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3 Mario Tarantino Storia dell’emogasanalisi e dell’equilibrio acido-base CAPITOLO 1 La storia dello sviluppo delle conoscenze nel campo dell’emogasanalisi e dell’equilibrio acido-base è di par- ticolare interesse, non solo per le acquisizioni accumu- latesi nel corso degli anni, come accade di norma nelle scienze biologiche e mediche, ma soprattutto perché – fatto meno frequente – sono ancora oggi in continua evoluzione gli stessi principi su cui si fonda l’interpre- tazione dei meccanismi fisiologici e fisiopatologici che regolano il pH del sangue e ne causano le alterazioni, influenzando di conseguenza, anche in misura sostan- ziale, i criteri utili alla diagnosi dei disordini acido-base. L’interesse per questa inconsueta evoluzione è suffra- gato da una nutrita letteratura specificamente dedicata all’argomento, cui rimandiamo. In questa sede vengo- no citati i protagonisti che, tra gli ultimi decenni del XIX secolo e la prima metà del XX, hanno contribuito a de- finire i moderni concetti della fisiologia dell’omeostasi del pH del sangue e i criteri interpretativi dei disordini acido-base oggi più diffusi ai fini diagnostici. I loro stu- di e le conclusioni a cui sono giunti hanno successiva- mente dato spunto ad ulteriori sviluppi e controversie che ancora attualmente si alimentano. Poco più di cento anni fa, nel 1908, Lawrence Joseph Henderson (Figura 1.1), professore di fisiologia alla Harvard Uni- versity di Boston, pubblicava la sua celebre equazione che metteva in relazione la concentrazione degli idro- genioni del sangue con il tampone bicarbonato: [H + ] = k’ [H 2 CO 3 ] / [NaHCO 3 ] (1) dando l’avvio all’utilizzo del profilo emogasanalitico, fondamento della diagnostica moderna dei disordini acido-base. Essa conserva ancora oggi la sua validità, nonostante le critiche e le nuove proposte interpretati- ve sviluppatesi proprio a partire da questa equazione. Tuttavia, i principi e i concetti che hanno permesso questa definizione della biochimica fisiologica e della fisiopatologia acido-base sono il frutto dell’importante e intenso lavoro preparatorio che numerosi studiosi sulle due sponde dell’Atlantico avevano accumulato, soprattutto nel corso del XIX secolo, ma anche nei se- coli precedenti. Rimandando all’eccellente e dettaglia- ta letteratura disponibile, qui ci limitiamo a richiamar- ne gli eventi ed i protagonisti più importanti. CO 2 , HCO 3 , riserva alcalina L’interesse per i gas del sangue si era manifestato ben presto, in seguito alle importanti scoperte di An- toine-Laurent de Lavoisier (1743-1794) sull’ossigeno, che non si limitavano alle proprietà fisiche e chimiche del gas, bensì si estendevano al significato biologico, avanzando ipotesi di interesse fisiologico sugli scambi gassosi ossigeno-anidride carbonica, sulla funzione re- spiratoria ed altresì sui processi metabolici. Figura 1.1 Lawrence Jose- ph Henderson (1878-1942).

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Mario Tarantino

Storia dell’emogasanalisi e dell’equilibrio acido-base

CAPITOLO 1

La storia dello sviluppo delle conoscenze nel campo dell’emogasanalisi e dell’equilibrio acido-base è di par-ticolare interesse, non solo per le acquisizioni accumu-latesi nel corso degli anni, come accade di norma nelle scienze biologiche e mediche, ma soprattutto perché – fatto meno frequente – sono ancora oggi in continua evoluzione gli stessi principi su cui si fonda l’interpre-tazione dei meccanismi fisiologici e fisiopatologici che regolano il pH del sangue e ne causano le alterazioni, influenzando di conseguenza, anche in misura sostan-ziale, i criteri utili alla diagnosi dei disordini acido-base.L’interesse per questa inconsueta evoluzione è suffra-gato da una nutrita letteratura specificamente dedicata all’argomento, cui rimandiamo. In questa sede vengo-no citati i protagonisti che, tra gli ultimi decenni del XIX secolo e la prima metà del XX, hanno contribuito a de-finire i moderni concetti della fisiologia dell’omeostasi del pH del sangue e i criteri interpretativi dei disordini acido-base oggi più diffusi ai fini diagnostici. I loro stu-di e le conclusioni a cui sono giunti hanno successiva-mente dato spunto ad ulteriori sviluppi e controversie che ancora attualmente si alimentano. Poco più di cento anni fa, nel 1908, Lawrence Joseph Henderson (Figura 1.1), professore di fisiologia alla Harvard Uni-versity di Boston, pubblicava la sua celebre equazione che metteva in relazione la concentrazione degli idro-genioni del sangue con il tampone bicarbonato:

[H+] = k’ [H2CO3] / [NaHCO3] (1)

dando l’avvio all’utilizzo del profilo emogasanalitico, fondamento della diagnostica moderna dei disordini acido-base. Essa conserva ancora oggi la sua validità, nonostante le critiche e le nuove proposte interpretati-ve sviluppatesi proprio a partire da questa equazione.

Tuttavia, i principi e i concetti che hanno permesso questa definizione della biochimica fisiologica e della fisiopatologia acido-base sono il frutto dell’importante e intenso lavoro preparatorio che numerosi studiosi sulle due sponde dell’Atlantico avevano accumulato, soprattutto nel corso del XIX secolo, ma anche nei se-coli precedenti. Rimandando all’eccellente e dettaglia-ta letteratura disponibile, qui ci limitiamo a richiamar-ne gli eventi ed i protagonisti più importanti.

CO2, HCO3, riserva alcalina

L’interesse per i gas del sangue si era manifestato ben presto, in seguito alle importanti scoperte di An-toine-Laurent de Lavoisier (1743-1794) sull’ossigeno, che non si limitavano alle proprietà fisiche e chimiche del gas, bensì si estendevano al significato biologico, avanzando ipotesi di interesse fisiologico sugli scambi gassosi ossigeno-anidride carbonica, sulla funzione re-spiratoria ed altresì sui processi metabolici.

Figura 1.1 Lawrence Jose-ph Henderson (1878-1942).

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Nel 1837 comparve un primo trattato sui gas del san-gue – a cura di Heinrich Gustav Magnus (1802-1870) – dove tra l’altro si affermava che la CO2 non fosse pro-dotta nei polmoni, ma in altre sedi in cui il sangue tra-sportava l’ossigeno. Vent’anni dopo, nel 1857, un altro trattato, Die Gase des Blutes – pubblicato da Julius Lothar Meyer (1830-1895) – prospettò che l’ossigeno nel sangue dovesse trovarsi non solo in forma fisica, ma in parte anche con un legame chimico. Come è facile comprendere, l’interesse per i gas del sangue era rivolto principalmente all’ossigeno, tanto che le conoscenze sul suo trasporto e sulla funzione respiratoria dell’emoglobi-na avanzarono con maggiore celerità rispetto a quelle sulla CO2. Tuttavia, una volta accertato il significato di prodotto di eliminazione in relazione col metabolismo, nonché l’importanza degli scambi con l’O2 a livello pol-monare, anche l’interesse fisiologico per la CO2 andò progressivamente affermandosi. Il quesito che per lungo tempo impegnò i ricercatori riguardava la natura delle forme in cui la CO2 fosse presente nel sangue. La diffi-coltà era dovuta soprattutto all’inadeguatezza dei mezzi d’indagine. L’esistenza della CO2 in forma libera nel san-gue rimase a lungo incerta, e fu confermata solo negli anni ’60 del secolo XIX (Gustav Heinrich Wiedemann, 1826-1899; Franz Cornelius Donders, 1818-1889), mentre solo sul finire del XIX secolo la forma combinata venne identificata come bicarbonato; al 1914 risale poi la dimostrazione della forma carbamino legata con l’e-moglobina (Christian Bohr, Figura 1.2), nonché la mag-giore affinità della forma deossigenata rispetto alla forma

