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Storia della Scuola e delle Istituzioni Educative A.A. 2017/2018 Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione I e II semestre – 9 CFU Dott.ssa Chiara Lepri

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Storia della Scuola e delle Istituzioni EducativeA.A. 2017/2018

Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione

I e II semestre – 9 CFU

Dott.ssa Chiara Lepri

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Una premessa: dalla Storia della Pedagogia alla Storia dell’Educazione

Negli ultimi trent’anni si è compiuta una profonda trasformazione metodologica nella ricercastorico-educativa che ha portato a un radicale mutamento di orientamento:

Dalla storia della pedagogia si è passati alla storia dell’educazione.

Un passo indietro: la storia della pedagogia in senso proprio era nata tra ‘700 e ‘800 e si erasviluppata nel corso del XIX secolo come indagine svolta da uomini di scuola, impegnatinell’organizzazione di una istituzione, la scuola, divenuta sempre più centrale nella societàmoderna.

La storia della pedagogia nasceva come una storia ideologicamente orientata, che valorizzavala continuità dei principi e degli ideali, che convergeva sulla contemporaneità e che costruivail passato in modo organico e lineare, ponendo l’accento in particolare sugli ideali e sullateoria, rappresentata soprattutto dalla filosofia.

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La storia della pedagogia, in tal senso, era una storia persuasiva e teoreticistica, assailontana dai processi educativi reali, relativi alle diverse società, differenziati per classisociali, sesso ed età, dalle istituzioni in cui essi si compivano (la famiglia, la scuola, labottega artigiana, e poi la fabbrica, ma anche il seminario o l’esercito), dalle pratichedi allevamento o d’istruzione, dagli apporti delle scienze, soprattutto umane, allaconoscenza dei processi formativi (con psicologia e sociologia in testa).

Tale storia doveva diffondere un’idea di educazione tutta accorpata intorno ai propriprincipi ideali (piuttosto che alle pratiche) e, attraverso questi, alle ideologie che liispiravano.

Si avevano, così, storie della pedagogia a forte tasso filosofico, contrassegnate daidiversi indirizzi della filosofia (positivistiche, idealistiche, spiritualistiche…).

Il lavoro storico-pedagogico coincideva, quindi, con una storia delle idee.

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In Italia questo atteggiamento toccò, con l’idealismo di Giovanni Gentile ai primi del‘900, la sua realizzazione più coerente ed estrema: la pedagogia si risolveva nellafilosofia come teoria dell’autoformazione dello spirito.

Già dal secondo dopoguerra, però, si diffusero nuovi indirizzi storiografici anche incampo pedagogico

(Storiografia = scienza e pratica dello scrivere la storia utilizzando principimetodologici e un’indagine critica)

e alcuni presupposti di quel modo tradizionale di fare storia della pedagogiaentrarono in crisi.

Si avviava così un lungo processo che ha condotto alla sostituzione della storia dellapedagogia con la storia dell’educazione.

La pedagogia perdeva la sua esclusiva connotazione filosofica e si delineava comedisciplina costituita dall’incontro delle diverse scienze e quindi come un sapereinterdisciplinare che intrecciava la sua storia con quella di altri saperi, soprattutto lediverse scienze umane.

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Inoltre la pedagogia si andava saldando ad un ruolo sempre più centrale nella vitasociale:

quello di formare l’individuo socializzato e di attuare questa formazione attraversomolteplici vie istituzionali e molteplici tecniche diffuse nella società.

E il fare storia si caratterizzava come la costruzione di una storia totale, capace dicogliere i diversi aspetti della vita sociale e dei vari momenti storici, facendo perdereogni esclusività e predominio alla storia delle idee. La metodologia con la quale sistudia la storia subisce una radicale trasformazione: si articola secondo molti ambiti diricerca, accoglie una molteplicità di fonti, si organizza in settori specializzati, anzi,sempre più specializzati, come:

la storia delle teorie pedagogiche; la storia della didattica; la storia del costumeeducativo; la storia dell’infanzia; la storia delle donne; la storia dell’immaginario…

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Dagli anni ‘50, poi sempre più dagli anni ‘60 e ’70, si è sviluppato un modoradicalmente nuovo di fare storia degli eventi pedagogico-educativi, che ha rotto conil modello ideologico per dar vita ad un’indagine più pluralistica e problematica,articolata e differenziata, che può essere definita come

storia dell’educazione

Intendendo per educazione l’insieme delle pratiche sociali e l’insieme dei saperi.

Si è passati, quindi, da un modo chiuso di fare storia in educazione e pedagogia a unoaperto, consapevole della ricchezza e complessità del suo campo di ricerca e dellavarietà e articolazione di metodi e strumenti da usare.

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Tre rivoluzioni in storiografia

La trasformazione del modo di intendere la storia e di svolgerne l’attività scientifica èstata determinata dall’azione congiunta di orientamenti storiografici che hannoadottato principi metodologici rinnovati.

Sono almeno quattro orientamenti:

1. il marxismo

2. la ricerca delle «Annales» e la storia totale

3. l’apporto della psicoanalisi alla ricerca storica

4. lo strutturalismo e le indagini quantitative

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1. Il marxismo

Ha posto in luce, rispetto agli eventi storici, il ruolo della struttura economico-socialee ha invitato a studiare le complesse mediazioni che legano insieme economia epolitica, politica e cultura, cultura e società. Le indagini di Gramsci sono state inquesto campo esemplari e hanno influenzato in profondità la ricerca storica.

