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Storia della Ursus Gomma (1931-1987) di Antonio Savini

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Storia della Ursus Gomma

(1931-1987)

di

Antonio Savini

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INDICE

p. 5 La nascita e il Fascismo (1931-1939)

p. 35 La Guerra e la caduta del Fascismo (1940-1945)

p. 49 Il Dopoguerra e la Ricostruzione (1945-1953)

p. 77 Tra crisi e Miracolo economico (1954-1968)

p. 99 Il declino e il fallimento (1969-1987)

p. 114 Elenco abbreviazioni

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La nascita e il Fascismo (1931-1939)

1) Introduzione

La Ursus Gomma nacque agli inizi degli anni ’30 in un contesto storico ed economico unico ed

irripetibile per opera di tre importanti imprenditori vigevanesi: Pietro Bertolini (1887-1954), Pietro

Magnoni (1872-1941) e Rinaldo Masseroni (1891-1957)1. L’impresa fin dalla fondazione operò

principalmente nel settore delle calzature in gomma e della produzione di articoli tecnici in gomma.

Per comprendere le ragioni che resero possibile la nascita e il successo della Ursus Gomma è

indispensabile fare alcune riflessioni sulla congiuntura economica e sullo stato del settore gomma

negli anni ’30. Studiare l’ambiente economico in cui un’impresa nasce e si sviluppa è fondamentale

per mettere in luce l’insieme di vincoli ed opportunità esterne con cui gli industriali si devono

confrontare e che sono variabili fondamentali delle decisioni imprenditoriali.

2) L’Italia e Vigevano negli anni ‘30

Gli anni 1931-32 furono, in Italia e a Vigevano, il periodo più duro della crisi economica iniziata

nel 1929 negli Stati Uniti e poi diffusasi su scala mondiale2.

L’impatto della recessione fu molto forte anche nel nostro paese e creò una serie di effetti a catena

che rischiarono di travolgere completamente l’economica nazionale e costrinsero le autorità di

politica economica a provvedimenti di natura straordinaria impensabili fino a qualche anno prima.

Il primo effetto della crisi del ’29 fu la brusca interruzione del flusso di capitali statunitensi che, nel

corso degli anni ’20, aveva finanziato una parte importante della modernizzazione della nostra

industria, accompagnata da richieste di rimborso3. Molte grandi imprese si trovarono

improvvisamente a corto di liquidità. La sostanziala situaziona di insolvenza della grande industria

si trasferì velocemente alle principali banche nazionali portandole alla bancarotta e impedendo

1 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 1. 2 Castronovo V., La storia economica, p. 294, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. 3 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 189.

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l’erogazione di nuovi ed indispensabili prestiti. Intanto, la caduta della domanda internazionale

ridusse drasticamente le esportazioni che si contrassero di quasi la metà tra il 1929 e il 1932, mentre

la riduzione dell’attività produttiva creava ampi fenomeni di disoccupazione e di sottoccupazione,

perché gran parte delle fabbriche lavoravano ad orario ridotto4. La situazione fu ulteriormente

aggravata dal sostanziale blocco dei flussi migratori causato dalle politiche di contenimento degli

arrivi attuato dagli Stati Uniti e da altri paesi. Il risultato fu la formazione di un notevole surplus di

manodopera agricola ed industriale che non riusciva a trovare occupazione e che favoriva la

riduzione delle retribuzioni: l’indice dei salari nominali dell’industria si abbassò, a sua volta, fra il 1928 e il 1937 da 528 a 418. Dal 1932 in avanti, sino alla caduta del fascismo, il saggio medio delle retribuzioni reali, nonostante i miglioramenti salariali intervenuti dopo il 1936-37, non riuscì a raggiungere in alcun modo il livello del 1921-22, ad assicurare cioè alla classe lavoratrice lo stesso potere di conquistato prima dell’avvento del regime5.

Ovviamente, la riduzione dei salari ebbe come effetto una caduta ulteriore della domanda di beni,

che si sommava alla riduzione delle esportazioni e aggravava ulteriormente la situazione delle

imprese. A sua volta le imprese che producevano beni di consumo riducevano l’attività e

investimenti aumentando la disoccupazione e trasmettendo le difficoltà economiche anche a quelle

industrie che producevano beni d’investimento.

Nel 1931-32 la crisi aveva portato al completo sfacelo l’intero sistema economico costruito nel

corso degli anni ’20. Proprio nel momento peggiore della recessione cominciarono mobilitarsi

nuove forze economiche che riuscirono a salvare l’economica nazionale dalla bancarotta. Ma la

ripresa non fu il risultato di un semplice risanamento finanziario, implicò anche la costruzione di un

nuovo contesto istituzionale e di una nuova politica economica.

In estrema sintesi la ripresa si basò su tre pilastri fondamentali:

1) salvataggio pubblico della grande impresa e del sistema bancario e forte dirigismo statale;

2) riorganizzazione del sistema bancario;

3) chiusura del mercato interno rispetto agli scambi con l’estero e ricerca del massimo grado di

autosufficienza possibile.

Il salvataggio della grande impresa e del sistema bancario venne portato avanti con la

nazionalizzazione delle principali banche nazionali, che vennero liberate di tutte la passività

attraverso l’attribuzione di queste a un apposito istituto, l’I.R.I., fondato nel 19336.

Il settore bancario venne riorganizzato in modo radicale abolendo il precedente sistema della banca

mista in cui gli istituti di credito ordinari si occupavano anche di credito industriale a lungo termine.

4 Ibidem, p. 190. 5 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 295. 6 Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. IX, p. 277

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Con il nuovo ordinamento, fortemente voluto da Beneduce7 ed ufficializzato dalla legge bancaria

del 1936, le banche si dovevano limitare solo al credito ordinario e alla raccolta del risparmio,

mentre il credito industriale veniva riservato ad opportuni istituti di mediocredito8.

Tabella 1.1 – Commercio estero italiano negli anni ‘309 importazioni esportazioni

Anni Milioni di lire correnti Valori ass. Perc. Delle esportazioni

sulle importazioni

1929 21303 14767 -6538 69,3 1930 17347 12119 -5228 69,9 1931 11643 10210 -1433 87,7 1932 8268 6812 -1456 82,4 1933 7432 5991 -1441 80,6 1934 7675 5224 -2451 68,1 1935 7790 5238 -2552 67,2 1936 6039 5542 -497 91,8 1937 13943 10444 -3499 74,9 1938 11273 10497 -776 93,1 1939 10309 10823 +514 105 1940 13320 11519 -1801 87,1

Infine, lo stato reagì al crollo del mercato internazionale adottando provvedimenti di controllo e

riduzione degli scambi con l’estero ispirati a principi simili a quelli adottati da altri paesi

industrializzati. Le specificità italiane in questo processo di chiusura verso l’esterno vanno ricercate

nella forte propaganda fascista, che scandì ogni passaggio con il lancio di nuove battaglie

autarchiche, e con la povertà di risorse dell’area di scambio italiana.

Le politiche autarchiche italiane portarono ad una forte riduzione degli scambi con l’estero come

evidenziato in tabella 1.1. Come si nota, la riduzione degli scambi con l’estero non riuscì, né

poteva, eliminare il deficit della bilancia italiana. La riduzione degli scambi, però, creò una

situazione estremamente favorevole per quelle imprese che producevano beni sostitutivi delle

importazioni; il regime fascista le incoraggiò in tutti i modi e cercò di controllarle con la sua

politica dirigistica dell’economia.

7 De Cecco M., Splendore e declino del sistema Beneduce: note sulla struttura finanziaria e industriale dell’Italia dagli anni venti fino agli anni sessanta, in a cura di di Barca F., Storia del Capitalismo Italiano dal Dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 1997, p. 394. 8 Castronovo V La storia economica, p. 301, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. 9 La tabella è tratta da Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. IX, p. 264 per gli anni 1929-1935 e da da Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1984, vol. X, p. 107 per gli anni 1936-1940.

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La crisi economica del ’29 ebbe un forte impatto anche sull’economia vigevanese colpendo

fortemente sia il settore tessile che il settore calzaturiero.

Il primo stava già attraversando un periodo di crisi iniziato nel 1927 con la rivalutazione della lira a

quota 90 decisa da Mussolini10, che se favorì l’afflusso di capitali dall’estero colpì fortemente le

industrie esportatrici, tra cui primeggiava il settore tessile11. La crisi del ’29 riducendo fortemente

anche la domanda interna non fece altro che aggravare una situazione già difficile.

Ancora più grave l’impatto della crisi nel settore calzaturiero, che già all’epoca era il principale

settore industriale della città sia per numero di occupati che per numero di unità produttive. La

caduta della domanda di scarpe, la crisi finanziaria e la carenza di credito si abbatterono sul settore

costringendo alla chiusura numerose fabbriche.

La crisi suscitò forti preoccupazioni in città e un vivace dibattito sulla stampa locale sulle cause e

sui possibili rimedi alle difficoltà economiche. Il tenore della discussione può essere reso da alcuni

stralci di un articolo del 1931, significativamente intitolato Avvoltoi nell’industria delle calzature,

in cui l’autore osservava come:

Il rischio dell’industriale oggi è enorme. Per lavorare e per affrontare la concorrenza, egli deve ribassare i prezzi di vendita della merce. In cambio si vede costretto ad andare incontro a rinnovi cambiali, tratte insolute in tutto o in parte; deve perciò portare un contributo finanziario, dopo aver fornito di merce il cliente. Costui poi paga, dopo innumerevoli dilazioni, dopo numerosi rinnovi o richieste di concorsi in pagamenti. Perché il cliente non paga? Per la mancata vendita, perché non può incassare12.

Una situazione simile favoriva la speculazione di usurai e di intermediari che approfittavano delle

difficoltà di produttori e distributori al dettaglio comprando merci sottocosto e rivendendole, oppure

prestando somme di denaro a tassi d’interesse esorbitanti.

Gli industriali, tranne i più grandi che avevano ampie risorse proprie e potevano accedere a quel

poco credito che le banche riuscivano ancora a fare, si trovavano in una situazione difficilissima. Da

un lato erano rovinati dalla deflazione che riduceva continuamente il valore delle merci che

producevano, mentre dall’altro i lunghi tempi di attesa per realizzare le vendite potevano essere

superate solo grazie a mezzi finanziari che la maggior parte degli imprenditori non aveva. La

stampa locale era pienamente consapevole delle difficoltà finanziarie in cui si dibatteva il settore e

osservava come:

[…] se da noi si vende troppo a buon mercato non è da farsi colpa a Tizio o a Caio perché portano l’acquirente dal fabbricante che stretto dal bisogno di fine mese o da altri impegni venderà la merce a 20 quando sa che a costi strettamente fatti costa 22. La causa va ricercata in un difetto di origine della nostra industria: la mancanza di capitali13.

10 Romeo G., Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961, pp. 150-152. 11 Ibidem, p. 112. 12 Il Corriere di Vigevano, anno XXIV, n. 7 del 15 febbraio 1931. 13 Ibidem, n. 15 del 26 aprile 1931.

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Per altro le vendite al ribasso acceleravano il processo di deflazione dei prezzi della calzature e

finivano per costringere a vendere sottocosto anche quegli imprenditori che disponevano di mezzi

finanziari, ma che comunque non potevano permettersi di perdere quote di mercato proprio durante

una crisi così grave. Dato che gli imprenditori dotati di una buona disponibilità di capitali erano

solitamente quelli più grandi e con gli impianti produttivi più moderni ed avanzati, il settore

calzaturiero di Vigevano correva un serio rischio di regresso industriale indotto dalla deflazione dei

prezzi. La congiuntura economica paradossalmente svantaggiava le imprese più moderne ed era

vista con grande preoccupazione, infatti si sottolineava come:

Qualsiasi richiesta di calzature a buon mercato, per acrobatica che sia, viene soddisfatta. […] I calzaturifici meglio attrezzati ed organizzati sembrano relegati agli ultimi posti nella scala della concorrenza, che invece segna fra i primi, calzaturifici di nessuna importanza e privi di organizzazione14.

La situazione era evidentemente insostenibile e portò rapidamente a numerosi fallimenti, alla

concentrazione industriale e al ristagno della produzione quando non addirittura alla diminuzione.

Qualche statistica è raccolta nella tabella 1.2 riporta i dati sull’andamento aggregato del settore

delle calzature in cuoio vigevanese durante la crisi del ’29 e negli anni appena successivi.

Tabella 1.2 – Andamento del settore della calzature di cuoio durante la crisi del ‘2915 anno N. fabbriche Produzione in migliaia di paia 1929 250 7250 1930 237 7345 1931 218 7736 1932 190 6680 1933 185 8125 1934 192 8627 1935 192 9060

I dati evidenziano come tra il 1929 e il 1932, anno di culmine della crisi, chiuse più di un quinto

delle fabbriche cittadine, mentre il numero di paia prodotto prima ristagnò e poi si ridusse

fortemente nel 1932. Solo a partire dal 1933 il settore delle calzature in cuoio ricominciò riprendersi

non solo in termini di produzione, ma anche di nascita di nuove imprese. Alla ripresa dell’economia

cittadina contribuirono sia la generale ripresa dell’economia nazionale che alcune iniziative locali.

Proprio nel momento più grave della crisi, venne fondata l’Associazione pro Vigevano che si

proponeva il rilanciare l’immagine e l’industria locale. La prima importante iniziativa presa dalla

14 Ibidem, numero del 19 aprile 1931. 15 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire da Il Popolo di Vigevano, supplemento de IlPopolo di Pavia, anno II, numero 41 del 17 ottobre 1935, p. 2.

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neonata associazione fu l’organizzazione della I Settimana Vigevanese16. Fin dalla sua prima

edizione questa manifestazione fu sostanzialmente una fiera dell’industria locale che prevedeva

gare sportive e altri eventi soprattutto per attirare visitatori in città. Tra le numerose ditte espositrici

si faceva notare la Ursus Cuoio, impresa calzaturiera specializzata nella produzione di calzature in

cuoio controllata da due dei più importanti industriali locali, Bertolini Pietro e Magnoni Pietro17,

che da lì a breve saranno tra i fondatori della Ursus Gomma.

3) L’intuizione imprenditoriale della Ursus Gomma

La Ursus Gomma nacque come impresa produttrice di calzature in gomma proprio durante i

momenti più duri della crisi economica italiana e in un certo senso ne è figlia.

La scelta imprenditoriale di fondare l’azienda venne presa nel corso del 1931 da tre importanti

imprenditori locali: Pietro Bertolini, Magnoni Pietro e Rinaldo Masseroni.

La scelta di operare nel settore calzature in gomma appariva decisamente innovativa per l’epoca

perché non esisteva ancora un’industria di massa di calzature in gomma vulcanizzata; o meglio

stava proprio nascendo in quegli anni. A favorire la nascita di questa nuova branca industriale

concorrevano numerosi elementi, primo fra tutti la fresca comparsa sul mercato di tecnologie e

macchinari indispensabili per la produzione in massa a basso costo. Un secondo elemento da non

dimenticare è che, all’inizio degli anni ’30, le scarpe con suola in gomma costituivano un bene

nuovo sul mercato, ma già conosciuto ed apprezzato per la sua utilità e praticità. Da qui la domanda

estremamente dinamica, pur in un contesto di sostanziale regresso del potere di acquisto della

popolazione. Da un punto di vista imprenditoriale il mercato era estremamente promettente infatti:

Il consumatore, dal canto suo, ha riservato trionfale accoglienza alla calzatura di gomma e ne è prova lo scarseggiare di manufatti sul mercato, per la qual cosa è evidente lo squilibrio naturale, fra domanda e offerta18.

A rendere ancora più promettente le prospettive del settore concorreva anche la politica

commerciale fascista tesa a scoraggiare l’importazione di merci straniere, come notava un

giornalista dell’epoca:

Non va neppure dimenticata l’alta aliquota di importazione di soprascarpe, stivali, stivaletti ecc…19

16 Il Corriere di Vigevano, anno XXXIV, n. 19 del 17 maggio 1931. 17 Ibidem, anno XXXIV, n. 41 del 4 ottobre 1931. 18 Ibidem, anno XXXVI, n. 51 del 17 dicembre 1933. 19 Ibidem.

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La tabella 1.3 riporta alcuni dati sulla produzione di scarpe in gomma a Vigevano negli anni

immediatamente precedenti ed immediatamente successivi alla nascita della Ursus Gomma.

Tabella 1.3 – Produzione di scarpe in gomma a Vigevano all’inizio degli anni ’3020. anno N. imprese Migliaia di paia di scarpe con

suola di gomma 1929 1 15 1930 2 326 1931 3 1043 1932 5 2037 1933 5 3472 1934 5 4052 1935 9 6320

Il settore della calzatura in gomma nacque a Vigevano proprio durante la crisi del ’29 e conobbe

subito un successo sorprendente soprattutto se confrontato con il contemporaneo andamento del

resto dell’economia locale e nazionale. Da una produzione trascurabile nel 1929, gli industriali

locali riuscirono in soli 5 anni a passare a una produzione di 4 milioni di paia annue, ben la metà

dell’intera produzione locale di calzature in cuoio.

La produzione in massa ebbe due conseguenze fondamentali. Da un lato provocò una caduta dei

prezzi all’ingrosso dovuta non alle difficoltà di smercio, ma agli incrementi di produttività che

permisero di ridurre il costo di un paio di tennis all’ingrosso da 20 a 5 lire nel periodo 1930-3521.

Dall’altro mise completamente fuori mercato la produzione estera, già ostacolata dagli alti dazi, che

scomparve totalmente dal mercato già nel 193622, mentre ancora nel 1933 l’Italia importava 748

mila paia di scarpe23.

La principale difficoltà del settore calzature di gomma era costituito dalle alte barriere all’entrata

causate dai consistenti investimenti in macchinari necessari all’inizio della produzione e dalla

necessità di una dimensione aziendale minima piuttosto alta per poter essere competitivi. Per questo

motivo mentre a Vigevano nel 1934 circa duecento fabbriche, tra grandi e piccole, producevano 8

milioni di calzature in cuoio, il settore gomma era composto da solo 9 imprese24 che però

immettevano sul mercato 4 milioni di paia. In altre parole, mentre la fabbrica media del settore

cuoio produceva circa 42 mila paia annue, la fabbrica media del settore gomma circa 810 mila paie

annue cioè venti volte di più.

20 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire da Il Popolo di Vigevano, supplemento de Il Popolo di Pavia, anno II, numero 41 del 17 ottobre 1935, p. 2. 21 Vigevano Illustrata, anno II, numero 5 del settembre 1936, p. 9. 22 L’Economia Nazionale, anno XXIX, 1937, speciale sulla provincia di Pavia 23 Vigevano Illustrata, anno II, numero 5 del settembre 1936, p. 11. 24 Ibidem, p. 9.

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Questi ostacoli all’entrata nel settore, però, potevano essere superati solo da imprenditori già

affermati e dotati di consistenti capitali propri, anche perché il sistema bancario difficilmente poteva

offrire finanziamenti. Superati gli ostacoli si entrava in un settore caratterizzato dalla presenza di

pochi concorrenti, da una domanda estremamente dinamica, in crescita esponenziale e da un

mercato nazionale impenetrabile per la concorrenza estera.

4) Dalla Società Immobiliare San Giovanni della Paglia alla Ursus Gomma

Nella storia della Ursus Gomma si deve distinguere la nascita giuridica della società da quella

economica.

La nascita giuridica ebbe luogo il 24 marzo del 1931 nell’ufficio del notaio Antonio Nussi di

Milano quando venne costituita una società avente la denominazione di Società Immobiliare San

Giovanni della Paglia25.

La nuova impresa aveva come ragione sociale:

l’acquisto, la vendita, la permuta, l’amministrazione, la conduzione e la locazione di beni immobili. Essa potrà prendere interessanze e partecipazioni in altre Società ed Imprese similari e compiere qualsiasi atto ed operazione per il raggiungimento dello scopo sociale26.

Si trattava quindi di una società non industriale che doveva operare nel settore immobiliare e

apparentemente non aveva alcun legame con la Ursus Gomma di Vigevano. In realtà questa vicenda

consente di restringere a pochi mesi il periodo in cui il progetto industriale di creazione di un

calzaturificio per la lavorazione della gomma venne elaborato.

La Società Immobiliare San Giovanni della Paglia era un’impresa costituita in forma di società

anonima, così venivano chiamate all’epoca le società per azioni. Il capitale complessivo era di 5000

lire suddiviso in 50 azioni da 100 lire cadauna. La società risulta controllata da Rinaldo Masseroni

che sottoscrive 46 azioni, mentre due azioni a testa venivano sottoscritte da Angelo Corba e Mario

Modugno 27. Gli ultimi due erano probabilmente dirigenti che lavoravano per Masseroni e che in

questo modo venivano coinvolti e motivati alla buona riuscita economica dell’impresa.

Il progetto imprenditoriale della Società Immobiliare San Giovanni della Paglia non riuscì a

decollare e fu ben presto superato dal progetto imprenditoriale della produzione di calzature in

25 Archivio Camera di Commercio di Milano, Registro imprese, fasc. 177767, Denuncia di esercizio delle società in accomandita per azioni e anonime del 24 marzo 1931. 26 Ibidem, p. 2. 27 Ibidem, p. 3.

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gomma. Questo cambiamento di prospettiva venne formalizzato dall’Assemblea straordinaria del 18

novembre del 1931 che deliberò:

1) il cambiamento del nome della società da Società Immobiliare San Giovanni della Paglia a Ursus

Gomma;

2) il cambiamento della ragione sociale da immobiliare a industriale;

3) un consistente aumento di capitale con l’ingresso dei nuovi soci Pietro Bertolini e Pietro

Magnoni28.

Il progetto imprenditoriale della Ursus Gomma venne dunque delineato ed avviato nel periodo

compreso tra il 24 marzo e il 18 novembre 1931, nell’arco di poco meno di sei mesi. L’idea di

produrre calzature in gomma vulcanizzata era, però, già in gestazione da almeno due anni, infatti

già nel 1929 la Ursus Cuoio aveva cominciato a produrre, a livello sperimentale, scarpe con suola in

gomma vulcanizzata29.

Nel nuovo progetto imprenditoriale la Società Immobiliare San Giovanni della Paglia, con tutte le

sue attività, svolse il ruolo di involucro giuridico e di contributo economico di Rinaldo Masseroni

alla costituzione della nuova impresa. La società assunse, con delibera dell’Assemblea straordinaria

del 18 novembre 1931, il nome di Ursus Gomma società anonima manifattura prodotti gomma30. La

nuova denominazione dell’impresa venne scelta con un preciso riferimento a Ursus, uno dei

protagonisti del romanzo di Sinkiewicz Quo Vadis31. Il marchio della nuova impresa infatti si

ispirava al famoso episodio del capitolo LXV in cui l’eroe, lottando nell’arena alla presenza di

Nerone, affronta un toro e lo sconfigge prendendolo per le corna e piegandogli la testa a terra fino

ad ucciderlo32. Con questo simbolo la Ursus Gomma entrò a far parte dell’immaginario collettivo

28 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, denuncia ditte del 29 dicembre 1931. 29 L’Informatore Vigevanese, anno IX, n. 3 del 22 gennaio 1953, p. 1. 30 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, denuncia ditte del 29 dicembre 1931, Verbale di Assemblea straordinaria, p. 5. 31 Il romanzo di Sienkiewicz era all’epoca ampiamente noto in Italia. Pubblicato per la prima volta a puntate in appendice al Corriere di Napoli nel 1897-98, esso uscì contemporaneamente in volume in due edizioni, una per la casa editrice Detken e Rocholl di Napoli, nel 1898, e una della Baldini e Castoldi di Milano, nel 1899. Negli anni successivi il libro incontrò un tale successo che le due case portarono sul mercato ben settantasette ristampe di Quo Vadis?. Cfr. Sienkiewicz H., Quo Vadis?, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964, p. 585. I fondatori dell’Ursus Gomma e della precedente Ursus Cuoio avevano conosciuto la vicenda leggendo il romanzo, perché le riduzioni cinematografiche sono posteriori alla nascita dell’Ursus Cuoio che avvenne nel 1906. Prima del 1931 erano già usciti un film polacco per la regia di Jan Stika del 1902, che difficilmente era stato proiettato anche in Italia, una produzione italiana diretta da Enrico Guazzoni del 1912 e una coproduzione italo-tedsca del 1924 sotto la regia congiunta di Arturo Ambrosio e Gerog Jacoby. Fonte http://www.cinekolossal.com/1/quo_vadis/. Molto probabilmente la scelta del nome Ursus Gomma venne effettuata non solo con riferimento al romanzo di Sinekiewicz, ma anche per precise ragioni di opportunità commerciale, ovvero per utilizzare la notorietà già raggiunta dal marchio Ursus Cuoio che apparteneva a Pietro Bertolini e Pietro Magnoni. Una strategia simile in seguito venne replicata anche per una manifattura di cappelli di proprieta di Rinaldo Masseroni e di Pietro Bertolini che si chiamava appunto Cappellificio Ursus di Alessandria. Cfr. ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, bollettino di informazioni del 13 maggio 1950. 32 Sienkiewicz H., Quo Vadis?, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964, pp. 524-532.

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italiano a tal punto che 30 anni dopo lo scrittore Luciano Bianciardi lo ricordava con le seguenti

parole:

Io intanto vagavo con l’occhio sulle ordinate cataste di scatole bianche, ciascuna con il suo marchio di fabbrica, la scritta svolazzi, talvolta un disegnino. Ce n’era uno che m’incantava: un uomo grande e muscoloso, con un perizoma ai fianchi, i bicipiti tesi nello sforzo, costringeva un toro più grosso di lui a toccare terra con le corna; dalle nari gli uscivano due fumetti, ma a qui tempi non c’era scritto nulla dentro i fumetti. Sopra il suo nome: Ursus. […] Ero tutto per Ursus, il mio eroe, chissà se sarei diventato forte come lui? Non ci sono diventato, però, quando vado a vedere uno degli infiniti film a colori con la storia dell’uomo fortissimo, ancora ripenso al quel lontano desiderio, e mi vien nostalgia. Capostipite dei giganti buoni del cinema, e forse inventore del culturismo, l’Ursus delle scarpe era nato, per me, a Vigevano, città lontana e quasi mitologica, strana con quel nome che sembra un verbo intransitivo, terza persona plurale, indicativo presente [sic] 33.

Con l’assemblea del 18 novembre del 1931 la Ursus Gomma oltre al nome assume anche la ragione

sociale che la caratterizzerà per tutta la sua esistenza, ovvero:

l’industria e il commercio delle calzature in genare [sic], quelle di gomma ed i prodotti affini nonché i prodotti di gomma in genare [sic] ed ogni operazione finanziaria e commerciale inerente all’industria di cui è caso34.

Contestualmente l’Assemblea Straordinaria dalla ormai ex Società immobiliare San Giovanni della

Paglia deliberò un consistente incremento di capitale che venne aumentato da 5000 lire a 600 mila

di lire attraverso l’emissione di 950 nuove azioni da 100 lire cadauna35. In questo modo veniva

raggiunto un duplice obiettivo. Da un lato si raccoglievano le risorse finanziarie indispensabili per

avviare l’attività produttiva, dall’altro si rendeva possibile l’ingresso nel capitale di Pietro Bertolini

e di Pietro Magnoni.

La ripartizione delle quote azionarie iniziali tra i tre fondatori non è nota anche per la presenza di un

certo numero di azionisti minori. Un documento successivo del 1934, quando però la Ursus Gomma

aveva già un capitale di 6 milioni e 300 mila, documenta un’assemblea in cui gli azionisti

intervenuti erano portatori in proprio o per delega delle seguenti azioni:

1) Bertolino Pietro di 2100 azioni;

2) Magnoni Pietro 2100 azioni;

3) Corti Giuseppe di 1820 azioni;

4) Masseroni Rinaldo di 280 azioni36.

E’ probabile che Giuseppe Corti, non meglio noto, rappresentasse per conto proprio e per delega la

quota di capitale degli azionisti minori, mentre i tre fondatori fossero presenti con le proprie quote

azionarie. Sotto questa ipotesi i contributi alla nascita della Ursus Gomma sarebbero stati

33 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 14-15. 34 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, denuncia ditte del 29 dicembre 1931, Verbale di Assemblea straordinaria, p. 5. 35 Ibidem, pp. 11-12. 36 Ibidem, estratto verbale di Assemblea Straordinaria del 23 maggio 1934.

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soprattutto finanziari da parte di Pietro Magnoni e Pietro Bertolini e manageriale da parte di

Rinaldo Masseroni. Non a caso fin dall’assemblea dal 18 novembre venne delegato a quest’ultimo il

potere di:

fare contratti di compra vendita di merci, di materiali ed ogni cosa mobile […], fare pagamenti, effettuare depositi e prelievi bancari, […] assumere e licenziare impiegati e salariati determinandone gli emolumento [sic], firmare la corrispondenza37.

Questa soluzione è comprensibile se si pensa che comunque Pietro Bertolini e Pietro Magnoni

aveva la responsabilità della direzione di una grande fabbrica come la Ursus Cuoio e delle loro altre

numerose attività economiche. Inoltre, essendo presenti come consiglieri nel Consiglio di

amministrazione, dove Bertolini rivestiva la carica di presidente, si trovavano nella posizione di

sorvegliare l’andamento dell’azienda e di deciderne collettivamente gli indirizzi generali, che poi

Masseroni si impegnava a realizzare praticamente.

5) I primi passi

Costituita la Ursus Gomma come nuova impresa fornita di nuovo capitale e di una nuova ragione

sociale, il primo problema era iniziare l’attività acquistando i macchinari, assumendo la

manodopera e individuando una sede.

L’attività produttiva iniziò nei primi mesi del 1932 all’interno dell’allora Calzaturificio Andrea

Ghisio situato all’incrocio tra le vie San Giacomo e via Madonna degli Angeli in un edificio

costruito nel 1910 su progetto dell’Ingegner Basletta38.

L’edificio venne acquisito in seguito alla situazione di dissesto finanziario in cui si trovava la

Società Anonima Calzaturificio Andrea Ghisio di cui i fondatori della Ursus Gomma prima

acquisirono il controllo e poi deliberarono la fusione per incorporazione.

L’acquisizione avvenne in modo molto sfavorevole per gli azionisti di minoranza della Ghisio,

perché passò attraverso la svalutazione del capitale della società da 625 mila lire, ovvero più della

Ursus Gomma a solo 30 mila lire. Successivamente le azioni vennero cambiate in azioni Ursus che

aumentò il suo capitale fino a 630 mila lire39.

In questo modo la Ursus Gomma assunse il controllo di una struttura produttiva già esistente, con

una prima dotazione di macchinari e con i primi dipendenti. In origine lo stabilimento copriva

37 Ibidem, denuncia ditte del 29 dicembre 1931, Verbale di Assemblea straordinaria, p. 13. 38 Canessa S., Ursus Gomma 1910-1994, storia di un degrado, p. 72, in Viglevanum, anno IV, febbraio 1994 39 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, Assemblea straordinaria del 7 dicembre 1932.

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un’area di 3000 mq40 ed era collocato in un’area all’epoca periferica e dove non sussistevano

ostacoli rilevanti ad un eventuale ampliamento. Grazie a questa base di partenza la neonata società

poté iniziare la produzione in larga scala e già alla fine del primo anno raggiungere la non

indifferente produzione di 5000 paia di scarpe giornaliere41. I primi prodotti ad essere immessi sul

mercato furono le allora ancora poco diffuse scarpe in tela e gomma, meglio note come tennis, e le

pantofole con suola di gomma vulcanizzata Licia42.

Il primo evento importante a cui la Ursus Gomma partecipò fu la seconda edizione della Settimana

Vigevanese tenutasi nell’ottobre del 1932, dove veniva segnalata come impresa del gruppo

controllato da Bertolini e Magnoni:

Il calzaturificio Ursus palesa al visitatore le sue possibilità di grande azienda nell’esposizione dei suoi prodotti. Si va dalla calzatura da bambino, salendo per quelle da ragazza e donna, sino ai tipi da uomo, da passeggio ed articolo da montagna. Prodotti che attestano chiaramente la loro bontà. Quest’anno poi vi è una nuova aggiunta. Un virgulto piantato da soli nove mesi si è sviluppato in modo lusinghiero. Vogliamo alludere all’Ursus Gomma che presenta articoli assai perfezionati che fanno bene sperare per l’avvenire. Notate le pantofoline Ursus Gomma43.

I primi cinque anni di attività della Ursus Gomma furono un periodo di intensa crescita in termini di

capacità produttiva, occupati e dimensioni dell’impresa.

Il dato sicuramente più impressionante è quello dell’aumento del numero di salariati che crebbe

letteralmente in modo esponenziale seguendo da vicino i tassi di espansione della produzione di

calzature in gomma. I dipendenti della Ursus Gomma passarono da 550 nel dicembre del 1933 a

960 nel dicembre del 193444 praticamente raddoppiando in un anno. In seguito il numero di

dipendenti si stabilizzò attorno al migliaio, a causa della mancanza di spazio, cifra che rimase

costante fino alla fine del 193645. Il massimo livello occupazionale venne raggiunto solo in seguito

all’ampliamento delle dimensioni dello stabilimento di via San Giacomo e toccò alla fine degli anni

’30 i circa 1400 dipendenti46.

Andamenti occupazionali simili ebbero anche le altre imprese vigevanesi del settore gomma che

raggiunsero dimensioni considerevoli, pur restando sempre inferiori alla Ursus Gomma. Prendendo

40 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, raccomandata del 18 dicembre 1946. 41 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 1. 42 Il nome delle pantofole è un riferimento alla protagonista femminile del romanzo di Sienkiewicz che, nelle prime traduzioni e anche nel doppiaggio della versione cinematografica del 1951, venne tradotto con Licia, mentre invece nella traduzioni successive è reso con Ligia. Quest’ultima denominazione è più coerente con le intenzioni orginarie dell’autore che aveva immaginato la sua protagonista come figlia del re dei Ligi. Si veda per esempio la prima traduzione Sienkievicz [sic] H., Quo vadis: racconto storico, Detken e Rocholl, Napoli, 1899. 43 Il Corriere di Vigevano, numero del 2 ottobre 1932, p. 1. 44 Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 12 del 21 dicembre 1934, p. 1. 45 Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46. 46 ASCV, parte moderna, fasc. 1014, lettera del 20 novembre 1939.

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come anno di riferimento il 1936, quando cioè la fase più tumultuosa di crescita era già terminata e

il settore stava raggiungendo un certo equilibrio, le altre principali industrie del settore gomma

erano la Ditta F.lli Rossanigo, che per prima aveva cominciato in città la produzione di scarpe con

suola in gomma, che contava 700 dipendenti e la S.A Gibili con 450 operai. Più staccate, in termini

di occupati, seguivano le ditte Dondé Remo, Eco Gomma, Gilardi e Moroni, Ilce Gomma, Mainardi

F.lli, Masera Carlo e Ardito Carlo47.

Sole le prime tre fabbriche del settore gomma cittadino occupavano nel 1936 più di duemila

persone in un settore che solo 5 anni prima non esisteva e in una città di neanche 40 mila abitanti.

Se a questi due elementi si aggiunge il fatto che a partire del 1933 anche il settore delle calzature in

cuoio aveva cominciato a riprendersi sia in termini occupazionali che produttivi, si può

comprendere come in città ci fosse una vera e propria carenza di manodopera specializzata. La

concorrenza tra gli industriali locali era molto forte e probabilmente in una situazione diversa, senza

la presenza del regime fascista, si sarebbe tradotta in sensibili aumenti salariali. Negli anni ’30,

invece, alimentò solo le polemiche cittadine dato che i titolari delle principali fabbriche si

lamentavano della carenza di manodopera e si accusavano a vicenda di “rubarsi” i dipendenti in

modo poco leale.

Significative a questo proposito sono le lamentele di Rinaldo Masseroni, nel 1934:

Noi cerchiamo ancora circa 450 operai, e non sappiamo dove trovare le maestranze perché non appena sono diventate capaci i nostri colleghi industriali ce le rubano48.