ossigenata, fenomeno noto come effetto Haldane (John Scott Haldane, 1860-1936). Sempre negli stessi anni (1908) Hartog Jacob Hamburger (1859-1924) dimo-strò lo scambio del bicarbonato col cloro negli eritrociti, contribuendo così a chiarire che il trasporto della CO2 avveniva prevalentemente nelle cellule del sangue, no-nostante la prevalenza nel plasma della forma dissociata bicarbonato.Nel 1919 Carl Faurholt (1890-1972) aveva dimostrato che l’idratazione della CO2 ad acido carbonico è un processo estremamente lento: infatti, in condizioni fisiologiche, solo un millesimo della CO2 fisicamente disciolta nel plasma è nella forma idratata. Questa sco-perta interessò diversi fisiologi, ed in particolare Oscar Michael Henriques (1895-1953), perché non si spie-gava la rapida conversione della CO2 nel passaggio at-traverso i polmoni. Confrontando la cinetica della CO2 nel siero e nel lisato di emazie, Henriques dimostrò che mentre nel siero il contenuto di CO2 impiegava 1-1½ minuti per dimezzarsi, lo stesso processo nelle ema-zie impiegava meno di 5 secondi. Queste osservazio-ni diedero l’avvio agli studi che portarono in un primo tempo, nel 1930, Donald Dexter Van Slyke (Figura 1.3) ad indicare la natura catalitica della trasformazione della CO2 nelle emazie, e successivamente, nel 1932, Francis John Worsley Roughton (1899-1972) e Nor-man Urquhart Meldrum (1907-1933) ad individuarne l’enzima responsabile, l’anidrasi carbonica. Come è noto, la scoperta di questo enzima fu molto importante perché la sua presenza fu rintracciata in

Figura 1.2 Christian Bohr (1855-1911).

Figura 1.3 Donal Dexter Van Slyke (1883-1971).

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molti altri organi e tessuti, rivelandone altresì i possibi-li difetti, come ad esempio nel rene l’acidosi tubulare prossimale o Tipo 2. Nel frattempo il riconoscimento della forma combinata della CO2 come bicarbonato avviava a chiarire il signifi-cato della CO2 non solamente come prodotto del meta-bolismo, ma altresì come importante componente della difesa del pH del sangue (ancora genericamente inteso come alcalescenza). Friedrich Walter (1850-1905) nel 1877 dimostrò una stretta relazione tra acido carboni-co ed acidi non carbonici; la diminuzione della CO2 fu rilevata in diverse condizioni come l’esercizio muscola-re strenuo ed in esperimenti di carico con acidi come l’acido ossalico. Si osservava altresì che queste condi-zioni erano associate ad iperventilazione, interpretata come stimolazione dovuta a prodotti del metabolismo muscolare. Nel 1892 Julius Alfred Jaquet (1865-1937) propose il termine riserva alcalina per indicare la parte

di CO2 legata ad alcali non utilizzata nel trasporto dai tessuti ai polmoni. Il termine dominò a lungo in chimica clinica nella diagnostica acido-base, essendo l’acidosi definita come disordine caratterizzato dalla diminuzione della riserva alcalina, mentre l’alcalosi come aumento della stessa. Ciò è dovuto in parte alla più lenta evo-luzione delle tecnologie per la misura del pH del san-gue, ma è altresì dovuto al contributo di Van Slyke che, come vedremo più avanti, nei primi anni del secolo XX introdusse nella chimica clinica metodi per la deter-minazione della CO2 e dei bicarbonati che, per la loro affidabilità analitica e l’accessibilità alla routine clinica, dominarono per molti anni nella diagnostica dei disor-dini acido-base. La determinazione della CO2 totale era effettuata con metodo gasometrico mediante un appa-recchio ideato dallo stesso Van Slyke (Figura 1.4): tutte le forme combinate della CO2 erano trasformate nella forma gassosa mediante aggiunta di acido, e la CO2

Figura 1.4 Apparecchio di Van Slyke per la determinazione manometrica della CO2.

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era determinata manometricamente. Non vi era ancora un metodo per misurare direttamente la quota libera della CO2, ossia quella che indichiamo come PCO2, che veniva calcolata indirettamente dal pH e dal bi-carbonato mediante un nomogramma costruito in base all’equazione di Henderson. Questa importante caren-za analitica influenzò non poco la diagnostica dei disor-dini acido-base, in modo particolare la distinzione tra i disordini di tipo metabolico e quelli di tipo respiratorio.Tuttavia, per quanto diffuso nella routine chimica clini-ca, il procedimento analitico della riserva alcalina non era esente da difficoltà. Nella versione originale del procedimento, prima di introdurre il campione nell’ap-parato di Van Slyke per la misura gasometrica, esso doveva essere versato in un imbuto separatore, entro cui il tecnico doveva soffiare ripetutamente agitando, così da equilibrare il campione alla PCO

2 di 40 mmHg, presumendo che questa fosse la PCO2 del tecnico ope-ratore. Questa operazione preliminare era necessaria per calcolare la concentrazione del bicarbonato, sot-traendo dalla CO2 totale misurata manometricamente 1.2 mmoli, l’equivalente molare di 40 mmHg.Diverse varianti furono proposte, a seconda che si rite-nesse più corretto eseguire l’analisi a 37 °C o a tempe-ratura ambiente, alla PCO2 del paziente piuttosto che a 40 mmHg (il che imponeva la raccolta del campione in anaerobiosi sotto olio), o che si volesse infine tene-re conto solo dei tamponi plasmatici o anche di quelli cellulari, soprattutto l’emoglobina, eseguendo l’analisi nel cosiddetto plasma separato, ossia il plasma su cui operazioni come titolazioni o equilibrazioni erano fatte

dopo avere separato il plasma dalle cellule del sangue, ovvero sul plasma vero, se le stesse operazioni erano fatte sul plasma prima di separarlo dalle cellule. Riportiamo le varianti più diffuse in clinica nella Tabel-la 1.1, desunta dal trattato di Harry F. Weisberg Water, Electrolyte and Acid-Base Balance (The Williams & Wilkins Co. 1953). Nondimeno, la determinazione della riserva alcalina resistette sui banchi del laboratorio clinico per lungo tempo, progressivamente migliorata da metodi più ac-curatamente standardizzati e di più semplice esecu-zione come il metodo di dosaggio dei bicarbonati per titolazione di Van Slyke e Cullen. Chi ha prestato servi-zio nel laboratorio di chimica clinica in quegli anni ri-corda bene questo metodo che, proposto da Van Slyke e Cullen nel 1917, rimase nella routine fino alle soglie degli anni ’60 del XX secolo, mentre il termine riserva alcalina cadeva in disuso sostituito, nelle richieste che dai reparti di degenza accompagnavano il campione al laboratorio centrale, dalla sigla tout court “CO

2”.