La storia appare ai ricercatori marxisti come lotta di classi e di ideologie, che siarticolano intorno a sistemi di produzione e che guardano all’egemonia storica,influenzando ogni ambito della vita sociale, dalla famiglia allo stato, alla cultura.

2. Scuola delle «Annales»

Le «Annales» è una rivista fondata in Francia nel 1929 che ha avuto un ruolofondamentale di rinnovamento della ricerca storica, oltra a una notorietà mondiale. Èuna scuola che si è ispirata al marxismo, ponendo in luce le permanenze o strutturerispetto agli «avvenimenti», ma ne ha arricchita e sfumata la lezione introducendo lostudio di strutture non solo economiche, come la mentalità, e guardando a una storiaa parte intera che tenga conto di tutti i fattori e aspetti di un momento o di un eventostorico.

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La storiografia delle «Annales» concorda nell’affermare che tutto è una fonte per lostorico, ampliando l’orizzonte oltre il documento strettamente inteso come testoscritto, di gran lunga il più conservato e utilizzato dagli storici.

Cosa è una fonte?

La storia della pedagogia, al pari di altre forme di ricerca storica, utilizza un materialedi base che comunemente viene definito con il termine di fonti. Sono, per esempio,documenti d’archivio (pubblici e privati) e presenti nelle biblioteche, testi manoscrittie a stampa che recentemente sono stati raccolti negli Archivi Nazionali.

Gli storici annalisti introducono fonti atipiche, come le interviste (fonti orali), i dipinti, imonumenti, i diari e gli epistolari, le autobiografie e le opere letterarie, la fotografia eil cinema, gli arredi, … ed altro che può consentire la comprensione di un contestostorico e sociale.

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3. La psicoanalisi

È stata soprattutto l’area americana che attraverso la psicostoria ne ha affermatal’applicazione alla ricerca storica. La psicostoria studia le mentalità collettive eindividuali, leggibili ispirandosi ai meccanismi propri del pensiero freudiano(inconscio, repressione, conflitti nell’io, …).

4. Lo strutturalismo e la storia quantitativa

Hanno posto l’accento su ciò che è impersonale nella storia, sulle strutture cheregolano i comportamenti individuali in profondità (siano istituzioni o mentalità) e lehanno lette come variabili quantitative, sottoponibili ad analisi sociali, a ricostruzionistatistiche. La storia della sessualità di Foucault o la storia del tempo di Ladurierichiamano le permanenze e la loro funzione genetica nell’ambito della produzione difenomeni storici. E sono permanenze oggettive.

All’incrocio di queste diverse posizioni si sono realizzate tre rivoluzioni cruciali nellastoriografia contemporanea: una sui metodi, una sul tempo, una sui documenti.

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1. La rivoluzione dei metodi

È stata una rivoluzione profonda che ha messo in luce soprattutto il pluralismo deimetodi. Il «fare storia» non implica l’uso di una sola procedura capace di affrontateogni tipo di fenomeno storico e di leggerne le strutture e il divenire, bensì si attuaintorno a molteplici metodologie, da quelli della storia «strutturale», economica,sociale, «delle mentalità», a quella degli avvenimenti, a quella locale, a quella orale-vissuta, alla psicostoria, all’etnostoria, alla storia del quotidiano, ecc.

La storiografia attuale ha quindi perduto la certezza del metodo per approdare aidiversi metodi. Di conseguenza, la storia si è fatta plurale.

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2. La rivoluzione del tempo

È stato soprattutto Braudel ad avviare un processo di revisione della temporalità storica,mostrando come il tempo storico sia diverso da quello del quotidiano perché plurale,polistrutturato, problematico e mai univoco-unitario.

Sono tre – dice Braudel – i tempi della storia:

A. il tempo degli avvenimenti (o eventi), vicino al vissuto e al cronologico; è il tempo di ciòche accade, misurato all’istante, ed è il tempo della storia-narrazione;

B. il tempo delle brevi durate (o congiunture, istituzioni…) o delle permanenze relative: è iltempo connesso alle strutture politiche, sociali o culturali, che sta al di sotto degliavvenimenti e li coordina; in questo tempo agiscono gli stati, le culture, le società. È il tempodella storia-spiegazione;

C. il tempo delle lunghe (o lunghissime) durate: è un tempo geografico, economico eantropologico, che coglie le permanenze profonde, le strutture quasi invarianti; è il tempodella storia-interpretazione.

Sono tre temporalità tutte necessarie per comprendere la storia, ma che non vanno confuse.Anzi, vanno colte le differenze e le intersezioni.

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3. La rivoluzione dei documenti

È stato di recente che la nozione di «documento» si è radicalmente rinnovata,ampliandosi verso classi inedite e ponendo il documento non più come monumentoma come effetto dell’interpretazione.

Si sono aperti archivi dedicati a documenti fino a ieri marginali (es. l’Archivio DiaristicoNazionale di Pieve Santo Stefano) o ignorati.

