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Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS Working paper N. 40 February 2004 Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. W. Nietzsche Francesco Ingravalle UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo AvogadroALESSANDRIA

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Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS

Working paper N. 40

February 2004

Stato, groβe Politik ed Europa

nel pensiero politico di F. W. Nietzsche Francesco Ingravalle

UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro”

ALESSANDRIA

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Stato, groβe Politik ed Europa

nel pensiero politico di F. W. Nietzsche Francesco Ingravalle

ABSTRACT

Nietzsche è convinto, tra il 1866 e il 1874 che il Reich bismarckiano costituisca il potere

amministrativo di una futura élite creata attraverso il modello del “pessimismo tragico” della

tragedia greca antica, del dramma musicale wagneriano e della filosofia di Schopenhauer. Lo

Stato è il mezzo al servizio degli “eroi” di una “cultura tragica” (di una “Germania ellenica”).

La delusione provocata dagli sviluppi politici successivi alla guerra franco-prussiana spingono

Nietzsche a opporre allo Stato burocratico bismarckiano l’ideale di uno Stato come strumento

nelle mani del “grande individuo” (1877-1882). Lo Stato è il mezzo del “grande individuo.”

La visione che conduce al modello del Übermensch (1882-1888) è collegata al concetto di

“grande politica”e al progetto di una unione degli Stati d’Europa.Questa unione sarà guidata da

un’aristocrazia di “superuomini” alla realizzazione della “grande politica” nella lotta per il

potere mondiale. Nietzsche descrive la futura guida dell’Europa, a partire dal 1882, come guida

carismatica.

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INTRODUZIONE

L’interesse per il pensiero politico di F. W. Nietzsche ha attraversato, nella cultura

europea, tre fasi di cui le prime due nettamente separate dalla terza dal conflitto mondiale del

1939-1945.

La prima fase, aperta dai celebri lavori di Georg Morris Cohen Brandes, Daniel Halévy,

Ettore Zoccoli1, ha portato alla luce un Nietzsche critico della società di massa, “anti-moderno” e

radicalmente aristocratico-individualista, antesignano della critica antidemocratica della cultura.

La seconda è rappresentata dalle interpretazioni nazionalsocialiste del pensiero di

Nietzsche nelle quali accanto a interpreti che indicano in Nietzsche un precursore del movimento

crociuncinato (Richard Oehler, Alfred Baeumler) vi è chi prudentemente gli affianca Houston

Stewart Chamberlain, Richard Wagner e Paul De Lagarde (Alfred Rosenberg) e chi lo rifiuta in

quanto decadente (Christoph Steding) o in quanto individualista e ostile al primato della

Gemeinschaft (Ernst Kriek)2. Ma la destra tedesca non si “riassume” nel nazionalsocialismo: la

Konservative Revolution, nelle sue svariate manifestazioni, si ispirò largamente a Nietzsche

soprattutto in merito al problema del nichilismo3.

La terza fase, infine, è stata aperta sia dall’edizione critica delle opere già edite e del

Nachlass nonché dell’Epistolario curata da Giorgio Colli e da Mazzino Montinari, sia dal

celebre intervento di Michel Foucault intitolato Nietzsche, Marx, Freud.4. Il saggio di Foucault

mirava non soltanto a cogliere in Nietzsche uno dei maestri della “critica dell’ideologia”, ma,

soprattutto, a estrarre dalle sue pagine un metodo di indagine della morale, il metodo

“genealogico”, basato essenzialmente sulla pratica della “decostruzione” della morale stessa

(attraverso l’individuazione dei numerosi fili che s’intrecciano nella sua forma attuale) e della

“microfisica del potere” che la innerva. Una simile pratica mostrava analogie sia con l’analisi

dell’ “ideologia” sviluppata da Marx, sia con l’analisi della psiche sviluppata da Freud.

La prima fase era influenzata dal disorientamento della cultura politica liberale di fronte

allo sviluppo della società di massa (creata dalla seconda industrializzazione) e alla esigenza

1 Cfr. Georg Morris Cohen Brandes, En Afhandling om aristokratisk Radikalisme, København, 1899, tr. inglese a cura di A.G. Chater, Friedrich Nietzsche-An Essay on aristocratic radicalism, London, Heinemann, 1914, tr. it. di A. Ingravalle condotta sulla trad. inglese, Friedrich Nietzsche o del radicalismo aristocratico, Padova, Edizioni di Ar, 1995; Daniel Halévy, La vie de Nietzsche, Paris, 1909, nuova edizione, Nietzsche, Paris, Grasset, 1944, tr. it di Valentina D’Anna, Milano, Edizioni del Borghese, 1974, rist. Roma, Ciarrapico, 1983, Ettore Zoccoli, Federico Nietzsche: la filosofia religiosa, la morale, l’estetica, Modena, Vincenzi, 1898; 2^ ed. Torino, Bocca, 1901. 2 Cfr. Maurizio Ferraris, Storia della Volontà di potenza in F. Nietzsche, La volontà di potenza. Frammenti postumi ordinati da Peter Gast e Elisabeth Förster– Nietzsche, tr. it di A. Treves (1927), nuova edizione a cura di M. Ferraris e Piero Kobau, Milano, Bompiani, 1995, pp. 656 e 669. 3 Cfr. Armin Mohler, Die konservative Revolution in Deutschland (1918-1932) (1972), tr. it. e introduzione di L. Arcella, La rivoluzione conservatrice in Germania (1918-1932), Firenze-Napoli, La Roccia di Erec-Akropolis, 1990, pp. 89-126. 4 Cfr. M. Foucault, Nietzsche, Marx, Freud, Paris, Editions du Minuit, 1967.

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oggettiva di allargare democraticamente la base di legittimazione delle strutture politiche stesse5.

La seconda fase è stata dominata dal problema del rapporto fra le ideologie del totalitarismo

fascista e nazionalsocialista e il contenuto politico del pensiero nietzscheano6. La terza fase era

caratterizzata da una richiesta di democratizzazione della vita sociale (conseguente al

consolidamento della democrazia politica in Occidente e al proseguimento della seconda

rivoluzione industriale), da una sensibilità critica per le modalità e i mezzi con i quali il potere

politico tende a sciogliersi dai vincoli della democrazia; non a caso il vivo interesse per il

problematico rapporto tra etica, diritto e potere a partire dalla metà degli anni Sessanta configurò

un orientamento considerevolmente libertario da parte della maggioranza della società civile dei

paesi occidentali7.