Anche se i dipendenti lavoravano su tre turni e, dunque, solo un terzo della manodopera era

contemporaneamente presente nello stabilimento, la vecchia struttura del Calzaturificio Ghisio

divenne presto insufficiente. Per questo alla dirigenza mise in atto un ambizioso progetto di

ingrandimento acquistando tutti i terreni compresi tra via San Giacomo e via Madonna degli Angeli

e commissionarono agli Ingg. Zanatti e Rota la progettazione degli ampliamenti che furono

realizzati nel periodo 1935-3749. Con questi lavori venne portato a termine l’edificio che poi verrà

sempre collegato, nell’immaginario collettivo dei vigevanesi, alla Ursus Gomma.

Il nuovo stabilimento era sensibilmente più ampio del precedente e fu costruito secondo criteri

all’avanguardia per l’epoca sia dal punto di vista dell’impiego del cemento, che dal punto di vista

dell’edilizia industriale. Rispetto al vecchio Calzaturificio Ghisio, che venne inglobato nella nuova

struttura, il nuovo edificio aveva una superficie di 20 mila metri quadri di cui ben 18 mila coperti. Il

complesso si articolava in due parti distinte dal punto di vista architettonico. La prima era costituita 47 Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46. 48 Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 2 del 13 ottobre 1934, p. 2. 49 Galardini A. e Negri Massimo a cura di, I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento Regionale, Quaderno di documentazione regionale (nuova serie), Tipografia Varese, 1984, p. 412.

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dagli edifici immediatamente adiacenti a via San Giacomo che costituivano il lato monumentale

dallo stabilimento in stile razionalista che culminava in un’alta torre50. Questa parte era

stilisticamente un po’ eterogenea perché composta dall’accostamento di nuovi edifici con le

precedenti strutture del Calzaturificio Ghisio. Il lato di via Madonna delle Grazie e la parte appena

dietro gli edifici di via San Giacomo era, invece, occupato da ampi capannoni con copertura di tipo

shed che ospitavano i reparti e i magazzini ed erano innovativamente collegati da ampi corridoi

coperti.

Dal punto di vista dell’edilizia industriale la scelta di realizzare spazi ampi costituiva

un’innovazione e aveva lo scopo di favorire il ricambio dell’aria e di ridurre i rischi causati

dall’inalazione di vapori e gas prodotti durante la lavorazione della gomma51. Stilisticamente

l’intero complesso si caratterizzava per la tensione esistente tra la spinta orizzontale dei capannoni

di tipo shed e la spinta verticale degli edifici adibiti ad ufficio e, soprattutto, dalla torre. La tensione

veniva sottolineata e valorizzata dalle decorazioni stilizzate degli edifici52 che ben si adattavano

all’uso massiccio del cemento come materiale da costruzione. Il complesso della Ursus Gomma

venne completato dalla costruzione, sempre in via San Giacomo ma dall’altro lato della strada, di

un apposito edificio destinato ad ospitare i gruppi aziendali, la nuova mensa e i circoli ricreativi e

sportivi che durante il periodo fascista ogni grande impresa doveva avere. Altri edifici sempre in via

San Giacomo erano di proprietà della Ursus Gomma che li utilizzava come alloggi per i dipendenti

o sede dello spaccio aziendale, ma si trattava in gran parte di costruzioni precedenti acquisite un po’

per volta che non si caratterizzavano né per l’uniformità dello stile né per la coerenza architettonica

con la vicina fabbrica.

La dimensione e la monumentalità dell’edificio della Ursus Gomma sono una prova tangibile del

successo dell’impresa, della sua ampia disponibilità di mezzi finanziari e delle ambizioni dei suoi

dirigenti.

Il nuovo stabilimento, che lavorava a ciclo continuo, aveva una capacità produttiva di 20 mila paia

di calzature al giorno53 e non si limitava alla sola produzione di calzature tipo tennis e pantofole. La

dirigenza dell’impresa accompagnò all’aumento delle dimensioni della Ursus Gomma una politica

di differenziazione della produzione di merci in gomma.

I nuovi prodotti messi sul mercato inizialmente riguardarono le componenti in gomma

complementari dell’industria calzaturiera come le suole e la produzione di nuovi tipi di calzature.

50 Canessa S., Ursus Gomma 1910-1994, storia di un degrado, p. 72, in Viglevanum, anno IV, febbraio 1994. 51 Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 12 del 21 dicembre del 1934, p. 1. 52 Galardini A. e Negri Massimo a cura di, I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento Regionale, Quaderno di documentazione regionale (nuova serie), Tipografia Varese, 1984, p. 412 53 Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46.

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Tra questi importante è l’inizio della commercializzazione di stivali, nel 1934, che diventeranno

uno dei beni più noti e di successo della Ursus Gomma54.

Lo stivale Ursus aveva un design particolare che lo rendeva facilmente riconoscibile e

assolutamente particolare rispetto agli altri prodotti similari. La particolarità risiedeva nella parte

superiore del calzare che non era liscia, ma presentava dei rilievi che erano ottenuti con un

particolare processo industriale. La gomma grezza, assieme ai coloranti, veniva preparata all’interno

dei mescolatori da cui uscivano dei fogli continui di materiale da lavorare. Successivamente questi

semilavorati venivano riscaldati e calandrati, ovvero inseriti in una macchina speciale con dei

cilindri che schiacciavano la gomma fino allo spessore voluto. La forma particolare degli stivali

Ursus era data da un cilindro speciale, prodotto all’interno dello stabilimento, che aveva una

superficie non liscia e lasciava una caratteristica impronta55.

A metà degli anni ’30, la Ursus Gomma era già diventata, dopo rapidissima crescita, una delle

principali imprese della città di Vigevano sia in termini di capacità produttiva che occupazionali.

Data la sua importanza l’azienda ricevette parecchie attenzioni da parte delle autorità del regime

fascista che proprio in quegli anni stava portando avanti le sue campagne ideologiche di

promozione del corporativismo e che controllava con particolare attenzione le grosse concentrazioni

operaie in quanto possibili focolai di dissenso. Tutte le autorità locali del regime ed alcune

personalità di rilievo nazionale vistarono lo stabilimento in quegli anni. Tra queste possiamo

ricordare la visita del Prefetto di Pavia il 28 maggio del 193556, del Segretario Federale del Fascio il

12 dicembre del 193557, del Ministro delle Corporazioni il 10 ottobre del 193658 e molte altre.

Queste visite, che avvenivano tutte su uno schema simile, avevano la funzione di esaltare le

politiche corporative del regime, di rinsaldare la fedeltà politica dei dipendenti e di creare e

rafforzare i legami personali tra i proprietari della Ursus Gomma e i dirigenti fascisti che

nell’ambito del regime avevano ampi poteri discrezionali che potevano utilizzare sia a favore che a

sfavore dell’impresa.

Tra queste è tipica la visita del prefetto all’inizio del 1935 che aveva come pretesto l’inaugurazione

della nuova sede del Dopolavoro della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio. L’intera giornata si

svolse secondo un copione ben preciso estremamente standardizzato. I momenti salienti della

cerimonia furono l’accoglienza del prefetto da parte dei tre proprietari, tutti rigorosamente vestiti di

nero, la visita dei reparti in corteo preceduti da un gruppo di giovani fascisti recanti le insegne del

54 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 2. 55 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. 56 Il Popolo di Vigevano, anno II, n. 9 del 1 marzo 1935, p. 1. 57 Il Corriere di Vigevano, anno XXXVIII, n. 50 del 22 dicembre 1935. 58 Ibidem, anno XXXIX, n. 40 del 10 ottobre 1936. La visita avvenne nell’ambito delle celebrazioni per l’edizione annuale della VI Settimana Vigevanese.

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regime poi i discorsi delle autorità e di Bertolini ai dipendenti, l’inaugurazione con rinfresco offerto

dalla ditta e, infine, le continue acclamazioni del fascismo e del Duce59.

L’azione era sempre estremamente standardizzata e tesa porre in risalto l’atteggiamento

paternalistico del fascismo, che associava ai bassi salari alcune concessioni in termini di previdenza

sociale, e l’orgoglio della dirigenza per il successo dell’impresa; significativi sono i discorsi di

Pietro Bertolini che ricostruisce la sua vita da semplice operaio a grande industriale60.

6) Dall’autarchia all’inizio della Seconda Guerra Mondiale

La seconda metà degli anni ’30, pose la dirigenza della Ursus Gomma di fronte a nuovi problemi e

all’aumentata pressione della politica dirigistica del regime fascista.

Nel 1935 la storia della Ursus Gomma si separò da quella di uno dei suoi fondatori, il Cav. Uff.

Pietro Magnoni, che abbandonò il suo posto nel consiglio di amministrazione e cedette le sue quote

azionarie a Pietro Bertolini e Rinaldo Masseroni61. I motivi di questo abbandono, proprio in un

momento di così grande successo economico, non sono chiari. Nell’unica pubblicazione in cui la

Ursus Gomma ricostruisce la propria vicenda e che, quindi, costituisce una sorta di storia “ufficiale”

si parla di ritiro per motivi di salute62. La stampa locale dell’epoca parlò, invece, di “divisione

amichevole”63. La seconda ipotesi appare più probabile anche perché dopo essere stato liquidato

dalla Ursus Gomma e dalla Ursus Cuoio, impresa che aveva fondato assieme a Pietro Bertolini nel

190664, Pietro Magnoni fondò il calzaturificio Argo che poi guidò fino alla morte avvenuta all’età di

69 anni alla fine del 194165. Inoltre, una semplice malattia non basta a spiegare la vendita della

quote azionarie, anche perché all’epoca Pietro Magnoni aveva già degli eredi in grado di prendere il

suo posto e infatti solo pochi anni più tardi gli successe il figlio Mario Magnoni alla guida della

Argo.

La situazione di mercato che si presentava alla dirigenza della Ursus Gomma, ormai ridotta a Pietro

Bertolini e Rinaldo Masseroni, non presentava grosse difficoltà. Superata la fase tumultuosa della

nascita del settore delle calzature in gomma seguì un periodo di consolidamento in cui il mercato

venne di fatto diviso tra le imprese produttrici. I profitti della vendita di scarpe in gomma erano

59 Il Popolo di Vigevano, anno II, n. 9 del 1 marzo 1935, p. 1. 60 Ibidem. 61 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, raccomadata del 19 dicembre 1946. 62 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 2. 63 Il Corriere di Vigevano, anno XLV, n. 1 del 4 gennaio 1942. 64 Il Popolo di Pavia, n. 89 del 28 luglio 1939. 65 Il Corriere di Vigevano, anno XLV, n. 1 del 4 gennaio 1942.

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abbastanza sicuri perché la concorrenza estera non esisteva a causa degli alti dazi e per entrare nel

settore bisognava effettuare consistenti investimenti iniziali in termini di impianti, di manodopera e

di rete distributiva. Inoltre, la domanda di calzature in gomma, anche se non più dinamica come i

primi anni continuava, ancora ad aumentare anche grazie alle commesse militari causate dalla

politica interventista del fascismo in Etiopia, Spagna ed Albania.

I profitti venivano utilizzati anche per finanziare la differenziazione della produzione industriale nel

settore gomma. In questi anni la Ursus Gomma iniziò la produzione su larga scala di coperture velo

per biciclette, di tessuti gommati, di articoli tecnici per l’industria e di tubi66.

I principali problemi industriali di questo periodo non provenivano, però, dal lato della domanda,

ma da quello dell’offerta. I primi anni di esistenza della Ursus Gomma furono caratterizzati dalla

carenza di manodopera, problema in parte risolto attirando dipendenti anche dai comuni vicini a

Vigevano. A partire dalla guerra di Etiopia e con il lancio su grande scala delle politiche

autarchiche del regime cominciò a presentarsi il ben più grave problema della carenza di gomma

grezza da lavorare.

Tabella 1.4 - Produzione mondiale di gomma naturale in migliaia di tonnellate67. paese 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938

Malesia Britannica

405 445 468 417 354 470 373

Indie Olandesi

211 283 380 283 310 432 300

Ceylon 50 64 80 55 50 70 50 Altri 43 62 92 119 144 168 172

Totale 709 854 1020 874 858 1140 895

Per capire la questione è necessario soffermarsi un attimo sul mercato mondiale della gomma negli

anni ’30. All’epoca, nonostante i numerosi tentativi in questo senso, non esistevano produzioni

economicamente rilevanti di gomma sintetica e l’industria dipendeva interamente dalla gomma

naturale. Il mercato mondiale si distingueva per divisione in paesi in cui si praticava la coltivazione

della pianta di caucciù e paesi importatori in cui era concentrata la quasi totalità dell’industria della

gomma mondiale. I primi erano quasi tutti colonie inglesi o paesi in cui produttori inglesi

detenevano quote rilevanti del raccolto complessivo68. Il mercato globale non era libero, ma

controllato strettamente dell’Associazione Internazionale dei Produttori di Gomma, sotto

predominio inglese, che stabiliva i livelli di produzione per paese al fine di evitare crisi da

66 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 4. 67 I dati della tabella 4 sono tratti da Gomma, vol. IV, n. 1 gennaio-febbraio 1940, p. 20. 68 Ibidem, vol. 1, n. 1, gennaio-febbraio 1937, p. 27.

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sovrapproduzione e mantenere alti i prezzi69. La gomma era quotata principalmente in sterline e per

acquistarla era necessario disporre di valuta pregiata cosa non facile per un paese con gravi

problemi di bilancia commerciale come l’Italia.

Tabella 1.5 – Principali importatori di gomma naturale in migliaia di tonnellate paese 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938

Francia 42 63 50 53 57 60 58 Germania 45 55 60 63 72 98 90 Inghilterra 78 80 90 95 100 115 106

URSS 30 30 48 37 31 30 25 Giappone 56 67 70 58 62 62 47 Canada 21 20 29 27 27 36 27 USA 337 413 460 490 575 545 438 Italia 15 19 22 25 16 25 28

La tabella 1.5 riporta l’andamento delle importazioni di gomma nei principali paesi consumatori in

un periodo compreso tra il 1932 e il 1938, ovvero prima degli sconvolgimenti causati dalla Seconda

Guerra Mondiale.

Il dato dell’Italia è particolarmente significativo. Il nostro paese manifestò una tendenza

all’aumento del consumo di gomma naturale causato dallo sviluppo industriale che venne

bruscamente invertito nel 1936, per poi riprendere poco prima dello scoppio della Seconda Guerra

Mondiale. La forte riduzione fu causata dal conflitto etiope che spinse la Società delle Nazioni a

imporre delle sanzioni all’Italia e dalle politiche autarchiche del regime che miravano a ridurre per

quanto possibile le importazioni.

Come molte altre imprese del settore, la Ursus Gomma, si trovò di fronte al problema della carenza

di gomma grezza e della difficoltà di procurarsi le valuta necessaria a comprarla. Negli anni ’30

procurarsi valuta estera era molto difficile, perché i mercati monetari internazionali non si erano

ancora ripresi degli effetti della crisi del ’29 che avevano costretto tutti i paesi ad abbandonare la

parità con l’oro e ad attuare svalutazioni competitive. In Italia, il governo, sfruttando una delega

concessa con un regio decreto n. 1207 del 29 settembre 1931, impose il monopolio statale dei

cambi70. A tal fine venne creata una Sovrintendenza allo Scambio delle Valute che poi sarà elevata,

nel dicembre del 1935, a Sovrintendenza di Stato per gli Scambi e le Valute e nel 1937 addirittura a

Ministero per gli Scambi e le Valute71.

Qualsiasi impresa che desiderava importare beni o materie prime doveva obbligatoriamente

richiedere il permesso statale per poter acquisire valuta estera. Erano soggette a rigorosi controlli 69 Ibidem, p. 28. 70 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 37. 71 Ibidem.

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anche le aziende che esportavano e quindi ricevevano in cambio valuta estera. Il governo voleva

così regolare in modo amministrativo gli scambi con l’estero per evitare turbamenti monetari e non

dover ricorrere a svalutazioni della lira. Queste le intenzioni, nei fatti il sistema era piuttosto

farraginoso e dava ampio spazio ad abusi e corruzione in quanto le imprese erano spinte a ricorrere

ad ogni mezzo pur di accaparrarsi una quota maggiore delle scarse importazioni autorizzate.

La nuova situazione economica mise seriamente in difficoltà la Ursus Gomma, che si trovò costretta

in più occasioni a fermare del tutto o parzialmente la produzione e a lasciare a casa parte dei suoi

dipendenti. Anche altre imprese cittadine ebbero problemi simili, ma le difficoltà della Ursus

Gomma avevano una particolare rilevanza a Vigevano. Infatti non solo veniva colpita una delle più

grandi ed avanzate fabbriche della città, ma l’improvvisa disoccupazione di parecchie centinaia di

lavoratori costituiva anche un potenziale problema di ordine pubblico e un forte danno d’immagine

per il regime. Non sorprende dunque che sui giornali locali la notizia fosse censurata e che le

autorità locali, podestà e prefetto, attivassero tutti i canali di cui potevano disporre per aiutare la

Ursus Gomma.

La prima interruzione di una certa entità della produzione di cui si ha notizia risale al 4 febbraio del

1937, quindi appena a ridosso della guerra di Etiopia. Le difficoltà erano già cominciate

precedentemente perché, per quella data, la Ursus Gomma comunicava la sospensione degli ultimi

600 operai ancora in attività e l’interruzione completa della produzione, tranne che per i reparti

tranceria e giunteria che non lavoravano la gomma72. Questi ultimi due però occupavano solamente

un centinaio di dipendenti e, quindi, tenendo conto che meno di un anno prima l’azienda contava

più di 1000 dipendenti73 si può avere un’idea dell’impatto della fermata.

Non considerando i casi di arresto parziale della produzione, la Ursus Gomma conobbe un altro

momento di blocco totale a causa di lentezze sia nell’assegnazione di valuta che di comunicazioni

internazionali. L’impresa, in data 20 novembre 1939, si lamentava delle lentezze burocratiche

osservando come:

[…] non abbiamo potuto importare prima perché non potevamo disporre della valuta necessaria che Roma non ci assegnava, adesso perché la Casa inglese venditrice si rifiuta di consegnarci i documenti mettendoci nell’impossibilità di poter ritirare la merce stessa, quantunque, fin dagli ultimi di Ottobre noi abbiamo la somma a disposizione della ditta venditrice presso una banca di Londra74.

Vista l’inutilità degli sforzi, la Ursus Gomma si trovò quindi costretta a comunicare al podestà

come:

72 ASCV, parte moderna, busta 1010, lettera del 6 febbraio 1937. 73 Ibidem, lettera del 5 febbraio 1937. 74 ASCV, parte moderna, busta 1014, lettera del 29 novembre 1939.

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non potendo disporre di ulteriore materia prima, abbiamo iniziato, in data odierna, il periodo di preavviso di licenziamento di tutte le ns maestranze attualmente in forza (circa 1400 operai)75.

E’ interessante dare uno sguardo alla rete di rapporti, proteste e scambi epistolari tra le varie

autorità che gli arresti dell’attività produttiva della Ursus Gomma provocavano, sia perché sono una

testimonianza dell’importanza dell’impresa, sia perché esemplificano bene il dirigismo dell’epoca.

Prendendo per esempio l’interruzione della produzione del 1937, si osserva come gli impianti

furono fermati il 4 di febbraio e le autorità cittadine informate ufficialmente il 676; ma già il 5 il

podestà scriveva al prefetto chiedendo un intervento77. Intanto, il 22 febbraio arrivavano a Vigevano

200 quintali di gomma greggia assegnati dal Sottosegretariato Scambi e Valute per l’ultimo

trimestre del 1936 e la Ursus Gomma comunicava di poter riaprire lo stabilimento per 20 giorni e

sollecitava nuove assegnazioni oltre a quelle stabilite per il primo semestre del 193778. L’8 marzo il

prefetto comunicava al podestà i risultati dei suoi sforzi:

In risposta alle premure da me fattegli, anche a mezzo del Ministero dell’Interno, il Sottosegretariato di Stato per gli Scambi e le Valute comunica che alla società in oggetto è stato consegnato per il corrente semestre una quota di contingente di gomma greggia per il valore di l. 729.000. Inoltre, ed in via del tutto eccezionale, è stata rimessa in termini e prorogata una licenza rilasciata alla Ditta stessa nell’anno 1935, valida per l’importazione di q.li 636 di gomma79.

La Ursus Gomma rispondeva protestando e sostenendo che le quantità di gomma concesse in realtà

le spettavano già di diritto80 e il podestà inoltrava una nuova richiesta di intervento al prefetto81, che

sempre attraverso il Ministero dell’Interno, veniva a sapere che il Sottosegretariato Scambi e Valute

non aveva alcuna intenzione di fare altre assegnazioni82. A questo punto, la crisi era già stata

superata e la produzione regolare ripresa83.

Questo episodio permette di evidenziare i limiti posti all’attività industriale dalla politica economica

del fascismo che se da un lato garantiva bassi salari, pace sociale e una legislazione favorevole ai

grandi industriali, dall’altro costringeva gli imprenditori a dipendere da un apparato statale dirigista

e inefficiente. Inoltre, la politica di controllo delle importazioni, scelta come risposta ai turbamenti

monetari successivi alla crisi del ’29, se da un lato proteggeva da una concorrenza estera più

75 Ibidem. 76 ASCV, archivio parte moderna, busta 1010, lettera del 6 febbraio 1937. 77 Ibidem, lettera del 5 febbraio 1937. 78 Ibidem, lettera del 22 febbraio 1937. 79 Ibidem, lettera dell’8 marzo 1937. 80 Ibidem, lettera del 18 marzo 1937. 81 Ibdem, lettera del 23 marzo 1937. 82 Ibdem, lettera del 10 maggio 1937. 83 Ibidem.

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progredita tecnicamente, dall’altro poneva seri problemi di approvvigionamento e non favoriva la

ricerca dell’efficienza produttiva nel settore gomma come negli altri.84.

La Ursus Gomma cercò di reagire alla penuria di materie prime attraverso tre strategie

complementari e di diverso successo. La dirigenza tentò di sostituire la gomma greggia importata

con dei surrogati, di diversificare la produzione verso le nuove resine sintetiche aprendo un nuovo

stabilimento produttivo e di assorbire altre imprese per accrescere la propria dimensione e capacità

di resistenza.

La ricerca di surrogati alla gomma greggia si rivelò un fallimento, non solo per la Ursus Gomma,

ma anche per tutta l’industria europea. Il problema venne risolto solo durante la Seconda Guerra

Mondiale dagli statunitensi con l’invenzione del primo tipo di gomma artificiale

contemporaneamente economica e con buone proprietà fisiche. La Ursus Gomma non aveva i

capitali per svolgere ricerca ad alto livello in questo campo e adottò la tattica di utilizzare rigenerati

di gomma. Aprì un nuovo reparto a Vigevano che aveva il compito di riciclare la gomma vecchia e

di renderne possibile una nuova lavorazione85, anche se solo attraverso passaggi chimici piuttosto

lunghi.

La diversificazione si dimostrò, invece, una strategia di maggior successo perché l’impresa entrò

nel settore delle resine sintetiche che si basava su materie prime diverse dalla gomma naturale e

proprio allora cominciava a muovere i primi passi. Tra i tanti materiali disponibili, la dirigenza

scelse, con grande lungimiranza e fortuna, di iniziare la lavorazione del cloruro di polivinile, meglio

noto come PVC. La Ursus Gomma importò la licenza di fabbricazione del nuovo materiale dalla

Solvay86 che ne aveva iniziata la produzione industriale già nel 1937 producendo il PVC per

emulsione. Gli impianti per la lavorazione del nuovo materiale vennero collocati in una nuova sede

appositamente approntata in via Santa Maria che iniziò la lavorazione nel 193987.

Il PVC venne immesso sul mercato sotto il nome di Plastic o anche Ursuspla e sostenuto da una

campagna pubblicitaria che lo presentava come:

Plastic Nuovo geniale ritrovato di materiale autarchico sostituente in molte applicazioni la gomma. Impermeabile – Ininfiammabile- Ininvecchiabile e inattaccabile da ruggine o da acidi- Resistente basse temperature88.

La produzione e la commercializzazione del PVC venne però subito fortemente ostacolata dallo

scoppio della Seconda Guerra Mondiale e si dovette attendere il Dopoguerra per poter sviluppare le

potenzialità di crescita che la dirigenza della Ursus Gomma aveva intuito già nel ’39.

84 ACS, Min Ind, b. 212, fasc. 177, Programma dell’attività industriale nel quadriennio 1949-1953, p. 2. 85 ASCV, parte moderna, busta n. 1014, lettera del 16 ottobre 1939. 86 Testimonianza Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 87 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 5. 88 Gomma, vol 1, n. 1 gennaio febbraio 1941, p. 25.

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L’ultima strategia posta in essere per reagire alle difficoltà economiche degli anni ’30 fu la

razionalizzazione della produzione attraverso l’acquisizione di una nuova impresa operante nel

settore della gomma e in particolare nella produzione di tessuti gommati: La Ligure Caucciù.

Questa era un’azienda fondata nel 1931 ed operante inizialmente ad Albissola in provincia di

Savona89 che in seguito aveva trasferito i suoi impianti produttivi a Vigevano90 ed era caduta sotto il

controllo di Masseroni e Bertolini. Nel 1939, la Ursus Gomma decise di acquisirla anche

formalmente attraverso una fusione per incorporazione anche perché La Ligure Caucciù stava

accumulando perdite economiche. Seguendo lo stesso procedimento utilizzato per l’acquisizione del

Calzaturificio Ghisio, il capitale della società venne prima svalutato da 1 milione di lire a 800 mila

lire e poi acquisito. Contestualmente la Ursus Gomma aumentava il proprio capitale di un

ammontare corrispondente arrivando a 15 milioni.

7) La condizione operaia

La Ursus Gomma negli anni ’30 era una grande azienda con più di mille dipendenti in una città che

già allora era caratterizzata dalla prevalenza della piccola impresa. La differenza di dimensioni

poneva ai proprietari dei problemi e delle responsabilità nell’ambito della gestione delle relazioni

industriali che altri non avevano. Inoltre, il rapporto con i dipendenti era anche complicato

dall’intervento del regime fascista che imponeva particolari forme di inquadramento e

indottrinamento della manodopera.

L’effettiva condizione operaia alla Ursus Gomma era il risultato dell’interazione di tutti questi

elementi: sensibilità personali, scelte dei proprietari e legislazione fascista, a cui non bisogna

mancare di aggiungere gli effetti delle lavorazioni portate avanti e delle condizioni di lavoro.

Partendo da quest’ultimo elemento bisogna osservare che la gomma naturale è una fibra vegetale e

non è nociva di per sé alla salute di chi la lavora; nocivi sono invece gli additivi chimici utilizzati

nella sua lavorazione. Negli anni ’30 non c’era comunque la sensibilità e le conoscenze scientifiche

necessarie per affrontare con criteri moderni il problema della salute sui luoghi di lavoro. Anche se

non in modo organico alcuni progressi vennero fatti nel campo della legislazione, dei regolamenti e

della sicurezza in fabbrica. Tra questi possiamo ricordare la circolare applicativa di un

provvedimento del Ministero delle Corporazioni che ordinava di sostituire, come solvente per la

gomma, il benzolo con la benzina91.

89 Archivio Camera di Commercio di Milano, registro imprese, fasc. 177767, denuncia di modifica dell’11 ottobre 1939. 90 ASCV, parte moderna, busta 1006, lettera del 19 giugno 1935. 91 Il Popolo di Vigevano, anno II n. 4 del 25 gennaio 1935, p. 3.

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Dal punto di vista della sicurezza sul luogo di lavoro, negli anni ’30, la Ursus Gomma si poneva

all’avanguardia92, anche per la personale sensibilità di Pietro Bertolini che era stato operaio e per

questo molto attento alle problematiche sociali. Non solo, come già ricordato, gli ampliamenti degli

anni ’30 erano stati portati avanti tenendo anche conto dei rischi connessi al ristagno dei fumi delle

lavorazioni in luoghi troppo chiusi. I nuovi capannoni vennero costruiti in modo da essere ampi e

luminosi e soprattutto con grandi finestre; inoltre la fabbrica possedeva un impianto di aerazione

che d’inverno pompava aria calda, mentre d’estate aria fredda garantendo sia il ricambio che la

stabilità della temperatura interna93.

Retribuzioni ed orari di lavoro erano stabiliti negli anni ’30 non dalla contrattazione collettiva, ma

di fatto da decisioni del governo che poi venivano formalmente presentate come accordi corporativi

tra lavoratori e industriali. Tra le misure più importanti di questo periodo si possono ricordare la

riduzione dell’orario lavorativo a 40 ore nel 193494 e i modesti aumenti salariali concessi alla fine

degli anni ’30. Il primo provvedimento, accompagnato dall’istituzione del sabato fascista, venne

motivato dalla necessità di ridurre la disoccupazione, ma arrivò proprio in un momento in cui la

Ursus Gomma aveva difficoltà a trovare gli operai di cui aveva bisogno. Il secondo invece, più che

un aumento, rappresentò il recupero di una parte del potere di acquisto perso in seguito alla crisi del

’29.

Analizzando la condizione operaia sotto il fascismo si possono distinguere tre aspetti interessanti: le

gite, il lavoro dei gruppi aziendali all’interno dello stabilimento e l’attività sportiva.

Ogni anno la direzione della Ursus Gomma organizzava una gita per i suoi dipendenti della durata

di una giornata in collaborazione con altre aziende o più spesso da sola. Queste iniziative sono

estremamente rivelatrici del clima dell’epoca e del tipo di relazioni industriali vigenti alla Ursus

Gomma. Le gite venivano organizzate a turno dai proprietari, infatti la destinazione fu, nel ’39,

Salice con la partecipazione di Bertolini e Masseroni, mentre nel 1935, Stresa dove Magnoni ospitò

i dipendenti in una sua villa95. Un esempio tipico è la gita del 21 aprile del 1939 a Salice Terme

quando:

[…] di buonora 20 autocorriere tappezzate di grossi cartelli con scritte Gruppi aziendali formarono una lunga colonna trasportante oltre 900 operai da Vigevano e dai comuni circonvici a Salice Terme. A Salice, festosamente accolti dai dirigenti dell’O.N.D. […] fu formata una colonna che […] ha sfilato davanti al Monumento ai Caduti e indi al parco di Monte Alfeo posto riservato agli operai dell’Ursus. In testa alla colonna abbiamo notato il Cavaliere del Lavoro Bertolini, il Comm. Masseroni con la sua signora, i direttori […]. Nel parco […] il sign. Lovati ha comunicato la notizia che S.M. il Re d’Italia e di Albania, Imperatore di Etiopia aveva nominato Commendatore della Corona d’Italia il Sig. Masseroni. […]

92 Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46 93 Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 12, 21 dicembre 1934, p. 1. 94 Ibidem. 95 Ibidem, anno II, n. 16 del 19 aprile 1935.

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La colazione al cestino caldo è stata una esultante sorpresa in quanto i gitanti non aspettavano tanto di ben ordinato e somministrato. Al parco di Monte Alfeo sono state riservate le più alte manifestazioni della giornata, si che dopo la corsa delle carriole, dei sacchi, dell’albero della cuccagna e corsa podistica hanno cominciato ad affluire al parco i gruppi corali e folcloristici della montagna […] La festa termina con il saluto al Duce96.

Questa lunga citazione permette di evidenziare alcuni elementi interessanti. Le gite della Ursus

Gomma non erano semplici momenti di svago, ma erano momenti di aggregazione di una comunità

gerarchizzata in cui tutti si riconoscevano e avevano il fine di rinsaldare i legami di appartenenza al

gruppo e di esaltare l’azienda e la dirigenza. I proprietari dell’azienda si comportavano come i capi

della comunità e non a caso aprivano il corteo seguiti, in ordine gerarchico, dai direttori, dagli

impiegati e dagli operai. E come tali venivano esaltati di fronte alla manodopera, per esempio

comunicando davanti a tutti il conferimento di una onorificenza. Dall’insieme della giornata emerge

una forte connotazione paternalistica nelle relazioni tra proprietari e dipendenti, elemento

particolarmente evidente nella “sorpresa” del pasto caldo offerto agli operai. La gita, che per molti

versi ricorda una festa popolare, poi non mancava anche di esaltare il fascismo supremo garante

dell’ordine sociale. Le lodi al regime erano sempre un elemento importante di queste gite che

spesso vedevano la presenza anche di esponenti del fascio locale, oppure esprimevano un esplicito

sostegno alle politiche autarchiche, come nella gita a Bardonecchia del 1936 in cui:

I 150 del G.A «Ursus» portarono leggiadri copricapi, ed un cartellone raffigurante le sanzioni [causate dalla guerra di Etiopia N.d.R.] piegate dall’Italia, rappresentate dal toro piegato da Ursus, loro marca di fabbrica97.

Un altro elemento importante per valutare le condizioni di vita operaia all’interno della Ursus

Gomma è costituito dalla attività dei gruppi aziendali all’interno dello stabilimento. In un primo

tempo questi avevano la loro sedi dentro la fabbrica nella palazzina principale dell’ex calzaturificio

Ghisio, in un secondo momento vennero spostate in un edificio costruito appositamente in via San

Giacomo.

La Ursus Gomma aveva uno dei gruppi dopolavoristici meglio organizzati e dotati della città di

Vigevano sia per la particolare sensibilità dei suoi proprietari che per questioni di prestigio

aziendale. La struttura comprendeva una mensa per i dipendenti capace di fornire 500 pasti al

giorno, uno spaccio, spogliatoi con armadietto personale, una radio e una biblioteca per il personale.

In omaggio alle convenzioni morali dell’epoca vigeva una rigorosa separazione tra uomini e

donne98. A completare il quadro veniva una serie di servizi approntati per far fronte alle necessità di

96 Il Corriere di Vigevano, anno XLII, n. 18 del 30 aprile 1939. 97 Ibidem, anno XXXIV, n. 7 del 16 febbraio del 1936, p. 2. 98 Il Popolo di Vigevano, anno II, n. 23 del 23 maggio 1935, p. 1

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una manodopera superante il migliaio di persone e composta in gran parte da lavoratrici: un

ambulatorio medico e una sala per l’allattamento99.

I gruppi aziendali se da un lato fornivano dei servizi utili soprattutto per chi veniva da fuori

Vigevano, come la mensa, o svaghi allora poco diffusi, come la radio, dall’altro costituivano anche

un mezzo di controllo della manodopera che poteva essere anche molto invasivo. A questo si

aggiungeva la politica fascista che praticamente obbligava tutti i dipendenti delle grandi fabbriche

ad iscriversi ai gruppi aziendali e la divisione tra spazi maschili e femminili che costringeva molti

nuclei familiari a passare separati molto ore oltre a quelle lavorative.

Ultimo elemento caratterizzante la condizione operaia alla Ursus Gomma negli anni ’30 è costituito

dalle attività sportive. Anche in questo caso molto si deve alla politica fascista che voleva fare degli

italiani un popolo di atleti e di guerrieri e che, quindi, incentivava fortemente la formazione di

squadre aziendali. A questo primo elemento si deve aggiungere anche il fatto che il successo

sportivo di questi gruppi era anche un importante fattore di prestigio e di pubblicità perché venivano

organizzati tornei nazionali tra le principali fabbriche. Infine, non è da dimenticare che la

partecipazione alle squadre aziendali garantiva qualche piccolo beneficio agli atleti e le partite

erano un momento di svago e socializzazione per i dipendenti.

La Ursus Gomma aveva negli anni ’30 una squadra ginnica maschile, una di calcio maschile e due

di pallacanestro, una femminile e una maschile. L’azienda costruì anche un campo sportivo per gli

allenamenti in un terreno dei Gruppi Aziendali in via Madonna degli Angeli100.

