Storia delle idee d’Europa -...
-
Upload
truongtuong -
Category
Documents
-
view
217 -
download
0
Transcript of Storia delle idee d’Europa -...
Appunti di Alberto Presti
VIVERE SCIENZE POLITICHE
Storia delle idee d’Europa
Supporto appunti
viverescienzepolitiche.it Vivere Scienze Politiche
1. La polis
2. Erodoto
3. Tucidide
4. Platone
5. Aristotele
6. Ellenismo
7. Epicuro
8. Stoicismo
9. Cicerone
10. Cristianesimo
11. Medioevo
12. Sant’Agostino
13. Idea d’Europa nell’età me-
dievale
14. Gregorio VII
VIVERE SCIENZE POLIT ICHE
Indice
Supporto appunti
viverescienzepolitiche.it Vivere Scienze Politiche
Gli appunti sono di proprietà di Vivere Scienze Politiche, si prega di rispettare la proprietà intellettua-
le. Il Supporto appunti è un servizio offerto dalla nostra associazione come supporto, è necessario sot-
tolineare che gli appunti non sempre sono sufficienti per superare gli esami con profitto, quindi si
consiglia agli studenti che usufruiscono di questo servizio di integrarli con i testi indicati nelle schede di
trasparenza.
15. San Tommaso d’Aquino
16. Europa tra XIII e XIV secolo
17. Lo stato moderno
18. Niccolò Macchiavelli
19. Jean Bodin
20. La ragion di Stato
21. Tommaso Campanella
22. Giambattista Vico
23. Thomas Hobbes
24. John Locke
25. Illuminismo
26. Montesquieu
27. Jean-Jacques Rousseau
28. La Rivoluzione Americana
29. Immanuel Kant
30. George F. Hegel
31. Socialismo Utopistico
32. Karl Marx
33. Alexis de Tocqueville
34. Giuseppe Mazzini
35. Carlo Cattaneo
36. Costruzione europea
Alberto Presti
La Polis
Con il termine polis si indica una città stato tipica del mondo greco. Per l’uomo greco avere lo status
di cittadinanza significava partecipare attivamente alla vita politica, di conseguenza la polis
rappresentava il pensiero principale dell’uomo, a contrapporsi però a questa idea greca vi è il
cristianesimo, che sarà un evento rivoluzionario nell’ambito politico poiché sposta l’attenzione dallo
stato all’uomo.
In questo periodo nascono le prime contrapposizioni tra Europa e non Europa (asia). Dalle guerre
persiane del 499 – 479 a.c. fino all’impero di Alessandro Magno si forma un’idea d’Europa che
differisce dall’Asia sia per la rappresentazione della libertà che dall’organizzazione politica, infatti
l’organizzazione asiatica era caratterizzata dal dispotismo (forma di governo dove il potere viene
eseguito da una sola persona, esercitato senza alcun rispetto della legge). La città stato quindi è frutto
di un lungo processo che si concretizza nell’ VIII secolo a.c.
La monarchia patriarcale - formata da re, consiglio dei maggiorenti e assemblea dei cittadini – perde
progressivamente il suo potere a profitto dell’aristocrazia; il re si trasforma in una figura sacerdotale,
ovvero colui che salvaguarda i costumi e la religione occupandosi dei delitti che riguardano l’empietà
e l’ateismo. L’organizzazione ateniese viene modificata:
▪ Arconte polemarco (capo militare)
▪ Arconte eponimio (custode delle famiglie)
▪ Arconte re (gran sacerdote)
▪ 6 Arconti Tesmoteti (custodi della legge, fanno osservare la legge e istruiscono le cause pubbliche
e private)
▪ Bulé (arconti che hanno terminato la loro carica. I buleuti restano in carica a vita, sorvegliano i
magistrati e proteggono la costituzione sociale e politica)
Le cariche venivano attribuite o per sorteggio o per acclamazione.
Nel 380 a.c. Xenofonte scrive la Costituzione dei Lacedemoni. In questo periodo Atene è la polis più
popolata e importante, Sparta invece inizialmente era la polis più spopolata e meno importante ma a
poco a poco acquista la sua importanza, per questo Xenofonte si chiede come quest’ultima si possa
essere trasformata in una delle polis più importanti. Egli attribuisce la forza di Sparta alla sua forma
di governo. È un modello misto, ovvero una forma di governo che riesce a mescolare componenti
monarchiche, aristocratiche e democratiche.
Erodoto
Erodoto, storico greco, fu il primo che fece una classificazione del governo, egli identifica le tre forme
di governo migliori e le tre forme di governo peggiori.
▪ Democrazia (potere di una moltitudine) che si contrappone alla Demagogia
▪ Aristocrazia (potere dei pochi migliori) che si contrappone all’Oligarchia (pochi peggiori)
▪ Monarchia (potere di uno solo) che si contrappone alla Tirannide
Erodoto vive nel V secolo a.c. e in un dialogo da lui scritto intitolato Storie, egli spiega la
suddivisione delle tre forme di governo. I protagonisti sono Otane che rappresenta la monarchia,
Megabizo che rappresenta l’aristocrazia e Dario che rappresenta la monarchia; ognuno critica la scelta
dell’altro poiché ciascuno si rende conto che le forme di governo possono scivolare nel loro opposto
arrivando ad una degenerazione di ogni forma di governo. In realtà la parola democrazia non compare
nel dialogo bensì compare Isonomia ovvero uguaglianza davanti la legge.
Alberto Presti
L’organizzazione spartana prende il nome di Stato Oplitico. Al vertice vi erano due Re - siamo in
presenza di una diarchia – che hanno uguali diritti, in tempo di pace erano giudici dei problemi
familiari e religiosi, in guerra invece erano capi dell’esercito, uno partiva in guerra e l’altro restava
per gestire la polis. In seguito vi erano 5 efori ovvero dei magistrati che controllavano l’operato dei
re, essi duravano in carica solo un anno e la loro carica non era rieleggibile. Vi era anche la Gerusia
ovvero un senato composto a 28 membri eletti a vita e i due re, e infine l’Ecclesia, ovvero l’assemblea
popolare.
Tucidide
Tucidide, storico greco, rifiuta una rappresentazione mitologica della realtà. L’opera più importante
è La Guerra del Peloponneso, utilizza questo titolo perché l’oggetto dello scritto era proprio la
guerra del Peloponneso. Tucidide esamina questa battaglia cercando di dare un’indicazione ben
precisa per permettere al lettore una conoscenza autentica della guerra.
All’interno di questo scritto ritroviamo l’Encomio di Pericle. In questa parte Tucidide esalta Pericle
per aver contribuito nella riforma della mistoforia, ovvero le cariche politiche venivano retribuite per
la prima volta. Secondo Tucidide, Pericle rappresentava la monocrazia democratica, ovvero una
forma di governo che si basava sul consenso del demos (moltitudine). In particolare è l’apparente
consenso del popolo che permette il governo di un solo cittadino, il più degno.
Platone e Aristotele criticarono Pericle. Il primo sosteneva che la mistoforia era la causa che favorì
la corruzione. Tucidide era un sofista per questo egli sosteneva che le cose che appaiono a me non
appaiono agli altri individui, cosa che Socrate contesterà. Nell’opera tucididea vi è traccia di questo
pensiero, non usa elementi irrazionali o fantastici, ritiene che bisogna conoscere il fatto. Se egli non
è in grado di conoscere il fatto, propone al lettore due vie opposte in modo che quest’ultimo possa
farsi una propria idea, quindi una verità relativa.
Platone
Platone, filosofo greco, scrive due opere importantissimi, La Repubblica e il dialogo Le Leggi. Egli
appartiene ad una famiglia aristocratica, frequenta la scuola di Socrate, poiché vede lo sbocco alla
vita politica come una cosa naturale vista la sua provenienza. L’uccisione di Socrate (fu condannato
a morte e costretto a bere la cicuta – visto che era un uomo importante gli fu concesso un trattamento
rispettoso) fu molto significativa per Platone. Accusato di empietà e condannato a morte, i suoi
discepoli gli proposero la fuga ma egli rifiutò poiché sarebbe stata la negazione dei principi da lui
insegnati ovvero l’obbedienza alle leggi; era l’uomo giusto per eccellenza. Sempre secondo Socrate
la verità è una continua ricerca e per questo non può essere rinchiusa in un libro, infatti il teatro era
l’enciclopedia del tempo poiché l’oralità era fondamentale.
Platone cerca di edificare uno stato giusto e ideale per un uomo giusto come Socrate. Questo
idealismo platonico noi lo consideriamo utopico, ma per egli non era così. Il progetto platonico si
fonda sul legame tra filosofia e politica. Nella VII lettera (dialogo sulla giustizia) del suo epistolario,
spiega il perché si sia interessato alla politica e quale soluzione ha voluto indicare alla crisi che
logorava la polis del tempo. Una soluzione era quella che o i filosofi dovevano mettersi a governare
o i governanti dovevano mettersi a filosofare. Per Platone la repubblica ideale aveva ai vertici i filosofi
Alberto Presti
(se loro reggevano il potere la legge scritta risultava superflua perché l’uomo saggio garantisce
autentica giustizia).
Giustizia per Tucidide era il più forte che sovrastava il più debole. Per Platone invece la giustizia si
realizza nello stato quando qualcuno si colloca nella mansione per cui è portato naturalmente senza
attribuire mansioni diverse a chi ha già delle mansioni specifiche altrimenti si crea squilibrio.
L’iperuranio
Socrate rifiuta la percezione soggettiva della verità, del bene e della giustizia ma ne sostiene
l’universalità. Platone parte da questo concetto , lo supera e si sofferma sul valore dell’universalità
della conoscenza. Per egli la conoscenza risiede nel mondo delle idee astratte, l’iperuranio. E’ una
regione metaforica non spaziale. Qui si trovano tutte le idee che sono collocate in gerarchie, nel livello
più basso ritroviamo le idee infime mentre al vertice ritroviamo le idee perfette come il bene/bello.
Il bene da valore a tutto ciò che noi consideriamo valore, se l’onestà e il coraggio sono considerati
dei valori, è perché vengono avvalorati dall’idea verticistica del bello,fonte di tutti i valori. Supera
dunque la conoscenza tipica dei sofisti spingendosi su una concezione universale e dualistica della
conoscenza. Egli suddivide la conoscenza in conoscenza sensibile, fatta di doxa (opinione) che
appartiene al mondo sensibile o fenomenico e in conoscenza perfetta che risiede nel mondo della
perfezione, l’iperuranio.
Ciascun uomo non acquisisce conoscenza tramite l’esperienza ma tramite un processo innatistico
(idee innate), e attraverso un processo reminiscente (ricordo) esse fuoriescono, ma non sono altro
che copie delle idee; ricordando l’uomo riconosce -> anamnesi.
Lo stato viene descritto come paradigma (modello ideale) e l’uomo deve avvicinarsi il più possibile,
è una ricerca della più perfetta forma di governo.
I miti
Il mito della caverna spiega il ruolo dei filosofi e la concezione dualistica e cosmologica. Paragona
il mondo fenomenico a degli esseri che sono incatenati nella caverna e costretti a vedere il fondo di
quest’ultima (le catene rappresentano l’ignoranza degli individui). Essi scambiano le ombre che si
riflettono nelle pareti come la verità. Il filosofo è colui che si scatena e fuoriesce dalla caverna (le
ombre rappresentano il mondo sensibile, mentre gli uomini dietro il muro rappresentano il mondo
delle idee) ma rientra per aiutare gli altri individui a capire e scoprire la verità.
Nella Repubblica, Platone descrive lo stato ideale dove la saggezza è al potere, per spiegare
l’organicità dello stato egli procede con un parallelismo tra microcosmo uomo e macrocosmo stato.
Nel Microcosmo uomo, l’anima è tripartita. L’anima razionale rappresenta la saggezza, l’anima
irascibile rappresenta il coraggio e l’anima concupiscibile rappresenta la temperanza.
Nel mito della biga alata egli spiega che l’auriga che rappresenta l’anima razionale è la guida che
controlla il cavallo nero (coraggio) e il cavallo bianco (temperanza). Un uomo è giusto se il governo
delle sue azioni è in mano all’anima razionale che tiene a bada le altre due.
Nel Macrocosmo stato egli si sofferma sulle tre classi dello stato ideale alle quali attribuisce la
tripartizione dell’anima. L’anima razionale appartiene al filosofo, la classe politica plasmata d’oro.
L’anima irascibile appartiene ai guerrieri, incaricati solamente della difesa e non dell’attacco, è la
classe plasmata d’argento. L’anima concupiscibile appartiene ai lavoratori, incaricati di mantenere il
sostentamento delle due altri classi sociali, è una classe forgiata di bronzo e ferro.
Se il modello di questo stato sarà utilizzato, si affermerà la giustizia.
Alberto Presti
Nella VII lettera del suo epistolario egli sostiene la teatrocrazia ovvero che la crisi ateniese si è
trasformata in una rappresentazione disgustosa dei valori e la politica si è adeguata a questo. Solo lo
stretto connubio tra filosofia e politica può salvare Atene dalla crisi. Lo scopo fondamentale è donare
giustizia.
Comunismo platonico
Platone ritiene che il governo non debba avere “conflitti d’interesse”, quindi deve essere privato di
beni propri, questo è il comunismo platonico. Cerca quindi di eliminare le cause degli squilibri e
conflitti sociali, l’eliminazione della troppa ricchezza e della troppa povertà dona pace e serenità allo
stato. Chi governa ed è in possesso di beni tende ad anteporre questi al suo lavoro, oppure utilizza il
proprio potere per fare i propri interessi. E’ di estrema importanza per la polis l’eliminazione della
proprietà privata e della famiglia per i governanti poiché si devono completamente dedicare alla polis.
Non è però vietato ai politici di avere dei figli, ma questi ultimi verranno educati in orfanotrofi di
stato. Il compito dei lavoratori quindi è quello di garantire dei mezzi di sussistenza per i guerrieri e
per i filosofi che mangeranno in delle mense collettive. Platone considera la donna più o meno uguale
all’uomo e per questo la donna può accedere agli stessi studi dell’uomo.
La Repubblica
Per Platone la forma di governo perfetta è l’aristocrazia o la monarchia. Quando i filosofi
incominceranno ad avere beni propri subentrerà la corruzione quindi il governo che si istaurerà sarà
una timocrazia gestita dai guerrieri. La timocrazia è la prima delle forme reali,meno perfetta rispetto
alla monarchia o aristocrazia, ma meno corrotta rispetto a quelle che la succedono. Quando subentra
l’ambizione sfrenata, il potere passa alla terza classe, i lavoratori più ricchi, quindi si istaura
un’oligarchia, il loro principio è la prosperità collettiva che sfocerà però in ingordigia e avarizia, in
questo modo il governo passa ai poveri, quindi si istaura la democrazia. Quest’ultima per Platone è
la peggiore delle forme rette e la migliore tra le degenerate. Il principio dei poveri è la libertà che
però sfocerà in licenza e dunque il governo si trasformerà in tirannide, la peggiore forma di governo.
Platone era antidemocratico poiché non credeva che il popolo potesse autogovernarsi poiché il loro
potere degenera in un abuso di libertà. Con questo termina il dialogo La Repubblica.
I dialoghi
Nel dialogo Il Politico Platone sostiene che l’uomo politico deve destreggiarsi nell’arte regia. Il vero
uomo politico è colui che ha il senso della misura, nella sua gestione deve evitare l’eccesso e il difetto.
Nel dialogo Le Leggi Socrate è assente. Questo dialogo dimostra come la scuola di Platone abbia
approfondito e esaminato le costituzioni vigenti e aveva cercato di delineare un prototipo di stato che
prendesse le cose buone dalle diverse costituzioni. I primi 6 capitoli esaminano le costituzioni, per
esempio quella di creta. Gli altri 6 capitoli esaminano lo stato ideale dove applicare la costituzione.
Qui Platone capisce che bisogna ripristinare la proprietà privata, la famiglia e le leggi scritte, compito
di 37 cittadini diventerà custodire la legge.
Ai tempi di Platone l’ateismo era considerata una malattia da curare. Un consiglio notturno incontrava
l’ateo di notte per convincerlo a comprendere come la sua visione atea della vita deve essere superata.
Se dopo 5 anni l’ateo non si era ricreduto egli poteva essere ucciso.
Alberto Presti
Aristotele
Le opere essoteriche ovvero quelle destinate al pubblico sono state perdute, mentre le opere esoteriche
ovvero quelle destinate agli allievi sono pervenute. Secondo Aristotele l’Europa non coincide
geograficamente e politicamente. Per Isocrate l’Europa coincide con la Grecia, per Ippocrate l’Europa
coincide con la Sciizia (Kazakistan, ucraina) mentre per Aristotele l’Europa non è la Grecia.
Aristotele sostiene la teoria dei climi, secondo lui una forma di governo non è esportabile. Egli era
un meteco ovvero uno straniero e quindi non godeva dei diritti ateniesi. Il padre di Aristotele lavorava
presso il Re Aminta, nonno di Alessandro Magno. Aristotele divenne l’educatore di Alessandro
Magno.
A differenza di Platone, Aristotele si sofferma sulla realtà.
Le scienze
Aristotele distingue le scienze in tre: teoretiche, pratiche e produttive. Le teoretiche sono le scienze
più importanti come la matematica, la fisica e la metafisica, scienze che occupano il vertice poiché
ricercano il sapere per se stesso. Si differenziano dalle pratiche che invece si soffermano per
approfondire il sapere (politica). Le scienze produttive invece sono finalizzate alla produzione di cose,
e sono le meno importanti.
Egli utilizza una metodologia scientifica, pone al lettore le difficoltà e cerca di rispondere alle ipotesi
delle domande che il lettore potrebbe fare, questo metodo è chiamato …..
Dio
Aristotele parte dal presupposto che la natura è soggetta ad una trasformazione, pone due estremi,
uno è rappresentato dalla materia e l’altro è rappresentato dalla forma pura Dio. La materia tende alla
forma che contiene intrinsecamente. Dio muove le cose - è un motore immobile - senza essere mosso,
è la causa che muove le cose.
Le anime
Aristotele afferma che gli esseri viventi sono posti in un ordine gerarchico così come le anime. Per
Aristotele esistono tre tipi di anima, l’anima vegetativa posta ad un piano più basso, propria delle
piante, l’anima sensitiva posta ad un piano intermedio, propria degli animali e l’anima razionale
posta al piano più alto propria dell’uomo. L’uomo è l’unico che possiede le tre anime.
La felicità e le virtù
Per Aristotele il fine dell’uomo è vivere secondo ragione ovvero raggiungere la felicità. La vera
felicità è lo stato di appagamento che riguarda i beni spirituali ovvero la beatitudine. La felicità può
essere correlata ai beni terreni e materiali l’importante è che non offenda quella aulica.
Due tipi di virtù (libero conformarsi del volere al sapere) consentono all’uomo di raggiungere la
felicità. Le virtù dianoetiche, tipiche dell’attività speculativa (spirituale) è indispensabile per lo
sviluppo della ragione, queste sono: l’Arte, la Saggezza, l’Intelligenza, la Scienze e la Sapienza,
quest’ultima è la più importanti delle virtù dianoetiche.
Alberto Presti
Le virtù etiche, che non derivano dal sapere, si conseguono con l’abitudine e la pratica, consentono
lo sviluppo del’animo, esse sono: il Coraggio, la Liberalità, la Magnanimità, la Mansuetudine e la
Giustizia, quest’ultima è la più importante delle virtù etiche.
La Giustizia
La giustizia non è un giusto mezzo come le altre virtù, ma è la più completa, è la virtù suprema ed
unica. La giustizia riguarda la comunità politica, è giusto ciò che è vantaggioso per la comunità. Egli
sostiene ch non esiste una legge uguale per ogni stato o territorio ma va identificato un giusto naturale
e giusto legale. La giustizia naturale vale ovunque, in qualsiasi circostanza. La giustizia legale è
variabile da polis a polis, da continente a continente e varia a seconda dalla situazione. . La giustizia
legale può essere suddivisa in giustizia distributiva e in giustizia correttiva. La giustizia distributiva
è basata sul principio della proporzione geometrica ovvero una giustizia meritocratica (dare a
ciascuno ciò che gli spetta per il contributo dato alla produzione). La giustizia correttiva o
commutativa è basata sul principio aritmetico e regola gli scambi economici e le punizioni.
L’attacco al comunismo platonico
Aristotele attacca il comunismo platonico poiché il fatto di non avere nulla non spinge nessuno a fare
qualcosa e di conseguenza si sfocia in un dimensione di parassitismo. Il diritto di proprietà dona
all’uomo la soddisfazione e lo spinge a fare di più e ad impegnarsi.
Individuo e stato
Secondo un ordine cronologico per Aristotele prima viene l’individuo, poi la famiglia e poi lo stato,
come frutto di una dedizione le lavoro. Un cittadino non può vedere la propria vita se non è inserita
nella polis, non vi è autosufficienza senza la polis. Secondo un ordine logico invece lo stato è prius
cioè primo.
Gerarchie delle intelligenze
La famiglia si basa su dei diversi rapporti che trovano una giustificazione nella gerarchia delle
intelligenze. Al vertice vi è il padre o padrone, mentre alla basi vi sono gli schiavi che hanno poca
intelligenza, considerati animali da soma. Nel rapporto schiavo-padrone non ci si concentra sullo
sfruttamento, ma il fatto di essere schiavo è una necessità al fine di arrivare alla felicità che la sua
poca intelligenza può dargli. Nel rapporto moglie-marito, l’uomo è più intelligente e la moglie subisce
i comandi dell’autorità del marito. Aristotele però si sofferma anche sulla schiavitù innaturale. La
schiavitù innaturale è data dal diritto di guerra, il vinto diventa schiavo del vincitore. Questo è
interpretato negativamente da Aristotele, il quale non concepisce questo tipo di schiavitù.
L’impossibile scissione tra bene comune e individuale
La politica per Aristotele è scienza pratica poiché è compete con la realizzazione dell’etica. L’etica è
strettamente legata alla politica. La politica vuole il bene comune mentre l’etica vuole il bene
individuale, questo binomio è indissolubile.
L’economia e la crematistica
Aristotele distingue l’economia dalla crematistica. Economia è naturale, è l’arte di amministrare i
beni della famiglia o dello stato senza lucro. La crematistica è un’economia innaturale, è un arte tipica
del commercio che tende a produrre profitti. La moneta viene introdotta per finalizzare lo scambio di
Alberto Presti
beni essenziali, ed è considerata la causa del passaggio da economia a crematistica. Il denaro produce
altro denaro, questo ha prodotto l’usura, che è una forma immorale di arricchimento.
La Politica
Nel testo La Politica Aristotele analizza scientificamente le forme di governo. Secondo egli vi sono
due parametri fondamentali, il criterio quantitativo e il criterio qualitativo, quest’ultimo fa la
differenza. La qualità ci fa capire come si governa, bene o male. La democrazia che lui chiama politìa
è considerata buona ma la parola democrazia lui la utilizza come demagogia.
Ellenismo
Il primo a coniare il termine ellenismo fu Droysen. L’ellenismo è un periodo post aristotelico che
parte dal 323 a.c. ovvero la morte Alessandro Magno fino al 31 a.c ovvero la battaglia di Azio. Nel
359 a.c. Filippo il macedone sale al trono della Macedonia e comunica la volontà di creare una
confederazione, ovvero una lega panellenica, mettendosi a capo della polis e andando contra la Persia.
Vi è quindi la fine della visione circoscritta della polis e la creazione di una monarchia universale. Il
progetto di Filippo non viene portato a termine perché viene ucciso. Sale al trono Alessandro Magno.
Nel 300 a.c. vengono create nuove scuole: scetticismo, stoicismo e epicureismo. Queste scuole
esaminano indirettamente la politica, ma ebbero una forte influenza. Dello Stoicismo il creatore fu
Zenone. Egli parlava agli studenti nella stoà ovvero un portico. Dell’epicureismo fu Epicuro e del
Cinismo fu Antistene il quale sosteneva che l’uomo doveva essere considerato apolide ovvero non
deve appartenere ad una patria ma deve essere cosmopolita.