E’ curioso notare che in tutte le fasi si è manifestato scarso interesse per le riflessioni di

Nietzsche sullo Stato, le loro connessioni con i concetti di groβe Politik e la preconizzazione

dell’unificazione dell’Europa, nonostante gli studi sul suo pensiero politico si siano sviluppati

con vigore (non paragonabile, tuttavia, a quello che ha caratterizzato e continua a caratterizzare

l’interesse per Nietzsche come filosofo tout-court). Che si vedesse in Nietzsche l’iniziatore di

una critica del liberalismo, del socialismo e della democrazia di tipo nuovo rispetto alle ben note

critiche dei nostalgici della Restaurazione8, e lo si intendesse come il teorico della guerra dei

popoli per lo “spazio vitale” o che lo si considerasse come un “maestro del pensiero laico e

libertario”9, nessuna di queste prospettive di lettura ha attirato eccessiva attenzione sul modo in

cui Nietzsche si poneva di fronte allo Stato e tematizzava lo sviluppo della politica dei “grandi

5 Cfr. Paolo Pombeni (a cura di), Le trasformazioni politiche nell’ Europa liberale, Bologna, Il Mulino, 1986; si veda anche Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale, Torino, Boringhieri, 1993. 6 Emblematico il giudizio espresso da Bertrand Russell su un punto cruciale del pensiero di Nietzsche: “Il suo uomo «nobile» (...) è un essere completamente privo di simpatia, spietato, astuto, crudele, che pensa solo al potere. Re Lear, sulla soglia della pazzia, dice: Farò tali cose (Quali, ancora non so) ma saranno Il terrore del mondo. Questa è la filosofia di Nietzsche entro un guscio di noce” (History of Western Philosophy and its Connection with Political and Social Circumstances from the Earliest Times to the Present Day, 1939, tr. it. di L. Pavolini, Storia della filosofia occidentale, Milano, Mondadori, 1979, vol. II, p. 732. Questo giudizio è echeggiato dall’anonimo prefatore della versione di Also sprach Zarathustra pubblicata nel 1963 dalle edizioni Ghelfi di Milano, soprattutto istituendo una connessione tra filosofia della volontà di potenza, ideologia totalitaria e follia. Tale connessione dominò il giornalismo da terza pagina degli anni Cinquanta nei paesi anglofoni, in Italia, in Germania, in Francia, e fu fondamentale nel determinare una certa ricezione del pensiero nietzscheano; tramontò soltanto in seguito agli studi critici stimolati dall’edizione delle opere del filosofo diretta da G. Colli e M. Montinari. 7 Come ha evidenziato la saggistica sui movimenti politici della seconda metà degli anni Sessanta: cfr. Peppino Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Roma, Editori Riuniti, 1988; Giovanni Arrighi, Terence Hopkins, Immanuel Wallerstein, Antisystemic Movements, Roma, Manifestolibri, 1992 e l’antologia curata da Marco Scavino, Le radici del ’68, Milano, Baldini e Castoldi, 1998. 8 Cfr. Adriano Romualdi, Nietzsche, Roma–Padova, Edizioni Europa–Edizioni di Ar, 1971, nuova edizione con il titolo Nietzsche e la mitologia egualitaria, Padova, Edizioni di Ar, 1981, con postfazione di F. Ingravalle. 9 L’espressione - che compendia l’interpretazione del pensiero di Nietzsche sviluppata da Gianni Vattimo in Ipotesi su Nietzsche, Torino, Giappichelli, 1967, Id. Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano, Bompiani, 1974 - compare in un suo intervento del 13. 09. 1980, intitolato Da quale cultura viene la violenza di destra, pubblicato in “Tuttolibri” e ora leggibile in AA. VV. Totalità sociale e comunità organica, Padova, Edizioni di Ar, 1982, pp. 45-48; la citazione si trova a p. 45.

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spazi”. Persino il quadro duramente critico del pensiero di Nietzsche tracciato da György

Lukacs10 (che ne identifica il “centro” nella lotta teorica contro il socialismo) non si occupa del

tema dello Stato.

Da quanto detto sarebbe lecito inferire che i passi delle opere edite e inedite del filosofo

tedesco in cui l’ oggetto-Stato viene esaminato siano quantitativamente scarsi, oppure poco

significativi (configurandosi come meri corollari della sua più generale riflessione sull’etica e

sulla politica). Oltre centocinquanta significativi e non poco estesi passi degli scritti (pubblicati

in vita o postumi) di Nietzsche, invece, ne trattano estesamente e incisivamente, in connessione

con la diagnosi - certo non comune, all’epoca – del tramonto dello Stato-Nazione europeo

conseguente al dischiudersi degli spazi continentali della groβe Politik e considerato nella

prospettiva di un’Europa unificata e protagonista della groβe Politik stessa.

Perché nella ormai sconfinata bibliografia sul pensiero etico-politico di Nietzsche queste

connessioni sembrano essere state quasi eluse?

Un motivo è, presumibilmente, il carattere di mezzo, di strumento, che Nietzsche

attribuisce sempre allo Stato; tale carattere ha indotto a giudicare più interessante dello Stato (e

di quanto vi si connette) ciò di cui lo Stato è strumento: la nuova gerarchia, per gli interpreti

collocabili nella “prima fase”, la volontà di potenza, per gli interpreti collocabili nella seconda (a

esempio Baeumler) e nella terza fase; all’interno di quest’ultima, lo sforzo per svincolare

Nietzsche dalle interpretazioni nazionalsocialiste è stato indirizzato alla reinterpretazione del

concetto di “volontà di potenza”, a partire almeno dal Nietzsche et la Philosophie di Gilles

Deleuze (1962), nella chiara consapevolezza – che accomuna, paradossalmente, Rosenberg,

Bäeumler e Deleuze – della strumentalità dello Stato nel pensiero etico-politico di Nietzsche. Ed

è proprio questa singolarissima convergenza interpretativa a fornirci un’indicazione preziosa per

il tema che ci proponiamo di trattare: un’analisi del concetto nietzscheano di Stato può, forse,

contribuire a illuminare ulteriormente il pensiero etico-politico del filosofo tedesco che la recente

e discussa interpretazione di Domenico Losurdo11 ha riportato in primo piano in Italia?

Esaminare il concetto nietzscheano di Stato significa introdurre all’analisi della figura teorica

della groβe Politik e alla conseguente prospettiva di un’unione degli Stati europei.