Tra le squadre aziendali, quella con maggior successo sportivo era quella di pallacanestro femminile

le cui componenti erano chiamate affettuosamente “ursine” dalla stampa locale101. La Ursus

Gomma pallacanestro femminile partecipava, con alterne fortune, a dei campionati nazionali a cui

erano iscritte le squadre dopolavoristiche di altre importanti imprese come la FIAT102, la Pirelli, la

Caproni103 ecc., oppure addirittura in amichevoli con squadre estere come la GILE Lugano104.

99 Ibidem, anno II, n. 9 del 1 marzo 1935, p. 2. 100 Il Corriere di Vigevano, anno XLIII, n. 10 marzo 1940, p. 2. 101 Ibidem, anno XLII, n. 12 del 19 marzo 1939, p. 2. 102 Ibidem. 103 Ibidem, anno XLI, n. 49 del 12 dicembre 1937, p. 2. 104 Ibidem, anno XLII, n. 15 del 9 aprile 1939, p. 2.

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8) I dirigenti della Ursus Gomma negli anni ‘30

Parlare della proprietà della Ursus Gomma negli anni ’30 vuol dire discutere il ruolo di Pietro

Magnoni, di Pietro Bertolini e di Rinaldo Masseroni nella vita cittadina e dei loro rapporti con il

fascismo.

Sotto il regime totalitario di Mussolini non si poteva intraprendere alcuna attività economica di

qualche rilevanza senza essere sostenitori, più o meno convinti, del fascismo. Inoltre, i grandi

industriali costituirono uno dei gruppi sociali più favoriti dal regime e, di conseguenza, uno di quelli

che aderì in modo più compatto al blocco sociale che sostenne il fascismo. Nonostante ciò alcuni

gruppi, come gli industriali tessili, sfavoriti da provvedimenti come la quota 90 non mancarono di

criticare il governo e come già visto, la stessa Ursus Gomma polemizzò in più occasioni in merito

alle assegnazioni di materie prime. Non era però possibile un atteggiamento di aperta critica al

regime fascista e su questo punto si può citare un episodio particolarmente significativo riguardante

la richiesta fatta dalla Ursus Gomma di diventare fornitore delle Ferrovie dello Stato. Ricevuta la

domanda, l’ufficio Servizi di approvvigionamento scrisse al podestà di Vigevano chiedendo

informazioni in merito all’affidabilità economica dell’impresa e, soprattutto, alla fede politica dei

suoi proprietari e principali dirigenti. La risposta del podestà specificava dettagliatamente come:

Alla direzione tecnica e amministrativa sono preposti i Sigg. Bertolini Cav. del Lavoro Pietro: Presidente; Masseroni Comm. Rinaldo: Consigliere Delegato, i quali sono iscritti al P.N.F. I dirigenti tecnici sono i Sig. Casolera Cav. Giuseppe, iscritto al P.N.F.; il dott Romani Egisto; Dott. Pelizzola Camillo e il Sig. Ozello Mario, i quali, pur non essendo iscritti al P.N.F., sono simpatizzanti per il Regime. I predetti sono di nazionalità italiani e di razza ariana105.

Se una di queste persone non fosse stata iscritta o simpatizzante, oppure di religione ebraica

probabilmente la richiesta di fornitura non sarebbe stata presa in considerazione.

L’atteggiamento prevalente dei proprietari della Ursus Gomma fu quindi improntato alla

collaborazione e al sostegno del fascismo, che ricambiò favorendo lo sviluppo dell’azienda e

insignendo di onorificenze i suoi dirigenti106.

Questo è particolarmente evidente per la figura di Pietro Magnoni che all’inizio degli anni ’30

rappresentava l’impresa e anche più in generale l’industria locale in seno alle istituzioni. Appena

dopo la nascita della Ursus Gomma ricopriva la carica di presidente degli industriali di Vigevano107

105 ASCV, parte moderna, busta 1014, lettera del 2 settembre 1939. 106 Sulla nomina di Rinaldo Masseroni a Commendatore della Corona d’Italia si è già detto, in questa sede basta aggiungere che Pietro Bertolini venne nominato Cavaliere del Lavoro su iniziativa del Ministero delle Corporazioni e l’onorifienza gli venne attribuita proprio durante la festività fascista del 21 aprile assieme ad altri importnti esponenti del mondo dell’economia, come l’editore Bemporand e l’amministratore delegato della Montecatini Donegani. Cfr. Economia Nazionale, anno XXVIII, n. 5 maggio 1936, p. 38. 107 Il Corriere di Vigevano, anno XXXV, n. 46 del 13 novembre del 1932.

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e come tale venne designato a far parte della sezione industriale del Consiglio Provinciale

dell’Economia Corporativa108. Inoltre, Pietro Magnoni ebbe importanti responsabilità

nell’organizzazione delle prime edizioni della settimana vigevanese in cui collaborò nella parte

industriale, che era anche quella più importante per il rilancio dell’economia locale.

L’ispirazione ideologica ed etica di Pietro Magnoni e anche di Pietro Bertolini, suo socio già da

anni nella Ursus Cuoio, era però di tipo cattolico, come dimostra la scelta di fondare imprese con

denominazioni che facevano riferimento a personaggio del romanzo di Sienkiewicz. Quo vadis? che

è un’opera interamente pervasa da un forte spirito cattolico.

L’ispirazione religiosa sta anche alla base di molte iniziative sociali portate avanti da Pietro

Bertolini e si riflette anche nel clima paternalistico che caratterizzava le relazioni industriali della

Ursus Gomma. Tra le principali iniziative sociali di questo periodo spicca l’idea di costruzione di

case popolari in via dei Mulini su progetto dell’ing. Rota. Purtroppo la realizzazione venne

interrotta e rimandata a causa del razionamento dei materiali edili dovuto alle sanzioni della guerra

etiope109. Il progetto era piuttosto avanzato per l’epoca con diverse tipologie, dal trilocale al

monolocale, la presenza di riscaldamento con termosifone al posto della stufa, gas in ogni

appartamento e locali comuni come lavanderie, depositi per le biciclette, ecc110. Per la modernità

della concezione, l’iniziativa di Bertolini in piccolo ricorda il contemporaneo programma di

costruzione degli imprenditori cattolici Falck111.

L’ispirazione sociale cattolica e l’etica del lavoro erano anche elementi all’origine di molte altre

iniziative come i premi offerti da Pietro Bertolini durante le varie edizioni della Settimana

Vigevanesi per gare di abilità nella produzione di calzature, con lo scopo di incentivare la

laboriosità e la qualità del lavoro112.

Negli anni ’30, invece, fu meno appariscente il ruolo di Rinaldo Masseroni che concentrò la

maggior parte delle sua attività in città alla direzione della Ursus Gomma e, pur essendo

ampiamente conosciuto, non era ancora il personaggio pubblico che poi divenne nel Dopoguerra

con la presidenza dell’Inter. Il suo ruolo pubblico si esplicò soprattutto attraverso il lavoro

organizzativo nella preparazione della Settimana Vigevanese, in cui Masseroni si impegnò non

poco, concentrando, ovviamente, la sua attenzione sulla parte industriale.

108 Ibidem, anno XXXV, n. 45 del 4 novembre 1932. 109 Il Corriere di Vigevano, anno XLI, n. 36 dell’11 settembre 1938. 110 Ibidem. 111 Pozzobon M. e Mari R., Le Acciaierie e la ferrerie lombarde Falck, pp. 83-226, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978, p. 116. 112 Ibidem, anno XL, n. 22 del 29 maggio 1938.

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La Guerra e la caduta del Fascismo (1940-1945)

1) Introduzione

La Seconda Guerra Mondiale fu un momento decisivo della storia italiana che trasformò

profondamente sia le coscienze che parte delle strutture istituzionali ed economiche. Gli aspetti

politici della guerra e della resistenza sono ampiamente noti, sia a livello nazionale che rispetto alla

città di Vigevano, meno invece quelli economici e sociali del conflitto.

2) Le conseguenze economiche della guerra in Italia e in provincia di Pavia.

La Seconda Guerra Mondiale ebbe per l’Italia conseguenze economiche profondamente diverse

rispetto alla Prima Guerra Mondiale. Entrambi i conflitti videro lo scontro delle più grandi potenze

industriali e furono vinti dalla coalizione che riuscì a mobilitare in modo più efficace il proprio

potenziale economico e a disporre del maggior quantitativo di materie prime.

Durante la Prima Guerra Mondiale, l’Italia combatté a fianco delle potenze che controllavano le

principali risorse minerarie ed agricole mondiali ed ebbe libero accesso ad esse. La disponibilità di

materie prime assieme all’alta domanda bellica dello stato fecero da volano a uno sviluppo mai

visto prima dell’apparato industriale italiano. Gli altissimi e sicuri profitti, la necessità di far fronte

alle commesse belliche spinsero le imprese italiane a fare grandissimi investimenti produttivi e le

banche a concedere liquidità in quantità mai viste prima113.

La Seconda Guerra Mondiale ebbe caratteristiche del tutto opposte. L’Italia non solo entrò in guerra

contro le più grandi potenze industriali dell’epoca, Gran Bretagna, Stati Uniti ed URSS, ma

soprattutto contro i paesi che detenevano il controllo delle fonti di materie prime indispensabili per

il funzionamento dell’industria. Tra queste principalmente il carbone, i rottami ferrosi e la gomma,

113 Romeo R. Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961, p. 122.

Page 36: Storia della Ursus Gomma (1931-1987) Ursus Gomma.pdf5 La nascita e il Fascismo (1931-1939) 1) Introduzione La Ursus Gomma nacque agli inizi degli anni ’30 in un contesto storico

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che venivano importati, soprattutto via mare dall’Inghilterra, e che non potevano essere sostituiti da

importazioni dalla Germania. Infatti questo paese doveva affrontare gravi problemi di carenza di

materie prime ed era impegnato in un colossale sforzo bellico. A ciò poi va aggiunta anche la

lentezza con cui il governo fascista provvide a mobilitare l’apparato produttivo e l’impreparazione

generale con cui il paese entrò in guerra114.

In questa condizione di difficoltà l’apparato industriale si dimostrò inefficiente e la produzione

prendendo come base 100 l’anno 1938, salì di 10 punti nel 1940 e poi cominciò a precipitare

toccando quota 89 già nel 1942115. Solo nel 1941, ben 729 stabilimenti dell’industria bellica

dovettero arrestare la produzione per periodi più o meno lunghi a causa della mancanza di materie

prime116. A partire dal 1942 si aggiunsero alla già grave situazione l’inizio dei bombardamenti degli

Alleati, che colpirono molte infrastrutture disorganizzando la produzione, e il malcontento della

manodopera verso la guerra. Inoltre, il regime fascista fu costretto a ridurre a più riprese le razioni

alimentari, che arrivarono addirittura a meno di un migliaio di calorie giornaliere pro capite117.

Con il 1943 ci fu una breve ripresa industriale appena dopo l’occupazione nazista che cercò di

rianimare l’industria italiana e infine un arresto quasi completo dalla fine del 1944 alla

Liberazione118.

Una delle principali novità della Seconda Guerra Mondiale fu il rilancio in grande stile delle

agitazioni operaie che, cominciate inizialmente per protesta contro la carenza di generi alimentari,

cominciarono a poco a poco a politicizzarsi in senso antifascista portando ad un risveglio delle

coscienza, ad una rinascita democratica e al superamento del paternalismo dell’epoca fascista.

La situazione della provincia di Pavia non fu dissimile da quella del resto dell’Italia e Vigevano

ebbe vicende simili a quelle di tutti gli altri centri industriali del Nord: rallentamento ed arresto

della produzione, mobilitazione operaia in senso antifascista e sviluppo della resistenza sia in forma

violenta che non violenta.

Il lento degenerare della situazione industriale può essere seguito con precisione attraverso le

relazioni sulla situazione politico economica della provincia preparate dalla Regia Questura di

Pavia, che erano dei documenti che lo stato fascista richiedeva mensilmente per controllare più

efficacemente la situazione e il morale del paese.

La relazione del marzo del marzo del 1942 documenta in modo preciso le difficoltà dell’industria

osservando come:

114 Ibidem, p. 195. 115 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 242. 116 Romeo R. Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961, p. 199. 117 Ibidem, p. 197. 118 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 244.

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La limitazione del consumo dell’energia elettrica, la mancanza di combustibili, il divieto di utilizzare la legna da ardere per usi industriali – specie dopo che numerosi stabilimenti della provincia si erano attrezzati per sostituire la legna al combustibile fossile, nonostante l’onere del maggior costo – e, infine, le aumentate difficoltà nel rifornimento di materie prime hanno creato una situazione di disagio che si ripercuote gravemente sull’andamento della produzione119.

In particolare, l’industria calzaturiera si trova in grandi difficoltà a causa

della sostituzione delle materie prime con prodotti autarchici che, nonostante, la qualità inferiore e la minore resistenza, spesso costano di più delle materie prime classiche (cuoio e gomma)120.

Scarsa qualità che si ripercuoteva anche sui beni prodotti e tendeva ridurne la domanda, perché i

consumatori ritenevano il punteggio attribuito nell’ambito del razionamento dal governo troppo

elevato rispetto alla qualità delle calzature121.

In provincia il blocco quasi totale della lavorazione nel settore gomma arrivò nel novembre del

1942122. In seguitò ci fu un continuo alternarsi brevi riprese seguite da periodi di arresto o forte

rallentamento della produzione che perdurò fino ai primi mesi dopo la caduta del fascismo. Con

l’inizio dell’occupazione tedesca il sistema di assegnazione delle materie prime venne rivisto e

razionalizzato attribuendo la maggior parte delle risorse alla produzione bellica con il risultato di

deprimere ancora di più i consumi e aumentare il già vasto malcontento popolare e determinando

una situazione in cui:

Nel settore delle calzature per la produzione civile si lavora nei limiti dei contingenti di materia prime concessi, mentre la produzione militare negli stabilimenti è normale123.

Il razionamento e la carenza di beni, assieme all’andamento sfavorevole delle vicende belliche

provocarono una progressiva demoralizzazione della popolazione che spinse molti a distaccarsi al

regime. La regia prefettura già nel 1942 osservava con preoccupazione come:

Lo spirito pubblico risente principalmente delle limitazioni alimentari e dell’alto costo della vita […] Si avverte inoltre un senso di depressione per le sfortunate vicende belliche del fronte africano. Ma quelle che veramente hanno prostrato lo spirito pubblico sono le incursioni aere nemiche. La vicinanza , poi, con Milano – che si ritiene debba essere ancora e più seriamente colpita – fa vivere la popolazione in continuo e penoso orgasmo124.

Se nel 1942 questa demoralizzazione non si esprimeva ancora in forma organizzata e restava un

fenomeno ancora passivo, con la caduta del fascismo, la fuga del Re e l’occupazione militare

119 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, n. 24, busta 1, serie 1, fasc. 2, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 31 marzo 1942, p. 2. 120 Ibidem, p. 3. 121 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 3° giugno 1942, p. 3. 122 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 31 dicembre 1942, p. 2. 123 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia, del 1 settembre 1944, p. 1. 124 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 31 dicembre 1942, p. 4-5.

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tedesca si ebbe una decisa inversione di tendenza e l’inizio di una serie di scioperi e agitazioni tra

gli operai e i ceti popolari.

3) La Ursus Gomma durante la guerra: commesse belliche e stasi della produzione

L’inizio della guerra trasformò profondamente le condizioni di lavoro e mercato in cui operava la

Ursus Gomma nel senso di accentuare ulteriormente gli effetti negativi della carenza di materie

prime e del dirigismo statale.

La Ursus Gomma fu, come molte altre imprese italiane, coinvolta nello sforzo bellico italiano come

stabilimento ausiliario125. Le commesse militari non erano però una novità per l’azienda che aveva

già partecipato allo sforzo bellico italiano all’epoca della guerra di Etiopia e, probabilmente, anche

durante il coinvolgimento delle truppe italiane nella guerra civile spagnola126. Il conflitto mondiale,

ovviamente, determinò un salto di qualità notevole e la destinazione di gran parte della produzione

alle esigenze belliche. Il lavoro della Ursus Gomma per l’esercito italiano non si limitò solo alle

calzature in gomma o agli impermeabili, ma si concentrò anche nella produzione di articoli tecnici

in gomma127.

Le commesse belliche furono però ben presto ostacolate dalla mancanza di materie prime che

costrinse lo stabilimento a rallentare il ritmo produttivo e poi a fermare le macchine. La scarsità

riguardava sia la gomma, che venne sostituita con cascami, che la disponibilità di fonti energetiche

che erano pure razionate.

La prima interruzione completa delle lavorazioni avvenne già nel dicembre del 1941, la Ursus

Gomma fu dunque una delle 729 imprese dell’industria militare a dover fermare le macchine, per

due motivazioni:

1) scarsità di cascami mobili da rigenerare da impiegare per la lavorazione degli articoli in gomma e per la mancanza di resine gregge per non consegna da parte della Montecatini; 2) raggiunto limite di consumo di energia128.

L’attività produttiva riprese dopo qualche giorno già il 7 di gennaio, ma solo per gli articoli estivi,

perché per quelli invernali mancavano alcuni componenti indispensabili per la fabbricazione129.

125 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 5. 126 Nel 1936 il prefetto di Pavia autorizzò la sospensione della festività del sabato fascista alla Ursus Gomma sino al 31 maggio per far fronte alle ordinazioni di calzature militari. Cfr. ASCV, parte moderna, busta 1006, lettera del 26 aprile 1936. 127 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 5. 128 ASCV, parte moderna, busta 1022, lettera del 20 dicembre 1941. 129 Ibidem.

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Nonostante le difficoltà, la Ursus Gomma fu un’impresa privilegiata rispetto alle altre perché

partecipava alla produzione bellica e occupava un elevato numero di persone.

Le autorità fasciste cercarono per quanto possibile di evitare l’interruzioni delle lavorazioni belliche

lasciando letteralmente a secco di materie prime le altre imprese e di evitare il dilagare dello

scontento per la disoccupazione. A questo fine le autorità provinciali di Pavia riuscirono ad

ottenere, nel settembre del 1942, una corsia preferenziale nell’assegnazione di materie prime a tutti i

calzaturifici che occupavano più di 50 dipendenti permettendo il funzionamento di questi, che

occupavano circa 4000 persone, a spese di tutti gli altri130. E la Ursus Gomma in questo gruppo di

imprese “fortunate” aveva un peso rilevante in quanto, pur non raggiungendo più i livelli

occupazionali dell’anteguerra, impiegava ancora più di 800 persone. Provvedimenti simili vennero

presi anche dalle autorità della R.S.I. e dall’amministrazione germanica in Italia. Le autorità

tedesche avevano ovviamente il controllo della maggior parte delle scarse risorse e le assegnavano

solo per forniture militari. In questo modo Bertolini e Masseroni si troverono a dipendere sempre

più dalle commesse militari delle forze occupanti che rappresentavano più metà delle vendite

dell’impresa131.

La Ursus Gomma beneficiò anche dell’attribuzione di un motore da sommergibile da utilizzare per

produrre energia durante le interruzioni di corrente o i bombardamenti132. Motore che andava ad

integrare gli altri generatori della fabbrica e che erano una caldaia a carbone e una a metano133.

In tabella 2.1 sono raccolti le serie temporali di alcune voci patrimoniali durante la Seconda Guerra

Mondiale al fine di valutare l’andamento economico della Ursus Gomma.

La seconda colonna riporta la serie temporale del capitale fisso ottenuta aggregando le voci

immobili ed impianti, macchinario ed attrezzi dell’attivo del bilancio. La seconda e la terza colonna

riportano il fatturato e l’utile di esercizio rispettivamente. La penultima riporta il ROE (return on

equity) che è un indice che misura la redditività effettivamente ottenuta dall’impresa rispetto al

capitale investito dai soci, che all’epoca era di 15 milioni di lire134. Infine, l’ultima colonna presenta

il rapporto tra capitale fisso e fatturato.

I valori della serie temporale dicono poco se considerati in valore assoluto perché rispetto agli anni

’30 c’era stata un’ampia svalutazione della lira e non è neanche significativo convertirli in valuta

attuale perché le dimensioni economiche delle imprese sono cambiate. A questo problema bisogna

aggiungere quello dei criteri con cui venivano valutate le voci di bilancio. Alcune, come le voci

130 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, n. 24, busta 1, serie 1, fasc. 2, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 30 settembre 1942, p. 3. 131 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr. ingr. Arch. 2/14, bilanci 1944 e 1945. 132 Testimonianza Pavesi Roberto del 30 maggio 2006 raccolta dall’autore. 133 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Appendice alla Relazione sulla situazione industriale della Sezione gomma (1947) Archivio Camera di Commercio di Milano, Registro Imprese, fasc. 177767, denuncia di modifica dell’11 ottobre 1939.

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relative al macchinario ed attrezzi, erano iscritte a bilancio per valori inferiori al loro valore reale

per ragioni di prudenza. Questa sottostima, nel 1946, ammontava secondo i calcoli di funzionari

della Banca d’Italia, a circa un terzo135.

Tabella 2.1 – Andamento temporale di alcune voci

anno capitale fisso Fatturato utile/perdite di

esercizio ROE cap. fisso su

fatturato 1939 6.811.330 21.386.471 271.057 1,8 31,84878 1940 8.642.379 28.456.435 529.783 3,5 30,37056 1941 8.945.979 24.817.826 852.675 5,6 36,04659 1942 9.489.548 31.479.521 912.430 6,0 30,14515 1943 9.592.719 23.501.492 905.772 6,1 40,81749 1944 10.135.590 72.557.302 1.148.284 7,7 13,96908 1945 10.473.301 72.794.627 -3.807.453 -25,3 14,38747

Tenendo presente queste considerazioni si può osservare come la serie storica del capitale fisso

della Ursus Gomma mostra un salto tra il 1939 e il 1940 e poi un andamento regolare. Questa

discontinuità documenta vennero effettueti investimenti per convertire gli impianti alla produzione

bellica, ma poi successivamente non si incrementarono più le capacità industriali a causa della

carenza di materie prime e dell’andamento sfavorevole della guerra. L’esatto opposto di quanto

accaduto durante la Prima Guerra Mondiale in cui le imprese continuarono ad investire e ad

espandersi fino alla fine del conflitto.

Anche il trend del fatturato complessivo dell’impresa mostra delle discontinuità che seguono da

vicino l’andamento degli eventi bellici. Se si prende come pietra di paragone il dato del 1939,

ultimo anno di pace, si può notare come la guerra portò a un’espansione del fatturato piuttosto

discontinua con battute di arresto nel 1941 e nel 1943 a causa della mancanza di materie prime e

dell’instabilità politica. A partire dal 1944 il dato presenta una forte discontinuità da attribuire

all’aumento dei prezzi, che le autorità della R.S.I. nonostante i controlli amministrativi non

riuscivano ad evitare.

Nel complesso però la Ursus Gomma riuscì a mantenersi nonostante tutto un’impresa capace di

produrre reddito, e quindi economicamente efficiente per quasi tutta la durata della guerra. Il ROE

se confrontato con i valori del 1939, andò progressivamente aumentando pur non presentando gli

extraprofitti che erano stati tipici della Prima Guerra Mondiale. Solo nel 1945 ci furono perdite

rilevanti che sono spiegabili con l’arresto della produzione militare dovuto alla fine della guerra e

alla disorganizzazione delle reti distributive dei manufatti. Anche il rapporto tra capitale fisso e

135 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr. ingr. Arch. 2/14, raccomandata del 18 dicembre 1946.

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fatturato registra i disordini economici causati dal periodo finale della guerra perché mostra un vero

e proprio balzo a partire dal ’44.

4) La condizione operaia

Dal punto di vista operaio, la Seconda Guerra Mondiale fu un momento di risveglio e protagonismo

sociale che ruppe la cappa oppressiva imposta dal regime fascista. I principali episodi di questo

nuovo attivismo furono gli scioperi della primavera del 43 e del 44 e l’insurrezione del 25 aprile. La

mobilitazione operaia nata inizialmente come movimento di protesta contro la guerra e il

razionamento dei generi alimentari acquisì ben presto un forte carattere antifascista e si radicalizzò

in senso comunista. Il movimento fu particolarmente vivo nel triangolo industriale che concentrava

circa metà dell’industria italiana dell’epoca136.

Anche Vigevano, che all’epoca era un medio centro di provincia con una forte vocazione

industriale, venne interessata da questo risveglio. Idealmente si può far cominciare questo processo

di distacco degli operai dal fascismo dalla guerra di Etiopia e farlo finire con le prime elezioni

sindacali del Dopoguerra.

La vittoria contro il Negus abissino e la successiva proclamazione dell’Impero costituirono il

momento di maggior consenso popolare per il regime fascista. A Vigevano, come in molte altre

città italiane, si ebbero spontanee manifestazioni di giubilo popolare in cui:

[…] gli operai che al mattino avevano lavorato, vollero anche essi dimostrare il loro entusiasmo per la vittoria e, lasciati gli opifici, incolonnatosi con cartelli e bandiere si recarono in piazza Ducale. Da tutte le vie, che si conducono, la piazza fu invasa e le grida inneggianti al Duce e alla Vittoria s’alternarono cogli inni nazionali e della rivoluzione. L’industriale Bertolini, Cavaliere del Lavoro, acclamato dai suoi operai, disse brevi parole, ricordando che, nato operaio, egli, benché industriale, vuole essere con i suoi operai137.

Le elezioni sindacali del febbraio 1946, che attribuirono più del 70% dei suffragi alla corrente

sindacale comunista138 costituiscono idealmente la fine del processo di distacco del fascismo.

Motore di questa trasformazione furono i bombardamenti del 1942, gli avvenimenti successivi al 25

luglio, la carenza di generi alimentari e l’attività antifascista svolta dalle cellule comuniste. In città

queste ultime ebbero un ruolo fondamentale e furono di gran lunga il gruppo antifascista più attivo e

con il più ampio seguito popolare139. Successo che dipese più che da una politicizzazione in senso

136 De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization i Italy: 1946-1951, pag. 59, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992 137 Il Corriere di Vigevano, anno XXXIX, n. 20 del 17 maggio 1936, p. 1. 138 L’Indipendente vigevanese, anno II, n. 12 del 19 febbraio 1946, p. 1.. 139 Testimonianza di Ernesto Gusberti raccolta da Marco Savini.

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comunista, che era propria solo di una minoranza, dal riconoscimento dell’efficacia della rete di

resistenza, rivendicazioni salariali e solidarietà antifascista che i comunisti seppero costruire.

La Ursus Gomma ebbe un ruolo molto importante nella presa di coscienza operai di Vigevano

perché costituiva una delle principali concentrazioni di manodopera della città. Inoltre, non si

possono dimenticare gli stretti legami esistenti tra le maestranze della Ursus Gomma e quelle della

Ursus Cuoio che erano cementati non solo dalla comune proprietà, ma anche dalle relazioni

personali costruite grazie all’azione dei gruppi aziendali fascisti delle due aziende.

L’attività antifascista interna alla fabbrica si manifestò in tre modalità differenti: la diffusione di

stampa antifascista, il sabotaggio della produzione e gli scioperi.

La prima e, forse, la più importante modalità, fu certamente la diffusione della stampa antifascista,

prevalentemente comunista. Attraverso canali attivi già prima dell’8 settembre del 1943 la

diffusione di giornali e di volantini avveniva attraverso l’introduzione di alcune copie all’interno

della fabbrica che poi venivano passata da operaio ad operaio negli spogliatoi o altri locali

comuni140. La stampa antifascista ebbe un ruolo fondamentale nel distacco delle coscienze dal

regime e nella nascita di una nuova coscienza democratica; perché rompeva anche simbolicamente

con la propaganda fascista e proponeva una visione del mondo alternativa e forniva gli elementi

basilari per una valutazione critica e consapevole della guerra e del Ventennio.

Secondo elemento importante, anche se quasi impossibile da quantificare, fu costituito dal

sabotaggio della produzione bellica attraverso la confezione di prodotti volutamente difettosi, il

rallentamento della velocità di lavoro e, quando possibile, la messa a disposizione di parte della

produzione alle forze di resistenza. Il sabotaggio non caratterizzò solo la Ursus Gomma, ma

interessò anche la Ursus Cuoio e altre imprese vigevanesi e fu osteggiato dalla proprietà. Infatti, gli

industriali delle fabbriche coinvolte nel boicottaggio temevano rappresaglie da parte delle autorità

tedesche, addirittura, la confisca di tutti i macchinari e il loro trasferimento in Germania141.

Infine, l’attività antifascista degli operai della Ursus Gomma si esprimeva anche attraverso l’arma

dello sciopero, che in un paese occupato da una potenza straniera e sottoposto ad un regime

totalitario aveva un significato speciale e comportava rischi estremamente elevati. Per questi motivi

gli scioperi alla Ursus Gomma, come in altre realtà, erano sempre giustificati con motivazioni di

ordine economico od annonario, anche se un elemento politico era presente142. Inoltre, costituendo

l’impresa una delle principali concentrazioni operaie della città, questi scioperi creavano un forte

danno d’immagine per il regime e tendevano a venir emulati anche nelle altre fabbriche cittadine.

140 Idem. 141 Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983, p. 9. 142 Testimonianza di Ernesto Gusberti raccolta da Marco Savini.

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Tutte le agitazioni erano organizzate e dirette dalle cellule antifasciste clandestine che scavalcavano

i sindacati fascisti e le organizzazioni dopolavoristiche ed erano particolarmente ben radicate

all’interno della Ursus Gomma.

5) Lo sciopero del dicembre del 1943

Durante il periodo bellico la Ursus Gomma fu interessata da tre principali scioperi che segnarono

anche diversi stadi di evoluzione della lotta antifascista.

La prima sospensione del lavoro, immediatamente successiva al 25 luglio del 1943, non interessò

solo i dipendenti della Ursus Gomma, ma più in generale tutta la forza lavoro della città. Allo

sciopero spontaneo seguirono manifestazioni di gioia popolare e manifestazioni di piazza143 che più

che una presenza organizzata dell’antifascismo denotavano la volontà di pace e il rifiuto del

fascismo.

Gli altri due scioperi importanti della Ursus Gomma risalgono rispettivamente al dicembre del 1943

e al novembre del 1944 ed ebbero caratteristiche in parte differenti e meritano di essere esaminati

separatamente.

La prima agitazione in ordine temporale risale al 15 dicembre del 1943 e fu brevissima durando

infatti solo dalle ore 14,30 fino alle ore 16 del pomeriggio144. All’interruzione del lavoro che

riguardò praticamente tutti di dipendenti, seguì una breve trattativa che si concluse con

l’accettazione di tutte le richieste avanzate dalle maestranze e la promessa di interventi contro il

carovita e la scarsità di generi alimentari. Per la precisione gli operai della Ursus Gomma ottennero:

1) premi in denaro differenziati per operai con famiglia a carico oppure no.

2) l’erogazione di 2 kg di riso a testa oltre a quanto già previsto dalla tessere del razionamento

alimentare145.

Anche se le motivazione dello sciopero furono “ufficialmente” di ordine economico alle autorità

fasciste non sfuggì il carattere politico che aveva la protesta e infatti notavano come:

sembra che tale manifestazione abbia voluto avere un carattere di solidarietà con le maestranze di Milano e Pavia che da qualche giorno sono in sciopero, mentre gli operai vorrebbero far credere che la dimostrazione sarebbe stata fatta per ottenere un aumento di salario, aumento di razione viveri, calzature, gomme per le biciclette e premio di fine anno146.

143 Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983, p. 5. 144 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri,, busta 1, cartella 5, fascicolo 21, lettera del 16 dicembre 1943 della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, comando Vi legione, Vigevano. 145 Ibidem, lettera del 17 dicembre del 1943 della Legione Territoriale dei Carabinieri di Alessandria Compagnia di Vigevano. 146 Ibidem, lettera del 16 dicembre 1943 della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, comando Vi legione, Vigevano.

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Motivazione politica che è rinforzata anche dal fatto che lo sciopero venne iniziato proprio in

occasione della visita a Vigevano del Segretario Generale del Sindacato Fascista dei Lavoratori

dell’Industria, che svolse un ruolo importante nelle trattative.

L’esito favorevole della vertenza spinse gli operai ad avanzare nuove richieste e ad astenersi

nuovamente dal lavoro già il 17. I lavoratori presentarono un insieme di richieste articolate che

costituiva di fatto una piattaforma di contrattazione sindacale completa, fatto impensabile fino a

qualche mese prima. Le richieste riguardavano aumenti salariali, gratifiche natalizie sia in denaro

che in natura e la distribuzione di razioni di latte per gli operai che lavoravano in reparti dannosi per

la salute147.

Con un forte elemento di novità rispetto al precedente periodo fascista, lo sciopero costrinse le

autorità fasciste a trattare con la manodopera e il Presidente della Ursus Gomma, Pietro Bertolini,

ad intervenire come mediatore tra le parti per evitare rappresaglie. La vertenza si concluse con la

parziale accettazione della richieste delle maestranze e la promessa, da parte delle autorità, di

ulteriori concessioni in futuro.

Gli scioperi del dicembre del 1943, che poi in definitiva costituiscono momenti di una stessa

vertenza, permettono di evidenziare alcune caratteristiche interessanti dell’attività antifascista alla

Ursus Gomma. Un primo elemento importante è costituito dal grado di compattezza della protesta

che interessò tutti i dipendenti dell’impresa, circa 800 persone in gran parte donne. Non si trattò di

un elemento scontato perché la città era militarmente occupata dalle forze militari tedesche che

seguirono attentamente la vertenza Ursus Gomma148. Fin dal loro insediamento a Vigevano

l’esercito germanico adottò una politica intimidatoria nei confronti della popolazione sia imponendo

il coprifuoco notturno sia attraverso una dura repressione del nascente movimento di resistenza.

Solo poco più di un mese prima dello sciopero della Ursus Gomma soldati tedeschi avevano

prelevato e fucilato in Castello, a scopo intimidatorio, l’antifascista Giovanni Leone e questo evento

aveva suscitato una forte impressione in città149. In queste condizioni, lo sciopero di più di 800

persone costituiva un successo organizzativo e simbolico per tutto il movimento antifascista

cittadino. Successo a cui il Capo della Provincia rispose ordinando una serrata punitiva a tempo

indeterminato della Ursus Gomma150, provvedimento che dopo qualche giorno venne ritirato sia in

seguito alle proteste dei proprietari che per non rallentare troppo la già scarsa produzione bellica.

147 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, busta 1, cartella 5, fascicolo 21, lettera del comando di piazza di Pavia senza data. 148 Ibidem, lettera del 19 dicembre del 1943 della Legione Territoriale dei Carabinieri di Alessandria Compagnia di Vigevano. 149 Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983, p. 7. 150 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, busta 1, cartella 5, fascicolo 21, lettera del 19 dicembre del 1943 della Legione Territoriale dei Carabinieri di Alessandria Compagnia di Vigevano.

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Un secondo elemento molto importante è l’unione tra rivendicazioni economiche e sabotaggio

antifascista dello sforzo bellico. Anche se spesso nel ricordare la Resistenza si mette l’accento

sull’aspetto della lotta per la libertà e contro l’occupazione tedesca, bisogna ricordare che essa ebbe

anche una forte componente di rivendicazioni sociali. Soprattutto negli ambienti popolari

l’antifascismo fu alimentato, oltre che da rivendicazioni di principio, dalla volontà di riscatto

sociale e di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Appunto con questo spirito gli operai e

le operaie della Ursus Gomma, mentre bloccavano la produzione bellica, avanzavano una serie di

rivendicazione che andavano dalle gratifiche natalizie alla sicurezza sul luogo di lavoro.

6) Lo sciopero del novembre del 1944

Lo sciopero del novembre del 1944 che iniziato il 19, ebbe strascichi per più di due mesi, con nuove

interruzioni del lavoro, dimostrazioni di donne151 e vide una stretta collaborazione tra i dipendenti

della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio.