Le tre rivoluzioni hanno ridisegnato la nostra coscienza storiografica, come citestimoniano le opere metodologiche dei grandi storici contemporanei.

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Foto di Luigi Burroni, in www.piccolomuseodeldiario.it

L’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano offre un percorso museale che accoglie il visitatore in maniera coinvolgente einnovativa e lo conduce per mano attraverso le scritture di persone comuni che hanno raccontato la storia d’Italia da un punto divista assolutamente inedito. Memorie private che da storie singole e personali sono diventate storie collettive e universali,affiancandosi così alla Storia con la S maiuscola e intrecciandosi ad essa a tal punto da far parlare di “storia scritta dal basso”. Lastoria di un Paese che qui ritrova la sua identità più pura, quotidiana, schietta e onesta. Storie, memorie, lettere e diari checancellano i filtri della retorica e fanno comprendere il mondo dove viviamo, il nostro Paese, la nostra società. [Cfr. sito web delmuseo]

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Le molte storie educative

La storia dell’educazione è oggi un contenitore di diverse storie, dialetticamenteinterconnesse e interagenti, tutte accomunate dall’oggetto complesso «educazione».

Ogni ambito di indagine all’interno della storia dell’educazione ha una propriaautonomia e specificità, è un «territorio» dell’indagine storica.

Tra gli ambiti dotati di autonomia e di tradizione di ricerca potremmo individuarequello delle teorie, quelle delle istituzioni, quello delle politiche, quello della storiasociale (intesa come storia del costume, delle culture e delle mentalità), quellodell’immaginario. Quest’ultimo è un settore ancora poco sviluppato ed è una vera epropria frontiera della storia sociale.

La storia della scuola e della istituzioni educative è un settore autonomo eorganicamente sviluppato delle scienze dell’educazione: si occupa della scuola, maanche della famiglia e le altre istituzioni educative come la «bottega», la fabbrica, leassociazioni, gli oratori, i gruppi sportivi. Si tratta di istituzioni cui è affidato un precisoruolo formativo nei diversi tipi di società.

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Sono ambiti che poi, a loro volta, si articolano in altri sotto-settori. Per esempio, nellastoria delle scuola vi sono i seguenti sotto-settori:

- la storia degli insegnanti

- la storia della didattica

- la storia legislastiva

- la storia della vita scolastica (interna, quella delle sue regole, dei suoi riti connessiall’iniziazione alla vita sociale)

- la storia delle politiche educative e scolastiche

Sono campi d’indagine articolati intorno a metodologie assai diverse (quantitative eseriali, oppure narrative e qualitative, fino alle tecniche della storia orale, lamemorialistica, i carteggi…) che vengono a costruire una mappa e a dareall’istituzione scuola una pregnanza sociologica.

[Cfr. F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 3-9]

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Scuola

Da sempre le giovani generazioni hanno imparato dagli adulti modi di essere, di fare, dicomunicare, usi e costumi, idealità e valori, in un continuo e dialettico processo di interazioneche si è svolto – e si svolge ancora oggi – al di fuori dei contesti formali e senza intenzionalitàe consapevolezza.

L’educazione è un’azione spontanea e coeva all’uomo, a lui connaturata. Per la scuola, invece,il discorso è diverso. La scuola, così come è stata intesa in epoca moderna, è una formaistituzionalizzata di educazione che è nata quando la semplice partecipazione alla vita socialenon bastò ad assicurare ai più giovani l’acquisizione del patrimonio culturale raggiunto dalgruppo di appartenenza. Si è reso necessario, quindi, creare forme educative organizzate.

Il termine schola compariva già nelle opere ciceroniane, nel senso di studio, di ricerca e nongià, come nel Medioevo, come luogo in cui un maestro intrattiene, insegnando, gli allievi.

A Roma, per esempio, la scuola primaria veniva chiamata ludus, che significa gioco,intrattenimento: potevano adire ai ludi i ragazzi che potevano permettersi di non lavorare.

[Cfr. C. Betti, Storia della pedagogia, in AA.VV., Le scienze della formazione, Milano, Apogeo, 2007]

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Cos’è la scuola?Il concetto di scuola non è semplice da definire per le profonde differenziazioni che lascuola ha subìto nel corso di una evoluzione storica che ne ha mutato l’articolazione, icompiti sociali e le finalità. In linea generale, potremmo dire che la scuola è

• una istituzione che ha il compito di preparare i suoi allievi a entrare nella società conle conoscenze, le capacità e i criteri di azione necessari a viverci.

Ma per assolvere a questa funzione deve avere una struttura interna articolata inmodo da rispondere alle esigenze sociali e culturali della popolazione infantile egiovanile cui si rivolge; inoltre deve avere una diffusione sufficiente a raggiungere ogniparte del paese, dalle grandi città ai villaggi isolati, e quindi un’organizzazioneadeguata.

Occorrono, quindi, altre caratteristiche per delineare il concetto di scuola così come siè venuto a precisare nella seconda metà del XVIII secolo, quando la scuola divieneparte integrante della struttura di uno Stato.