La letteratura critica non ha per lo più ravvisato nella trattazione nietzscheana del problema

dello Stato un nodo strategico del pensiero del filosofo; esistono però alcune eccezioni che

10 Cfr. G. Lukacs, Die Zestörung der Vernunft (1954) tr. it. di E. Arnaud, La distruzione della ragione, Torino, Einaudi, 1959, pp. 311 - 403; si veda anche Adriano Romualdi, Nietzsche, cit., che sostiene un’interpretazione analoga a quella di Lukacs ma di segno politico opposto e non dedica attenzione al tema dello Stato. 11 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Torino, Boringhieri, 2002 preceduto da id. Nietzsche e la critica della modernità, Roma, Manifestolibri, 1997 che ne anticipa le tesi basilari sul carattere «reazionario» del pensiero etico-politico di Nietzsche.

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prenderemo brevemente in esame nel capitolo I; si tratta di eccezioni costituite prevalentemente

– anche se non esclusivamente - da studiosi italiani.

Nietzsche ha costantemente respinto il concetto dello Stato come teleologia dei processi

sociali, riconducibile alla matrice hegeliana, considerandolo invece uno strumento; ma non lo ha

mai considerato come strumento della società e mezzo per la realizzazione della libertà umana

nei termini in cui questa immagine affiora in molta pubblicistica “positivistica” o per

l’emancipazione della classe oppressa e, attraverso essa, dell’intera società teorizzata in ambito

“socialista”12. Né si può dire che Nietzsche intendesse lo Stato come strumento della nazione13 o

della “razza”, come l’intendeva propriamente la pubblicistica nazionalista (e quella social-

darwinistica14, non di rado a essa intrecciata, in Germania).

Nondimeno, Nietzsche considera lo Stato come strumento, inizialmente sulla scorta di

Arthur Schopenhauer e, per rispondere all’ovvia domanda che sorge a questo punto, cioè di che

cosa lo Stato sia strumento, se si vuole superare la corretta ma ancora generica chiamata in causa

della volontà di potenza, non è possibile fare nient’altro che ricostruire le diverse fasi della

riflessione nietzscheana stessa sullo Stato. Come si vedrà, Nietzsche concepisce quale finalità

della società prima il “genio artistico”, poi lo “spirito libero” nella forma del “grande individuo”,

e infine il “superuomo” (varianti di quello che è stato definito da Herbert Marcuse il

“neoindividualismo” di Nietzsche15); in estrema sintesi: il “grande individuo” (e poi il

“superuomo”) come “giustificazione”, come teleologia della società e lo Stato come suo

strumento.

Va rilevato che nella “costruzione” del concetto di Stato Nietzsche usa materiali che hanno

un peso diverso a seconda delle fasi del suo pensiero: la città-Stato greca, il principato

rinascimentale italiano (visto con gli occhi di Niccolò Machiavelli e di Jakob Burckhardt) e

12 Nietzsche non conobbe il pensiero di Marx e di Engels neppure nella sua più nota formulazione, il celebre Manifest del 1848; conosceva invece il pensiero di Ferdinand Lassalle, sia pure indirettamente (attraverso l’opera di Joseph Edmund Jörg, Geschichte des social-politisches Parteien in Deutschland, Freiburg im Breisgau, Herder ‘sche Verlagshandlung, 1867, cap. VII, come apprendiamo da una lettera di Nietzsche stesso a Carl von Gersdorff del 16 febbraio 1868), e direttamente soltanto il pensiero di un socialista “atipico” come Eugen Dühring. Non ci sono prove di una conoscenza, da parte di Marx e di Engels, del pensiero di Nietzsche. 13 Sulla conoscenza che Nietzsche ebbe del pensiero di Heinrich von Treitschke si veda oltre, cap. II. 14 Il cui maggiore esponente fu il giurista e sociologo Ludwig Gumplowicz (1838 - 1909), autore, nel 1875, di un saggio intitolato Rasse und Staat e, successivamente, di un ampio studio intitolato Die soziologische Staatsidee, (1892), rist. Aalen, Scientia Verlag, 1969 ampiamente diffuso nei paesi di lingua tedesca e tradotto persino in italiano nel 1904 (Il concetto sociologico dello Stato, Torino, Fratelli Bocca Editori). Nietzsche non nomina mai lo scritto di Gumplowicz del 1875 anche se là dove affronta questioni connesse col “problema della razza” il pensiero di Gumplowicz come termine di riferimento potrebbe non essergli stato sconosciuto. Su alcune coincidenze oggettive fra il pensiero di Nietzsche e quello di Gumplowicz si sofferma D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle, cit., pp. 509, 724, 856 – 857. E’ noto, peraltro, che Nietzsche conosceva bene l’opera più nota di John Lubbock (1834-1913) (The origin of civilisation and the condition of man. Mental and social condition of savages, London, Longmans, 1875) in traduzione tedesca (Die Entstehung der Civilisation und der Urzustand des Menschengeschlechtes, Costenoble, Jena, 1875) menzionato da M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Milano, Adelphi, 2000, p. 108. 15 Cfr. H. Marcuse, Di fronte al nazismo. Scritti di teoria critica 1940-1948, tr. it. di R. Laudani con una premessa di Carlo Galli, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 4.

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infine l’Impero romano.Con questi modelli istituzionali si intrecciano modelli teorici come

quello hobbesiano mediatogli da Schopenhauer16, il modello “negativo” hegeliano, “letto”

attraverso Schopenhauer, il modello positivistico mediatogli, in ampia misura, da Paul Rée17.

L’intero arco della riflessione nietzscheana sullo Stato ha come termine di confronto il

Reich bismarckiano; un termine di confronto essenziale per comprendere le metamorfosi della

“grande individualità” attraverso le fasi della teorizzazione di quest’ultima da parte del filosofo.

Il coinvolgimento diretto di Nietzsche nella quotidianità politica, come si noterà più avanti, è

particolarmente intenso nel periodo 1866-1874 e, come testimoniano anche le lettere, va

ridimensionandosi, in fondo, nel dodicennio successivo18; l’interesse teorico per il problema

dello Stato, invece, resta costante sino agli ultimi appunti del 1888. L’analisi che il filosofo

sviluppa non si presenta, tuttavia, nei termini di un discorso sui meccanismi amministrativi o

sui principi costituzionali del Reich, bensì nei termini di un’indagine sul significato dello Stato

tedesco e dello Stato in generale. Il “luogo di convergenza” delle riflessioni nietzscheane è la

connessione tra “nazionalismo, democrazia di massa e interventismo statale” e le ambiguità di un

“democraticismo” – quello bismarckiano - diviso in una componente rappresentativa e in una

componente plebiscitaria19; a tale connessione Nietzsche applica, dopo il 1877, la pietra di

paragone del “grande individuo”, della crisi dello Stato-Nazione, della groβe Politik e

dell’Europa come futuro soggetto politico di quest’ultima (col correlativo problema della “nuova

gerarchia”). Egli giunge gradualmente a propugnare una sorta di teoria “cesaristica” dello Stato;

ma non dello Stato-Nazione, centro della propaganda pangermanistica, bensì di una Europa

unita. La visione della incipiente società di massa in Europa è attraversata dalla convinzione che

si stiano creando, proprio attraverso la massificazione, gli strumenti migliori di cui si potranno

servire le “nature dominatrici”, i futuri “aristòcrati” dell’Europa. Questi ultimi realizzeranno

l’avvento della superumanità.