Epicuro
Epicuro fu considerato il medico dell’anima poiché l’uomo del tempo aveva perso i punti di
riferimento dati dalla polis. La sua scuola era aperta a tutti donne e schiavi. Il suo insegnamento si
fonda sull’edonistica ovvero la ricerca del piacere e l’assenza del dolore. L’edonistica è il facile
raggiungimento del piacere. Pone una distinzione tra piaceri cinetici ovvero i piaceri del corpo e
piaceri catastematici ovvero l’assenza del dolore che porta ad un piacere statico. Epicuro sostiene a
teoria di Democrito ovvero che la materia è costituita da atomi. L’aggregazione degli atomi sfocia
nella politica (non siamo più nel zoon politikon aristotelico ovvero che l'uomo è un «animale
politico» e in quanto tale è portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità). La
sua è una concezione contrattualistica dello stato, non vi è nessuna propensione nell’uomo ma vi è
la volontà nel ricercare lo stato e di farne parte. Gli individui (atomo) fanno un patto (concezione
patristica) per formare uno stato. Le leggi sono convenzioni umane. Per Epicuro la politica è un
carcere, è fonte di tribolazione, soltanto l’estremo razio (costrizione) deve portare l’uomo a
partecipare alla vita politica attiva. Tetrafarmaco.
Stoicismo
Lo stoicismo, a differenza dello dell’epicureismo, accetta la concezione naturalistica dello stato
aristotelico, anche se attacca la gerarchia delle intelligenze. Zenone sostiene un principio di
eguaglianza, tutti sono dotati di ragione e di conseguenza nessuno nasce schiavo. Il saggio per gli
stoici è colui che deve raggiungere l’apatia ovvero l’annullamento delle passioni. Questo porta gli
stoici ad affermare che l’uomo in preda alle sue passioni esprime una forma di schiavitù. Non è la
Alberto Presti
mancanza di ragione che crea la schiavitù ma è la passione. Per garantire l’apatia l’uomo deve evitare
l’amore. L’uomo invece deve farsi governare dalla propria ragione in modo da armonizzarla con
l’ordine naturale. Disarmonico dalla natura è l’uomo che non è saggio, importante è farsi guidare dal
logos, dalla natura e dal fato. Una legge che offende la natura non è una legge.
Cicerone
Cicerone riprende l’insegnamento storico platonico secondo il quale l’uomo saggio deve mettersi a
disposizione le proprie capacità anche a rischio della propria felicità. Egli fu un grandissimo oratore,
filosofo ed eclettico. Autore di De Republica e di De Legibus. Appartiene ad un ceto equestre molto
agiato, in concorrenza con il senato. Il De Legibus esprime l’ida che la legge umana deve conformarsi
a quella naturale. De officiis è l’unico scritto a forma di trattato sul problema della morale e sui doveri;
critica molto Cesare. Cicerone rispetto all’aristocrazia romana non partecipava alla vita politica. Nel
De Republica fa costante riferimento alla realtà storica. Rispetto all’opera platonica c’è un excursus
storico e sull’uomo di stato. Il sogno di Scipione fu l’unico libro del De Republica che venne
conservato integro poiché adattava alla cultura medievale. L’influenza platonica farà in modo che
Cicerone non racconti che in realtà si tratta di un dialogo immaginario, affida le proprie riflessioni
politiche a Scipione l’africano.
De Legibus: per parlare di stato ci vuole giustizia, non si può parlare di stato se non c’è giustizia. Le
norme giuridiche devono identificarsi nella legge naturale.
De officiis: si sofferma sui tanti doveri dell’uomo politico che deve pensare prime alle esigenze dei
cittadini. Causa della crisi romana è causata dalla corruzione del potere e dall’assenza di
magnanimità.
De Republica: scritto nel 54 a.c. e ambientato nel 129 a.c. Cicerone si affida a Scipione. Egli si pone
una domanda, cosa distingue il popolo dalla massa? Parliamo di popolo quando la gente si aggrega
attraverso il diritto, che è essenza della società. Gli uomini che si aggregano istintivamente nella
società lo fanno tramite il diritto, ma si trasformano in popolo solo se il diritto è conforme alla legge
naturale. Cicerone prende ad esempio le 3 forme di governo di Aristotele e di Erodoto, e sottolinea
che le forma di governo possono sfociare in qualcosa di negativo naturalmente. Le forme semplici
hanno insite la loro degenerazione. Da maggiore garanzia di funzionalità il mix di monarchia,
democrazia e aristocrazia, questo forma la res publica. Attraverso Scipione, Cicerone esalta la forma
mista. Però egli non esclude che queste forme rette possano degenerare. L’uomo politico deve saper
prevedere i mutamenti costituzionali e quindi deve essere introdotta la quarta forma di governo
ovvero la mescolanza tra le tre forme rette. Questo dialogo ha luogo in tre giorni nella villa di
Scipione, ogni giorno 2 libri, in totale 6 libri.
Cristianesimo
Con il cristianesimo nasce l’indifferenza verso la politica attiva, è dunque un evento rivoluzionario
della teoria aristotelica cronologica e logica ovvero prima l’uomo e non lo stato, di conseguenza prima
si è cristiani e poi si è cittadini. L’uomo vede Cristo come sovrano temporale ma invece Gesù è il
primo laico a comprendere che il potere temporale deve essere separato da quello religioso. Il
cristianesimo porta all’anarchismo sociale ovvero all’apatia rispetto alla vita politica, questo non
significa che il cristiano non debba rispettare lo stato. San Paolo nella lettera ai romani afferma
“Omnis potestas ad Deo” ovvero che bisogna rispettare ogni sovrano poiché è mandato da Dio e non
bisogna ribellarsi nemmeno ai tiranni. Anche San Pietro riprende le affermazioni di San Paolo
Alberto Presti
dicendo che bisogna obbedire a tutte le autorità anche ai padroni più prepotenti. Bisogna sostenere
una resistenza passiva di fronte ad un governante iniquo e ingiusto, bisogna solo pregare Dio per
liberarsi di lui ma non bisogna ribellarsi. Gesù afferma “dai a Cesare quel che è di Cesare e dai a Dio
quel che è di Dio”, poiché il buon cristiano non può sottrarsi dal pagare le tasse e dall’obbedire, ma
deve anche ricordarsi che ha un obbligo nei confronti di Dio. L’obbedienza a Dio deve prevalere su
quella statale se le due entrano in conflitto. Quindi se questa armonizzazione viene meno dovrà pagare
con la propria vita ma senza combattere e fare violenza. Sant’Agostino invece sostiene un passaggio
da resistenza passiva a resistenza attiva. Nasce quindi la patristica ovvero i padri della chiesa, il primo
fu Oligene, e Sant’Agostino fu un importante rappresentate della patristica.
Con l’editto di Milano del 313 d.c. emanato da Costantino si sancisce la tolleranza religiosa e infine
con l’editto di Tessalonica emanato da Teodosio il cristianesimo diventa religione di stato.
Medioevo
La chiesa cede ad un processo di temporalizzazione, rifiutando ciò che aveva professato sin dai tempi
antichi. Il papa diventa a tutti gli effetti un capo di stato. In questo periodo nascono due tipi di
riflessioni: la riflessione di Papa Gelasio e quella di Giustiniano.
Papa Gelasio I fu l’autore di una lettera nella quale identifica due autorità, il Papa e il Sovrano.
Dedica questa epistola all’imperatore Anastasio d’oriente. Egli sostiene la teoria delle due spade
Divisio Glaudiourm. Gelasio sostiene che l’imperatore è subordinato al papa dal punto di vista
religioso e dalla supremazia della dignità. Anche Dante riprende questa teoria chiamandola teoria dei
due soli poiché tutti e due vivono di luce propria.
Giustiniano era un cesaropapista. La sua teoria si fonda sulla separazione delle supremazie e
autonoma superiorità dal punto di vista della dignità: teocrazia. Egli scrive un epistola per
l’arcivescovo di Costantinopoli dicendo che l’uomo politico deve trarre ispirazione della vita
sacerdotale ma questo non significa che egli sostiene la teoria gelasiana, anzi il contrario. Egli vuole
stabilire una supremazia dell’autorità temporale su quella religiosa, l’imperatore deve sostenere
l’unità di fede anche con l’uso della forza per rinsaldare l’autorità politica. Giustiniano è noto per
aver scritto il Corpus Iuris Civilis ovvero una codificazione delle leggi romane che Giustiniano
volle. I Giuri consulti erano coloro che avevano il compito di custodire le leggi. Questo scritto è diviso
in tre parti: la prima sono le “istituzioni” ovvero vi sono raccolti i principi generali del diritto; la
seconda parte è “digesto” o “pandette” ovvero dove vi sono raccolti tutti gli scritti dei giuristi classici;
l’ultimo è il “codex” ovvero la raccolta di tutte le leggi emanate dai vecchi imperatori partendo dal
136: Costituzione di Adriano. Questo è il precursore di un’importante riforma politico-amministrativa
che da vita ad una monarchia teocratica, ovvero una compenetrazione tra autorità politica e religiosa,
ampliando i poteri della chiesa.
Sant’Agostino
Agostino d’Ippona è considerato il padre dell’europa secondo la filosofa spagnola Anna Zambrano.
Egli fa parte della corrente della patristica. Inizialmente egli aderisce al manicheismo religione
dualista fondata da Mani che afferma l’esistenza di due principi eterni increati: il bene e il male. Tra
le opere più importanti ritroviamo De Civitate Dei, scritta tra il 412 e il 426, fu un opera molto
impegnativa che lo occupò per 14 anni. È considerata un’opera occasionale poiché fu l’occasione del
sacco di Roma del 410 a spingerlo a scriverla. È uno scritto apologetico ovvero ha il fine di difendere
Alberto Presti
i cristiani da un’accusa ingiusta ovvero che la fine di Roma è attribuita al cristianesimo. Agostino
confuta questa dea comune nel tempo soprattutto dopo il sacco. Il libro è diviso convenzionalmente
in due parti. La prima parte è l’attacco alla religione pagana, nella seconda parte egli espone la genesi
delle due città: terrena e celeste, secondo Agostino le due città vivono insieme nell’uomo. Queste due
città sono la città di Dio e la città del diavolo. L’amor dei è l’amore di Dio e del prossima e identifica
il cittadino celeste, mentre amor sui è l’amore di se stessi e identifica il cittadino terreno. È presente
nel santo un pessimismo antropologico poiché egli non sostiene che chi fa parte della chiesa è
automaticamente cittadino della città celeste. Vi è una continua lotta tra le due città, egli sottolinea
inoltre che la città di Dio non è la chiesa e la città del diavolo non è lo stato.
Il sacco del 410 aveva alimentato l’odio contro il cristianesimo. Il De Civitate Dei è un’opera
apologetica che egli scrive al fine di difendere i cristiani dalle false accuse, in tendenza con la
patristica. In quest’opera egli parla anche del mondo pagano e quindi studiò il paganesimo
attentamente per evitare di essere contestato; è una prosa estremamente curata che gli procurò molta
fatica.
Agostino è considerato la cerniera tra mondo il classico e l’Europa. Per il santo la concezione dello
stato non può prescindere dalla concezione antropologica, il pessimismo antropologico è dunque
necessario per comprendere la sua concezione di stato. Le istituzioni politiche sono conseguenze del
peccato e quindi rimedio, egli infatti lo definisce remedium peccati, l’umanità è disperata e tendente
a commettere il male, senza la grazia di Dio, l’uomo sarebbe senza possibilità di salvezza e riscatto.
L’esistenza umana corrisponde al torchio utilizzato per la spremitura delle olive, la sofferenza umana
portano l’uomo a una nuova rinascita, da amor sui a amor dei. Non tutti però riescono a utilizzare
questa opportunità, di conseguenza c’è chi diventa olio e chi diventa morchia. La spremitura delle
olive è la metafora dell’esistenza umana, la tribolazione è l’occasione per rinascere. In Agostino non
c’è il concetto di predestinazione, Lutero invece aveva dato questa spiegazione alla filosofia
agostiniana. C’è la possibilità di conciliare il libero arbitrio con la grazia, in termini di prescienza.
Per Sant’Agostino, le leggi di uno stato e tutto ciò che riguarda i poteri terreni hanno il compito di
amministrare il mondo – paragonato ad una valle di lacrime – ed amministrano le contingenze terrene.
Lo stato è remedium peccati secondo Agostino, cioè si tratta di concepire i poteri terreni come
strumenti finalizzati ad andare in soccorso alla fede e dunque alla chiesa nella sua missione di
redenzione, lo stato con le sue leggi aiuta l’unità dell’ortodossia. Lo stato collabora da sottomesso
alla chiesa dal punto di vista teocratico. Lo stato non sorge dall’umana natura (no zoon politikon), è
costituito da un’associazione di uomini, da vincoli sociali, da un patto che regolamenta i rapporti di
comando e obbedienza che stanno a fondamento dello stesso. Ma una serie di convenzioni che
costituiscono lo stato, è sufficiente? Agostino in maniera sublime dice che laddove manca la giustizia
le regole non sono sufficienti, senza giustizia siamo in presenza di una banda di ladroni non in uno
stato. Nel libro IV di De Civitate Dei, il potere della giustizia, Agostino afferma che una volta che si
è rinunciato alla giustizia siamo un’accozzaglia di malfattori. I malfattori formano dei piccoli stati,
un gruppo di uomini tenuti insieme da un patto comune secondo una legge tacita, se questo male si
allarga e fissa una sede conquistando città e popoli acquista il nome di regno, che viene dal
conseguimento dell’impunità che porta ad un’esasperazione pattizia. Agostino non condivide la
concezione ciceroniana di stato, dice che il suo non fu mai un vero stato poichè non vi fu vera
giustizia, si fondava sulla schiavitù e sull’ineguaglianza, la vera giustizia è in quello stato fondato e
retto da Cristo.
Alberto Presti
Egli riprende il tema della guerra. Agostino accetta la liceità della guerra se combattuta non per la
libido dominandi, ovvero il desiderio di dominare altri territori, ma solo se esclusivamente finalizzata
alla pace poiché prima si devono esaurire tutte le armi pacifiche, quindi solo in caso di extrema ratio.
Deve esserci la retta intenzione come dice Agostino. Nel VII libro egli dice che chi cerca la guerra
vuole la gloria e la vittoria, la pace è il fine che si desidera dalla guerra, nessuno cerca la guerra
attraverso la pace.
Agostino in linea con gli altri padri della chiesa si chiede come deve essere il rapporto dei cristiani
con le istituzioni politiche. Accetta il fatto che i cristiani debbano rispettare le istituzioni ma non fino
al sacrificio. Egli afferma che la provvidenza divina porta al potere anche uomini iniqui, resistenza
passiva non violenta. Egli dice che chi è cristiano e non vuole pagare le tasse sbaglia completamente,
dobbiamo sopportare la condizione di sudditi, ricordando che così facendo ubbidiamo di più a Dio e
non agli uomini. Egli precisa che non vi è una forma di governo per eccellenza, ma ne accetta
l’esistenza. Nel De libero arbitrio egli dice che se il popolo è tanto saggio da potersi governare
(democrazia) è custode del bene comune, e l’auspicio è che questo popolo regga lo stato, ma se questo
va depravandosi non vi è alcun male nel ricercare all’interno della comunità stessa un uomo giusto
(monarchia) o pochi giusti (aristocrazia) a cui cedere il potere. Tutte le forme rette sono buone ma
non ve n’è una migliore. Se non vi è empietà e ingiustizia tutte le forme sono buone.
L’umanità è incapace di salvarsi senza l’aiuto di Dio, il fratricidio di Caino e Abele riflette l’uomo
nella valle di lacrime. Anche Roma si è edificata da un fratricidio. Libro XV di De Civitate Dei parla
del fratricidio di Caino e non bisogna sorprendersi se nella città terrena si è corrisposta l’immagine
del fratricidio. Però vi è una differenza poichè loro erano entrambi cittadini terreni e il desiderio di
gloria e dominio è la causa di questo fratricidio, e quindi Roma non accusi per la sua decadenza i
cristiani ma piuttosto accusi quelle divinità pagane di non averla difesa.
Idea d’Europa nell’età medievale
L’idea di Europa medievale si consolida anche grazie a Carlo magno. È un’idea d’Europa verticistica,
lontana dall’idea di Europa dei popoli. Carlo magno si presenta come l’avvocato della chiesa.
Antagonismo tra mondo civile, identificato con la cristianità e mondo di barbarie che coincide con il
mondo pagano. Questa contrapposizione tra i due mondi non vede un’Europa ancora con una sua
fisionomia morale, ancora nel IX secolo l’Europa è solo una dimensione geografica. Carlo Magno è
definito come rex pater europae o europae venerandum vertex. Il contenuto morale dell’Europa del
tempo è identificato nel concetto di ecclesia romana. Ciò significa che la cristianità è sinonimo
d’occidente contrapposto all’oriente, un’Europa politicamente sottoposta a Carlo Magno diversa dalla
cristianità orientale che ha il suo nucleo in Bisanzio sottoposta all’imperatore di Costantinopoli.
Europa=cristianità=occidente che si fonda sulla res publica e sull’ecclesia, sottoposta ad un unico
capo temporale e unico capo spirituale rappresentato dal pontefice. -> Sacro Romano Impero.
Tutti i Gregorio che sono saliti al papato sono stati teocratici -> idea di supremazia.
Gregorio VII
Egli si formò nel monastero di Cluny. La riforma cluniacense diventa espressione di autonomia della
chiesa e pone fine alla simonia (vendita delle cariche ecclesiastiche). Il desiderio di Cluny ha portato
alla lotta tra impero e chiesa. Gli scritti politici tra XI e XII secolo ci esprimono la vivacità del dibattito
di carattere polemico sui rapporti tra chiesa e impero. Si pongono i problemi dei limiti del potere e
Alberto Presti
quale deve essere l’istituzione a esprimere supremazia. L’espressione più violenta fu l’elezione di
Gregorio VII. Era stato educato con un’idea di autonomia.
Ottone I nel 962 con il privilegium ottonis si era erogato il potere di avere l’assenzio imperiale sulla
nomina del papa e dei vescovi conti. In Sicilia vi fu la legazia apostolica: i re di Sicilia potevano
nominare i vescovi, potere che ebbero fino al 1870.
Quando Gregorio VII sale al trono papale nel 1037, l’ingerenza dell’imperatore (nomina del papa)
non poteva continuare più. Il conflitto nasce contro l’imperatore Enrico IV.
Con il capitolare di Querzy e con la constitutio de feudis, i feudi maggiori e minori vengono dati in
eredità, vi erano ottime possibilità di lasciare i feudi ai discendenti. Il feudo non torna nelle mani del
Signore. Nasce l’idea di assegnare i feudi ai vescovi-conti così il feudo può ritornare al Signore. La
cerimonia comprendeva anche la nomina del vescovo.
Il pontefice nel 1075 scrive un registro di lettere, contenenti 27 proposizioni, il Dictatus Papae, dove
egli esprime estremo desiderio nel donare supremazia alla chiesa. La XII la XIII sono più importanti,
la prima afferma che solo al pontefice è lecito deporre gli imperatori mentre la seconda afferma che
solo al pontefice è lecito trasferire i vescovi. Il potere politico della scomunica è molto importante,
se il Papa scomunica un imperatore l’obbedienza del popolo all’imperatore veniva meno.
Enrico IV convoca a Worms in Germania un sinodo che accusa il papa di alimentare la discordia e
proclama decaduto il papa. Gregorio VII scomunica l’imperatore. L’imperatore chiede scusa al Papa
per ripristinare il proprio potere. È un conflitto che non si conclude con i due interessati, viene ripreso
dai rispettivi successori e troverà una soluzione nel 1122 con il Concordato di Worms stipulato tra
Enrico V e Callisto II. Stabilisce che la nomina dei vescovi appartiene alla chiesa e una volta investito,
l’imperatore può investire civilmente il vescovo con cariche pubbliche. Questa è la lotta per le
investiture.
San Tommaso D’Aquino
In questo periodo la filosofia aristotelica viene riscoperta attraverso i filosofi arabi Avicenna e
Averroè. L’aristotelismo viene percepito in Europa attraverso i maestri laici di Parigi, chiamati
averroisti i quali ritengono che fede e ragione sono due concetti inconciliabili; e attraverso i maestri
dell’ordine domenicano ai quali appartiene Tommaso D’Aquino e Alberto Magno i quali sostenevano
che fede e ragione possano essere conciliati.
San Tommaso D’Aquino, maestro dell’ordine domenicano e doctor evangelicus sostiene che fede e
ragione sono in relazione e conciliabili, l’una è necessaria tanto quanto l’altra e aiuta l’uomo ad
arrivare alla verità. Sono due rette parallele che convergono all’infinito, l’infinito è rappresentato da
Dio. Sia la fede che la ragione derivano da Dio. In questo pensiero non vi è una concezione teocratica,
Chiesa e Stato collaborano insieme essendo al corrente che ognuno è supremo solo nel proprio
ambito. Egli concilia l’aristotelismo con il cristianesimo, secondo Tommaso bisogna avvalorare
l’aristotelismo con il cristianesimo, per questo egli diede un grande contributo. Egli supera la
condanna che la chiesa fece contro l’aristotelismo, questo nuovo pensiero di conciliazione tra
aristotelismo e cristianesimo viene definito tomismo che diventerà un’importante pensiero filosofico
della Chiesa. Anche Tommaso è un padre della chiesa.
Nell’800 d.c. nasce la scolastica e Tommaso, nonostante visse nel XIII secolo è uno degli esponenti
insieme ad Alberto Magno, questo periodo viene chiamato il periodo aureo della scolastica.
La scolastica designa la filosofia del medioevo, deriva dalla parola latina scolasticus , è una filosofia
che viene insegnata nelle scuole ed organizzata dalla Chiesa. Questo è un insegnamento che si fonda
Alberto Presti
sulle discipline chiamate trivio e quatrivio. Nel trivio fanno parte discipline come la grammatica, la
logica e la retorica del quatrivio invece, l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia. Le lezioni
si svolgevano in due momenti, la disputatio e la lectio. Prima vi era una discussione sul testo
(disputatio), poi vi era il commento al testo (lectio).
Tra le sue opere ritroviamo De Regimine Principum, la Summa Theologiae, la Summa contra
Gentiles (gentiles = pagani) e poi i commenti alle opere di Aristotele. Le sentenze a Pietro
Lombardo (vissuto nel 1100, vescovo di Parigi, italiano) fu utile per contribuire alla liceità della
resistenza attiva. San Tommaso è d’accordo nel rispondere alla violenza con la violenza ma solo dopo
aver esaurito tutti gli strumenti pacifici, è lecito solo per extrema ratio.
Con San Tommaso siamo lontani dal pessimismo agostiniano, la visione di Tommaso è assolutamente
diversa, vede l’uomo come incline al bene, e la prospettiva dello Stato non nasce per correggere il
male, ovvero non come remedium peccati, ma essendo un essere proteso verso il bene, lo stato diventa
strumento per realizzare il bene dell’uomo. Riprende da Aristotele il concetto di virtù, come
disposizione pratica a vivere rettamente, se la virtù consente all’uomo di raggiungere la felicità
secondo Aristotele, la virtù aiuta a fuggire dal male secondo Tommaso. Le virtù per eccellenza sono
quelle cardinali ovvero giustizia, temperanza ecc… Le virtù morali ed intellettuali conducono l’uomo
a vivere rettamente e fargli raggiungere la felicità, ma per trasformare questa felicità in una felicità in
termini di beatitudine sono necessarie le virtù teologali ovvero fede, speranza e carità. Attraverso il
cristianesimo egli ricrea la filosofia di Aristotele. Con carità, Tommaso la intende nei termini tracciati
sulla solidarietà verso il fratello meno fortunato, non carità opportunistica.