Le teorie di chimica acido-base e la misura elettrometrica del pH

Il prevalente interesse che abbiamo visto per la CO2 ed i suoi prodotti nella fisiologia e nella patologia aci-do-base fu dovuto soprattutto all’importanza degli stu-di di Henderson e Van Slyke, cui abbiamo più sopra accennato, che avevano approfondito il significato del sistema CO2-bicarbonato nella difesa del pH dei liqui-

TABELLA 1.1 Varianti del metodo per la riserva alcalina.

‘’CO2’’ Parametri misurati Campione Tipo di plasma Equilibrazione HCO3

H2CO3 CO2d con CO2

Contenuto √ √ √ Anaerobio Vero No, risultati corretti a 37 °CCapacità √ √ √ Anaerobio Vero Sì a 40 mmHg temp. amb (20 °C)Capacità di combinazione √ Anaerobio Separato Sì a 40 mmHg con sottrazione per H2CO3 e CO2dPotere di comb √ Aerobio Separato Sì a 40 mmHg con sottrazione

per H2CO3 e CO2d

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di corporei ed avevano messo a disposizione metodi-che d’indagine accessibili alla routine clinica. Ciò non esclude che altrettanto interesse fosse rivolto più in generale anche agli altri aspetti della regolazione della neutralità nell’organismo animale, per usare i termini con cui Henderson si riferiva alla fisiologia dell’equili-brio acido-base. La maggiore lentezza nel progresso delle conoscenze può semmai essere attribuita, come vedremo, alla dif-ficoltà di adattamento delle metodiche elettrometriche – che erano sorte già negli ultimi decenni del secolo XIX – alla misura del pH nel sangue e negli altri liquidi biologici. Come è facile intuire, il progresso delle cono-scenze sulla biochimica acido-base seguì quello sulla chimica acido-base più in generale. In passato non erano mancate proposte di teorie di chimica acido-base, da de Lavoisier che aveva messo in relazione gli acidi col suo interesse per l’ossigeno (oxy- genao, generatore di acidi), estendendolo anche al campo della fisiologia respiratoria e metabolica, a Justus von Liebig (1803-1873), che nel 1838 definì gli acidi sostanze il cui contenuto di idrogeno poteva essere sostituito da un metallo. Ma nel 1887 una teoria importante e di particolare in-teresse fu proposta da Svante August Arrhenius (Figu-ra 1.5), col contributo di Wilhelm Ostwald (1853-1932) e Jacobus Henricus van’t Hoff (1852-1911). Secondo la teoria della dissociazione elettrolitica, gli elettroliti (sali, acidi, basi) in soluzione si dissociano in ioni per il solo fatto di essere in soluzione, senza la necessità, come aveva sostenuto in precedenza Michael Faraday (1791-1867), dell’intervento della corrente elettrica, che ha la sola funzione di orientare la migrazione degli ioni, quelli carichi positivamente verso il polo negati-vo o catodo (di qui il termine cationi), quelli carichi negativamente verso il polo positivo o anodo (di qui il termine anioni). Gli acidi e le basi si dissociano libe-rando rispettivamente ioni idrogeno H+ e ioni ossidrile OH–, essendo la forza dell’acido o della base misurata dall’entità della dissociazione, ossia dal rapporto tra la parte dissociata e la parte indissociata. Una misura della forza di un acido o di una base è la sua costante di dissociazione o costante di equilibrio. Un altro fatto-re importante nella dissociazione degli acidi è il grado

di dissociazione, ossia la frazione di acido che si dis-socia: questo fattore non vale tanto per gli acidi deboli bensì per gli acidi forti, che frequentemente dimostra-no importanti deviazioni nelle proprietà fisico-chimi-che, pur dissociandosi completamente, a causa delle reciproche influenze tra i numerosi ioni dissociati, co-sicché è necessario distinguere tra costante di disso-ciazione reale ed apparente, come dimostrò nel 1909 Niels Bjerrum (1879-1958). La teoria di Arrhenius ha resistito a lungo alla prova del tempo e i suoi principi rimangono validi. La sua popolarità si estese sino ad assimilare l’anione con l’acido ed il catione con la base (il cloro è un acido, il sodio è una base), e vi è ancora oggi chi è rimasto fedele a questo modo di vedere la chimica acido-base. Tuttavia la definizione di acido e di base in relazione alla composizione ionica dell’acqua limita l’applicabilità della teoria di Arrhenius-Ostwald alle soluzioni acquo-se. Nel 1923, Joannes Nicolaus Brønsted in Danimar-ca e indipendentemente Thomas Martin Lowry negli Stati Uniti (Figura 1.6) proposero una nuova teoria che estese la chimica acido-base oltre l’ambiente acquoso, definendo acido un donatore di idrogenioni – o protoni secondo le conoscenze sulla struttura atomica che in

Figura 1.5 Svante August Arrhenius (1859-1927).

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quegli anni stavano delineandosi – e base un accetto-re di idrogenioni. Questa teoria mette al centro della chimica acido-base lo ione idrogeno, e come è noto è ancora oggi il modo di vedere gli acidi e le basi più diffusamente accettato, in particolare nella biochimica fisiologica. Agli esordi, tuttavia, non mancarono diffi-coltà di comprensione: non era facile convincersi che un catione non è né un acido né una base, e che un anione non è un acido bensì una base. Benché i van-taggi di questa teoria interpretativa si affermassero ben presto, i concetti di Arrhenius non scomparirono del tutto, ed ancor oggi vi è chi non ne disdegna l’impiego. Come abbiamo detto all’inizio, la storia dell’equilibrio acido-base si caratterizza per la continua evoluzione dei principi su cui si fonda. Successivamente Gilbert Newton Lewis (1875-1946) propose una teoria interpretativa ancora più estesa, basata sulla struttura atomica, che definisce acido un accettore, e base un donatore, di una coppia di elettro-ni. Questa teoria è di particolare interesse per la chimi-ca organica, ma non ha trovato diffusione nel campo medico come quelle di Arrhenius e di Brønsted-Lowry.Sul versante analitico, la misura elettrometrica del pH, disponibile nei laboratori di chimica già negli ultimi de-cenni del secolo XIX, tardò ad affermarsi nei laboratori di chimica clinica a causa di difficoltà tecniche delle metodiche potenziometriche allora disponibili nell’ap-plicazione al sangue. I primi elettrodi per la misura degli idrogenioni furono gli elettrodi ad idrogeno, re-

alizzati nell’ultimo decennio del XIX secolo, che per i successivi trent’anni rimasero l’unico strumento per la misura potenziometrica del pH. Tuttavia questo tipo di elettrodo non era adatto per il sangue, anche se alcu-ne misure furono effettuate da diversi studiosi, tra cui Søren Peter Lauritz Sørensen. I risultati erano spesso del tutto errati perché la saturazione del campione con idrogeno – preliminare richiesto dal metodo – causava la perdita della CO