Non la politica quotidiana in sé stessa costituiva l’interesse precipuo del filosofo, né

l’insieme delle istituzioni concrete, bensì il significato filosofico e politico dell’una e delle altre;

ma non è il significato filosofico il centro del presente lavoro, anche se spesso vi si accennerà,

bensì quello politico; il pensiero politico nietzscheano non è del tutto separabile dal suo pensiero

filosofico: pertanto, sia pure soltanto come sfondo, saranno richiamate le grandi tematiche

filosofiche per le quali Nietzsche è noto; non sarà, tuttavia, evitabile una certa “emarginazione”

dell’imponente letteratura critica a carattere prettamente ermeneutico-filosofico a lui dedicata. 16 Vedere oltre, cap. II. 17 Cfr. Paul Rée, Die Entstehung der moralischen Empfindungen, Chemnitz, Schmeitzner, 1877. Sono tutt’altro che infrequenti, comunque, negli scritti di Nietzsche successivi al 1876, menzioni di Herbert Spencer o allusioni a John Stuart Mill. 18 Ma si cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle, cit., parte terza, capp. 17 e 18. 19 Utilizziamo qui la terminologia impiegata da Michael Stürmer, Das ruhelose Reich. Deutschland 1866-1918, Berlin, Severin und Siedler, 1983, tr. it. di A. Roveri, L’impero inquieto. La Germania dal 1866-1918, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 154.

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La scansione delle fasi del pensiero di Nietzsche a proposito dello Stato coincide, in linea

di massima, con quelle evidenziate per il suo pensiero filosofico dalla letteratura critica più

influente20.

Il presente scritto si propone, anche per limiti di spazio disponibile, soltanto come un

tentativo di evidenziare l’interna coerenza dell’aspetto del pensiero politico di Nietzsche preso in

esame, non già come uno studio che pretenda di esaurirne tutte le articolazioni interne. La

discussione della bibliografia è inoltre limitata ai soli studi che hanno considerato come

strategicamente centrale per il pensiero di Nietzsche il concetto di Stato, le sue connessioni con il

concetto di groβe Politik e con il tema dell’unificazione dell’Europa.

Ringrazio Corrado Malandrino che ha cortesemente letto varie versioni di questo scritto

suggerendomi modifiche nella strutturazione del testo.

Delle interpretazioni sviluppate in questo scritto sono, comunque, l’unico responsabile.

20 Che, peraltro, riprende sostanzialmente quella delineata da Nietzsche stesso nella sua autobiografia filosofica, Ecce Homo.

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Abbreviazioni B=Friedrich Nietzsche, Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe herausgegeben von G. Colli und

M. Montinari, Berlin-New York, De Gruyter, 1975 -ss.

E=Friedrich Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Colli e M. Montinari, 1977 -ss.

J=Curt Paul Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie, Carl Hanser Verlag, München-Wien 1978-

1979, tr. it. di M. Carpitella, Vita di Nietzsche, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, 1980-1983.

KGA=Friedrich Nietzsches Werke. Kritische Gesamtausgabe, herausgegeben von G. Colli und

M. Montinari, Berlin-New York, De Gruyter, 1967 -ss:

I 1: Nachgelassene Aufzeichnungen (Anfang 1852–Sommer 1856), 1995.

I 2: Nachgelassene Aufzeichnungen (Herbst 1858–Herbst 1862), 2000.

I 3: Nachgelassene Aufzeichnungen (Herbst 1864–Frühjahr 1868), 1999.

II 1: Philologische Schriften (1867–1873), 1982.

II 2: Vorlesungsaufzeichnungen (SS 1869–WS 1869/70). Anhang: Nachschriften von

Vorlesungen Nietzsches, 1993

II 3: Vorlesungsaufzeichnungen (SS 1870 – SS 1871), 1993.

II 4: Vorlesungsaufzeichnungen (WS 1871/72–WS1874–1875), 1995.

III 1: Die Geburt der Tragödie. Unzeitgemässe Betrachtungen I – III (1871 – 1874), 1972.

III 2: Nachgelassene Schriften (1870 – 1873), 1973.

III 3: Nachgelassene Fragmente (Herbst 1869–Herbst 1872), 1978.

III 4: Nachgelassene Fragmente (Sommer 1872–Ende 1874), 1978.

III 5: Michael Kohlenbach und Marie-Luise Haase, Nachbericht zur dritten Abteilung. Erster

Halbband: kritischen Apparat (Die Geburt der Tragödie, Unzeitgemässe Betrachtungen I – III,

Nachgelassene Schriften 1870–1873), 1997. Zweiter Halbband: kritischer Apparat

(Nachgelassene Fragmente (Herst 1869–Ende 1874), 1997.

IV 1: Richard Wagner in Bayreuth (Unzeitgemässe Betrachtungen IV). Nachgelassene

Fragmente (Anfang 1875 bis Frühling 1876), 1967.

IV 2: Menschliches, Allzumenschliches I. Nachgelassene Fragmente (1876 bis Winter 1878),

1967.

IV 3: Menschliches, Allzumenschliches II. Nachgelassene Fragmente (Frühling 1878 bis

November 1879), 1967.

IV 4: Mazzino Montinari, Nachbericht zur IV. Abteilung.

V 1: Morgenröthe. Nachgelassene Fragmente (Anfang 1880 bis Frühjahr 1881), 1971.

V 2: Idyllen aus Messina. Die fröhliche Wissenschaft. Nachgelassene Fragmente (Frühjahr

1881 bis Sommer 1882), 1973.

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VI 1: Also sprach Zarathustra (1883–1885), 1968.