Le proteste ebbero una forte risonanza a livello provinciale e spinsero il Capo della Provincia

Tuninetti a una reazione molto dura che giunse fino a rifiutare anche solo di ascoltare le richieste

degli operai anche perché questi agivano scavalcando completamente il sindacato fascista che era

rappresentato in tutte la aziende da una commissione di fabbrica.152.

La dinamica della vertenza è particolarmente interessante, infatti dalla ricostruzione fattane dal

sindacato fascista risulta come:

Un gruppo di operai, che si era sostituito alla commissione di fabbrica, aveva richiesto alla Direzione della ditta Ursus Gomma […] la distribuzione di articoli prodotti dall’azienda e precisamente tovaglie di plastica nel quantitativo di 40 metri per ciascun dipendente[…]. Trattandosi di un prodotto la cui materia prima è bloccata la ditta si è riservata una decisione subordinatamente alla concessione dello sblocco da parte degli Uffici Economici Germanici competenti. […] Le riserve della ditta fornirono agli operai un pretesto per assumere un atteggiamento di protesta che sfociò nella sospensione del lavoro. […] Occorre rilevare che, purtroppo, una parte della maestranza occupata presso la Ursus Gomma è palesemente manovrata da elementi perturbatori esterni e presumibilmente anche interni, la cui opera sobbiliatrice ha effetto specialmente tra la maestranza femminile153.

Gli operai della Ursus Gomma volevano essere retribuiti con tovaglie in PCV per procurarsi merci

tramite baratto e riuscirono nel loro intento perché i comandi tedeschi decisero di sbloccare le

151 Ibidem, lettera del 12 dicembre 19434 152 Ibidem, fonogramma del 21 novembre 1944. 153 Ibidem, relazione della Confederazione Fascista Lavoratori dell’Industria del 9 dicembre 1944.

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materie prime necessarie per soddisfare la richiesta sia pure limitato a solo 10 metri per

dipendente154 di cui beneficiarono anche i lavoratori della Ursus Cuoio.

In questo modo venne a crearsi un nuovo e particolarissimo sistema di retribuzione della

manodopera perché:

siccome gli ottocento operai dell’Ursus non avevano bisogno di quella merce [le tovaglie in PVC] e sarebbero stati in difficoltà a realizzarne un guadagno, hanno incaricato la loro commissione di fabbrica di venderla, come è avvenuto, ottenendo un così un ricavo per ogni 10 metri di £ 1500, ricavo che è stato messo a disposizione degli stessi operai. A sua volta la Ditta Ursus tratterrà dalla paga quindicinale dei propri operai la somma di £ 380, pari al prezzo della merce ceduta155.

In pratica si veniva a creare un accordo tra i proprietari e dipendenti secondo cui la ditta forniva ai

propri dipendenti le merci, che avrebbe dovuto vendere alle forze armate tedesche, e questi le

vendevano, presumibilmente al mercato nero. Il ricavato dalla vendita veniva diviso tra le due parti.

I dipendenti utilizzavano la loro parte per procurarsi collettivamente generi alimentari di prima

necessità, mentre i proprietari ottenevano un profitto di £ 10 per metro venduto156. Si creava così di

fatto un sistema che aggirava il dirigismo economico fascista, con evidenti vantaggi sia per i

proprietari della Ursus Gomma che per i dipendenti. E’ interessante notare come la distribuzione dei

teli di plastica fosse il frutto di un accordo paritario stretto tra i dipendenti e i proprietari e non il

frutto di una concessione. Si tratta di un modello di relazioni industriali estremamente distante da

quello paternalistico e corporativo a cui i dipendenti erano stati abituati durante il periodo fascista.

Queste conquiste, immediatamente estese anche ai dipendenti della Ursus Cuoio, ebbero un forte

effetto di trascinamento in città perché spinsero i dipendenti di altre fabbriche ad entrare in sciopero

per rivendicare benefici simili e bloccando di fatto la produzione in tutta Vigevano157. La protesta

assunse ben presto un evidente carattere antifascista che preoccupò le autorità anche perché i

dipendenti della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio avanzarono immediatamente nuove richieste.

A questo punto le autorità decisero che la protesta era andata troppo oltre e stava cominciando a

diventare pericolosa e decisero di reprimere le agitazioni operaie ordinando la chiusura a tempo

indeterminato dei due stabilimenti158. Il successo dell’azione repressiva fu per altro puramente

momentaneo poiché ormai la guerra stava volgendo al termine e con essa il regime fascista.

7) Conclusioni

154 Ibidem 155 Ibidem, relazione al Capo della Provincia del 24 novembre 1944. 156 Ibidem. 157 Ibidem. 158 Ibidem, segnalazione al prefettto del 30 novembre 1944.

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Dal novembre del 1944 fino alla Liberazione i dipendenti della Ursus Gomma non presero altre

iniziative particolari, ma si mossero in sintonia con gli operai delle altre fabbriche di Vigevano

partecipando all’insurrezione del 25 aprile e cercando di tirare avanti pur nelle difficoltà materiali

del periodo.

Appena dopo la fine delle ostilità ed esattamente come in molte altre imprese venne creato un

Comitato di Liberazione Aziendale159 composto da 4 membri con compiti che, sia pure inizialmente

non ben definiti, divennero ben presto solo sindacali.

Subito dopo della Liberazione la dirigenza si trovava, invece, in una situazione in cui l’attività

produttiva era sostanzialmente ferma a causa della carenza di materie prime e quel poco che veniva

prodotto nel settore gomma si basava sull’uso di rigenerati di scarsa qualità. Indicativo dell’estrema

penuria che caratterizza questo periodo è una lettera del Cancelliere delegato della Ursus Gomma,

in data 30 ottobre 1945, alla Commissione di Epurazione del CLN locale. Nella missiva l’impresa

dichiarava di non essere in grado di fornire le sei (sic) coperture velo richieste, avendo già

distribuito agli operai come compenso il ridotto quantitativo precedentemente prodotto grazie

all’aiuto di “una ditta concorrente che ci ha favorito il materiale semilavorato”160. La missiva si

conclude significativamente con l’ammissione di non poter fissare una data per la ripresa della

produzione e con la frase:

Senza impegno, il sottoscritto vedrà di interessarsi se potrà avere le sei coperture presso qualche altro fabbricante amico […]161.

Ma una situazione come questa non poteva che essere transitoria e ben presto l’attività produttiva

riprese e la Ursus Gomma cominciò ad affrontare i problemi posti dalla ricostruzione lasciandosi

alle spalle il periodo bellico e le sue difficoltà.

Bibliografia

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Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990

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Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the

East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. 159 ASCV, Arch. CLN, Cart 10, fasc. 6, lettera del 27 settembre 1945. 160 ASCV, CLN, epurazione cart. 1, fasc. 25, f. 87, posta in arrivo. 161 Ibidem.

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Romeo R. Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna,

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Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983

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Il Dopoguerra e la Ricostruzione (1945-1953)

1) Introduzione

Il periodo che va dal 1945 al 1953 costituisce un momento di svolta nella storia non solo della

Ursus Gomma, ma più in generale di tutta l’economia italiana.

I pilastri istituzionali e produttivi su cui si era strutturata l’economia nazionale nel periodo tra le due

guerre e, in particolare, negli anni ’30 cominciavano a cadere costringendo le imprese a muoversi in

un nuovo ambiente che, pur presentando nuove possibilità, era molto più competitivo.

Il nuovo ordine mondiale, imposto dagli Stati Uniti, spinse tutti i paesi del Blocco Occidentale ad

abbandonare le politiche “autarchiche” adottate in seguito alla Crisi del ’29 ed a integrare le loro

economie in un nuovo mercato globale trainato dalla domanda americana e dominato dal dollaro.

La stabilita del sistema monetario di Bretton Woods consentì uno sviluppo senza precedenti degli

scambi internazionali, il graduale superamento degli accordi commerciali bilaterali di scambio fra

gli stati e l’affermarsi di mercato di scambi internazionali sempre più libero. Uno dei primi effetti

del nuovo sistema internazionale fu la graduale scomparsa delle carenze di materie prime e di

sbocchi commerciali.

Il ribaltamento degli indirizzi di politica economica fu lento, incontrò numerose resistenze e per

molti paesi fu in parte un’imposizione estera, ma nondimeno fu profondo e fino ad ora irreversibile.

Così come gli anni ’30 erano stati caratterizzati dalla ricerca dell’autosufficienza sia in termini di

capacità produttiva che di approvvigionamento delle risorse, gli anni del dopoguerra furono segnati

dall’integrazione economica e dalla rimozione delle barriere verso l’estero. Proprio in questo

periodo nacquero praticamente tutti gli organismi internazionali che ancora oggi regolano

l’economia mondiale: Banca mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Comunità Economica

Europea.

In Italia gli avvenimenti più importanti dal punto di vista economico furono la stabilizzazione della

lira, l’European Recovery Program (meglio noto come Piano Marshall) e la liberalizzazione degli

scambi del Ministro del Commercio Estero Ugo La Malfa.

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La stabilizzazione della lira, attuata con una dura e costosa politica restrittiva, pose fine

all’instabilità monetaria ereditata dalla Guerra e mise le basi per il reingresso del nostro paese nei

mercati internazionali in una posizione favorevole perché riuscì a stabilire un cambio fisso tra

dollaro e lira che sottovalutava la nostra moneta162. L’European Recovery Program, che fu per circa

l’11 percento destinato in aiuti all’Italia163, forni alla nostra economia capitali e tecnologie

indispensabili per l’ammodernamento del sistema produttivo. Infine, la scelta fatta dal Ministro del

Commercio Estero La Malfa , nel novembre del ’51, di superare i problemi della bilancia

commerciale revocando tutti i limiti quantitativi alle importazioni e tagliando tutti i dazi del 10%

verso gli altri paesi europei164 pose fine al protezionismo. Contemporaneamente iniziava

l’integrazione economica del nostro paese nei confronti di quelli che presto sarebbero diventati i

nostri principali partner commerciali.

In questa nuova e in gran parte imprevista situazione economica la Ursus Gomma riuscì a superare

brillantemente le difficoltà e a riconfermarsi come impresa leader competitiva e in grado espandersi

nei mercati internazionali.

2) La Ursus Gomma alla fine della 2a Guerra Mondiale

Per comprendere adeguatamente il ruolo giocato dalla Ursus Gomma nell’ambito dell’economia

cittadina bisogna partire dalla situazione di quasi completo arresto produttivo in cui si trovava

l’impresa nell’aprile del ’45. Nonostante le difficoltà logistiche causate dalla disorganizzazione

delle vie di comunicazione e dai danni causati dalla guerra la situazione economica si avviò ben

presto alla normalizzazione sia in Italia che a Vigevano.

Tra i principali passaggi a livello nazionale possiamo ricordare lo sblocco dei licenziamenti in tutto

il nord d’Italia deciso dal Clnai per il 30 settembre del ’45165 e la ripresa più o meno regolare della

produzione a partire dal primissimi mesi del 1946 con l’arrivo delle assegnazioni di gomma di

provenienza UNRRA166.

162 De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization in Italy: 1946-1951, p. 77, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. 163 Castronovo V., La storia economica, pag. 383, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. 164 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 116. 165 Ganapini L., Alle origini della normalizzazione: l’operato della Commissione centrale economica del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, p. 79, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 166 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della sezione gomma, cap. 1, p. 1. L’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration, Ente delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione) era un organismo creato dalle neonate Nazioni Unite per portare soccorso economico, alimentare e sanitario ai paesi più

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A livello locale un primo segnale di miglioramento della condizione di vita operaia si ebbe già a

partire dal giugno del 1945 con la fondazione della Cooperativa Operai Ursus, società cooperativa a

responsabilità limitata167. La società di consumo nacque con il fine di fornire generi alimentari ai

dipendenti delle due ditte, Ursus Gomma e Ursus Cuoio, e fu lo sviluppo e l’istituzionalizzazione di

modelli di comportamento già esistenti nel periodo bellico. La cooperativa nacque per

interessamento di tre dipendenti della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio Silvio Gallina, Camillo

Ferrari Trecate e Umberto Masini168 e per la lungimiranza dimostrata da Rinaldo Masseroni e Pietro

Bertolini. Infatti i due proprietari accordarono:

merci a prezzi ridotti e a lunghe scadenze per i pagamenti, oltre a tutti il materiale di impianto come mobili, attrezzi e scorte in regalo. Stivali pantofole, coperture, biciclette, materie plastiche ecc., che le ditte ci diedero, servirono come mezzi per acquistare granaglie, suini che una volta macellati e lavorati (gratuitamente) dai soci, il prodotto veniva distribuito agli stessi a prezzo di costo […]169.

Masseroni e Bertolini nella situazione di incertezza monetaria e di perdita di valore reale della

moneta fornivano ai loro dipendenti merci che poi questi barattavano, forse in parte al mercato nero,

con generi alimentari di prima necessità. Esattamente come era avvenuto già durante il periodo

della Repubblica di Salò, ma su una scala e con un’organizzazione molto maggiori.

Valutare l’entità e l’importanza dell’aiuto alimentare prestato dalla Cooperativa Operaia Ursus è

oggi estremamente difficile, anche per la perdita di gran parte della documentazione. Si può solo

dare una vaga idea delle dimensioni che essa ebbe. Subito dopo la guerra la Ursus Gomma aveva

più di un migliaio di dipendenti a cui vanno aggiunti i circa ottocento della Ursus Cuoio170, ovvero

circa un paio di migliaia di persone. A queste andrebbero aggiunte le famiglie, operazione

impossibile anche a livello approssimativo perché non si conosce il numero di nuclei familiari in cui

tutti o parte dei membri trovavano occupazione nelle due ditte. Anche senza poter quantificare le

dimensioni dell’aiuto si può però dire che esso fu molto vasto importante e di notevole sollievo a

Vigevano e nei comuni limitrofi.

Dopo i primi due anni di emergenza, la Cooperativa Operai Ursus si riorganizzò non più come ente

di emergenza sovvenzionato da Bertolini e Masseroni, ma come società di consumo autosufficiente

per i dipendenti delle due società e in questa veste entrò a far parte del panorama di Vigevano171.

colpiti dalle distruzioni belliche. Creato nel novembre del 1943, operò dal 1944 al 1947 quando venne chiuso in seguito alla decisione degli Stati Uniti di non contribuire più al suo finanziamento per motivi politici. Dai suoi aiuti, ripartiti sulla base del criterio del maggiore bisogno, beneficiarono soprattutto Italia, Grecia e i paesi dell’Europa occupati dall’URSS. 167 L’IndipendenteVvigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre del 1951, p. 1. 168 Ibidem. 169 Ibidem, p. 2. 170 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr. ingr. Arch. 2/14, mod. 22 allegato a risposta a lettera 2123 del 18 dicembre 1946. 171 L’Indipendente Vigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre del 1951, p. 2.

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Risolta, almeno in parte, la questione alimentare, il secondo grave problema era quello di far

ripartire la produzione per evitare il fallimento della Ursus Gomma e per questo bisognava

procurarsi le materie prime e i semilavorati. Data la situazione di emergenza le materie prime

potevano arrivare nel nostro paese solo attraverso il canale degli aiuti internazionali e per questo

motivo non erano disponibili al mercato libero, ma accuratamente razionate da appositi organismi

pubblici. Questa condizione, che tradisce la tragicità e la difficoltà di quel momento storico, rende

però possibile l’accesso ad informazioni molto preziose sulla struttura dei vari settori economici e

quindi anche sull’Ursus Gomma.

3) Il ruolo della Ursus Gomma nell’industria nazionale

L’organismo preposto al razionamento delle materie prime, dei generi alimentari nel Nord d’Italia

era il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai) che a questo fine si dotò di un’apposita

Commissione centrale economia costituita già nel febbraio del 1945172. In seguito allo svuotamento

dei poteri del Clnai gli uffici preposti alla distribuzione delle materie prime vennero aggregati al

Ministero dell’Industria e dell’Artigianato che costituì il 28 febbraio 1946 un’apposita

Commissione Centrale Industria (CCI) con il compito di pianificare la produzione industriale

controllando la distribuzione delle materie prime e la qualità dei prodotti finiti. Per motivi di

funzionalità essa fu suddivisa in 4 sottocommissioni, di cui in questa sede interessa solo l’operato

del sottocomitato Alta Italia che aveva competenza su Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia e

Veneto. Regioni in cui all’epoca si concentrava la quasi totalità dell’industria della gomma. Il solo

di pochi anni più tardo censimento industriale del 1951173 fotografò una situazione in cui nelle

regioni di competenza del Sottocomitato Alta Italia si concentrava il 90,51% degli occupati e il

92,6% della potenza installata174 nel settore gomma elastica.

L’archivio del Sottocomitato Alta Italia è andato in gran parte perduto. Tra le parti a noi pervenute

sono da segnalare alcuni documenti della Sezione gomma relativi al 1947 e al 1948175, che

172 Ganapini L., Alle origini della normalizzazione: l’operato della Commissione centrale economica del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, p. 28 in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 173 Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia Settentrionale. 174 Potenza installata – E’ la quantità di lavoro che il macchinario installato nelle unità locali è capace di produrre nell’unità di tempo facendo astrazione delle perdite dovute alle resistenze passive (attrito ecc.), alla trasformazione dell’energia nelle sue varie forme (meccanica, elettrica, ecc.) e al suo trasporto […]. I dati sulla potenza indicati nel presente lavoro sono espressi in cavalli a vapore. Cfr. Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale, p. 7. 175 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7

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permettono fortunatamente di ricavare un’istantanea della struttura e delle potenzialità dell’industria

della gomma. Sfortunatamente non si sono salvati i documenti della Sezione chimica per cui non ci

sono pervenute informazioni sul ruolo della Ursus Gomma nella lavorazione di materie plastiche,

come il PVC.

La Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia aveva due compiti fondamentali176:

1) assegnare alla imprese le materie prime necessarie per la lavorazione (dal carbone ai

reagenti chimici);

2) ripartire tra gli enti distributori le merci prodotte e destinate al mercato

Con potere esclusivo sia a monte che a valle della produzione, la Sezione gomma aveva una forte

influenza sulle imprese che veniva utilizzata, tra gli altri scopi, per acquisire una conoscenza

profonda e dettagliata non solo del settore nel suo complesso, ma anche di ogni singola impresa.

Nella tabella 3.1 sono riassunti i dati relativi al grado di concentrazione del settore gomma nel 1947.

La Ursus Gomma risulta da una lettera del Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale del 18

dicembre 1946 avere alle proprie dipendenze più di 1000 operai a cui si devono aggiungere i tecnici

e il personale amministrativo177. Non si hanno dati occupazionali precisi sul 1947, ma non c’è

motivo di ritenere che gli occupati siano stati ridotti radicalmente. La Ursus Gomma risulta, quindi,

una delle prime tre imprese lombarde per numero di occupati, le altre sono la Pirelli e la

Hutchinson. Nell’area sotto la giurisdizione Sottocomitato Alta Italia sono rilevate solo altre due

imprese con più di mille dipendenti, la Superga e la Michelin Italiana, entrambe situate in Piemonte.

Tabella 3.1178 - Occupati e imprese nel settore gomma nel 1947 Da 1 a 10 Da 11 a 50 Da 51 a 250 Da 251 a

1000 Oltre 1000 Totali

Lombardia 67 (11)

692 (26)

4556 (36)

2546 (8)

16276 (3)

24137 (84)

Piemonte 56 (9)

556 (22)

954 (8)

290 (1)

7174 (2)

9030 (42)

Emilia 13 (2)

30 (2)

438 (3)

1160 (2)

- 1641 (9)

Veneto 7 (1)

51 (2)

230 (1)

- - 288 (4)

Liguria 30 (4)

93 (3)

142 (1)

- - 265 (8)

Totali 173 (27)

1422 (55)

6320 (49)

3996 (11)

23450 (5)

35361 (147)

Tra parentesi il numero di aziende.

176 Ibidem, Relazione sulla situazione industriale della Sezione gomma (1947), cap. 7, p. 1. 177 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, lettera del 18-12-1946. 178 I dati sono tratti da ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Appendice alla Relazione sulla situazione industriale della Sezione gomma (1947), allegato n. 11.

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Se si tiene presente che di fatto Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia e Veneto raccoglievano a

quell’epoca la quasi totalità dell’apparato industriale italiano si può affermare che la Ursus Gomma

occupava all’interno del panorama produttivo italiano un posto di primo piano. Era una delle cinque

imprese più importanti del paese anzi, ricordando come la Hutchinson e la Michelin Italiana in

realtà erano filiali di multinazionali straniere, una delle tre più importanti imprese italiane assieme

alla Pirelli e alla Superga.

Al di là delle classifiche, la rilevanza della Ursus Gomma in ambito italiano spicca anche

relativamente al grado di concentrazione del settore. Le prime cinque imprese raccolgono da sole

ben il 66,3% di tutta la forza lavoro del settore gomma del Nord Italia e in sostanza una percentuale

poco più piccola di tutta l’occupazione del settore a livello nazionale. Il grado di concentrazione è

così alto, o se vogliamo la Pirelli è così grande rispetto a tutte le altre, che facendo la media risulta

che l’impresa tipo del settore occupava 240 persone se si comprendono nel calcolo le prime 5,

mentre solo 84 se non vengono inserite nel computo.

Alla fine degli anni ’40, l’industria italiana si trovava in una situazione sostanzialmente invariata a

quella descritta da Ettore Conti, nel 1939, quando osservava come:

[…] si è venuta formando un’oligarchia finanziaria che richiama, nel campo industriale, l’antico feudalesimo. La produzione è, in gran parte, controllata da pochi gruppi, ad ognuno dei quali presiede un uomo. Agnelli, Cini, Volpi, Pirelli, Donegani, pochissimi altri, dominano completamente i vari rami dell’industria179.

Dai dati della Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia emerge la “fotografia” di un ramo

industriale caratterizzato dal dominio di pochissime imprese a cui si affiancano un certo numero di

medie aziende e in cui la presenza di piccole imprese è marginale, sia in termini numerici che

occupazionali. Per l’Italia paese che siamo abituati ad associare alle piccole imprese e ai distretti

industriali, si tratta di una situazione apparentemente anomala. In realtà, è un assetto settoriale che

si può spiegare in termini storici e tecnologici. L’Italia, con la notevole eccezione della Pirelli che

nasce già nel 1872180, comincia a sviluppare il settore gomma con un certo ritardo rispetto agli altri

paesi europei. Manca, quindi, la fase pionieristica dello sviluppo e si inserisce in un momento in cui

la tecnologia disponibile si caratterizza per il costo relativamente alto dei macchinari e la necessità

di produrre con una certa scala minima per poter essere competitivi. Se a questi fattori si aggiunge

la difficoltà di accesso ai capitali tipica dell’Italia dell’epoca si capisce come il settore gomma si

fosse strutturato sulla base di una forte concentrazione e di una dimensione media per azienda

abbastanza elevata.

179 Conti E., Dal taccuino di un borghese, Garzanti, Milano, 1946, p. 655. 180 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 54.

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Se la concentrazione risulta estremamente ampia dal punto di vista occupazionale, lo è ancora di più

dal punto di vista delle capacità produttive e dei capitali investiti.

Un dato sulle capacità produttive delle singole aziende può venir ricavato grazie al lavoro della

Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia. Infatti, essa decise di ripartire le materie prime sulla

base delle capacità produttive potenziali delle singole imprese, costruendo un indice di potenzialità

industriale (i.p.i.) suddiviso nei seguenti settori merceologici181: coperture a velo, foglia cruda,

calzature, articoli tecnici e auto.

Purtroppo non è possibile in alcun modo effettuare un controllo della verosimiglianza dei dati

forniti utilizzando altre fonti e sono andate perdute le relazioni dei circa quaranta sopralluoghi

tecnici compiuti della Sezione gomma182. Ciò nondimeno si può cautamente ritenere che questi

siano abbastanza attendibili; infatti, avendo il compito sia di fornire le materie prime che di

distribuire i prodotti finiti, i tecnici del Sottocomitato Alta Italia potevano controllare

approssimativamente la veridicità delle informazioni fornite dalle imprese.

I dati dell’indice di potenzialità industriale riguardano le capacità produttiva degli impianti e non

l’utilizzo che di essi veniva fatto all’epoca e riflettono quindi dei rapporti di forza industriali

maturati tra la fine degli anni ’30 e la 2° Guerra Mondiale.

La tabella 3.2 riporta i dati dell’indice di potenzialità industriale delle prime 10 imprese in capacità

complessiva assoluta, relativa e in relazione ai diversi settori merceologici. Il primo dato

interessante da notare è che la concentrazione della capacità industriale risulti ancora maggiore di

quella manodopera. Infatti, le prime cinque imprese del settore raccolgono ben il 71,45% della

capacità industriale complessiva, mentre raccoglievano, come già visto “solo” il 66,3 percento della

forza lavoro. Segno evidente che i vertici del settore si caratterizzavano anche per una maggiore

efficienza degli impianti e quindi anche di una maggiore produttività pro-capite, almeno potenziale.

Riguardo alla suddivisione in settori merceologici si può subito osservare come la maggior parte

della capacità industriale sia concentrata nel settore produzione pneumatici per automobili che di

fatto costituiva un duopolio tra la Pirelli e la Michelin Italiana, mentre negli altri settori la

situazione risultava più equilibrata. La Ursus Gomma non risulta presente nella produzione per

automobili, ma si concentra essenzialmente nei settori calzature, coperture a velo per biciclette e

articoli tecnici. In un certo senso, la politica imprenditoriale di Masseroni e Bertolini posizionava

l’impresa su segmenti di mercato il più possibile complementari a quelli del gigante indiscusso del

settore, la Pirelli. Sulla base di questa politica la Ursus Gomma si specializzò nella produzione di

calzature e rinunciò completamente alla sfida della produzione di pneumatici per automezzi e si

confrontò con la Pirelli solo in settori che non costituiscono priorità produttive per questa. Con 181 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), cap. 10, p. 2. 182 Ibidem., cap. 10, p. 6.

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strategia di questo tipo, Masseroni e Bertolini riescono ad evitare di essere schiacciati, come

accadrà a tutte le aziende a capitale italiano che producevano gomme per automobili, conquistarono

una posizione di preminenza nel settore calzature.

Tabella 3.2183 - Le prime dieci imprese del settore gomma nel 1947. Impresa I.p.i

complessivo I.p.i. velo I.p.i.

Foglia cruda

I.p.i. calzature

I.p.i. articoli tecnici

I.p.i. auto % sull’i.p.i. complessivo

Pirelli (MI) 563,91 56,39 5,63 - 79,95 411,65

42,39

Michelin It. (TO) 223,00 12,26 2,23 - - 208,51 16,76

Superga (TO) 93,43 16,82 4,67 39,24 31,77 -

7,02

Hutchinson (MI) 37,65 6,40 - 4,89 25,98 37,65

2,83

Ursus Gomma 32,40 3,24 1,62 17,82 9,72 -

2,44

Ceat Gomma (TO) 27,90

-

-

- 0,56 27,34

2,09

Mediterranea S. Vittore

Ol. 15,30 2,75 0,40 3,52 8,23 15,30

1,15 SAIG (Ciriè) 11,98 - - - 11,98 - 0,9

ICS (MI) 11,67 - - - 11,67 - 0,88 Metan

(Tradate) 9,27 0,47 1,85 - 6,95 -

0,7

La Ursus Gomma si colloca nel periodo 1947-48 come secondo produttore italiano di calzature,

preceduta solo dalla Superga di Torino, e questo in un contesto di mercato in cui le importazione di

calzature in gomma dall’estero erano quasi inesistenti. Negli altri settori riesce comunque ad

imporsi, pur dovendo concorrere con imprese dotate di maggiore capacità produttiva grazie alla

qualità dei suoi prodotti, alla sua fama e all’efficacia della sua rete di distribuzione. Tre elementi,

fondamentali per il successo imprenditoriale, che la Ursus Gomma coltivava sapientemente dalla

nascita.

Solo per fare un esempio indicativo quando, in seguito al sopraggiungere delle carenze di materie

prime dovute alla guerra, l’impresa si trovò nell’impossibilità di trovare tessuti di qualità adeguata

per la produzione di impermeabili, Masseroni decise di sospendere la produzione piuttosto che

183 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire dagli indici di potenzialità totale elaborati dalla Sezione gomma per il XIV piano (gennaio-febbraio 1948) di distribuzione materie prime. Vedi ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947).

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mettere in commercio beni di qualità scadente184. I risultati di questa politica permisero alla Ursus

Gomma, in un contesto caratterizzato da basso potere di acquisto dei lavoratori e scarsa domanda di

componenti a causa del basso tasso di utilizzazione degli impianti185, di rubare fette di mercato a

concorrenti dotati di maggiore capacità produttiva.

Nel settore velo la Ursus Gomma pur essendo solo sesta in termini di capacità produttiva186 riuscì

nel 1947 a conquistare la quarta posizione a livello nazionale con una produzione venduta per

145494 kg dietro alla Pirelli con 4219900 kg, alla Michelin Italiana con 1389331 kg e alla Superga

con 925600 kg187. Questo risultato venne ottenuto anche grazie alla pubblicità nazionale data dai

corridori sponsorizzati dalla Ursus Gomma che proprio in quegli anni si imposero ripetutamente in

importanti competizioni ciclistiche come il Giro d’Italia.

Una situazione simile si osserva anche nel settore articoli tecnici (tubi, trafile, componenti per

applicazioni industriali ecc…) dove la Ursus Gomma per essendo, come prima, sesta a livello

nazionale188 in termini di capacità produttiva riuscì a porsi come quarto produttore italiano

vendendo merci per 79762 kg contro i 5611712 kg della Pirelli, i 1376400 kg della Superga e i

144617 kg della Saig189.

Nel settore calzature la Ursus Gomma occupava il secondo posto a livello nazionale sia a livello di

capacità produttiva che di vendite espresse in kg di vendite, ovvero 551366 kg contro i 1700800

della Superga, i 157500 dell’Eco Gomma e i 108000 della Astro190. Anche se bisogna notare che

proprio nel suo settore di punta la Ursus Gomma non riusciva a distanziare i suoi concorrenti in

termini di vendite in misura paragonabile a quanto riusciva a fare in termini di capacità

produttiva191.

184 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, risposta dell’Agenzia di Vigevano alla lettera n. 2123 del 17 dicembre 1946. 185 Nel 1947 mentre la capacità produttiva dell’industria era cresciuta del 37% rispetto al 1938, la produzione industriale era più bassa di ben il 43% con conseguente forte sottoutilizzo degli impianti. Cfr. De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization in Italy: 1946-1951, pag. 61, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. 186 Le prime sei imprese in termini di i.p.i relativi al settore velo nel 1947 erano la Pirelli con 56,39, la Superga con 16,86, la Michelin Italiana con 12,26, la Hutchinson con 6,4, la Dapello con 4,29 e l’Ursus Gomma con 3,24. 187 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), allegato n. 2. 188 Le prime sei imprese in termini di i.p.i. nel settore articoli tecnici erano nel 1947 erano la Pirelli con 79,95, la Superga con 31,77, la Hutchinson con 25,98, la SAIG con 11,98, la ICS con 11,67 e l’Ursus Gomma con 9,72. 189 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), allegato n. 4. 190 Ibidem, allegato n. 3 191 Le prime cinque imprese in termini di i.p.i. nel settore calzature erano nel 1947 la Superga con 39,24, L’Ursus Gomma con 17,82, la Rossanigo con 7,48, la Enne Mi con 7,15 e la ILCE Gomma con 6,13.

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4) Il ruolo dell’Ursus Gomma nell’economia di Vigevano

Il settore gomma che il fascismo e la 2a Guerra Mondiale lasciano in eredità alla nuova Repubblica

non era solo estremamente concentrato dal punto di vista occupazionale, ma anche da quello

geografico.

Tornando ai dati della Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia si può facilmente verificare

come ben l’87,56% della capacità industriale complessiva fosse concentrata in solo tre comuni:

Milano, Torino e Vigevano. I dati del censimento industriale del 1951 rilevano nelle stesse città la

concentrazione di ben 73,41% degli addetti e del 81,62% della potenza installata in tutta Italia192, a

confermare una localizzazione territoriale che tendeva a permanere nel tempo.

Tabella 3.3193 - Localizzazione geografica dell’industria della gomma nel 1947 in percentuale Comune I.p.i

complessivo I.p.i. velo I.p.i. Foglia

cruda I.p.i.

calzature I.p.i. articoli

tecnici I.p.i. auto

Milano 51,44 55,53 30,66 7,74 49,40 63,35 Torino 29,66 23,68 32,96 26,77 22,44 36,20

Vigevano (Ursus)

6,73 (2,44)

3,60 (2,42)

8,18 (4,72)

40,12 (11,56)

5,95 (3,03)

0,03 -

Altri 12,17 17,19 28,19 25,37 22,22 0,42 Totale 100 100 100 100 100 100

Nota: i dati sono espressi in percentuale rispetto all’indice di capacità industriale complessivo e dei rispettivi settori merceologici.

La tabella 3.3 riassume in termini relativi la distribuzione dell’industria della gomma in Alta Italia

e, quindi, sostanzialmente per tutto il paese. La città di Vigevano si pone, in termini di potenzialità

produttive, come terzo centro industriale della penisola, molto distaccata da Milano e Torino. In

realtà, se si guarda non agli indici di capacità complessivi, ma a quelli disaggregati per settore

merceologico, allora Vigevano si pone come capitale italiana delle calzature in gomma. Posizione

che deve in gran parte all’Ursus Gomma che infatti raccoglie da sola un quarto delle capacità

industriali cittadine nella produzione di calzature, metà in quella di articoli tecnici e di foglia cruda,

due terzi nella produzione di coperture per biciclette e un terzo della capacità industriale

complessiva della città.

Degli indicatori, sia pure abbastanza grezzi, della struttura industriale di Vigevano, e del peso

dell’Ursus Gomma al suo interno, possono essere dati dall’analisi di due variabili principali: il

numero di addetti e di unità locali per settore industriale. L’anno di riferimento, in questo caso, non 192 Fonte: Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale. 193 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire dagli indici di potenzialità totale elaborati dalla Sezione gomma per il XIV piano (gennaio-febbraio 1948) di distribuzione materie prime. Vedi ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947).

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è più il 1948, ma l’anno del primo censimento industriale della Repubblica, il 1951. Rispetto al

periodo precedente non solo è finita la ricostruzione, ma è già cominciato l’allargamento della base

produttiva che doveva culminare pochi anni più tardi nel cosiddetto Boom economico. Comunque i

dati sono, sia pure con qualche cautela, rapportabili a quelli precedenti perché difficilmente in così

poco tempo la struttura produttiva subisce cambiamenti radicali.

L’esame dei dati, riassunti nella tabella 3.4, evidenzia come la matrice delle attività industriali di

Vigevano fosse imperniata su quattro settori principali: la gomma, il tessile, il calzaturiero e la

produzione di macchine utensili194. Si tratta di una matrice industriale eccezionalmente ricca per un

piccolo centro con solo 15077 addetti al settore manifatturiero.

I quattro settori sono particolarmente significativi perché praticamente esauriscono l’intero settore

secondario di Vigevano, infatti concentrano ben il 93,86% degli addetti e, fatto ancora più

significativo dal punto di vista economico, il 91% della potenza utilizzata dagli impianti espressa in

Hp195.

Se si fa un’analisi più disaggregata considerando singolarmente i quattro settori principali

dell’economia vigevanese, i dati sono ancora più significativi.