2 dal campione di sangue. Hassel-balch approntò dei cambiamenti al metodo, che ren-devano tuttavia il procedimento troppo laborioso. Il primo elettrodo a membrana di vetro fu ideato da Fritz Haber (1868-1934) nel 1909 ma non ebbe ap-plicazioni in campo fisiologico, così come avvenne per un altro elettrodo di vetro proposto nel 1925 da Phyllis Margaret Tookey Kerridge (1902-1940). La produzione industriale dell’elettrodo a membrana di vetro non ini-ziò che dopo il 1933. Metodi alternativi erano basati sugli indicatori, o su metodi indiretti di calcolo in base all’equazione di Henderson, che tuttavia divennero affidabili solo dopo che fu disponibile l’apparato di Van Slyke per la misura gasometrica della CO

2. Queste difficoltà e incertezze nella misura del pH spie-gano perché per lungo tempo le indagini sullo stato acido-base preferissero affidarsi alle misure della CO2 e della riserva alcalina, così da definire l’acidosi come diminuzione della riserva alcalina, ed alcalosi come au-mento della riserva alcalina. Non meraviglia se ancora nel 1931 Clyde Lottridge Cummer, nel suo Manual of Clinical Laboratory Methods, affermava: “Vi sono due metodi che possono essere applicati al sangue per ri-velare un’acidosi: la determinazione del contenuto di carbonati (cosiddetta riserva alcalina) e la misura della concentrazione degli idrogenoioni (pH). Quest’ultimo metodo non merita tuttavia considerazione, perché non dimostra che minime variazioni solo quando il pa-ziente è in condizioni moribonde”.

Le teorie di fisiologia acido-base

Le teorie di Arrhenius e di Brønsted-Lowry furono di certo essenziali per lo sviluppo della biochimica fisio-

Figura 1.6 Joannes Nicolaus Brønsted (1879-1947) e Thomas Martin Lowry (1874-1936).

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logica. Ma tra gli studi più importanti nei primi anni del XX secolo figurano, come abbiamo già visto, quelli di Henderson, la cui equazione ha aperto non a caso questa “storia”: rappresenta difatti ancora oggi il fon-damento della difesa del pH del sangue. Henderson indagò a lungo i suoi meccanismi e la sua regolazione nell’ambito dell’equilibrio acido-base, estendendo poi le sue ricerche anche alla funzione respiratoria e rena-le – sempre nell’equilibrio acido-base –, alla fisiologia e patologia di altri importanti elettroliti, nonché ad altri aspetti della patologia, come l’acidosi diabetica. Nel-lo studio sulla difesa omeostatica del pH, Henderson mise in evidenza la centralità della funzione tampone, che negli stessi anni era stata proposta da Søren Peter Lauritz Sørensen (1868-1939) col termine buffer, con cui sono denominati i respingenti dei vagoni ferroviari allo scopo di attutire gli urti. Come è noto, Sørensen viene ricordato anche per la proposta delle unità di mi-sura della concentrazione degli idrogenioni in termini logaritmici di pH. Henderson sottolineò l’importanza della costante di dissociazione, nonché la dipendenza della capaci-tà tampone dal rapporto tra la parte indissociata e la

Figura 1.7 Diagramma di Hender-son-Van Slyke.

parte dissociata. Dimostrò inoltre il ruolo del tampone costituito dal sistema CO2/HCO3 nel compartimento ex-tracellulare – allora ancora denominato milieu interieur sotto l’influenza di Claude Bernard –, ma anche quello dei fosfati, delle proteine, dell’emoglobina nella difesa del pH del sangue. La grandezza di questo protagoni-sta della fisiologia e della fisiopatologia dell’equilibrio acido-base è illustrata nella Figura 1.7 che riporta uno dei suoi diagrammi per la differenziazione dei disordini acido-base, e che stupisce per la sua modernità, an-ticipando le mappe diagnostiche che sarebbero com-parse in letteratura soltanto molti anni più tardi. Nel 1917 Karl Albert Hasselbalch (1874-1962) riela-borò l’equazione di Henderson in termini logaritmici, in assimilazione alle unità pH di Sørensen, indicando la costante di dissociazione con la sigla pK, immortalan-dola come equazione di Henderson-Hasselbalch. La notorietà di questo fisiologo danese non si limita tutta-via a questa rielaborazione. Infatti fu anche il primo ad eseguire misure attendibili del pH del sangue per mez-zo di un elettrodo ad idrogeno a 38 °C, e ad utilizzare queste misurazioni per definire i disordini acido-base, distinguendoli in compensati e scompensati in base al

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pH reale, ossia quello misurato nel campione senza al-cuna modificazione, che Hasselbalch denominava pH regolato, o al pH dopo equilibrazione della PCO2 a 40 mmHg, denominato pH ridotto (Figura 1.8). Non meno importante fu il contributo di Van Slyke, di cui pure abbiamo già fatto conoscenza trattando della riserva alcalina. Proprio in seguito agli studi di Hen-derson che avevano messo in luce il contributo degli elettroliti in condizioni normali e patologiche, uno dei maggiori problemi per i clinici era di non disporre di metodi semplici ed accessibili per le indagini in questo campo. Nella sua posizione di direttore del laborato-rio di chimica clinica del Rockefeller Institute, e co-noscendo gli studi di Henderson sul bicarbonato, nel 1917 Van Slyke ideò, con la collaborazione di Walter Palmer e Reginald Heber Fitz, l’apparecchio per la de-terminazione gasometrica della CO

2 e del bicarbonato che abbiamo illustrato nella Figura 1.4, metodo che, come abbiamo già sottolineato, rimase nella routine di ogni laboratorio clinico per i successivi cinquant’an-

ni, anche se nelle varianti più semplici dei metodi per titolazione che lo stesso Van Slyke allestì successiva-mente. La sua produzione scientifica gareggia per va-lore ed estensione con quella di Henderson. Contribuì allo studio dell’alcalosi, sia di tipo respiratorio che di tipo metabolico, e non meno importanti furono le sue ricerche sulla funzione dell’emoglobina ossigenata e ridotta quale tampone, e sul trasporto dell’ossigeno e della CO2. Dimostrò inoltre la differente composizione elettrolitica tra plasma ed eritrociti e approfondì il ruolo del polmone e del rene nell’equilibrio acido-base. Tra le sue pubblicazioni, di particolare interesse è il trattato Quantitative Clinical Chemistry che pubblicò nel 1931 assieme a John P. Peters (1887-1955), e che per molti anni rimase il testo di riferimento per i chimici clinici.

Progressi nelle conoscenze dei disordini acido-base

Nel corso del XIX secolo, nel campo della patologia acido-base, si erano accumulati importanti contributi. Già intorno alla metà del secolo, Henry Bence-Jones (1813-1878) aveva dimostrato variazioni dell’acidità dell’urina in relazione con i pasti, affermando che que-ste riflettono corrispondenti variazioni dell’alcalinità del sangue, regolata costantemente dell’eliminazione del-la volatile CO2 per via polmonare. Dimostrò altresì che l’acido solforico somministrato viene eliminato quanti-tativamente nell’urina, e che pazienti affetti da vomito eliminano urina alcalina.Nel corso delle epidemie di colera, purtroppo frequenti in quel tempo, William Brooke O’Shaughnessy (1809-1889) segnalava nel 1831 la pressoché completa scomparsa dell’alcali libero nel sangue di pazienti, e Thomas Aitchison Latta (1796-1833) riportava il favo-revole risultato del trattamento con sodio bicarbonato e sodio cloruro. Un altro contributo importante fu quello di Friedrich Walter che confermò il significato della CO2 quale in-dice di alcali del sangue, mettendola in relazione con gli acidi metabolici, e dimostrandone negli animali la diminuzione dopo la somministrazione di acidi, così come l’effetto correttivo dell’infusione di sodio bicar-

Figura 1.8 Nomogramma per il calcolo della PCO2 dall’equazione di Henderson.