VI 2: Jenseits von Gut und Böse. Zur Genealogie der Moral (1886–1887), 1968

V1 3: Der Fall Wagner. Götzen-Dämmerung. Nachgelassene Schriften (August 1888 bis Anfang

Januar 1889): Der Antichrist. Ecce Homo. Dionysos-Ditiramben. Nietzsche contra Wagner,

1969

VI 4: Marie-Luise Haase und Mazzino Montinari, Nachbericht zum ersten Band der Sechsten

Abteilung (Also sprach Zarathustra), 1991.

VII 1: Nachgelassene Fragmente (Juli 1882 bis Winter 1883/84), 1977.

VII 2: Nachgelassene Fragmente (Frühjahr bis Herbst 1884), 1974.

VII 3: Nachgelassene Fragmente (Herbst 1884 bis Herbst 1885), 1974.

VII 4: Mazzino Montinari, Nachbericht zur VII. Abteilun., Erster Halbband: Nachgelassene

Fragmente (Juli 1882 bis Winter 1883/84) 1984., 1984. Zweiter Halbband: Nachgelassene

Fragmente (Frühjahr 1884 bis Herbst 1885), 1984.

VIII 1: Nachgelassene Fragmente (Hebst 1885 bis Herbst 1887), 1974.

VIII 2: Nachgelassene Fragmente (Herbst 1887 bis März 1888), 1970.

VIII 3: Nachgelassene Fragmente (Anfang 1888 bis Januar 1889), 1972.

IX 1: Der handschriftliche Nachlaβ ab Frühjahr 1885 in differenzierte Transkription. Notizheft

N VII I, 2001.

IX 2: Der handschriftliche Nachlaβ ab Frühjahr 1885 in differenzierte Transkription. Notizheft

N VII 2, 2001.

IX 3: Der handschriftliche Nachlaβ ab Früjahr 1885 in differenzierte Transkription.Notizheft N

VII 3, 2001.

OFN = Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi,

1964 -ss.

I 1: Scritti giovanili 1856–1864, 1998.

I 2: Scritti giovanili 1865–1869, 2001

III 1: La nascita della tragedia.Considerazioni inattuali I – III, 1972.

III 2: La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 1873, 1973.

III 3, 1: Frammenti postumi 1869–1874, 1989.

III 3, 2: Frammenti postumi 1869–1874, 1992.

IV 1: Richard Wagner a Bayreuth e Frammenti postumi 1875–76, 1967.

IV 2: Umano, troppo umano, I e Frammenti postumi 1876–78, 1965.

IV 3: Umano, troppo umano,II e Frammenti postumi 1878–79, 1967.

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V 1: Aurora e Frammenti postumi 1879–81, 1964.

V 2: Idilli di Messina – La gaia scienza e Frammenti postumi 1881–82, 1965 (nuova ed. rived.,

1991).

VI 1: Così parlò Zarathustra, 1968.

VI 2: Al di là del bene e del male – Genealogia della morale, 1968.

VI 3: Il caso Wagner – Il crepuscolo degli idoli – L’anticristo – Ecce Homo – Nietzsche contra

Wagner, 1970.

VI 4: Ditirambi di Dioniso e Poesie postume 1882–88, 1970.

VII 1, 1: Frammenti postumi 1882–1884, 1982.

VII 1, 2: Frammenti postumi 1884, 1976.

VII 3: Frammenti postumi 1884–1885, 1975.

VIII 1: Frammenti postumi 1885–87, 1975.

VIII 2: Frammenti postumi 1887–88, 1971.

VIII 3:Frammenti postumi 1888– 89, 1974.

Tutti i corsivi in citazione dalle opere di Nietzsche sono del filosofo stesso.

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I. Nietzsche e lo Stato: interpretazioni Si è detto che gli studi specifici sul nostro argomento sono molto rari21. Aggiungiamo che non

più di sette studiosi, nell’ intero arco della bibliografia nietzscheana, hanno dedicato un certo

spazio al problema dello Stato nel pensiero di Nietzsche: Alfred Bäeumler, Walther Kaufmann

nel quadro di ricostruzioni generali, Massimo Cacciari, Luigi Alfieri Roberto Escobar, Franco

Livorsi e Karl Löwith nel contesto della saggistica sul pensiero politico del filosofo. Rispetto alla

bibliografia sul pensiero politico di Nietzsche22 si tratta di studi che hanno considerato il

problema dello Stato come strategicamente rilevante per lumeggiare il politico nietzscheano.

Ci soffermeremo in primo luogo brevemente sull’opera di Bäeumler perché è la prima a

essere per larga parte incentrata sulla questione della statualità in Nietzsche e può essere

considerata, a buon diritto, il primo termine di confronto per un abbozzo di storia delle

interpretazioni23.

Nonostante l’opinione comune24, sarebbe difficile giudicare Alfred Bäeumler come

uno degli “ideologi di punta” del partito nazionalsocialista tedesco; egli, infatti, aderì al partito

soltanto nel 1934 e vi ricoprì incarichi ufficiali senza avere mai il peso politico di un Rosenberg

o di un Kriek. E’ ragionevole vedere in lui, soprattutto, un pangermanista guadagnato alla causa

del nazionalsocialismo25.

Lo studioso muove – come faranno, più tardi, Kaufmann e Lukacs - da una rivendicazione della

“Einheit der Nietzscheschen Produktion” incentrata sul principio secondo il quale il mondo è