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Possiamo sintetizzare queste caratteristiche attraverso alcuni punti nodali:

1. la caratteristica dell’autonomia e, quindi, della laicità

2. la gratuità

3. la funzione universalistica: la scuola dovrebbe consentire all’individuo di applicare strategie mentali, cui è stato sollecitato, in contesti altri

4. l’intenzionalità

5. la primarietà del codice alfabetico

6. la tensione cognitiva

7. la verificabilità e la sperimentazione

8. la fondamentalità del ruolo del docente

9. la capillarità e la struttura sistematica

10. la pubblicità e il pluralismo

Sono tutti aspetti ineliminabili del concetto di scuola. Senza di questi non si dà scuola nel senso pieno del termine.

[Cfr. G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2004]

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Storia e storia politica e sociale

Conoscere la storia della scuola nel nostro Paese significa ricostruire, di riflesso:

• la storia della società italiana, almeno dal momento in cui essa comincia adacquistare la coscienza di essere una nazione

• lo sviluppo e la diffusione di tale coscienza dalle classi dirigenti a tutto il popolo

• come le classi dirigenti si sono regolate per aprire le scuole alle classi popolari

• come le classi popolari, attraverso la scuola (ma anche attraverso le lotte sociali),hanno acquistato sia la coscienza dei propri diritti civili e politici, sia la culturanecessaria ad affermarsi economicamente e socialmente nell'ambito della societànazionale

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Nella storia della scuola italiana si riflettono, pertanto,

• Le vicende politiche del Risorgimento

• Le lotte sociali che hanno trasformato lo stato originario (costituito in regno e divisotra élite agraria e industriale e una plebe di contadini, braccianti e operai esclusi dallavita pubblica) in una Repubblica in cui i diritti e i doveri sono divenuti uguali per tutti eil lavoro è concepito come il fondamento della convivenza comune

• Il progresso scientifico e tecnologico, la vita morale, letteraria, artistica, religiosa, ildiritto, il cambiare dei costumi, il persistere e il mutare dei valori che orientano irapporti fra le persone e i popoli

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Tra la storia generale della società italiana e la storia particolare della sua scuola, delleteorie educative e degli interventi legislativi che ne hanno accompagnato la nascita elo sviluppo dall’Unità a oggi vi è una stretto rapporto.

La storia d’Italia racchiude in sé la storia della scuola, nel senso che al suo interno,accanto agli aspetti sociali, politici ed economici, insieme a quelli civili e culturali,trovano posto anche i processi di scolarizzazione, con i loro risvolti non solopedagogici e educativi, ma anche legislativi e amministrativi.

Due nodi, interconnessi, appaiono di primo piano:

- l’analfabetismo

- l’obbligo scolastico

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Altri nodi cruciali caratterizzano il dibattito all’indomani dell’Unità d’Italia (1861):

• la gestione statale delle pubblica istruzione, cui si perverrà con la Legge Daneo-Credaro (1911)

• Il rapporto tra Stato e Chiesa sul terreno educativo

• la formazione e la condizione degli insegnanti

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Le ‘grandi questioni’

Inoltre, all’indomani dell’Unità d’Italia, il giovane regno si trovò ad affrontare alcunegrandi questioni, che tradizionalmente sono:

1. la questione sociale: processo di industrializzazione / nascita di un vasto proletariatourbano. Molti lavoratori vivevano in condizioni di miseria, privi di diritti civili (es. ilvoto) e di strumenti di rappresentanza politica. L’ascesa di questo strato sociale e lasua capacità di organizzarsi in leghe, cooperative, sindacati, partiti politici daranno vitaad aspre lotte di classe con scontri drammatici.

2. La questione meridionale: vi era un profondo divario tra Nord e Sud del paese,economico, ma anche sociale e culturale, connesso a una secolare diversificazionedella storia del Mezzogiorno rispetto al resto dell’Italia.

3. La questione romana: interessa il rapporto tra Stato e Chiesa e la funzione diquest’ultima nella vita nazionale.

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Potremmo aggiungere:

4. La questione scolastica: connessa con le altre tre questioni e al tempo stesso dotatadi specificità.

Cosa s’intende?

In primo luogo la questione dell’analfabetismo, una piaga che dà al regno d’Italia untriste primato con punte particolarmente allarmanti al Sud e tra le donne.

- l’analfabeta è un vero e proprio invalido civile, non può votare, è condannato ai lavoripiù umili, sta ai margini della società.

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La scolarizzazione difficile

Oltre a combattere l’analfabetismo, in quegli anni la scuola ha il preciso compito diunificare il comune sentire degli italiani = costruire un’identità civile = creare quellacoscienza nazionale che aveva fatto da spinta propulsiva al processo di unificazionema che mancava negli strati più profondi della società.

La nostra scuola si caratterizza, fin dalle origini, per la distanza permanente tra lavastità dei fini che a parole sono indicati e l’assoluta inefficienza dei mezzi che di fattovengono assicurati.

Inoltre la questione scolastica si lega indissolubilmente con la questione romana,ossia con il problema del ruolo dei cattolici nell’istruzione pubblica e nel nascentesistema scolastico e gestione pubblica: per la Curia romana, l’educazione laica affidataallo Stato, l’obbligo scolastico, l’istruzione per tutti rappresentavano errori dottrinali eminacce al mantenimento dell’ordine costituito.