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bonato dopo acidosi sperimentale. Infine dimostrò l’acidosi quale causa del coma diabetico, senza però identificare l’acido responsabile. Questo doveva essere individuato nell’acido β-idrossibutirrico da Oskar Min-kowski (1858-1931) e Bernhard Naunyn (1839-1925) nel 1884. L’aumento dell’acido lattico con diminuzione della CO2 e dell’alcalinità del sangue dopo esercizio muscolare strenuo fu invece dimostrato nel 1888. Successiva-mente veniva individuata la relazione tra questo acido e l’ipossia, mentre la relazione con il metabolismo ana-erobio dei carboidrati fu chiarita nel 1910. L’acidosi dell’insufficienza renale rimase a lungo irri-solta. Rudolf von Jaksch (1855-1947) l’aveva rivelata mediante titolazione del sangue con l’indicatore al tor-nasole, ma i risultati non erano affidabili. Negli anni successivi non si trova menzione di questa acidosi fino al 1914, quando Andrew Watson Sellards (1884-1941) dimostrò la diminuzione della CO2 nel sangue: poco dopo venne dimostrata una ritenzione di fosfati e solfati nel sangue. Un impulso di particolare importanza al progresso delle conoscenze della fisiopatologia dei disordini aci-do-base, ma anche più estesamente della composi-zione elettrolitica plasmatica e della regolazione dei liquidi corporei, venne dalla Pediatria. L’enterite infan-tile (cholera infantum) affliggeva pesantemente que-sta popolazione ed era temuta sia dai genitori sia dai medici, per le scarse risorse terapeutiche disponibili. L’istituzione di divisioni specialistiche di Pediatria negli ospedali europei sul finire del XIX secolo diede l’oppor-tunità di uno studio sistematico.I reperti anatomopatologici nei bambini deceduti di enterite acuta erano quasi sempre negativi. Si rite-neva che le cause della malattia fossero un’infezione intestinale o un’intossicazione, in certi casi anche un difetto genetico. Visto che un sintomo frequente nella fase acuta era un respiro che ricordava molto quello che Adolf Kussmaul aveva descritto nel coma diabe-tico, Adalbert Czerny (1863-1941), professore di Pe-diatria a Berlino, nel 1897 prospettò un’acidosi quale ipotesi eziopatogenetica. Pochi anni prima, nel 1880, l’acidosi da chetoacidi con eliminazione di acido β-id-rossibutirrico era stata dimostrata nel coma diabetico;

una eziopatogenesi analoga nell’enterite infantile era quindi un’ipotesi del tutto plausibile. Ad avvalorarla sembrò in un primo momento contribuire la dimostra-zione di un aumento dell’ammonio nell’urina dei pic-coli pazienti; tuttavia l’aumento era di modesta entità, e l’ipotesi di una perdita di alcali con la diarrea non poteva essere suffragata per la mancanza di metodi d’indagine affidabili. Benché l’ammonio urinario dimi-nuisse in seguito ad un supplemento di bicarbonato, l’ipotesi dell’acidosi rimase incerta e causò solamen-te aspre controversie per diversi anni tra le diverse scuole tedesche di Pediatria. L’iniziativa di proseguire concretamente le ricerche passò dunque alle scuole statunitensi, anch’esse interessate allo studio di que-sta patologia. Tuttavia, un problema che ostacolava le indagini era costituito dal volume del campione di sangue occor-rente per le analisi di laboratorio, che in quegli anni non era inferiore a 20-30 mL, anche per la sola glice-mia. Questi volumi potevano essere sopportati da un adulto, ma erano proibitivi ed anche pericolosi per i piccoli bambini. Fu merito di due scienziati scandinavi – lo svedese Otto Knut Olof Folin (1867-1934), l’inven-tore del metodo di analisi per la glicosuria, ed il norve-gese Ivan Christian Bang (1869-1918) – l’elaborazione di nuovi metodi che impiegavano non più di 1-2 mL di sangue. La scoperta spalancò le porte dei laboratori di Pediatria e provocò una vera e propria rivoluzione nella chimica clinica. I pediatri statunitensi interessa-ti al problema dell’enterite infantile ne approfittarono subito, in particolare John Howland (1873-1926) che aveva studiato con Czerny a Strasburgo ed era quindi al corrente dell’ipotesi dell’acidosi. Al fine di risolvere questa ipotesi e comunque il problema che affligge-va l’infanzia anche negli Stati Uniti, Howland, che di-rigeva il Dipartimento di Pediatria del Johns Hopkins Hospital di Baltimora, riuscì ad ottenere un laboratorio appositamente dedicato alla ricerca ed annesso ai re-parti di degenza, dove allievi da tutto il mondo vennero a collaborare nelle ricerche. Fu così che nel 1915 l’a-cidosi venne confermata, in base alla diminuzione del contenuto di CO

2 nell’aria alveolare e nel sangue e alla diminuzione del pH del siero, nonché venne definita l’eziopatogenesi da perdita enterica di alcali. Tuttavia

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il trattamento rivolto solamente alla correzione dell’a-cidosi con sodio bicarbonato era deludente, anche se con effetti positivi. Quando però il trattamento fu este-so alla reintegrazione della perdita di liquidi, ed alla correzione delle alterazioni elettrolitiche, in particolare il deficit di potassio immancabilmente associato, in breve tempo la mortalità dell’enterite infantile scese da oltre il 25% a meno del 5%, un vero trionfo della Pe-diatria americana. Il principale protagonista di questo importante aspetto della fisiopatologia dei liquidi corporei fu James Lauder Gamble (Figura 1.9), pediatra di Harvard che aveva

appreso i micrometodi di Folin a Boston, collaboratore di Howland a Baltimora, e infine professore di Pedia-tria al Children’s Hospital di Boston. Il suo interesse scientifico e la sua attività furono rivolti in particolare alla fisiologia ed alla patologia dell’equilibrio idrico-e-lettrolitico ed alle relazioni tra equilibrio idro-elettroliti-co ed equilibrio acido-base. Di particolare importanza fu l’introduzione dell’espressione della concentrazione degli elettroliti nei liquidi corporei in moli o in equiva-lenti o sottomultipli, anziché in grammi o sottomultipli, che metteva in evidenza la corrispondenza stechio-metrica tra gli anioni ed i cationi, e permetteva così di comprendere più razionalmente sia la regolazione fisiologica sia le alterazioni patologiche degli elettroli-ti. I suoi grafici a colonne noti come Gamblegrammi (Figura 1.10), che illustrano la composizione elettro-litica dei liquidi fisiologici sono diffusi ed adottati an-cor oggi universalmente nel mondo medico, ed il suo testo Chemical anatomy, physiology and pathology of extracellular fluid si diffuse in tutto il mondo e fu per lunghi anni un punto di riferimento per lo studio della fisiologia, della patologia e della terapia dell’equilibrio idrico-elettrolitico. L’espressione in termini molari non è solo descrittiva, bensì risponde all’esigenza chimica del rispetto dell’e-quivalenza stechiometrica: ad esempio un risultato im-portante di questa espressione fu la possibilità di mi-surare il gap anionico nella composizione elettrolitica plasmatica. I vantaggi di questa espressione furono ben presto apprezzati e la letteratura specializzata si adoperò per divulgarne l’utilizzazione, come dimostrano le vignet-te che allora comparvero su diversi giornali medici e che qui illustriamo (Figura 1.11), per vincere le resistenze di

Figura 1.11 Vignette degli anni ’50 per reclamizzare la notazione in mEq/L.Figura 1.10 Gamblegramma.