21 Cfr. Martin Bermann, Nietzsche on the State, “Systematics”, 11, 1973, pp. 54-59; Raymond Polin, Nietzsche und der Staat oder die Politik eines Einsamen in Nietzsche. Werk und Wirkung, hg. von H. Steffen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1974, pp. 22-44, entrambi inclini a sottolineare il carattere individualistico della posizione di Nietzsche sullo Stato. 22 Cfr. Georg Adler, Nietzsche. Der Sozialphilosoph der Aristokratie in „Nord und Süd“, 56, 1891, pp. 224-240; Franz Mehring, Nietzsche gegen den Sozialismus, in „Die Neue Zeit“, XV, 1, 1896-1897, pp. 545-549; Louis Leibrich, Nietzsche et la politique, in „Etudes Germaniques“, 1, 1946, pp. 41-58; S. J. Colman, Nietzsche as politique et moraliste, „JHI, 27, oct. 1966, pp. 549-574; Réné-Jean Dupuy, Politique de Nietzsche. Textes choisis et présentés, Paris, Colin, 1969 ; Sabbash Kasyap, The unknown Nietzsche : his socio-political thought and legacy, Delhi, 1970; Tracy Strong, Nietzsche and politics in Robert Solomon (ed.), Nietzsche: a collection of critical essays, New York, Anchor Press, 1973, pp. 258-292; Giuliano Campioni, Von der Auflösung der Gemeinschaft des ‚Freigeist’, „Nietzsche-Studien“, 1975, pp. 83-112. 23 Lo scritto di Bäeumler Nietzsche. Der Philosoph und Politiker, Leipzig, Reclam, 1931 (ed. it. e traduzione di Luigi Alessandro Terzuolo, Nietzsche filosofo e politico, Padova, Edizioni di Ar, 2003) si occupa della teoria nietzscheana dello Stato da p. 88 a p. 177 (pp. 71-136, tr. it.) e nell’Epilog, pp. 178-183 (pp. 136-140, tr. it.). Tutti gli altri scritti di Baeumler su Nietzsche sono stati tradotti in lingua italiana da L. A. Terzuolo con il titolo L’innocenza del divenire, Padova, Edizioni di Ar, 2003. 24 Che può essere ben esemplificata dal saggio di Georges Bataille, Nietzsche e i fascisti, in Gilles Deleuze, Nietzsche, ed. it. a cura di F. Rella, Verona, Bertani, 1973, 2^ ed. 1977 e già dalle pagine dedicate da Lukacs, nella sua monumentale Zerstörung der Vernunft, a Bäeumler. Una interpretatio autentica della milizia di quest’ultimo nella N.S.D.A.P. si può leggere nell’ appendice alla traduzione italiana, curata da F. Coppellotti , della Ästhetik (1934), interamente composta sulla base di scritti autobiografici dell’Autore, cfr. A. Bäeumler, Estetica, Padova, Edizioni di Ar, 1999, pp. 147-151. 25 Letture ideologicamente ben più “conformi” di quella di Bäeumler sono quelle di Alfred Rosenberg, Friedrich Nietzsche. Aussprache bei einer Gedankstunde anlässlich des 100 Geburtstag F. N. am 15. oktober 1944, Munich, Eher (Zentralverlag der NSDAP), 1944 preceduta da quelle di H. Härtle (Nietzsche und der Nationalsozialismus, Munich, Eher, 1937) e di R. Oehler (F. Nietzsche und die Deutsche Zukunft, Leipzig, Armanen Verlag, 1935); cfr. Mazzino Montinari, Appunti su Nietzsche e il nazionalsocialismo in “Studi Tedeschi”, 2, 1972, pp. 49 -ss centrato sull’interpretazione bäeumleriana del pensiero di Nietzsche; una sintesi della replica a questo saggio di Montinari da parte della moglie di Bäeumler si può leggere in tr. it in A. Bäeumler, L’innocenza del divenire, tr. it. di L. A. Terzuolo, Padova, Edizioni di Ar, 2003, pp. 243–249. Sulle interpretazioni nazionalsocialiste nel loro complesso cfr. Giorgio Penzo, Il superamento di Zarathustra, Roma, Armando, 1985.

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divenire, cioè “kämpfen und siegen” e la filosofia di Nietzsche che la rispecchia totalmente è un

“ heroischer Realismus”26.

Perno del pensiero politico di Nietzsche sarebbe una visione “germanica” dello Stato, non già

“tedesca” - per “tedesco” Bäeumler intende il germanesimo sotto l’influenza cristiano-romana.

Nietzsche si pone contro lo Stato, “non semplicemente contro lo Stato tedesco, ma contro lo

Stato in sé”27 fin dalla giovinezza. “Nietsches Wort ist (...)«urgermanisch»28: nella tradizione

germanica il re non è «imperatore» in senso romano, ma capo dell’esercito e difensore del diritto

tradizionale. Il Germano riconosce un capo (Führer) soltanto nel momento del pericolo, nella

guerra, ma “non riconosce un signore”29.

Su queste basi, lo studioso sostiene che Nietzsche critica il socialismo per il suo

“statalismo”, lo Stato democratico per il suo “livellamento” , il nazionalismo e il pacifismo30 in

quanto esiti delle “non-germaniche” idee della Rivoluzione Francese.31 Bersaglio di Nietzsche

sarebbe lo “hegelschen Totalstaat als Kulturstaat”32, il liberal-nazionalismo come derivazione

hegeliana e sintesi di Illuminismo e Romanticismo;33 Nietzsche critica Bismarck, secondo la

ricostruzione di Bäeumler, per il suo “piccolo nazionalismo”, gli oppone la grosse Politik 34e

propugna l’ “idea eroica” di uno Stato che avrà il compito di “guidare” l’Europa35. Lo Stato è,

secondo Bäeumler, il mezzo della Grande Politica; quest’ultima può sorgere soltanto dalla

rivitalizzazione del “germanesimo originario” attraverso il pensiero politico di Nietzsche.

In questa lettura bäeumleriana non è difficile cogliere, come reale filtro interpretativo, il

mito del “risveglio nazionale” della Germania36 come sua rigenerazione; in esso, propriamente,

era stata fissata la distinzione fra “tedesco” e “germanico”; e la critica a ciò che era “tedesco”

coincideva con l’esaltazione di ciò che era “germanico”; il disastro stesso del 1918 era stato

inteso come il “fuoco purificatore” che aveva distrutto la scorza tedesca per farne scaturire il

“germanesimo”. Diversa è la lettura nazionalsocialista che considera selettivamente l’opera di

Nietzsche: Alfred Rosenberg ha scritto che il nazionalsocialismo vede come propri precursori

esclusivamente Richard Wagner, Friedrich Nietzsche, Paul de Lagarde e Houston Stewart

26 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., pp. 14-15. 27 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 89. 28 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 94. 29 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 91. 30 Si noti la significativa omissione di un altro bersaglio polemico di Nietzsche: l’antisemitismo. 31 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 119. 32 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 133. 33 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 134. 34 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 144. 35 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 182. 36 Cfr. Oswald Spengler, Neubau des deutschen Reiches, Beck, München, 1924, pp. 28-29 e 40-50; Arthur Möller van den Brück, Der politische Mensch, antologia a cura di Hans Schwarz (1933), tr. it. di L. Arcella, L’uomo politico, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1997, pp. 62-66 (su Nietzsche e la rigenerazione tedesca)

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Chamberlain; in altri termini, ciò che interessa a Rosemberg del pensiero di Nietzsche è solo

quanto può conciliarsi con l’ottica pangemanistica degli altri tre autori citati37.