[ S. Santamaita, Storia della scuola, Milano, Bruno Mondadori, 2010]

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Le origini della scuola italianaLa situazione dell’istruzione negli stati preunitari (dalla Restaurazione, 1814, all’Unità, 1861) mostra un quadro molto differenziato, sia per le diversità tra stato e stato, sia per le rispettive politiche scolastiche strettamente connesse alle vicende storiche di ciascuno Stato.

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Regno del Lombardo-Veneto

La situazione più avanzata è quella del Lombardo-Veneto, dove i provvedimentiassunti dal 1786 da Maria Teresa d’Austria e da Giuseppe II avevano dato vita a unabuona rete di scuole elementari, professionali e normali, per la formazione degliinsegnanti.

Qui già il 70% dei bambini assolveva l’obbligo scolastico. Nel censimento del 1861 erala regione più alfabetizzata d’Italia (oltre il 50%).

Granducato di Toscana

Vi era una discreta attenzione nei confronti dell’istruzione, sia elementare cheprofessionale, soprattutto per l’impulso dei proprietari terrieri i quali, interessati allosviluppo dell’agricoltura, si curarono anche delle condizioni di vita delle messe ruralicon il contributo dell’Accademia dei Georgofili.

Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie

La scuola non si era sviluppata anche se ci furono tentativi di contrastare una secolarearretratezza culturale. Esistono scuole private gestite dai vari ordini religiosi.

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Va detto che la nascente borghesia italiana tra Sette e Ottocento aveva avviatoprocessi di modernizzazione nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato e delcommercio, dell’industria e della finanza. Nelle aree geografiche in cui questifenomeni erano stati più intensi, come in Piemonte, Lombardia e Toscana, più alta eral’attenzione verso l’istruzione scolastica e lo scontro con le forze che la contrastavano,come la Chiesa e i ceti aristocratici più conservatori).

Nelle zone in cui l’affermazione della borghesia era più lenta e faticosa, come nelMezzogiorno, nelle Isole e nell’Italia centrale dello stato pontificio, il ristagnodell’attività economica comportava anche più gravi ritardi nello sviluppodell’istruzione.

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Regno di Sardegna

Nei primi decenni dell’800 presentava una situazione economica e sociale piùavanzata rispetto agli altri stati preunitari. L’agricoltura abbandonava l’impostazionefeudale e divenne più razionale e moderna, grazie al conte Camillo Benso di Cavour.Fu fondata la Società Agraria, che appoggiava la nascente industria piemontese.Anche qui, come in Toscana, l’impegno sul fronte economico e sociale si accompagnòa una discreta attenzione verso la scuola.

L’istruzione elementare era particolarmente sviluppata, in particolare dopo il 1948,come anche le scuole tecniche. Nell’istruzione classica, scuola di formazione delleclassi dirigenti, si diffusero studenti provenienti non solo dall’aristocrazia ma anchedalla borghesia benestante e liberale.

Qui, dopo la Restaurazione (1815), vanno ricordati i seguenti provvedimenti:

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1. La Regia Lettera del 30 novembre 1847 con cui Carlo Alberto istituiva il Ministerodella pubblica istruzione. Il regno si allineava così alle tendenze in atto in altri paesieuropei che intendevano ricondurre l’istruzione alla responsabilità dello Stato. Ciòdeterminava aspri conflitti con la Chiesa le cui prerogative, in fatto di istruzione, siriducevano

2. La Legge Boncompagni del 4 ottobre 1848, emanata da Carlo Alberto in forza deipoteri straordinari conferiti dal re nell’imminenza della prima guerra di indipendenzasenza dibattito parlamentare:

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La Legge Boncompagni (1848)

- poneva sotto il controllo dello Stato l’istruzione pubblica e privata, articolata in 3 livelli:

• Elementare (un biennio inferiore e un biennio superiore), la cui istituzione eraobbligatoria per i comuni

• Secondario (con separazione tra studi classici e studi tecnici, questi ultimi privi di sbocchiuniversitari e destinati all’avviamento professionale)

• Universitario

- limitava le prerogative dell’istruzione religiosa: congregazioni e istituzioni ecclesiastichedovevano dotarsi di una abilitazione statale all’insegnamento e i titoli rilasciati daiseminari vescovili non consentivano di accedere né all’insegnamento, né all’università

- dava al sistema scolastico un assetto piramidale: Ministro – Consiglio superiore dellapubblica istruzione – ispettori – consigli e provveditori

- riservava la massima attenzione agli studi classici e all’università, preposte allaformazione della classe dirigente. Meno rilevante era la considerazione per le scuoletecniche

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Legge Casati (1859)

Costituisce il nucleo fondamentale dell’ordinamento scolastico italiano negli annidell’unità e nei decenni successivi.

La legge Casati viene emanata da Vittorio Emanuele II in virtù dei pieni poteri che ilParlamento gli aveva conferito nell’imminenza della seconda guerra d’indipendenza,dunque senza dibattito parlamentare, con Regio decreto del Regno di Sardegna del 13novembre 1859 predisposto dal Ministro dell’Istruzione Pubblica Gabrio Casati eriferentesi, al momento dell’entrata in vigore, ai vecchi territori piemontesi e allaLombardia.

Si trattava, quindi, di un provvedimento finalizzato a consolidare le istituzioniscolastiche sabaude e della Lombardia, che proprio in quei mesi veniva annessa alRegno di Sardegna.

