso Campanella nasce a Stilo nel 1568, fu un frate domenicano. Egli scrive La Città del Sole,

opera utopica che riprende l’opera Utopia di Thomas More. I suoi interessi per la magia , per

l’astrologia e la volontà di rovesciare il governo spagnolo lo porta ad essere condannato a morte, si

finge pazzo e dunque fu incarcerato per 27 anni. Va in Francia per evitare di essere perseguitato

dall’inquisizione. Ci descrive la terribile tortura a cui viene sottoposto, 40 ore di tortura per cercare

di farlo parlare e di svelare che in realtà non era pazzo ma riuscì a fingere. In carcere egli elabora le

sue opere. Viene ricordato insieme a Giordano Bruno come uno degli esponenti della filosofia della

natura. Fu accusato di aver organizzato una rivolta contro gli spagnoli, in effetti egli sosteneva che la

fonte di ogni discordia è il regno di Napoli, un regno posseduto dalla Spagna e desiderato dalla

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Francia. Con la sua opera cerca di esprimere la sua ansia per una renovatio globale, di una riforma.

Tra le sue opere ricordiamo La Monarchia di Spagna e Aforismi Politici. Ha la presunzione di

affermare che la sua opera completa l’idea platonica di stato.

Egli fomenta la ribellione contro tutte le forme di ingiustizia, contro il parassitismo ozioso

dell’aristocrazia e esalta il lavoro manuale. Riflette sui disabili, dicendo che essi devono dare un

proprio contributo nella società limitatamente alle loro possibilità, è dunque un precursore

dell’integrazione dei disabili.

La Città del Sole pubblicata nel 1602 è un dialogo che si svolge tra il Genovese, nocchiero di

Colombo e l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta. La città è immaginata nell’isola di

Taprobana, sorge su un monte e comprende la pianura circostante, è circondata da sette giri di mura

istoriate (riprende il numero sette simbolo dei sette pianeti), vi sono quattro porte che rappresentano

i quattro punti cardinali. Al centro e posto in alto vi è un Tempio con due mappamondi (il cielo e la

terra). Esprime il suo desiderio di evasione e grido di protesta dall’oppressione baronale. Opera di

condanna contro l’ozio e contro l’accumulazione della ricchezza. È un’organizzazione dove non

circola denaro, nessuna attività viene disprezzata dagli isolani, i lavori manuali sono dignitari. Il capo

del governo è il gran Metafisico (Sole), è un sacerdote ed è l’uomo più saggio di tutti con una

conoscenza enciclopedica, è coadiuvato da tre ministri Sin, Pon e Mor, vi è l’influenza dei principi

dell’essere, l’essere si presenta con i suoi tre principi, sapienza, potenza e amore che sono illimitati e

infiniti ma nell’uomo trovano finitezza negli opposti. Sin è la sapienza, Mor si occupa delle unioni e

della procreazione (non c’è famiglia) e Pon si occupa della potenza ovvero la guerra di difesa. I tre

ministri hanno al loro servizio altri tre collaboratori e funzionari, tutti maschi. La politica

dell’istruzione è innovativa, i bambini imparano attraverso le immagini che sono presenti nelle mura

della città. Vi è una ripresa della filosofia platonica poiché anche Campanella cerca di dare giustizia

alla città attraverso l’idea che bisogna seguire l’inclinazione della persona che occuperà nella società

un posto a cui essa è portata naturalmente. Per quanto riguarda la politica sulla procreazione, vi è una

necessità di compensare le caratteristiche fisiche e di migliorare la razza isolana (eugenetica

platonica), vi è un’età minima per la procreazione diciannove per le donne e ventuno per gli uomini.

Gli accoppiamenti devono seguire una logica opposta ovvero gli uomini grassi devono accoppiarsi

con una donna magra e viceversa per creare compensazione. La legge del taglione viene applicata

nella legge dei solari. Le sentenze vengono eseguite da tutto il popolo, il Sole può graziare. La

proprietà privata è considerata un’ingiustizia, la proprietà è comune. Il cavaliere di Malta riprende la

critica che Aristotele fece a Platone mentre parla con il nocchiero. Si lavora solo quattro ore al giorno

fino ai quarant’anni ovvero la vecchiaia. Abolizione della schiavitù, la religione professata è quella

pre-cristiana senza dogmi, la religione naturale.

Utopia e la Città del Sole a confronto:

Utopia (1516)

• Comprende 54 città tutte nello stesso

piano, vige un sistema elettivo e il

territorio è chiuso.

• More è contro l’astrologia.

• Sono previste sanzioni per eventuali

tiranni

• Molte religioni, vi è la tolleranza.

• È ammessa la schiavitù in sostituzione

della pena di morte

• Si lavora sei ore al giorno

• Vi è la famiglia

Città del Sole (1602)

• Comprende una sola città, le cariche

sono per investitura, è una città aperta.

• Astrologia e magia sono necessarie.

• Non è ammesso che il Sole possa

degenerare.

• Una sola religione, un solo culto.

• Non è ammessa la schiavitù, né la

servitù. I giovani sono a servizio degli

ultra quarantenni.

• Si lavora quattro ore al giorno

• È abolita la famiglia

Alberto Presti

Giambattista Vico

Giambattista Vico nasce a Napoli nel 1668. Egli non aderisce ai canoni del suo tempo ovvero

l’illuminismo, e quindi è un isolato. É un autodidatta, studia filosofia e diritto civile ma per problemi

di salute non riesce a concludere gli studi. Accetterà un posto da precettore che gli consentirà di

occuparsi dello studio dei nipoti di Mons. Rocca, accederà ad una grande biblioteca che gli consentirà

per certi versi di continuare gli studi, trova opere di Platone, Aristotele, Tacito ecc. Per questioni

economiche partecipa ad un concorso a cattedra bandito dall’università. L’idea vichiana della storia

è assimilabile ad una spirale: il ricorso non è mai uguale a quello precedente. Vico parla di preistoria,

l’uomo passa dalla preistoria alla storia. Il cerchio superiore è sempre l’ampliamento di quello

precedente. L’uomo con le sue cadute testimonia la sua libertà di creare la storia. Ha una scrittura

contorta e complicata e pochi studiosi hanno perso tempo ad analizzare i suoi testi, il più grande

studioso è Benedetto Croce. Scrive delle orazioni, la più importante è la settima, in cui emergono

interessanti studi pedagogici e la critica a Cartesio. L’opera più importante è la Scienza Nuova

(definita prima) del 1725. Opera vasta, estremamente concettuosa, lingua tormentata e pesante, di

difficile comprensione. La riscrive nel 1730 a causa di tutte le critiche che ricevette, quest’altra

edizione viene ricordata come Scienza Nuova seconda, nel 1744 viene ripubblicata e chiamata

Scienza Nuova ed è la versione finale su cui tutti gli studiosi si concentrano.

Scienza Nuova in realtà è un’indagine su una scienza antichissima, indaga su un nuovo metodo

attraverso cui l’uomo può indagare la storia, la scienza nuova è la storia. La novità sta nel nuovo

metodo di indagine proposto, prende le distanze da tutti coloro che hanno preteso di poter presentare

sotto forma di idee chiare e distinte cose invece che l’uomo non può avere chiare e distinte. L’uomo

può avere una conoscenza (sinonimo di scienza) di tutto ciò di cui è artefice, tutto ciò che l’uomo non

ha fatto egli non può avere scienza ma coscienza cioè consapevolezza dell’esistenza. L’uomo non

può avere la presunzione del cogito ergo sum. Questa distinzione consente a Vico di dire che sapere

è possedere l’origine di una cosa, ovvero il modo e la forma con cui è fatta, mentre con la coscienza

non possiamo conoscere l’origine di una cosa. Coscienza è di coloro che non hanno creato una cosa.

Egli ha certezza che prima che l’uomo entrasse nella storia quest’ultimo vivesse nella preistoria in

uno stato di ferinità, incapace di ritagliarsi una dimensione confacente alla sua umanità, infatti

definisce gli uomini preistorici bestioni. Secondo Vico il timore degli Dei è stato un elemento

umanizzante estremamente importante, poiché legato al pudore di cui era privo quando l’uomo

preistorico era una bestia, incapace di pudicizia.

Giambattista Vico identifica una relazione importante tra filosofia e filologia. Ciò che Vico intende

per filologia va oltre lo studio dell’origine linguistica di un popolo, ma riguarda anche la loro

economia, il diritto, la politica. È attraverso lo studio della lingua che secondo Vico possono essere

messi in luce “fatti” che in nessun altro modo potrebbero essere “scovati”, pervenendo ad un alto

grado di certezza. Ma affinché la storia diventi “scienza” si deve passare dall’accertamento

all’inveramento ossia i fatti devono essere spiegati casualmente, deve essere scoperta la legge eterna

che determina le vicende di tutte le nazioni. Di questo si occupa la filosofia, è la scienza del vero che

fa propri i fatti mediante la ricerca dei principi universali attraverso il corso della storia. Quindi non

vi è più un’ipotesi filosofica ma dei fatti storici. Per Vico la storia è formata: dall’età degli dei, età

degli eroi ed età degli uomini. Prima l’uomo viveva come bestia, successivamente ha abbandonato la

preistoria compiendo l’ingresso nella storia attraverso fattori umanizzanti, ciò che adesso lo distingue

dalla bestia è il timor di dio, al quale deve rispetto. Per quanto riguarda la religione Vico parla di

religione dei sepolcri poiché secondo lui non bisogna lasciare i corpi all’aperto, ma tumulati. Per

Vico la storia è fatta dall’uomo ma non è autonoma poiché vi è la provvidenza ordinatrice che non

Alberto Presti

determina la coscienza degli uomini. Questa concezione è opposta a quella di Machiavelli, che aveva

sostenuto che le azioni dell’uomo dipendono dal caso, dall’ignoto, la provvidenza non è ignoto ma si

manifesta come garanzia di ordine e libertà. Per Vico la provvidenza rappresenta un architetto che

aggiusta, capace di spostare gli eventi sempre in positivo, che ha operato per salvare l’umanità.

Nell’età degli dei gli uomini vivono come bestie. Quando si entra nella storia, si ha lo stato delle

famiglie, quest’ultimo è formato dal pater e dai servi, c’è dunque un’autorità economica e civile.

Nell’età degli eroi vi è una forma aristocratica, in cui l’elemento aristocratico è rappresentato da

pochi pater familias che decidono di far fronte alla ribellione dei servi che viene risolta dal governo

aristocratico. È questa l’età dove gli eroi vengono visti come privilegiati da dio e la lingua subisce un

cambiamento utile affinché la preghiera possa esaltare le gesta degli eroi. Dalla repubblica

aristocratica però nasce una ribellione dei servi e da qui nasce la repubblica popolare, l’età degli

uomini. Il ciclo si conclude con la monarchia costituzionale che non è in antitesi alla repubblica

popolare, ma nasce come unica soluzione in grado di tutelare e garantire i diritti che l’uomo non è

riuscito a preservare. L’osservanza delle leggi è basata sui criteri egualitari. La storia quando giunge

alla terza età può degradare e può ricorrere al primo periodo che non sarà mai identico. L’idea

vichiana è quella di una monarchia costituzionale che nasce in favore del popolo. Il conflitto per Vico

è necessario per l’avanzamento dell’epoca successiva, successione delle forme di governo atipica.

Thomas Hobbes

Thomas Hobbes nasce a Westport nel 1588. Egli vive durante il passaggio del trono dalla dinastia

Tudor alla dinastia Stuart con Giacomo I figlio di Maria Stuart. Hobbes vivrà in pieno la rivoluzione

nonostante egli non ne condivida gli ideali, per questo si trasferirà in Francia. La monarchia degli

Stuart è anacronistica ovvero una monarchia assoluta che sembra derivare dal diritto divino. Nel 1620

incominciarono le migrazioni dei padri pellegrini e grazie a questi giungeranno negli USA le prime

tesi per la democrazia. Nel 1660, la restaurazione francese ha permesso a Hobbes di godere della

protezione di Carlo II. Lo scritto più importante il Leviatano si presta all’assolutismo di un uomo

solo e all’assolutismo di un’assemblea.