Tabella 3.4 – Occupati e imprese a Vigevano nel 1951. Settore

Occupati

complessivi Unità locali

Media addetti

per unità Peso

occupazionale Hp sul totale

tessile 1880 23 81,74 12,47% 23,27% calzature 8354 872 9,58 55,41% 21,51% macchine utensili 910 255 3,57 6,04% 5,05% gomma 3008 23 130,78 19,95% 41,24%

altri 1133 28 4,71 7,51% 8,93% totale o media 15077 1354 11,14 100% 100%

Il peso del settore gomma a Vigevano nel 1951 è notevole, difatti esso raccogle ben il 19,95%

dell’occupazione e da questo punto di vista è secondo solo al calzaturiero. Inoltre, si tratta di un

settore che concentra le imprese mediamente più grosse della città, infatti la dimensione media è di

130,78 addetti per unità locale ed è a forte intensità di capitale fisso. Il dato è così alto anche per la

presenza della Ursus Gomma che all’epoca contava circa 1200 dipendenti più 200 cottimisti196,

ovvero da sola impiegava quasi metà della manodopera nel settore gomma. A quest’ultimo dato si

194 A Vigevano la produzione di macchine utensili è sempre stato coincidente con quella di macchine per le calzature per cui d’ora in poi i due termini saranno usati come sinonimi. 195 I dati sulla potenza utilizzata espressi in HP sono tratti da Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale. 196 ACS, Min Ind, busta 31, fasc. 581, Finanziamenti ERP, lettera del 13-10-1953, p. 2.

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può aggiungere che la potenza istallata in Hp era pari a 10437 Hp, cioè al 41,24% del totale

dell’industria e a 3,47 Hp per addetto.

Sulla base di questi dati indiretti e grezzi è possibile sostenere che l’industria della gomma era nel

1951 un settore economico moderno, almeno per l’epoca, basato su medie imprese e al cui interno

primeggiava nettamente la Ursus Gomma.

A Vigevano il settore tessile poteva vantare una presenza che risaliva all’industrializzazione di fine

Ottocento e inizi del Novecento e si presentava come un’industria moderna. Infatti, dai dati del

censimento industriale del 1951 emerge un’importante presenza in termini occupazionali, pari a

1880 lavoratori, il 12,47%. Ma dati ancora più significativi, da un punto di vista economico,

emergono dall’analisi della potenza utilizzabile dei macchinari istallati e dalla dimensione media

delle imprese. Sulla base dei dati del censimento industriale possiamo dire che l’industria tessile

aveva installato una potenza di 5890 Hp pari a ben il 23,27% della potenza complessiva del settore

manifatturiero cittadino e a 3,13 Hp per addetto. Se a questi dati si aggiunge il fatto che la

dimensione media delle imprese tessili è nel 1951 di 81,74 addetti, si può ragionevolmente

sostenere di trovarsi davanti a un’industria moderna organizzata in un sistema di medie imprese.

Molto diversa appare la struttura del settore calzaturiero che occupa la maggior parte della forza

lavoro. Se si guardano i dati del 1951, emerge una struttura industriale profondamente diversa. I dati

che balzano all’occhio sono fondamentalmente due, da un lato l’elevato numero di addetti, circa

8000197, a cui corrisponde una dimensione media dell’impresa pari a solo 9,58 addetti per unità

locale. Analizzando i dati sulla potenza utilizzata in Hp si vede come il settore numericamente più

importante dell’economia vigevanese impieghi solo 5444 Hp complessivi, che equivalgono a 0,65

Hp per addetto. Abbiamo quindi l’immagine di un settore industriale basato sulla piccola impresa e

ad alta intensità di manodopera, mentre invece le industrie tessile e della gomma hanno

caratteristiche opposte in quanto sono ad alta intensità di capitale e di dimensioni medie.

Un discorso a parte deve essere fatto per il settore delle macchine, che è il più piccolo tra quelli

considerati dal punto di vista occupazionale, solo 910 addetti, pari al 6,04% del totale198. Tra tutti i

settori fin qui analizzati è certamente il meno sviluppato, difatti in questi anni l’Italia era un paese

importatore netto di macchine per le calzature e non ancora capace di sviluppare una propria

tecnologia in questo settore. Solo nel corso degli anni ’50 si avrà una riduzione della dipendenza

dall’estero e lo sviluppo di un’autonoma capacità di innovazione tecnologica199. Dall’analisi dei dati

197 Il dato del censimento 8354 addetti comprende anche gli addetti alla confezione di vestiario, abbigliamento e arredamento che nei successivi censimenti industriali sono scorporati dal settore più propriamente calzaturiero. 198 Il censimento industriale del 1951 purtroppo non permette di distinguere le imprese che producono macchine per le calzature dalle altre e dalle semplici officine, per cui il dato sovrastima il peso dell’industria delle macchine utensili. 199 Velo D., Caratteristiche essenziali dell’industria delle macchina per calzature, pag. 10, in AA.VV., L’industria delle calzature. Problemi e prospettive, Amministrazione provinciale di Pavia, Pavia, 1983.

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statistici emerge l’immagine di un settore caratterizzato dalla ridottissima dimensione delle imprese,

solo 3,57 addetti per unità locale e una modesta potenza utilizzabile di 1278 Hp totali, pari a 1,4 Hp

per addetto. In generale, si tratta di un settore che non ha ancora fatto il salto qualitativo dalla

piccola officina meccanica, che produce artigianalmente pezzi di ricambio e copia macchine

straniere, alla fabbrica moderna200.

Tirando le fila della nostra analisi si può notare come la matrice industriale di Vigevano nel 1951,

presenta già un settore, quello calzaturiero, organizzato in forma di distretto industriale, anche se i

contemporanei non ne erano ancora consapevoli. Organizzazione opposta presentano invece il

settore tessile e quello della gomma, solo in parte collegato a quello calzaturiero, che puntano sulle

economie interne date dagli investimenti in capitale fisso.

Nonostante la Ursus Gomma fosse la più grande e moderna, almeno in termini di potenza del

macchinario istallato, impresa vigevanese non si può dire che Vigevano dipendesse

economicamente da essa. Anzi l’economia cittadina era articolata in più settori, di cui quello

calzaturiero e quello delle macchine per calzature dovevano conoscere a partire dagli anni ’50

un’espansione senza precedenti. Espansione che permise alla città di riassorbire senza eccessivi

traumi le eccedenze di manodopera di cui la Ursus Gomma comincerà a liberarsi, in seguito alla

meccanizzazione, a partire dagli anni ’50.

5) La strategia industriale dell’Ursus Gomma dal Dopoguerra al Piano Marshall.

Le trasformazioni del Dopoguerra modificarono profondamente l’ambiente economico rispetto al

quale la Ursus Gomma doveva confrontarsi aprendo nuove possibilità, ma indebolendo alcuni degli

elementi che ne avevano favorito l’affermarsi negli anni ’30. Nel complesso e nonostante la giovane

età dell’impresa, sotto l’abile guida di Masseroni, seppe dimostrare la maturità necessaria per

trasformare tutte le difficoltà in opportunità di sviluppo.

Rispetto agli anni ’30 la situazione economica degli anni del Dopoguerra si caratterizzava per il

parziale ribaltamento della politica industriale con l’abolizione dell’ordinamento corporativo e

dell’autarchia.

La scomparsa dell’ordinamento corporativo significò la fine del dirigismo pubblico e della necessità

di dover affrontare una lenta e inefficiente burocrazia che imponeva la necessità di richiedere

autorizzazioni per molti passaggi importanti della vita dell’impresa con conseguenti ritardi e

incertezze. Per dare un’idea del controllo a cui lo stato fascista sottoponeva l’attività imprenditoriale 200 Cainarca, Dal sapere come fare al sapere cosa fare. La storia dell’industria italiana delle macchine per calzature 1900-1983, Edizioni Assomac, Vigevano, 2002, pag. 102.

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si può ricordare l’Assemblea straordinaria del 11 luglio 1938, in cui la società deliberò un aumento

di capitale e conseguente modificazione dello statuto della società, ma fu costretta a posticiparne gli

effetti all’approvazione, non scontata, del Ministero delle Corporazioni201.

La fine dell’autarchia da un lato portò a una graduale scomparsa delle barriere che facevano del

mercato italiano delle calzature in gomma una riserva di caccia per pochi, tra cui primeggiava la

Ursus Gomma, dall’altro rese possibile la commercializzazione su larga scala nei mercati esteri. I

due processi però non si svilupparono con la stessa tempistica. L’azienda continuò a lungo, grazie

alla sua capillare organizzazione di vendita in Italia e al prestigio del proprio marchio, a disporre di

un notevole vantaggio rispetto alle imprese straniere, la cui concorrenza cominciò a farsi sentire con

più insistenza solo a partire degli anni ’60.

La Ursus Gomma riprese ad esportare già a partire dai primi mesi del 1946, naturalmente con

quantitativi estremamente limitati, che servivano principalmente e riaprire i canali di distribuzione

all’estero. Infatti se si guarda il tipo di beni esportati si ha proprio l’impressione di trovarsi di fronte

a un campionario, infatti vi sono calzature di tela con suole in gomma, campioni di impermeabili e

di articoli tecnici, pantofole, stivali, suole , tubi e soprascarpe per uomo in gomma202

I mercati di sbocco estero erano costituiti o da paesi dell’area che gravitavano attorno all’Impero

inglese (Malta, Irlanda, Iraq, Iran) da cui proveniva gran parte della materia prima lavorata o da

paesi europei (Belgio, Svizzera)203.

Su questi mercati la Ursus Gomma era già nota negli anni ’30, ma dovette interrompere i contatti

commerciali in seguito alla guerra.

Riprendere le esportazioni costituiva una necessità impellente per tutte le imprese che producevano

beni di consumo perché la domanda interna era molto ridotta a causa del basso potere di acquisto

dei consumatori e quindi, nonostante la modesta produzione, stentava ad assorbire le merci immesse

sul mercato. Passati i primi due anni di emergenza, le esportazioni continuarono a rappresentare un

elemento fondamentale per la crescita della Ursus Gomma, come di molte imprese che producevano

beni di consumo. E non poteva essere diversamente, perché le autorità di politica economica italiane

degli anni ’40 e ’50 decisero consapevolmente di intraprendere un modello di sviluppo che

penalizzava la crescita dei consumi privati a favore dell’accumulazione di capitale204.

201 Camera di Commercio di Pavia, registro imprese, fasc. 24351, verbale dell’Assemblea ordinaria e straordinaria dell’11 luglio 1938, p. 4. 202 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, prospetto delle esportazioni del 1946, allegato a lettera n. 397 del 1 marzo 1947. 203 Ibidem. 204 Romeo R., Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Cappelli Editore, Bologna, 1974, p. 272.

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La necessità impellente di esportare calzature indusse gli industriali vigevanesi a prendere

un’iniziativa collettiva facendo pressioni sul governo e inviando già il 9 febbraio del 1946 un

telegramma al ministro del lavoro Gronchi del seguente tenore:

Industriali calzaturieri di Vigevano riunitisi oggi presso Associazione calzature studiata unica soluzione atta alleviare grave crisi attuale determinata mancato assorbimento produzione interna stop confidiamo interessamenti Vostra Eccellenza per assicurare lavoro ventimila operai205.

Anche se il numero di occupati cittadini è quasi sicuramente sovrastimato il telegramma

dell’Associazione Industriali individua chiaramente nell’insufficiente domanda interna l’ostacolo

principale alla ripresa.

Probabilmente in virtù del ruolo di primo piano ricoperto da Vigevano nell’ambito dell’industria

della calzatura e della gomma, la risposta del ministero arrivò in brevissimo tempo ed è indicativa

degli orientamenti di politica economica dell’epoca.

Il governo decide, sentiti i pareri dei tecnici ministeriali e dei diretti interessati, di:

1) escludere per ora, in linea di massima,l’esportazione di calzature di massa con tomaia e fondo di pelle o di cuoio; 2) consentire l’esportazione di calzature fatte con tomaia di tessuto e di altro materiale diverso dalla pelle e con suola di rigenerato di gomma, di sughero, di legno e di materia diversa dalla pelle e dal cuoio. 3) consentire per ora, a titolo di esperimento l’esportazione di calzature femminili di lusso […]206

La linea del ministero è molto precisa e realistica e punta principalmente a ridurre il disavanzo della

bilancia commerciale e ad importare valuta dall’estero, tenendo in qualche modo conto della grave

penuria di beni interna. Per questo motivo la scelta di politica economica punta a favorire

l’esportazione di beni fatti con materia prime importate, come le calzature in gomma, e a destinare

al solo uso interno quelli fatti con materie prime nazionali. Un’eccezione veniva fatta solo per i beni

di lusso ad alto valore aggiunto che garantivano un alto afflusso di moneta e al fine di non perdere

posizioni importanti sui mercati esteri.

Come già negli anni ’30, la Ursus Gomma era favorita dalle scelte di politica economica nazionale

volte a incoraggiare l’afflusso di valuta e si dimostrava capace di sfruttare fino in fondo le

possibilità offerte. I risultati non tardarono a venire, inoltre, nel 1953 l’impresa dichiarava che

l’afflusso di valuta dalla vendita di beni all’estero era già più che sufficiente a coprire i propri

acquisti di materie prime necessarie per la produzione per il mercato estero e gran parte di quello

nazionale207. Nello stesso periodo la Ursus Gomma si era insediata stabilmente in alcuni mercati

europei (Belgio, Francia, Svizzera, Danimarca, Portogallo e Germania), mediterranei (Tunisia, 205 L’Informatore Vigevanese, anno II, n. 6 del 22 febbraio 1946, p. 1. 206 Ibidem, p. 2. 207 ACS, Min Ind, Direzione generale produzione industriale, Finanziamenti ERP, b. 31, fasc. 581, Domanda di finanziamento del 13 ottobre 1953, p. 2.

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Libia ed Egitto), extra-europei (Kuwait, Iraq e Messico) e stava prendendo contatti per stabilirsi in

modo importante in mercati importanti come quello canadese e statunitense208.

Il fatto di essere un’impresa molto grande dal punto di vista occupazionale, tecnologicamente

avanzata e rivolta all’esportazione costituì un importante vantaggio per in quanto permise un

massiccio accesso agli aiuti pubblici sia per fronteggiare l’emergenza del Dopoguerra che per

finanziare nuovi investimenti produttivi.

La Ursus Gomma ottenne un importante aiuto finanziario nell’immediato Dopoguerra da parte

Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali209 e richiese di poter beneficiare di una parte dei

fondi dell’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall.

Il primo aiuto, in ordine cronologico, fu quello del Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali

richiesto già nel dicembre del 1946210.

La società domandò una sovvenzione cambiaria di 70 milioni, la cui restituzione era garantita,

anche personalmente, da Bertolini e Masseroni, al fine di finanziare l’acquisto di materie prime

indispensabili per continuare la produzione211. In sostanza, la Ursus Gomma chiedeva un aiuto

finanziario al fine di superare l’asimmetria temporale dei flussi monetari esistente tra l’acquisto

delle materie prime e il realizzo delle vendite. Nella situazione di carenza di capitali e di instabilità

monetaria del 1946 avere un fido di simile entità era costoso e non facile presso il normale sistema

bancario.

Questa vicenda permette di fare luce sulla credibilità e il buon nome dell’impresa e i suoi

amministratori godevano all’epoca a livello locale.

L’Agenzia locale della Banca d’Italia si dichiara, già il giorno dopo la richiesta, pienamente

favorevole alla concessione del prestito descrivendo la Ursus Gomma come un’impresa che:

Ha larghissimo giro d’affari nazionale, ma da vari mesi ha anche cominciato la esportazione di alcuni articoli richiestissimi. Gode di conseguenze in Italia e fuori di ottima fama e fa fronte agli impegni con la massima puntualità Si può trattare quindi con tranquillità per qualsiasi cifra.212

Dello stesso parere sono i componenti della Commissione di Sconto della Banca d’Italia di Pavia

che approvano il prestito213 immediatamente. La fiducia riposta nelle doti imprenditoriali di

208 Ibidem., p. 1. 209 Il Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali era un ente pubblico autonomo, ma di fatto strettamente collegato alla Banca d’Italia, costituito durante la 1° Guerra Mondiale con il fine di finanziare prima lo sforzo bellico e successivamente la riconversione industriale. Durante il periodo fascista contribuì al salvataggio dell’industria italiana travolta dalla crisi del ’29 e nel 2° Dopoguerra diede un importante contributo finanziario alla ripresa della normale attività produttiva. 210 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, richiesta del 17 dicembre 1946. 211 Ibidem. 212 Ibidem, mod. 22, Bollettino d’informazione alla succursale di Pavia del 18 dicembre 1946.

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Masseroni e Bertolini e nella solidità economica della Ursus Gomma era tale che i funzionari locali

del Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali espressero parere favorevole al finanziamento

in soli due giorni.

Il prestito però venne bloccato non appena la pratica passò alla direzione nazionale, in quanto il

presidente del Consorzio, Luigi Einaudi, chiese ulteriori accertamenti. In un secondo momento

concesse la sovvenzione, ma riducendone l’ammontare da 70 milioni a 30 milioni e imponendone il

regolamento non più in un anno, ma in venti mesi con un tasso del 2,5%214.

La riduzione dell’affido da parte del Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale si dimostrò non

privo di fondati motivi perché la Ursus Gomma, adducendo molteplici giustificazioni, restituirà il

prestito pienamente solo all’inizio del 1950. Immediatamente dopo questa data gli amministratori

dell’imprese richiesero un nuovo finanziamento dell’ammontare di 80 milioni, ma di cui non si

conoscono né le modalità di erogazione né i tempi di rimborso215.

E’ interessante notare che, nonostante i ritardi e i tentativi di rinegoziare il finanziamento, i

funzionari del Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali non modificarono il loro giudizio

estremamente positivo sulla solvibilità e l’affidabilità dell’impresa. Al momento della concessione

dell’ultima proroga il funzionario interessato osservava come:

In considerazione dell’importanza e solidità della Ditta che svolge un intenso lavoro Le do il mio parere favorevole per l’accoglimento della domanda216.

I ritardi nel pagamento erano quindi da attribuire non alla mancanza di lavoro o all’insufficienza

delle vendite, ma a problemi di carattere esclusivamente finanziario. Da un lato, probabilmente, i

dirigenti non volevano liberarsi della liquidità per aumentare il ritmo produttivo, dall’altro il

carattere stagionale della lavorazione e le lentezze dei pagamenti dall’estero contribuivano a rendere

finanziariamente fragile la Ursus Gomma. Sarà proprio questa debolezza finanziaria che sul finire

degli anni ’50 porterà l’impresa alla sua prima grave crisi.

Masseroni richiese infruttuosamente un secondo importante aiuto nel 1953 cercando di usufruire dei

finanziamenti del Piano Marshall. Stanziati nel quadriennio 1949-1953, questi aiuti diedero,

nonostante alcune inefficienze e lentezze da parte delle amministrazioni pubbliche217, un impulso

importante alla ripresa economica e alla modernizzazione dell’apparato produttivo.

Il Piano Marshall consistette principalmente non in aiuti alla popolazione, ma in materie prime,

merci e macchinari per l’industria. Lo stato italiano trasferì una parte degli aiuti direttamente alle 213 Ibidem, Direzione della succursale di Pavia, verbale n. 15 del 19 dicembre 1946. 214 Ibidem, telegramma dell’Amministrazione Centrale del 18 marzo 1947. 215 Ibidem, lettera n. 3290 del 10 giugno 1950. 216 Ibidem, lettera n. 2956 del 10 novembre 1949. 217 Castronovo V., La storia economica, pag. 383, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7

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imprese e vendette sul mercato i restanti al fine da ottenere capitali da destinare alle imprese. I

beneficiari furono principalmente i grandi gruppi industriali che poterono così effettuare consistenti

investimenti senza indebitarsi o ricorrere all’autofinanziamento218.

Anche se non è stato possibile accertare che la Ursus Gomma fu una delle imprese italiane a

beneficiare di questi aiuti, la documentazione allegata alla domanda di finanziamento permette

comunque di ottenere molte informazioni sia sulla struttura della fabbrica che sulla strategia

produttiva che animava i suoi dirigenti.

Il 13 ottobre del 1953, Masseroni presentò richiesta di un finanziamento di 484 milioni di lire

dell’epoca219. Di questi 270 milioni dovevano servire all’acquisto di macchinari per rinnovare i

reparti già esistenti razionalizzando la produzione, aumentando la produttività e abbattendo il costo

della manodopera per unità di prodotto. Già nel 1947 la Sezione gomma del Sottocomitato Alta

Italia aveva individuato nell’elevato costo del lavoro e nella minore produttività degli operai

rispetto ai concorrenti esteri uno dei principali limiti, assieme alla scarsità di materie prime,

dell’industria nazionale della gomma220.

I rimanenti 214 milioni del finanziamento invece dovevano servire all’apertura di un nuovo reparto

produttivo finalizzato alla produzione di gommapiuma su licenza un’impresa americana, la

Firestone Tires & Rubber Company221.

Al di là dell’ammontare dei singoli finanziamenti, la richiesta di finanziamento pubblico della Ursus

Gomma permette di evidenziare la strategia industriale seguita dall’impresa in questo periodo. I

dirigenti non si limitavano a sfruttare gli aiuti per modernizzare il ciclo produttivo senza dover

metter mano al portafoglio o dover ricorrere al credito bancario, ma puntavano anche ad entrare in

un nuovo mercato che all’epoca era appena agli inizi.

L’uso su larga scala della gommapiuma cominciò in Europa appunto all’inizio degli anni ’50

creando un mercato in così veloce crescita che l’offerta faticava tenere dietro la domanda generando

conseguentemente alti e sicuri profitti per le imprese del ramo.

La Ursus Gomma si proponeva di entrare in questo nuovo mercato importando una nuova

tecnologia produttiva dagli USA con licenza di vendita esclusiva per l’Italia e l’estero,

subappaltando a ditte italiane la produzione degli impianti222 e cercando di far concorrenza all’altro

produttore italiano di gommapiuma, la Pirelli. Competizione sul mercato interno in cui la Ursus

Gomma pensava poter aver successo. Inoltre, entrando più tardi sul mercato poteva produrre con

218 Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. XI, p. 202. 219 ACS, Min Ind, finanziamenti ERP, b. 31, fasc. 581, lettera del 13 ottobre 1953. 220 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), cap. 3, p. 5. 221 ACS, Min Ind, finanziamenti ERP, b. 31, fasc. 581, Relazione tecnico-amministrativa, p. 19. 222 Ibidem, p. 21.

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una tecnologia più avanzata rispetto alla concorrenza e non doveva sobbarcarsi le spese

pubblicitarie necessarie per far conoscere ai consumatori il nuovo prodotto223.

E’ interessante notare come la strategia fosse coerente con la politica industriale portata avanti dal

governo. Le linee guida di questa strategia erano state fissato in un documento riservato del

Ministero dell’Industria e del Commercio significativamente intitolato Programma dell’attività

industriale nel quadriennio 1949-1953224. Gli obiettivi individuati dagli esperti del ministero erano:

1) – riduzione dei costi di produzione al fine di allinearli, nella massima misura possibile, a quelli internazionali;

2) – espansioni della produzione; 3) – massima occupazione della forza lavoro225.

A tal fine l’Italia doveva sfruttare gli aiuti ERP per favorire l’importazione di macchinari dall’estero

e, ancora meglio, bisognava integrare con:

una produzione interna di migliore qualità modellata su prototipi importati ed orientata verso le più recenti tecniche da acquistarsi sia mediante un più intenso scambio di informazioni tecniche, sia mediante lo sfruttamento di brevetti e di processi di fabbricazione226.

Non ci sono documenti che attestano la concessione del finanziamento del Piano Marshall alla

Ursus Gomma e non risulta che essa abbia mai iniziato la produzione di gommapiuma aprendo un

nuovo stabilimento. L’ipotesi più probabile è che l’aiuto pubblico non venne concesso e quindi

l’impresa si limitò a razionalizzare la produzione utilizzando risorse proprie e riducendo

l’ammontare di manodopera occupata grazie alla meccanizzazione e rivendette la licenza per la

produzione di gommapiuma. Proprio in questo periodo gli occupati vennero infatti ridotti

definitivamente sotto le mille unità per attestarsi circa attorno agli 800 addetti compresi operai ed

impiegati227.

La razionalizzazione e la meccanizzazione del processo produttivo ebbero un importante impatto

economico sull’economia cittadina dove stava movendo i suoi prima passi l’industria locale delle

macchine per calzature in gomma che si trovò a ricevere un’importante commessa per la produzione

di macchinario.

6) La condizione operaia e l’organizzazione della fabbrica. 223 Ibidem, p. 20. 224 ACS, Min Ind, b. 212, fasc. 177, Programma dell’attività industriale nel quadriennio 1949-1953. 225 Ibidem, p. 1. 226 Ibidem, p. 3. 227 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 8.

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Tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 la Ursus Gomma costituiva la più grande

concentrazione operaia della città di Vigevano. Concentrazione che risaltava ancora di più in una

città caratterizzata prevalentemente dalla presenza della piccola e media impresa.

Tenere le relazioni industriali con una così ampia massa di dipendenti poneva alla direzione dei

problemi rilevanti soprattutto dopo il crollo del regime fascista che aveva sviluppato un suo

particolarissimo sistema di inquadramento della manodopera (Dopolavoro, Gruppi Aziendali, ecc.).

La grande novità del Dopoguerra venne costituita dalla nascita dei Comitati di liberazione aziendale

e dall’affermarsi di un sindacato autonomo e combattivo. I CLN aziendali erano organi

rappresentativi dei lavoratori di una singola azienda composti, in pieno accordo con lo spirito

antifascista unitario dell’epoca, da lavoratori di tutte le tendenze politiche. Quello della Ursus

Gomma comprendeva rappresentanti dei principali partiti antifascisti228.

In questo modo veniva istituzionalizzata il nuovo ruolo assunto dai lavoratori durante l’ultima parte

della guerra e si rompeva con il modello di gestione delle relazioni industriali del periodo fascista.

Se si escludono le primissime settimane dopo la Liberazione, in cui nella generale incertezza,

rimasero non ben definiti anche i poteri dei CLN aziendali, poi questi vennero organizzati come

organi con compiti esclusivamente sindacali. La stessa stampa socialista e comunista locale si

impegnò al fine di limitare e precisare il ruolo consultivo specificando che esso:

non ha veste politica ma puramente sindacale e su tutti i problemi sindacali deve prendere un preciso atteggiamento ed esprimere il proprio parere, favorevole o sfavorevole229.

Con la fine della guerra si posero le basi di una forte presenza sindacale di ispirazione comunista

all’interno della Ursus Gomma che divenne una caratteristica permanente fino alla chiusura. Sotto

questo aspetto l’impresa era perfettamente in linea con quanto stava succedendo nel resto della città,

in cui la maggior parte dei lavoratori sindacalizzati aderirono alla corrente comunista, come misero

in luce tutte le elezioni sindacali del Dopoguerra230.

Le condizioni di lavoro degli operai erano relativamente meno incerte rispetto a quelle degli altri

lavoratori di Vigevano. L’impresa non conobbe tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 la

crisi economica che caratterizzò invece il settore calzature non in gomma, ma anzi grazie al

continuo aumento dell’attività produttiva poté garantire la stabilità dell’occupazione. Gli operai

228 Da una lettera dal 27 settembre 1945 al CLN di Vigevano, il CLN Aziendale Ursus Gomma risulta composto da quattro persone: De Grà Carlo per il P.C.I., Ferrari Trecate Camillo per il P.S.I.U.P., da Favini Palmira per l’U.D.I. e da Consonni Cesarina per il P.D.C. Fonte: ASCV, Arch. CLN, Cart 10, fasc. 6. 229 L’Indipendente Vigevanese, anno II, n. 12 del 19 febbraio 1946, p. 2. 230 Alle prime elezioni sindacali dopo la Liberazione la lista comunista venne votata da più del 70% dei lavoraori sindacalizzati inquadrati nella Lega calzolai all’interno dei quali votavano gli operai dell’Ursus Gomma. L’Indipendente vigevanese, anno II, n. 12 del 19 febbraio 1946.

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della Ursus Gomma, assieme agli operai della Ursus Cuoio, riuscirono a superare meglio di altri la

carenza di beni di prima necessità grazie alla costituzione della Cooperativa Operaia Ursus.

La costituzione di cooperative di consumo legate alla aziende non costituiva una particolarità per

l’epoca, anzi molte grandi imprese si erano dotate di istituti simili ben prima della Ursus. Se c’era

una particolarità questa andava ricercata nell’indipendenza che la Cooperativa Operaia Ursus aveva

rispetto alla proprietà. Come osservava il suo Presidente Umberto Masini all’inizio degli anni ’50:

[…] all’inizio i titolari delle ditte sono stati effettivamente generosi, ora [1951, n.d.r.] il loro aiuto è limitato ad agevolazioni nel pagamento dei prodotti che vengono da loro acquistati, per lo spaccio abbigliamento come calzature, di cuoio e di gomma, coperture ecc231.

In molte altre realtà aziendali le istituzioni di consumo, ricreative ecc. legate alla fabbrica

conservarono il carattere di enti di controllo e inquadramento della forza lavoro che aveva avuto

durante il Fascismo, tipico l’esempio della Falck a Milano232 o della Fiat a Torino. La particolarità

della Cooperativa Operaia Ursus stava appunto nell’indipendenza che essa aveva rispetto alla

proprietà. Originalità che trova origine nell’ampiezza di vedute di Masseroni e Bertolini, che

avevano visto nell’associazione uno strumento per responsabilizzare e rendere autosufficienti i loro

dipendenti. Negli anni ’50, la Cooperativa Operaia Ursus era una realtà vitale con tre spacci sparsi

per la città e un consiglio composto a maggioranza da comunisti e socialisti e veniva vista non come

espressione del paternalismo padronale, ma come fiore all’occhiello del socialismo locale233.

Questo non vuol dire che i rapporti tra proprietà e mano d’opera fossero sempre improntati alla

collaborazione. Gli scioperi non mancarono in questo periodo e spesso i lavoratori si lamentavano

per le condizioni di lavoro e il rispetto dei contratti.

Le delegate della Ursus Gomma al 1° Convegno delle Lavoratrici Chimiche della Provincia nel

1950 lamentarono la “non completa applicazione delle norme sulle lavorazioni nocive”234 e le

carenze di igiene “tanto dei locali adibiti alla mensa, tanto di quelli adibiti a spogliatoi ed a luoghi

di decenza”235 rispetto a quanto stabilito dai contratti di lavoro.

Le lotte sindacali più importanti di questo periodo riguardarono la tipologia contrattuale con cui

dovevano essere inquadrati gli operai Ursus Gomma. Subito dopo la fine della guerra, la forza

lavoro era sottoposta al contratto nazionale dei lavoratori del settore abbigliamento, mentre gli

operai chiedevano di essere spostati nella categoria chimici che garantiva maggiori benefici sia dal

punto di vista salariale che dal punto di vista delle tutele rispetto alle lavorazioni pericolose.

231 L’Indipendente Vigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre 1951, p. 2. 232 Pozzobon M. e Mari R., Le Acciaierie e la ferrerie lombarde Falck, p. 117, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 233 L’Indipendente Vigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre 1951, p. 1. 234 Ibidem, anno VI, n. 12 del 1 aprile 1950, p. 2. 235 Ibidem.

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L’agitazione interessò tutti i lavoratori del settore gomma cittadino ed ebbe il suo epicentro

nazionale a Vigevano che raccoglieva la maggior parte delle imprese del settore. Anzi spesso, come

durante lo sciopero generale del maggio del’49, l’agitazione si svolse con la quasi completa

adesione della manodopera in città, mentre le imprese degli altri comuni continuavano la normale

attività produttiva236, con grande disappunto degli industriali locali. La vertenza dopo due anni di

scioperi e trattative si concluse nel 1949 con il successo dei sindacati che riuscirono ad ottenere il

passaggio dal regime contrattuale del settore abbigliamento a quello del settore chimico in cui gli

operai della Ursus Gomma rimarranno fino alla chiusura dell’impresa.

Tutti i dipendenti in questo periodo lavoravano all’interno del comune di Vigevano suddivisi in tre

diversi stabilimenti.

Il primo, e il più importante, centro produttivo era costituito dallo stabilimento di via S. Giacomo.

Su una superficie di circa 20.000 mq237, in gran parte coperti, si trovavano i reparti più importanti

dell’impresa adibiti alla produzione di stivali in gomma, scarpe da tennis e coperture velo, oltre agli

articoli tecnici, vi avevano sede l’amministrazione dell’impresa, i magazzini principali e gli uffici

dei dirigenti. In ordine di dimensioni seguiva il vicino stabilimento di via Santa Maria, di circa

4.000 mq, che concentrava la lavorazione delle resine sintetiche e in cui c’erano due magazzini, due

locali a uso ufficio e gli spogliatoi per i dipendenti238. Infine, la Ursus Gomma disponeva di un

terzo stabilimento, in affitto, situato in corso Milano che appena dopo la Liberazione era adibito alla

rigenerazione dei cascami gomma239.

Al loro interno gli stabilimenti erano organizzati in reparti, di cui ovviamente il più importante sia

in termini occupazionali che in termini di fatturato era quello preposto alla produzione di calzature

sia di tipo tennis che di stivali. All’inizio degli anni ’50 la capacità produttiva potenziale era di circa

5500 paia al giorno che poi con il rinnovo impianti del 1953 avrebbero dovuto diventare circa

8300240. Il reparto calzature si trovava nello stabilimento di via S. Giacomo ed era il vero e proprio

centro produttivo dell’impresa che assemblava e finiva componenti e produzioni provenienti non

solo dai reparti di preparazione della gomma che trattavano la materia prima ma anche da quelli di

lavorazione di articoli tecnici che fornivano i semilavorati per la confezione delle calzature241. Per

completare il quadro bisogna ricordare i reparti lavorazioni tessuti che producevano impermeabili e

236 L’Informatore Vigevanese, anno V, n. 18 del 5 maggio 1949, p. 2. 237 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, Bollettino di informazioni alla succorsale di Pavia del 17 dicembre 1946. 238 Ibidem, Bollettino di informazioni alla succorsale di Pavia del 13 maggio 1950. 239 Ibidem, Bollettino di informazioni alla succorsale di Pavia del 17 dicembre 1946. 240 Ibidem, p. 12. 241 Ibidem, p. 6.

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tessuti gommati, i reparti lavorazione velo, che producevano camere d’aria e coperture per biciclette

e scooter, l’officina meccanica e i magazzini242.

Il reparto lavorazione materie plastiche si trovava invece nello stabilimento di via S. Maria e aveva

una vita produttiva a parte. Nel 1952 iniziò, proprio in questo reparto, la lavorazione del

resolarmato uno dei nuovi materiali pensati ed immessi sul mercato dalla Ursus Gomma243. Il

resolarmato contrariamente alla maggior parte della produzione dell’impresa non era un bene di

consumo, ma un bene capitale e quindi si rivolgeva a un nuovo mercato. L’idea base di questo

nuovo materiale era quella di coniugare alcune proprietà utili del PVC come la resistenza agli agenti

chimici, con altre proprietà del metallo come la resistenza alle pressioni e al peso. Al di là delle

proprietà specifiche del resolarmato, l’introduzione di questo nuovo materiale testimonia il livello

tecnico raggiunto della Ursus Gomma che non si limitava solo a importare brevetti dall’estero o

copiare dei concorrenti, ma era anche in grado di produrre dei beni propri.

7) I dirigenti dell’Ursus Gomma

La storia della Ursus Gomma nel periodo che va dal 1945 al 1953 è ancora strettamente legata a

quella delle vicende di due suoi fondatori: Pietro Bertolini e Rinaldo Masseroni.

Il nome di Rinaldo Masseroni raggiunse proprio in questo periodo la massima notorietà a livello

nazionale legata però, non a meriti imprenditoriali, ma a meriti sportivi. Nel decennio 1945-1955

occuperà infatti la carica di presidente dell’Inter244 che anche all’epoca era una delle più importanti

squadre nazionali. I tifosi locali fecero persino un tentativo di sfruttare a favore della città la sua

abilità e notorietà di dirigente sportivo scrivendogli una lettera aperta in cui gli proponevano di

acquistare la locale squadra di calcio, che in quel periodo stava disputando un buon campionato245.

Offerta che venne accettata, sia pure solo per pochi anni.