La legge, con i suoi 380 articoli, costituiva un vero e proprio codice dell’istruzioneregolante l’intera materia. Gli articoli, procedendo secondo l’importanza attribuita agliargomenti, cominciavano a trattare l’amministrazione della pubblica istruzione efinivano con l’istruzione elementare. Il primo ramo scolastico considerato era quellodell’istruzione classica.

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La legge Casati:

1. Organizzava l’amministrazione scolastica in modo fortemente accentrato. Il ministrodell’istruzione aveva ampi poteri discrezionali e decisionali, ad esempio nominava econtrollava i principali funzionari centrali e periferici, mentre gli organi consultivierano di nomina reale. L’unica forma di decentramento era quella burocratica(carattere statalista e accentratore).

2. Separava nettamente la scuola umanistica (ginnasio-liceo) dalla scuola tecnica(scuola tecnica, istituto tecnico);

3. Ignorava l’istruzione professionale, che era affidata al Ministro dell’Agricoltura e delCommercio;

4. Delineava una scuola elementare gratuita di 4 anni;

5. Prevedeva, ma in modo ambiguo, l’obbligo scolastico per i primi due anni,affidandolo, di fatto, alla buona volontà dei Comuni senza disporre di alcuna forma disostegno verso di loro, né verso gli alunni;

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6. Distribuiva le competenze sulla scuola, affidando tendenzialmente al poterel’istruzione classica, alle Province la tecnica superiore, al Comuni l’elementare,facendo gravare su questi ultimi le spese per i locali, le suppellettili e i materiali nonscientifici;

7. L’istruzione religiosa era obbligatoria con possibilità di dispensa a richiesta deigenitori.

La legge suscitò vivaci polemiche, ma di fatto aveva una sua organicità e un suodisegno: era, infatti, un tentativo organico di regolare una materia fino ad allora nonconsiderata di piena competenza statale.

La legge Casati rappresenta la Magna Charta (L. Borghi) della scuola italiana: dopo laproclamazione del Regno d’Italia (1861), verrà estesa via via alle altre regioni ed i suoieffetti dureranno fino al 1923, quando la Riforma Gentile ridisegnerà la struttura dellascuola italiana, pur non cancellando alcuni tratti essenziali presenti nell’elaborazionedel 1859.

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Il fatto che la Legge sia stata varata senza dibattito parlamentare, come del resto eraaccaduto per la legge Boncompagni e come accadrà per la Riforma Gentile, dimostrache il sistema scolastico privilegiava le esigenze della classe dirigenze rispetto a quelledella realtà sociale.

Vediamo la legge nel dettaglio:

- affidava al Ministro la direzione della scuola pubblica e il controllo su quella privata;

- nell’art. 1, divideva la Pubblica Istruzione in 3 rami:

1. Istruzione superiore, cioè universitaria, alla quale sono riservati ben 141 articoli dei380

2. Istruzione secondaria classica, alla quale sono dedicati 84 articoli

3. Istruzione tecnica, l’istruzione primaria e l’istruzione normale (= destinata allaformazione degli insegnanti), alle quali sono destinati rispettivamente 43 e 66 articoli.

L’importanza che il legislatore attribuiva ai diversi rami si evince non solo dallagerarchia con la quale se ne occupa, dall’alto verso il basso, ma anche dal numero diarticoli che riserva ad ogni ramo: è una legge che punta soprattutto alla formazionedella classe dirigente e considera secondario il problema della formazione popolare.

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1. L’istruzione superiore

Aveva lo scopo di indirizzare la gioventù alle carriere sia pubbliche che private attraverso la«preparazione di accurati studj speciali». Erano previste 5 facoltà: Teologia, Giurisprudenza,Medicina, Scienze fisiche matematiche e naturali, Lettere e Filosofia, in 6 università: Torino,Pavia, Genova, Cagliari, l’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano e l'istituto universitario diChambéry, antica capitale della Savoia. Al corpo accademico dei docenti era dedicataparticolare attenzione.

2. L’istruzione secondaria classica

È la ‘via maestra’ di tutto il sistema disegnato dalla legge Casati: è il canale formativoprivilegiato, destinato ad assicurare la riproduzione della classe dirigente. Promuove lacultura letteraria e filosofica ed è articolata in 2 gradi per una durata complessiva di 8 anni: ilginnasio di 5 anni e il liceo di 3. per accedere a ciascuno dei due gradi è necessario sostenerel’esame di ammissione, mentre l’esame di licenza (come la nostra maturità) conclude gli studi.Da notare che il ginnasio corrisponde in parte alla nostra scuola media con la differenza chequesta ha durata triennale, è parte dell’istruzione obbligatoria e dà accesso a tutti i canaliformativi secondari, mentre il ginnasio sabaudo durava cinque anni , non era obbligatorio edaveva come unico sbocco la frequenza del liceo.

Si rivolgeva a uno strato sociale non più solo aristocratico e alto-borghese, ma anche allaclasse media.

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3. L’istruzione tecnica

Si rivolge ai giovani che intendono intraprendere carriere nel pubblico servizio, nelcommercio, nella ‘condotta’ delle cose agrarie. Le finalità sono pratiche, miranoall’ingresso nel lavoro.