Un tema presente negli scritti hobbesiani è quello della paura che consente di interpretare la

costruzione politica di Hobbes ovvero il pessimismo antropologico. Secondo lui l’uomo è attratto da

ciò che genera bene e respinge ciò che genera il male, questo “moto” viene avvertito dall’uomo

quando è vivo. L’idea di stato politica è racchiusa nella cosiddetta trilogia di Hobbes composta da:

De ave, De Corpore, De Homme. Hobbes scrisse che la vita è una continua corsa, sorpassare le

persone è la felicità, perché l’altro è un ostacolo da superare e abbandonare la corsa significa morire.

Non esiste bene “totale”in sé, ma “tale” perché percepito così dall’individuo. I postulati della sua

riflessione sono due Cupidi, ovvero il desiderio costante di ciò che si ha davanti a se e la ratio

naturalis, ovvero l’abilità e istinto di mettersi in salvo.

La legge naturale per Hobbes è prodotta della ragione umana. Il diritto naturale è ciò che l’uomo può

fare per salvaguardare la propria vita, l’uomo si riunisce con altri uomini solo se ne trae vantaggio;

l’uomo si comporta come un lupo perché tende a considerare il prossimo come un ostacolo, la

strategia di arrivare per primo è la salvezza per Hobbes. Con Hobbes si parla di modello

giusnaturalistico, costruito attingendo a due elementi: lo stato di natura e la società politica. La vita

non ha una difesa, invece nella società politica, questo bene viene assicurato e protetto. Nel Leviatano

vi è riferimento ai mostri biblici, il mostro marino che si scontrerà con Behemoth, il mostro terrestre

e Ziz il mostro alato. Lo stato naturale è l’antitesi della società politica, nello stato naturale vige il

diritto naturale, per questo Hobbes intende il diritto su tutto, l’idea di potere, avere un diritto di

Alberto Presti

proprietà su tutto ciò che è comune ma il conflitto è inevitabile. Lo ius omnia è fonte di paura e

precarietà dell’uomo, la ratio naturalis dice Hobbes, in qualche modo dormiente, fa comprendere

all’uomo che non deve mettere in pericolo la propria vita e uscire da questo stato di belligeranza. Il

Leviatano descrive lo stato di natura come la guerra di tutti contro tutti, ovvero il bellum oplum

contra omens. La città sulla quale il Leviathan vigila è ben ordinata con mura di cinta ma quasi

deserta, egli reca in mano il bastone e la spada, simbolo del potere della chiesa e dello stato unito. Il

popolo è incorporato nella figura del sovrano e il mostro è formato da corpi di uomini. Occorre un

patto che edifichi artificialmente lo stato chiamato “hortd god” ovvero bisogna abbandonare i diritti

individuali e trasferire il pieno controllo della vita e della proprietà al singolo uomo. Così facendo si

crea il pactum umanis che crea condizione di uguaglianza, ed è suddiviso in: pactum societatis,

ovvero quello che fa fuoriuscire dallo stato naturale e il pactum subiectionis, con il quale viene creato

il potere politico, a cui tutti si sottomettono; si tratta di un patto unilaterale che limita i contrasti e non

il sovrano, che in nome della garanzia di pace può permettersi qualsiasi cosa. Se il sovrano è sciolto

dal patto, ogni tipo di resistenza attiva è irrazionale perché la volontà del popolo coincide con quella

del sovrano, e quindi la disobbedienza sarebbe assurda. La guerra civile è rappresentata con

Behemoth e con il Leviathan che garantisce pace e sicurezza. Lo stato naturale è uno stato in cui vige

il diritto naturale e lo ius in omnia ovvero il diritto su tutto. Ma il conflitto è inevitabile, lo ius in

omnia è simbolo della paura e della precarietà dell’uomo, ecco a cosa serve il pactum. Ed ecco che

la ratio naturalis formula il diritto positivo. Le tre leggi più importanti sono:

• Cercare la pace e preservarla

• Bisogna rinunciare al proprio diritto su tutto

• Bisogna rispettare a parola data

L’uomo vive quindi in uno stato di natura, di guerra di tutto contro tutti, il Leviatano salva le vite ma

non gli animi che rimangono malvagi. Se prima erano gli altri ad incutere terrore adesso è lo stato.

Se Bodin non si pone il problema dell’origine della sovranità, Hobbes fa derivare la sovranità dal

pactus unionis, con questo gli uomini affidano allo stato tutti i loro diritti tranne il diritto alla vita che

vogliono vedere garantito, solo per il diritto alla vita può esserci ribellione, per il resto resistenza

passiva.

John Locke

John Locke nasce a Wrington il 29 agosto 1632. Studiò ad Oxford e cominciò ad interessarsi alla

medicina e retorica anche se questo non lo gratificò. Nel 1666 conobbe Anthony Ashley Cooper che

lo introdusse nel mondo politico verso ideali liberali e il latitudinarismo. Nel 1668, diventa membro

della Royal Society di Londra che precedentemente non aveva ammesso Hobbes per la sua tesi. Dopo

la caduta del suo mentore nel 1675, andò in Francia e poi in Olanda dove scrisse Due trattati sul

governo e Il saggio sull’intelletto umano. Nell’1683, torna in Inghilterra con i nuovi sovrani

Guglielmo d’Orange e Maria Stuart e infatti visse nel periodo della gloriosa rivoluzione che porterà

alla restaurazione della monarchia costituzionale. L’idea era che Locke fosse portatore della nascente

borghesia inglese. Egli è il fondatore del liberalismo politico moderno. I due trattati sul governo hanno

una struttura lineare dove nel primo critica i falsi principi e fondamenti di Robert Filmer che sostiene

l’idea che re e sovrani credono di essere posti su un trono divino, nel secondo vi è la costruzione del

modello giusnaturalistico e il passaggio da stato di natura a società civile. L’opera, precedentemente,

era stata vista come giustificazione alla gloriosa rivoluzione ma non fu cosi perché venne redatta un

decennio prima, per questo l’opera di Locke venne definita come un manifesto rivoluzionario. Il

secondo trattato, è il cuore della costruzione politica lockiana. Locke qui sostiene che la legge naturale

Alberto Presti

non è immanente, quindi non presente nella natura e non universalmente conoscibile. Se in generale,

la legge di natura conduce alla felicità, questa viene scoperta dall’uomo e non è innata. Locke è

profondamente cristiano e, secondo lui, il rapporto di Dio con l’uomo si esprime nell’autonomia della

ragione che di conseguenza è la via per conoscere la legge di natura. Locke giunge ad una conclusione

relativista: ciò che è naturale per un popolo, non lo è per un altro. Quindi a legge naturale, non è nel

mondo, ma è trascendente e garantita da Dio e da lui voluta. Nello stato di natura di Locke, l’uomo

ha più diritti. Lo stato di natura è libertà e gli uomini dispongono di proprietà, non c’è la guerra e

l’uomo gode di diritti inalienabili. Locke per libertà intende la possibilità dell’uomo di lasciare in

sospeso le sue azioni, non intralciare la libertà dell’altro e lo stato di natura è dominato dalla legge

naturale, di libertà e non di licenza. I diritti inalienabili dell’uomo sono 3: vita, libertà e proprietà. Si

può essere automaticamente liberi quando si è proprietari di qualcosa. Proprietà e libertà sono

collegati tra loro perché l’uomo ha percezione di libertà quando gode di una proprietà, che si

costruisce attraverso il lavoro. Nello stato di natura, ciascuno è giudice di sé stesse e se due individui

entrano in conflitto non c’è qualcuno che giudica. Nello stato di natura l’individuo non è abbandonato

al caos ma trova una guida nella legge di natura, ognuno è giudice di se stesso perché manca una

legge riconosciuta. Per la prima volta con Locke si ha il diritto di maggioranza, per una legge deve

esserci l’umanizzazione. Nello stato di natura, l’uomo ha due poteri: l’autoconservazione e punizione

dei diritti (naturale aggressività). Il punto di partenza è il consenso che un certo numero di uomini da

alla formazione della società civile, grazie ad un contratto avviene il passaggio da stato di natura a

società civile. Attraverso un patto unanime gli individui abbandonano solo la facoltà di potersi fare

giustizia da sé. Il governo lascia gli uomini liberi, tutela le proprietà e garantisce loro protezione. È il

governo ad essere in funzione degli individui. Gli uomini, a maggioranza, possono scegliere la miglior

forma di governo, le azioni di amministrazione. Il governo deve proteggere i diritti naturali degli

individui ed avere il loro consenso per farlo. Locke si fa sostenitore del principio della separazione

dei poteri. Il potere legislativo, viene concepito come supremo nella società politica, non può essere

assoluto o arbitrario ed ha un limite nella legge morale. A questo, sono subordinati il potere esecutivo

e federativo. Il potere legislativo è tenuto dalle assemblee mentre gli altri dal re. Il potere federativo

si manifesta nelle relazioni internazionali e nei trattati di pace.

Hobbes e Locke a confronto:

Thomas Hobbes

• Teorico dell’assolutismo, rispecchia la

tendenza degli Stuart ma la sua

filosofia ha matrice contrattualistica.

• Ipotizza uno stato di natura in cui omo

omini lupus e bellum oplum contra

omnes .

• Concezione pessimistica degli uomini

e dello stato che nasce per la paura di

morire violentemente

• Il passaggio natura- stato si basa su 19

convenzioni e la cessione dei diritti al

sovrano

• Non ammette e non giustifica la

rivoluzione

• La chiesa deve sottomettersi allo stato

John Locke

• Teorico del liberalismo, rispecchia la tendenza

degli Orange, pone le basi al costituzionalismo e

all’illuminismo

• Ipotizza uno stato di natura accettabile, ma precario

per la mancanza di un giudice che possa fermare

contrasti tra gli uomini. Gli uomini sono liberi ma

senza regole

• Concezione ottimistica degli uomini che

abbandonano lo stato di natura per meglio

organizzarsi nello stato civile

• Il passaggio da natura a stato civile si fonda su un

normale contratto tra re e cittadini il quale si

obbliga a rispettare i diritti alla vita, alla libertà e

alla proprietà.

• Ammette rivoluzione se il sovrano viola uno dei tre

diritti inalienabili

• Si prodiga per un regime di tolleranza religiosa,

anche e vi esclude i cattolici

Alberto Presti

Lettera sulla tolleranza

Ci sono materie che non rientrano nell’ambito ecclesiastico, John Locke fa una scissione tra potere

spirituale e potere temporale: secondo Locke il magistrato non può imporre il culto. Egli non può

proibire i riti sacri perché la chiesa rappresenta la libertà di adesione degli individui che manifestano

la loro fede, il magistrato ergo non può intervenire negli affari della chiesa. Non può entrare nei meriti

di un culto e non può tollerare orge e sacrifici umani che sono illegittimi e il magistrato civile può

negarlo per legge. In caso di carestia egli può negare il sacrificio degli animali, più avanti egli

esaminerà l’idolatria: una chiesa idolatrica deve essere tollerata da un magistrato, “nessun uomo deve

essere privato di beni terreni a causa della religione”. Locke si riferisce soprattutto in quelle società

dove vige il diritto naturale, come gli indigeni americani. Secondo Lord Ashley Cooper non si può

convertire un popolo con la forza al cristianesimo. L’idolatria per Locke è un peccato ma il magistrato

civile non ha il potere di punirla. La cupidigia è un peccato (mancanza di carità) ma non sono fattori

che determinano un mutamento della società quindi non sono punibili. Locke parlerà anche della

società politica ebraica e a questo proposito, scrive che gli israeliti vissuti nella terra promessa

dovevano essere cacciati. Andando avanti Locke fa una differenza tra credenze pratiche e speculative,

le azioni morali dipendono dal verdetto del tribunale esteriore (tribunale dello stato) e dal tribunale

interiore (coscienze). Il pericolo è che le due autorità interiori ed esteriori interferiscano una con

l’altra e il pericolo di questo conflitto si placherà riconoscendo i limiti di entrambi i tribunali. Egli

parlerà anche dell’immortalità dell’anima. La malvagità spinge gli uomini a godere dei beni degli

altri ecco perché gli uomini abbandonano lo stato di natura. Cosa avviene se il magistrato obbliga

qualcuno a fare qualcosa contro la morale? È lecito disobbedire, perché il magistrato deve garantire

il diritto alla vita. Nelle ultime dieci pagine Locke afferma il tema dell’eccezioni alla tolleranza “devo

estendere la tolleranza anche agli intolleranti?”. Un magistrato non può imporre le proprie

convinzioni perseguitando quelle differenti. Successivamente Locke afferma come sia pericolosa

quella setta che riserva prerogative contrarie al diritto civile, che utilizzano determinate parole poco

chiare (attacco al cattolicesimo). I cattolici rivendicano dei privilegi abusivi che vengono utilizzati a

discapito degli altri. Non devono essere tollerati i cattolici poiché intolleranti. Non può avere diritto

di tolleranza una chiesa nella quale chiunque vi entri, solo per esservi entrato, passa all’obbedienza

di un altro sovrano ( riferimento ai papisti, stato della chiesa), quindi non bisogna essere tolleranti nei

loro confronti. Altro aspetto per non essere tollerati, l’ateismo. Coloro che non credono ad alcuna

divinità non possono avvalorare nessun patto con nessun giuramento. Con il Conventical Act, Carlo

II proibiva qualunque riunione organizzata da 5 o più persone.