Il problema dello Stato nel pensiero di Nietzsche è affrontato in numerosi passi del vasto

saggio di Walter Kaufmann Nietzsche. Philosopher, Psychologist, Antichrist (1950)38. Questo

studio rappresenta un decisivo passo in avanti sul piano interpretativo. Esso sottolinea, infatti,

nel capitolo V, la radicale contrapposizione di Nietzsche nei confronti dello Stato. Per Kaufmann

il discorso di Nietzsche, centrato sull’individualità umana, s’identifica teoreticamente con il

discorso filosofico sull’Existenz. Già Jaspers (ricordato da Kaufmann39) aveva indicato in

Nietzsche un precursore della Existenzphilosophie; Kaufmann stesso nota motivi di intreccio

teoretico tra il pensiero di Nietzsche, la fenomenologia di Husserl e la Existenzphilosophie40 e

sottolinea che il problema fondamentale dell’uomo, per Nietzsche, “è quello di raggiungere la

vera «esistenza»”, perché la sua vita sia qualche cosa di più che un incidente41. Ed è proprio a

un’esistenza «autentica» che lo Stato sarebbe d’ostacolo, secondo Nietzsche; questi attacca non

già il Reich, ma lo Stato in generale: in merito “il suo punto di vista è meno storico che

sovrastorico”42 e si oppone, in generale, anche alla “sopravvalutazione della politica43 perché

considera l’intero “regno dello spirito oggettivo” soltanto come una parte della natura e lo Stato

come” una versione più complicata della massa”44. E’ agevole constatare che né Bäeumler, né

Kaufmann accennano a un divenire storico del punto di vista nietzscheano.

Massimo Cacciari45 riconduce, invece, la posizione di Nietzsche sullo Stato a una sorta di

Entzauberung in base alla quale il filosofo tedesco vede nello Stato stesso e nella razionalità

scientifica due meri strumenti della volontà di potenza. Obiettivo di Cacciari non è fare una

storia del concetto di Stato in Nietzsche, ma ricostruire i diversi aspetti del “disincantamento” del

Politico all’interno del processo, epistemologico non meno che socio-politico, di

“organizzazione totale del mondo” nella cultura filosofica centro-europea a cavaliere tra i secoli

XIX e XX. Ciò che lo studioso denomina “l’Impolitico nietzscheano” smaschera il discorso di 37 Cfr. A. Rosenberg, Gestalten der Idee, München, Eher, 1936, 2^ edizione, p. 18. E’ sempre utile leggere, sulle interpretazioni nazionalistiche di Nietzsche, lo scritto di Franz Pfemfert Die Deutschsprechung Friedrich Nietsches (1915) riportata, ora, in Nietzsche und die deutsche Literatur, herausgegeben von Bruno Hillebrand, vol. I. Texte zur Nietzsche-Rezeption 1873-1963, Munich, DTV, 1978, pp. 177-179, ironico giuoco di contrapposizioni fra le rivendicazioni nazionalistiche della parola nietzscheana e i passi delle opere del filosofo nei quali egli parla più sapidamente dei tedeschi e del nazionalismo tedesco. 38 tr. it. di R. Vigevani (condotta sulla 2^ edizione, del 1968), Nietzsche filosofo, psicologo, anticristo, Firenze, Sansoni, 1974, p. 97 (critica di Bäeumler), 124-126 (la critica nietzscheana dello Stato si rivolge contro Hegel e contro l’idea che la libertà si realizzi pienamente soltanto nello Stato), 201 (la convinzione i Nietzsche che Wagner fosse stato corrotto dal suo tardivo successo e che per conservarlo e accrescerlo avesse fatto pace con lo Stato, con la Chiesa e si fosse piegato all’opinione pubblica), 431 (sullo Stato come nuovo idolo) e numerosi altri passi. 39 Cfr. Karl Jaspers, Nietzsche. Einführung in das Verständnis seines Philosophierens, Berlin-Leipzig, De Gruyter, 1936. 40 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 103. 41 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 178. 42 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 184. 43 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 185. 44 cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 196. 45 Cfr. M. Cacciari, L’impolitico nietzscheano, in F. Nietzsche, Il libro del filosofo, a cura di Marina Beer e M. Ciampa, Roma, Savelli, 1978, pp. 105-120.

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valore che ancora fonda il politico nella società di massa, a differenza dell’Impolitico di Thomas

Mann che vi vede il mero disvalore. L’Impolitico nietzscheano consiste, in realtà, in quel

rovesciamento di valore che libera il Wille zur Macht nella dimensione di un «Politico in grande»

il quale fa i conti con la politicizzazione totale dei rapporti sociali.

La politicizzazione è un processo oggettivo, necessario in quanto distruzione del Valore,

continua Cacciari; l’Impolitico “decostruisce” la totalità che sta sorgendo in quel complesso

istituzionale che tende a rinserrare e a sussumere in sé la totalità degli interessi sociali; svela, in

altri termini, gli arcani della società capitalistica di massa in piena fase di ascesa. La

democratizzazione genera l’organizzazione politica; ma il politico viene, a questo punto, a

rivelarsi come un campo di forze eterogenee e contraddittorie; la subordinazione allo Stato viene

sottoposta all’interesse dei singoli; la legge stessa non è altro che l’organizzazione politica

determinata che l’ha prodotta. Ridotto a mera contingenza, lo Stato viene “desacralizzato”. Salta,

così, la conciliabilità delle esigenze sociali sostenuta in nome di una eliminazione armonicistica

dei conflitti: la loro sintesi non è più possibile all’interno della “piccola politica”. Il “fare” dei

diversi soggetti, prosegue Cacciari, si è incarnato nella potenza politica dei diversi interessi di

classe la cui contrapposizione liquida la teleologia del valore del lavoro di cui lo “Stato

dialettico” è la forma. Il lavoratore pone come impossibile la sintesi; sorgono, dunque, quegli

“individui pericolosi” cui Nietzsche si riferisce in Aurora46. Se lo “Stato dialettico” si regge

soltanto sul valore del lavoro, sul riconoscersi universale dei soggetti in esso, la dura de-

mitologizzazione del valore del lavoro e dello “Stato dialettico” operata da Nietzsche è il segno

che lo “stato dialettico” stesso, oramai, è inconcepibile e che l’ “operaio” avverte la propria

condizione come impossibile in due sensi: perché le condizioni dello sfruttamento sono,

palesemente, una “ignominia” e perché l’ “individualità” del lavoratore rende impossibile il

processo dialettico di riduzione e mediazione della potenza della forma-Stato. Nietzsche ha colto

a suo modo, secondo Cacciari, l’insieme dei nodi che oppongono la classe operaia allo “Stato del

Capitale”, mostrando lo Stato come dominio, il lavoro come schiavitù, demistificando, dunque,

la “dignità del lavoro”, e sottolineando la riottosità dei lavoratori a essere semplici ingranaggi del

processo di valorizzazione del capitale.