Prevedeva 2 gradi di durata triennale: le scuole tecniche e gli istituti tecnici.L’istruzione nelle scuole tecniche, ossia nei primi 3 anni, era gratuita e questo èsenz’altro un elemento di apertura sociale. Le scuole tecniche dovevano essereassicurate nei capoluoghi di provincia che ne assicuravano il mantenimento, mentregli istituti tecnici erano a carico delle province. Al termine degli studi era necessariosostenere un esame di licenza, come nei licei.

Gli istituti tecnici prevedevano inizialmente 4 sezioni: commerciale-industriale,agronomica, chimica, fisico-matematica (quest’ultima sezione dava accesso allaFacoltà di Scienze); vi furono, nel corso del tempo, numerose modifiche alle sezioni inrelazione alle condizioni di sviluppo economico e sociale nelle diverse aree del Paese.

Di fatto, si dava scarsa importanza a queste scuole rispetto, invece, ai licei.

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L’istruzione normale

Per poter insegnare in una scuola pubblica elementare, il maestro doveva essereminuto di una patente di idoneità e di un attestato di moralità. La patente siconseguiva nelle cosiddette scuole normali, antenate dell’istituto magistrale voluto daGentile nel 1923.

In Italia il problema della formazione dei maestri si presentò subito all’indomanidell’Unità d’Italia come uno dei più urgenti. Per quanto la scuola elementare fossepoco diffusa, la mancanza di maestri preparati rappresentava un grave problema. Neiprimi anni, si ricorse ai maestri già in servizio prima dell’unificazione, ma si trattava dipersonale di modesto livello culturale, al limite dell’analfabetismo, senza alcunapreparazione di carattere didattico e pedagogico. Con la legge Casati si tentò per laprima volta di regolare l’istruzione normale che costituiva di fatto un terzo corso distudi accanto all’istruzione tecnica e alla formazione liceale.

Erano scuole maschili e femminili triennali; al termine del biennio si conseguiva lapatente per insegnare nel primo biennio della scuola elementare; completando,invece, il triennio, si accedeva all’insegnamento anche nel biennio successivo.

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La patente poteva essere acquisita anche da coloro che avessero superato l’esamefinale e svolto un tirocinio di un anno in una scuola elementare.

Per accedere occorreva superare un esame di ammissione ed era necessario unattestato di moralità rilasciato dal Comune ed uno di sanità fisica.

Il curriculum prevedeva lo studio della pedagogia; per i maestri si prevedeva un corsodi agricoltura e di nozioni generali dei diritti e dei doveri dei cittadini, mentre per lemaestre era previsto l’insegnamento «dei lavori propri al sesso femminile», anchedetti «lavori donneschi».

Inoltre i ragazzi poteva accedere alle scuole normali all’età di 16, le ragazze all’età di15. Si deduce che si riteneva la donna particolarmente adatta o ‘vocata’ allaprofessionale magistrale.

La carenza di insegnanti era tale che nel 1865 si istituirono sedici scuole preparatorieche duravano 6 mesi e consentivano l’accesso diretto alle scuole normali ol’acquisizione di una patente provvisoria per insegnare in una classe femminile delprimo ciclo inferiore. Si escogitarono altre strategie per accelerare l’ingresso deimaestri nelle scuole, come la partecipazione alle conferenze magistrali: di fatto,durante questa emergenza non migliorarono le condizioni degli insegnanti in quanto:

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- il maestro era assunto dal Comune con un contratto da 1 a 3 anni, rinnovabile;

- chi insegnava nel secondo biennio guadagnava di più di chi insegnava nel primobiennio;

- chi insegnava nelle scuole di città guadagnava di più di cui insegnava nelle scuolerurali o nei piccoli e disagiati centri abitati;

- le maestre avevano stipendi inferiori a quelle dei maestri.

Le norme mettevano le insegnanti e gli insegnanti in balìa dei sindaci: l’attestato dimoralità, come si può ben intuire, aveva carattere discrezionale.

Negli anni ’80 ebbe grande scalpore il caso di Italia Donati, di cui parleremoapprofonditamente (Cfr. E. Gianini Belotti, Prima della quiete. Il caso di Italia Donati),maestra suicida nella campagna pistoiese a causa delle persecuzioni cui lasottoponeva il sindaco; si ricorda anche della maestra di Carbonara, nel circondario diVarese, «che nel 1886 doveva, oltre al suo lavoro a scuola, fare quello del sagrestano,suonare le campane, pulir la chiesa, accendere le candele ecc., per il semplice fattoche la parrocchia contribuiva per 20 lire mensili al su stipendio» (D. Bertoni Jovine)

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Il caso di Italia Donati

Letture da in aula tratte da:

E. Catarsi, Il suicidio della maestra Italia Donati, in L’educazione del popolo, Juvenilia, Bergamo, 1985, pp. 103-123.

M.C. Leuzzi, Le maestre e le maestrine, in Alfabetizzazione nazionale e identità civile, Anicia, Roma, 2012, pp. 141-151.