Dal momento che l’oppressione è la causa della rivolta, è lecito avere un governo giusto che non porti

alla rivolta. Se nelle riunioni religiose non si fa nulla per garantire una pace collettiva, allora il

magistrato sarà impotente. Al contrario può reprimere chi truffa o danneggia la società.

L’eresia (termine riferito solo per le credenze) è una separazione della comunità cristiana, è la parte

maggiore che allontana la parte minore dalla comunità. L’eresia è una frattura tra gli uomini di una

stessa religione per una teoria che non rientra norma. Come coloro che non considerano come norma

solo la sacra scrittura. La separazione può essere fatta o cacciando chi non crede oppure ci si separa

poiché la chiesa non professa opinioni esplicitamente impartite dalle sacre scritture.

Lo scisma è la separazione dalla comunità ecclesiastica che riguarda gli errori relativi al culto e alla

disciplina. Lo scisma è una separazione non necessaria fatta per diversi culti divini. Chi non nega

qualcosa insegnata in termini espliciti non provoca una fattura, anzi, deve essere tollerante con tutto

ciò che è diverso, non può essere eretico o scismatico. Lo stato deve essere tollerante nei confronti

Alberto Presti

del diverso che rispetta la società civile. Chiude la lettera a colui che è destinata affermando che per

persone perspicaci come Philip Van Limborch non c’è bisogno di essere troppo esplicito.

Illuminismo

A partire dalla Francia, si sviluppò un nuovo movimento culturale che prese il nome di Illuminismo.

La luce della ragione deve illuminare le menti umane e condurle alla via del progresso e della felicità.

Per Immanuel Kant, l’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità, il quale è da imputare

a lui stesso. L’uscita degli uomini da uno stato di minorità, riguarda le ‘’cose di religione’’ la più

dannosa ed umiliante. Le caratteristiche di tale movimento sono: il razionalismo cartesiano,

l’empirismo lockiano, il laicismo; esso va contro la religione, contro la storia passata, contro l’idea

di cosmopolitismo, contro i principi di libertà, uguaglianza e fratellanza. In Quito periodo nacque la

stampa di Gutenberg e la scoperta del caffè. In Francia, l’opera simbolo fu l’enciclopedia di Diderot

e D’Alambert che incarna lo sforzo di unire in un testo tutto lo scibile umano.

Montesquieu

Nasce nel 1689. Scrisse le Lettere Persiane nel 1721, pubblicata anonimamente ad Amsterdam. Lo

scambio epistolare fu tra due persiani che viaggiano in Europa Usbeck e Rika. Così Montesquieu

pubblica, in forma di lettere, brillanti saggi nei quali la società e le istituzioni, sono descritte secondo

moduli relativisti, adottando il punto di vista di esponenti di una cultura diversa da quella europea.

Con satira sferzante, si traccia un quadro … dell’assolutismo francese, dalla crisi finanziaria di Luigi

XIV alla crisi dei parlamenti e della società nel suo complesso. Critica l’instabilità …….. che crea

divisioni anche in termini di fede. Veicolo potente dei temi relativisti e della critica alle istituzioni

politiche e religiose durante tutta l’era illuminista. L’esaltazione del modello inglese, lontano dal

dispotismo, viene formulata da Montesquieu. Egli ammira l’Inghilterra, contrastando con il modello

francese (modello assoluto). Montesquieu afferma che Luigi XIV è il più importante d’Europa e

ionizza su questo potere, visto come un guaritore, ma oltre al mago Luigi XIV , vi è un altro mago, il

papa che possiede un grande paese e dei tesori immensi. Scrisse anche L’esprit de loi , ciò vuol dire

il relativismo delle leggi cogliendo la specificità al quale l’uomo deve adeguarsi. Tutte le forme di

governo cambiano in base al luogo e al tempo, ogni legge deve essere relativa alle tradizioni e alle

culture e la stesura di quest’opera lo impiegò per vent’anni. Importante sottolineare che, Montesquieu

non prova a portare il costituzionalismo inglese in Francia. Montesquieu differenzia 4 forme di

governo:

• Il dispotismo: il popolo è costretto a vivere con le catene. Il governo è di uno solo

• Repubblica aristocratica: governo di pochi

• Repubblica democratica: governo di molti

• Monarchia: governo di uno solo

Ciascuna forma di governo è per lui caratterizzata da una natura; ciò che lo fa essere tale è il principio.

Dobbiamo identificare il principio di ogni forma di governo. Il principio del governo dispotico è la

paura, rappresenta il fallimento ce contamina tutto il mondo sociale, la paura diventa strumento di

governo . l principio della monarchia è l’amore, è il rispetto delle leggi e della gerarchia. Il principio

della repubblica è la virtù, la virtù della repubblica aristocratica è la moderazione che evita gli eccessi.

Nella repubblica democratica, vi è una democrazia diretta e una democrazia rappresentativa ovvero

Alberto Presti

la massa rappresenta l’incapacità di autogovernarsi. Montesquieu elabora il principio della

separazione dei poteri: chi gestisce il potere è portato ad abusarne. Secondo Montesquieu, vi è un

sistema di ‘’pesi e contrappesi’’. il potere legislativo deve essere in mano ad un’assemblea: nel caso

in cui le due camere esercitino un dispotismo, saranno sempre limitate dall’esecutivo esercitato dal

re, ma anche l’esecutivo potrebbe essere sbilanciato, ed è qua che le camere bilanciano l’eccessivo

potere dell’esecutivo, censurando il re. La camera alta può avere veto sulle leggi. Il potere giudiziario

deve essere autonomo perché chi giudica non deve avere pregiudizi. I corpi intermedi, vengono

descritti come dei veicoli di trasmissione dei poteri che permettono al sovrano di espandere il potere

del re ovunque. Lo schiacciamento, avviene invece nel dispotismo che esercita paura e la semina.

Jean-Jacques Rousseau

Jean - Jacques Rousseau è nato nel 1712 a Ginevra. Ha dato una svolta al pensiero politico, viene

considerato un pre-romantico affermando che la ragione senza passione è un mero studente

accademico. Suo padre sarà poco presente e sua madre morirà presto. Avrà un’amante di 15 anni più

grande che chiamerà ‘’madre’’ e che gli garantirà un’istruzione a Parigi (Mme D’Alambert). la svolta

avviene nel 1750, quando scrive Discorso sulle arti e nel 1754 scrive Discorso sull’ineguaglianza

degli uomini. Questi due discorsi, gli donano grande notorietà. La pubblicazione dell’Enciclopedia,

gli fa scrivere una lettera con cui rompe con D’Alambert. Scrisse il Contratto sociale e l’Emilio,

entrambe verranno condannate e lui fuggirà in Russia. La filosofia di Rousseau non è sistematica.

Egli affronta tre stadi:

• Il primo stadio deducibile dai discorsi, riguarda l’uomo buono uguale ai suoi simili. Lo stato

di natura è diverso da quello di Hobbes. Il mito del buon selvaggio è una categoria teorica

che serve a Rousseau a condannare l’uomo contemporaneo che perde l’innocenza. Rousseau

vuole che l’uomo esca dalle condizioni di cattiveria. L’uomo nello stato di natura era buono

ma diventerà cattivo nella società politica. (l’uomo è il peggiore tra le bestie).

• Il secondo stadio deducibile sempre dai discorsi, riguarda l’uomo civile corrotto, immorale,

cattivo e in cui la ragione è succube delle passioni. Il male è giunto con la formazione della

proprietà privata.

• Il terzo stadio, deducibile dal contratto sociale, rappresenta l’uomo che viene fuori da un patto

basato sulla ragione, sulla volontà e sulla legge.

Secondo Rousseau, lo sviluppo scientifico rende l’uomo arrogante, il progresso è uguale al regresso.

Egli sa che l’uomo non può certamente regredire però cerca di rinnaturalizzare l’uomo tramite una

nuova impostazione sociale. Il male di cui tanto parla Rousseau, questa perdita d’innocenza, è data

da una diseguaglianza tra gli uomini, la proprietà è fonte di tutti i mali. La società civile è nata con la

proprietà privata che ha corrotto l’uomo, ci vuole un contratto sociale che non implichi il divieto di

proprietà privata, ma occorre un mutamento delle istituzioni ‘’occorre sciogliere le catene e liberare

l’uomo’’ principio del contratto sociale. Vi è bisogno di un uomo nuovo che nasce da un contratto

sociale in cui il prodotto della volontà generale è la legge. Il contratto sociale garantisce uguaglianza

e libertà, è un patto equo. Uguaglianza: la condizione uguale per tutti; libertà: ciascuno si dà a tutti

ma ciascuno cede per dare vita ad una volontà generale e noi, in quanto corpo politico, che implica la

volontà generale che persegue il bene comune. La volontà generale è diversa dalla volontà di tutti

(somma volontà individuale) ma è quella che persegue il bene comune. Teoricamente, è la

maggioranza ma non necessariamente è la volontà generale perché non si usa un canone quantitativo

Alberto Presti

ma solo qualitativo. Solo uno può rappresentarsi come volontà generale se l’idea è giusta ed

infallibile. Rousseau distingue:

• Volontà generale: si distingue per qualità ed eticità;

• Volontà di tutti: che non sempre coincide con la volontà generale;

Rousseau riprende la costruzione di forma di stato e forma di governo. Per Rousseau l’esito del

contratto sociale è la repubblica. Successivamente farà una divisione fra monarchia, aristocrazia e

democrazia. La monarchia, anche se nei territori più grande è migliore, c’è il rischio di un assolutismo.

L’aristocrazia è la sintesi della selezione attraverso le elezioni dei migliori. La democrazia è talmente

perfetta da non essere fatta per gli uomini.

Siamo in presenza di un individuo che desidera tutto pubblico, nulla di privato. La volontà generale

è incarnata dallo spazio. Da questa premessa ci saranno molteplici interpretazioni. Egli desidera una

religione senza dogmi, vi deve essere amore verso lo stato e amore per la patria e, dunque, una

religione civile.

Forma di stato Forma di governo Applicabilità

Repubblica

(il popolo è titolare della

sovranità)

Democrazia (diretta,

rappresentativa)

Territorio piccolo

Aristocrazia (naturale,

elettiva,ereditaria)

Territorio medio

Monarchia (buona, cattiva) Territorio grande

La volontà generale, è inalienabile, indivisibile e assoluta. Il suo obbiettivo è il bene comune quindi

sempre retta e infallibile.

La Rivoluzione Americana

Nel 1786 emergono tutte le problematiche di questo secolo nel nuovo stato confederativo. Nell’estate

del 1787 si riuniscono a Philadelphia una cinquantina di delegati statali per revisionare degli articoli

della confederazione, riscrivendo così la vigente costituzione federale.

La storia americana ci indica l’importante distinzione tra confederazione e federazione. Con la

rivoluzione americana il costituzionalismo si traduce nell’elaborazione di una costituzione scritta.

Nel 1607 fu fondata la prima colonia inglese nell’America settentrionale. Molti protestanti eterodossi

e cristiani perseguitati in patri partirono con la nave Mayflower per fondare nuove colonie. I father

pilgrims erano di religione puritana. Nel 1776 le 13 colonie del Nord America si dichiarano

indipendenti. Le colonie sono politicamente organizzate da un capo del governo e da due assemblee.