Sant’Agostino è definito il Platone cristiano mentre Tommaso è l’Aristotele cristiano.
La logica aristotelica viene reinterpretata. San Tommaso si basa sul metodo storico, logico e
sistematico. Storico perché quando egli parla di qualcosa indaga sugli studiosi che già si sono occupati
dell’argomento prima di lui, fa un omaggio alla tradizione e rivede tutte le posizioni dei suoi
predecessori. Logico perché utilizza un rigore razionale nel raccontare gli argomenti che sta
esaminando, non vi è alcuna divagazione. Sistematico perché tende a dare organicità alla trattazione.
L’obiettivo di Tommaso è cristianizzare il grande filosofo Aristotele. Nel 1260 incomincia a girare
una traduzione latina delle opere politiche di Aristotele ad opera di un padre fiammingo domenicano
Guillaume de Mocambique. Si riprende un attenzione sulle forme di governo che si era persa. Questo
consente la produzione di una nuova forma di scrittura chiamata specula principis (specchio dei
principi), gli scrittori politici cercano di delineare un modello virtuoso dove i principi possono trovare
parametri che gli consentano di governare bene. Caratteristica determinante della produzione che si
ispira all’opera aristotelica. Anche Tommaso si dedica a questo scrivendo il De regimine principum
ad regem Cypri, scrivendo al principe di Cipro Ugo II (il suo ordine è molto presente a Cipro per
questo decide di dedicarlo proprio al re di Cipro), giovane adolescente che ritrova nelle sue mani un
grande potere. Tommaso delinea le virtù affinché egli possa governare bene, l’opera è incompleta e
completata da Bartolomeo da Lucca (suo allievo). Il santo mette in guardia il principe, se egli non si
ispirerà alle virtù è lecito che il popolo si ribelli uccidendolo. Questo ha fatto nascere un grande
dibattito, Tommaso non avrebbe accettato le nuove riflessioni aggiunte dall’allievo.
Aristotele aveva sottolineato la differenza tra giusto naturale e giusto legale, ma nel medioevo la legge
viene ritenuta un possesso esclusivo del popolo, espressione di una consuetudine, quindi il sovrano
interveniva per mettere in chiaro una norma che era consuetudinaria, espressa dalla tradizione. Nasce
Alberto Presti
l’idea di concepire il rapporto di governati e governanti come espressione di un patto con obblighi
reciproci, vi deve essere obbedienza da parte dei governati e il governante deve avere come obiettivo
il bene comune, deve anteporre il bene comune e quello personale. Nasce l’idea che questo rapporto
sia un patto di soggezione, pactum subiectionis. Se il governante viola il patto, questo
automaticamente viene sciolto e il popolo si riappropria degli strumenti che gli consentano di eleggere
e nominare un nuovo governante. Tommaso precisa che è vero che San Paolo sosteneva che ogni
potere deriva da dio, omins potestas ad Deo, ma solo in termine astratto, concretamente nessuno ha
mai visto Dio delegare qualcuno al governo di una comunità. Concretamente l’assegnazione del
potere è di mero diritto umano. L’espressione paolina trova nel pensiero tomasiano una correzione.
È il popolo che concede il potere ad una autorità affinché il governante governi rettamente, omnis
potestas Deo ad omnis.
Nella Summa Theologiae egli evidenzia i diversi tipi di legge. È influenzato dal pensiero medievale,
di conseguenza secondo il santo Ragione e legge sono inscindibili, non è possibile separarli. Lex
significa legare, la legge è una norma che ci obbliga o ci vieta ad agire in un certo modo. La legge
non sempre secondo Tommaso va rispettata, ovvero quando è difforme da quella naturale (si esprime
in ciò che è giusto retto e immutabile secondo cicerone).
La legge è prescrizione della ragione in vista del bene comune stabilita e promulgata da colui a cui
spetta la cura della comunità. Egli suddivide diversi tipi di legge:
• Lex aeterna è il piano razionale di Dio, ordine dell’universo intero, attraverso cui Dio dirige tutte
le cose al loro fine. È il piano della provvidenza noto solo a Dio. C’è però una parte di questa
legge eterna di cui l’uomo, essere razionale, è partecipe. Tale partecipazione alla legge eterna è
la legge naturale.
• Lex naturalis come esseri razionali, gli uomini conoscono la legge naturale che ha il suo precetto
nel fare il bene ed evitare il male. Il bene è la protezione e crescita dei figli; il bene è vivere in
società. La legge naturale è propria dell’uomo portato ad agire secondo ragione. La legge naturale
non è istinto.
• Lex humana è la legge giuridica, è diritto positivo, è posta dall’uomo. Per Tommaso è essenziale
che la legge umana derivi da quella naturale poiché se la contraddice essa non esiste come legge.
Se la legge non è giusta diventa come disse Agostino “il regno dei malfattori”.
• Lex divina è la legge rivelata dell’antico e del nuovo testamento, è la legge divina positiva.
Vi è una stretta correlazione tra legge e ragione: la legge è prescrizione della ragione in vista del bene
comune. La comunità più vasta è l’universo regolato da Dio e dunque la prima delle leggi è la lex
aeterna. Quest’ultima coincide con la ragione di Dio e la finitezza dell’uomo è tale da non poterla
comprendere, è trascendente all’uomo. Ma grazie alla razionalità l’uomo partecipa alla legge divina,
è una creatura ragionevole, egli partecipa alla legge eterna attraverso la lex naturalis. Tommaso
sottolinea il libero arbitrio dell’uomo, essendo l’uomo un essere libero egli è anche capace di redigere
leggi contrarie all’ordine divino e provvidenziale. La lex humana è quella fatta dall’uomo, legge
positiva, espressione della propria libertà, per questo la sua produzione normativa non è sempre
conforme alla legge naturale. La legge umana può cambiare da luogo in luogo. La lex divina è quella
legge rilevata e contenuta nel vecchio e nuovo testamento, che deriva da quella eterna.
La legge naturale è un inclinatio ad bonum, ovvero l’uomo è propenso a fare il bene, ha rispetto per
la propria vita, ha un principio naturale di allevare i figli; tutto ciò è espressione della legge naturale.
Alberto Presti
Questo principio di autoconservazione, presente sia nell’uomo che nell’animale è però differente, per
quanto riguarda l’animale questo principio viene considerato istinto, mentre per l’uomo è
partecipazione al piano razionale di Dio. Tommaso sottolinea che se la legge naturale si esprime in
tutti quei principi sopra citati, la norma fatta dall’uomo (lex humana) va rispettata se conforme alla
legge naturale. Questo è il principio cardine. Una legge dello stato che non tutela la vita non va
rispettata.
Il de De regimine principum ad regem Cypri è un’opera importante che sottolinea l’importanza
della resistenza attiva. Si fa sostenitore della liceità della resistenza attiva. Egli mostra di essersi
forgiato grazie alla lettura e alla meditazione sull’opera aristotelica. Tommaso è a favore
dell’uccisione del tiranno iniquo. Egli procede esaltando la forma monarchica, si sofferma a motivare
questa sua preferenza affermando che il governo di uno solo risponde ad un criterio naturale delle
cose (un sole, un’ape regina), di conseguenza l’uomo è essere socievolmente portato alla comunità
(zoon politikon aristotelico). Il suo opposto diventa la peggiore delle forme di governo (tirannide),
che si traduce in una violenza perpetrata da un uomo solo ai danni della società. Riprende totalmente
la concezione aristotelica. Il tiranno non ha rispetto per i sudditi e per i loro beni, è un essere che è
animato da cupidigia e che sparge sangue e violenza per un non nulla.
La descrizione che egli fa non appare umana ma piuttosto viene assimilata ad una belva feroce. Egli
non sollecita il popolo a ribellarsi immediatamente, ma è sempre considerata una decisione
tormentata, che deve essere concretizzata solo dopo che le soluzioni pacifiche sono terminate. Se la
tirannide non è eccessiva, aggiunge Tommaso, è meglio sopportare con pazienza piuttosto che
rivoltarsi, poiché la ribellione può dare un esito negativo facendo inasprire il tiranno nei confronti
della popolazione. La loro vittoria può creare discordia nella comunità e conduce alla creazione di
fazioni. Se qualcuno aiuta la popolazione a insorgere contro il tiranno egli può imporsi su di essa
creando un governo ancora più aspro. Tommaso sostiene che il successore è sempre peggiore del
predecessore. Il governo di un tiranno deve essere combattuto dalla comunità soppesando costi e
benefici, non bisogna rispondere alla violenza con altra violenza in maniera superficiale, infatti la
storia ci insegna che è più opportuno sopportare piuttosto che incorrere in pericoli più gravi. La
decisione finale di una possibile rivolta sanguinaria spetta all’intera comunità e non ad un singolo
cittadino. Egli ci prospetta due tipologie di tiranno: il tirannus regiminis o anche definito tirannus
ad exercitio e il tirannus usurpationis o anche definito tirannus a titulo. Il primo è il re che
legittimamente ha preso il potere ma nell’esecuzione del suo mandato abusa del suo potere; egli ha
legittimità del suo ruolo poiché è stata la comunità politica a concedergli il potere. L’intera comunità
deve valutare la possibilità di rivoltarsi contro, vista la sua legittimità. Nel momento in cui la comunità
decide di rivoltarsi, un privato cittadino può eseguire l’atto, ma il desiderio non deve mai venire da
un solo privato cittadino. Diverso invece è il trattamento che bisogna riservare all’usurpatore. Questo
tiranno non ha ricevuto il potere legittimamente, ha detronizzato il re legittimo e si è impossessato
del potere, di fronte questa figura Tommaso fa due precisazioni. Se l’usurpatore antepone il bene
comune al suo, la comunità non può rivoltarsi contro, sebbene si tratti di un usurpatore, egli ha preso
potere con violenza ma se non persevera nella violenza, non bisogna rivoltarsi. Se invece l’usurpatore
persevera nella violenza, anche un privato cittadino può ucciderlo.
Tommaso sostiene che ogni potere deriva da Dio astrattamente (ad iure divino) ma attraverso il
popolo concretamente (ad iure umano). Nella Summa Theologiae, egli si domanda se il diritto di
proprietà è conforme alla legge naturale. Non si allontana dalla riflessione di Aristotele. La proprietà
privata è l’espressione di una legge umana, ma è in contrasto con quella naturale? Egli parte dal
Alberto Presti
principio che i beni materiali esprimono un’esigenza primaria di una natura umana. La suddivisione
dei beni trova una giustificazione nel diritto positivo, ovvero che si è aggiunto in un secondo momento
ma che tuttavia non è disarmonico con la legge naturale. Il primo aspetto che egli sostiene è che con
l’esercizio della proprietà privata si evita il parassitismo, ognuno con un proprio bene è più sollecito
a procurarsi cose a lui solo appartenenti, mentre nella condivisione di beni ognuno fugge la fatica
perché tanto il suo bisogno sarà soddisfatto lo stesso. Il secondo aspetto che egli sostiene è che se
ciascuno si occupa di cose alla rinfusa, si crea confusione, la società stessa ne beneficia se è presente
la proprietà privata. Terzo aspetto che egli sostiene è che la convivenza umana è più pacifica quando
ciascuno si appaga del suo. Egli però fa una distinzione tra diritto di proprietà e uso di beni, il primo
si esprime nella legge umana ma conforme a quella naturale, la seconda rientra nella legge naturale
ovvero solidarietà dell’altro e uso comune dei beni, carità.
Egli è sostenitore della liceità della guerra. Va alla ricerca di una giustificazione nella legge. Un
evento bellico può essere considerato giusto? Cerca dei requisiti per mandare avanti la liceità della
guerra. Si parla di guerra giusta se siamo in presenza di tre requisiti, ovvero l’iniziativa statale, la
motivazione giusta e la retta intenzione. Il primo è inteso come la liceità che giustificava la rivolta
contro il tiranno, il privato cittadino non può dichiarare guerra, è il sovrano che dichiara lo stato di
guerra. Il secondo esprime il fatto che si esige che la causa sia giusta, ovvero coloro che noi
offendiamo con la guerra devono aver commesso qualcosa di veramente grave e oltraggioso. Il tezo
è che l’intenzione dei belligeranti sia retta, che evitino il male, deve essere una guerra finalizzata al
raggiungimento del bene. È lecito portare avanti la guerra giusta se ci sono questi requisiti. Non ritiene
che i chierici possano armarsi poiché chi tratta il sangue di Cristo non può versare il sangue altrui, la
guerra è contro il ministero della chiesa.
Europa tra XIII e XIV
L’impero perde il suo ruolo a vantaggio del consolidamento delle monarchie nazionali. Il sovrano
francese Filippo IV esprime emblematicamente questo fatto dicendo: rex in regno suo est imperator
et superiorem non recognoscens ovvero il re nel suo regno è come un imperatore che non riconosce
al di sopra di se alcuna autorità. Non vi è più l’imperatore in contrasto con l’autorità papale. Il conflitto
nasce tra le monarchie nazionali e un papa che in maniera anacronistica pensa ancora di poter essere
in un’ epoca (basso medioevo) in cui può portare avanti le teorie teocratiche.
Enrico VI e Federico II (discendenti di Federico Barbarossa) riprendono il progetto di consolidare il
potere imperiale in Germania e in Sicilia. I comuni d’Italia e il papato non accettano questa presenza
imperiale. Federico II viene scomunicato due volte da Gregorio IX. Il potere in Sicilia va al figlio
Manfredi che anche lui viene scomunicato da Urbano II che assegna la corona al fratello del re di
Francia Carlo d’Angiò. Gli imperatori cominciano a restare in Germania, non sono presenti
fisicamente nella penisola italiana, ma sono presenti solo attraverso i vicari. Nel 1300 cominciano le
discese degli imperatori, essi scendono nella penisola. Dante vede la discesa di Arrigo VII come una
cosa positiva, che può pacificare gli enti politici minori.
Il conflitto tra il re di Francia e il papa segna Dante. Nasce per la necessità di Filippo IV detto il bello
(1302) di convocare gli stati generali ovvero nobiltà, clero e terzo stato, per la prima volta. Egli ha
necessità di fare cassa, di pagare e sovvenzionare le sue guerre, le spese della gestione e della
monarchia. Vuole porre sotto tassazione i beni ecclesiastici. Le bolle papali sintetizzano i pensieri di
Bonifacio VIII.
Alberto Presti
Lo stato moderno
La caratteristica dello stato moderno è il monopolio della forza ovvero la capacità da parte dello
stato di esercitare coazione su i soggetti all’interno del territorio, elemento non presente nello stato
medievale. Il compito dello stato è infatti quello di evitare il bellum omnium contra omnes ovvero la
guerra di tutti contro tutti. In una organizzazione gerarchica medievale il monopolio della forza non
era presente Un’altra caratteristica è il fatto che esso possiede la sovranità. Jean Bodin incentra la sua
riflessione sulla sovranità ed è egli che conia il termine. Lo stato ha un potere di comando al di sopra
di ogni altro potere e lo esercita nei confini del suo territorio. La sovranità si manifesta nella capacità
di garantire la pace tra i cittadini e di evitare la guerra. Lo stato rifiuta interferenze date da altri stati,
l’indipendenza è fondamentale. Tra il XIV secolo incomincia ad abbozzarsi un’idea di stato moderno
per poi arrivare al suo completamento nel XVI secolo. Emergono le monarchie assolute, ab solutus.
Queste monarchie si basano su una sovranità assoluta, svolgono un’attività unificatrice che distrugge
i residui feudali precedenti. Nicola Matteucci afferma che “per stato si intende quella forma
storicamente determinata di organizzazione del potere o delle strutture delle autorità contrassegnata
dal fatto che ogni istanza, quella statuale appunto, detiene il monopolio legittimo della costrizione
fisica”.
Niccolò Machiavelli
Niccolò Machiavelli nasce nel 1469 a Firenze, quando Lorenzo il magnifico prende il potere.
Con egli siamo in presenza di un freddo teorico della verità testuale ovvero viene eliminato ogni
contenuto teologico. La sua carriera politica inizia dopo la morte di Girolamo Savonarola egli è
sostenitore della democrazia teocratica, viene arso in piazza della Signoria nel 1498 per volontà di
Papa Alessandro VI Borgia poichè il suo modello di chiesa non coincideva con quella del tempo.
Machiavelli diviene il segretario fiorentino presso la seconda cancelleria. Nel settembre 1512 la
repubblica fiorentina cade e viene restaurata la signoria dei medici. Il suo incarico da segretario della
repubblica finisce. Viene considerato pericoloso e confinato nella sua casa senza potersi avvicinarsi
a Firenze. In questi anni fino alla morte egli si mette a disposizione dei medici con incarichi di poco
conto. Nel 1527 viene restaurata la repubblica e i repubblicani lo definiscono traditore e si
guarderanno bene nel coinvolgerlo, morirà poco dopo.
I primi scritti politici costituiscono secondo gli studi le bozze per i discorsi di Pierso de Rini. Egli
scrive De Principatibus, e Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Vengono scritti durante
questo esilio forzato a San Casciano, egli ci svela che prima che cadesse la repubblica si stava
dedicando alla stesura dei Discorsi. In questo testo è presente un stoicismo polibiano. Egli parafrasa
alcune cose tratte dall’opera polibiana. Il tema è la repubblica. Per Machiavelli non ha più senso
riprendere questa opera dopo la ripresa del potere dai medici, questo non significa che lui metta in
discussione il suo pensiero politico ma ritroviamo invece un realismo politico. Secondo Machiavelli
all’Italia rispetto alla Francia e alla Spagna, è mancata l’opportunità di affermarsi come stato forte e
solido. Niccolò afferma che se in Italia è presente il barbaro dominio ovvero gli stranieri è perché la
chiesa non ha consentito di essere privata degli stranieri, non è stata forte da permettere una
liberazione del territorio nazionale né ha consentito che qualcun’ altro potesse occuparsi dell’Italia.
È un accusa forte, al trono di Pietro vi è un papa mediceo. Secondo lui la famiglia dei medici deve
occuparsi dell’Italia anche perché avrà l’appoggio del papa facente parte della sua famiglia.
Nella lettera dedicatoria a Lorenzino de’ Medici presente nel De Principatibus scrive che solitamente
ai principi si porgono dei doni ma egli afferma che non ha altro che la conoscenza delle cose antiche.
Alberto Presti
Egli scrive il perché può dare consigli: il principe dall’alto vede il bisogno del popolo mentre lui dal
basso vede la grandezza degli uomini potenti.
Egli scrive i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio per colmare l’ignoranza della gente,
l’ispirazione di Machiavelli deriva dalle storie di Polibio infatti ritroviamo una parafrasi di ciò che
aveva scritto Polibio. Deriva da Polibio la concezione pessimistica della storia, l’idea di una
mancanza di progresso, di un perenne ritorno. Fa propria la ciclicità polibiana, ma usando cautela:
Machiavelli cambia il linguaggio al posto dell’aristocrazia pone il governo degli ottimati e al posto
di oclocrazia pone il governo dei licenziosi. Solo la forma mista da migliori risultati. Esprime l’amore
per la repubblica, odia la tirannide che egli vede diversa rispetto all’esperienza della res publica
romana dove il dictatur era il magistrato eccezionale, chiamato in occasioni di gravi disordini per
porre fine a questi, ma vi era un accentramento dei poteri. Esalta la res publica romana, la mescolanza
delle tre forme rette da migliori risultati di durata. Quindi fa una distinzione fra dictatur e tirannide.
Egli volgarizza il termine stato, è lui che lo fissa definitivamente, come organismo fornito di capacità
di esercitare il monopolio della forza (stato moderno), esprime anche nella sua idea di stato il suo
pessimismo antropologico che lo porta a scrivere nelle pagine del Principe che gli uomini dimenticano
prima la morte del padre che della roba. Egli descrive in maniera cinica i familiari che dibattono
dell’eredità. Vi è una malvagità nell’uomo che spinge Machiavelli a dare dei consigli specifici al
principe, se gli uomini fossero buoni questi consigli non sarebbero adatti. L’uomo che ha successo è
colui che ha il coraggio dinanzi l’ignoto e l’imponderabile di sapersi destreggiare e farsi avanti. È
potente ma non onnipotente, concede all’uomo una possibilità di modificare gli eventi sebbene
limitatamente. Le azioni degli uomini sono dominate dal 50 % dalla capacità e dal 50 % dalla fortuna
che non sempre è considerata positiva. Se un uomo non riesce a contrastare l’ignoto egli resta in balia
della fortuna.
La fortuna è come un fiume in piena che straripando inonda le terre vicine quando in tempo di quiete
l’uomo non ha provveduto nella costruzione di argini. Pretendere di farlo quando le acque sono
ingrossate è irrazionale e irragionevole. La fortuna è paragonata al fiume in piena, se l’uomo non
contrasta l’imponderato, l’azione impetuosa della fortuna si impone su di noi. La capacità di colui
che governa è di non affidarsi ciecamente alla fortuna, deve prevedere le azioni, anticipare le
situazione e porre un rimedio. Egli apprezza coloro che hanno questa capacità, disprezza i mediocri
ovvero coloro che non sono capaci. Non c’è mai una definizione precisa della fortuna machiavelliana
ma egli da degli esempi. In un altro esempio la identifica come una donna che va battuta e sottomessa.
Per lui il principe è spregiudicatezza, audacia e lo identifica in Cesare Borgia figlio del papa
Alessandro VI. Caterina Sforza raggiunge l’acne della spregiudicatezza (rappresenta bene anche lei
nel Principe). Gli uomini sono avidi e dunque lo stato diventa strettamente correlato a questa necessità
di arginare una natura umana che esprime profondo pessimismo. Egli inizia dicendo che tutti gli stati
che hanno governato sui popoli o sono o repubblica o principati. Lo stato è qualcosa che esiste e va
consolidato rafforzato e conservato. Il suo obiettivo è solo consolidarlo, riformarlo e pensare alla sua
grandezza e alla buona salute. La sua anima repubblicana non viene meno nel suo trattato. Foscolo
ammette che Machiavelli vuole mettere in guardia il popolo di quale nefandezze il principe potesse
essere capace quindi non vuole dare insegnamenti. Stessa cosa afferma Rousseau, un’opera
pedagogica diventa un’opera repubblicana. Fingendo di educare il principe egli dona un
insegnamento ai popoli. Nella famosa lettera a Francesco Vettori egli afferma di aver scritto un’opera
pedagogica.
La stesura dei due testi è contemporanea, in quel contesto la famiglia dei Medici può trarre beneficio
dal Principe. Il clero corrotto ha corrotto i costumi. La sua concezione religiosa è presente nel De
Principatibus, infatti la religione è considerata instrumentum regni ovvero è un potente strumento
Alberto Presti
nelle mani del principe poiché il popolo si compiacerà di questa devozione che sia vera o falsa che si
traduce in uno strumento politico. Questo non ci deve far cadere nell’errore come colui che non
considera l’importanza della religione, la religione ha contribuito al passaggio da una felinità ad una
umanizzazione. Ciò che porta a detestare la chiesa secondo Machiavelli è il comportamento del clero
corrotto che ha contaminato il popoloma anche il fatto che ella tiene l’Italia divisa.
Nella prima parte del De Principatibus egli distingue gli Stati in Repubbliche e in Principati, nello
stesso egli entra nei particolari e suddivide i tipi di principato. Il Principato ereditario che si eredita
per discendenza, solo un inetto può perdere un principato ereditario, è più umiliante perdere un
principato ereditario che uno nuovo. Il principato misto è un principato per metà ereditato e per metà
dato da nuove conquiste. Il principio base è dato dalla mescolanza tra conservazione e innovazione.