La passione sportiva di Masseroni non si limitava solo al calcio, ma spaziava anche su altri sport

come il ciclismo. Sono questi gli anni in cui la Ursus Gomma diventa sponsor ufficiale di molti tra i

più bravi corridori nazionali come Coppi e Bartali ed esteri come Van Stambergen e Koblet246.

Da buon imprenditore Masseroni seppe unire utile e passione sportiva. Da un lato l’abile scelta dei

corridori da sponsorizzare portò una grande e proficua pubblicità che all’epoca rappresentava uno

dei massimi produttori italiani di coperture velo per biciclette, settore caratterizzato da una

242 Ibidem, p. 5. 243 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 7. 244Arch. C.d.L. Pavia, fasc. 3.1.13, Ursus Gomma crisi aziendale 78/79. 245 L’informatore Vigevanese, anno VII, n. 2 dell’11 gennaio 1951, p. 2. 246 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 6.

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concorrenza particolarmente vivace e in cui la notorietà del marchio era indispensabile per

conservare quote di mercato. Dall’altro Masseroni strinse alleanze con importanti case produttrici di

biciclette, come la Bianchi, la Viscontea e la Taurus, per la fornitura di coperture velo per biciclette

aprendo un canale indiretto di esportazione247 e stabilendo uno zoccolo duro di vendite garantite.

Abile imprenditore, Masseroni era riuscito a costruirsi un piccolo impero economico con

investimenti estremamente diversificati. Oggi, soprattutto per la tradizionale scarsa trasparenza

dell’attività imprenditoriale che caratterizzava l’Italia di quel tempo e l’insufficiente tutela

legislativa nei confronti del piccolo azionista248, non è facile ricostruire anche in maniera

approssimativa l’ampiezza dei suoi interessi economici.

Il patrimonio personale del Comm. Rinaldo Masseroni veniva stimato, sommando il valore delle

proprietà immobiliari e delle partecipazioni azionarie, in parecchie centinaia di milioni di lire

dell’epoca249.

Il patrimonio di Masseroni per struttura e composizione rappresentava il patrimonio del medio

industriale dell’epoca con interessi che spaziano dall’agricoltura ai servizi e dall’industria alle

speculazioni immobiliari a cui bisogna aggiungere notevoli capitali investiti in titoli di stato e

pacchetti azionari di minoranza.

Tra le sue numerose società sono da segnalare la Società Anonima Bonifiche Valli Meridionali di

Comacchio, tipico esempio di società creata durante il fascismo per sfruttare le opportunità

economiche create dalle campagne del regime250. Nel campo dei servizi Masseroni risulta

proprietario del 67% delle azioni della Società Anonima Terme di Acqui quotata in borsa, mentre in

quello immobiliare sono da segnalare consistenti interessi nell’espansione urbana di Roma251.

Ma Masseroni conduceva le sue principali attività economiche non da solo, ma in collaborazione

con Pietro Bertolini.

I due imprenditori possedevano compartecipazioni in numerose imprese tra cui la Ursus Gomma di

cui Masseroni ricopriva la carica di Consigliere delegato mentre Bertolini quella di Presidente. La

collaborazione si estendeva anche alla comproprietà di imprese che pur non facendo parte

giuridicamente società ne costituivano in pratica delle appendici. La principale di queste era la

S.A.V.I, Società Anonima Immobiliare Vigevanese che si occupava di compravendita di immobili e

di terreni e che possedeva varia immobili, tra cui uno in corso Genova adibito ad alloggio per gli

247 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, lettera n. 3290 del 10 giugno 1950, p. 3. 248 Amatori F. e Brioschi F., Le grandi imprese private, p. 123, in Storia del Capitalismo Italiano dal Dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 1997. 249 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, lettera n. 3290 del 10 giugno 1950, p. 3. 250 Ibidem, lettera n. 106 del 18 gennaio 1947. 251 Ibidem, mod. 22 del 13 maggio 1950.

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impiegati della Ursus Gomma252. A questi appartamenti per il personale andavano poi aggiunte le

numerose case possedute direttamente dall’impresa che praticamente rendevano via San Giacomo

un piccolo quartiere aziendale. A differenza di altre realtà industriali del nord d’Italia e del quartiere

operaio situato in zona Cascame a Vigevano, però le case di proprietà di Masseroni e Bertolini non

erano state concepite sulla base di un unico progetto unitario, ma erano il risultato di acquisti e

costruzioni avvenuti nel tempo in modo discontinuo.

Le partecipazioni azionarie di Masseroni non creavano un intreccio di interessi solo con Pietro

Bertolini, ma coinvolgevano anche i suoi figli, Andrea e Benedetto. La società che concretizzava

questa comunanza di interessi economici era la Società Anonima Agricola Immobiliare Bosco

Canova che gestiva un vasto appezzamento agricolo con cascina253.

Un vasto impero economico quindi, ramificato in più settori e costruito in buona parte sulla base di

un’alleanza e una collaborazione profonda con la famiglia Bertolini con un intreccio tra capitalismo

famigliare e stima reciproca tipico degli ambienti industriali italiani. La Ursus Gomma in termini di

fatturato e di potenzialità espansiva spiccava come il gioiello più importante della rete di interessi

economici e di rapporti personali che ruotava attorno ai suoi amministratori.

Il patrimonio del Cav. del Lavoro Pietro Bertolini era per composizione estremamente simile a

quello di Masseroni. Oltre alle imprese comuni comprendeva un certo numero di immobili, terreni

agricoli, titoli di stato e partecipazioni di minoranza in numerose ditte. Gran parte delle attività

erano gestite da Pietro Bertolini con la compartecipazione dei figli. La principale attività industriale

portata avanti dalla famiglia veniva costituita dalla Società in Accomandita Calzaturificio Ursus,

meglio noto come Ursus Cuoio, che si occupava della produzione di calzature non in gomma e della

lavorazione della pelle. Anche se leggermente più piccola, l’impresa di famiglia dei Bertolini

costituiva una delle principali realtà produttive di Vigevano e occupava nel periodo 1945-53 un

numero di dipendenti oscillante tra i 500 e gli 800254.

Pietro Bertolini, una figura molto nota e stimata nella Vigevano di quell’epoca, veniva descritto dai

funzionari dell’agenzia di Vigevano della Banca d’Italia come:

Persona di grande competenza tecnica, attivissimo, instancabile lavoratore, ha dedicato e dedica la sua vita per l’affermazione delle società predette [Ursus Gomma e Ursus Cuoio n.d.r.], che sono le più importanti di Vigevano nei rami gomma e calzature. Di ottima moralità, intelligente e capace […]255.

252 Ibidem, mod. 22 del 17 dicembre 1946. 253 Ibidem. 254 Ibidem, mod. 22 del 13 maggio 1950. 255 Ibidem.

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L’attività di Pietro Bertolini non si limitava alla cura delle imprese e dei suoi interessi economici,

ma era ben più ampia e investiva la città di Vigevano sia dal punto di vista assistenziale che

culturale.

Nella situazione di povertà diffusa e di insufficienza delle strutture assistenziali della città, Pietro

Bertolini si fece carico di numerose iniziative. Tra queste merita di essere ricordata una cospicua

donazione al Pio Istituto dei Poveri non tanto per l’azione in sé, quanto per il caloroso encomio che

ne fece il settimanale di sinistra locale l’Indipendente256. Nel clima di scontro sociale e di

contrapposizione ideologica dell’epoca, un elogio fatto a un industriale da parte di un giornale di

sinistra aveva un valore tutto particolare. Il contributo più duraturo di Bertolini alla città di

Vigevano è, però, senza dubbio il Museo della Calzatura di cui fu uno degli ispiratori, anche se morì

pochi anni prima della sua apertura. Il primo nucleo delle collezioni del museo fu, infatti, costituito

dalla sua personale collezione di calzature e documenti donati dalla famiglia257. Oggi a distanza di

tanti anni e dopo la chiusura delle imprese fondate da Bertolini, il Museo della Calzatura costituisce

ancora una realtà esistente a Vigevano e costituisce uno dei suoi principali lasciti alla città.

L’inizio degli anni ’50 vide la fine del rapporto tra Ursus Gomma e il Cav. del Lavoro Pietro

Bertolini. Durante la seduta del Consiglio di Amministrazione del 17 dicembre del 1951, Bertolini

si dimise dalle cariche di Presidente e Consigliere della società che aveva ricoperto per venti anni

esatti e venne sostituito da Masseroni258.

Con questo ritiro che precedette di soli pochi anni quello del nuovo presidente, la Ursus Gomma si

trovò a dover affrontare il problema del ricambio generazionale della dirigenza che si sovrappose

alla crisi finanziaria aziendale della fine degli anni ’50.

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256 L’Indipendente Vigevanese, anno II, n.4 del 26 gennaio 1946. 257 AA.VV. Il Museo della Calzatura Pietro Bertolini Cavaliere del Lavoro, Arti Grafiche Casonato, Vigevano, 1988, p. 17. 258 Camera di Commercio di Pavia, registro imprese, fasc. 24351, verbale dell’Assemblea ordinaria del 17 dicembre 1951, p. 3.

Page 75: Storia della Ursus Gomma (1931-1987) Ursus Gomma.pdf5 La nascita e il Fascismo (1931-1939) 1) Introduzione La Ursus Gomma nacque agli inizi degli anni ’30 in un contesto storico

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Tra crisi e Miracolo economico (1954-1968)

1) Introduzione

Il periodo 1954-1967 costituisce un momento di crescita assolutamente eccezionale nella storia

economica italiana. In esso si può riconoscere una fase ascendente che comincia con la ripresa

economica mondiale successiva alla crisi della guerra di Corea e ha il suo momento culminante nel

quinquennio del Miracolo economico (1958-1963). Nel 1963 il processo di crescita viene interrotto

da una grave crisi economica a cui seguirà non un nuovo boom, ma una razionalizzazione

produttiva in senso fordista che durerà fino alla fine del decennio.

Nel periodo 1954-1961 l’Italia sperimentò un modello di crescita basato su quattro pilastri: bassa

inflazione, bassi salari, aumento delle esportazioni ed alti investimenti. Se si esclude la variabile

bassi salari, si trattò di un modello molto simile a quello della crescita delle Germania Occidentale

che legava in modo virtuoso stabilità monetaria ed elevati investimenti.

In Italia la bassa inflazione e la stabilità dei tassi di cambio furono garantiti dalla politica del

Governatore della Banca d’Italia Menichella che riuscì in questo modo a creare un ambiente

economico favorevole all’espansione sia delle esportazione che degli investimenti.

L’ammodernamento degli impianti fece aumentare la produttività per lavoratore e questo elemento,

assieme alla moderazione salariale, spiega gran parte del successo delle merci italiane all’estero nel

periodo 1955-1963259 creando un effetto di traino della crescita perché:

Il meccanismo delle esportazioni era infatti destinato ad innalzare il livello del reddito, e quindi degli investimenti, con conseguente aumento di produttività e con una crescente competitività dei prodotti italiani sul mercato internazionale, stimolatrice a sua volta di un ulteriore aumento delle esportazioni260.

Questo circolo virtuoso di investimenti esportazioni e crescita cominciò ad entrare in crisi a partire

dal 1962 per il concorrere di numerosi fattori. Gli elevati investimenti, a causa della distribuzione

tradizionalmente squilibrata della grande impresa, furono concentrati prevalentemente nel Triangolo

industriale, ovvero in un’area ristretta con una popolazione limitata. A partire dall’inizio degli anni

259 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 304. 260 Romeo R., Breve storia della grande industria in italia 1861/1961, Cappelli Editore, Bologna, 1974, p. 274.

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’60 si raggiunse la piena occupazione nelle regioni industrializzate e le imprese cominciarono a

farsi concorrenza tra di loro rubandosi i dipendenti a vicenda. Di questa situazione approfittarono i

sindacati per chiedere un aumento delle retribuzioni proporzionale agli incrementi di produttività.

L’aumento dei salari innescò un processo di immigrazione interno che ridusse le carenze di

manodopera ed fece aumentare bruscamente le importazioni creando squilibri della bilancia

commerciale. A ciò si devono sommare gli effetti indiretti della nazionalizzazione dell’energia

elettrica decisa dai primi governi di centro sinistra. La nascita dell’ENEL venne fortemente

osteggiata dai gruppi privati che monopolizzavano la produzione e la distribuzione di energia

elettrica e controllavano numerosi giornali. Il clima di incertezza creato dalla campagna a stampa

contro la nazionalizzazione e il timore per le agitazioni operaie crearono gravi fenomeni di fuga di

capitali in Svizzera e di aumento dell’evasione fiscale.

Il nuovo governatore della Banca d’Italia succeduto nel 1961 a Menichella, Guido Carli, si trovò di

fronte ad una situazione potenzialmente esplosiva e di difficile controllo, infatti nella sua

autobiografia ricorda come:

Per tutti noi la grande palestra di politica monetaria fu la crisi del 1963. Nel 1962 i prezzi all’ingrosso salirono del 30%. I redditi da lavoro dipendente crebbero del 18 % nel ’62 e del 23% nel ‘63. In quell’anno la disoccupazione raggiunse il suo minimo storico, mai più toccato: il 2,5%. Nel 1963 la bilancia dei pagamenti di parte corrente diventò passiva per 400 miliardi: la quantità delle importazioni crebbe del 22%, quella delle esportazioni rallentò. La bilancia globale era deficitaria di oltre 1800 miliardi261.

Per riportare sotto controllo la situazione economica, Carli decise di attuare una stretta monetaria

molto dura che stabilizzò la bilancia dei pagamenti, ma fu pagata dal paese con una dura recessione

economica. Finita la crisi del 1963-1964, l’economica italiana ricominciò a crescere ma sulla base

di un modello differente. Gli investimenti, molto inferiori al periodo precedente, furono rivolti più

che all’allargamento della base produttiva, all’aumento dei ritmi di lavoro, mentre il Triangolo

industriale registrava un notevole afflusso di manodopera dalle altre regioni.

Gli anni dal 1965 al 1967 videro essenzialmente questi due fenomeni che costituirono le premesse

per l’esplosione della conflittualità sindacale del ’68. Inoltre, ben presto il malcontento dei nuovi

immigrati per gli alloggi scadenti e la carenza di servizi pubblici si sommò al malcontento per gli

eccessivi ritmi di lavoro creando le basi per anni di forte conflitto sociale.

261 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 285.

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2) La Ursus Gomma e la crisi del settore gomma a Vigevano

La situazione economica della Vigevano degli anni ’50 per molti aspetti rappresentò l’esatto

opposto di quella degli anni ’30. Mentre dopo la crisi del ‘29 la città era stata caratterizzata dal

ristagno del settore cuoio a cui si contrapponeva l’eccezionale successo del settore gomma, dopo il

’53 si verificò l’esatto opposto.

Il differente andamento dei due settori è fotografato in modo molto eloquente dai dati dei

censimenti industriali del 1951 e del 1961 riportati in tabella 4.1.

Tabella 4.1 – Il settore calzaturiero a Vigevano nel 1951 e nel 1961262. Settore calzature

in gomma Settore calzature

in cuoio Anno 1951 1961 1951 1961

Addetti 3008 1451 8354 14045 Unità locali 23 33 872 838

Addetti medi per impresa 130,78 43,97 9,58 16,76

Potenza istallata 10437 9836 5430 11095

Nel periodo intercorso tra i due censimenti il settore delle calzature in cuoio vide un vero e proprio

boom che lo portò a raddoppiare gli addetti e la potenza dei macchinari istallati, pur rimanendo

sempre caratterizzato dalla prevalenza della piccola e media impresa. Per l’industria della gomma,

invece, si può osservare una caduta degli occupati, una forte riduzione della dimensione delle unità

locali ed una lieve diminuzione della potenza istallata che passa da 10437 HP a 9836 HP e questo,

si noti, nel periodo della storia italiana in cui si è registrato il massimo picco di investimenti in

capitale fisso. Se si considera che nel 1961 la Ursus Gomma aveva circa 600263 dipendenti e quindi

tutte le altre unità locali complessivamente 800 dipendenti si può avere un’idea dalla crisi del

settore. Nel giro di un decennio la città passò da un tessuto di medie imprese operanti nel settore

gomma a una situazione caratterizzata da una grande impresa e da molte piccole aziende.

Le cause di questo regresso, che rischiò di travolgere anche la Ursus Gomma sono molteplici e

complesse. I produttori vigevanesi avevano avuto un vantaggio competitivo notevole nel corso degli

anni ’30 perché erano stati tra i primi ad iniziare la produzione di calzature in gomma e avevano

beneficiato dell’assenza di concorrenza estera. Con l’inizio degli anni ’50 entrambi questi elementi

vennero meno, perché si sviluppò un’industria gomma-calzaturiera anche in altre regioni italiane e

262 I dati sono il frutto di una rielaborazione a partire dai dati sui censimenti industriali forniti all’autore dal Centro di Informazione Statistica dell’ISTAT della Lombardia. 263 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Reazione del Consiglio di Amministrazione del 1961.

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le importazioni dai paesi esteri vennero gradatamente liberalizzate264. Questo in un contesto in cui

la domanda mondiale, e quindi le esportazioni, si contrassero per un breve periodo in seguito alla

guerra di Corea e il mercato italiano della calzature in gomma cominciò a saturarsi. Alla fine del

decennio, a peggiorare la situazione si aggiunse anche il fatto che alcuni paesi tradizionalmente

importatori cominciarono a sviluppare una propria industria autoctona di calzature in gomma a

basso prezzo265.

A questi elementi, che già da soli costringevano i produttori vigevanesi a riposizionarsi ed a

riconsiderare le loro strategie imprenditoriali per i mercati interni ed esterni, si aggiunsero fenomeni

di concorrenza che oggi verrebbero definiti sleali. Un attacco per così dire dall’”alto” venne dalla

più grande impresa del settore, la Superga che, acquisita nel 1951 dalla Pirelli, inaugurò una

strategia di mercato estremamente aggressiva. Poco dopo l’assorbimento, depositò un brevetto per

la produzione di pantofole con bordo di gomma e ne chiese il rispetto a tutti i produttori italiani266.

Gli industriali vigevanesi protestarono vigorosamente osservando come calzature simili erano già

prodotte in città fin dall’inizio degli anni ’30 senza però che nessuno ne avesse depositato il

brevetto267. Ma le proteste furono inutili perché le autorità competenti di Roma, presso cui forse la

Pirelli disponeva maggiori mezzi di pressione, risolsero la questione a favore della Superga, che

poté così sfruttare il brevetto. Gli industriali vigevanesi dovevano anche fronteggiare un attacco dal

“basso”, ovvero la concorrenza degli altri produttori italiani che approfittavano della dispersione

geografica per non rispettare i contratti nazionali. Come già evidenziato, tra la fine degli anni ’40 e

l’inizio degli anni ’50 l’industria italiana della calzature in gomma presentava un particolare

distribuzione geografica. Infatti, una fetta rilevante degli impianti produttivi era concentrata a

Vigevano, mentre nel resto del paese le imprese che producevano calzature in gomme erano

estremamente disperse. La conseguenza di questo contrasto geograficho era una situazione

paradossale in cui a Vigevano i sindacati di categoria avevano la forza contrattuale per ottenere i

rinnovi contrattuali e farli più o meno rispettare, poiché le violazioni in città erano subito risapute,

mentre nel resto del paese avevano un’influenza molto più ridotta.

Per questo motivo la crisi del settore gomma vigevanese fu accompagnato da una serie di vertenze

tra datori di lavoro e dipendenti in cui i primi si lamentavano per la concorrenza sleale, mentre i

secondi chiedevano il rispetto dei contratti stipulati. La città fu interessata da una serie di scioperi

del settore gomma, alcuni dei quali proclamati solo per Vigevano, come quello del maggio del

264 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 116. 265 Informazioni economiche. Mensile della Camera di Commercio, Industria ed Agricoltura di Pavia, anno XIV, n. 6 del giugno 1959, p. 25. 266 L’Informatore Vigevanese, anno IX, n. 10 del 12 marzo 1953. 267 Ibidem, anno IX, n. 3 del 22 gennaio 1953.

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1954268. La Ursus Gomma fu uno dei centri della protesta sindacale, che costituiva più una

conseguenza della crisi del settore che una delle cause.

Proprio in questo periodo si ha notizia per la prima volta di scioperi a singhiozzo269. Questo

strumento di lotta era particolarmente efficace nel settore gomma. Infatti, costringeva a mantenere i

macchinari accesi, con conseguenti costi, ma bloccava completamente la produzione. La gomma

per essere lavorata doveva essere preparata sotto forma di mescole in apposite macchine da cui

uscivano lunghi fogli di semilavorato che poi venivano rifiniti e vulcanizzati. L’intero processo

richiedeva dei tempi tecnici per ogni passaggio che non potevano essere elusi. Gli scioperi a

singhiozzo venivano attuati in modo da non lasciare sufficiente tempo lavorativo per consentire lo

svolgimento di alcuni dei passaggi fondamentali della produzione. Da questo punto di vista

costituiva un metodo di lotta estremamente efficace perché, pur mantenendo la manodopera in

fabbrica a lavorare ad orario ridotto bloccava completamente la produzione270.

Il 1955 fu l’anno in cui la crisi si rivelò in tutta la sua gravità e le relazioni industriali del settore

gomma, complice anche il clima della Guerra fredda, degenerarono in modo considerevole. Alcune

imprese storiche del panorama cittadino fallirono clamorosamente lasciando svariate centinaia di

disoccupati che fortunatamente vennero rapidamente riassorbiti dall’espansione del settore della

calzature in cuoio. Tra le vicende delle imprese del settore fece all’epoca particolare impressione il

fallimento della Ditta Dondè Remo che chiuse licenziando l’intera manodopera di circa 400

dipendenti271. Molte altre imprese furono costrette a ricorrere alla cassa integrazione in misura

considerevole, tra queste la Rossanigo, Mainardi e la stessa Ursus Gomma, ovvero tutte le principali

aziende gomma-calzaturiere vigevanesi272.

La crisi si accompagnava da continue polemiche tra gli industriali del settore e la locale Camera del

Lavoro e tra CISL e CGIL. In questi anni Masseroni esprimeva il desiderio di essere “finalmente il

vero dirigente della sua fabbrica, essendo egli il solo responsabile dell’azienda di fronte alle

leggi”273. I sindacati, principalmente CGIL e CISL, si rinfacciavano gli uni con gli altri di non avere

a cuore gli interessi dei lavoratori, ma quello della propria parte politica. Queste polemiche erano

tipiche non solo di Vigevano, ma di tutta l’Italia dell’epoca. Infatti, il clima della Guerra fredda

aveva provocato la rottura del sindacato unitario uscito dalla Resistenza nelle sue due componenti

cattolica e comunista, entrambe estremamente ideologizzate e in forte competizione tra di loro. Gli

anni ’50 furono caratterizzati poi da una forte offensiva degli industriali che prese di mira

268 Ibidem, anno X, n. 18 del 6 maggio 1954. 269 Ibidem, anno X, n. 23 del 10 giugno 1954. 270 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006. 271 L’Informatore Vigevanese, anno XI, n. 20 del 19 maggio 1955, p. 3. 272 Ibidem, anno XI, n. 32 dell’11 agosto del 1955, p.2. 273 Ibidem, anno XI, n. 24 del 16 giugno 1955, p. 1.

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soprattutto la CGIL e che cercò di favorire i cosiddetti sindacati gialli o, in subordine, la CISL

contribuendo ad avvelenare ulteriormente i contrasti intersindacali.

A Vigevano uno dei principali luoghi dello scontro tra CISL e CGIL fu, appunto, la Ursus Gomma,

che costituiva una delle roccaforti del sindacalismo comunista e in cui invece i lavoratori cattolici

erano sempre stati una minoranza. Le polemiche culminarono nell’annullamento delle elezioni

sindacali della commissione interna che furono clamorosamente invalidate per irregolarità e

dovettero essere ripetute. La vicenda fu ampiamente seguita dalla stampa locale che pubblicò

appelli e lettere aperte, tra queste è significativa l’appello di un operaio Ursus Gomma che invitava

a votare per la CISL osservando come:

I dirigenti della Camera del Lavoro sono responsabili dell’attuale pesante situazione che opprime l’azienda nonché il settore gomma cittadino. […] Mentre in tutta Italia i lavoratori si presentavano al lavoro, i dirigenti della CGIL di Vigevano ci facevano scioperare contro un accordo stipulato dalla CISL sul conglobamento definito allora una truffa e oggi considerato quale grande conquista della CGIL274.

E più avanti aggiungeva come:

Lista CISL: è un’organizzazione che noi lavoratori dell’Ursus, per pregiudizio e per paura, abbiamo cercato di tener sempre lontano dai nostri problemi. […] Secondo me la CISL è un’organizzazione che si è battuta e si sta battendo con efficacia a favore di noi lavoratori275.

Questa lettera può dare un’idea del clima che si respirava alla Ursus Gomma in quegli anni e

dell’intensità dello scontro che terminò con una sostanziale riconferma della fiducia operaia alla

CGIL.

3) La crisi dell’Ursus Gomma

Nel periodo compreso tra il 1954 e il 1958 la Ursus Gomma attraversò una delle più gravi crisi

economiche della sua storia, da cui seppe uscire con successo. Essa fu particolarmente seria per il

sommarsi delle difficoltà congiunturali del settore gomma Vigevanese con fattori specifici

dell’impresa.

Appena prima della recessione causata dalla guerra di Corea negli anni 1954 e 1955, la Ursus

Gomma aveva effettuato dei considerevoli investimenti in ammodernamento dei propri impianti

produttivi, che non aveva potuto finanziare con gli aiuti del Piano Marshall. La riduzione delle

vendite colpì, dunque, un’impresa che aveva una posizione finanziaria fragile e che scommetteva su

274 Ibidem, anno XI, n. 20 del 19 maggio 1955, p. 1. 275 Ibidem.

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un’espansione dei mercati che poi non si verificò. In questa situazione già difficile essa fu coinvolta

nelle lotte sindacali che costituirono certamente un costo per l’impresa e non aiutarono certamente il

regolare svolgimento dell’attività lavorativa.

Alle difficoltà proprie della Ursus Gomma si aggiunsero poi le difficoltà economiche personali di

Rinaldo Masseroni, che appena prima dell’inizio della crisi si era impegnato in considerevoli

esborsi finanziari. Tra questi se ne possono ricordare almeno due, la liquidazione di Pietro Bertolini

e gli investimenti nel Casinò Municipale di San Remo.

Come già ricordato nel precedente capitolo, Pietro Bertolini abbandonò la presidenza della società,

che aveva detenuto ininterrottamente dal 1932, all’inizio degli anni ’50. In seguito alle sue

dimissioni, motivate anche da problemi di salute e dall’età avanzata276, non gli subentrarono i figli,

ma le sue partecipazioni azionarie vennero liquidate da Masseroni. La somma versata e le modalità

del pagamento non sono note, ma in città all’epoca si parlò di cifre estremamente ingenti277,

proporzionali al valore economico dell’impresa. Con questa liquidazione, Masseroni diventerà

azionista di maggioranza della Ursus Gomma e alla sua morte risulterà proprietario di 57500 azioni

da £ 100 su un capitale complessivo di 150 milioni di lire278, ovvero di quasi il 40% dell’impresa.

Altro investimento oneroso dal punto di vista finanziario fu l’assunzione della gestione del Casinò

Municipale di San Remo che Masseroni, attraverso la sua controllata Associazione Turistica

Alberghiera, rilevò nel 1953 presentando una fideiussione di 150 milioni279. La gestione non fu

fortunata e si concluse con un fallimento280.

Le momentanee difficoltà finanziarie impedirono a Masseroni di intervenire sulla crisi della Ursus

Gomma attraverso un aumento di capitale che avrebbe certamente aiutato a superare il brutto

momento e favorirono lo sviluppo della crisi aziendale.

Le difficoltà della ditta erano già molto gravi nel 1955, perché costrinsero la direzione a sospendere

450 dipendenti281, circa metà della forza lavoro, e a richiedere la cassa integrazione282 facendo

lavorare ad orario ridotto gli operai restanti. Infatti, il calo imprevisto della vendite appena dopo il

potenziamento degli impianti aveva determinato una discrepanza tra capacità produttiva

dell’impresa e assorbimento del mercato costringendo Masseroni a ridurre la produzione a causa dei

magazzini pieni di invenduti283.

276 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 10. 277 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. 278 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, verbale assemblea del 20 marzo 1957. 279 L’Informatore Vigevanese, anno IX, n. 10 del 12 marzo 1953, p. 3. 280 Ibidem, anno XXXIV, n. 29 del 20 luglio 1978, p. 1 281 Ibidem, anno XI, n. 20 del 19 maggio 1955, p. 1. 282 Ibidem, anno XI, n. 32 dell’11 agosto 1955, p. 2. 283 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore.

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La gravità della crisi, che restava comunque una delle principali imprese cittadine, spinse le autorità

locali a mobilitarsi. Venne creato un Comitato comunale in difesa della Ditta Ursus composta dal

sindaco, dai capo gruppo consiliari e dai rappresentati delle organizzazioni sindacali con il compito

di studiare possibili soluzioni di concerto con Masseroni284. Durante la primavera del 1956 diverse

delegazioni cittadine si recarono a Roma per sollecitare l’intervento del governo che, pur

escludendo aiuti finanziari diretti, promise di studiare delle possibili soluzioni e inviò a Vigevano

dei tecnici I:R.I. per studiare il problema285. Le opzioni più probabili erano tre: l’acquisizione della

Ursus Gomma da parte dell’I.R.I., la vendita dell’impresa a qualche altro gruppo privato e

l’amministrazione controllata.

I primi due erano poco gradite a Masseroni che sperava di poter ritornare alla guida dell’impresa nel

giro di poco tempo e alla fine prevalse l’ultima opzione. Con l’assemblea straordinari dal 20 aprile,

Masseroni si fece attribuire il mandato per richiedere l’amministrazione controllata286, che venne

concessa dal Tribunale di Vigevano il 5 maggio287. Con questo istituto giuridico la gestione della

società veniva tolta a Masseroni e affidata, in accordo con la Banca Popolare di Novara che era uno

dei maggiori creditori, al commissario giudiziale dott. Antonio Cova288. Questi provvide subito a far

riprendere la normale attività industriale e ad iniziare il risanamento attraverso l’affidamento

dell’Ursus Gomma a due società di esercizio, la SESU prima e in seguito la UGEV, e ad un

amministratore unico che fu nel biennio 1956-57 l’ingegner Antonio Pupi289.

Il risanamento presentava numerose difficoltà soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i

creditori della società e degli ex dipendenti dell’impresa che si costituirono in comitato. In più

occasioni gli ex lavoratori si lamentarono degli sfratti attuati dall’amministrazione controllata e

richiesero:

1) la liquidazione di festività varie, ore straordinarie, indennità varie, stipendi arretrati; 2) il rilascio a tutti i dipendenti di un documento che li riconosca come creditori e ne specifici l’ammontare del credito; 3) di ricevere le indennità di licenziamento290.

Richieste e lamentele per i mancati pagamenti che per molti aspetti anticipano quel che accadrà

quasi trent’anni più tardi in seguito della chiusura della Ursus Gomma.

284 L’Informatore Vigevanese, anno XII, n. 9 del 1 marzo 1956, p. 1. 285 L’Informatore Vigevanese, anno XII, n. 11 del 15 marzo 1956, p. 3. 286 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, verbale assemblea straordinaria del 20 aprile 1956. 287 Ibidem, denuncia modifiche del 6 luglio 1956. 288 Ibidem, Comunicazione alla Camera di Commercio del 4 luglio 1956. 289 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 11. 290 L’Informatore Vigevanese, anno XII, n. 44 dell’11 novembre 1956.

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Nonostante le difficoltà finanziarie, l’amministrazione controllata riuscì ben presto a ottenere dei

risultati positivi in virtù sia dei propri sforzi, che dell’inizio dei primi prodromi del Miracolo

economico, che del prestigio del marchio.

A riprova della ripresa in corso sta sicuramente il rifiuto, da parte del Tribunale di Vigevano, di

dichiarare il fallimento della Ursus Gomma osservando come:

Non si può dimenticare come la “Ursus” è un nome prestigioso in campo nazionale e ha una fedele clientela che in caso di fallimento andrebbe perduta. Riprova di ciò è il fatto che il complesso affittato ad un altro imprenditore funziona e produce egregiamente sia pure su scala ridotta291.

Questo nel 1957, già a partire dall’anno successivo la produzione e le vendite raggiungeranno e

supereranno velocemente i massimi volumi raggiunti prima della crisi portando la fabbrica a

lavorare a pieno ritmo292 allontanando lo spettro del fallimento e ponendo le basi per la fine

dell’amministrazione controllata.

Il 30 gennaio del 1957 la storia della Ursus Gomma subì un svolta radicale perché Rinaldo

Masseroni morì improvvisamente in seguito ad un infarto mentre era a San Remo293. Decesso che

avvenne proprio quando questi aveva rimesso in sesto le proprie finanze personali e disponeva di

mezzi per riacquistare il controllo dell’impresa294.

Scomparso anche l’ultimo fondatore, veniva a mancare per la ditta una personalità forte, in grado di

dirigere con fermezza l’attività produttiva e si apriva la corsa per la successione. I principali

“pretendenti” alla proprietà della Ursus Gomma furono due: una cordata di imprenditori locali

guidati dall’industriale Santino Panzarasa e il Gruppo Industriale Finanziario controllato dalla

famiglia Puccini295.

In un primo momento sembrò che dovessero prevalere gli industriali vigevanesi e infatti

nell’assemblea ordinaria del 20 marzo 1957, Santino Panzarasa venne nominato amministratore

unico dagli azionisti principali, ovvero dagli eredi di Masseroni, che controllavano 57500 azioni, e

dalla Rubber Products Corporations, che controllava 18000 azioni296. In seguito, invece, la proprietà

passò sotto il controllo della famiglia Puccini, che disponeva probabilmente di maggiori mezzi

finanziari sia per l’acquisizione che per il risanamento e che conservò il controllo della società fino

alla sua chiusura.

291 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, Cessio Bonorum del 17 settembre 1957. 292 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 293 L’Araldo Lomellino, anno LVII, n. 6 del 7 febbraio 1957, p. 3. 294 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 295 Ibidem. 296 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, verbale assemblea ordinaria del 20 marzo 1957.

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I Puccini erano una famiglia di costruttori edili di Roma con molteplici e molto diversificati

interessi economici sia in Italia che all’estero297, che tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni

’60 stava attuando una politica di espansione attraverso l’acquisizione del controllo di imprese in

difficoltà ma con buone prospettive di ripresa. Oltre alla Ursus Gomma, vennero acquisite altre

aziende come la Società Gestioni Industriali (SGI) di Civitanova Marche che operava nel settore

della costruzione, riparazione e demolizione rotabili ferroviari298.

I nuovi proprietari, il Gr. Uff. Dr. Ing. Gino Puccini e suo figlio Ing. Torello Puccini, fecero il loro

ingresso ufficiale a Vigevano nel maggio del 1958299 e per questa data la crisi della Ursus Gomma

si può considerare ormai avviata alla conclusione.

Dal punto di vista strettamente industriale e commerciale l’impresa si trovava già in condizioni di

piena ripresa e prometteva di garantire una buona redditività, mentre permanevano ancora le

difficoltà finanziarie. Il risanamento dell’azienda venne portato a termine con due strategie

complementari, da un lato la società controllata dai Puccini si assunse una parte degli oneri

finanziari ripianandoli con mezzi propri300 e dall’altro l’azienda venne posta in liquidazione.

Attraverso la liquidazione la vecchia società venne estinta dal punto di vista giuridico, tutte le

passività residue furono saldate attraverso la vendita delle attività. Contemporaneamente veniva

creata una nuova società, la Ursus Gomma Nuova S.p.A., che rilevò gli impianti e le altre attività

della vecchia azienda. Il processo di trapasso fu abbastanza lungo per motivi burocratici e si

trascinò fino al 1962301, ma non ebbe alcun effetto sull’attività produttiva che continuò senza alcun

scossone302.