Importantissima è l’opera di Alexis de Tocqueville La democrazia in America in cui afferma

“confesso che nell’America ho visto qualcosa di più di un’America, ho cercato un’immagine della

democrazia stessa, delle sue tendenze, del suo carattere, dei suoi pregiudizi, delle sue persone e le ho

volute studiare per capire ciò che da esse dobbiamo sperare e temere”. La sua indagine ci consente di

Alberto Presti

capire come la storia sulla democrazia o sul federalismo non può tenere conto dell’esperienza

americana.

La guerra dei 7 anni segna un passaggio cruciale per le colonie americane. L’imposizione fiscale

proveniva da un parlamento in cui non vi erano rappresentanti delle colonie.

Il 4 luglio 1776 i delegati approvarono la Dichiarazione d’Indipendenza scritta dalla “Commissione

dei cinque” di cui ne fanno parte Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert

Livingston e Roger Sherman. Nella prima parte vi sono alcuni riferimenti ai principi illuministici e

giusnaturalismi, come il riferimento alla legge naturale e divina e al principio di uguaglianza. Si fa

inoltre riferimento ai diritti inalienabili e al diritto del popolo di ribellarsi all’autorità costituita

teorizzata da Locke. I diritti inalienabili sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità. Le 13

colonie americane all’inizio si sono date, dopo la Dichiarazione d’Indipendenza, un assetto

confederativo. Il 17 novembre 1777 viene approvata la Costituzione Confederale che istituiva gli Stati

Uniti d’America. Questa costituzione è stata ratificata nel 1781.

Subito è emerso nella gestione e nell’organizzazione della confederazione la necessità di progredire

verso una forma istituzionale federale. Nel 1786 i delegati si sono riuniti per modificare la

costituzione confederale a Philadelphia. Quella che doveva essere un’assemblea consultiva presto si

trasforma in assemblea costituente. Il 17 settembre il progetto costituzionale è stato approvato ed è

stato ricordato come la costituzione americana.

Differenza tra confederazione e federazione:

La confederazione è un’alleanza tra diversi stati che perseguono, soprattutto in campo internazionale,

scopi comuni pur mantenendo la propria indipendenza e sovranità. Sono organi comuni aventi diverse

competenze. Il popolo è escluso dalla scelta dei rappresentanti o dalla partecipazione all’assemblea.

La federazione è un’unione di stati che si fonda su una costituzione scritta che prevede una divisione

di competenze tra il governo federale e i governi degli stati federati. Il governo federale gestisce la

politica estera, la difesa e l’economia. Questi ambiti non sono più competenza degli stati federati.

Nasce un acceso dibattito tra i sostenitori del vecchio ordine confederativo (antifederalisti) e i

sostenitori dell’ordine federativo (federalisti). Questo dibattito veniva portato avanti dai padri del

federalismo Madison, Hamilton e Jay, autori di 85 articoli che sono stati pubblicati sui più importanti

quotidiani del tempo, per sollecitare e promuovere questo dibattito con lo pseudonimo “Publius” per

difendere il progetto costituzionale di Philadelphia. Nel 1788 questi articoli sono stati raccolti in

un’unica pubblicazione Il federalista opera centrale nella storia del federalismo. In questo dibattito

emerge l’idea di ispirarsi al modello della madrepatria britannica, con un esecutivo più forte e

posseduto da un presidente. Quest’idea si fonda sul principio della divisione dei poteri di

Montesquieu. Il potere legislativo è in mano al congresso costituito da:

• Camera dei rappresentanti eletta sulla base della popolazione

• Camera del senato composta da due senatori per ogni stato

Degli 85 articoli, 51 sono di Hamilton, 14 di Madison e 5 di Jay. Jay in questi articoli sottolinea

l’importanza della politica estera. Il federalista si può suddividere in quattro parti:

• Articoli che sottolineano la necessità dell’unione federale esaltando gli aspetti positivi e negativi

della confederazione.

• Articoli che focalizzano l’attenzione sulla federazione come modello istituzionale in grado di

garantire un esecutivo forte ed energico.

• Articoli che informano l’opinione pubblica sul rapporto tra governo federale e statale

• Articoli che esaminano i rapporti tra i poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Alberto Presti

Il potere legislativo è affidato al Congresso costituito dalla Camera dei rappresentanti e dalla Camera

del senato. Il potere esecutivo è affidato al Presidente degli Stati Uniti e il potere giudiziario è affidato

alla Corte Suprema composta da 9 giudici nominati a vita dal Presidente.

I padri del federalismo distinguono gli interessi permanenti da quelli temporanei. Gli interessi

permanenti richiedono una condotta politica ben coordinata in vista di un unico fine, gli interessi

temporanei possono essere gestiti quotidianamente dall’amministrazione.

Secondo Jay bisogna avere un’attenzione particolare verso gli interessi permanenti che richiedono

una politica che coordini gli atti. La politica estera dunque non può essere gestita da un governo

statale che già si occupa degli interessi temporanei.

Immanuel Kant

Immanuel Kant nasce nella Prussia orientale nel 1724. La sua famiglia ha origine scozzese. Egli sarà

molto riconoscente verso i genitori per l’educazione da loro impartita. Viene allevato dalla madre e

grazie a lei intraprende gli studi universitari. Egli non si allontanerà mai dalla sua città. Era un uomo

molto abitudinario e metodico. Egli morirà di demenza senile nel 1804. Scrisse numerose opere, tra

le più importanti ritroviamo La critica della ragion pura, La critica della ragion pratica, La critica

del giudizio del 1771 e Per una Pace perpetua, considerata la più importante, del 1795. Ne La

critica della ragion pura Kant capovolge il rapporto tra soggetto e oggetto riconoscitivo che egli

paragona alla rivoluzione copernicana. Kant riprenderà lo stato di natura di Rousseau definendolo

come “insocievole socievolezza”. Kant crede che l’uomo agisca in base ad imperativi ipotetici, quello

che muove l’azione di un individuo, considerato come consiglio di prudenza. Secondo egli, il giudizio

morale non può consistere in un imperativo ipotetico perché deve esigere il dovere per il dovere,

senza ipotesi, dunque un dovere categorico. L’uomo per agire moralmente deve uniformarsi alla voce

della sua libera ragione. Questi elementi sono fondamentali per costruire una società civile.

• Agisci in modo che tu possa volere che il massimo delle tue azioni diventi universale. Quando

agiamo dobbiamo pensare a cosa succederebbe se la compissero tutti.

• Agisci in modo da trattare l’uomo sempre come fine e mai come mezzo, l’uomo è al di sopra di

tutto.

• Agisci in modo che la tua volontà possa sancire una legge universale, grazie alla nostra volontà

diamo pace a noi stessi.

Kant in termini giusnaturalistici, crede che sia dovere dell’uomo uscire dallo stato di natura,

manifestando la volontà degli uomini nel fondare uno stato. Questo stato deve fondarsi su tre principi

a priori: libertà (libertà di ogni membro della società in quanto uomo, deve obbedire alle leggi sulle

quali viene espresso un consenso), uguaglianza (uguaglianza di ogni membro con altri) e

indipendenza ( indipendenza di ogni membro in quanto cittadino).

Kant sostiene che bisogna essere padroni di sé, avendo la possibilità di procurarsi da sé il necessario

per vivere. Se si estendesse l’elettorato attivo a chiunque, la libertà sarebbe contaminata da questa

sudditanza, rendendo il voto manipolato da qualcuno di più forte.

Lo stato civile diventa giuridico solo se rispetta la libertà, l’uguaglianza e l’indipendenza. La proprietà

è qualcosa di cui gode l’uomo, i modo provvisorio nello stato di natura, permanentemente nella

società civile; il cittadino attivo è il proprietario.

Kant non ammette la resistenza attiva, egli fa una differenza tra l’uso pubblico della ragione e l’uso

privato della ragione.

Alberto Presti

Egli pone una distinzione tra forma regiminis ovvero il modo in cui è retto il potere e forma imperi

ovvero il numero di persone che detiene il potere. Per Kant le forme sono 3: aristocrazia, democrazia

e monarchia. Egli desidera che la costituzione garantisca rappresentanza e divisione dei poteri, il

dispotismo non garantisce nessuno dei due, mentre la monarchia invece si. La repubblica per Kant

non è una forma in cui il potere viene detenuto dall’élite, ma vi è la rappresentanza e la divisione dei

poteri, quindi anche la monarchia può essere repubblicana a differenza del dispotismo. Il concetto di

repubblica è la forma regiminis che garantisce la pace. Kant scriverà anche Per la pace perpetua in

occasione della pace di Basilea tra Prussia e Francia. Egli per pace perpetua intende la pace del

cimitero raggiungibile solo dopo la morte. La struttura del trattato è un documento diplomatico.

Quell’insocievole socievolezza di cui Kant parla è lo stato di guerra, rappresenta quello stato civile e

non naturale. Kant vi scorge un disegno provvidenziale che si manifesta nel passaggio dell’uomo da

stato di natura a società civile e che darà vita a una federazione di stati dove il negare un diritto sarà

una condanna unanime per l’umanità. Nello scritto Per la pace perpetua egli afferma che la pace

verrà garantita da una costituzione repubblicana ovvero una federazione di stati repubblicani. La pace

si basa sul principio di libertà, dipendenza e uguaglianza. Libertà di membri in quanto uomini,

dipendenza da un’unica legislazione di tutti in quanto sudditi e uguaglianza in quanto cittadini.

George Friedrich Hegel

George Friedrich Hegel nasce a Stoccarda nel 1770. Suo padre era un funzionario dello stato ciò gli

permise di iscriversi all’università di Tubinga, in un ambiente illuminista. Egli vedrà la rivoluzione

francese come fondamentale per il cambiamento dell’uomo. Alla base del pensiero hegeliano c’è il

giustificazionismo, ovvero tutto ciò che accade o è accaduto doveva necessariamente accadere. Una

delle opere più importante scritta nel 1807 è La fenomenologia dello spirito. Quando vedrà

Napoleone a cavallo egli resterà colpito perché lui dominava la storia e infatti disse: “Ho visto lo

spirito del mondo a cavallo”. Quando si trasferirà a Berlino egli vivrà un periodo estremamente

importante soprattutto quando entra in contatto con politici tedeschi che gli consentono di

egemonizzare la cultura del tempo. Nello scritto La costituzione della Germania egli da un giudizio

su Machiavelli. Innanzitutto fa un parallelismo tra Germania e Italia affermando che Machiavelli

aveva percepito la povertà dell’Italia. Inoltre afferma che non si può discutere con la scelta dei mezzi,

questo perché non si può guarire le membra cancrenose con l’acqua di lavanda. Egli crede che la

guerra dia indispensabile, lo Stato grazie alla guerra riesce a differenziarsi. Hegel è il massimo

esponente dell’idealismo tedesco (dottrina secondo il quale la realtà derivi dal pensiero). Con Hegel

siamo con l’immanenza di dio nel mondo, egli identifica la divinità con la realtà, dio con la natura,

ovvero il finito con l’infinito. Secondo Hegel la storia è realizzazione di dio. Egli afferma che per

interpretare la realtà ogni oggetto deve essere inserito nel contesto in cui appartiene, si può capire

ogni finito partendo dall’infinito. Il processo in cui la realtà si oggettivizza per Hegel è la dialettica,

formata da un processo triadico:

• Tesi: momento statico

• Antitesi: momento dinamico

• Sintesi: momento di superamento

Secondo Hegel le classiche forme di governo potranno adattarsi a società semplici, ma per le società

complesse la migliore forma di governo è la monarchia costituzionale. Egli afferma che nell’impero

romano l’imperatore era una divinità e questo innalzava lo stato. La riforma protestante, secondo

Alberto Presti

Hegel, glorifica lo stato che è diventata sostanza etica, statolatria. Lo stato è l’ingresso di Dio nella

storia. Attraverso la guerra si preserva la salute degli uomini, la guerra muove la storia. Non può

quindi esistere un assetto di pace. Alla base della filosofia hegeliana vi è l’eticità. Per Hegel l’eticità

è uguale alla morale, ed è il momento sintetico che sviluppa due triadi:

Per Hegel il diritto è l’osservanza della legge per paura della pena. La moralità è la legge interiore

dell’uomo che si concretizza nell’eticità, ovvero una moralità che viene percepita non per paura ma

come coscienza, è il momento in cui il soggetto si identifica nell’istituzione in cui appartiene. Hegel

non crede che lo stato nasca da un contratto (no giusnaturalismo). La famiglia viene formata da

sentimenti di altruismo, non egoismo. La famiglia nasce dall’indissolubilità del matrimonio, è una

dedizione verso il figlio. La famiglia come cura del patrimonio privato ha la sua antitesi nella società

civile che è il luogo delle concorrenze. Nello stato civile si regolamenta la vita con le leggi. Le

diseguaglianze per lui sono necessarie, attraverso la beneficienza e la colonizzazione si può aiutare i

meno fortunati. Nella società civile ha luogo l’attività economica. È qui che gli individui vengono

riconosciuti in classi, che Hegel suddivide in tre ceti:

• Classe sostanziale ovvero i proprietari terrieri

• Classe formale ovvero l’industria

• Classe generale ovvero i burocrati e l’amministrazione

Quando Hegel parla di giustizia egli crede che il giudicato debba aver una sentenza/giudizio dalla

stessa classe alla quale appartiene. Hegel nella formazione dello stato promuove una organizzazione

dei poteri, non una divisione:

• Potere sovrano appartiene al principe

• Potere legislativo appartiene alla camera bassa (proprietari) e alla camera alta (rappresentanza

della pubblica amministrazione

• Potere governativo appartiene alla pubblica amministrazione

Hegel pensa che sia il cittadino ad esistere per lo stato. L’individuo viene riconosciuto solo se membro

dello stato. È infatti l’astuzia della ragione che ci serve degli individui per fare la storia, lo stato che

sostiene Hegel è uno stato etico.

Contrasti tra nazionalisti ed europeisti

L’idea di Europa prende consapevolezza nell’illuminismo. Nella seconda metà dell’800 nasce l’idea

di nazione che caratterizzerà il 1900 ovvero l’individualità che comprometterà l’universalità e il

cosmopolitismo. Rousseau aveva palesato una critica nei confronti di Montesquieu e Voltaire,

sostenendo che il principio di cosmopolitismo aveva cancellato la singolarità e peculiarità degli stati,

dunque è fortemente critico nei confronti dell’europeismo. Nonostante l’emergere di questa passione

nazionale, parallelamente coesiste la visione di un’unità europea. Un pensatore francese, Viseau (?)

definisce la civiltà europea come civiltà della libertà. L’idea d’Europa si concretizza nell’illuminismo,

1° triade:

• Diritto (tesi)

• Moralità (antitesi)

• Eticità (sintesi)

2° triade:

• Famiglia (tesi)

• Società civile (antitesi)

• Stato (sintesi)

Alberto Presti

continente non solo identificato geograficamente ma finalmente un’Europa che viene definita

attraverso elementi morali, culturali e spirituali.

Socialismo Utopistico

Otto giorni dopo la morte di Hegel nel 1830 scoppia una rivolta a Lione condotta dai lavoratori della

seta, i quali avevano un motto “vivere lavorando o morire combattendo”. Questa insurrezione viene

ricordata come l’inizio della guerra dei poveri contro i ricchi. Un socialista come Auguste Blanqui

spinge le proprie idee verso contenuti di comunismo vero e proprio tanto da ritrovarsi nel 1832 davanti

la corte d’assise di Parigi per difendersi dall’accusa di aver fomentato le rivolte proletarie; nel

preparare la sua arringa di difesa utilizza per la prima volta il termine proletari con un significato

diverso. Precedentemente il termine proletario si riferiva a colui che possedeva solamente i propri

figli, adesso Blanqui da un contenuto diverso affermando che i proletari sono coloro che vivono per

il proprio lavoro e sono privi di diritti politici. Blanqui precisa i borghesi sono i privilegiati ovvero

coloro che vivono grassamente del sudore dei proletari. Hegel invece precedentemente aveva

espresso giudizi non clementi nei confronti della plebe, anzi nelle sue opere manifesta il disprezzo

nei loro confronti, secondo lui la plebe avrebbe potuto minacciare la società civile. La Francia dunque

prende coscienza della nascita di una nuova questione sociale, che non può essere solo affrontata

dalla carità privata. Siamo nell’ambito di quel grande movimento chiamato socialismo. Blanqui è il

primo che accosterà il termine socialismo al termine utopia, facendo nascere quindi il socialismo

utopico.

I socialisti sono contrari alla violenza e alla lotta di classi, cosa che sarà peculiare invece nel

comunismo marxiano. Nel corso dei primi decenni dell’ottocento viene accostato il termine

socialismo a quello dell’utopia, che sarà noto grazie ad Engel e a Marx. Si tratta di pensatori che

prendendo le distanze da modelli politici esistenti, i quali erano rimasti indenni dal periodo

napoleonico, e immaginano delle soluzioni, delle forme di governo che assumono contenuti talmente

fantasiosi da essere etichettati come espressione di pura utopia. Nel 1841 Robert Owen figura molto

importante dei socialisti utopisti, vide fallire il proprio progetto di costruzione alternativa della

società, tentò di sperimentarlo sia in Scozia che in America. Egli tentò di creare un villaggio

cooperativo, all’interno egli vedeva un’abitazione decorosa per tutti gli operai, il divieto del lavoro

minorile (sotto i 10 anni), la riduzione delle ore di lavoro da 14 a 10. Egli è un imprenditore filantropo

che mette in discussione il denaro, non tiene conto del profitto e quindi è destinato a fallire. Le sue

idee però avranno una grande eco in Europa. Egli scrive un pamphlet sul cosa è il socialismo. Scrive

Owen che il socialismo e il comunismo sono certamente i contraltari del liberalismo e

dell’individualismo. Altra figura importante del socialismo pre-marxiano è Claude Henri de Saint-

Simon. Egli appartiene all’aristocrazia francese che vanta di discendere da Carlo Magno ma

assolutamente decaduta tanto da farlo vivere in una condizione di indigenza. Vivrà del soccorso di

due grandi discepoli Auguste Comte e Saint-Henry che lo aiuteranno anche da un punto di vista

economico. Aderisce pienamente al movimento americano, va negli Stati Uniti per combattere per

l’indipendenza americana. Padre del processo di integrazione europea, di un’Europa unita al di là

delle specificità dei singoli stati. Viene ricordato soprattutto come il padre della tecnocrazia, ovvero

il governo dei tecnici, degli esperti. Non si pone in maniera critica nei confronti del capitalismo.

Auspica la possibilità di edificare una società dove riprodurre il modello industriale, propone una

riforma del parlamento che si presenta “tricamerale”, con una camera dell’invenzione, una camera

dell’esame e una camera dell’esecuzione. In questo parlamento ciascuna categoria svolge il proprio

ruolo, nella camera dell’invenzione vi sono gli ingegneri e i poeti i quali lavorano insieme per produrre

Alberto Presti

dei progetti di legge. Nella camera dell’esame sono presenti i matematici e i fisici, i quali esaminano

i progetti di legge. Nella camera dell’esecuzione vengono presentati i progetti di legge. Nel 1819

Saint-Simon scrive una parabola nella quale con autocritica denuncia l’ozio e la condizione di

parassitismo nella quale vive l’aristocrazia e invece esalta i lavoratori. Egli scrive un’opera Il nuovo

cristianesimo dove evidenzia la necessità di tornare ad un vero cristianesimo non corrotto dal clero,

dagli interessi terreni e personali. Altro grande socialista utopista è Charles Fourier. Appartiene ad

una famiglia benestante, ma si troverà presto in una crisi economica che lo costringerà a vivere in

povertà fino alla morte. Come socialista utopista, non ha fiducia nella lotta di classe ed esprime una

concezione originale della storia, egli afferma che la sua epoca è un’età intermedia, espressione di un

momento di degenerazione, tra l’eden e la nuova armonia. L’uomo deve assecondare le proprie

passioni, in questo senso il messaggio di Fourier può essere accolto, questo porta la felicità, la quale

contaminerà la società. Inoltre secondo Fourier bisogna svolgere un lavoro a cui sono portato

naturalmente. Un ulteriore socialista definito però “borghese” è Pierre Joseph Proudhon autore nel

1840 di un pamphlet chiamato Qu'est-ce que la propriété? che Marx accoglierà con furore.

Proudhon afferma che la proprietà privata è un furto. Sette anni dopo il rapporta tra i due si incrinerà.

Proudhon criticherà il colpo di stato perpetrato da Louis Napoleon e per questo verrà condannato e

trasportato in carcere. A Proudhon va il merito della creazione dell’anarchia positiva, in termine di

autogestione delle classi lavoratrici, associazionismo. Si esprime dinanzi alla questione italiana, si

dibatte su soluzione federativa, confederativa o unitaria ma egli esprime un consenso verso un assetto

federativo, secondo lui più consono. Fa del lavoratore un’azionista, un piccolo proprietario.

Karl Marx

Karl Marx nasce a Treviri nel 1818, da una famiglia di origine ebraica, inizialmente frequenta

l’università di Bohn estremamente diversa da quella di Berlino, la prima garantiva una vita

universitaria incentrata sulla goliardia. Il padre quindi lo iscrive a Berlino, ma nonostante ciò egli

abbandona gli studi giuridici per quelli filosofici a Iena laureandosi con una tesi su Democrito e

Epicuro. Si recherà a Parigi dove incontrerà Engels, che lo aiuterà molto. Marx scriverà solamente il

primo libro del Capitale, gli altri due saranno editati da Engels. Risiederà fino alla morte nel 1883 a

Londra. Scrive insieme ad Engels La Sacra famiglia, un’opera contro la sinistra hegeliana. Nel 1847

elaborano il Manifesto del partito comunista, opera più letta dopo i vangeli. In questa opera

manifesta la critica contro i socialisti utopisti. A Londra fonda la Prima Internazionale, l’associazione

dei lavoratori. La sua concezione filosofico-politica non può prescindere dall’analisi di Marx dal

debito che ritiene di avere con Hegel. Il pensiero di Marx si costruisce nel solco della filosofia

hegeliana, ma poi ne prende le distanze e ne manifesta la contrarietà, nonostante ciò egli non nega il

contributo che Hegel diede alla filosofia. L’errore di Hegel fu l’errore di invertire il mondo, ponendo

l’infinito davanti al finito. Bisogna rovesciare la dialettica hegeliana e rivolgere l’attenzione all’uomo

e non all’idea. Marx riferisce che tutte le epoche storiche si alimentano attraverso le lotte di classe, vi

è sempre stata una classe di oppressori e una di oppressi, una classe che ha imposto il suo dominio,

la sua cultura e ideologia (vestito di idee), la storia è lotta di classe. Nella storia sono mutate le due

classi, la società nata dal capitalismo ha distinto capitalisti, borghesi e proletari, durante l’epoca

romana invece vi erano patrizi e plebei. Lo stato è l’emblema di questa oppressione di una classe su

di un’altra. Egli utilizza la parola dittatura del proletariato, dittatura però nell’accezione romana,

ovvero il comando limitato nel tempo, necessario per capovolgere il sistema capitalistico. Non c’è

nulla nella riflessione marxiana che può essere considerato un momento sintetico nella storia, ciò che

rimane della dialettica hegeliana nella filosofia di Marx è il passaggio dalla tesi all’antitesi.