Figura 1.9 James Lauder Gamble (1883-1959).

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molti clinici abituati all’espressione in mg/100 mL: non era facile passare agevolmente dai 326.0 mg/100 mL di sodio ai 142 mEq/L, dai 60.5 vol% di CO2 ai 25 mEq/L di bicarbonato, dai 6500 mg/100 mL di proteine ai 16 mEq/L. Di non minore importanza fu la dimostrazione delle strette relazioni esistenti tra l’omeostasi elettrolitica e l’omeostasi acido-base, come le numerose influenze del potassio sull’equilibrio acido-base e del pH del san-gue sull’eliminazione renale degli elettroliti. Si deve a queste acquisizioni l’esigenza, che diventò progressivamente una regola, di affiancare il profilo elettrolitico al profilo emogasanalitico nell’indagine dia-gnostica dei disordini acido-base che, intorno agli anni ’30 del secolo scorso, fu facilitata dall’introduzione del-la fotometria a fiamma per il dosaggio del sodio e del potassio nel laboratorio clinico. Con l’intervallo della seconda guerra mondiale, si giun-se così alle soglie degli anni ’50 del XX secolo con un non trascurabile bagaglio di conoscenze della fisiologia acido-base, mentre le difficoltà tecniche della misu-ra del pH, che limitavano la diagnostica dei disordini acido-base nella pratica clinica alle modificazioni della riserva alcalina, lasciavano ancora confusa la distinzio-ne tra i disordini di tipo metabolico e quelli di tipo re-spiratorio. Come abbiamo visto più sopra, l’acidosi era definita come la diminuzione della riserva alcalina, l’al-calosi come l’aumento della riserva alcalina – espres-sioni che oggi sappiamo essere riferite ai disordini di tipo metabolico –, mentre rimaneva indistinta la ca-ratterizzazione dei disordini di tipo respiratorio, anche se era noto che pure questi erano causa di alterazioni dell’equilibrio acido-base.Sempre negli stessi anni un ulteriore importante im-pulso al progresso delle conoscenze sull’equilibrio acido-base ed i suoi disordini venne dalla scuola di Robert Franklin Pitts (Figura 1.12) in relazione ai mec-canismi con cui il rene contribuisce alla regolazione dell’omeostasi acido-base. Negli anni precedenti tre ipotesi erano state proposte sul meccanismo dell’aci-dificazione dell’urina: una da Henderson, una da Van Slyke, J. Sendroy e S. Seelig, la terza infine da H. Smi-th ma senza supporto sperimentale. La prima e più po-polare ipotesi del riassorbimento del fosfato sosteneva che due forme di fosfato erano filtrate, la monobasica

NaH2PO4 e la dibasica Na2HPO4, ma mentre la mono-

basica era eliminata, la dibasica era riassorbita. La seconda ipotesi individuava invece come responsa-bile dell’acidificazione dell’urina l’acido carbonico, che è completamente impermeabile al nefrone tubulare e può quindi essere eliminato in grande quantità. La terza ipotesi sosteneva che gli idrogenoioni sono se-creti in scambio con il sodio nel lume tubulare, dove convertono il fosfato monoidrato in diidrato. Mentre le prime due ipotesi dipendono dal filtrato glo-merulare, la terza prospettava un meccanismo tubu-lare che dipende soltanto dalla quantità di acido che i tubuli secernono. Quale fonte degli idrogenoioni nelle cellule tubulari si postulava l’acido carbonico, formato dall’idratazione della CO

2 catalizzata dall’anidrasi car-bonica. Pitts confermò questa terza ipotesi, dimostran-do che l’acido filtrato non era sufficiente a rendere conto della quantità considerevolmente più elevata di acido eliminato, ed evidenziando l’origine tubulare de-gli idrogenioni mediante l’inibizione dell’acidificazione con sulfanilamide, un inibitore dell’anidrasi carbonica. La scuola di Pitts fece inoltre luce sul riassorbimento del bicarbonato, dimostrandone la soglia a 24 mEq/L, al di sotto della quale il riassorbimento del bicarbonato è completo, mentre al di sopra il riassorbimento è pro-porzionale al bicarbonato plasmatico fino ad un valore massimale, e mostrando che questo valore massimale è indipendente dal filtrato glomerulare.Questi studi costituirono la premessa alla moderna con-cezione della fisiologia della regolazione renale dell’e-

Figura 1.12 Robert Fran-klin Pitts (1908- 1977)

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quilibrio acido-base, aprendo la strada alle indagini che porteranno all’identificazione dei trasportatori degli idro-genioni e degli altri elettroliti lungo il nefrone, alla loro identificazione molecolare ed alla loro regolazione.Nello stesso periodo altre scoperte sulla funzione re-nale ebbero notevoli risvolti sull’equilibrio acido-base. È del 1952 la scoperta dell’aldosterone, l’ormone cor-ticosurrenale essenziale nella regolazione dei più im-portanti elettroliti, tra cui lo ione idrogeno. È del 1955 la scoperta del significato funzionale dell’ansa di Henle – precedentemente pressoché sconosciuto – con la di-mostrazione di Wirz, Hargitay e Kuhn, tre fisico-chimici di Zurigo, del meccanismo di concentrazione dell’uri-na in controcorrente, fondamentale, come è noto, per l’eliminazione dell’ammonio nel tubulo collettore.

L’esperienza danese: Poul Biørndahal Astrup, Ole Siggaard-Andersen

Tuttavia, anche indipendentemente dal progresso in campo nefrologico, i primi anni ’50 furono di impor-tanza fondamentale per l’evoluzione delle conoscenze sull’equilibrio acido-base, sia nei suoi aspetti biochi-mici e fisiologici sia in quelli fisiopatologici e clinici. Purtroppo la fonte essenziale per questa evoluzione fu l'epidemia di poliomielite che scoppiò a Copenaghen nel 1952 e che provocava con grande frequenza para-lisi bulbare e conseguente paralisi respiratoria (Figura 1.13). Una alterazione importante era l'aumento del bicarbonato plasmatico che, da consuetudine, come abbiamo accennato precedentemente, era interpreta-to come indice di un’alcalosi di eziologia sconosciuta. Tuttavia Bjørn Aage Ibsen (Figura 1.14) e Poul Biørn-dahal Astrup (Figura 1.15), rispettivamente direttore dell’Anestesiologia e direttore del Laboratorio dell’O-spedale di Copenhaghen, prospettando che questo aumento fosse invece manifestazione di una ritenzione di CO

2, ricorsero alla determinazione del pH del san-gue, la cui diminuzione confermò l’ipotesi di acidosi respiratoria, avviando poi tempestivamente il tratta-mento mediante tracheotomia e ventilazione manuale in pressione positiva, così da ottenere in breve tempo

la scomparsa dell’alcalosi. Questa esperienza danese segnò l’istituzione della terapia intensiva nei nosocomi ospedalieri, e decretò la transizione dell’emogasanalisi dalla ricerca alla routine chimico-clinica, dove mise in evidenza i limiti della sola determinazione della riserva alcalina nella diagnosi dei disordini acido-base, come del resto rivelavano le molteplici varianti che di quest’a-nalisi venivano via via proposte (Tabella 1.1), anche se con significato diagnostico pressoché sovrapponibile,

Figura 1.13 L’assistenza ad un piccolo ricoverato durante l’epide-mia di poliomielite a Copenaghen nel 1952, da parte di uno stu-dente in medicina.