Nel principato nuovo il principe diventa tale grazie alla fortuna, alla virtù e alla scelleratezza, si può
fare un buon uso delle azioni scellerate: troviamo due tipi di scelleratezza il primo è quello positivo
dato da Agatocle tiranno di Siracusa il quale usa la violenza per prendere il potere ma non persevera
e lo conserva, quindi il successo politico secondo Machiavelli è la conservazione del potere;
l’esempio negativo è dato da Oliverotto da Fermo il quale persevera con la violenza. Machiavelli
consiglia al Principe di trasferirsi nella nuova parte di principato nuovo in modo che il popolo si
compiaccia dal fatto che egli ha abbandonato la sede storica per vivere lì. Egli così può controllare
costantemente gli umori del popolo ed evitare una ribellione, se il Principe non può fisicamente
trasferirsi quantomeno deve mandare dei suoi delegati. I principati civili vengono formati dai cittadini
grazie al consenso dell’aristocrazia o del popolo. I principati ecclesiastici coincidono con i territori
della chiesa nei quali la religione diventa uno strumento di coesione che grazie al timore di Dio
possibile mantenere a bada gli spiriti, ed è quindi semplice da mantenere, l’unica difficoltà è la
conquista. Si ottiene o per virtù o per fortuna.
Egli focalizza la sua analisi sul principe nuovo che per lui è il capo perfetto, crea organizzazione
politica, concentra su di se la virtù. Nella concezione machiavelliana il principe è colui che riesce a
rappresentare lo stato e incarna i desideri della società, utilizza i sudditi come strumenti della sua
volontà. La virtù non è legata alla religione ma si traduce nella capacità del principe di contrapporsi
agli eventi e di dominarli. Cesare Borgia riuscì a dominarla, ma la fortuna ebbe il sopravvento
nell’altra metà. Virtù che deriva da vis vigore e da vir uomo. In questa virtù egli distingue i profeti
armati e disarmati. Savonarola è considerato disarmato perché è destinato al fallimento, mentre Mosè
è considerato armato. Il consenso si afferma con la forza , con le parole piano piano si perde. Solo
l’armato può avere successo. Meglio essere audace e impetuoso che rispettoso. Il principe deve essere
astuto come una volpe e forte come un leone.
Una renovatio interiore è necessaria per rinnovare lo stato. Lo stato non può essere ipotecato
dall’etica. Del male si può dire bene dice Machiavelli, è accettato un delitto politico, ma non vi deve
essere una perseverazione nella crudeltà. La necessità giustificava la crudeltà. Non bisogna mai
sporcarsi le mani, in prima persona bisogna dare gli onori ma l’esecuzione la deve rimettere a dei suoi
funzionari.
Quando la sicurezza dello stato è messa in discussione le crudeltà diventano ben usate, la sicurezza
dello stato è una necessità. La sua anima repubblicana è conforma alla res publica romana e non
conforme alla repubblica fiorentina. Per Machiavelli la res publica romana è perfetta poiché è
armonicamente consolidata e coinvolta da tutte le classi sociali, mentre la repubblica fiorentina
escludeva alcune classi sociali. Pierso Da Rini era l’emblema dell’inettitudine politica poiché aveva
modificato la carica di gonfaloniere in un ruolo a vita.
Alberto Presti
Nella seconda parte del De Principatibus egli analizza il problema della milizie. Esistono diversi tipi
di milizie: la prima è la milizia mercenaria, è considerata inaffidabile, non vi è scrupolo in questo
tipo di milizie nel schierarsi prima da un lato e poi da un altro poiché si vende al migliore offerente,
non lo fa per spirito patriottico ma per soldi. Machiavelli li chiama “armi infelici”, è compito del
Principe evitare di utilizzare questa milizia. La seconda è la milizia ausiliare che Machiavelli
definisce “armi inutili”. Queste milizie vanno in ausilio del Principe quando egli non è in possesso
di un esercito e quindi chiede aiuto ad uno Stato potente che invierà delle milizie ausiliari per
sostenerlo. Ma non sempre questo esercito può essere valoroso e quindi portare facilmente il Principe
alla rovina, in caso contrario, se le milizie vincessero allora non si accontenteranno facilmente
solamente del bottino di guerra e quindi il Principe diventerà una facile preda. L’ultima è la milizia
propria, composta da sudditi e da cittadini, definita da Machiavelli “armi proprie”. Essi combattono
per spirito patriottico e non per soldi.
Nella terza parte del De Principatibus è presente la precettistica machiavelliana, egli da consigli e
suggerimenti sul modo di governare e fa presente al Principe degli esempi che vanno imitati o evitati.
Qui egli è particolarmente incisivo e fa emergere il suo realismo, ovvero il freddo teorico della verità
effettuale. Delinea le linee guida sulle qualità umane e politiche che un Principe deve avere. Da qui
emerge il pessimismo antropologico machiavelliano, la massa è fatta da uomini che non sono buoni
e che possono rovinare lo stato. La necessità è una costante nella concezione di Machiavelli. Egli si
pone un quesito, tra crudeltà e umanità cosa deve scegliere il Principe? Meglio essere amato o odiato?
Machiavelli afferma che il Principe deve essere clemente e mai troppo crudele ma non deve abusare
della sua clemenza e della sua pietà. L’etichetta di crudele è quasi scontata e prima o poi il Principe
la acquisirà automaticamente. Egli non può esasperare la vita del popolo, deve essere una crudeltà
che deve saper bene usare, il timore che deve suscitare non deve sfociare nell’odio. Da questo quindi
nasce una disputa poiché un Principe cerca di essere sia crudele che clemente ma Machiavelli afferma
che è meglio che il Principe sia temuto che amato. Gli uomini sono ingrati, e quindi non saranno mai
riconoscenti nei confronti del Principe. Un comportamento lodevole non è premiato.
Quando non c’è pericolo gli uomini si mettono a disposizione, quando invece la necessità richiede
che gli uomini si mettano a disposizione del Principe, quest’ultimo non troverà nessuno ad aiutarlo.
Il Principe si deve guardare bene dal toccare il patrimonio del popolo appunto perché questa
esasperazione del pessimismo antropologico machiavelliano ci mette in guardia dal fatto che l’uomo
dimenticherà prima la morte del padre che la perdita del patrimonio. Meglio essere parsimonioso, non
bisogna far troppo uso dei beni dei sudditi, è necessario l’utilizzo dei soldi dei bottini di guerra, ed
essere dispendioso e parsimonioso solo in questo caso.
Machiavelli avverte il Principe che deve allearsi con i confinanti più deboli e non con quelli più forti,
poiché con quelli più deboli può creare un’alleanza più forte. Il Principe deve essere capace di capire
chi sono i buoni consiglieri, e non deve lasciare una troppa libertà di parola, deve avere consigli solo
quando lo richiede egli stesso.
Nella quarta parte del De Principatibus Machiavelli esorta il Principe a prendere le armi e a liberare
l’Italia dal dominio straniero, l’ultima parte è chiamata exortatio.
Jean Bodin
Jean Bodin fu giurista e deputato agli Stati generali dal 1576. Ad egli si attribuisce il concetto di
sovranità. Sostenne la libertà di culto, ma con le sue teorie, favorì anche la persecuzione della
stregoneria. Vanno ricordati i suoi scritti Methodus ad facilem historiarum cognitionem e Six
livres de la république. Aderì al partito dei politici che era contrapposto al partito dei monarcomachi.
Alberto Presti
Il loro compito è quello di rafforzare il potere e non di limitarlo, contraltare invece è il partito dei
monarcomachi, che altro non è che il partito calvinista, che sollecita una limitazione del potere
affinché una fede religiosa possa avere miglior raggio d’azione. I monarcomachi si fanno sostenitori
di una resistenza attiva e di un’alleanza in primo luogo tra Dio e il popolo e di conseguenza
quest’ultimo diventa difensore di Dio e in secondo luogo un’alleanza tra il re e il popolo che si fa
difensore della legge di Dio. Egli si fa propugnatore della differenza di forma di stato e forma di
governo ovvero titolarità ed esercizio della sovranità. Quando lo stato è corrotto è colpa della forma
di governo.
La notte di San Bartolomeo ovvero la notte di massacro tra cristiani e ugonotti, segnò profondamente
le opera bodiniane. Queste tensioni spingono Bodin ad affermare che se lo stato ha intenzione di
rafforzarsi deve stare al di fuori delle dispute religiose; questo suo pensiero però non deve essere
considerato come una tolleranza religiosa. Nel Colloquio tra i sette saggi Bodin afferma che compito
del sovrano è quello di garantire a ciascuno la liberà di professare il proprio credo religioso poiché ha
dei risvolti positivi nella centralità dello stato, nulla a che fare però con l’instrumentum regni
machiavelliano.
La riflessione del partito monarcomaco è rappresentata da Théodore de Bèze che si fa sostenitore
della limitazione del potere, fu allievo di Calvino, autore di uno scritto Du droit des Magistrats sur
leurs sujets. L’opera che però ben sintetizza il pensiero monarcomaco è Rivendicazione contro i
tiranni scritta in latino e apparsa con uno pseudonimo, sotto il nome di Junius Brutus, ma
probabilmente redatta da due rappresentanti illustri ovvero Philippe Duplessis-Mornay e Hubert
Languet . In questo testo il tema fondamentale è la liceità della resistenza attiva, vengono posti
all’interno di quest’opera quattro quesiti fondamentali, dove gli autori rispondono sempre
affermativamente. 1) I sudditi devono disobbedire al principe quando comanda cose contrarie alla
legge di Dio? 2) In questi casi è lecito attaccare con violenza? 3) È lecito resistere al principe se fa
una politica oppressiva? 4) Se è oppresso un altro popolo è lecito andare in aiuto? Sì afferma il testo,
ponendosi a favore della resistenza attiva. Per comprendere da dove viene tratta la giustificazione
della liceità della resistenza attiva dobbiamo prima sottolineare che negli autori non vi è presente un
pensiero democratico, non vi è alcuna esaltazione della democrazia piuttosto comprendiamo che vi è
una fonte biblica la quale dona liceità alla resistenza contro un governatore iniquo. Alla base vi è
quindi il pensiero monarcomaco di un duplice contratto che ha fondamento nella bibbia, contratto tra
Dio e popolo e tra popolo e Re. Nel primo contratto è il popolo che con la sua alleanza e fede difende
Dio da tutti coloro che osano offenderlo ed è lecito rivoltarsi chi offende la legge divina mentre nel
secondo contratto il Re deve regnare con giustizia e secondo legge divina e se non rispetta la giustizia
è lecita la resistenza attiva.
Bodin appartiene agli Stati Generali ed era sostenitore del terzo stato. Grazie al testo Demonomania
degli stregoni favorisce la persecuzione della stregoneria.
Appartiene a quella borghesia che riesce ad acquistare le cariche più importanti, divenne anche
avvocato nel parlamento di Parigi, il parlamento aveva solo un potere giudiziario. Fu anche un
economista, scrisse l’opera Résponse à Monsieur de Malestroit dove parla del rincaro dei prezzi.
Ripristina il binomio tra economia e politica, cerca di limitare apparentemente il potere del sovrano
poiché secondo lui una caratteristica fondamentale della sovranità è l’assolutezza. La limitazione sta
solo nel senso che il sovrano ha un limite umano rispetto a Dio, per il resto ha un potere illimitato.
Per Bodin la Repubblica è una forma di stato e non di governo. Nell’opera Methodus ad facilem
historiarum cognitionem egli fa un retaggio aristotelico, coglie nella concezione della storia un’idea
di progresso e riconosce il compito dell’uomo che con la sua volontà costruisce e fa la storia. Il male
Alberto Presti
non è un elemento ineliminabile dalla storia. La cellula fondamentale dell’organizzazione dello stato
è la famiglia. L’uomo grazie alle prime organizzazioni familiari organizza dei governi più complessi
fino ad arrivare alla creazione di uno stato. Nell’opera Six livres de la république egli scrive contro
Machiavelli, lo accusa di aver fondato lo stato su cose assolutamente diverse ovvero sull’empietà e
sull’ingiustizia anziché sulla giustizia e sulla religione. Il contributo più importante che egli diede
nella disciplina delle scienze politiche e nel diritto pubblico è di aver dato la fondamentale definizione
di sovranità. Sovranità è la facoltà di dare, annullare, interpretare e modificare la legge, sovrano è
colui che ha il potere legislativo, colui che fa la legge; definisce legge “il comando di colui o coloro
che hanno pieno potere sugli altri senza eccezione per alcuno sia collettivamente che singolarmente
restandone eccettuato solo colui che comanda”. Il sovrano è ab solutus è sciolto dal comando,
presenta al di sopra solo Dio che è l’unico limite. Il cardine della riflessione bodiniana è la sovranità.
La Repubblica per Bodin è un governo giusto di più nuclei familiari e di ciò che è loro comune con
potere sovrano. È comune alle famiglie il territorio, il tesoro pubblico, le strade, le leggi, la giustizia,
tutto ciò che è pubblico. Nell’organizzazione dello stato esclude qualunque ipotesi di collettivismo e
comunismo, viene ripreso nella sua riflessione Platone, ma si astiene dal condividere l’idea del
comunismo platonico. La proprietà diventa il cardine dello stato, una sovranità che si palesa nella
deliberazione della guerra, nella stipula dei trattati di pace, nell’imposizione dei tributi e la concezione
della grazia. Senza la sovranità non possiamo parlare di stato, ha una funzione unificatrice, come una
nave si riduce ad essere un pezzo di legno se vengono smontate le parti fondamentali, senza sovranità
non si può parlare di stato. Questa sovranità ha delle caratteristiche fondamentali. La sovranità è
perpetua, assoluta, indivisibile e inalienabile (ovvero non può essere né ceduta né venduta).
L’indivisibilità della sovranità smonta un principio cardine dei pensatori classici, ovvero che la
mescolanza delle forme retta garantisce uno stato più durevole; egli è completamente in disaccordo
con la forma mista, Bodin afferma che è un “regime bastardo e ingannatore”, la sovranità non può
essere suddivisa in soggetti eterogenei. È perpetua perché non muore con l’individuo che la detiene,
la sovranità è per sempre, è legata alla coscienza direttiva della società ovvero non è legata ai titolari
che sono sempre momentanei, esseri umani soggetti a morte, la sovranità non ha limiti temporali, non
muore. L’assolutezza è la caratteristica più importante della sovranità. Bodin ha la consapevolezza
di dare per la prima volta una definizione di sovranità. Le forme di stato hanno la titolarità della
sovranità mentre le forme di governo sono esercizio della sovranità. Egli pone una distinzione tra le
due forme. Nove sono le forme di governo, frutto delle diverse combinazioni. Il titolare può
coincidere con l’esercizio ma può anche non coincidere. Se corruzione c’è è colpa della forma di
governo. La forma di stato non è soggetta alla corruzione. Presenti diversi tipi di giustizia, giustizia
geometrica, aritmetica e armonica.
Egli nel Methodus ad facilem historiarum cognitionem riprende il concetto della teoria dei climi.
La migliore latitudine si presta a presentare la monarchia regia ovvero la migliore tra le forme di
governo, il sovrano è assoluto ma è limitato dal potere di Dio. Le latitudini nordiche sono
caratterizzate da uomini forti e per governarli è necessaria la forza; le latitudini meridionali sono
caratterizzate da uomini portati alle attività contemplative e speculative, come la filosofia e la
matematica e per governarli è necessaria la religione. Nella latitudine centrale sono presenti gli
uomini di mezzo che sono meno forti delle popolazioni nordiche e meno intelligenti delle popolazioni
meridionali però sono quelle che si governano con ragione e giustizia poiché mescolano le due
attitudini, non troppo forti e non troppo intelligenti. Hanno un equilibrio di spirito e forza che li porta
ad avere la migliore forma di governo e sono naturalmente inclini alla monarchia regia, legittima.
Bodin si guarda bene dal poter concludere questa analisi con delle indicazioni meccanicistiche ma ci
Alberto Presti
vuole dire che se si applica una forma di governo non consona alle peculiarità di quelle popolazioni
l’esito è sempre disastroso, vanno assecondati i caratteri peculiari. Astrattamente parlando scrive
Bodin che la sovranità assoluta può risiedere in uno, pochi o molti l’unità da maggiori esiti di durata.
La monarchia regia è la migliore perché la giustizia si esplica nella sua forma armonica. Bodin che
esclude inizialmente la mescolanza ammette arriva ad ammettere più o meno consapevolmente la
mescolanza tra giustizia aritmetica e geometrica. La prima non tiene conto di un dovere meritocratico
mentre la seconda si. Contempla la bontà di entrambe le giustizie quindi del principio di uguaglianza
e del principio meritocratico e mescola queste due applicandole all’interno della monarchia regia.
Nell’opera Six livres de la république fa una distinzione tra tre tipi di tirannia. Il tiranno usurpatore,
in esercizio e in esercizio limitato. Quest’ultimo è una tipologia nuova nata dalla divisione tra forma
di governo e di stato. Il tiranno usurpatore è colui che può essere ucciso e non ha legittimità nel
governare. Il tiranno in esercizio è colui che ha preso legittimamente il potere ma in secondo
momento ne abusa. Egli è il titolare della sovranità (monarchia monarchica) e non può essere ucciso,
bisogna utilizzare solo una resistenza passiva. Il tiranno in esercizio limitato (aristocrazia monarchica
o democrazia monarchica) dove il monarca non è un sovrano in assoluto, non è detentore del potere
e può essere ucciso (?).
Davanti alla ginocrazia (potere delle donne) esprime un’idea retrograda, secondo Bodin uno stato
non può essere guidato da una donna. Per Bodin la guerra può avere dei risvolti positivi se uno stato
è impegnato in battaglia, è benefica perché ha ripercussioni benefici all’interno dello stato, una guerra
contro un altro stato difficilmente consentirà la nascita di guerre civili. Guerra come realtà inevitabile
poiché sebbene l’uomo è un essere razionale spesso l’abbandona e sfocia in una espressione bestiale.
Le guerre difensive e preventive sono legittime anche quelle che vanno a sostegno di uno stato
tirannico, ha il compito di purgatore dello stato.
Il cittadino onesto è colui che davanti la richiesta del sovrano, dichiarerà i propri redditi, il sovrano
non osa mettere le mani nelle proprietà dei cittadini, ma può mettere delle tassazioni sui redditi per
usufruirne socialmente e creare benessere. Ordinare le finanze utilizzando le entrate fiscali in modo
vantaggioso.
La ragion di Stato
Trattasi di una teoria politica, è un’espressione che appartiene al tardo rinascimento, usata per
sottolineare il ricorso alla forza, a strumenti eccezionali, il ricorso da parte dei soggetti politici
legittimati per garantire l’ordine della società. É una locuzione che nasce con Machiavelli sebbene
non ci sia una pagina dell’opera machiavelliana che riporti questa espressione. La fonte che ci
consente di affermare ciò è il capitolo XVIII dell’opera De Principatibus, dove Machiavelli afferma
“facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: è mezzi iudicati onorevoli e da ciascuno
saranno laudati”, questa concezione è definita la quinta essenza di Machiavelli. Una riflessione di
questo tipo durante il periodo della controriforma mossa del Concilio di Trento (1545-1563) spinge
la condanna dell’opera di machiavelliana nel 1559. La ragion di stato non è un argomento discusso
solamente nelle corti ma chiunque discute di ragion di stato in qualsiasi luogo, diventa un tema
oggetto di una conversazione popolare.
Nell’opera di Francesco Guicciardini Del Reggimento di Firenze (1521-1523) egli scrive che la
ragion di stato è una voce poco cristiana e poco umana, tutti gli stati sono violenti afferma, lo stato
Alberto Presti
non è altro che una violenza sopra i sudditi palliata con qualche titolo di onestà. Chi osserva l’origine
dello stato non può che evidenziare la natura violenta.
Monsignor Della Casa nell’opera Orazione a Carlo V (1547) definisce la ragion di stato voce
beduina e demoniaca.
Giovanni Botero, gesuita, ci fa riflettere anche sulla sua idea d’Europa, riprende la tradizione
scolastica e afferma che la città è la necessaria premessa del vivere civile, la non Europa non è soltanto
rappresentata dall’America ma anche dalla Cina che diventa il paese dalla grande civiltà, il regno
ricco e grande, il regno ben ordinato. Egli da un contributo nella riflessione della ragion di stato,
Botero sottrae l’idea di ragion di stato dallo statuto di prassi politica immorale per attribuirle un
contenuto neutro, nell’ambito degli studi Della ragion di stato. Botero interroga sulla ragion di stato.
La definisce come “notizia dei mezzi atti a fondare, conservare e ampliare un dominio così fatto”,
l’aspetto più importante però è la conservazione, poiché la conservazione del potere viene interpretata
da Botero come garanzia di pace. Botero precisa che è più semplice conservare i territori mezzani
ovvero che non sono né troppo grandi né troppo piccoli, poiché i territori piccoli sono facile preda e
i territori grandi suscitano invidia. Egli distingue inoltre la buona ragion di stato dalla cattiva.
Avremo una buona se la ragion di stato è finalizzata alla conservazione di una buona forma di
governo, perversa e cattiva se sarà finalizzata alla conservazione di una forma degenerata.
Altro autore è Scipione Ammirato, autore di Discorsi sopra Cornelio Tacito nella quale opera egli
distingue una ragione naturale, civile, militare e internazionale. Naturale laddove siamo in presenza
dei primi aggregati tra individui; la ragion civile nasce con la nascita della vita associata; militare è
la ragion di stato che prende il sopravvento quando vi è un conflitto; internazionale laddove vi sono
relazioni tra stati diversi.
Norberto Bobbio da la definizione più importante di ragion di stato: “Per ragion di stato s’intende
quell’insieme di principi e di massime in base alle quali, azioni che non sarebbero giustificate e
compiute da un individuo singolo, sono non solo giustificate, ma addirittura, in taluni casi, esaltate
e glorificate se compiute dal principe e chiunque eserciti il potere in nome dello stato”. Secondo
Bobbio è necessario che ci sia la legittimità che deriva da chi detiene il potere, ovvero chi è a capo
del governo deve cercare tutti i mezzi per garantire la conservazione dello stato.
Importante è dunque far riferimento alla nascita di un fenomeno nato nel periodo della Controriforma
ovvero il tacitismo. Nascono due forme di tacitismo, quello retto e quello falso. Il tacitismo buono fa
chiaro riferimento a quei letterati che veramente si ispirano allo storico latino Tacito. Mentre il
tacitismo falso invece fa riferimento a coloro che nominano Tacito solo come éscamotage per non
nominare Machiavelli visto che non era consentito fare chiaro riferimento alle opere machiavelliane
e alla ragion di stato.
Tommaso Campanella
Tommaso Campanella nasce a Stilo nel 1568, fu un frate domenicano. Egli scrive La Città del Sole,
opera utopica che riprende l’opera Utopia di Thomas More. I suoi interessi per la magia , per
l’astrologia e la volontà di rovesciare il governo spagnolo lo porta ad essere condannato a morte, si
finge pazzo e dunque fu incarcerato per 27 anni. Va in Francia per evitare di essere perseguitato
dall’inquisizione. Ci descrive la terribile tortura a cui viene sottoposto, 40 ore di tortura per cercare
di farlo parlare e di svelare che in realtà non era pazzo ma riuscì a fingere. In carcere egli elabora le
sue opere. Viene ricordato insieme a Giordano Bruno come uno degli esponenti della filosofia della
natura. Fu accusato di aver organizzato una rivolta contro gli spagnoli, in effetti egli sosteneva che la
fonte di ogni discordia è il regno di Napoli, un regno posseduto dalla Spagna e desiderato dalla
Alberto Presti
Francia. Con la sua opera cerca di esprimere la sua ansia per una renovatio globale, di una riforma.
Tra le sue opere ricordiamo La Monarchia di Spagna e Aforismi Politici. Ha la presunzione di
affermare che la sua opera completa l’idea platonica di stato.