Alberto Presti

Successivamente alla morte di Hegel nasce una distinzione tra destra e sinistra hegeliana. La divisione

tra destra e sinistra si ha grazie ad un rappresentante della sinistra hegeliana, Strauss. La destra

hegeliana è rappresentata da Goschel, Gabler e Conradi, esponenti conservatori che giustificano il

cristianesimo; rispetto alla sinistra hegeliana che invece muove pensieri politici radicali, è critica nei

confronti della religione. L’idea di concepire il fenomeno religioso come espressione dell’alienazione

dell’uomo è condivisa da Marx, “la religione è l’oppio dei popoli” afferma. Egli non vuole irridere il

fenomeno religioso, non vuole nemmeno presentare la religione come espressione di preti

ingannatori, ma con questa frase vuole mettere in evidenza l’idea di una religione come opera di

un’umanità sofferente che cerca consolazione. Partendo da questo come presupposto riconosce il

contributo di Feuerbach, però ritiene che l’alienazione descritta da quest’ultimo (proiettare al di fuori

di sé in un essere trascendente) resta incomprensibile come fatto se non viene denunciata la radice

della motivazione, la radice storico-materiale di questa alienazione. Marx si forgia sugli scritti degli

economisti classici, ai quali attribuisce il merito di aver evidenziato una contraddizione profonda

ovvero che alla massima produzione corrisponde il massimo impoverimento della classe operaia. Gli

economisti affermano che ciò accade ma dice Marx che loro non ci dicono il perché e non offrono

dunque soluzioni a questa contraddizione economica. Nel Manifesto del partito comunista Marx ed

Engels identificano e offrono in maniera inequivocabile il loro giudizio sul socialismo, i socialisti

hanno offerto materiale prezioso per illuminare il proletario ma a differenza del socialismo scientifico

non offrono un programma di emancipazione di quest’ultimo, per questo sfocia nell’utopia. Nel 1847

Marx rompe con Proudhon attraverso delle pubblicazioni di opere. Dal 1844 al 1847 la concezione

marxiana si converte in una concezione materialistico-storico-dialettico della storia. Il termine

materialistico-storico-dialettico non è un termine che ritroviamo nell’opera di Marx ma in quella di

Engels, che definisce completamente questa concezione in Marx. Il termine si riferisce a quella

dottrina secondo la quale le cause del divenire storico non sono di natura ideale ma di natura sociale,

materiale ed economica. Essi contestano quindi Proudhon il quale vuole dividere la proprietà, mentre

i due filosofi la vogliono eliminare totalmente. Essi quindi sfociano dal socialismo al comunismo,

l’assenza della proprietà privata è una condizione che porta l’uomo a vivere una condizione umana.

Il lavoro è diventato costrittivo, l’operaio non si identifica, gli viene alienata la creatività; è questo

l’esito dell’alienazione del lavoro dalla quale deriva qualsiasi altra alienazione. Si tratta di una

divisione del lavoro che produce una divisione sociale. L’economia come struttura della società che

distingue le due classi perennemente in lotta. La riflessione marxiana tiene conto del pensiero del

socialismo utopico. La divisione del lavoro produce divisioni nelle classi sociali. I rapporti materiali

tra le classi, i modi di produzione e la ripartizione di beni, riguardano la struttura della società ovvero

l’economia. Tutto ciò che non è economia è sovrastruttura della società, come la cultura, la politica,

la religione e il diritto. L’università stessa è una sovrastruttura. Nella produzione sociale gli uomini

entrano in rapporti determinati attraverso rapporti di produzione, l’insieme di questi rapporti

costituisce la struttura economica della società sulla quale si eleva la sovrastruttura. L’economia è la

base determinante della storia. Nell’evoluzione storica però è la struttura economica a mutare per

prima, ma nonostante questa muti, l’economia nuova coesiste con le sovrastrutture precedenti, che

lentamente tendono a modificarsi. In base al principio che le società variano al variare degli strumenti

di lavoro, Marx distingue quattro età della storia, più una quinta che rappresenta la fase dell’avvenire,

da egli stesso profetizzata. La prima età è quella che Marx identifica come la comunità primitiva,

nella quale la società è segnata dalla caccia, e lo strumento di lavoro è rappresentato dalla pietra. La

seconda è caratterizzata dal regime della schiavitù, segnato da altri strumenti di lavoro, l’ascia e

l’aratro. La terza è l’età feudale, dove parallelamente alla produzione agricola prende importanza

anche l’artigianato. La quarta fase è il regime borghese, è la fase che egli ha davanti ai suoi occhi, il

Alberto Presti

regime del capitalismo e delle industrie. La borghesia gioca un ruolo molto importante e determinante

poiché si è opposta all’aristocrazia feudale, ma ha commesso l’errore di far pagare le conseguenze

delle lotte di classi al proletariato. La quinta fase profetizzata è quella dell’avvenire, si caratterizza

con l’abolizione della proprietà privata. L’elemento fondamentale è la creazione di una società

socialista che poi però deve sfociare nel comunismo. La differenza tra socialismo e comunismo sta

nell’allocazione delle risorse. Nel socialismo marxista, le risorse sono allocate rispetto a quanto si

lavora, se lavoro un tot di ore, riceverò un tot di risorse. Il passaggio da socialismo a comunismo

avviene nel momento in cui si attua questa allocazione delle risorse poiché lo stato cessa di esistere

nel momento in cui non vi è più il bisogno di difendere una classe dominante, a questo punto si passa

al comunismo vero e proprio ove vi è il possesso collettivo dei mezzi di produzione, l'abolizione

della proprietà privata e un’egualitaria allocazione delle risorse. Da precisare però che per arrivare

alla fase socialista bisogna istaurare la dittatura del proletariato, ovvero una magistratura straordinaria

e temporanea. Proudhon muoverà una dura critica a Marx, perché secondo lui la nascita della dittatura

del proletariato appariva come un semplice capovolgimento del ruolo di oppressore (se prima era la

borghesia ad opprimere ora diventa il proletariato). Marx ritiene che il capitalismo sia stato un

passaggio necessario per superare il mondo feudale, però in questo capovolgimento della classe

borghese sull’aristocrazia, ha causato il declino e l’oppressione della classe proletaria, che ha finito

per diventare merce tra le merci, mero strumento di lavoro. Marx si pone una domanda, la società

capitalistica come si arricchisce? L’imprenditore attraverso la forza lavoro si appropria del

plusvalore ovvero di quel valore che piuttosto che essere retribuito con il salario, finisce nelle tasche

del capitalista. È il profitto del capitalista a discapito dei proletari, fonte di accumulazione del capitale.

Nell’ambito del capitale pone la distinzione tra capitale variabile, che si traduce nei salari, è la parte

di capitale che si converte nelle retribuzioni, e il capitale costante che si converte nelle materie prime

e nei macchinari. Il plusvalore rappresenta il tempo che l’operaio da al capitalista e che dovrebbe

essere retribuito, che può essere assoluto o relativo. Il plusvalore assoluto è dovuto al lavoro, è il

prolungamento delle ore di lavoro ma sempre allo stesso costo, la produzione industriale aumenta

attraverso il prolungamento delle ore di lavoro non retribuite. Il plusvalore relativo è l’aumento della

produzione dovuta anche al prolungamento delle ore, ma grazie all’utilizzo delle macchine, e delle

nuove tecnologie che riducono il tempo necessario a produrre una certa quantità di beni. L’obbiettivo

è produrre di più al minor costo. Questo meccanismo, anima del capitalismo, crea una concorrenza

tra i singoli capitalisti, che crea delle crisi economiche cicliche durante le quali la concorrenza

determina il fallimento degli altri capitalisti, dunque a sopravvivere sono pochi. Ci si ritrova in una

condizione in cui i proletari sono sempre di più e i capitalisti sempre meno. Le entrate a favore del

capitalista devono essere sempre maggiori del capitale investito, la differenza tra il capitale impiegato

e le entrate rappresenta il plusvalore. Con questo meccanismo i soli a pagarne le conseguenze sono i

proletari. Essi devono assolutamente cambiare la situazione, capovolgere la classe dei capitalisti,

poiché non hanno nulla da perdere e tutto guadagnare, utilizzando strumenti dispotici. Attraverso

questa presa di coscienza, la dittatura del proletariato deve procedere attraverso l’espropriazione dei

terreni fondiari, l’abolizione del diritto di eredità, l’accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani

dello stato, l’uguale obbligo di lavoro per tutti, l’educazione pubblica gratuita per tutti, e l’abolizione

del lavoro minorile; attraverso questo processo il potere pubblico perderà il carattere politico.

Intervenendo con mezzi e provvedimenti dispotici, il proletariato sarà in grado di istituire una società

socialista e poi comunista. Con questo verrà meno la distinzione in classi e quindi la lotta che ha

dominato la storia.

Alberto Presti

Alexis de Tocqueville

Alexis de Tocqueville nasce a Parigi nel 1805, fu magistrato e sociologo ante litteram. Nicola

Matteucci lo definisce come il Marx borghese. Ai tempi di Tocqueville il sovrano è Louis Philippe,

ma egli lo disprezza. Scrive un’opera monumentale di estrema importanza La democrazia in

America. Insieme all’amico Gustave de Beaumont nel 1831 giunge in America. Viene vissuta da

Tocqueville come un’esperienza liberatoria, una via d’uscita da un circolo vizioso dato dal

giuramento di fedeltà ad un re borghese, che egli odia. Autorizzato dal suo governo, si dirige negli

Stati Uniti dove dovrà studiare insieme a Gustave de Beaumont, il sistema penitenziario americano

in modo da trarre spunti per una possibile riforma in Francia. Vi è una descrizione di Europa, che egli

identifica innanzitutto con la Francia, mentre la non Europa è rappresentata dall’America.

Un’America che sembra aver risolto i rapporto tra libertà e uguaglianza, cosa che in Francia non

avviene. Tocqueville rompe il cliché settecentesco di vedere la democrazia come governo delle

piccole repubbliche. Il grande contributo che egli diede è proprio questo, quello di cambiare l’idea

sbagliata di democrazia. Prima di essere una realtà politica, la democrazia è un atteggiamento morale

e mentale. È per Tocqueville quell’assetto caratterizzato di un desiderio smodato verso l’eguaglianza,

indipendentemente dagli esiti che questa può dare. Si intende quindi che tutti gli avvenimenti della

storia sembrano evolversi verso una sempre maggiore uguaglianza. Tocqueville studia gli Stati Uniti

perché il principio cardine della democrazia sembra perfettamente armonizzato nella società. I

pericoli dati dal rapporto tra libertà ed uguaglianza sono dovuti al fatto che si tratta di due principi

inversamente proporzionali. Se non si costituiscono dei correttivi, l’uguaglianza si affermerà a

discapito della libertà. Egli è un liberale che però sfugge ad una lettura tipica dei filantropi del suo

tempo, che nel sistema penitenziario avvertivano quell’attenzione di risocializzare il detenuto,

guardare alla detenzione come un momento necessario per rieducare il detenuto per poi restituirlo

alla società. Proprio in questo egli è un pensatore che rompe totalmente con questa tradizione, per

Tocqueville il momento della detenzione rappresenta il pagamento degli errori sommessi dal detenuto

e questo consente di preservare la società da eventuali pericoli. Tocqueville auspica una detenzione

di isolamento notturno e diurno. Altra analisi quasi contraddittoria è quella in riferimento al

colonialismo, che egli condivide. Condivide il fatto che la sua madrepatria colonizzi altri territori,

come l’Algeria ad esempio, e tornato dagli Stati Uniti esprime il suo spleen e il suo desiderio di

diventare colono ad Algeri. Per quanto riguarda le colonie francesi nelle quali egli è un deputato, si

lavora ad un progetto di abolizione di schiavitù nelle colonie, e si propone inoltre una riforma

sull’emancipazione degli schiavi e un indennizzo ai colonizzati per ridare la libertà agli schiavi.

La democrazia in America è quell’analisi che procede attraverso comparazioni tra Francia e Stati

Uniti. Egli scrive due parti, la prima pubblicata nel 1835 e la seconda nel 1840, la quale però non gli

diede grandi soddisfazioni rispetto alla prima. Nella prima parte egli tratta l’influenza della

democrazia nei costumi politici americani. Intraprende l’analisi esaminando le istituzioni del New

England. Nella seconda parte analizza come la democrazia influenzi i costumi privati. Egli parte dal

presupposto che la società aristocratica è una società che appartiene al passato, la società americana

è democratica, edificata sulla democrazia. Questo è potuto accadere poiché gli Stati Uniti non hanno

avuto dal punto di vista sociale una classe aristocratica, cosa che invece avvenne in Europa e causa

del rallentamento dell’impianto della democrazia. Negli Stati Uniti sin dalle origini, i father pilgrims

hanno dato un’impronta democratica, e il processo si è potuto concretizzare velocemente. L’Europa

è in una fase transitoria, per questo Tocqueville sostiene di analizzare l’idea democratica in America,

poiché l’Europa sta cercando di dare un’impronta di uguaglianza e gli Stati Uniti rappresentano il

modello da cui trarre suggerimenti, e funge anche da cavia per analizzare quali siano i costi e i benefici

Alberto Presti

della democrazia. L’instaurazione della democrazia rappresenta per Tocqueville un cammino

provvidenziale, e impedire questo processo significa lottare contro Dio. Tocqueville scrive anche

un’altra opera, L’antico regime e la rivoluzione, che lo pone tra i padri precursori della sociologia

della politica. Egli sostiene che tra l’antico regime e la rivoluzione francese non vi è stata rottura ma

continuità, non è nato un popolo nuovo. Egli interpreta la rivoluzione come un processo acceleratore,

essa non ha rivoluzionato nulla.