E. Gianini Belotti, Prima della quiete. Storia di Italia Donati, Milano, BUR.

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L’istruzione elementare

La scuola elementare della Legge Casati:

- ha durata di 4 anni

- è suddivisa in 2 gradi biennali: grado inferiore e grado superiore

- vi si accede dopo aver compiuto i 6 anni d’età

- le scuole elementare femminili sono sperate dalle scuole elementare maschili, ciascuna ha insegnantidello stesso sesso

- gli allievi delle scuole che hanno una sola classe potranno eccedere il numero di 70 ma nonoltrepassare il numero di 100: ciò la dice lunga sulle condizioni in cui si impartiva l’insegnamento.

- i genitori hanno l’obbligo di far frequentare ai figli il grado inferiore delle scuole elementari; se non lofanno «saranno puniti a norma delle leggi penali dello Stato»: ne consegue che il primo biennio dellascuola elementare è obbligatorio, ma la legge contempla la possibilità di impartire una «educazionepaterna» in casa, anche attraverso precettori e insegnanti privati. Qualora poi si decidesse di accederealla scuola pubblica, è necessario un esame di ammissione.

Appare chiaro che l’obbligo scolastico fosse tale solo per le famiglie meno agiate; inoltre va detto che difatto le leggi dello Stato non prevedono alcuna pena per gli inadempienti, pertanto sono molti ibambini che si assentano da scuola, soprattutto in ambito rurale e nei mesi di aprile e maggio, quandoil lavoro nei campi si intensifica.

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- L’istituzione della scuola elementare compete ai comuni, che provvedono «inproporzione delle loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti» e hanno l’obbligo diassicurare «almeno una scuola, nella quale verrà data l’istruzione elementare del gradoinferiore ai fanciulli, e un’altra per le fanciulle». Il biennio superiore sarà attivato neicomuni con oltre 4000 abitanti.

In conseguenza di ciò, nei comuni più piccoli e soprattutto nel Mezzogiorno la scuola sidiffuse in tempi lentissimi, in condizioni di grande miseria e nella latitanza istituzionale.

Le reazioni

La parte più retriva e conservatrice dell’opinione pubblica accusava di obbligare lefamiglie a inviare i figli alla scuola elementare: istruire il popolo poteva risultare inutile edannoso per l’ordine stabilito. Gli alfabetizzati, infatti, avrebbero potuto votare.

Paradossalmente anche le famiglie più povere erano diffidenti, non erano cioè in grado dicomprendere il valore dell’istruzione, soprattutto per le figlie. Molti genitori, costretti aimpiegare i figli nelle campagne, rifiutavano la scuola e ne subivano come una vessazionel’obbligatorietà, considerato ingiusto e illiberale.

Ancora più forti le posizioni della Chiesa e degli ambienti cattolici tradizionalisti controuna scuola laica istituita dallo Stato: l’istruzione e l’educazione dovrebbero – secondo illoro punto di vista – competere alla Chiesa.

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L’educazione infantile

La legge Casati non si occupava di alcun tipo di scuola per l’infanzia.

L’educazione dei più piccoli era infatti considerato come un problema a carattereassistenziale e custodialistico da regolamentare insieme alle ‘opere pie’ e dicompetenza del ministero degli interni.

Un passo indietro…

Le prime forma di diffusione della manifattura, di industrializzazione, l’utilizzazionedella mano d’opera femminile, l’attrazione della città sulla campagna mettono indiscussione le tradizionali forme di vita legate all’attività dei campi. Vengono amancare, così, le forme tradizionali di sostegno tra le famiglie del vicinato, soprattuttoper l’affidamento dei bambini, che solitamente erano lasciati alle anziane. Si diffonde,così, da un lato l’affidamento a balia, abitudine prima estranea ai ceti popolari,dall’altro la creazione di sale di custodia, o «sale deposito» come le chiamerà FerranteAporti.

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Ferrante Aporti sarà tra i primi, in Italia, secondo una impostazione che emergevanegli stessi anni in tutta l’Europa progressista, a cercare di organizzare un asilo nonsolo rivolto ad accogliere i piccoli, ma anche a fornire loro attenzioni educative.

Aporti aprì il primo asilo a Cremona nel 1828. In breve numerosi asili aportiani furonoaperti, soprattutto nelle regioni centro-settentrionali d’Italia. I promotori sono per lopiù filantropi e patrioti, talvolta cattolici o protestanti, oppure figure politicamente eintellettualmente impegnate.

Un ulteriore sviluppo dell’educazione infantile venne dal diffondersi, anche in Italia,delle idee di Froebel e del suo «giardino d’infanzia». Con Froebel la concezioneassistenzialistica è superata; egli insiste sull’importanza del gioco infantile e sulladidattica intenzionale programmata (i doni) ed imposta su nuove base l’educazioneinfantile.

Da notare che la nascita degli asili è legata ai processi produttivi, alla nuova situazionesociale, ai nuovi costumi familiari e sociali e, naturalmente, a nuove ideepedagogiche.

[Cfr. S. Santamaita, Storia delle scuola, Milano, Bruno Mondadori, 2010; G. Genovesi, Storia della scuoladal Settecento ad oggi, Roma-Laterza, 2008; D. Ragazzini, Storia delle scuola italiana, Firenze, LeMonnier, 1990; E. Catarsi, L’educazione del popolo, Bergamo, Juvenilia, 1985]