Figura 1.14 Bjørn Aage Ibsen (1915-2007).

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dando l’avvio alla ricerca di criteri diagnostici più sicuri ed affidabili, e stimolando nel contempo l’elaborazione di nuovi mezzi d’indagine. Come abbiamo accennato all’inizio del Capitolo, que-sta ricerca continua tuttora; ognuno dei criteri proposti non ha resistito alla prova del tempo senza critiche e controversie, col risultato tuttavia positivo del conti-nuo affinamento e perfezionamento degli strumenti e dell’evoluzione delle conoscenze. Emergeva l’esigenza di una misura affidabile del pH del sangue per non confondere un’acidosi con un’al-calosi, e ancora maggiormente l’esigenza di indivi-duare, tra i parametri chimico-clinici acido-base, una componente capace di esprimere specificamente le alterazioni respiratorie (componente respiratoria), e una componente altrettanto specifica delle alterazio-ni di tipo metabolico (componente metabolica), al fine di distinguere con affidabilità diagnostica i disordini di tipo respiratorio dai disordini di tipo metabolico. La componente respiratoria era individuabile nella PCO

2, che però fino ad allora si poteva ottenere solo per via indiretta mediante il calcolo dall’equazione di Hen-derson-Hasselbalch, in base al pH e al bicarbonato. La componente metabolica era stata individuata in un primo tempo nel bicarbonato plasmatico, ma ben presto ci si accorse come l’interscambiabilità tra PCO2 ed HCO3 limitasse assai questa attribuzione, come del resto l’esperienza di Copenaghen aveva drasticamente messo in rilievo.

Figura 1.15 Poul Biørnd-ahal Astrup (1915-2000).

Al momento dell’epidemia di polio, la determinazione del pH del sangue era eseguita raramente in clinica, sia per difficoltà tecniche sia perché considerata di scarso interesse clinico. La determinazione della PCO2 era possibile solo per via indiretta. Come abbiamo già detto, l’interpretazione diagnostica dei disordini aci-do-base riposava in pratica unicamente sulla riserva alcalina, o CO2 totale misurata con l’apparato di Van Slyke. Alcuni progressi di importanza fondamentale, sia sul versante analitico-strumentale, sia su quello clinico-in-terpretativo, vennero dai protagonisti dell’esperienza danese già durante l’epidemia e negli anni immedia-tamente seguenti. Innanzitutto, per merito di Astrup e dei suoi allievi, O. Siggaard-Andersen (Figura 1.16), K. Engel (1932), K. E. Jørgensen (1925), G. Kokholm (1931), la misura elettrometrica del pH del sangue venne perfezionata e resa accessibile alla routine anche pediatrica mediante la costruzione di elettrodi capillari cui era sufficiente un campione di 25 μL di sangue (Figura 1.17). Inoltre, Astrup dimostrò la rela-zione lineare tra pH e log PCO

2 (Figura 1.18) cosicché, misurando il pH nel campione come tale e dopo equi-librazione a due valori noti di PCO2, era possibile rica-vare per interpolazione la PCO2 del campione in esame dal grafico pH/log PCO2. Infine, elaborò un’importante modificazione nella valutazione del bicarbonato, pro-ponendo il bicarbonato standard, che a lungo fu consi-derato il migliore indice della componente metabolica. Tutti questi progressi tecnico-analitici e interpretativi furono compendiati in un’apparecchiatura che ai tem-pi apparve avveniristica, e che precedette le moderne

Figura 1.16 Ole Siggaard- Andersen (1932).

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apparecchiature emogasanalitiche. L’apparecchiatura, contraddistinta come metodo ad equilibrazione, com-prendeva un elettrodo capillare a membrana di vetro termostatato a 37 °C assieme ad un elettrodo di riferi-mento per la misura del pH del sangue in un campio-ne di 25 μL, ed un microtonometro composto da due piccole camere di vetro collegate con due bombole di gas CO2 a diversa e nota PCO2, dove una goccia del campione di sangue veniva sottoposta a vibrazione di-stribuendosi in un film sulla superficie della camera ed equilibrandosi rapidamente alla PCO2 specifica. Il tutto era accomodato su di un carrello di modeste dimen-sioni facile da spostare per i corridoi e le camere dei reparti ospedalieri di degenza. I dati ricavati si ottene-vano da appositi grafici.Ma alla scuola danese si deve un contributo analitico ancora più importante, anche se in collaborazione con ricercatori statunitensi. Nel 1954, Richard Stow (1916), professore di Physical Medicine all’Università dell’Ohio US, aveva pubblicato il progetto di un elettrodo per la misura della PCO2 – in realtà un elettrodo di pH a membrana di vetro, sepa-rato dal campione per mezzo di una membrana selet-tivamente permeabile alla CO2, e da un film di acqua – che non fu ulteriormente sviluppato, perché risultò troppo instabile e troppo poco sensibile. Il progetto fu ripreso da John Wendell Severinghaus (Figura 1.19) al National Institutes of Health di Bethesda che, oltre ad importanti modificazioni tra cui la scelta della mem-brana ed il circuito di termostatazione, sostituì all’ac-qua distillata una soluzione tampone di bicarbonato in

Figura 1.17 Apparecchio di Astrup per l’emogasanalisi col metodo ad equilibrazione.

Figura 1.18 Diagramma pH/log.Figura 1.19 John Wendell Severinghaus (1922).

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17Capitolo 1 - Storia dell’emogasanalisi e dell’equilibrio acido-base

sodio cloruro. Questa soluzione non solo stabilizzava la misura della PCO2, ma ne aumentava la sensibilità as-sicurando la linearità tra 5 e 700 mmHg. L’elettrodo di PCO2 era così realizzato, incontrando immediatamen-te l’interesse diffuso in tutto il mondo. Di lì a poco, nel 1958, Severinghaus, in collaborazione con Astrup ed altri ricercatori danesi ed americani, assemblarono un elettrodo di pH con l’elettrodo di PCO2, ed aggiungen-dovi un elettrodo per la pO2 nel frattempo realizzato da Leland Clark (1918-2005), ed una cuvette termostata e munita di agitatore, realizzavano il primo emogasa-nalizzatore moderno, inaugurando così l’attuale dia-gnostica di laboratorio dei disordini acido-base. Un contributo altrettanto importante della scuola da-nese riguardante la componente metabolica fu prodot-to da Siggaard-Andersen che, mediante la titolazione del sangue intiero con diversi acidi, basi e CO2, otten-ne una misura delle basi totali (buffer base BB) del sangue, che egli espresse in termini relativi, ponendo il valore medio di 48 mEq/L = 0, col termine di base excess (BE) (Figura 1.20). Questo indicatore della componente metabolica era di grande utilità perché, almeno in vitro, consentiva un’af-fidabile distinzione tra i disordini di tipo metabolico e