L’Europa del suo tempo vive in questo momento di transizione, sta passando da un regime di

disuguaglianza politica ad un regime di uguaglianza. Egli paragona l’uguaglianza ad un grande fiume

che si biforca in due bracci, l’uomo non può modificare il corso del fiume, ma può scegliere in quale

braccio navigare. Questo fiume di uguaglianza si biforca da una parte verso la libertà e dall’altra verso

la tirannia.

La democrazia e il socialismo hanno fondamento nell’uguaglianza. La democrazia vuole

l’uguaglianza nella libertà, il socialismo vuole l’uguaglianza nella servitù. L’obbiettivo del

socialismo è una società di eguali ma di servi, occorre secondo Tocqueville incrementare la libertà

affinché in questo rapporto inversamente proporzionale la libertà si affermi e accresca l’uguaglianza.

Egli esamina la democrazia perché è un volere provvidenziale. Secondo Tocqueville negli Stati Uniti,

dove non c’è mai stato un feudalesimo, c’è invece una legge sull’eredità che consente la divisione di

questa a tutti i figli e non solo al primogenito, cosa invece affermata in Europa. Gli Stati Uniti sono

una nazione isolata geograficamente, non ha “vicini” e di conseguenza non vi è il pericolo di essere

attaccati, non ha bisogno di grandi generali o armate e questo la preserva dal mantenere una

repubblica democratica, cosa invece che non caratterizza il continente europeo. Vi sono anche fattori

sociali che tutelano la democrazia che egli sintetizza affermando che vi è uguaglianza delle condizioni

(pari opportunità), nulla viene precluso per nascita, vi è una mobilità sociale che viene garantita; tutti

gli uomini liberi possono aspirare a tutto. La caratteristica fondamentale e peculiare è

l’associazionismo, cosa che manca in Europa, gli americani si associano per qualsiasi motivazioni, vi

sono associazioni culturali e religiose. La matrice protestante fomenta l’associazionismo, il

protestantesimo ha dato un grande contributo alla società americana poiché non si interessa di politica

e crea un buon servigio alla nazione, cosa che non accade invece in Europa poiché il cattolicesimo è

invadente. L’associazionismo domina la realtà americana, l’abitante degli Stati Uniti sa che deve

combattere con le proprie forze contro i mali della vita. L’associazionismo nega un ingolfamento del

sistema politico, l’abitante sa che deve risolvere i propri problemi da solo piuttosto di chiedere aiuto

alle autorità per risolvere questioni futili che ingolferebbero le istituzioni. Totalmente opposta è la

condizione europea, il governo è tartassato di questioni che potrebbero essere risolte singolarmente

tra cittadini che presentano lo stesso problema. In tema di associazioni, i cittadini americani formano

spontaneamente delle associazioni per trovare l’autore di eventuali omicidi e si prodigano di

consegnarli alle istituzioni, la popolazione europea invece assiste passivamente alla ricerca di un

colpevole. Vi è dunque uno spirito collaborativo americano posto a confronto con lo spirito omertoso

europeo.

La nota peculiare della società americana che stupisce Tocqueville è proprio l’associazionismo.

L’eguaglianza sociale porta all’eguaglianza politica. Un contributo importante che Tocqueville da sul

concetto di democrazia è il nuovo accostamento che egli da al suo opposto; se fin a quel momento i

pensatori classici avevano individuato come opposto alla democrazia, la demagogia, la forma

degenerata invece diventa la tirannia della maggioranza. Secondo Tocqueville se la minoranza non

è tutelata al suo diritto al dissenso, siamo in presenza di una tirannide della maggioranza. I malesseri

che porta questa degenerazione, sono l’estremizzazione del concetto di sovranità popolare, che

diventa un dogma e quindi si crea l’idea che tutto è lecito al popolo e a conseguenza ritenuta più

Alberto Presti

temibile ovvero l’individualismo. È il risultato dell’apatia, nel momento in cui non viene tutelato il

mio diritto a dissentire, si diventa apatici. L’individualismo è presente fortemente in Europa, poiché

manca lo spirito associativo. Questo è il quadro che si realizza attraverso la degenerazione della

democrazia. Usa il termine tirannide della maggioranza, perché viene descritto come un potere

assoluto non di un solo uomo, ma di una maggioranza che si ritrova a monopolizzare i tre poteri. Tutti

i poteri sono espressione della maggioranza, e questo spinge l’individualismo, la ruggine della

democrazia, che ci fa disinteressare da una partecipazione attiva alla cosa pubblica. Una volta poste

le conseguenze, egli ne ricerca i correttivi. Si pone una domanda, può essere la forma mista di governo

un correttivo alla tirannia della maggioranza? No, egli rompe con questa tradizione. La motivazione

che da è che la forma mista non è considerata un correttivo, per il fatto che parlare di governo misto

è un utopia, una chimera, è inevitabile che una componente cerchi di prevalere sull’altra, creando una

mancanza di equilibrio. Il correttivo è solo uno, la libertà, è l’unico principio che può contrastare gli

abusi della maggioranza e il delirio di onnipotenza. Libertà che deve concretamente realizzarsi

nell’istituzioni politiche. Questo è presente nel modello americano. Libertà espressa attraverso

quattro espressioni fondamentali, la libertà religiosa, il decentramento amministrativo,

l’associazionismo e l’indipendenza della magistratura. La libertà religiosa, fa si che la matrice

puritana abbia portato i principi democratici alla società americana. I sacerdoti americani non si

appoggiano a nessun elemento politico, la religione non influenza le leggi e la politica. Bisogna avere

libere chiese in libero stato. La realtà europea è totalmente opposta, dove la chiesa è sempre

intervenuta negli affari politici.

Il decentramento amministrativo, rispetto ad una teoria europea che cerca un accentramento, è

garantito dalla struttura federale (non ritiene che il federalismo debba essere trasportato in Europa,

basta che ci sia però il decentramento del potere). Questo decentramento spinge il popolo a partecipare

alla cosa pubblica ed è risolutivo dell’apatia, il cittadino prima di essere cittadino di uno stato, è

cittadino di una città e di un comune. All’interno del comune si concepisce una democrazia diretta,

si crea continuo contatto tra governanti e governati. Resta colpito del funzionamento dell’esattore

delle tasse che le riscuote a livello comunale. Anche l’associazionismo fa parte dell’espressione

fondamentale della libertà, di cui abbiamo già parlato. Il quarto correttivo molto importante per

Tocqueville è l’indipendenza della magistratura. Una magistratura se autenticamente autonoma porta

la maggioranza nei suoi limiti. La mancanza di un’aristocrazia feudale viene colmata dalla presenza

della magistratura. La magistratura secondo Tocqueville è quell’organo che riesce a colmare la

mancanza sociologica dell’aristocrazia, appartiene al popolo per nascita, ma ha un gusto aristocratico.

Quest’elemento aristocratico è colto sulla teoria di accesso alle leggi (in Europa le leggi sono

codificate, facilmente accessibili) poiché è un diritto poco accessibile al popolo. Tutto ciò consolida

e rafforza la democrazia, la magistratura trova un suo coronamento nella Corte Suprema.

La conclusione della prima edizione de La democrazia in America pubblicata nel 1835 è stata letta

come una profezia, infatti Tocqueville sembra profetizzare sui futuri due paesi, la Russia e gli Stati

Uniti, che si contenderanno il dominio sulla terra.

Giuseppe Mazzini

Giuseppe Mazzini nasce nel 1805 a Genova. Nel 1830 dopo essere entrato a far parte della

Carboneria, ovvero società segreta rivoluzionaria italiana, nata nell'allora Regno di Napoli durante i

primi anni dell’Ottocento su valori patriottici e liberali, e dopo essere stato accusato di cospirazione,

viene condannato all’esilio. Si reca quindi a Marsiglia dove fonda un’associazione patriottica, la

Giovine Italia, in seguito si recherà in Svizzera dove fonda la Giovine Europa. In un terzo momento

Alberto Presti

egli si trasferisce a Londra agli inizi degli anni quaranta. Nel 1846 è offerta a Mazzini la possibilità

di collaborare con un giornale, a seguito di una vicenda che lo rese a suo malgrado più noto. Questa

vicenda è denominata l’affare delle lettere aperte. Viene intercettata a Londra la posta di Mazzini e

le sue lettere vengono aperte, viene scoperto un suo piano insurrezionale e viene inoltre scoperto che

egli accusa il governo londinese di aver ucciso i fratelli Bandiera. La vicenda si conclude con un

elogio pubblico delle qualità di Mazzini. Egli pubblicherà otto articoli, dove si sofferma a descrivere

il suo concetto di democrazia, che verranno denominati sotto il nome Thoughts upon Democracy in

Europe. Le direttive politiche di Mazzini si sviluppano attraverso tre momenti fondamentali: la

cospirazione, l’insurrezione e la rivoluzione. La prima permette di elaborare le direttive per giungere

all’insurrezione; l’insurrezione avviene attraverso le bande organizzate, infine la rivoluzione deva

dare vita alla repubblica unica e indivisibile. La repubblica è l’unica a garantire il progresso. Il suo

atteggiamento è etico e religioso, che presuppone una sorta di provvidenza che si attua nella storia

degli uomini. Egli muove da presupposti assolutamente di contestazione al comunismo, la sua

ideologia è definita tipicamente spiritualista, che contesta e nega tutte le dottrine fondate sull’utile;

nega l’illuminismo, la concezione egoistica dei diritti individuali illuministi, è contro il materialismo,

attacca e polemica contro le forme di socialismo e invece elabora una visione nella quale le classi

medie devono svolgere un ruolo da protagoniste. La sua attività è a favore dell’alimentazione del

dibattito sulla democrazia. Mazzini contesta la proprietà privata come fonte di ozio e frutto del lavoro

altrui e fonte di oppressione, ma esalta quella proprietà privata che è frutto del lavoro dell’uomo. La

monarchia costituzionale è transitiva tra dispotismo e repubblica. Nel delineare la sua democrazia

attinge alle separazioni storiche, prende le distanze dalla repubblica federale americana e dalla

repubblica sociale autoritaria ponendosi a favore di una repubblica rappresentativa. La repubblica

federale americana si fonda su un individualismo borghese, è una democrazia che tutela i diritti

individuali e che in quella visione di egoismo che egli contesta. La repubblica sociale autoritaria è

contestata perché in nome di un’eguaglianza assoluta nega il diritto alla proprietà. Esalta quindi la

repubblica rappresentativa, la quale garantisce una società fondata sulla teoria che gli individui non

abbiano solo diritti ma anche doveri da rispettare, e inoltre, è basata sull’associazionismo.