Egli fomenta la ribellione contro tutte le forme di ingiustizia, contro il parassitismo ozioso
dell’aristocrazia e esalta il lavoro manuale. Riflette sui disabili, dicendo che essi devono dare un
proprio contributo nella società limitatamente alle loro possibilità, è dunque un precursore
dell’integrazione dei disabili.
La Città del Sole pubblicata nel 1602 è un dialogo che si svolge tra il Genovese, nocchiero di
Colombo e l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta. La città è immaginata nell’isola di
Taprobana, sorge su un monte e comprende la pianura circostante, è circondata da sette giri di mura
istoriate (riprende il numero sette simbolo dei sette pianeti), vi sono quattro porte che rappresentano
i quattro punti cardinali. Al centro e posto in alto vi è un Tempio con due mappamondi (il cielo e la
terra). Esprime il suo desiderio di evasione e grido di protesta dall’oppressione baronale. Opera di
condanna contro l’ozio e contro l’accumulazione della ricchezza. È un’organizzazione dove non
circola denaro, nessuna attività viene disprezzata dagli isolani, i lavori manuali sono dignitari. Il capo
del governo è il gran Metafisico (Sole), è un sacerdote ed è l’uomo più saggio di tutti con una
conoscenza enciclopedica, è coadiuvato da tre ministri Sin, Pon e Mor, vi è l’influenza dei principi
dell’essere, l’essere si presenta con i suoi tre principi, sapienza, potenza e amore che sono illimitati e
infiniti ma nell’uomo trovano finitezza negli opposti. Sin è la sapienza, Mor si occupa delle unioni e
della procreazione (non c’è famiglia) e Pon si occupa della potenza ovvero la guerra di difesa. I tre
ministri hanno al loro servizio altri tre collaboratori e funzionari, tutti maschi. La politica
dell’istruzione è innovativa, i bambini imparano attraverso le immagini che sono presenti nelle mura
della città. Vi è una ripresa della filosofia platonica poiché anche Campanella cerca di dare giustizia
alla città attraverso l’idea che bisogna seguire l’inclinazione della persona che occuperà nella società
un posto a cui essa è portata naturalmente. Per quanto riguarda la politica sulla procreazione, vi è una
necessità di compensare le caratteristiche fisiche e di migliorare la razza isolana (eugenetica
platonica), vi è un’età minima per la procreazione diciannove per le donne e ventuno per gli uomini.
Gli accoppiamenti devono seguire una logica opposta ovvero gli uomini grassi devono accoppiarsi
con una donna magra e viceversa per creare compensazione. La legge del taglione viene applicata
nella legge dei solari. Le sentenze vengono eseguite da tutto il popolo, il Sole può graziare. La
proprietà privata è considerata un’ingiustizia, la proprietà è comune. Il cavaliere di Malta riprende la
critica che Aristotele fece a Platone mentre parla con il nocchiero. Si lavora solo quattro ore al giorno
fino ai quarant’anni ovvero la vecchiaia. Abolizione della schiavitù, la religione professata è quella
pre-cristiana senza dogmi, la religione naturale.
Utopia e la Città del Sole a confronto:
Utopia (1516)
• Comprende 54 città tutte nello stesso
piano, vige un sistema elettivo e il
territorio è chiuso.
• More è contro l’astrologia.
• Sono previste sanzioni per eventuali
tiranni
• Molte religioni, vi è la tolleranza.
• È ammessa la schiavitù in sostituzione
della pena di morte
• Si lavora sei ore al giorno
• Vi è la famiglia
Città del Sole (1602)
• Comprende una sola città, le cariche
sono per investitura, è una città aperta.
• Astrologia e magia sono necessarie.
• Non è ammesso che il Sole possa
degenerare.
• Una sola religione, un solo culto.
• Non è ammessa la schiavitù, né la
servitù. I giovani sono a servizio degli
ultra quarantenni.
• Si lavora quattro ore al giorno
• È abolita la famiglia
Alberto Presti
Giambattista Vico
Giambattista Vico nasce a Napoli nel 1668. Egli non aderisce ai canoni del suo tempo ovvero
l’illuminismo, e quindi è un isolato. É un autodidatta, studia filosofia e diritto civile ma per problemi
di salute non riesce a concludere gli studi. Accetterà un posto da precettore che gli consentirà di
occuparsi dello studio dei nipoti di Mons. Rocca, accederà ad una grande biblioteca che gli consentirà
per certi versi di continuare gli studi, trova opere di Platone, Aristotele, Tacito ecc. Per questioni
economiche partecipa ad un concorso a cattedra bandito dall’università. L’idea vichiana della storia
è assimilabile ad una spirale: il ricorso non è mai uguale a quello precedente. Vico parla di preistoria,
l’uomo passa dalla preistoria alla storia. Il cerchio superiore è sempre l’ampliamento di quello
precedente. L’uomo con le sue cadute testimonia la sua libertà di creare la storia. Ha una scrittura
contorta e complicata e pochi studiosi hanno perso tempo ad analizzare i suoi testi, il più grande
studioso è Benedetto Croce. Scrive delle orazioni, la più importante è la settima, in cui emergono
interessanti studi pedagogici e la critica a Cartesio. L’opera più importante è la Scienza Nuova
(definita prima) del 1725. Opera vasta, estremamente concettuosa, lingua tormentata e pesante, di
difficile comprensione. La riscrive nel 1730 a causa di tutte le critiche che ricevette, quest’altra
edizione viene ricordata come Scienza Nuova seconda, nel 1744 viene ripubblicata e chiamata
Scienza Nuova ed è la versione finale su cui tutti gli studiosi si concentrano.
Scienza Nuova in realtà è un’indagine su una scienza antichissima, indaga su un nuovo metodo
attraverso cui l’uomo può indagare la storia, la scienza nuova è la storia. La novità sta nel nuovo
metodo di indagine proposto, prende le distanze da tutti coloro che hanno preteso di poter presentare
sotto forma di idee chiare e distinte cose invece che l’uomo non può avere chiare e distinte. L’uomo
può avere una conoscenza (sinonimo di scienza) di tutto ciò di cui è artefice, tutto ciò che l’uomo non
ha fatto egli non può avere scienza ma coscienza cioè consapevolezza dell’esistenza. L’uomo non
può avere la presunzione del cogito ergo sum. Questa distinzione consente a Vico di dire che sapere
è possedere l’origine di una cosa, ovvero il modo e la forma con cui è fatta, mentre con la coscienza
non possiamo conoscere l’origine di una cosa. Coscienza è di coloro che non hanno creato una cosa.
Egli ha certezza che prima che l’uomo entrasse nella storia quest’ultimo vivesse nella preistoria in
uno stato di ferinità, incapace di ritagliarsi una dimensione confacente alla sua umanità, infatti
definisce gli uomini preistorici bestioni. Secondo Vico il timore degli Dei è stato un elemento
umanizzante estremamente importante, poiché legato al pudore di cui era privo quando l’uomo
preistorico era una bestia, incapace di pudicizia.
Giambattista Vico identifica una relazione importante tra filosofia e filologia. Ciò che Vico intende
per filologia va oltre lo studio dell’origine linguistica di un popolo, ma riguarda anche la loro
economia, il diritto, la politica. È attraverso lo studio della lingua che secondo Vico possono essere
messi in luce “fatti” che in nessun altro modo potrebbero essere “scovati”, pervenendo ad un alto
grado di certezza. Ma affinché la storia diventi “scienza” si deve passare dall’accertamento
all’inveramento ossia i fatti devono essere spiegati casualmente, deve essere scoperta la legge eterna
che determina le vicende di tutte le nazioni. Di questo si occupa la filosofia, è la scienza del vero che
fa propri i fatti mediante la ricerca dei principi universali attraverso il corso della storia. Quindi non
vi è più un’ipotesi filosofica ma dei fatti storici. Per Vico la storia è formata: dall’età degli dei, età
degli eroi ed età degli uomini. Prima l’uomo viveva come bestia, successivamente ha abbandonato la
preistoria compiendo l’ingresso nella storia attraverso fattori umanizzanti, ciò che adesso lo distingue
dalla bestia è il timor di dio, al quale deve rispetto. Per quanto riguarda la religione Vico parla di
religione dei sepolcri poiché secondo lui non bisogna lasciare i corpi all’aperto, ma tumulati. Per
Vico la storia è fatta dall’uomo ma non è autonoma poiché vi è la provvidenza ordinatrice che non
Alberto Presti
determina la coscienza degli uomini. Questa concezione è opposta a quella di Machiavelli, che aveva
sostenuto che le azioni dell’uomo dipendono dal caso, dall’ignoto, la provvidenza non è ignoto ma si
manifesta come garanzia di ordine e libertà. Per Vico la provvidenza rappresenta un architetto che
aggiusta, capace di spostare gli eventi sempre in positivo, che ha operato per salvare l’umanità.
Nell’età degli dei gli uomini vivono come bestie. Quando si entra nella storia, si ha lo stato delle
famiglie, quest’ultimo è formato dal pater e dai servi, c’è dunque un’autorità economica e civile.
Nell’età degli eroi vi è una forma aristocratica, in cui l’elemento aristocratico è rappresentato da
pochi pater familias che decidono di far fronte alla ribellione dei servi che viene risolta dal governo
aristocratico. È questa l’età dove gli eroi vengono visti come privilegiati da dio e la lingua subisce un
cambiamento utile affinché la preghiera possa esaltare le gesta degli eroi. Dalla repubblica
aristocratica però nasce una ribellione dei servi e da qui nasce la repubblica popolare, l’età degli
uomini. Il ciclo si conclude con la monarchia costituzionale che non è in antitesi alla repubblica
popolare, ma nasce come unica soluzione in grado di tutelare e garantire i diritti che l’uomo non è
riuscito a preservare. L’osservanza delle leggi è basata sui criteri egualitari. La storia quando giunge
alla terza età può degradare e può ricorrere al primo periodo che non sarà mai identico. L’idea
vichiana è quella di una monarchia costituzionale che nasce in favore del popolo. Il conflitto per Vico
è necessario per l’avanzamento dell’epoca successiva, successione delle forme di governo atipica.
Thomas Hobbes
Thomas Hobbes nasce a Westport nel 1588. Egli vive durante il passaggio del trono dalla dinastia
Tudor alla dinastia Stuart con Giacomo I figlio di Maria Stuart. Hobbes vivrà in pieno la rivoluzione
nonostante egli non ne condivida gli ideali, per questo si trasferirà in Francia. La monarchia degli
Stuart è anacronistica ovvero una monarchia assoluta che sembra derivare dal diritto divino. Nel 1620
incominciarono le migrazioni dei padri pellegrini e grazie a questi giungeranno negli USA le prime
tesi per la democrazia. Nel 1660, la restaurazione francese ha permesso a Hobbes di godere della
protezione di Carlo II. Lo scritto più importante il Leviatano si presta all’assolutismo di un uomo
solo e all’assolutismo di un’assemblea.
Un tema presente negli scritti hobbesiani è quello della paura che consente di interpretare la
costruzione politica di Hobbes ovvero il pessimismo antropologico. Secondo lui l’uomo è attratto da
ciò che genera bene e respinge ciò che genera il male, questo “moto” viene avvertito dall’uomo
quando è vivo. L’idea di stato politica è racchiusa nella cosiddetta trilogia di Hobbes composta da:
De ave, De Corpore, De Homme. Hobbes scrisse che la vita è una continua corsa, sorpassare le
persone è la felicità, perché l’altro è un ostacolo da superare e abbandonare la corsa significa morire.
Non esiste bene “totale”in sé, ma “tale” perché percepito così dall’individuo. I postulati della sua
riflessione sono due Cupidi, ovvero il desiderio costante di ciò che si ha davanti a se e la ratio
naturalis, ovvero l’abilità e istinto di mettersi in salvo.
La legge naturale per Hobbes è prodotta della ragione umana. Il diritto naturale è ciò che l’uomo può
fare per salvaguardare la propria vita, l’uomo si riunisce con altri uomini solo se ne trae vantaggio;
l’uomo si comporta come un lupo perché tende a considerare il prossimo come un ostacolo, la
strategia di arrivare per primo è la salvezza per Hobbes. Con Hobbes si parla di modello
giusnaturalistico, costruito attingendo a due elementi: lo stato di natura e la società politica. La vita
non ha una difesa, invece nella società politica, questo bene viene assicurato e protetto. Nel Leviatano
vi è riferimento ai mostri biblici, il mostro marino che si scontrerà con Behemoth, il mostro terrestre
e Ziz il mostro alato. Lo stato naturale è l’antitesi della società politica, nello stato naturale vige il
diritto naturale, per questo Hobbes intende il diritto su tutto, l’idea di potere, avere un diritto di
Alberto Presti
proprietà su tutto ciò che è comune ma il conflitto è inevitabile. Lo ius omnia è fonte di paura e
precarietà dell’uomo, la ratio naturalis dice Hobbes, in qualche modo dormiente, fa comprendere
all’uomo che non deve mettere in pericolo la propria vita e uscire da questo stato di belligeranza. Il
Leviatano descrive lo stato di natura come la guerra di tutti contro tutti, ovvero il bellum oplum
contra omens. La città sulla quale il Leviathan vigila è ben ordinata con mura di cinta ma quasi
deserta, egli reca in mano il bastone e la spada, simbolo del potere della chiesa e dello stato unito. Il
popolo è incorporato nella figura del sovrano e il mostro è formato da corpi di uomini. Occorre un
patto che edifichi artificialmente lo stato chiamato “hortd god” ovvero bisogna abbandonare i diritti
individuali e trasferire il pieno controllo della vita e della proprietà al singolo uomo. Così facendo si
crea il pactum umanis che crea condizione di uguaglianza, ed è suddiviso in: pactum societatis,
ovvero quello che fa fuoriuscire dallo stato naturale e il pactum subiectionis, con il quale viene creato
il potere politico, a cui tutti si sottomettono; si tratta di un patto unilaterale che limita i contrasti e non
il sovrano, che in nome della garanzia di pace può permettersi qualsiasi cosa. Se il sovrano è sciolto
dal patto, ogni tipo di resistenza attiva è irrazionale perché la volontà del popolo coincide con quella
del sovrano, e quindi la disobbedienza sarebbe assurda. La guerra civile è rappresentata con
Behemoth e con il Leviathan che garantisce pace e sicurezza. Lo stato naturale è uno stato in cui vige
il diritto naturale e lo ius in omnia ovvero il diritto su tutto. Ma il conflitto è inevitabile, lo ius in
omnia è simbolo della paura e della precarietà dell’uomo, ecco a cosa serve il pactum. Ed ecco che
la ratio naturalis formula il diritto positivo. Le tre leggi più importanti sono:
• Cercare la pace e preservarla
• Bisogna rinunciare al proprio diritto su tutto
• Bisogna rispettare a parola data
L’uomo vive quindi in uno stato di natura, di guerra di tutto contro tutti, il Leviatano salva le vite ma
non gli animi che rimangono malvagi. Se prima erano gli altri ad incutere terrore adesso è lo stato.
Se Bodin non si pone il problema dell’origine della sovranità, Hobbes fa derivare la sovranità dal
pactus unionis, con questo gli uomini affidano allo stato tutti i loro diritti tranne il diritto alla vita che
vogliono vedere garantito, solo per il diritto alla vita può esserci ribellione, per il resto resistenza
passiva.
John Locke
John Locke nasce a Wrington il 29 agosto 1632. Studiò ad Oxford e cominciò ad interessarsi alla
medicina e retorica anche se questo non lo gratificò. Nel 1666 conobbe Anthony Ashley Cooper che
lo introdusse nel mondo politico verso ideali liberali e il latitudinarismo. Nel 1668, diventa membro
della Royal Society di Londra che precedentemente non aveva ammesso Hobbes per la sua tesi. Dopo
la caduta del suo mentore nel 1675, andò in Francia e poi in Olanda dove scrisse Due trattati sul
governo e Il saggio sull’intelletto umano. Nell’1683, torna in Inghilterra con i nuovi sovrani
Guglielmo d’Orange e Maria Stuart e infatti visse nel periodo della gloriosa rivoluzione che porterà
alla restaurazione della monarchia costituzionale. L’idea era che Locke fosse portatore della nascente
borghesia inglese. Egli è il fondatore del liberalismo politico moderno. I due trattati sul governo hanno
una struttura lineare dove nel primo critica i falsi principi e fondamenti di Robert Filmer che sostiene
l’idea che re e sovrani credono di essere posti su un trono divino, nel secondo vi è la costruzione del
modello giusnaturalistico e il passaggio da stato di natura a società civile. L’opera, precedentemente,
era stata vista come giustificazione alla gloriosa rivoluzione ma non fu cosi perché venne redatta un
decennio prima, per questo l’opera di Locke venne definita come un manifesto rivoluzionario. Il
secondo trattato, è il cuore della costruzione politica lockiana. Locke qui sostiene che la legge naturale
Alberto Presti
non è immanente, quindi non presente nella natura e non universalmente conoscibile. Se in generale,
la legge di natura conduce alla felicità, questa viene scoperta dall’uomo e non è innata. Locke è
profondamente cristiano e, secondo lui, il rapporto di Dio con l’uomo si esprime nell’autonomia della
ragione che di conseguenza è la via per conoscere la legge di natura. Locke giunge ad una conclusione
relativista: ciò che è naturale per un popolo, non lo è per un altro. Quindi a legge naturale, non è nel
mondo, ma è trascendente e garantita da Dio e da lui voluta. Nello stato di natura di Locke, l’uomo
ha più diritti. Lo stato di natura è libertà e gli uomini dispongono di proprietà, non c’è la guerra e
l’uomo gode di diritti inalienabili. Locke per libertà intende la possibilità dell’uomo di lasciare in
sospeso le sue azioni, non intralciare la libertà dell’altro e lo stato di natura è dominato dalla legge
naturale, di libertà e non di licenza. I diritti inalienabili dell’uomo sono 3: vita, libertà e proprietà. Si
può essere automaticamente liberi quando si è proprietari di qualcosa. Proprietà e libertà sono
collegati tra loro perché l’uomo ha percezione di libertà quando gode di una proprietà, che si
costruisce attraverso il lavoro. Nello stato di natura, ciascuno è giudice di sé stesse e se due individui
entrano in conflitto non c’è qualcuno che giudica. Nello stato di natura l’individuo non è abbandonato
al caos ma trova una guida nella legge di natura, ognuno è giudice di se stesso perché manca una
legge riconosciuta. Per la prima volta con Locke si ha il diritto di maggioranza, per una legge deve
esserci l’umanizzazione. Nello stato di natura, l’uomo ha due poteri: l’autoconservazione e punizione
dei diritti (naturale aggressività). Il punto di partenza è il consenso che un certo numero di uomini da
alla formazione della società civile, grazie ad un contratto avviene il passaggio da stato di natura a
società civile. Attraverso un patto unanime gli individui abbandonano solo la facoltà di potersi fare
giustizia da sé. Il governo lascia gli uomini liberi, tutela le proprietà e garantisce loro protezione. È il
governo ad essere in funzione degli individui. Gli uomini, a maggioranza, possono scegliere la miglior
forma di governo, le azioni di amministrazione. Il governo deve proteggere i diritti naturali degli
individui ed avere il loro consenso per farlo. Locke si fa sostenitore del principio della separazione
dei poteri. Il potere legislativo, viene concepito come supremo nella società politica, non può essere
assoluto o arbitrario ed ha un limite nella legge morale. A questo, sono subordinati il potere esecutivo
e federativo. Il potere legislativo è tenuto dalle assemblee mentre gli altri dal re. Il potere federativo
si manifesta nelle relazioni internazionali e nei trattati di pace.
Hobbes e Locke a confronto:
Thomas Hobbes
• Teorico dell’assolutismo, rispecchia la
tendenza degli Stuart ma la sua
filosofia ha matrice contrattualistica.
• Ipotizza uno stato di natura in cui omo
omini lupus e bellum oplum contra
omnes .
• Concezione pessimistica degli uomini
e dello stato che nasce per la paura di
morire violentemente
• Il passaggio natura- stato si basa su 19
convenzioni e la cessione dei diritti al
sovrano
• Non ammette e non giustifica la
rivoluzione
• La chiesa deve sottomettersi allo stato
John Locke
• Teorico del liberalismo, rispecchia la tendenza
degli Orange, pone le basi al costituzionalismo e
all’illuminismo
• Ipotizza uno stato di natura accettabile, ma precario
per la mancanza di un giudice che possa fermare
contrasti tra gli uomini. Gli uomini sono liberi ma
senza regole
• Concezione ottimistica degli uomini che
abbandonano lo stato di natura per meglio
organizzarsi nello stato civile
• Il passaggio da natura a stato civile si fonda su un
normale contratto tra re e cittadini il quale si
obbliga a rispettare i diritti alla vita, alla libertà e
alla proprietà.
• Ammette rivoluzione se il sovrano viola uno dei tre
diritti inalienabili
• Si prodiga per un regime di tolleranza religiosa,
anche e vi esclude i cattolici
Alberto Presti
Lettera sulla tolleranza
Ci sono materie che non rientrano nell’ambito ecclesiastico, John Locke fa una scissione tra potere
spirituale e potere temporale: secondo Locke il magistrato non può imporre il culto. Egli non può
proibire i riti sacri perché la chiesa rappresenta la libertà di adesione degli individui che manifestano
la loro fede, il magistrato ergo non può intervenire negli affari della chiesa. Non può entrare nei meriti
di un culto e non può tollerare orge e sacrifici umani che sono illegittimi e il magistrato civile può
negarlo per legge. In caso di carestia egli può negare il sacrificio degli animali, più avanti egli
esaminerà l’idolatria: una chiesa idolatrica deve essere tollerata da un magistrato, “nessun uomo deve
essere privato di beni terreni a causa della religione”. Locke si riferisce soprattutto in quelle società
dove vige il diritto naturale, come gli indigeni americani. Secondo Lord Ashley Cooper non si può
convertire un popolo con la forza al cristianesimo. L’idolatria per Locke è un peccato ma il magistrato
civile non ha il potere di punirla. La cupidigia è un peccato (mancanza di carità) ma non sono fattori
che determinano un mutamento della società quindi non sono punibili. Locke parlerà anche della
società politica ebraica e a questo proposito, scrive che gli israeliti vissuti nella terra promessa
dovevano essere cacciati. Andando avanti Locke fa una differenza tra credenze pratiche e speculative,
le azioni morali dipendono dal verdetto del tribunale esteriore (tribunale dello stato) e dal tribunale
interiore (coscienze). Il pericolo è che le due autorità interiori ed esteriori interferiscano una con
l’altra e il pericolo di questo conflitto si placherà riconoscendo i limiti di entrambi i tribunali. Egli
parlerà anche dell’immortalità dell’anima. La malvagità spinge gli uomini a godere dei beni degli
altri ecco perché gli uomini abbandonano lo stato di natura. Cosa avviene se il magistrato obbliga
qualcuno a fare qualcosa contro la morale? È lecito disobbedire, perché il magistrato deve garantire
il diritto alla vita. Nelle ultime dieci pagine Locke afferma il tema dell’eccezioni alla tolleranza “devo
estendere la tolleranza anche agli intolleranti?”. Un magistrato non può imporre le proprie
convinzioni perseguitando quelle differenti. Successivamente Locke afferma come sia pericolosa
quella setta che riserva prerogative contrarie al diritto civile, che utilizzano determinate parole poco
chiare (attacco al cattolicesimo). I cattolici rivendicano dei privilegi abusivi che vengono utilizzati a
discapito degli altri. Non devono essere tollerati i cattolici poiché intolleranti. Non può avere diritto
di tolleranza una chiesa nella quale chiunque vi entri, solo per esservi entrato, passa all’obbedienza
di un altro sovrano ( riferimento ai papisti, stato della chiesa), quindi non bisogna essere tolleranti nei
loro confronti. Altro aspetto per non essere tollerati, l’ateismo. Coloro che non credono ad alcuna
divinità non possono avvalorare nessun patto con nessun giuramento. Con il Conventical Act, Carlo
II proibiva qualunque riunione organizzata da 5 o più persone.