quelli di tipo respiratorio. Come è noto, infatti, poiché BE è la misura complessiva del tampone bicarbonato e dei tamponi non-bicarbonato, le sue variazioni nei disordini di tipo metabolico si distinguono da quelle nei disordini di tipo respiratorio perché entrambe le cate-gorie di tamponi sono coinvolte nella stessa direzione: pertanto BE diminuisce nell’acidosi metabolica ed au-menta nell’alcalosi metabolica. Invece, nei disordini di tipo respiratorio, BE non varia, perché le modificazioni del tampone bicarbonato sono stechiometricamente in direzione opposta a quelle dei tamponi non-bicarbonato. La possibilità di escludere l’una o l’altra categoria di disordini acido-base era par-ticolarmente utile per la differenziazione dei disordini misti, che nel frattempo, con l’affinarsi dei metodi d’in-dagine, erano emersi nella diagnostica clinica. È a tutti nota l’importanza di questi progressi metodologici e strumentali, che contribuirono in misura determinante alla moderna diagnostica acido-base, e che conserva-no tuttora la loro validità.

La scuola di Boston e i “limiti di compenso in vivo”

Tuttavia il BE quale componente metabolica non ha resistito alla prova del tempo. Nel 1963 William Benjamin Schwartz (1922-2009) ed Arnold Seymour Relman (Figura 1.21) del dipartimen-to di Nefrologia del Tufts Hospital di Boston pubblica-

Figura 1.21 Arnold Seymour Relman (1923-2014).

Figura 1.20 Nomogramma di Siggaard-Andersen per il calcolo del BE.

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rono una critica del BE, sostenendo che questo indice è soggetto comunque a variazioni indipendentemente dalla causa acido-base, in quanto i suoi componenti, in particolare il bicarbonato, non rimangono confinati nel settore vascolare, ma si distribuiscono in tutto lo spazio extracellulare, interstiziale compreso.Una variazione del BE non può essere quindi inter-pretata quale specifica conseguenza di un’alterazione acido-base; in particolare anche nei disordini di tipo respiratorio il BE non rimane invariato, bensì varia a seconda dei movimenti del HCO3. In breve, il BE è va-lido in vitro, ma non in vivo.Queste critiche della scuola di Boston provocarono un’intensa controversia tra i ricercatori danesi e quelli statunitensi, che si manifestò con un nutrito scambio di pubblicazioni sul giornale “Anesthesiology” tra il 1965 ed il 1966 che rimane nella storia della lette-ratura medica col titolo Great transatlantic acid-base debate, e che tuttavia non fece cambiare opinione né all’uno né all’altro dei contendenti. I ricercatori danesi apportarono in realtà delle corre-zioni modificando il BE in modo da tenere conto dello spazio di distribuzione extracellulare, e denominando questo nuovo indice standard base excess SBE, indice che ancora oggi è corredo dei software dei più moderni emogasanalizzatori. Per contro, i ricercatori di Boston avviarono studi alla ricerca di indicatori validi in vivo. Così, sia sperimen-tando su animali sia esaminando ampie casistiche di disordini acido-base sicuramente non complicati da forme miste, indagarono, per ognuno dei quattro di-sordini acido-base fondamentali – acidosi ed alcalosi di tipo respiratorio, acidosi ed alcalosi di tipo meta-bolico –, le relazioni tra il parametro emogasanalitico responsabile del disordine e il parametro responsabile del compenso. Trovarono che queste relazioni non solo sussistono, ma altresì sono prevedibili con un’alta pro-babilità, così da consentire di formulare, per ognuno dei disordini acido-base semplici, gli indici noti come “limiti di compenso in vivo”. Da oltre cinquant’anni questi indici diagnostici resi-stono alla prova del tempo e sono di valido ausilio in clinica nella differenziazione dei disordini acido-base semplici e misti.

Peter Stewart e le variabili indipendenti

Tuttavia, come abbiamo detto all’inizio del Capitolo, la storia dell’emogasanalisi non si ferma qui. È a tutti nota l’analisi critica che Peter Arthur Robert Stewart (Figura 1.22) fece nel 1983 contrapponendosi ai principi su cui si fonda la biochimica fisiologica acido-base tra-dizionale. Stewart non pretendeva di approntare una nuova teoria, bensì proponeva una revisione della bio-chimica fisiologica acido-base aderente ai principi di fisica-chimica. Secondo questo modo di vedere, solo le variabili indi-pendenti sono determinanti dell’equilibrio acido-base, e solo le alterazioni di queste variabili possono causare i disordini acido-base. Le variabili indipendenti sono: la PCO

2, la Differenza tra gli Ioni Forti (strong ion dif-ference, SID), gli Elettroliti Deboli del Plasma Atot, in pratica le proteine ed i fosfati inorganici plasmatici; il pH del sangue, o [H+], ed il bicarbonato sono variabili dipendenti, e come tali non possono determinare al-cunché nell’equilibrio acido-base e nella sua patologia. Quest’ultima affermazione colpì molto l’“opinione pub-blica” della classe medica, in particolare gli intensivisti, che parlarono di una “rivoluzione copernicana”. Tra le variabili indipendenti, il maggiore interesse fu rivolto ovviamente alla SID, che nelle precedenti teo-rie interpretative non risaltava in primo piano, facendo così puntare i riflettori sul gamblegramma plasmatico,

Figura 1.22 Peter Arthur Robert Stewart (1921-1993).

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19Capitolo 1 - Storia dell’emogasanalisi e dell’equilibrio acido-base

in particolare sui suoi principali componenti, il sodio ed il cloro. Poiché, a parità di altre condizioni, la diminuzione della SID è causa di acidosi, e l’aumento della SID causa alcalosi, si è insinuata la tendenza ad assimilare gli anioni (cloro) agli acidi ed i cationi (sodio) alle basi, ritornando quindi alla teoria di Arrhenius. A parte queste discutibili interpretazioni, un indubbio progresso della teoria di Stewart riguarda la maggio-re attenzione rivolta agli anioni residui, più noti come anion gap (AG) le cui variazioni, come è noto, hanno importanza nella diagnostica delle acidosi di tipo me-tabolico. L’analisi più accurata che la teoria di Stewart impone di questo spazio non misurato, ma solo calco-lato indirettamente, ha messo in luce l’importanza di componenti già note – e in precedenza trascurate –, come le proteine plasmatiche, in particolare l’albumi-na. Alcuni collaboratori di Stewart che ne hanno svi-luppato la teoria interpretativa, hanno proposto la de-terminazione diretta dei principali anioni non misurati presenti fisiologicamente nel plasma, ossia il bicarbo-nato, l’albumina, ed i fosfati inorganici, denominando questo complesso Differenza Ionica Effettiva, SIDeff, così da consentire una più precisa ed accurata valuta-zione indiretta degli eventuali anioni residui patologici, denominati strong ion gap. Come si vede, dunque, la storia continua. Nonostante le critiche, le controversie, le diatribe, ogni volta che qualche nuova conoscenza di fisiologia o di fisiopato-logia si aggiunge, migliorano i criteri di interpretazio-ne diagnostica dei disordini acido-base e si affinano e si perfezionano i metodi o gli strumenti d’indagine. Perciò la storia dell’emogasanalisi e dell’equilibrio aci-do-base è così affascinante.

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