Carlo Cattaneo

Carlo Cattaneo nasce a Milano nel 1801, è il padre del federalismo europeo, tanto da non condividere

l’idea dell’Unità d’Italia. Secondo lui infatti la situazione italiana si sarebbe dovuta risolvere creando

un assetto federale, una coesistenza tra Regno di Sardegna, Regno Lombardo-Veneto, Regno delle

due Sicilie, affinché si possa mantenere le peculiarità di ogni singola regione. Si laurea in legge. Nel

1839 fonda la rivista Politecnico. All’inizio non si profila come un cospiratore, non partecipa infatti

a nessuna cospirazione poiché è convinto che l’impero austriaco si possa evolvere verso un assetto

federale. Egli prenderà parte alle cinque giornate di Milano, insurrezione avvenuta tra il 18 e il 22

marzo 1848, e si opporrà a qualsiasi progetto di unione tra Piemonte e Lombardia. A seguito di questa

partecipazione, viene esiliato in Svizzera, dove svolge la sua attività di giornalista. Nonostante tutto,

il progetto dell’Unità d’Italia viene eseguito e terminato nel 1861. Egli viene candidato dai suoi amici

per ricoprire il posto di deputato al nuovo Parlamento Unitario, ma egli rifiuta poiché non vuole

giurare fedeltà al Re torinese. Dal passaggio della capitale da Torino a Firenze, si ritroverà a essere

nuovamente eletto, ma anche questa volta Cattaneo rifiuta. Egli rappresenta la borghesia progressista,

che si oppone a tutte le forme di pregiudizio. Ha un’estrema fiducia sul ruolo che può svolgere la

filosofia, che viene considerata come militante, ovvero disciplina che ricerca il razionale, e che può

svolgere un ruolo fondamentale nel liberare l’uomo dai pregiudizi. In economia Cattaneo sposa gli

argomenti classici dei liberisti, contrario a qualsiasi forma di protezionismo, egli vede un’industria

Alberto Presti

che deve svilupparsi senza ostacoli. Manifesta la sua contrarietà al dare vita ad un’economia

nazionale, esprime invece un giudizio positivo in un’idea di nazione che non deve essere intesa non

come unitaria ma come espressione che può salvaguardare i valori e presentarsi come anti-centralista.

Cattaneo è a favore del decentramento politico-amministrativo poiché ritiene che questa sia causa di

decadenza. Presenta ideali liberali nell’idea di esercito permanente, infatti egli sostiene che non

bisogna avere un esercito permanente ma bensì bisogna educare il cittadino all’utilizzo delle armi in

caso di necessità. Nel 1850 scrive il primo volume dell’Archivio triennale delle cose d’Italia. Egli

sostiene che si avrà pace quando verranno creati gli Stati Uniti d’Europa, visione unitaria dell’Europa

nella quale egli auspica stati federali italiani. Questa idea di un’Europa unita che avrebbe potuto

garantire la pace, viene utilizzata e fatta propria da Richard de Coudenhove-Kalergi, padre della

Paneuropa e creata nel 1922. Nel 1922 l’Unione paneuropea si ritrovano a Vienna ventimila delegati,

rappresentanti di ventiquattro nazioni per discutere di questo progetto. Obbiettivo della Paneuropa

era quella di riuscire ad arginare, creando un assetto federale, la supremazia degli Stati Uniti, del

Giappone e della Russia. All’interno delle sale dove venivano svolte le riunioni vi erano le immagini

di Mazzini e Kant, ispiratori dell’idea di unione europea.

Costruzione europea

I primi desideri di un’unione politica dell’Europa nascono nel 1922 con la creazione dell’Unione

Paneuropea fondata dall’aristocratico Richard Coudenhove Kalergi. Egli iniziò a scrivere una serie

di articoli nei quali indicava la necessità di addivenire ad un nuovo ordine europeo. Questi suoi

propositi culminarono nel novembre 1922 con la pubblicazione del documento Paneuropa, un

progetto nel quale venivano prospettate per la prima volta l'unificazione politica ed economica degli

Stati europei come rimedio agli errori del conflitto appena concluso e definito da Kalergi come “una

guerra civile europea”. Progressivamente il progetto vede l'appoggio di coloro che sarebbero divenuti

i padri dell’unione europea ovvero Adenauer, Monnet ma anche Freud e Einstein. Coudenhove

Kalergi elabora un progetto di unificazione federale. Esso prevede tre tappe:

1. Una cooperazione intergovernativa stretta tra gli stati europei: saranno previsti degli incontri

periodici.

2. Un'unione doganale tra i partecipanti.

3. La fase federale: gli Stati Uniti d'Europa.

La seconda guerra mondiale però da l’input a due processi irreversibili, l’accelerazione della crisi

degli imperi coloniali, e l’affermarsi di un’Europa. La guerra fredda però determinerà il superamento

del progetto paneuropeo di Kalergi, ma da nuovi stimoli per la creazione di una vera Europa unita.

Ad esempio gli Stati Uniti d’America espressero il loro desiderio di vedere una cooperazione

interstatale tra i paesi europei, anche grazie agli aiuti economici previsti dal piano Marshall al fine di

permettere una crescita economica ai paesi distrutti dalla Seconda Guerra Mondiale.

Un importante contributo che darà vita al lungo processo d’integrazione europea fu dato da tre

antifascisti confinati nell’Isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, i quali

diedero vita ad uno scritto fondamentale, considerata un’opera apologetica della cooperazione

europea, ovvero Il manifesto di Ventotene. Spesso si identificano figure esclusivamente maschili

per il processo d’integrazione, ma una figura femminile fondamentale di questo processo che consentì

la diffusione e la promulgazione del manifesto fu Ursula Hirschmann, prima moglie di Colorni e in

seguito di Spinelli, la quale nascose sotto la fodera del suo cappotto i primi manoscritti del manifesto,

che riuscì a portare con successo sulla terraferma nonostante i controlli.

Alberto Presti

Dopo la Prima Guerra Mondiale si era già discusso di ‘’Un’Europa unita ’’ poiché dopo quella

tragedia si ripensò al destino dell’Europa e molti pensarono che fosse necessario lavorare per unire

l’Europa e non più per dividerla. Ci sono stati diversi progetti, a parte la Società delle nazioni (ONU)

che aveva un barlume di europeismo, ma ci furono dei tentativi teorici da parte di molti studiosi e

uomini politici per gettare le premesse dell’Europa unita ma poi non si concretizzò. E non solo questo

progetto di un’unità europea non si concretizzò ma il periodo intermedio tra le due Grandi Guerre, fu

caratterizzato dagli insperati nazionalismi col fascismo in Italia, il Nazismo in Germania e quindi la

Seconda Guerra Mondiale trovò molti europeisti convinti che fosse giunto il momento finalmente di

chiudere con questa pagina tragica della storia del continente e quindi nel 1941-1942 in piena guerra,

proprio a Ventotene dove si trovavano confinati circa 800 antifascisti compresi Spinelli, Colorni e

Rossi, si costituì il primo nucleo in Italia di quello che sarebbe stato il movimento federalista europeo.

Essi, insieme a pochi altri, decisero di scrivere da quest’isola dove erano prigionieri già da anni un

progetto di manifesto per l’Europa libera e unita che poi è stato chiamato Manifesto di Ventotene e

dunque all’origine del movimento federalista europeo. Spinelli, in un primo momento, fu anche

iscritto al partito Comunista clandestino, Rossi fu un’economista e apparteneva al partito socialista

liberale di giustizia e libertà di Carlo Rosselli e poi Colorni fu uno studioso che si ispirava ai principi

democratici del pragmatismo filosofico americano, dell’esperienza americana del ‘’New Deal’’

soprattutto di Roosevelt e che aveva anche lui un interesse a di immaginare l’inizio di un tempo nuovo

per l’Europa.

Tra la fine del luglio 1943 e il principio di agosto, decaduto Mussolini, tutti i confinati furono liberati

e il gruppetto di federalisti di Ventotene pensò bene di convocare immediatamente una riunione di

gente che proveniva da altre carceri, da altri luoghi dall’esilio per fondare regolarmente il partito

federalista europeo e ciò avvenne alla fine dell’agosto 1943 a Milano. Da allora, Ernesto Rossi e

Spinelli, furono incaricati da questo primo nucleo del movimento di andare a cercare fuori dall’Italia

quegli altri federalisti che pensavano potessero esistere. Così a settembre dello stesso anno, passarono

illegalmente la frontiera e raggiunsero la Svizzera dove trovarono effettivamente nei gruppi degli

antifascisti francesi, tedeschi e di altri paesi, uomini che erano arrivati assolutamente alle stesse

conclusioni come loro. Il Manifesto di Ventotene è composto da poche pagine che racchiudono però

un’apertura straordinaria verso un futuro completamente diverso dal presente. Il pensiero di Luigi

Einaudi che fu un’economista liberale, si manifesta attraverso il fatto che egli non credette mai ad un

nazionalismo economico che aveva caratterizzato l’Europa tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i

primi decenni del Novecento che porterà appunto alla Prima Guerra Mondiale. Egli aveva sempre

immaginato che anche nel campo dell’Economia le frontiere fossero aperte, gli scambi fossero liberi,

non ci fossero protezionismi, tariffe doganali che impedissero la circolazione libera delle merci e che

non ci fossero soprattutto impedimenti alla libertà, quindi era la strada economica in cui era

realizzabile quel progetto di Europa libera ed unita. Il Manifesto di Ventotene racchiude l’idea che

gli Stati Uniti d’Europa dovessero essere fondati su un sistema economico nuovo.

Un passo successivo alla pubblicazione del manifesto e alla volontà di unione europea, fu l’istituzione

di un congresso all’Aia, nei Paesi Bassi, nel maggio 1948 organizzato sotto la presidenza di Winston

Churchill, Primo ministro inglese. Questa tappa fondamentale fece emergere tre spiriti o correnti che

saranno alla base per un indirizzo politico ed economico dell’Europa, lo spirito federale, lo spirito

unionista o confederalista e lo spirito funzionalista.

La corrente federalista viene rappresentato dal movimento federalista europeo, fondato nel 1943 da

Spinelli, ispirato al modello americano; il modello confederalista non va oltre la confederazione e la

corrente funzionalista è rappresentata dall’economista rumeno David Mitrani, fu la corrente di

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maggior successo. Il progetto di spinelli non ebbe molti consensi, poiché mise in discussione la

sovranità di ogni stato. Quella corrente che si distingue nel congresso, che procede per piccole

funzioni ovvero cercando di erodere la sovranità ma nel lungo periodo, attraverso una logica di

cooperazione economica, per poi approdare per un processo di unificazione, è quella dei

confederalisti e unionisti. Questo congresso del maggio 1948 termina con un appello unanime a

favore di una costituzione parlamentare, il congresso non è un istituzione europea ma l’esito sarà

rilevante, ovvero la creazione del Consiglio d’Europa. È incapace di dare esiti soddisfacenti al

processo di integrazione perché si presenta come una struttura intergovernativa, con un assemblea

con compiti solo propositivi, tuttavia l’esito è importante perché determina la creazione della Corte

dell’Aia, che vigila sui diritti fondamentali dell’uomo. Nel novembre 1950 viene varata questa

convenzione, per l’istituzione della Corte europea dell’Aia. Sempre nello stesso anno, il 9 maggio,

Robert Schuman e Jean Monnet comunica la volontà del governo francese di mettere insieme le

risorse del carbone e dell’acciaio con la Germania e con l’eventuale collaborazione di altri stati che

volessero condividere gli stessi progetti. Nel 1951 con il Trattato di Parigi viene creata la CECA con

la piccola Europa dei sei, Belgio, Francia, Italia, Repubblica Federale Tedesca (Germania dell’ovest),

Lussemburgo e Paesi Bassi. In seguito nel 1957 attraverso il Trattato di Roma, si consolida una

cooperazione economica con l’istituzione di una nuova organizzazione la CEE, e l’istituzione

dell’Euratom per una cooperazione dell’energia atomica, affinché ci possa essere un uso pacifico di

questa fonte energetica. La CEE, L’Euratom e la CECA si unificheranno con il Trattato di Maastricht

nel 1992 con l’istituzione definitiva dell’Unione Europea. Questa consolida il legame dell’Europa dei

dodici e stabilisce le norme di accesso per altri paesi che desiderano entrare nell’UE. Per di più l’UE

si prodiga per una politica estera di sicurezza, per una lotta all’immigrazione clandestina, al

terrorismo e al traffico di droga. Inoltre si istaura la cittadinanza europea che permette di votare per

le elezioni dei membri del Parlamento Europeo, fondato nel 1951. Ma una tappa fondamentale che

diventa cardine dell’unione europea sono gli accordi di Schengen, del 1993 che garantiscono la libera

circolazione delle persone e delle merci all’interno dei paesi firmatari degli accordi. Con il Trattato

di Maastricht si istaura la moneta unica, l’euro, controllata dalla BCE, banca centrale europea, e che

entrerà in circolazione nel 2002 ma non in tutti i paesi dell’unione. Le volontà di De Gasperi e di

Coudenhove Kalergi sono state perseguite.