Dal momento che l’oppressione è la causa della rivolta, è lecito avere un governo giusto che non porti
alla rivolta. Se nelle riunioni religiose non si fa nulla per garantire una pace collettiva, allora il
magistrato sarà impotente. Al contrario può reprimere chi truffa o danneggia la società.
L’eresia (termine riferito solo per le credenze) è una separazione della comunità cristiana, è la parte
maggiore che allontana la parte minore dalla comunità. L’eresia è una frattura tra gli uomini di una
stessa religione per una teoria che non rientra norma. Come coloro che non considerano come norma
solo la sacra scrittura. La separazione può essere fatta o cacciando chi non crede oppure ci si separa
poiché la chiesa non professa opinioni esplicitamente impartite dalle sacre scritture.
Lo scisma è la separazione dalla comunità ecclesiastica che riguarda gli errori relativi al culto e alla
disciplina. Lo scisma è una separazione non necessaria fatta per diversi culti divini. Chi non nega
qualcosa insegnata in termini espliciti non provoca una fattura, anzi, deve essere tollerante con tutto
ciò che è diverso, non può essere eretico o scismatico. Lo stato deve essere tollerante nei confronti
Alberto Presti
del diverso che rispetta la società civile. Chiude la lettera a colui che è destinata affermando che per
persone perspicaci come Philip Van Limborch non c’è bisogno di essere troppo esplicito.
Illuminismo
A partire dalla Francia, si sviluppò un nuovo movimento culturale che prese il nome di Illuminismo.
La luce della ragione deve illuminare le menti umane e condurle alla via del progresso e della felicità.
Per Immanuel Kant, l’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità, il quale è da imputare
a lui stesso. L’uscita degli uomini da uno stato di minorità, riguarda le ‘’cose di religione’’ la più
dannosa ed umiliante. Le caratteristiche di tale movimento sono: il razionalismo cartesiano,
l’empirismo lockiano, il laicismo; esso va contro la religione, contro la storia passata, contro l’idea
di cosmopolitismo, contro i principi di libertà, uguaglianza e fratellanza. In Quito periodo nacque la
stampa di Gutenberg e la scoperta del caffè. In Francia, l’opera simbolo fu l’enciclopedia di Diderot
e D’Alambert che incarna lo sforzo di unire in un testo tutto lo scibile umano.
Montesquieu
Nasce nel 1689. Scrisse le Lettere Persiane nel 1721, pubblicata anonimamente ad Amsterdam. Lo
scambio epistolare fu tra due persiani che viaggiano in Europa Usbeck e Rika. Così Montesquieu
pubblica, in forma di lettere, brillanti saggi nei quali la società e le istituzioni, sono descritte secondo
moduli relativisti, adottando il punto di vista di esponenti di una cultura diversa da quella europea.
Con satira sferzante, si traccia un quadro … dell’assolutismo francese, dalla crisi finanziaria di Luigi
XIV alla crisi dei parlamenti e della società nel suo complesso. Critica l’instabilità …….. che crea
divisioni anche in termini di fede. Veicolo potente dei temi relativisti e della critica alle istituzioni
politiche e religiose durante tutta l’era illuminista. L’esaltazione del modello inglese, lontano dal
dispotismo, viene formulata da Montesquieu. Egli ammira l’Inghilterra, contrastando con il modello
francese (modello assoluto). Montesquieu afferma che Luigi XIV è il più importante d’Europa e
ionizza su questo potere, visto come un guaritore, ma oltre al mago Luigi XIV , vi è un altro mago, il
papa che possiede un grande paese e dei tesori immensi. Scrisse anche L’esprit de loi , ciò vuol dire
il relativismo delle leggi cogliendo la specificità al quale l’uomo deve adeguarsi. Tutte le forme di
governo cambiano in base al luogo e al tempo, ogni legge deve essere relativa alle tradizioni e alle
culture e la stesura di quest’opera lo impiegò per vent’anni. Importante sottolineare che, Montesquieu
non prova a portare il costituzionalismo inglese in Francia. Montesquieu differenzia 4 forme di
governo:
• Il dispotismo: il popolo è costretto a vivere con le catene. Il governo è di uno solo
• Repubblica aristocratica: governo di pochi
• Repubblica democratica: governo di molti
• Monarchia: governo di uno solo
Ciascuna forma di governo è per lui caratterizzata da una natura; ciò che lo fa essere tale è il principio.
Dobbiamo identificare il principio di ogni forma di governo. Il principio del governo dispotico è la
paura, rappresenta il fallimento ce contamina tutto il mondo sociale, la paura diventa strumento di
governo . l principio della monarchia è l’amore, è il rispetto delle leggi e della gerarchia. Il principio
della repubblica è la virtù, la virtù della repubblica aristocratica è la moderazione che evita gli eccessi.
Nella repubblica democratica, vi è una democrazia diretta e una democrazia rappresentativa ovvero
Alberto Presti
la massa rappresenta l’incapacità di autogovernarsi. Montesquieu elabora il principio della
separazione dei poteri: chi gestisce il potere è portato ad abusarne. Secondo Montesquieu, vi è un
sistema di ‘’pesi e contrappesi’’. il potere legislativo deve essere in mano ad un’assemblea: nel caso
in cui le due camere esercitino un dispotismo, saranno sempre limitate dall’esecutivo esercitato dal
re, ma anche l’esecutivo potrebbe essere sbilanciato, ed è qua che le camere bilanciano l’eccessivo
potere dell’esecutivo, censurando il re. La camera alta può avere veto sulle leggi. Il potere giudiziario
deve essere autonomo perché chi giudica non deve avere pregiudizi. I corpi intermedi, vengono
descritti come dei veicoli di trasmissione dei poteri che permettono al sovrano di espandere il potere
del re ovunque. Lo schiacciamento, avviene invece nel dispotismo che esercita paura e la semina.
Jean-Jacques Rousseau
Jean - Jacques Rousseau è nato nel 1712 a Ginevra. Ha dato una svolta al pensiero politico, viene
considerato un pre-romantico affermando che la ragione senza passione è un mero studente
accademico. Suo padre sarà poco presente e sua madre morirà presto. Avrà un’amante di 15 anni più
grande che chiamerà ‘’madre’’ e che gli garantirà un’istruzione a Parigi (Mme D’Alambert). la svolta
avviene nel 1750, quando scrive Discorso sulle arti e nel 1754 scrive Discorso sull’ineguaglianza
degli uomini. Questi due discorsi, gli donano grande notorietà. La pubblicazione dell’Enciclopedia,
gli fa scrivere una lettera con cui rompe con D’Alambert. Scrisse il Contratto sociale e l’Emilio,
entrambe verranno condannate e lui fuggirà in Russia. La filosofia di Rousseau non è sistematica.
Egli affronta tre stadi:
• Il primo stadio deducibile dai discorsi, riguarda l’uomo buono uguale ai suoi simili. Lo stato
di natura è diverso da quello di Hobbes. Il mito del buon selvaggio è una categoria teorica
che serve a Rousseau a condannare l’uomo contemporaneo che perde l’innocenza. Rousseau
vuole che l’uomo esca dalle condizioni di cattiveria. L’uomo nello stato di natura era buono
ma diventerà cattivo nella società politica. (l’uomo è il peggiore tra le bestie).
• Il secondo stadio deducibile sempre dai discorsi, riguarda l’uomo civile corrotto, immorale,
cattivo e in cui la ragione è succube delle passioni. Il male è giunto con la formazione della
proprietà privata.
• Il terzo stadio, deducibile dal contratto sociale, rappresenta l’uomo che viene fuori da un patto
basato sulla ragione, sulla volontà e sulla legge.
Secondo Rousseau, lo sviluppo scientifico rende l’uomo arrogante, il progresso è uguale al regresso.
Egli sa che l’uomo non può certamente regredire però cerca di rinnaturalizzare l’uomo tramite una
nuova impostazione sociale. Il male di cui tanto parla Rousseau, questa perdita d’innocenza, è data
da una diseguaglianza tra gli uomini, la proprietà è fonte di tutti i mali. La società civile è nata con la
proprietà privata che ha corrotto l’uomo, ci vuole un contratto sociale che non implichi il divieto di
proprietà privata, ma occorre un mutamento delle istituzioni ‘’occorre sciogliere le catene e liberare
l’uomo’’ principio del contratto sociale. Vi è bisogno di un uomo nuovo che nasce da un contratto
sociale in cui il prodotto della volontà generale è la legge. Il contratto sociale garantisce uguaglianza
e libertà, è un patto equo. Uguaglianza: la condizione uguale per tutti; libertà: ciascuno si dà a tutti
ma ciascuno cede per dare vita ad una volontà generale e noi, in quanto corpo politico, che implica la
volontà generale che persegue il bene comune. La volontà generale è diversa dalla volontà di tutti
(somma volontà individuale) ma è quella che persegue il bene comune. Teoricamente, è la
maggioranza ma non necessariamente è la volontà generale perché non si usa un canone quantitativo
Alberto Presti
ma solo qualitativo. Solo uno può rappresentarsi come volontà generale se l’idea è giusta ed
infallibile. Rousseau distingue:
• Volontà generale: si distingue per qualità ed eticità;
• Volontà di tutti: che non sempre coincide con la volontà generale;
Rousseau riprende la costruzione di forma di stato e forma di governo. Per Rousseau l’esito del
contratto sociale è la repubblica. Successivamente farà una divisione fra monarchia, aristocrazia e
democrazia. La monarchia, anche se nei territori più grande è migliore, c’è il rischio di un assolutismo.
L’aristocrazia è la sintesi della selezione attraverso le elezioni dei migliori. La democrazia è talmente
perfetta da non essere fatta per gli uomini.
Siamo in presenza di un individuo che desidera tutto pubblico, nulla di privato. La volontà generale
è incarnata dallo spazio. Da questa premessa ci saranno molteplici interpretazioni. Egli desidera una
religione senza dogmi, vi deve essere amore verso lo stato e amore per la patria e, dunque, una
religione civile.
Forma di stato Forma di governo Applicabilità
Repubblica
(il popolo è titolare della
sovranità)
Democrazia (diretta,
rappresentativa)
Territorio piccolo
Aristocrazia (naturale,
elettiva,ereditaria)
Territorio medio
Monarchia (buona, cattiva) Territorio grande
La volontà generale, è inalienabile, indivisibile e assoluta. Il suo obbiettivo è il bene comune quindi
sempre retta e infallibile.
La Rivoluzione Americana
Nel 1786 emergono tutte le problematiche di questo secolo nel nuovo stato confederativo. Nell’estate
del 1787 si riuniscono a Philadelphia una cinquantina di delegati statali per revisionare degli articoli
della confederazione, riscrivendo così la vigente costituzione federale.
La storia americana ci indica l’importante distinzione tra confederazione e federazione. Con la
rivoluzione americana il costituzionalismo si traduce nell’elaborazione di una costituzione scritta.
Nel 1607 fu fondata la prima colonia inglese nell’America settentrionale. Molti protestanti eterodossi
e cristiani perseguitati in patri partirono con la nave Mayflower per fondare nuove colonie. I father
pilgrims erano di religione puritana. Nel 1776 le 13 colonie del Nord America si dichiarano
indipendenti. Le colonie sono politicamente organizzate da un capo del governo e da due assemblee.
Importantissima è l’opera di Alexis de Tocqueville La democrazia in America in cui afferma
“confesso che nell’America ho visto qualcosa di più di un’America, ho cercato un’immagine della
democrazia stessa, delle sue tendenze, del suo carattere, dei suoi pregiudizi, delle sue persone e le ho
volute studiare per capire ciò che da esse dobbiamo sperare e temere”. La sua indagine ci consente di
Alberto Presti
capire come la storia sulla democrazia o sul federalismo non può tenere conto dell’esperienza
americana.
La guerra dei 7 anni segna un passaggio cruciale per le colonie americane. L’imposizione fiscale
proveniva da un parlamento in cui non vi erano rappresentanti delle colonie.
Il 4 luglio 1776 i delegati approvarono la Dichiarazione d’Indipendenza scritta dalla “Commissione
dei cinque” di cui ne fanno parte Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert
Livingston e Roger Sherman. Nella prima parte vi sono alcuni riferimenti ai principi illuministici e
giusnaturalismi, come il riferimento alla legge naturale e divina e al principio di uguaglianza. Si fa
inoltre riferimento ai diritti inalienabili e al diritto del popolo di ribellarsi all’autorità costituita
teorizzata da Locke. I diritti inalienabili sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità. Le 13
colonie americane all’inizio si sono date, dopo la Dichiarazione d’Indipendenza, un assetto
confederativo. Il 17 novembre 1777 viene approvata la Costituzione Confederale che istituiva gli Stati
Uniti d’America. Questa costituzione è stata ratificata nel 1781.
Subito è emerso nella gestione e nell’organizzazione della confederazione la necessità di progredire
verso una forma istituzionale federale. Nel 1786 i delegati si sono riuniti per modificare la
costituzione confederale a Philadelphia. Quella che doveva essere un’assemblea consultiva presto si
trasforma in assemblea costituente. Il 17 settembre il progetto costituzionale è stato approvato ed è
stato ricordato come la costituzione americana.
Differenza tra confederazione e federazione:
La confederazione è un’alleanza tra diversi stati che perseguono, soprattutto in campo internazionale,
scopi comuni pur mantenendo la propria indipendenza e sovranità. Sono organi comuni aventi diverse
competenze. Il popolo è escluso dalla scelta dei rappresentanti o dalla partecipazione all’assemblea.
La federazione è un’unione di stati che si fonda su una costituzione scritta che prevede una divisione
di competenze tra il governo federale e i governi degli stati federati. Il governo federale gestisce la
politica estera, la difesa e l’economia. Questi ambiti non sono più competenza degli stati federati.
Nasce un acceso dibattito tra i sostenitori del vecchio ordine confederativo (antifederalisti) e i
sostenitori dell’ordine federativo (federalisti). Questo dibattito veniva portato avanti dai padri del
federalismo Madison, Hamilton e Jay, autori di 85 articoli che sono stati pubblicati sui più importanti
quotidiani del tempo, per sollecitare e promuovere questo dibattito con lo pseudonimo “Publius” per
difendere il progetto costituzionale di Philadelphia. Nel 1788 questi articoli sono stati raccolti in
un’unica pubblicazione Il federalista opera centrale nella storia del federalismo. In questo dibattito
emerge l’idea di ispirarsi al modello della madrepatria britannica, con un esecutivo più forte e
posseduto da un presidente. Quest’idea si fonda sul principio della divisione dei poteri di
Montesquieu. Il potere legislativo è in mano al congresso costituito da:
• Camera dei rappresentanti eletta sulla base della popolazione
• Camera del senato composta da due senatori per ogni stato
Degli 85 articoli, 51 sono di Hamilton, 14 di Madison e 5 di Jay. Jay in questi articoli sottolinea
l’importanza della politica estera. Il federalista si può suddividere in quattro parti:
• Articoli che sottolineano la necessità dell’unione federale esaltando gli aspetti positivi e negativi
della confederazione.
• Articoli che focalizzano l’attenzione sulla federazione come modello istituzionale in grado di
garantire un esecutivo forte ed energico.
• Articoli che informano l’opinione pubblica sul rapporto tra governo federale e statale
• Articoli che esaminano i rapporti tra i poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Alberto Presti
Il potere legislativo è affidato al Congresso costituito dalla Camera dei rappresentanti e dalla Camera
del senato. Il potere esecutivo è affidato al Presidente degli Stati Uniti e il potere giudiziario è affidato
alla Corte Suprema composta da 9 giudici nominati a vita dal Presidente.
I padri del federalismo distinguono gli interessi permanenti da quelli temporanei. Gli interessi
permanenti richiedono una condotta politica ben coordinata in vista di un unico fine, gli interessi
temporanei possono essere gestiti quotidianamente dall’amministrazione.
Secondo Jay bisogna avere un’attenzione particolare verso gli interessi permanenti che richiedono
una politica che coordini gli atti. La politica estera dunque non può essere gestita da un governo
statale che già si occupa degli interessi temporanei.
Immanuel Kant
Immanuel Kant nasce nella Prussia orientale nel 1724. La sua famiglia ha origine scozzese. Egli sarà
molto riconoscente verso i genitori per l’educazione da loro impartita. Viene allevato dalla madre e
grazie a lei intraprende gli studi universitari. Egli non si allontanerà mai dalla sua città. Era un uomo
molto abitudinario e metodico. Egli morirà di demenza senile nel 1804. Scrisse numerose opere, tra
le più importanti ritroviamo La critica della ragion pura, La critica della ragion pratica, La critica
del giudizio del 1771 e Per una Pace perpetua, considerata la più importante, del 1795. Ne La
critica della ragion pura Kant capovolge il rapporto tra soggetto e oggetto riconoscitivo che egli
paragona alla rivoluzione copernicana. Kant riprenderà lo stato di natura di Rousseau definendolo
come “insocievole socievolezza”. Kant crede che l’uomo agisca in base ad imperativi ipotetici, quello
che muove l’azione di un individuo, considerato come consiglio di prudenza. Secondo egli, il giudizio
morale non può consistere in un imperativo ipotetico perché deve esigere il dovere per il dovere,
senza ipotesi, dunque un dovere categorico. L’uomo per agire moralmente deve uniformarsi alla voce
della sua libera ragione. Questi elementi sono fondamentali per costruire una società civile.
• Agisci in modo che tu possa volere che il massimo delle tue azioni diventi universale. Quando
agiamo dobbiamo pensare a cosa succederebbe se la compissero tutti.
• Agisci in modo da trattare l’uomo sempre come fine e mai come mezzo, l’uomo è al di sopra di
tutto.
• Agisci in modo che la tua volontà possa sancire una legge universale, grazie alla nostra volontà
diamo pace a noi stessi.
Kant in termini giusnaturalistici, crede che sia dovere dell’uomo uscire dallo stato di natura,
manifestando la volontà degli uomini nel fondare uno stato. Questo stato deve fondarsi su tre principi
a priori: libertà (libertà di ogni membro della società in quanto uomo, deve obbedire alle leggi sulle
quali viene espresso un consenso), uguaglianza (uguaglianza di ogni membro con altri) e
indipendenza ( indipendenza di ogni membro in quanto cittadino).
Kant sostiene che bisogna essere padroni di sé, avendo la possibilità di procurarsi da sé il necessario
per vivere. Se si estendesse l’elettorato attivo a chiunque, la libertà sarebbe contaminata da questa
sudditanza, rendendo il voto manipolato da qualcuno di più forte.
Lo stato civile diventa giuridico solo se rispetta la libertà, l’uguaglianza e l’indipendenza. La proprietà
è qualcosa di cui gode l’uomo, i modo provvisorio nello stato di natura, permanentemente nella
società civile; il cittadino attivo è il proprietario.
Kant non ammette la resistenza attiva, egli fa una differenza tra l’uso pubblico della ragione e l’uso
privato della ragione.
Alberto Presti
Egli pone una distinzione tra forma regiminis ovvero il modo in cui è retto il potere e forma imperi
ovvero il numero di persone che detiene il potere. Per Kant le forme sono 3: aristocrazia, democrazia
e monarchia. Egli desidera che la costituzione garantisca rappresentanza e divisione dei poteri, il
dispotismo non garantisce nessuno dei due, mentre la monarchia invece si. La repubblica per Kant
non è una forma in cui il potere viene detenuto dall’élite, ma vi è la rappresentanza e la divisione dei
poteri, quindi anche la monarchia può essere repubblicana a differenza del dispotismo. Il concetto di
repubblica è la forma regiminis che garantisce la pace. Kant scriverà anche Per la pace perpetua in
occasione della pace di Basilea tra Prussia e Francia. Egli per pace perpetua intende la pace del
cimitero raggiungibile solo dopo la morte. La struttura del trattato è un documento diplomatico.
Quell’insocievole socievolezza di cui Kant parla è lo stato di guerra, rappresenta quello stato civile e
non naturale. Kant vi scorge un disegno provvidenziale che si manifesta nel passaggio dell’uomo da
stato di natura a società civile e che darà vita a una federazione di stati dove il negare un diritto sarà
una condanna unanime per l’umanità. Nello scritto Per la pace perpetua egli afferma che la pace
verrà garantita da una costituzione repubblicana ovvero una federazione di stati repubblicani. La pace
si basa sul principio di libertà, dipendenza e uguaglianza. Libertà di membri in quanto uomini,
dipendenza da un’unica legislazione di tutti in quanto sudditi e uguaglianza in quanto cittadini.
George Friedrich Hegel
George Friedrich Hegel nasce a Stoccarda nel 1770. Suo padre era un funzionario dello stato ciò gli
permise di iscriversi all’università di Tubinga, in un ambiente illuminista. Egli vedrà la rivoluzione
francese come fondamentale per il cambiamento dell’uomo. Alla base del pensiero hegeliano c’è il
giustificazionismo, ovvero tutto ciò che accade o è accaduto doveva necessariamente accadere. Una
delle opere più importante scritta nel 1807 è La fenomenologia dello spirito. Quando vedrà
Napoleone a cavallo egli resterà colpito perché lui dominava la storia e infatti disse: “Ho visto lo
spirito del mondo a cavallo”. Quando si trasferirà a Berlino egli vivrà un periodo estremamente
importante soprattutto quando entra in contatto con politici tedeschi che gli consentono di
egemonizzare la cultura del tempo. Nello scritto La costituzione della Germania egli da un giudizio
su Machiavelli. Innanzitutto fa un parallelismo tra Germania e Italia affermando che Machiavelli
aveva percepito la povertà dell’Italia. Inoltre afferma che non si può discutere con la scelta dei mezzi,
questo perché non si può guarire le membra cancrenose con l’acqua di lavanda. Egli crede che la
guerra dia indispensabile, lo Stato grazie alla guerra riesce a differenziarsi. Hegel è il massimo
esponente dell’idealismo tedesco (dottrina secondo il quale la realtà derivi dal pensiero). Con Hegel
siamo con l’immanenza di dio nel mondo, egli identifica la divinità con la realtà, dio con la natura,
ovvero il finito con l’infinito. Secondo Hegel la storia è realizzazione di dio. Egli afferma che per
interpretare la realtà ogni oggetto deve essere inserito nel contesto in cui appartiene, si può capire
ogni finito partendo dall’infinito. Il processo in cui la realtà si oggettivizza per Hegel è la dialettica,
formata da un processo triadico:
• Tesi: momento statico
• Antitesi: momento dinamico
• Sintesi: momento di superamento
Secondo Hegel le classiche forme di governo potranno adattarsi a società semplici, ma per le società
complesse la migliore forma di governo è la monarchia costituzionale. Egli afferma che nell’impero
romano l’imperatore era una divinità e questo innalzava lo stato. La riforma protestante, secondo
Alberto Presti
Hegel, glorifica lo stato che è diventata sostanza etica, statolatria. Lo stato è l’ingresso di Dio nella
storia. Attraverso la guerra si preserva la salute degli uomini, la guerra muove la storia. Non può
quindi esistere un assetto di pace. Alla base della filosofia hegeliana vi è l’eticità. Per Hegel l’eticità
è uguale alla morale, ed è il momento sintetico che sviluppa due triadi:
Per Hegel il diritto è l’osservanza della legge per paura della pena. La moralità è la legge interiore
dell’uomo che si concretizza nell’eticità, ovvero una moralità che viene percepita non per paura ma
come coscienza, è il momento in cui il soggetto si identifica nell’istituzione in cui appartiene. Hegel
non crede che lo stato nasca da un contratto (no giusnaturalismo). La famiglia viene formata da
sentimenti di altruismo, non egoismo. La famiglia nasce dall’indissolubilità del matrimonio, è una
dedizione verso il figlio. La famiglia come cura del patrimonio privato ha la sua antitesi nella società
civile che è il luogo delle concorrenze. Nello stato civile si regolamenta la vita con le leggi. Le
diseguaglianze per lui sono necessarie, attraverso la beneficienza e la colonizzazione si può aiutare i
meno fortunati. Nella società civile ha luogo l’attività economica. È qui che gli individui vengono
riconosciuti in classi, che Hegel suddivide in tre ceti:
• Classe sostanziale ovvero i proprietari terrieri
• Classe formale ovvero l’industria
• Classe generale ovvero i burocrati e l’amministrazione
Quando Hegel parla di giustizia egli crede che il giudicato debba aver una sentenza/giudizio dalla
stessa classe alla quale appartiene. Hegel nella formazione dello stato promuove una organizzazione
dei poteri, non una divisione:
• Potere sovrano appartiene al principe
• Potere legislativo appartiene alla camera bassa (proprietari) e alla camera alta (rappresentanza
della pubblica amministrazione
• Potere governativo appartiene alla pubblica amministrazione
Hegel pensa che sia il cittadino ad esistere per lo stato. L’individuo viene riconosciuto solo se membro
dello stato. È infatti l’astuzia della ragione che ci serve degli individui per fare la storia, lo stato che
sostiene Hegel è uno stato etico.