La Ursus Gomma Nuova S.p.A., d’ora in avanti solo Ursus Gomma per semplicità, venne

riorganizzata sotto l’insegna della continuità con le gestioni precedenti come testimonia la nomina

dell’Ing. Antonio Pupi alla carica di Direttore Generale303. Il consiglio di amministrazione fu invece

formato dal Dr. Ing. Gino Puccini con la carica di presidente a cui si affiancavano il figlio come

consigliere delegato e il Dr. Fréderic Schöni, che era loro socio nel gruppo che aveva rilevato la

vecchia società, come consigliere amministrativo.

297 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 298 Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48 bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001, p. 3. 299 L’Informatore Vigevanese, anno XIV, n. 22 del 19 maggio 1958, p. 1. 300 Ibidem. 301 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Fascicolo Ursus Gomma, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1962. 302 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 303 L’Informatore Vigevanese, anno XIV, n. 22 del 19 maggio 1958, p. 1.

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4) Il rilancio economico e gli anni ‘60

Il decennio 1958-1968 costituirono, dopo gli anni ’30, il momento di maggior successo economico

della Ursus Gomma che raggiunse i suoi massimi volumi di produzione, vendita e si riconfermò

estremamente competitiva con le altre imprese del suo settore in termini di innovazione tecnologica.

Da un punto di vista cronologico è utile distinguere il decennio 1958-1968 in due sottoperiodi

utilizzando la crisi economica del 1964-65 come elemento separatore.

I primi 5 anni furono caratterizzati da grandi investimenti volti sia ad ammodernare gli impianti che

ad allargare e diversificare le produzioni della Ursus Gomma e da alti profitti. Successivamente

dopo la crisi economica italiana della metà degli anni ’60 l’espansione economica riprese, sia pure

più lentamente e così pure la redditività, che però non raggiunse più i livelli del periodo precedente.

Tabella 4.2304 - Andamento di alcune voci di bilancio Anno Capitale

sociale Utili o perdite Redditività Impianti,

macchinari, ecc.

Esposizione presso banche

1959 9.000.000 37.351.562 13,84% 80.468.991 186.641.126 1960 9.000.000 29.473.317 10,92% 204.677.293 795.889.792 1961 100.000.000 22.803.773 8,45% 317.185.868 531.828.617 1962 100.000.000 27.109.163 10% 1.197.153.906 778.989.561 1963 270.000.000 18.258.077 6,76% 1.295.435.174 791.767.122 1964 270.000.000 -34.923.647 -12,94% 1.378.479.499 823.418.378 1965 270.000.000 -33.289.722 -12,32% 1.502.821.894 884.429.777 1966 270.000.000 10.272.432 3,97% 1.549.454.030 885.484.056 1967 270.000.000 14.926.903 5,53% 1.624.172.485 904.349.336 1968 270.000.000 8.566.422 3,17% 1.701.335.812 812.717.109

Nota: la redditività è calcolata con il peso percentuale degli utili o delle perdite su 270 milioni.

In tabella 4.2 sono riportate alcune voci tratte dai bilanci della Ursus Gomma nel decennio 1959-

1968 e un indice di redditività. La prima voce riportata è il capitale sociale che al momento della

nascita giuridica della nuova impresa, il 1959, ammontava a 9 milioni, molto meno dei 150 milioni

della vecchia Ursus Gomma. Questa così forte riduzione è da attribuire alle perdite accumulate nella

seconda metà degli anni ’50, che aveva reso indispensabile la svalutazione del capitale. Poco dopo

il passaggio sotto il controllo della famiglia Puccini, la nuova proprietà provvide a nuovi e

consistenti aumenti di capitale per fornire l’impresa di mezzi adeguati alle sue dimensioni.

La seconda voce riporta, invece, gli utili esattamente come sono iscritti a bilancio e permette di

evidenziare la rottura costituita dalla crisi economica seguita alla stretta economica del 1963. Infatti,

ad un primo periodo caratterizzato da alti profitti seguono due anni, il 1964 e il 1965, da

304 Fonte: Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, bilanci societari varie annate.

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considerevoli perdite. Successivamente l’impresa ritornò a fare utili, ma in misura inferiore al primo

periodo. La riduzione degli utili, se considerata in termini reali, è molto più consistente di quanto

appare confrontando i puri valori nominali perché il periodo successivo al 1963 fu caratterizzato da

un aumento dell’inflazione, praticamente assente prima del 1962.

La terza colonna dalla tabella 4.2 si propone di esprimere l’andamento degli utili in termini

percentuali, per facilitarne la comprensione dell’andamento. I valori sono ottenuti calcolando il peso

percentuale degli utili sulla cifra di 270 milioni. L’indice di redditività calcolato non costituisce un

ROE, se non a partire dal 1963, e dal punto di vista della finanza aziendale è del tutto arbitrario e

dotato di scarso fondamento. L’indice di redditività è stato preferito al ROE solo perché il capitale

sociale della Ursus Gomma subì notevoli variazioni nel periodo considerato e questo avrebbe potuto

portare a sovrastimare l’andamento economico. Difatti, nel 1959 se si calcola il peso percentuale

degli utili sul capitale sociale si ottiene un ROE del 415% che poi andrebbe confrontato con il quasi

4% del 1966, dando l’impressione di un crollo degli utili che invece passarono solo da 37 a 10

milioni. Calcolando la redditività sulla base di 270 milioni si ottiene un indice, che per quanto meno

scientifico del ROE, permette di avere un’idea più precisa dell’andamento economico dell’impresa.

Le ultime due colonne della tabella 4.2 riportano una voce tratta dall’attivo e la sintesi di alcune

voci del passivo dei bilanci della Ursus Gomma, che permettono di comprendere, sia pure in modo

imperfetto ed approssimativo, l’andamento degli investimenti produttivi. La voce dell’attivo è

costituita da Immobili, impianti, macchine attrezzi, veicoli, ecc., mentre quelle del passivo sono

ottenute aggregando le voci relative all’esposizione verso istituti bancari.

Il forte aumento, nel periodo immediatamente successivo al 1959, del valore degli immobili,

impianti, macchine, attrezzi, veicoli, riflette l’impegno della nuova gestione per cercare di

migliorare la competitività della Ursus Gomma e di non essere penalizzata rispetto al progresso

tecnologico di quegli anni. Infatti, nella prima relazione degli Amministratori agli azionisti si legge

come:

Per quanto la fabbrica sia ben organizzata, gli impianti, specie nel settore delle materie sintetiche, risentono del lungo uso fattone nel passato; a ciò si aggiunga l’incessante progredire della tecnica […]. E’ l’avvento dell’elettronica, delle produzioni a ciclo completo telecomandate, dei collaudi automatici. Ciò pone noi e Voi di fronte a gravi problemi di rammodernamento, che sfociano, inevitabilmente, in un più grave problema di ordina finanziario, specialmente in considerazione che i macchinari, nel nostro settore, hanno prezzi elevatissimi305.

Gli amministratori mantennero fede ai loro propositi aumentando espandendo gli investimenti ad un

tasso crescente fino al biennio 1962-1963, quando l’esplosione della crisi costrinse l’azienda a un

comportamento più prudente. Nel periodo successivo alla fine della recessione, la Ursus Gomma 305 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso al 30 settembre 1959.

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non riprese gli investimenti in grande stile sia per la mutata congiuntura economica che per il fatto

che il grosso degli ammodernamenti era già stato fatto, per cui l’impresa si concentrò al

consolidamento della propria posizione razionalizzando produzione e distribuzione. Come messo in

luce nella relazione degli amministratori, l’ammodernamento della struttura produttiva richiedeva

notevoli mezzi finanziari. La proprietà, che pure aveva appena dovuto sopportare considerevoli

oneri finanziari per acquisire l’impresa306, non si tirò indietro ricorrendo sia all’autofinanziamento

che allo strumento degli aumenti di capitale. La prima fonte di finanziamento fu favorita del buon

andamento delle vendite che permise alla Ursus Gomma di disporre di notevoli flussi di cassa ed

eliminò, almeno per un po’ di anni, le preoccupazione finanziarie della seconda metà degli anni 50.

Gli azionisti furono invece chiamati a contribuire mettendo mano al portafoglio per finanziare gli

aumenti di capitale nelle Assemblee straordinarie del 24 aprile 1961, che deliberò un incremento da

9 a 100 milioni, e del 16 luglio del 1963, che deliberò un aumento da 100 a 270 milioni307.

Gli amministratori della Ursus Gomma avevano un programma di sviluppo e ammodernamento

estremamente ambizioso per cui sia l’autofinanziamento che gli aumenti di capitale si rivelarono

presto insufficienti. Per reperire mezzi finanziari si rivolsero quindi ai canali di finanziamento

bancari aumentando rapidamente l’esposizione, come si può ben vedere guardando l’ultima colonna

della tabella 4.2. Gli stessi amministratori della società non mancavano di sottolineare come:

All’aumentato volume di investimenti in macchinari e mezzi corrispondono pressoché pari importi di esposizioni nei confronti delle Banche e di Voi Azionisti. L’azienda è in sviluppo […]. Sono problemi di equilibri economico, di scelte di uomini e capitali che più volte hanno reso duro il nostro lavoro308.

Esattamente come per l’andamento degli investimenti, l’andamento dell’esposizione bancaria subì

una svolta in occasione della crisi economica successiva al 1963. La tabella 4.2 registra bene questo

processo perché evidenzia come l’indebitamento aumentò rapidamente, sia pure con qualche

riduzione in occasione dell’aumento di capitale del 1961 e poi si stabilizzò in termini nominali negli

anni successivi alla recessione. In termini reali, ovvero tenuto conto della perdita di valore della

moneta, andò progressivamente riducendosi nella seconda metà degli anni ’60 a riprova sia della

solidità dell’impresa che della gestione più prudente.

5) Un decennio di crescita tra diversificazione produttiva e ricerca di nuovi mercati.

306 L’Informatore Vigevanese, anno XIV, n. 22 del 19 maggio 1958, p. 1. 307 Associazione tra le Società per Azioni, Repertorio delle società italiane per azioni, vol. I, Roma, 1970, pag. 797. 308 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1960.

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Nella storia della Ursus Gomma due decenni sono fondamentali dal punto di vista tecnologico,

produttivo ed organizzativo. Il primo è senza dubbio costituito dagli anni ’30 in cui l’impresa prese

decisioni fondamentali riguardanti la propria organizzazione, le rete di distribuzione dei prodotti e

ovviamente i segmenti di mercato su cui operare. Appena dopo questo primo periodo, se

ragioniamo in termini di innovazione tecnologica e di beni prodotti, vengono gli anni ’60. Infatti, i

Puccini non si limitarono a continuare ed ampliare la modernizzazione degli impianti iniziata da

Masseroni dieci anni prima e interrotta delle difficoltà economiche, ma si mossero secondo un ben

preciso piano strategico. In estrema sintesi, Gino Puccini e suo figlio Torello, agirono secondo

un’ottica di potenziamento e differenziazione. Rafforzamento dei reparti esistenti attraverso

l’introduzione di nuove e più moderne catene di montaggio al fine di abbattere i costi e rafforzare la

posizione della Ursus Gomma su mercati tradizionali degli stivali, delle scarpe tennis, degli

impermeabili e delle coperture per biciclette e motocicli. Differenziazione della produzione di nuovi

beni e servizi per valorizzare le competenze dei tecnici dell’impresa e conquistare nuovi e dinamici

mercati.

Il decennio 1959-1968 fu caratterizzato dal potenziamento e dalle differenziazioni. Ogni anno

numerose nuove iniziative imprenditoriali venivano iniziate, poi a partire dagli anni ‘70 cominciò

un’inversione di tendenza che, non adeguatamente contrastata, portò al fallimento dell’impresa.

Per avere un’idea, per quanto inadeguata, di come negli anni ’60 la Ursus Gomma fosse un’impresa

che pensasse in grande e fosse dotata di grandi capacità tecnologiche ed imprenditoriale è utile fare

una breve rassegna delle principali iniziative del decennio.

Il primo obiettivo della nuova proprietà della famiglia Puccini, una volta assunto il controllo

dell’azienda, fu di produrre bene ed a costi ridotti. A questo scopo, i primi due-tre anni furono

destinati all’ammodernamento degli impianti già esistenti e alla valorizzazione del marchio.

Successivamente vennero investite molte energie e molti capitali, sia pure con esiti non sempre

favorevoli, per differenziare la produzione e raggiungere nuovi mercati.

I primi reparti ad essere razionalizzati, sia attraverso l’introduzione di nuove macchine che tramite

una radicale riprogettazione per ottimizzare l’impiego di manodopera e i tempi di lavorazione,

furono i reparti calzaturiero e di Santa Maria309. Questi erano all’epoca le divisioni della Ursus

Gomma che producevano i beni che garantivano la maggior parte del fatturato dell’impresa.

Il reparto calzaturiero, il più importante sia in termini occupazionali che economici produceva i beni

che aveva fatto conoscere la Ursus Gomma al grande pubblico. Il lavoro vi veniva svolto lungo

delle ferrovie o catene di montaggio e vi erano prodotti anche altri tipi di calzatura in gomma come

mocassini o calzature per bambini. Il reparto di Santa Maria si concentrava sulla lavorazione di beni

309 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1961.

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in PVC sia per usi industriali come i salvaceppi310, che per usi civili, come le piastrelle per la

pavimentazione vendute sotto il nome di Edafon (che erano un laminato di PVC puro311). Il reparti

di Santa Maria all’inizio degli anni ’60 costituiva uno dei gioielli della Ursus Gomma sia per

l’efficienza che per la modernità del macchinario impiegato. Nel 1962, per esempio, vi venne

istallata una macchina Zimmer in grado di stampare il PVC a 12 colori312 che costituiva una novità

per l’epoca e che era la seconda di quel tipo ad essere istallata in Italia313.

Le tre principali nuove iniziative imprenditoriali intraprese dalla Ursus Gomma negli anni ’60

furono:

1) la produzione di barche a scopo turistico;

2) l’apertura di una filiale in Canada;

3) la costituzione di un ufficio studi per la progettazione di impianti su commissione.

La Ursus Gomma iniziò la produzione di motoscafi nel 1962 con il fine di sfruttare le possibilità

aperte dalla crescita dei segmenti alti del mercato turistico. I natanti rappresentavano, dal punto di

vista merceologico, una novità perché precedentemente l’impresa si era dedicata principalmente alla

fabbricazione in serie di beni di largo consumo e non di beni di lusso ad alto valore aggiunto. Dal

punto di vista tecnico, invece, si trattava non di una novità ma dell’uso, in un diverso campo, delle

competenze già acquisite dall’azienda nella lavorazione di resine in poliestere314. Il Consiglio di

Amministrazione della Ursus Gomma dedicò molte energie e notevoli investimenti, sia industriali

che pubblicitari, nella produzione di natanti in poliestere. A riprova di questo interesse vi è la

decisione di affittare un nuovo stabilimento industriale a Garlasco315 da dedicare interamente alla

produzione di natanti che poi venivano collaudati sul Ticino316.

La seconda importante innovazione introdotta dalla nuova gestione della Ursus Gomma fu il

potenziamento del settore commerciale dell’impresa attraverso la creazione di una filiale a Toronto

in Canada sotto il nome di Canadian Ursus Rubber LDT317. L’apertura di una nuova filiale era

motivata da una duplice ragione. Da un lato la necessità, per l’azienda, di rafforzare la propria

posizione nei ricchi, ma molto concorrenziali mercati nordamericani, dall’altro la presenza in

Canada di grossi interessi economici dell’Ing. Torello Puccini318, che quindi disponeva già di una

rete di collaboratori.

310 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. 311 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 38. 312 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 313 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1962. 314 Ibidem. 315 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 9. 316 Testimonianza di Benito De Stefano del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 317 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 10. 318 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore.

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Ultima innovazione di rilievo operata dalla nuova gestione fu la creazione di un ufficio studi per la

progettazione di impianti completi per la lavorazione della gomma che cominciò ad operare a

partire dall’esercizio 1967-1968319 rivolgendosi principalmente a una clientela internazionale.

Questa incursione nel settore della progettazione industriale e dei servizi per le imprese costituisce

la migliore dimostrazione dell’alto livello tecnico e tecnologico raggiunto dalla Ursus Gomma, che

ormai disponeva di personale sufficientemente preparato da poter esportare tecnologie all’estero. Il

servizio offerto della Ursus Gomma era personalizzato perché, come si legge nelle relazioni del

Consiglio di Amministrazione, l’impresa:

[…] sulla base delle necessità delle committenti estere, studia un particolare tipo di impianto ed assiste il cliente nella realizzazione tecnica. E’ appena il caso di accennare alla infinità di ostacoli da superare per le diverse condizioni di clima, dotazioni energetiche, acqua, ecc..320

Aprendo un servizio studi e progettazione per altre imprese, la Ursus Gomma non si limitava solo

ad utilizzare in modo più razionale le risorse umane di cui disponeva, ma metteva anche a frutto il

ricco patrimonio di disegni industriali e progetti accumulato nella sua più che trentennale attività.

Solo per fare un esempio l’impresa progettò un impianto per la produzione di coperture a velo per

cicli e motocicli in Turchia e lo dotò di circa un migliaio di stampi per la vulcanizzazione delle

gomme321.

6) L’organizzazione della Ursus Gomma negli anni ‘60

Gli anni ’60 costituirono una sorta di “seconda giovinezza” per la società che raggiunse la piena

maturità organizzativa e produttiva. In seguito non vennero apportate modifiche rilevanti al modello

delineato, che in seguito, a partire degli anni ’70, venne gradatamente smantellato man mano che

l’impresa si avvicinava al fallimento senza essere sostituito con un altro.

Negli anni ’60, l’azienda non era più la maggiore impresa vigevanese in termini occupazionali

come negli anni ‘30 e ’40, ma rimaneva comunque tra le più importanti aziende cittadine. Nel 1961

negli stabilimenti erano occupati con contratto a tempo indeterminato circa 600 persone322 a cui

vanno aggiunti altri dipendenti che lavoravano solo per brevi periodi o a cottimo e qualche decina di

commissionari di deposito che si occupavano della commercializzazione. Dunque una forza lavoro

319 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1968. 320 Ibidem. 321 Testimonianza di Pavesi Roberto del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 322 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1961.

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notevole concentrata nei tre stabilimenti di via San Giacomo, Santa Maria e di Garlasco323.

Esattamente come negli anni ’30, al termine e all’inizio dei turni di lavoro via San Giacomo veniva

invasa dalle biciclette degli operai che uscivano od arrivavano al lavoro324. Rispetto al periodo

fascista i dipendenti non raggiungevano più le 1400 unità, ma la riduzione del numero di dipendenti

era stato il risultato della meccanizzazione delle lavorazioni e quindi di un rafforzamento delle

capacità produttive dell’impresa.

Una forza lavoro di più di 600 unità costituiva comunque un’importante concentrazione

occupazionale di rilevanza nazionale e tale da spiccare nettamente nel panorama produttivo

vigevanese. Stando ai dati dei censimenti industriali il numero medio di addetti per impresa di

Vigevano passò, dal 1961 al 1971, da 13,29 a 11,93 addetti per unità produttiva325.

Per organizzare e disciplinare una così imponente forza lavoro la Ursus Gomma si dotò di

un’organizzazione profondamente diversa da quella delle altre imprese cittadine. L’impresa creò

una struttura aziendale articolate in 7 diverse divisioni (studi e ricerche, tecnico produzione, tecnico

impianti, acquisti, vendite, amministrativo e personale) ognuna delle quali era preposta a una

funzione differente. Ogni divisione operava separatamente ed era coordinata con le altre dalla

Direzione generale direttamente subordinata al Consiglio di Amministrazione326. Questa particolare

organizzazione, per altro tipica di un po’ tutte le grandi imprese degli anni ’50 e ’60, dava alla

società un carattere manageriale che la distingueva fortemente dalla maggior parte delle aziende

vigevanesi caratterizzate invece dalla presenza e dalla direzione del “padrone”. E’ importante notare

come la Ursus Gomma acquisì uno spiccato carattere manageriale solo a partire dalla seconda metà

degli anni ’50 con la crisi e il passaggio della proprietà alla famiglia Puccini. Nel periodo

precedente nonostante l’impresa avesse un numero molto più elevato di dipendenti la presenza dei

proprietari era sempre stata molto forte e continuativa. Questo differente atteggiamento dipendeva

da molteplici fattori come le necessità organizzative dell’avviamento di una nuova attività

imprenditoriale e le particolari mentalità imprenditoriali dei fondatori. Negli anni immediatamente

successivi alla nascita della società, Pietro Bertolini era solito fare delle visite a sorpresa nel cuore

della notte nello stabilimento di via San Giacomo, che lavoravo a ciclo continuo, allo scopo di

controllare che tutto andasse bene327. Anche Rinaldo Masseroni, che pure non arrivava a questi

estremi, seguiva molto da vicino la gestione dell’Ursus Gomma sia per motivi affettivi perché era

323 Lo stabilimento di Garlasco, che non era di proprietà dell’Ursus Gomma, ma affittato, venne chiuso già nel 1964 e la produzione di natanti trasferita nello stabilimento di via San Giacomo che venne arricchito di un nuovo capannone. Cfr. Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1964. 324 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 325 Eleborazione sulla base dei dati del Centro di Informazione Statistica dell’ISTAT della Lombardia. 326 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 17. 327 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore.

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stato una delle persone che più aveva contribuito alla nascita e al successo dell’impresa, sia perché

questa costituiva la principale attività del suo patrimonio328.

A partire dal periodo dell’Amministrazione controllata la presenza della proprietà all’interno

dell’impresa diventa meno forte, senza particolari difficoltà per la Ursus Gomma che disponeva di

manager e capireparto sufficientemente abili da gestire l’impresa. Con l’avvento della proprietà

della famiglia Puccini tornò ad essere presente la figura del proprietario prima nella persona

dell’Ing. Gino Puccini e successivamente in quella di suo figlio Torello. Ma la famiglia Puccini

controllava un vero e proprio impero economico composto da imprese sparse per tutta Italia e con

molteplici interessi all’estero di cui la Ursus Gomma era solo una parte329 e questo fatto costringeva

i proprietari a dedicare molte energie altrove. Con questo non si vuole assolutamente dire che la

Ursus Gomma venne abbandonata a se stessa, perché i Puccini fecero numerosi sforzi per rilanciare

l’impresa e difenderne gli interessi. Non solo negli anni ’60, l’Ing. Torello Puccini venne molto

spesso a Vigevano, dove disponeva di un appartamento in un condominio di proprietà della Ursus

Gomma in via San Giacomo330 e si impegnò a fondo nella promozione dell’azienda e della città.

Divenne infatti presidente della Mostra Mercato delle calzature di Vigevano l’ultimo anno che

venne tenuta in città prima del trasferimento a Milano331 e ricoprì numerose cariche nell’ambito

dell’Assogomma, l’associazione degli industriali del settore gomma.

Dunque negli anni ’60 la Ursus Gomma era una grande impresa manageriale di rilevanza nazionale

che competeva sui principali mercati mondiali grazie, come si direbbe oggi, alla qualità delle risorse

umane di cui disponeva sia in campo amministrativo che in quello industriale.

Tra i numerosi dipendenti della Ursus Gomma che meriterebbero qualche riga, si può ricordare la

figura del Dr. Giuseppe Chiocca del laboratorio chimico332 per la particolare competenza e il ruolo

che svolse come tecnico. Chimico industriale estremamente preparato, il Dr. Giuseppe Chiocca

lavorava originariamente in un’impresa milanese che fallì all’inizio degli anni ’60 e venne quindi

assunto alla Ursus Gomma. Nell’ambito dell’impresa aveva il compito di preparare e testare le

ricette per la preparazione delle mescole di gomma da lavorare nei vari reparti333. Si trattava di un

lavoro di estremamente importante non solo perché aveva la responsabilità della qualità e della

resistenza dei materiali con cui venivano prodotti le principali merci immesse sul mercato, come gli

stivali i giocattoli e le scarpe da tennis, ma anche perché la Ursus Gomma lavorava anche su

ordinazione per altre imprese. Gli ordini contenevano le richiesta di articoli tecnici in gomma con

328 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, mod. 22 del 17 dicembre 1946. 329 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 330 Ibidem. 331 L’Informatore Vigevanese, anno XXXIV, n. 29 di giovedì 20 luglio 1978. 332 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 20. 333 Testimonanza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore.

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particolari caratteristiche di durezza, ed elasticità e il laboratorio chimico aveva la responsabilità di

studiare e testare la ricetta più appropriata334. Inoltre il Dr. Giuseppe Chiocca apportò notevoli

migliorie nelle mescole utilizzate per la produzione di stivali, che costituivano il core business della

Ursus Gomma, e brevettò un nuovo modello di stivale335.

Tra i dipendenti della Ursus Gomma gli agenti di vendita avevano uno statuto particolare e la

responsabilità di vendere i beni prodotti nel mercato nazionale, mentre per il nordamerica la

Canadian Ursus Rubber LDT aveva l’esclusiva e per tutti gli altri mercati le merci erano vendute

sulla base di accordi con rivenditori locali. Gli agenti o commissari di vendita erano organizzati in

sei diversi settori merceologici: calzature, articoli tecnici per applicazioni industriali, pavimenti,

rivestimenti ed impiantistica industriale, velo ed articoli mare336. Ognuno di questi settori aveva un

numero di agenti che andava da un minimo di uno per il settore velo a un massimo di più di venti

per i settori calzature ed articoli mare337. Il differente numero di agenti per settore merceologico

dipendeva da numerosi fattori come il volume della produzione di calzature e la necessità di seguire

da vicino le principali località marittime per vendere i natanti per il settore articoli mare.

L’organizzazione distributiva della Ursus Gomma permette di fare qualche riflessione sui principali

mercati in cui l’impresa operava. Anche se conosciuta presso il grande pubblico soprattutto per le

calzature in gomma e gli stivali, la società aveva molto diversificato la sua produzione e realizzava

un frazione considerevole del suo fatturato lavorando su ordinazione per le principali imprese

italiane. Tra i principali e più assidui clienti a metà degli anni ’60 figuravano la FIAT che ordinava

numerosi articoli tecnici338 e altre imprese come la Plasmon che ordinava trafile da utilizzare per la

produzione alimentare. La Ursus Gomma non si limitava alla produzione di componentistica su

commissione, ma operava anche nel settore dei beni capitali e più precisamente nel settore dei

rivestimenti industriali. Utilizzando la propria competenza nel settore della gomma e delle resine

sintetiche la Ursus Gomma studiava e realizzava praticamente dei rivestimenti che dovevano

proteggere i macchinari industriali sia dall’aggressione meccanica, come i salvaceppi in PVC, che

da quella chimica a cui erano sottoposti durante le lavorazioni. In questo campo l’impresa era

riuscita ad arrivare ad un ottimo livello tecnico e una buona reputazione presso le principali imprese

italiane. Il reparto rivestimenti costituiva uno dei fiori all’occhiello della Ursus Gomma, come le

relazioni del Consiglio di Amministrazione non mancavano di sottolineare, infatti:

334 Ibidem. 335 Ibidem. 336 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 29. 337 Ibidem, p. 30. 338 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore.

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Abbiamo realizzato nel Reparto notevoli progressi tecnologici. Ricordiamo un tipo di cilindro per la Italsider resistente a 130°C, in un bagno di agenti chimici, e funzionale da mesi, dove il prodotto della concorrenza più grande in Italia era fuori uso dopo appena 15 giorni […]339.

Inoltre, la Ursus Gomma produceva pavimentazioni di vario tipo e colore sia per i privati che per

grandi committenti come la Italsider e le ferrovie statali340 che li utilizzarono per esempio nei lavori

di ammodernamento della Stazione Centrale di Milano341.

7) Conclusioni

Nel periodo 1954-1968 la Ursus Gomma si trasformò profondamente per dare risposte adeguate alla

nuove sfide imprenditoriali e riuscì a superare una grave crisi industriale.

In estrema sintesi se si confronta idealmente l’impresa del 1954 con quella del 1968 si possono

notare due trasformazioni fondamentali.

La prima è il salto di qualità compiuto da impresa di importanza nazionale nel settore gomma a

impresa a produzioni diversificate in grado di competere a livello internazionale con le aziende dei

paesi più sviluppati. Si trattò in gran parte di un passaggio obbligato imposto dalla nascita del

Mercato Comune Europeo e dalla aumentata concorrenza di nuovi produttori di calzature nazionali.

La seconda importante trasformazione riguardò il passaggio generazionale nell’ambito della

proprietà tra la generazione formatosi nel periodo antecedente alla Prima Guerra Mondiale e quella

formatosi nel periodo fascista. Pietro Bertolini, Rinaldo Masseroni e Gino Puccini avevano mosso i

loro primi passi come imprenditori nel periodo liberale in cui la sfida centrale dell’economia

italiana era creare, in modo pionieristico, una struttura industriale in un paese ancora agricolo. La

generazione di Torello Puccini, invece, si era formata durante il ventennio totalitario della storia

italiana caratterizzato dal dirigismo statale e dalla stretta compenetrazione tra potere economico e

potere politico, con la prevalenza di quest’ultimo. Non solo, ma questa generazione, che arrivò ai

posti di comando dell’economia in concomitanza con il boom economico si trovò a dover affrontare

dei problemi diversi dalla precedente, non più la creazione di nuovi settori industriali, ma la

gestione e il consolidamento di quelli già esistenti.

Bibliografia

339 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1968. 340 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1967. 341 Testimonanza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore.

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Il declino e il fallimento (1969-1987)

1) Introduzione

Gli anni ’70 furono un decennio di crisi e ristrutturazione industriale. Da un punto di vista

monetario, il sistema di Bretton Woods basato su un cambio fisso tra oro e dollaro venne abolito dal

presidente americano Nixon nel 1971 aprendo la via a un periodo di instabilità dei cambi tra le

principali valute. Poco dopo esplose la prima crisi petrolifera che pose fine alla eccezionale crescita

economica del Dopoguerra342, mostrando la vulnerabilità dei paesi industrializzati e dando inizio

alla delocalizzazione in alcuni paesi del Terzo Mondo. Con gli anni ’80 cominciarono ad essere

evidenti alcuni aspetti dei nuovi equilibri economici come la crescita dei mercati finanziari, la

perdita di sovranità economica da parte della maggior parte dei paesi, le politiche neoliberiste di

contenimento della spesa pubblica e l’ascesa delle “tigri asiatiche”.

Nell’ambito di queste profonde trasformazioni economiche l’Italia scelse delle risposte in parte

differenti da quelle degli altri paesi industrializzati. Questo diverso comportamento dipese da

numerosi fattori tra cui si può ricordare l’insufficienza della programmazione pubblica, le minori

dimensioni medie delle imprese italiane e la presenza di maggiori squilibri regionali.

L’eccessiva concentrazione dell’apparato produttivo costituì un elemento fondamentale per

comprendere la maggiore conflittualità sindacale del nostro paese rispetto ad altri similari, infatti:

L’intensificazione dei ritmi di lavoro e lo sfruttamento dei differenziali salariali non furono gli unici motivi della riesplosione nel 1969 delle lotte operaie. Vi incorsero altre cause di varia natura: innanzitutto la nuova ondata di migrazioni verso il Nord, avvenuta in coincidenza della ripresa produttiva del 1965-68, che aggravò i problemi sociali delle grandi agglomerazioni urbane concentrate nel “triangolo industriale”343.

Non bisogna dimenticare che il sistema industriale basato sulle catene di montaggio permetteva, in

situazioni di piena o quasi occupazione, alle organizzazioni sindacali di avere un notevole potere

contrattuale. In questo modo si venne a creare in Italia una vera e propria economia dell’inflazione

in cui le organizzazioni sindacali ottenevano, grazie alla loro forza, aumenti retributivi a cui gli

342 Hobsbawn E. J., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1996. 343 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 305.

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imprenditori rispondevano aumentando i prezzi. L’inflazione interna si sommava a quella esterna,

importata in seguito agli shock petroliferi, creando una situazione di instabilità in cui i prezzi

aumentavano con velocità differenti e ridefinivano gli equilibri tra i diversi settori e categorie

sociali.

In questa situazione, la piccola impresa italiana si trovò ad essere favorita rispetto alla grande

perché meno rigida e caratterizzata da una minore presenza sindacale. Come è stato acutamente

notato:

In definitiva, il maggior fattore di crisi della grande industria consisteva nel declino del rapporto tra valore aggiunto e produzione lorda (somma del fatturato, variazione delle scorte e investimenti capitalizzati), che andava attribuito essenzialmente al peggioramento dei prezzi relativi delle imprese. Sia per il rincaro delle materie prime, sia per il basso livello della domanda, i prezzi dei prodotti finiti erano aumentati sensibilmente meno di quelli dei beni e dei servizi acquistati. In pratica molte imprese si erano trovate a vendere in un regime prevalentemente concorrenziali e ad acquistare invece nuovi beni e servizi (comprese le prestazioni di lavoro) in un regime prevalentemente monopolistico344.

Negli anni ’70 e ’80 l’economia italiana fu caratterizzata dai due fenomeni, apparentemente separati

ma in realtà complementari, dell’ascesa dei distretti industriali e dal declino della grande impresa.

Fenomeni che, sia pure con modalità del tutto particolari, si manifestarono anche a Vigevano. In

questo periodo la realtà cittadina fu caratterizzata da un impressionante sviluppo delle piccole e

medie imprese specializzate nella produzione di macchine per le calzature. Se si considera l’insieme

delle industrie, si poteva individuare un sistema integrato di piccole e medie unità produttive

specializzate e correlate tra di loro che copriva ogni momento della lavorazione della scarpa dalla

produzione del macchinario alle scatole per l’imballaggio. Un insieme così integrato che aveva la

sua forza proprie nelle relazioni reciproche tra le singole unità. Per questo motivo, lo sviluppo del

settore delle macchine utensili trascinava anche quello meccanico e delle macchine non utensili, che

assumeva il ruolo di subfornitore in un processo che rafforza la specializzazione produttiva del

settore, creando molteplici legami tra comparti che a un’analisi superficiale dei dati delle statistiche

possono sembrare separati345.

Contemporaneamente invece alcune grosse imprese cittadine, come la Ursus Gomma e le imprese

del settore tessile, cominciarono ad attraversare un periodo di crisi che porterà molte di loro alla

chiusura o a grossi ridimensionamenti.

344 Ibidem, p. 320. 345 Garofoli G., L’industria in Lomellina. Tendenze e prospettive, Quaderno di Pavia economica, Pavia, 1985, p. 33.

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2) I prodromi della crisi

Nel corso degli anni 70, la Ursus Gomma cominciò progressivamente ad entrare in crisi, a perdere

posizioni sui mercati interni ed internazionali a ridurre la forza lavoro e, un po’ per volta, a

smobilitare i propri impianti. La trasformazione dell’impresa di successo degli anni ’60

nell’impresa decotta della fine degli anni ’70 fu un processo lento causato da numerosi fattori sia

interni che esterni, anche perché il patrimonio di macchinari e di competenze accumulato nel corso

degli anni non si poteva certo disperdere in poco tempo.

Il periodo che va dal 1969 al 1973, venne caratterizzato dall’esplosione della conflittualità

sindacale. In questa fase la Ursus Gomma, che non era ancora un’impresa in crisi, disponeva di

ingenti mezzi finanziari, pagava puntualmente i dipendenti, i fornitori e non aveva particolari deficit

di competitività rispetto ai concorrenti.

Come in tutte le imprese normali, il Consiglio di Amministrazione si trovava di fronte a nuove sfide

e nuove minacce. La principale fonte di preoccupazioni di questo periodo era costituita

dall’affacciarsi sui principali mercati mondiali di nuovi ed agguerriti concorrenti. Infatti, come

notavano gli amministratori nella loro relazione annuale:

Le esportazioni preoccupano non poco l’azienda. I mercati stranieri sono invasi da prodotti dell’Est europeo ed asiatici a prezzi veramente incredibili. Malgrado tali difficoltà siamo riusciti ad avviare interessanti correnti di vendita in Francia, nel Regno Unito e nel Medio Oriente346.