Contrasti tra nazionalisti ed europeisti
L’idea di Europa prende consapevolezza nell’illuminismo. Nella seconda metà dell’800 nasce l’idea
di nazione che caratterizzerà il 1900 ovvero l’individualità che comprometterà l’universalità e il
cosmopolitismo. Rousseau aveva palesato una critica nei confronti di Montesquieu e Voltaire,
sostenendo che il principio di cosmopolitismo aveva cancellato la singolarità e peculiarità degli stati,
dunque è fortemente critico nei confronti dell’europeismo. Nonostante l’emergere di questa passione
nazionale, parallelamente coesiste la visione di un’unità europea. Un pensatore francese, Viseau (?)
definisce la civiltà europea come civiltà della libertà. L’idea d’Europa si concretizza nell’illuminismo,
1° triade:
• Diritto (tesi)
• Moralità (antitesi)
• Eticità (sintesi)
2° triade:
• Famiglia (tesi)
• Società civile (antitesi)
• Stato (sintesi)
Alberto Presti
continente non solo identificato geograficamente ma finalmente un’Europa che viene definita
attraverso elementi morali, culturali e spirituali.
Socialismo Utopistico
Otto giorni dopo la morte di Hegel nel 1830 scoppia una rivolta a Lione condotta dai lavoratori della
seta, i quali avevano un motto “vivere lavorando o morire combattendo”. Questa insurrezione viene
ricordata come l’inizio della guerra dei poveri contro i ricchi. Un socialista come Auguste Blanqui
spinge le proprie idee verso contenuti di comunismo vero e proprio tanto da ritrovarsi nel 1832 davanti
la corte d’assise di Parigi per difendersi dall’accusa di aver fomentato le rivolte proletarie; nel
preparare la sua arringa di difesa utilizza per la prima volta il termine proletari con un significato
diverso. Precedentemente il termine proletario si riferiva a colui che possedeva solamente i propri
figli, adesso Blanqui da un contenuto diverso affermando che i proletari sono coloro che vivono per
il proprio lavoro e sono privi di diritti politici. Blanqui precisa i borghesi sono i privilegiati ovvero
coloro che vivono grassamente del sudore dei proletari. Hegel invece precedentemente aveva
espresso giudizi non clementi nei confronti della plebe, anzi nelle sue opere manifesta il disprezzo
nei loro confronti, secondo lui la plebe avrebbe potuto minacciare la società civile. La Francia dunque
prende coscienza della nascita di una nuova questione sociale, che non può essere solo affrontata
dalla carità privata. Siamo nell’ambito di quel grande movimento chiamato socialismo. Blanqui è il
primo che accosterà il termine socialismo al termine utopia, facendo nascere quindi il socialismo
utopico.
I socialisti sono contrari alla violenza e alla lotta di classi, cosa che sarà peculiare invece nel
comunismo marxiano. Nel corso dei primi decenni dell’ottocento viene accostato il termine
socialismo a quello dell’utopia, che sarà noto grazie ad Engel e a Marx. Si tratta di pensatori che
prendendo le distanze da modelli politici esistenti, i quali erano rimasti indenni dal periodo
napoleonico, e immaginano delle soluzioni, delle forme di governo che assumono contenuti talmente
fantasiosi da essere etichettati come espressione di pura utopia. Nel 1841 Robert Owen figura molto
importante dei socialisti utopisti, vide fallire il proprio progetto di costruzione alternativa della
società, tentò di sperimentarlo sia in Scozia che in America. Egli tentò di creare un villaggio
cooperativo, all’interno egli vedeva un’abitazione decorosa per tutti gli operai, il divieto del lavoro
minorile (sotto i 10 anni), la riduzione delle ore di lavoro da 14 a 10. Egli è un imprenditore filantropo
che mette in discussione il denaro, non tiene conto del profitto e quindi è destinato a fallire. Le sue
idee però avranno una grande eco in Europa. Egli scrive un pamphlet sul cosa è il socialismo. Scrive
Owen che il socialismo e il comunismo sono certamente i contraltari del liberalismo e
dell’individualismo. Altra figura importante del socialismo pre-marxiano è Claude Henri de Saint-
Simon. Egli appartiene all’aristocrazia francese che vanta di discendere da Carlo Magno ma
assolutamente decaduta tanto da farlo vivere in una condizione di indigenza. Vivrà del soccorso di
due grandi discepoli Auguste Comte e Saint-Henry che lo aiuteranno anche da un punto di vista
economico. Aderisce pienamente al movimento americano, va negli Stati Uniti per combattere per
l’indipendenza americana. Padre del processo di integrazione europea, di un’Europa unita al di là
delle specificità dei singoli stati. Viene ricordato soprattutto come il padre della tecnocrazia, ovvero
il governo dei tecnici, degli esperti. Non si pone in maniera critica nei confronti del capitalismo.
Auspica la possibilità di edificare una società dove riprodurre il modello industriale, propone una
riforma del parlamento che si presenta “tricamerale”, con una camera dell’invenzione, una camera
dell’esame e una camera dell’esecuzione. In questo parlamento ciascuna categoria svolge il proprio
ruolo, nella camera dell’invenzione vi sono gli ingegneri e i poeti i quali lavorano insieme per produrre
Alberto Presti
dei progetti di legge. Nella camera dell’esame sono presenti i matematici e i fisici, i quali esaminano
i progetti di legge. Nella camera dell’esecuzione vengono presentati i progetti di legge. Nel 1819
Saint-Simon scrive una parabola nella quale con autocritica denuncia l’ozio e la condizione di
parassitismo nella quale vive l’aristocrazia e invece esalta i lavoratori. Egli scrive un’opera Il nuovo
cristianesimo dove evidenzia la necessità di tornare ad un vero cristianesimo non corrotto dal clero,
dagli interessi terreni e personali. Altro grande socialista utopista è Charles Fourier. Appartiene ad
una famiglia benestante, ma si troverà presto in una crisi economica che lo costringerà a vivere in
povertà fino alla morte. Come socialista utopista, non ha fiducia nella lotta di classe ed esprime una
concezione originale della storia, egli afferma che la sua epoca è un’età intermedia, espressione di un
momento di degenerazione, tra l’eden e la nuova armonia. L’uomo deve assecondare le proprie
passioni, in questo senso il messaggio di Fourier può essere accolto, questo porta la felicità, la quale
contaminerà la società. Inoltre secondo Fourier bisogna svolgere un lavoro a cui sono portato
naturalmente. Un ulteriore socialista definito però “borghese” è Pierre Joseph Proudhon autore nel
1840 di un pamphlet chiamato Qu'est-ce que la propriété? che Marx accoglierà con furore.
Proudhon afferma che la proprietà privata è un furto. Sette anni dopo il rapporta tra i due si incrinerà.
Proudhon criticherà il colpo di stato perpetrato da Louis Napoleon e per questo verrà condannato e
trasportato in carcere. A Proudhon va il merito della creazione dell’anarchia positiva, in termine di
autogestione delle classi lavoratrici, associazionismo. Si esprime dinanzi alla questione italiana, si
dibatte su soluzione federativa, confederativa o unitaria ma egli esprime un consenso verso un assetto
federativo, secondo lui più consono. Fa del lavoratore un’azionista, un piccolo proprietario.
Karl Marx
Karl Marx nasce a Treviri nel 1818, da una famiglia di origine ebraica, inizialmente frequenta
l’università di Bohn estremamente diversa da quella di Berlino, la prima garantiva una vita
universitaria incentrata sulla goliardia. Il padre quindi lo iscrive a Berlino, ma nonostante ciò egli
abbandona gli studi giuridici per quelli filosofici a Iena laureandosi con una tesi su Democrito e
Epicuro. Si recherà a Parigi dove incontrerà Engels, che lo aiuterà molto. Marx scriverà solamente il
primo libro del Capitale, gli altri due saranno editati da Engels. Risiederà fino alla morte nel 1883 a
Londra. Scrive insieme ad Engels La Sacra famiglia, un’opera contro la sinistra hegeliana. Nel 1847
elaborano il Manifesto del partito comunista, opera più letta dopo i vangeli. In questa opera
manifesta la critica contro i socialisti utopisti. A Londra fonda la Prima Internazionale, l’associazione
dei lavoratori. La sua concezione filosofico-politica non può prescindere dall’analisi di Marx dal
debito che ritiene di avere con Hegel. Il pensiero di Marx si costruisce nel solco della filosofia
hegeliana, ma poi ne prende le distanze e ne manifesta la contrarietà, nonostante ciò egli non nega il
contributo che Hegel diede alla filosofia. L’errore di Hegel fu l’errore di invertire il mondo, ponendo
l’infinito davanti al finito. Bisogna rovesciare la dialettica hegeliana e rivolgere l’attenzione all’uomo
e non all’idea. Marx riferisce che tutte le epoche storiche si alimentano attraverso le lotte di classe, vi
è sempre stata una classe di oppressori e una di oppressi, una classe che ha imposto il suo dominio,
la sua cultura e ideologia (vestito di idee), la storia è lotta di classe. Nella storia sono mutate le due
classi, la società nata dal capitalismo ha distinto capitalisti, borghesi e proletari, durante l’epoca
romana invece vi erano patrizi e plebei. Lo stato è l’emblema di questa oppressione di una classe su
di un’altra. Egli utilizza la parola dittatura del proletariato, dittatura però nell’accezione romana,
ovvero il comando limitato nel tempo, necessario per capovolgere il sistema capitalistico. Non c’è
nulla nella riflessione marxiana che può essere considerato un momento sintetico nella storia, ciò che
rimane della dialettica hegeliana nella filosofia di Marx è il passaggio dalla tesi all’antitesi.
Alberto Presti
Successivamente alla morte di Hegel nasce una distinzione tra destra e sinistra hegeliana. La divisione
tra destra e sinistra si ha grazie ad un rappresentante della sinistra hegeliana, Strauss. La destra
hegeliana è rappresentata da Goschel, Gabler e Conradi, esponenti conservatori che giustificano il
cristianesimo; rispetto alla sinistra hegeliana che invece muove pensieri politici radicali, è critica nei
confronti della religione. L’idea di concepire il fenomeno religioso come espressione dell’alienazione
dell’uomo è condivisa da Marx, “la religione è l’oppio dei popoli” afferma. Egli non vuole irridere il
fenomeno religioso, non vuole nemmeno presentare la religione come espressione di preti
ingannatori, ma con questa frase vuole mettere in evidenza l’idea di una religione come opera di
un’umanità sofferente che cerca consolazione. Partendo da questo come presupposto riconosce il
contributo di Feuerbach, però ritiene che l’alienazione descritta da quest’ultimo (proiettare al di fuori
di sé in un essere trascendente) resta incomprensibile come fatto se non viene denunciata la radice
della motivazione, la radice storico-materiale di questa alienazione. Marx si forgia sugli scritti degli
economisti classici, ai quali attribuisce il merito di aver evidenziato una contraddizione profonda
ovvero che alla massima produzione corrisponde il massimo impoverimento della classe operaia. Gli
economisti affermano che ciò accade ma dice Marx che loro non ci dicono il perché e non offrono
dunque soluzioni a questa contraddizione economica. Nel Manifesto del partito comunista Marx ed
Engels identificano e offrono in maniera inequivocabile il loro giudizio sul socialismo, i socialisti
hanno offerto materiale prezioso per illuminare il proletario ma a differenza del socialismo scientifico
non offrono un programma di emancipazione di quest’ultimo, per questo sfocia nell’utopia. Nel 1847
Marx rompe con Proudhon attraverso delle pubblicazioni di opere. Dal 1844 al 1847 la concezione
marxiana si converte in una concezione materialistico-storico-dialettico della storia. Il termine
materialistico-storico-dialettico non è un termine che ritroviamo nell’opera di Marx ma in quella di
Engels, che definisce completamente questa concezione in Marx. Il termine si riferisce a quella
dottrina secondo la quale le cause del divenire storico non sono di natura ideale ma di natura sociale,
materiale ed economica. Essi contestano quindi Proudhon il quale vuole dividere la proprietà, mentre
i due filosofi la vogliono eliminare totalmente. Essi quindi sfociano dal socialismo al comunismo,
l’assenza della proprietà privata è una condizione che porta l’uomo a vivere una condizione umana.
Il lavoro è diventato costrittivo, l’operaio non si identifica, gli viene alienata la creatività; è questo
l’esito dell’alienazione del lavoro dalla quale deriva qualsiasi altra alienazione. Si tratta di una
divisione del lavoro che produce una divisione sociale. L’economia come struttura della società che
distingue le due classi perennemente in lotta. La riflessione marxiana tiene conto del pensiero del
socialismo utopico. La divisione del lavoro produce divisioni nelle classi sociali. I rapporti materiali
tra le classi, i modi di produzione e la ripartizione di beni, riguardano la struttura della società ovvero
l’economia. Tutto ciò che non è economia è sovrastruttura della società, come la cultura, la politica,
la religione e il diritto. L’università stessa è una sovrastruttura. Nella produzione sociale gli uomini
entrano in rapporti determinati attraverso rapporti di produzione, l’insieme di questi rapporti
costituisce la struttura economica della società sulla quale si eleva la sovrastruttura. L’economia è la
base determinante della storia. Nell’evoluzione storica però è la struttura economica a mutare per
prima, ma nonostante questa muti, l’economia nuova coesiste con le sovrastrutture precedenti, che
lentamente tendono a modificarsi. In base al principio che le società variano al variare degli strumenti
di lavoro, Marx distingue quattro età della storia, più una quinta che rappresenta la fase dell’avvenire,
da egli stesso profetizzata. La prima età è quella che Marx identifica come la comunità primitiva,
nella quale la società è segnata dalla caccia, e lo strumento di lavoro è rappresentato dalla pietra. La
seconda è caratterizzata dal regime della schiavitù, segnato da altri strumenti di lavoro, l’ascia e
l’aratro. La terza è l’età feudale, dove parallelamente alla produzione agricola prende importanza
anche l’artigianato. La quarta fase è il regime borghese, è la fase che egli ha davanti ai suoi occhi, il
Alberto Presti
regime del capitalismo e delle industrie. La borghesia gioca un ruolo molto importante e determinante
poiché si è opposta all’aristocrazia feudale, ma ha commesso l’errore di far pagare le conseguenze
delle lotte di classi al proletariato. La quinta fase profetizzata è quella dell’avvenire, si caratterizza
con l’abolizione della proprietà privata. L’elemento fondamentale è la creazione di una società
socialista che poi però deve sfociare nel comunismo. La differenza tra socialismo e comunismo sta
nell’allocazione delle risorse. Nel socialismo marxista, le risorse sono allocate rispetto a quanto si
lavora, se lavoro un tot di ore, riceverò un tot di risorse. Il passaggio da socialismo a comunismo
avviene nel momento in cui si attua questa allocazione delle risorse poiché lo stato cessa di esistere
nel momento in cui non vi è più il bisogno di difendere una classe dominante, a questo punto si passa
al comunismo vero e proprio ove vi è il possesso collettivo dei mezzi di produzione, l'abolizione
della proprietà privata e un’egualitaria allocazione delle risorse. Da precisare però che per arrivare
alla fase socialista bisogna istaurare la dittatura del proletariato, ovvero una magistratura straordinaria
e temporanea. Proudhon muoverà una dura critica a Marx, perché secondo lui la nascita della dittatura
del proletariato appariva come un semplice capovolgimento del ruolo di oppressore (se prima era la
borghesia ad opprimere ora diventa il proletariato). Marx ritiene che il capitalismo sia stato un
passaggio necessario per superare il mondo feudale, però in questo capovolgimento della classe
borghese sull’aristocrazia, ha causato il declino e l’oppressione della classe proletaria, che ha finito
per diventare merce tra le merci, mero strumento di lavoro. Marx si pone una domanda, la società
capitalistica come si arricchisce? L’imprenditore attraverso la forza lavoro si appropria del
plusvalore ovvero di quel valore che piuttosto che essere retribuito con il salario, finisce nelle tasche
del capitalista. È il profitto del capitalista a discapito dei proletari, fonte di accumulazione del capitale.
Nell’ambito del capitale pone la distinzione tra capitale variabile, che si traduce nei salari, è la parte
di capitale che si converte nelle retribuzioni, e il capitale costante che si converte nelle materie prime
e nei macchinari. Il plusvalore rappresenta il tempo che l’operaio da al capitalista e che dovrebbe
essere retribuito, che può essere assoluto o relativo. Il plusvalore assoluto è dovuto al lavoro, è il
prolungamento delle ore di lavoro ma sempre allo stesso costo, la produzione industriale aumenta
attraverso il prolungamento delle ore di lavoro non retribuite. Il plusvalore relativo è l’aumento della
produzione dovuta anche al prolungamento delle ore, ma grazie all’utilizzo delle macchine, e delle
nuove tecnologie che riducono il tempo necessario a produrre una certa quantità di beni. L’obbiettivo
è produrre di più al minor costo. Questo meccanismo, anima del capitalismo, crea una concorrenza
tra i singoli capitalisti, che crea delle crisi economiche cicliche durante le quali la concorrenza
determina il fallimento degli altri capitalisti, dunque a sopravvivere sono pochi. Ci si ritrova in una
condizione in cui i proletari sono sempre di più e i capitalisti sempre meno. Le entrate a favore del
capitalista devono essere sempre maggiori del capitale investito, la differenza tra il capitale impiegato
e le entrate rappresenta il plusvalore. Con questo meccanismo i soli a pagarne le conseguenze sono i
proletari. Essi devono assolutamente cambiare la situazione, capovolgere la classe dei capitalisti,
poiché non hanno nulla da perdere e tutto guadagnare, utilizzando strumenti dispotici. Attraverso
questa presa di coscienza, la dittatura del proletariato deve procedere attraverso l’espropriazione dei
terreni fondiari, l’abolizione del diritto di eredità, l’accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani
dello stato, l’uguale obbligo di lavoro per tutti, l’educazione pubblica gratuita per tutti, e l’abolizione
del lavoro minorile; attraverso questo processo il potere pubblico perderà il carattere politico.
Intervenendo con mezzi e provvedimenti dispotici, il proletariato sarà in grado di istituire una società
socialista e poi comunista. Con questo verrà meno la distinzione in classi e quindi la lotta che ha
dominato la storia.
Alberto Presti
Alexis de Tocqueville
Alexis de Tocqueville nasce a Parigi nel 1805, fu magistrato e sociologo ante litteram. Nicola
Matteucci lo definisce come il Marx borghese. Ai tempi di Tocqueville il sovrano è Louis Philippe,
ma egli lo disprezza. Scrive un’opera monumentale di estrema importanza La democrazia in
America. Insieme all’amico Gustave de Beaumont nel 1831 giunge in America. Viene vissuta da
Tocqueville come un’esperienza liberatoria, una via d’uscita da un circolo vizioso dato dal
giuramento di fedeltà ad un re borghese, che egli odia. Autorizzato dal suo governo, si dirige negli
Stati Uniti dove dovrà studiare insieme a Gustave de Beaumont, il sistema penitenziario americano
in modo da trarre spunti per una possibile riforma in Francia. Vi è una descrizione di Europa, che egli
identifica innanzitutto con la Francia, mentre la non Europa è rappresentata dall’America.
Un’America che sembra aver risolto i rapporto tra libertà e uguaglianza, cosa che in Francia non
avviene. Tocqueville rompe il cliché settecentesco di vedere la democrazia come governo delle
piccole repubbliche. Il grande contributo che egli diede è proprio questo, quello di cambiare l’idea
sbagliata di democrazia. Prima di essere una realtà politica, la democrazia è un atteggiamento morale
e mentale. È per Tocqueville quell’assetto caratterizzato di un desiderio smodato verso l’eguaglianza,
indipendentemente dagli esiti che questa può dare. Si intende quindi che tutti gli avvenimenti della
storia sembrano evolversi verso una sempre maggiore uguaglianza. Tocqueville studia gli Stati Uniti
perché il principio cardine della democrazia sembra perfettamente armonizzato nella società. I
pericoli dati dal rapporto tra libertà ed uguaglianza sono dovuti al fatto che si tratta di due principi
inversamente proporzionali. Se non si costituiscono dei correttivi, l’uguaglianza si affermerà a
discapito della libertà. Egli è un liberale che però sfugge ad una lettura tipica dei filantropi del suo
tempo, che nel sistema penitenziario avvertivano quell’attenzione di risocializzare il detenuto,
guardare alla detenzione come un momento necessario per rieducare il detenuto per poi restituirlo
alla società. Proprio in questo egli è un pensatore che rompe totalmente con questa tradizione, per
Tocqueville il momento della detenzione rappresenta il pagamento degli errori sommessi dal detenuto
e questo consente di preservare la società da eventuali pericoli. Tocqueville auspica una detenzione
di isolamento notturno e diurno. Altra analisi quasi contraddittoria è quella in riferimento al
colonialismo, che egli condivide. Condivide il fatto che la sua madrepatria colonizzi altri territori,
come l’Algeria ad esempio, e tornato dagli Stati Uniti esprime il suo spleen e il suo desiderio di
diventare colono ad Algeri. Per quanto riguarda le colonie francesi nelle quali egli è un deputato, si
lavora ad un progetto di abolizione di schiavitù nelle colonie, e si propone inoltre una riforma
sull’emancipazione degli schiavi e un indennizzo ai colonizzati per ridare la libertà agli schiavi.
La democrazia in America è quell’analisi che procede attraverso comparazioni tra Francia e Stati
Uniti. Egli scrive due parti, la prima pubblicata nel 1835 e la seconda nel 1840, la quale però non gli
diede grandi soddisfazioni rispetto alla prima. Nella prima parte egli tratta l’influenza della
democrazia nei costumi politici americani. Intraprende l’analisi esaminando le istituzioni del New
England. Nella seconda parte analizza come la democrazia influenzi i costumi privati. Egli parte dal
presupposto che la società aristocratica è una società che appartiene al passato, la società americana
è democratica, edificata sulla democrazia. Questo è potuto accadere poiché gli Stati Uniti non hanno
avuto dal punto di vista sociale una classe aristocratica, cosa che invece avvenne in Europa e causa
del rallentamento dell’impianto della democrazia. Negli Stati Uniti sin dalle origini, i father pilgrims
hanno dato un’impronta democratica, e il processo si è potuto concretizzare velocemente. L’Europa
è in una fase transitoria, per questo Tocqueville sostiene di analizzare l’idea democratica in America,
poiché l’Europa sta cercando di dare un’impronta di uguaglianza e gli Stati Uniti rappresentano il
modello da cui trarre suggerimenti, e funge anche da cavia per analizzare quali siano i costi e i benefici
Alberto Presti
della democrazia. L’instaurazione della democrazia rappresenta per Tocqueville un cammino
provvidenziale, e impedire questo processo significa lottare contro Dio. Tocqueville scrive anche
un’altra opera, L’antico regime e la rivoluzione, che lo pone tra i padri precursori della sociologia
della politica. Egli sostiene che tra l’antico regime e la rivoluzione francese non vi è stata rottura ma
continuità, non è nato un popolo nuovo. Egli interpreta la rivoluzione come un processo acceleratore,
essa non ha rivoluzionato nulla.
L’Europa del suo tempo vive in questo momento di transizione, sta passando da un regime di
disuguaglianza politica ad un regime di uguaglianza. Egli paragona l’uguaglianza ad un grande fiume
che si biforca in due bracci, l’uomo non può modificare il corso del fiume, ma può scegliere in quale
braccio navigare. Questo fiume di uguaglianza si biforca da una parte verso la libertà e dall’altra verso
la tirannia.
La democrazia e il socialismo hanno fondamento nell’uguaglianza. La democrazia vuole
l’uguaglianza nella libertà, il socialismo vuole l’uguaglianza nella servitù. L’obbiettivo del
socialismo è una società di eguali ma di servi, occorre secondo Tocqueville incrementare la libertà
affinché in questo rapporto inversamente proporzionale la libertà si affermi e accresca l’uguaglianza.
Egli esamina la democrazia perché è un volere provvidenziale. Secondo Tocqueville negli Stati Uniti,
dove non c’è mai stato un feudalesimo, c’è invece una legge sull’eredità che consente la divisione di
questa a tutti i figli e non solo al primogenito, cosa invece affermata in Europa. Gli Stati Uniti sono
una nazione isolata geograficamente, non ha “vicini” e di conseguenza non vi è il pericolo di essere
attaccati, non ha bisogno di grandi generali o armate e questo la preserva dal mantenere una
repubblica democratica, cosa invece che non caratterizza il continente europeo. Vi sono anche fattori
sociali che tutelano la democrazia che egli sintetizza affermando che vi è uguaglianza delle condizioni
(pari opportunità), nulla viene precluso per nascita, vi è una mobilità sociale che viene garantita; tutti
gli uomini liberi possono aspirare a tutto. La caratteristica fondamentale e peculiare è
l’associazionismo, cosa che manca in Europa, gli americani si associano per qualsiasi motivazioni, vi
sono associazioni culturali e religiose. La matrice protestante fomenta l’associazionismo, il
protestantesimo ha dato un grande contributo alla società americana poiché non si interessa di politica
e crea un buon servigio alla nazione, cosa che non accade invece in Europa poiché il cattolicesimo è
invadente. L’associazionismo domina la realtà americana, l’abitante degli Stati Uniti sa che deve
combattere con le proprie forze contro i mali della vita. L’associazionismo nega un ingolfamento del
sistema politico, l’abitante sa che deve risolvere i propri problemi da solo piuttosto di chiedere aiuto
alle autorità per risolvere questioni futili che ingolferebbero le istituzioni. Totalmente opposta è la
condizione europea, il governo è tartassato di questioni che potrebbero essere risolte singolarmente
tra cittadini che presentano lo stesso problema. In tema di associazioni, i cittadini americani formano
spontaneamente delle associazioni per trovare l’autore di eventuali omicidi e si prodigano di
consegnarli alle istituzioni, la popolazione europea invece assiste passivamente alla ricerca di un
colpevole. Vi è dunque uno spirito collaborativo americano posto a confronto con lo spirito omertoso
europeo.
La nota peculiare della società americana che stupisce Tocqueville è proprio l’associazionismo.
L’eguaglianza sociale porta all’eguaglianza politica. Un contributo importante che Tocqueville da sul
concetto di democrazia è il nuovo accostamento che egli da al suo opposto; se fin a quel momento i
pensatori classici avevano individuato come opposto alla democrazia, la demagogia, la forma
degenerata invece diventa la tirannia della maggioranza. Secondo Tocqueville se la minoranza non
è tutelata al suo diritto al dissenso, siamo in presenza di una tirannide della maggioranza. I malesseri
che porta questa degenerazione, sono l’estremizzazione del concetto di sovranità popolare, che
diventa un dogma e quindi si crea l’idea che tutto è lecito al popolo e a conseguenza ritenuta più
Alberto Presti
temibile ovvero l’individualismo. È il risultato dell’apatia, nel momento in cui non viene tutelato il
mio diritto a dissentire, si diventa apatici. L’individualismo è presente fortemente in Europa, poiché
manca lo spirito associativo. Questo è il quadro che si realizza attraverso la degenerazione della
democrazia. Usa il termine tirannide della maggioranza, perché viene descritto come un potere
assoluto non di un solo uomo, ma di una maggioranza che si ritrova a monopolizzare i tre poteri. Tutti
i poteri sono espressione della maggioranza, e questo spinge l’individualismo, la ruggine della
democrazia, che ci fa disinteressare da una partecipazione attiva alla cosa pubblica. Una volta poste
le conseguenze, egli ne ricerca i correttivi. Si pone una domanda, può essere la forma mista di governo
un correttivo alla tirannia della maggioranza? No, egli rompe con questa tradizione. La motivazione
che da è che la forma mista non è considerata un correttivo, per il fatto che parlare di governo misto
è un utopia, una chimera, è inevitabile che una componente cerchi di prevalere sull’altra, creando una
mancanza di equilibrio. Il correttivo è solo uno, la libertà, è l’unico principio che può contrastare gli
abusi della maggioranza e il delirio di onnipotenza. Libertà che deve concretamente realizzarsi
nell’istituzioni politiche. Questo è presente nel modello americano. Libertà espressa attraverso
quattro espressioni fondamentali, la libertà religiosa, il decentramento amministrativo,
l’associazionismo e l’indipendenza della magistratura. La libertà religiosa, fa si che la matrice
puritana abbia portato i principi democratici alla società americana. I sacerdoti americani non si
appoggiano a nessun elemento politico, la religione non influenza le leggi e la politica. Bisogna avere
libere chiese in libero stato. La realtà europea è totalmente opposta, dove la chiesa è sempre
intervenuta negli affari politici.
Il decentramento amministrativo, rispetto ad una teoria europea che cerca un accentramento, è
garantito dalla struttura federale (non ritiene che il federalismo debba essere trasportato in Europa,
basta che ci sia però il decentramento del potere). Questo decentramento spinge il popolo a partecipare
alla cosa pubblica ed è risolutivo dell’apatia, il cittadino prima di essere cittadino di uno stato, è
cittadino di una città e di un comune. All’interno del comune si concepisce una democrazia diretta,
si crea continuo contatto tra governanti e governati. Resta colpito del funzionamento dell’esattore
delle tasse che le riscuote a livello comunale. Anche l’associazionismo fa parte dell’espressione
fondamentale della libertà, di cui abbiamo già parlato. Il quarto correttivo molto importante per
Tocqueville è l’indipendenza della magistratura. Una magistratura se autenticamente autonoma porta
la maggioranza nei suoi limiti. La mancanza di un’aristocrazia feudale viene colmata dalla presenza
della magistratura. La magistratura secondo Tocqueville è quell’organo che riesce a colmare la
mancanza sociologica dell’aristocrazia, appartiene al popolo per nascita, ma ha un gusto aristocratico.
Quest’elemento aristocratico è colto sulla teoria di accesso alle leggi (in Europa le leggi sono
codificate, facilmente accessibili) poiché è un diritto poco accessibile al popolo. Tutto ciò consolida
e rafforza la democrazia, la magistratura trova un suo coronamento nella Corte Suprema.
La conclusione della prima edizione de La democrazia in America pubblicata nel 1835 è stata letta
come una profezia, infatti Tocqueville sembra profetizzare sui futuri due paesi, la Russia e gli Stati
Uniti, che si contenderanno il dominio sulla terra.
Giuseppe Mazzini
Giuseppe Mazzini nasce nel 1805 a Genova. Nel 1830 dopo essere entrato a far parte della
Carboneria, ovvero società segreta rivoluzionaria italiana, nata nell'allora Regno di Napoli durante i
primi anni dell’Ottocento su valori patriottici e liberali, e dopo essere stato accusato di cospirazione,
viene condannato all’esilio. Si reca quindi a Marsiglia dove fonda un’associazione patriottica, la
Giovine Italia, in seguito si recherà in Svizzera dove fonda la Giovine Europa. In un terzo momento
Alberto Presti
egli si trasferisce a Londra agli inizi degli anni quaranta. Nel 1846 è offerta a Mazzini la possibilità
di collaborare con un giornale, a seguito di una vicenda che lo rese a suo malgrado più noto. Questa
vicenda è denominata l’affare delle lettere aperte. Viene intercettata a Londra la posta di Mazzini e
le sue lettere vengono aperte, viene scoperto un suo piano insurrezionale e viene inoltre scoperto che
egli accusa il governo londinese di aver ucciso i fratelli Bandiera. La vicenda si conclude con un
elogio pubblico delle qualità di Mazzini. Egli pubblicherà otto articoli, dove si sofferma a descrivere
il suo concetto di democrazia, che verranno denominati sotto il nome Thoughts upon Democracy in
Europe. Le direttive politiche di Mazzini si sviluppano attraverso tre momenti fondamentali: la
cospirazione, l’insurrezione e la rivoluzione. La prima permette di elaborare le direttive per giungere
all’insurrezione; l’insurrezione avviene attraverso le bande organizzate, infine la rivoluzione deva
dare vita alla repubblica unica e indivisibile. La repubblica è l’unica a garantire il progresso. Il suo
atteggiamento è etico e religioso, che presuppone una sorta di provvidenza che si attua nella storia
degli uomini. Egli muove da presupposti assolutamente di contestazione al comunismo, la sua
ideologia è definita tipicamente spiritualista, che contesta e nega tutte le dottrine fondate sull’utile;
nega l’illuminismo, la concezione egoistica dei diritti individuali illuministi, è contro il materialismo,
attacca e polemica contro le forme di socialismo e invece elabora una visione nella quale le classi
medie devono svolgere un ruolo da protagoniste. La sua attività è a favore dell’alimentazione del
dibattito sulla democrazia. Mazzini contesta la proprietà privata come fonte di ozio e frutto del lavoro
altrui e fonte di oppressione, ma esalta quella proprietà privata che è frutto del lavoro dell’uomo. La
monarchia costituzionale è transitiva tra dispotismo e repubblica. Nel delineare la sua democrazia
attinge alle separazioni storiche, prende le distanze dalla repubblica federale americana e dalla
repubblica sociale autoritaria ponendosi a favore di una repubblica rappresentativa. La repubblica
federale americana si fonda su un individualismo borghese, è una democrazia che tutela i diritti
individuali e che in quella visione di egoismo che egli contesta. La repubblica sociale autoritaria è
contestata perché in nome di un’eguaglianza assoluta nega il diritto alla proprietà. Esalta quindi la
repubblica rappresentativa, la quale garantisce una società fondata sulla teoria che gli individui non
abbiano solo diritti ma anche doveri da rispettare, e inoltre, è basata sull’associazionismo.
Carlo Cattaneo
Carlo Cattaneo nasce a Milano nel 1801, è il padre del federalismo europeo, tanto da non condividere
l’idea dell’Unità d’Italia. Secondo lui infatti la situazione italiana si sarebbe dovuta risolvere creando
un assetto federale, una coesistenza tra Regno di Sardegna, Regno Lombardo-Veneto, Regno delle
due Sicilie, affinché si possa mantenere le peculiarità di ogni singola regione. Si laurea in legge. Nel
1839 fonda la rivista Politecnico. All’inizio non si profila come un cospiratore, non partecipa infatti
a nessuna cospirazione poiché è convinto che l’impero austriaco si possa evolvere verso un assetto
federale. Egli prenderà parte alle cinque giornate di Milano, insurrezione avvenuta tra il 18 e il 22
marzo 1848, e si opporrà a qualsiasi progetto di unione tra Piemonte e Lombardia. A seguito di questa
partecipazione, viene esiliato in Svizzera, dove svolge la sua attività di giornalista. Nonostante tutto,
il progetto dell’Unità d’Italia viene eseguito e terminato nel 1861. Egli viene candidato dai suoi amici
per ricoprire il posto di deputato al nuovo Parlamento Unitario, ma egli rifiuta poiché non vuole
giurare fedeltà al Re torinese. Dal passaggio della capitale da Torino a Firenze, si ritroverà a essere
nuovamente eletto, ma anche questa volta Cattaneo rifiuta. Egli rappresenta la borghesia progressista,
che si oppone a tutte le forme di pregiudizio. Ha un’estrema fiducia sul ruolo che può svolgere la
filosofia, che viene considerata come militante, ovvero disciplina che ricerca il razionale, e che può
svolgere un ruolo fondamentale nel liberare l’uomo dai pregiudizi. In economia Cattaneo sposa gli
argomenti classici dei liberisti, contrario a qualsiasi forma di protezionismo, egli vede un’industria
Alberto Presti
che deve svilupparsi senza ostacoli. Manifesta la sua contrarietà al dare vita ad un’economia
nazionale, esprime invece un giudizio positivo in un’idea di nazione che non deve essere intesa non
come unitaria ma come espressione che può salvaguardare i valori e presentarsi come anti-centralista.
Cattaneo è a favore del decentramento politico-amministrativo poiché ritiene che questa sia causa di
decadenza. Presenta ideali liberali nell’idea di esercito permanente, infatti egli sostiene che non
bisogna avere un esercito permanente ma bensì bisogna educare il cittadino all’utilizzo delle armi in
caso di necessità. Nel 1850 scrive il primo volume dell’Archivio triennale delle cose d’Italia. Egli
sostiene che si avrà pace quando verranno creati gli Stati Uniti d’Europa, visione unitaria dell’Europa
nella quale egli auspica stati federali italiani. Questa idea di un’Europa unita che avrebbe potuto
garantire la pace, viene utilizzata e fatta propria da Richard de Coudenhove-Kalergi, padre della
Paneuropa e creata nel 1922. Nel 1922 l’Unione paneuropea si ritrovano a Vienna ventimila delegati,
rappresentanti di ventiquattro nazioni per discutere di questo progetto. Obbiettivo della Paneuropa
era quella di riuscire ad arginare, creando un assetto federale, la supremazia degli Stati Uniti, del
Giappone e della Russia. All’interno delle sale dove venivano svolte le riunioni vi erano le immagini
di Mazzini e Kant, ispiratori dell’idea di unione europea.
Costruzione europea
I primi desideri di un’unione politica dell’Europa nascono nel 1922 con la creazione dell’Unione
Paneuropea fondata dall’aristocratico Richard Coudenhove Kalergi. Egli iniziò a scrivere una serie
di articoli nei quali indicava la necessità di addivenire ad un nuovo ordine europeo. Questi suoi
propositi culminarono nel novembre 1922 con la pubblicazione del documento Paneuropa, un
progetto nel quale venivano prospettate per la prima volta l'unificazione politica ed economica degli
Stati europei come rimedio agli errori del conflitto appena concluso e definito da Kalergi come “una
guerra civile europea”. Progressivamente il progetto vede l'appoggio di coloro che sarebbero divenuti
i padri dell’unione europea ovvero Adenauer, Monnet ma anche Freud e Einstein. Coudenhove
Kalergi elabora un progetto di unificazione federale. Esso prevede tre tappe:
1. Una cooperazione intergovernativa stretta tra gli stati europei: saranno previsti degli incontri
periodici.
2. Un'unione doganale tra i partecipanti.
3. La fase federale: gli Stati Uniti d'Europa.
La seconda guerra mondiale però da l’input a due processi irreversibili, l’accelerazione della crisi
degli imperi coloniali, e l’affermarsi di un’Europa. La guerra fredda però determinerà il superamento
del progetto paneuropeo di Kalergi, ma da nuovi stimoli per la creazione di una vera Europa unita.
Ad esempio gli Stati Uniti d’America espressero il loro desiderio di vedere una cooperazione
interstatale tra i paesi europei, anche grazie agli aiuti economici previsti dal piano Marshall al fine di
permettere una crescita economica ai paesi distrutti dalla Seconda Guerra Mondiale.
Un importante contributo che darà vita al lungo processo d’integrazione europea fu dato da tre
antifascisti confinati nell’Isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, i quali
diedero vita ad uno scritto fondamentale, considerata un’opera apologetica della cooperazione
europea, ovvero Il manifesto di Ventotene. Spesso si identificano figure esclusivamente maschili
per il processo d’integrazione, ma una figura femminile fondamentale di questo processo che consentì
la diffusione e la promulgazione del manifesto fu Ursula Hirschmann, prima moglie di Colorni e in
seguito di Spinelli, la quale nascose sotto la fodera del suo cappotto i primi manoscritti del manifesto,
che riuscì a portare con successo sulla terraferma nonostante i controlli.
Alberto Presti
Dopo la Prima Guerra Mondiale si era già discusso di ‘’Un’Europa unita ’’ poiché dopo quella
tragedia si ripensò al destino dell’Europa e molti pensarono che fosse necessario lavorare per unire
l’Europa e non più per dividerla. Ci sono stati diversi progetti, a parte la Società delle nazioni (ONU)
che aveva un barlume di europeismo, ma ci furono dei tentativi teorici da parte di molti studiosi e
uomini politici per gettare le premesse dell’Europa unita ma poi non si concretizzò. E non solo questo
progetto di un’unità europea non si concretizzò ma il periodo intermedio tra le due Grandi Guerre, fu
caratterizzato dagli insperati nazionalismi col fascismo in Italia, il Nazismo in Germania e quindi la
Seconda Guerra Mondiale trovò molti europeisti convinti che fosse giunto il momento finalmente di
chiudere con questa pagina tragica della storia del continente e quindi nel 1941-1942 in piena guerra,
proprio a Ventotene dove si trovavano confinati circa 800 antifascisti compresi Spinelli, Colorni e
Rossi, si costituì il primo nucleo in Italia di quello che sarebbe stato il movimento federalista europeo.
Essi, insieme a pochi altri, decisero di scrivere da quest’isola dove erano prigionieri già da anni un
progetto di manifesto per l’Europa libera e unita che poi è stato chiamato Manifesto di Ventotene e
dunque all’origine del movimento federalista europeo. Spinelli, in un primo momento, fu anche
iscritto al partito Comunista clandestino, Rossi fu un’economista e apparteneva al partito socialista
liberale di giustizia e libertà di Carlo Rosselli e poi Colorni fu uno studioso che si ispirava ai principi
democratici del pragmatismo filosofico americano, dell’esperienza americana del ‘’New Deal’’
soprattutto di Roosevelt e che aveva anche lui un interesse a di immaginare l’inizio di un tempo nuovo
per l’Europa.
Tra la fine del luglio 1943 e il principio di agosto, decaduto Mussolini, tutti i confinati furono liberati
e il gruppetto di federalisti di Ventotene pensò bene di convocare immediatamente una riunione di
gente che proveniva da altre carceri, da altri luoghi dall’esilio per fondare regolarmente il partito
federalista europeo e ciò avvenne alla fine dell’agosto 1943 a Milano. Da allora, Ernesto Rossi e
Spinelli, furono incaricati da questo primo nucleo del movimento di andare a cercare fuori dall’Italia
quegli altri federalisti che pensavano potessero esistere. Così a settembre dello stesso anno, passarono
illegalmente la frontiera e raggiunsero la Svizzera dove trovarono effettivamente nei gruppi degli
antifascisti francesi, tedeschi e di altri paesi, uomini che erano arrivati assolutamente alle stesse
conclusioni come loro. Il Manifesto di Ventotene è composto da poche pagine che racchiudono però
un’apertura straordinaria verso un futuro completamente diverso dal presente. Il pensiero di Luigi
Einaudi che fu un’economista liberale, si manifesta attraverso il fatto che egli non credette mai ad un
nazionalismo economico che aveva caratterizzato l’Europa tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i
primi decenni del Novecento che porterà appunto alla Prima Guerra Mondiale. Egli aveva sempre
immaginato che anche nel campo dell’Economia le frontiere fossero aperte, gli scambi fossero liberi,
non ci fossero protezionismi, tariffe doganali che impedissero la circolazione libera delle merci e che
non ci fossero soprattutto impedimenti alla libertà, quindi era la strada economica in cui era
realizzabile quel progetto di Europa libera ed unita. Il Manifesto di Ventotene racchiude l’idea che
gli Stati Uniti d’Europa dovessero essere fondati su un sistema economico nuovo.
Un passo successivo alla pubblicazione del manifesto e alla volontà di unione europea, fu l’istituzione
di un congresso all’Aia, nei Paesi Bassi, nel maggio 1948 organizzato sotto la presidenza di Winston
Churchill, Primo ministro inglese. Questa tappa fondamentale fece emergere tre spiriti o correnti che
saranno alla base per un indirizzo politico ed economico dell’Europa, lo spirito federale, lo spirito
unionista o confederalista e lo spirito funzionalista.
La corrente federalista viene rappresentato dal movimento federalista europeo, fondato nel 1943 da
Spinelli, ispirato al modello americano; il modello confederalista non va oltre la confederazione e la
corrente funzionalista è rappresentata dall’economista rumeno David Mitrani, fu la corrente di
Alberto Presti
maggior successo. Il progetto di spinelli non ebbe molti consensi, poiché mise in discussione la
sovranità di ogni stato. Quella corrente che si distingue nel congresso, che procede per piccole
funzioni ovvero cercando di erodere la sovranità ma nel lungo periodo, attraverso una logica di
cooperazione economica, per poi approdare per un processo di unificazione, è quella dei
confederalisti e unionisti. Questo congresso del maggio 1948 termina con un appello unanime a
favore di una costituzione parlamentare, il congresso non è un istituzione europea ma l’esito sarà
rilevante, ovvero la creazione del Consiglio d’Europa. È incapace di dare esiti soddisfacenti al
processo di integrazione perché si presenta come una struttura intergovernativa, con un assemblea
con compiti solo propositivi, tuttavia l’esito è importante perché determina la creazione della Corte
dell’Aia, che vigila sui diritti fondamentali dell’uomo. Nel novembre 1950 viene varata questa
convenzione, per l’istituzione della Corte europea dell’Aia. Sempre nello stesso anno, il 9 maggio,
Robert Schuman e Jean Monnet comunica la volontà del governo francese di mettere insieme le
risorse del carbone e dell’acciaio con la Germania e con l’eventuale collaborazione di altri stati che
volessero condividere gli stessi progetti. Nel 1951 con il Trattato di Parigi viene creata la CECA con
la piccola Europa dei sei, Belgio, Francia, Italia, Repubblica Federale Tedesca (Germania dell’ovest),
Lussemburgo e Paesi Bassi. In seguito nel 1957 attraverso il Trattato di Roma, si consolida una
cooperazione economica con l’istituzione di una nuova organizzazione la CEE, e l’istituzione
dell’Euratom per una cooperazione dell’energia atomica, affinché ci possa essere un uso pacifico di
questa fonte energetica. La CEE, L’Euratom e la CECA si unificheranno con il Trattato di Maastricht
nel 1992 con l’istituzione definitiva dell’Unione Europea. Questa consolida il legame dell’Europa dei
dodici e stabilisce le norme di accesso per altri paesi che desiderano entrare nell’UE. Per di più l’UE
si prodiga per una politica estera di sicurezza, per una lotta all’immigrazione clandestina, al
terrorismo e al traffico di droga. Inoltre si istaura la cittadinanza europea che permette di votare per
le elezioni dei membri del Parlamento Europeo, fondato nel 1951. Ma una tappa fondamentale che
diventa cardine dell’unione europea sono gli accordi di Schengen, del 1993 che garantiscono la libera
circolazione delle persone e delle merci all’interno dei paesi firmatari degli accordi. Con il Trattato
di Maastricht si istaura la moneta unica, l’euro, controllata dalla BCE, banca centrale europea, e che
entrerà in circolazione nel 2002 ma non in tutti i paesi dell’unione. Le volontà di De Gasperi e di
Coudenhove Kalergi sono state perseguite.