La continua comparsa di nuovi concorrenti non costituiva una minaccia e poteva essere contrastata

con nuovi investimenti tesi alla riduzione dei costi, con una più attenta politica di valorizzazione del

marchio e il miglioramento della rete distributiva. E queste erano appunto le politiche già messe in

atto dalla Ursus Gomma nel corso degli anni ’60 per cui era sufficiente continuare sulla strada già

tracciata, come in effetti venne fatto. Se mai il solo elemento che poteva destare qualche seria

preoccupazione era dato dalla modesta redditività dell’impresa che, per di più, era tendenzialmente

in diminuzione. Soprattutto gli utili non sembravano proporzionali all’importanza e al ruolo della

Ursus Gomma; fatto di cui gli amministratori si lamentarono in più occasioni osservando, per

esempio del 1966, come:

L’utile netto dell’esercizio è di oltre £ 10.000.000, scarso se ragguagliato al capitale sociale di lire 270.000.000 ed al fatturato di £ 1.400.000 circa. Se si tiene presente, per altro che dal ricavo, ben 480 milioni sono andati al personale per paghe e contributi; £ 58 milioni sono stati erogati ai Commissionari ed Agenti; 45 milioni circa rappresentano il costo del personale amministrativo, balza evidente la insopprimibile funzione sociale dei Vostri complessi produttivi e della determinante che essi esercitano nel Vigevanese347.

346 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1968. 347 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1966.

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Nonostante le preoccupazioni che poteva suscitare, la scarsa redditività non era un problema nuovo

per la Ursus Gomma e costituiva piuttosto un elemento di continuità con i tardi anni ’60.

La vera novità che interessò l’impresa e con essa anche tutto il sistema produttivo italiano, fu

costituita dall’esplosione della conflittualità sindacale a partire dall’autunno del 1969. La

mobilitazione operaia mise in difficoltà l’impresa su più piani. Da un lato gli aumenti salariali

comportarono un notevole aggravio di costi, dall’altro le vertenze, condotte spesso con lo strumento

degli scioperi a singhiozzo, rallentarono la normale attività produttiva348.

La conseguenza più importante del rinnovato potere sindacale all’interno dell’azienda non fu, però,

né l’aumento dei costi né il rallentamento produttivo, ma l’apertura di una vera e propria crisi nelle

relazioni industriali esistenti tra operai e proprietà.

La famiglia Puccini, dopo aver acquisito il controllo della Ursus Gomma, aveva riorganizzato

l’impresa secondo principi ispiratori diversi sia dall’etica del lavoro di stampo cattolico di Pietro

Bertolini che dal paternalismo di origine fascista a cui i dipendenti erano abituati. Senza imporre

rotture nette con il passato, la nuova proprietà si era mossa sulla base di una concezione che in

qualche modo anticipava il moderno approccio degli stakeholder. Secondo questa visione il fine

delle imprese non è semplicemente creare reddito per gli azionisti, ma per una cerchia più ampia di

soggetti interessati all’impresa come i dipendenti, i fornitori, clienti che sono genericamente definiti

stakeholder349. Nella concezione portata avanti della Ursus Gomma, il Consiglio di

Amministrazione aveva il compito (e in ciò è ravvisabile il permanere di un certo paternalismo) di

mediare e coordinare gli sforzi e gli interessi di tutti i soggetti che ruotavano attorno all’impresa.

Questi principi non erano semplicemente buoni propositi, ma costituivano un dovere morale a cui il

Consiglio di Amministrazione si considerava vincolato e che non mancava di sottolineare in ogni

occasione. Si legge infatti nelle relazione annuali agli azionisti come:

L’azienda si ripromette comunque il mantenimento di una non indifferente forza operaia, e soprattutto la garanzia della continuità del lavoro ai propri dipendenti. Ciò costituisce effettivamente quell’apporto di serenità nei lavoratori e nelle loro famiglie, che è foriero di disciplina e di produttività. Noi abbiamo sempre tenuto presente il compito morale e sociale dell’azienda, nei riguardi dei propri dipendenti350.

348 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 349 Il primo studioso ad introdurre il concetto di stakeholder fu l’americano Edward Freeman nel suo libro Strategic Management: A Stakeholder Approach del 1984. Secondo l’autore americano, si definiscono stakeholder tutti i soggetti senza il cui supporto l’impresa non può vivere. Per continuare ad esistere le imprese devono venire incontro alle richieste di ogni stakeholder per evitare che abbandoni l’impresa e coordinarle tra di loro. In quanto luogo di mediazione dei bisogni e delle richieste di differenti soggetti, le imprese hanno delle responsabilità sociali sia sul piano economico che su quello etico. 350 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1962.

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Il principale limite di questo approccio alle relazioni industriali era costituito dal fatto che se il

Consiglio di Amministrazione aveva il dovere morale di pensare agli interessi dei vari stakeholder

della Ursus Gomma, ogni ulteriore richiesta da parte di una controparte rischiava di turbare gli

equilibri e gli scioperi dei dipendenti diventavano spiacevoli incidenti. E infatti, l’attività sindacale

veniva interpretata del Consiglio di Amministrazione non come un aspetto della normale vita

dell’azienda, ma come un turbamento del suo armonico svolgimento:

All’inizio dell’anno economico, e più precisamente nei giorni 4-5-6 ottobre 1960, si è avuta una manifestazione di sciopero, voluta esclusivamente dalle organizzazioni sindacali locali, per una richiesta di revisione di salari. La questione è stata sanata con accordi soddisfacenti per le parti. Da allora un nuovo senso di disciplina e di fiducia anima operai e collaboratori in genere, nella visione più sicura dell’avvenire dell’azienda, legato intimamente alla serenità delle loro famiglie351.

Se si fa un salto temporale in avanti di circa 10 anni si ha il quadro di una situazione profondamente

cambiata in cui il rapporti tra operai e Consiglio di Amministrazione si sono profondamente

modificati:

Ormai è talmente radicata, nelle maestranze, la necessità della osservanza delle prescrizioni e degli ordini sindacali, che ogni pretesto, anche futile, infondato od estraneo al rapporto di lavoro, assunto dai sindacati per una qualsiasi azioni di protesta, viene pedissequamente accolto ed accettato dalla stragrande parte degli operai dell’Azienda. Ovviamente, a ciò opponendosi la legge, (vedi Statuto dei Lavoratori), l’Azienda nulla può fare per evitare danni conseguenti le azioni sindacali. […] Che fare? Soltanto una ragionevole opera di convincimento con la Commissione Interna al fine di dimostrare che la lotta contro il “sistema”, a meno di una rivoluzione si riduce ad una lotta contro la Azienda, cioè contro il loro posto di lavoro.352

Riconsiderando a distanza di più di tre decenni le vertenze sindacali della Ursus Gomma non c’è

alcun elemento per ritenere che l’azienda fu interessata da una conflittualità sindacale interna

superiore a quella di altre imprese di dimensioni similari. Inoltre, l’aumento degli oneri salariali

dipese in gran parte dal rinnovo dei contratti nazionali dei lavoratori del settore gomma e quindi

ebbe carattere esterno piuttosto che interno alla Ursus Gomma. Le stesse lotte operaie degli anni ’70

erano poi, in ultima analisi, solo l’elemento più appariscente del processo di avvicinamento del

reddito medio italiano verso quello di paesi europei di similare livello di sviluppo ed erano quindi

un processo per molti versi inevitabile e giustificato.

Nondimeno il contrasto tra attivismo sindacale interno alla fabbrica e l’Ing. Torello Puccini è un

elemento di grande importanza per capire gli ultimi anni di vita della società. Prima ancora che

provocare un aumento degli oneri per l’impresa, la conflittualità sindacale aprì una crisi ideologica

nell’impostazione che la nuova proprietà aveva dato alle relazioni industriali ed ebbe un notevole

peso nella strategia imprenditoriale scelta per fronteggiare la crisi aziendale.

351 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1961. 352 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1972.

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3) La crisi

Le prime serie difficoltà economiche della Ursus Gomma incominciarono nel 1973 in seguito alla

prima crisi petrolifera che provocò una vera e propria recessione di dimensioni mondiali.

L’azienda vigevanese fu colpita su tre piani differenti. Innanzitutto, l’aumento del prezzo del

petrolio scombussolò completamente i mercati delle materie prime facendo fortemente aumentare il

prezzo della gomma naturale353 che la Ursus Gomma utilizzava per la maggior parte delle sue

lavorazioni354. Secondariamente, la recessione ridusse la domanda di stivali, scarpe da tennis e degli

altri beni di consumo immessi sul mercato. Infine, ma non meno importante dato che la Ursus

Gomma realizzava una parte considerevole del proprio fatturato lavorando su ordinazione per altre

imprese, molti aziende clienti furono costrette dalla crisi a dilazionare i pagamenti o a ridurre gli

ordini355.

Come si può agevolmente vedere dalla tabella 5.1, la conseguenza della crisi generale

dell’economica mondiale fu un sensibile aumento del passivo della Ursus Gomma, che non

generava più utili dall’esercizio del 1970, ma le cui perdite erano rimaste, fino al 1973, contenute.

Le ingenti perdite determinarono, ovviamente, l’inizio di una vera e propria crisi finanziaria proprio

in occasione del rinnovo del contratto del settore gomma del 1973-74. La vertenza sindacale

appesantì l’azienda nel breve periodo a causa delle perdite provocate dalle agitazioni sindacali che

videro una forte partecipazione dei lavoratori dell’area vigevanese356. Nel lungo periodo, invece, gli

aumenti salariali ottenuti dagli operai con la stipula del contratto dopo più di sei mesi di

agitazioni357 costituirono un aumento permanente degli oneri per l’azienda.

Come già osservato, le perturbazioni dei mercati delle materie prime e l’aumento del costo del

lavoro furono elementi che interessarono l’intero sistema economico. Le grandi imprese italiane

reagirono con le due strategie complementari del subappalto di parte della produzione verso piccole

aziende e l’automazione del processo produttivo.

353 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1974. 354 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 355 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1974. 356 L’Informatore Vigevanese, anno XXX, n. 2 del 10 gennaio 1974, p.1. 357 Ibidem, anno XXX, n. 12 del 21 marzo 1974, p. 1.

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Tabella 5.1 – Capitale e redditività della Ursus Gomma negli ultimi anni358. anno Capitale sociale Utile o perdita netta di esercizio1969 270 4.154.200 1970 270 3.970.176 1971 270 - 2.653.217 1972 270 - 1.678.792 1973 414 - 4.656.992 1974 414 - 32.852.496 1975 550 - 99.686.714 1976 550 - 78.085.440 1977 550 - 60.883.010 1978 400 - 73.527.014 1979 400 - 84.032.489 1980 400 - 60.036.404 1981 200 - 30.874.048 1982 200 - 1.220.117.513 1983 200 - 1.371.821.122 1984 200 - 1.256.151.259 1985 200 - 2.268.556.163 1986 200 - 8.195.053.868

Entrambe le tattiche avevano il fine di ridurre il numero di lavoratori sindacalizzati utilizzati e di

permettere una produzione più efficiente sia dal punto di vista industriale che da quello economico.

Lo stesso Consiglio di Amministrazione della Ursus Gomma aveva già nel 1967 constatato la

necessità di una radicale revisione degli impianti, osservando come: Fra qualche anno, forse già l’anno venturo stesso, dovrà esaminarsi la possibilità di introdurre nella azienda una programmazione integrata secondo i più moderni sistemi di oltre Atlantico, tipizzando maggiormente le produzioni in modo da produrre sempre con minor tempo e con minor spreco di materiale. Sono obbiettivi molto facili ad enunciarsi, ma difficili da realizzarsi tanto più che comportano un lavoro di equipe lontano anche dalla mentalità media del lavoratore italiano ed una budgettazione complessa e bisognevole, per l’espletamento, dello impiego di costosi impianti elettrici359.

Con l’instabilità economica degli anni ’70 e il continuo progresso tecnologico, l’automazione della

lavorazione di alcuni reparti (non di tutti perché molti erano ancora economicamente efficienti)

divenne una necessità sempre più impellente. Sfortunatamente a causa della crisi finanziaria la

Ursus Gomma non solo non disponeva di mezzi propri sufficienti, ma si era anche notevolmente

esposta verso gli istituiti bancari.

La soluzione alla situazione di crisi poteva essere solo una e venne indicata chiaramente dal

Collegio Sindacale fin dal 1974:

358 Fonte: Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, bilanci societari, varie annate. 359 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1967.

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[…] considerata la situazione aziendale tutt’ora difficile e le difficoltà di una rapida ripresa della redditività anche in conseguenza dei pesantissimi oneri finanziari, ritiene urgente che si provveda ad un adeguato aumento del Capitale mediante il versamento di capitale fresco da parte dei Soci e non con la semplice accessione di partite debitorie. Formalmente invita quindi gli Amministratori a convocare senza indugio l’Assemblea Straordinaria per un aumento di capitali in contanti […]360.

Come evidenziato anche nella tabella 5.1, la Ursus Gomma attuò due importanti aumenti di

capitale, che passò con l’Assemblea Straordinaria del 14 marzo 1973 da 270 a 414 milioni e con

quella del 16 luglio 1974 da 414 a 550 milioni361. Purtroppo entrambi gli aumenti di capitale

vennero effettuati attraverso rivalutazioni dei cespiti362, quindi con pure operazioni contabili, e non

attraverso l’apporto di capitale fresco come richiesto dal Collegio Sindacale.

In assenza di nuovi ed adeguati mezzi finanziari la crisi economica della Ursus Gomma non poteva

che aggravarsi progressivamente e, quindi, rendere sempre più oneroso un eventuale intervento

risanatore.

La carenza di liquidità era già così grave nel 1974 che il rinnovo sindacale del settore gomma ebbe

un primo inquietante strascico, in quanto si aprì una vertenza, con nuovi scioperi, tra i lavoratori e la

Direzione per il pagamento dell’una tantum previsto dal contratto nazionale363. Con il progredire

della crisi l’impresa si trovò sempre più nella situazione assolutamente patologica in cui gli operai

dovevano “ricorrere a scioperi per ottenere il puntuale pagamento della retribuzione”364. Nella

seconda metà degli anni ’70, la Ursus Gomma cominciò a non pagare o a pagare solo con estremo

ritardo i contributi dei dipendenti, le bollette dell’Enel, le liquidazioni degli ex dipendenti e i

fornitori365. L’impresa era tornata indietro di più di vent’anni alla crisi economica di metà degli anni

’50 con un notevole danno d’immagine perché la società era riuscita con gli anni a crearsi

l’immagine di impresa solida e dotata di ingenti mezzi finanziari366.

Nel disperato tentativo di reperire mezzi finanziari, il Consiglio di Amministrazione ipotecò

pesantemente sia gli immobili di proprietà dell’azienda367 che il macchinario utilizzato per la

produzione368. Spesso le ipoteche sugli impianti non venivano onorate e i beni erano venduti

all’asta, dove erano in molti casi ricomprati dall’Ing. Torello Puccini369 in modo da rimanere

comunque a sempre in azienda.

360 Ibidem, Relazione del Collegio Sindacale al bilancio chiuso al 30 settembre 1974. 361 Tribunale di Vigevano, Cancelleria Civile, Sezione Fallimentare, Fascicolo Concordato Fallimentare Ursus Gomma, Relazione del Commissario Giudiziale. 362 Ibidem. 363 L’Informatore Vigevanese, anno XXX, n. 17 del 24 aprile 1974, p. 1. 364 Archivio Camera del Lavoro Pavia, fascicolo 3.1.13, Ursus Gomma crisi aziendale 78/79, Comunicato stampa del Consiglio di Fabbrica. 365 Ibidem. 366 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 367 Archivio Camera del Lavoro Pavia, fascicolo 3.1.13, Ursus Gomma crisi aziendale 78/79, foglio volante di appunti. 368 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 369 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore.

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In una situazione simile il degrado aziendale era inevitabile e infatti cominciò ben presto a

manifestarsi su molteplici piani. Da un punto di vista tecnologico, nonostante gli sforzi dei tecnici

della Ursus Gomma, gli impianti cominciarono avere problemi tecnici dovuti all’usura370. Da un

punto di vista merceologico alcuni beni prodotti, non più aggiornati, divennero progressivamente

sempre meno richiesti.

La progressiva perdita di quote di mercato non interessò tutte le merci prodotte nelle stesso modo.

Gli stivali, vanto e orgoglio della Ursus Gomma, continuarono fino all’ultimo ad essere richiesti ed

apprezzati nei principali mercati mondiali371. Le scarpe da tennis, per fare solo un esempio, invece

divennero progressivamente superate sia dal punto di vista dei materiali con cui erano fatte che da

quello del design rispetto ai nuovi modelli provenienti dagli Stati Uniti372. Il problema del ritardo

rispetto ai produttori americani nel campo delle scarpe da tennis riguardò anche altri produttori

italiani come la Superga, che però con opportune campagne pubblicitarie riusciva a difendere le sue

quote di mercato373. A causa della crisi finanziaria non c’erano i capitali né per rinnovare il

macchinario, né per aggiornare il design delle merci prodotte e neanche per fare le indispensabile

campagne pubblicitarie. Su quest’ultimo punto è importante segnalare la decadenza della Ursus

Gomma non solo rispetto agli anni ’50, qunando cui l’azienda poteva permettersi di ingaggiare

personaggi della notorietà di Coppi374, ma anche rispetto agli stessi anni ’60. Infatti, nel libro fatto

stampare dalla Ursus Gomma nel 1965 era contenuto un pezzo scritto da Luciano Bianciardi375 che

oltre ad essere un importante scrittore è anche stato uno dei più importanti “persuasori occulti”

pubblicitari degli anni del Boom economico.

Ormai sempre più emarginata dai mercati sia nazionali che internazionali la società cominciò a

ripiegare sempre più sulla domanda pubblica e, in particolare, alle forniture militari, anche se:

Come è noto tali forniture vengono aggiudicate a seguito di severe e complesse gare; i prezzi sono notoriamente poco o per nulla remunerativi ed i pagamenti, ahimé, avvengono con estenuanti ritardi. Comunque tale indirizzo commerciale ha consentito alla fabbrica di lavorare a pieno ritmo con pochissimo ricorso alla cassa integrazione salari376.

La partecipazione ad aste per forniture militari sia di calzature che di altri beni a più alto valore

aggiunto come canotti e pontoni377 non costituiva una novità per l’impresa e anzi risaliva molto

370 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1977. 371 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni dell’8 ottobre 2004 raccolta dall’autore. 372 Ibidem. 373 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 374 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 6. 375 Luciano Bianciardi, La Ursus Gomma e le scarpe da tennis, pp. 12-16, in AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965. 376 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1978. 377 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore.

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indietro nel tempo, almeno fin dagli anni delle guerra di Etiopia. Prima della fine degli anni ’70,

però, non era mai stato un “indirizzo commerciale” prevalente, a parte per ovvi motivi gli anni della

2° Guerra Mondiale.

In una situazione di crisi finanziaria, commerciale e di assenza di investimenti come quella appena

descritta, la differenziazione produttiva e i livelli occupazionali degli anni ’60 erano ovviamente

insostenibili. Un po’ per volta la Ursus Gomma venne smantellata attraverso la chiusura o la forte

riduzione di alcuni reparti, i licenziamenti e la non sostituzione dei dipendenti che andavano in

pensione. La smobilitazione della forza lavoro e della capacità produttiva della fabbrica venne

effettuata un po’ per volta, in assenza di un credibile piano di rilancio, e guardando sia alla

riduzione degli oneri che alla chiusura dei reparti più sindacalizzati378. Non è un caso che la prima

grossa riduzione di organico di cui si ha notizia avvenne proprio nel 1974 dopo la vertenza per il

rinnovo del contratto nazionale del settore gomma e gli scioperi aziendali per ottenere il pagamento

dell’una tantum ottenuta. Nel novembre del 1974, la Direzione annunciò l’intenzione di licenziare

80 operai e 10 impiegati dello stabilimento di via San Giacomo aprendo una nuova vertenza. Alla

fine le parti raggiunsero un accordo che sostituiva i licenziamenti con la cassa integrazione a zero

ore379, una leggera riduzione dei tagli e in base al quale la Ursus Gomma annunciava l’intenzione

di:

[…] chiudere il reparto articoli sportivi (c’erano 32 addetti); dimezzare (da 61 a 32) gli occupati del reparto scarpe e ridurre l’organico in quello mescolanze (da 21 a 18), dei trafilati (da 9 a 5), delle stamperie (da 40 a 31), così dicasi per l’impermeabilatura (da 7 a 4) e nei servizi (elettricisti, meccanici e così via da 33 a 28)380.

La storia della Ursus Gomma della seconda metà degli anni ’70 è in gran parte una storia di

riduzioni di personale e problemi finanziari ogni tanto interrotti da commesse che costituivano

boccate di ossigeno. Nonostante qualche momento positivo le difficoltà erano sempre più gravi

anche dal punto simbolico. Proprio nel 1979, dopo 40 anni di attività spesso all’avanguardia, venne

chiuso lo stabilimento di via Santa Maria381, interrompendo la produzione di pavimenti e di

rivestimenti in plastica e trasferendo le residue produzioni ancora economicamente vantaggiose

nella fabbrica di via San Giacomo382.

378 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 379 L’Informatore Vigevanese, anno XXX, n. 41 del 21 novembre 1974. 380 Ibidem. 381 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 382 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1980.

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4) La chiusura

In ultima analisi la causa della chiusura della Ursus Gomma fu costituita dalla mancanza di

investimenti adeguati a superare un periodo caratterizzato da crescenti oneri del lavoro, crisi

finanziaria e parziale invecchiamento degli impianti. Gli azionisti preferirono non contribuire con

adeguati capitali per fronte a una situazione che divenne progressivamente più grave e quindi di

sempre più onerosa soluzione. Questo non interesse ad investire, che poi fu in gran parte una

decisione del principale azionista l’Ing. Torello Puccini, merita di essere discusso brevemente.

Per far superare alla Ursus Gomma il momento di difficoltà dell’inizio degli anni ’70 non sarebbe

bastato un semplice aumento di capitale, ma una strategia ben articolata. Un progetto industriale che

analizzasse in profondità la fabbrica dagli impianti alla rete distributiva passando per le mentalità e

le competenze dei dipendenti. Bisognava decidere se puntare su una maggiore diversificazione

produttiva, oppure se abbandonare alcune produzioni per concentrare le energie residue sulle altre,

per esempio la produzione di natanti era stato un successo dal punto di vista tecnico, ma non da

quello della redditività. Bisognava decidere come riorganizzare le competenze dei dipendenti, quali

reparti avevano un macchinario adeguato e quali era opportuno automatizzare, risincronizzare i

tempi di produzione ecc.

Preparare un piano strategico di questo tipo non era facile dal punto di vista tecnico, richiedeva un

forte impegno ed era sia estremamente costoso che estremamente rischioso. Costoso perché

richiedeva un grosso aumento di capitale da parte degli azionisti, probabilmente maggiore di tutti i

profitti distribuiti dalla Ursus Gomma a partire dalla sua ricostruzione del 1959. Utili che, non

dimentichiamo, erano serviti in parte a ripagare le somme investite per l’acquisizione e il

risanamento dell’impresa da parte del gruppo italo-svizzero controllato dalla famiglia Puccini.

Rischioso perché gli investimenti contengono sempre una componente aleatoria, ovvero il rischio di

non essere remunerati, che a ridosso della prima crisi petrolifera era estremamente elevata.

La percezione del rischio da parte degli imprenditori è, infine, estremamente soggettiva e, pur

tenendo conto di elementi razionali, si basa anche su impressioni e stati d’animo molto volatili.

Se si limita l’analisi alla sola Ursus Gomma, si può dire che essa alla metà degli anni ’70 poteva

vantare ancora molteplici punti di forza e infatti il Collegio Sindacale era ottimista e osservava

come nonostante le già evidenti difficoltà:

[…] in considerazione peraltro della validità ed importanza dell’Azienda, nella sua struttura operativa, nella sostanziale bontà dei suoi prodotti e nella sua ottima introduzione sul mercato, sembra quanto mai consigliabile ogni sforzo di rifinanziamento che senza altro dovrebbe dare la possibilità di superare le avversità del momento e di puntare verso sicuri miglioramenti economici e finanziari383.

383 Ibidem, Relazione del Consiglio Sindacale al bilancio chiuso il 30 settembre 1975.

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Oltre al prestigio del marchio e alla bontà dei prodotti si deve anche aggiungere la qualità del

capitale umano posseduto dall’azienda. I principali punti di debolezza consistevano invece nella

consistenza degli investimenti necessari per il risanamento e nell’incertezza della congiuntura

economica.

Il discorso non può essere limitato alla sola Ursus Gomma, perché l’Ing. Torello Puccini aveva

molteplici interessi in grosse attività economiche sia in Italia che all’estero384. Limitando l’analisi

solo al nostro paese, lo troviamo all’inizio degli anni ’70 nel consiglio di amministrazione di tre

importanti imprese. Infatti, nel 1973 l’Ing. Torello Puccini era amministratore delegato non solo

della Ursus Gomma, ma anche della Società Gestioni Industriali di Civitanova Marche ed era

presidente dell’Impresa Costruzione Puccini Ing. di Roma385. Non solo, ma nella seconda metà

degli anni ’70 anche la Società Gestioni Industriali attraversò un periodo di forti difficoltà

finanziarie che spinsero poi l’Ing. Torello Puccini a deciderne la cessione386.

Una molteplicità di interessi e di problemi di allocazione di risorse finanziarie di cui la Ursus

Gomma era solo un aspetto che veniva inquadrato in una strategia più ampia. In estrema sintesi

l’Ing. Torello Puccini non aveva bisogno dell’impresa vigevanese perché aveva numerose altre

attività economiche387, mentre non era vero il contrario. In questa ottica, l’impresa finché fu in

grado di fare profitti autonomamente fu sostenuta ed aiutata, poi quando cominciò ad entrare in crisi

finanziaria diventò un peso che richiedeva investimenti eccessivi. Dal punto di vista dell’Ing.

Torello Puccini l’impresa divenne, probabilmente, solo una fonte di preoccupazioni per il suo

pessimo andamento economico, le difficoltà delle relazioni con il sindacato e i guai giudiziari che

portò al suo principale azionista388. Per questi motivi, e probabilmente anche per altri che dopo tutti

questi anni sfuggono, l’Ing. Torello Puccini non ritenne opportuno ed economicamente conveniente

fare nuovi e consistenti investimenti nella Ursus Gomma.

In questo modo l’impresa venne condannata a un lento processo di degrado che tra la fine degli anni

’70 e l’inizio degli anni ’80 cominciò ad accelerare sempre più. Nel 1981, la Ursus Gomma era

ormai un’impresa decotta ed altamente indebitata. Tutte le attività produttive venivano ormai svolte

nel solo stabilimenti di via San Giacomo, che ormai era occupato solo parzialmente lasciando una 384 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. 385 AA.VV., Il chi è? Nella finanza italiana, Nuova Mercurio S.p.A. Casa Editrice, Como, 1973, p. 1090. 386 Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48 bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001, p. 3. 387 Su questo punto le testimonianze di Roberto Pavesi, Benito De Stefani e Roberto Scaglia sono sostanzialmente unanimi. 388 Nel 1982 Torello Puccini fu condannato dal Tribunale di Vigevano al pagamento di una multa per non aver non versato al fisco le imposto sul reddito delle persone fisiche trattenute sulle buste paga dei dipendenti Ursus Gomma nel periodo 1977-1980. Cfr. L’Informatore Vigevanese, anno XXXVIII, n. 20 del 20 maggio 1982.

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parte dei capannoni vuoti389. Il degrado economico era così avanzato che non solo lo stabilimento

era troppo grande per le necessità della Ursus Gomma, ma anche il portafoglio ordini era diventato

eccessivamente esiguo rispetto alle dimensioni degli impianti rimasti390. Nel 1981 l’impresa

raggiunse il punto di non ritorno in quanto l’insieme complessivo delle passività superò il valore

complessivo di tutti gli asset posseduti e l’ulteriore posticipazione della messa in liquidazione della

società non fece altro che accumulare perdite miliardarie a tutto danno dei creditori391.

Con il 1981 cominciò anche l’ultima vertenza sindacale della storia dell’aziendaperché l’impresa

non era più in grado di pagare regolarmente gli stipendi ai propri dipendenti392. I rappresentanti

sindacali chiesero ed ottennero, andando a contrattare a Roma presso il Ministero del Lavoro, la

cassa integrazione per i dipendenti, soprattutto per le famiglie in cui l’unico reddito proveniva dal

lavoro dipendente presso la Ursus Gomma393. Inoltre, venne fatto un ultimo tentativo di salvataggio

dell’impresa proponendo di chiudere tutti i reparti tranne quelli indispensabili per la produzione di

stivali, ma anche questo tentativo si rivelò inutile e impossibile394 e la messa in liquidazione

dell’impresa divenne inevitabile.

Con l’arresto dell’attività produttiva, nel novembre del 1982395, la residua forza lavoro, meno di

trecento persone, fu smobilitata. Dato che la crisi durava ormai da molti anni, l’età media degli

ultimi dipendenti rimasti era abbastanza elevata per cui molti poterono andare direttamente in

pensione396. Coloro che non avevano ancora maturato l’anzianità necessaria non ebbero seri

problemi a trovare nuovi lavori, perché all’epoca l’economia locale offriva ancora numerose

possibilità397. Infine, alcuni tecnici misero a frutto l’esperienza acquisita dentro la Ursus Gomma

per aprire nuove imprese, esattamente come avevano fatto altri ex-dipendenti nei decenni

precedenti398.

Il non facile compito di portare a termine la procedura di liquidazione venne affidato alla persona di

Giuseppe Dragonetti399 che tra le altre cose cercò di arrivare a un concordato preventivo con i

creditori che però rifiutarono. In seguito a questa decisione, il Tribunale di Vigevano con sentenza

389 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni del 8 ottobre 2004. 390 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1982. 391 Tribunale di Vigevano, Cancelleria Civile, Sezione Fallimentare, Fascicolo Concordato Fallimentare Ursus Gomma, Relazione del Commissario Giudiziale. 392 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni del 8 ottobre 2004 raccolta dall’autore. 393 Ibidem. 394 Ibidem. 395 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 396 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni del 8 ottobre 2004 raccolta dall’autore. 397 Ibidem. 398 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 399 Tribunale di Vigevano, Cancelleria Civile, Sezione Fallimentare, Fascicolo Concordato Fallimentare Ursus Gomma, Relazione del Commissario Giudiziale

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del 28 aprile 1987 dichiarò il fallimento della Ursus Gomma Nuova S.p.A. ponendo fine

all’esistenza giuridica dell’impresa400.

Negli anni seguenti la vicenda Ursus ebbe ancora qualche strascico con la vendita all’asta

dell’immobile di via San Giacomo che, acquistato dal comune di Vigevano, permise di versare le

somme dovute a una parte dei creditori tra cui gli ex-dipendenti, ma non all’INPS lasciando una

perdita a carico della collettività. Infine, i dibattiti in città sulla destinazione della vecchia fabbrica

di cui alla fine venne deciso il recupero con il riutilizzo a scopo abitativo e come sede di servizi ed

uffici pubblici, ma questo riguarda più che la vicenda dell’impresa industriale Ursus Gomma.

5) Conclusioni

La storia dell’impresa fondata da Pietro Bertolini, Pietro Magnoni e Rinaldo Masseroni coprì un

arco temporale che va dal 1931 al 1987 attraversando una guerra mondiale, profonde trasformazioni

sociali ed economiche. Un periodo poco più breve di una normale vita e pari a circa due generazioni

umane.

Esattamente come un organismo vivente l’esistenza dell’impresa si sviluppò attraverso diverse fasi:

la giovinezza, la maturità e la senilità.

La prima fase, la giovinezza nel nostro paragone, fu l’età dei fondatori, Pietro Bertolini, Rinaldo

Masseroni e Pietro Magnoni. In questi anni la città di Vigevano fu interessata dalla nascita e dal

rapidissimo sviluppo di un nuovo settore gomma-calzaturiero caratterizzato dalla presenza di grandi

imprese che organizzavano consistenti masse operaie nei loro dopolavoro. La Ursus Gomma

partecipò da protagonista alla costruzione di questo nuovo settore e si caratterizzò per le dimensioni

e, soprattutto, per spirito innovativo e aperto alla sperimentazione di nuovi materiali come il PVC.

La maturità invece corrisponde agli anni ’50 e ’60, ovvero al delicato momento del passaggio nei

posti di comando dell’economia dalla generazione nata durante il periodo liberale e quella nata

durante il periodo fascista. Durante questa seconda fase della sua esistenza, la Ursus Gomma

attraversò una grave crisi, ma riuscì a rinnovarsi e a partecipare al Boom economico, differenziando

le sue produzioni e conservando le posizioni di primato e di eccellenza conquistate in precedenza.

L’ultima fase della Ursus Gomma, la senilità, copre gli anni ’70 e ’80 caratterizzati dalla

conflittualità sindacale, dalla mancanza di nuovi ed indispensabili investimenti e dalla progressiva

decadenza.

400 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, Denuncia di Cessazione del 22 giugno 1987.

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Un bilancio della vicenda della Ursus Gomma non può trascurare il fatto che essa costituì senza

dubbi la maggiore impresa vigevanese del Novecento sia dal punto di vista dei capitali investiti che

da quello delle capacità tecnologiche e del livello dei suoi tecnici. Ma la vicenda dell’ azienda andò

molto al di là dei soli aspetti economici ed industriali, perché durante i 56 anni della sua esistenza

fornì sostentamento a migliaia di dipendenti, che costituirono a tutti gli effetti una comunità. La

storia di questo piccolo mondo e delle sue relazioni con la città rappresenta senza dubbio un

importante capitolo della storia sociale vigevanese del Novecento con molteplici aspetti che vanno

dai progetti di edilizia popolare di Pietro Bertolini, alla Cooperativa Operai Ursus passando per la

Resistenza e l’attivismo sindacale.

Un ultimo aspetto su cui è interessante soffermare l’attenzione riguarda la vicenda della grande

impresa e del settore gomma nato negli anni ’30. Oggi non si può fare a meno di notare come

praticamente tutte le grandi imprese vigevanesi, dal tessile al calzaturiero, sono state esperienze

importanti e per molti aspetti gloriose ma ormai terminate. Allo stesso modo il settore gomma degli

anni ’30, che fu molto forte sia dal punto di vista della manodopera occupata che delle capacità

industriali, oggi non esiste più e tutte le imprese che lo componevano, da Mainardi alla Ursus

Gomma, hanno dovuto per un motivo o per l’altro chiudere. Contemporaneamente le piccole e

medie imprese del settore calzature di cuoio e, poi, macchine per calzature sono riuscite a dare a

Vigevano un’impronta industriale che perdura ancora oggi nonostante la grave crisi degli ultimi

anni.

La vicenda della Ursus Gomma appartiene a una pagina di storia industriale, locale e nazionale,

ormai conclusa anche se di grande interesse storico, ma può anche costituire uno spunto per aprire

una riflessione sui processi storici ed economci che hanno portato ai problemi industriali

dell’attualità.

Bibliografia

AA.VV., Il chi è? Nella finanza italiana, Nuova Mercurio S.p.A. Casa Editrice, Como, 1973.

AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965

Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990;

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Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto

presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di

costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48

bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001;

Garofoli G., L’industria in Lomellina. Tendenze e prospettive, Quaderno di Pavia economica, Pavia,

1985;

Hobsbawn E. J., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1996.

Elenco abbreviazioni:

Archivio Camera del Lavoro di Pavia: Arch. C.d.L. Pavia

Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Industria e dell’Artigianato: ACS, Min Ind

Archivio Storico Banca d’Italia: ASBI

Archivio Storico Civico di Vigevano: ASCV