Il saggio di Roberto Escobar Nietzsche e la filosofia politica del XIX secolo47 è parzialmente

dedicato al problema dello Stato48. Il presupposto che innerva l’intero studio è che Nietzsche è

l’intellettuale borghese più radicale perché porta i presupposti ideologici della propria classe di

appartenenza al loro esito nichilistico. Sotto questo profilo, Nietzsche è il portatore delle

46 Cfr., a esempio, gli aff. 173 e 206 , F. Nietzsche, OFN, V1, pp. 127 e 152–154 (KGA, pp. 154 e 183–185. 47 Milano, Edizioni del Formichiere, 1979 48 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp.143-200.

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contraddizioni fondamentali di una classe oggettivamente in declino e il suo pensiero sullo Stato

rivela con particolare chiarezza alcune tra queste contraddizioni49.

Nietzsche sostiene che i rapporti politici sono rapporti di potenza50; a partire da questo assunto

fondamentale prende corpo un’ambiguità basilare: “da un lato[Nietzsche] rifiuta la

«santificazione» dello Stato, parallela alla assolutizzazione del presente e del successo (che egli

vede nella realtà del suo tempo e che crede di potere ricondurre all’influsso del pensiero

hegeliano); dall’altro, però, giunto al termine della propria analisi, sembra paradossalmente

recuperare l’idea di Stato in una versione radicalizzata (lo «Stato forte») in funzione del proprio

disegno relativo alla costruzione di un nuovo modello umano51”. E’ questa, secondo Escobar, la

contraddizione che va illuminata per comprendere e “rendere produttivo” il pensiero di

Nietzsche sullo Stato.

“Stato”, osserva Escobar, è “la parola con cui [Nietzsche] designa ogni forma di dominio

(sempre violento) da parte di un individuo o di un gruppo nei confronti di una comunità (...)”52.

Esso è la dimensione del “gregge”, dimensione “radicalmente eteronoma”53 cui si oppone l’

Übermensch; nell’utopia nietzscheana lo Stato e la sua violenza vengono superati

dall’Übermensch anche perché per Nietzsche lo Stato è soltanto un mezzo: “Il suo valore non

consiste nella capacità di rappresentare e promuovere «valori», ma nel suo opporsi a una

situazione di disordinata violenza”54. Il superuomo ha senso soltanto “dopo lo Stato”, sostiene

Escobar55.

Lo Stato non sorge per “contratto”, ma dai violenti rapporti delle origini umane e

giunge a sublimarsi sino a “Stato idolo” nella filosofia hegeliana56 nei termini di una forza

opposta alla “cultura”57. E tuttavia, osserva lo studioso, Nietzsche fa l’apologia dello Stato antico

fondato sul controllo delle passioni e sulla condivisione di un’ “immagine del mondo”58, critica

lo Stato moderno che su tale condivisione non si fonda (fondandosi, invece, su principi razionali

“astratti”) e finisce per recuperare il valore del nazionalismo e persino del militarismo59, contro il

socialismo e la democrazia, per creare il contesto favorevole al superuomo.

Secondo Escobar la contraddizione viene a sussistere tra il superuomo come realtà che può

nascere soltanto dalle ceneri dello Stato e il superuomo come realtà che può nascere solo

49 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 179. 50 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 143. 51 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 144. 52 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 148. 53 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 148. 54 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 150. 55 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 152. 56 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp.154-159. 57 Cfr. R. Escobar, nietzsche, cit., pp. 159-162. 58 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 162-164. 59 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 182-183

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attraverso uno Stato fondato sulle ceneri della democrazia e del socialismo; da un lato Nietzsche

critica lo Stato; dall’altro ne fa l’apologia. E la contraddizione, secondo Escobar, è insanabile.

E’ programmaticamente limitato agli scritti composti da Nietzsche tra il 1869 e il 1876 lo

studio di Luigi Alfieri60.

Il selettore utilizzato dallo studioso è il rapporto fra Kultur e società che viene considerato

l’unico problema comune a tutte le opere nietzscheane del periodo preso in considerazione.

Attraverso un’indagine diacronica Alfieri giunge a sostenere che il tema “rivoluzionario”

implicito nella Nascita della tragedia diviene esplicito in Richard Wagner a Bayreuth

configurando il pensiero del giovane Nietzsche come “critico dell’ordine costituito, sostenitore

della giustizia sociale e persino della «democrazia»”61; tuttavia, “ogni fenomeno collettivo si

presenta, dal punto di vista nietzscheano, come una ricaduta nella barbarie: la vita dei popoli è

dominata dalla guerra, dagli odi nazionali o di classe, dal militarismo, dalla supina acquiescenza

alle convenzioni, dall’obbedienza fanatica allo Stato o da una ribellione allo Stato che a

Nietzsche appare una pura esplosione di nichilismo62”. Nietzsche, in fondo, non esce, secondo

Alfieri, dal problema della cultura com’esso è stato tematizzato dal suo tempo: egli l’ha

sviscerato per intero, sia in negativo, sia in positivo, lumeggiandolo nei termini della polarità tra

“genio” e “popolo”. Tra questi due poli, dopo la Nascita della tragedia, il filosofo non vedrà

“alcun passaggio”63.

Il dionisiaco è “rivoluzione”, o scatenamento della passionalità come momento meramente

negativo della politica, mentre l’apollineo è “il puro, assoluto dominio”. La tragedia attica è la

sintesi di entrambi e ha il suo corrispettivo istituzionale nella democrazia ateniese. Ciò che

Nietzsche cerca, rileva Alfieri, è una sintesi analoga nella situazione tedesca del 1869-1876 e per

questo motivo egli teme la rivoluzione, com’è attestato chiaramente dal suo atteggiamento nei

confronti della Comune di Parigi.

Nietzsche cerca una sintesi “greca”, anzi, ateniese, del conflitto fra dionisiaco e apollineo

(che egli giudica essere gli impulsi fondamentali della vita psichica umana, non soltanto di quella

degli antichi Greci); ma una tale sintesi presuppone la ripresa della connessione fra Kultur e

schiavitù e Nietzsche la propone, osserva Alfieri, in temini di “ideali astratti e sogni metafisici” e

di “puro fanatismo filosofico64. Alla realizzazione di tali ideali presiede l’ “Apollo dorico-

prussiano”, “il dio dello Stato che è anche il dio della guerra e della schiavitù”65.

60 Cfr. L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi. Filosofia e società nel giovane Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1984. 61 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 21. 62 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., pp. 34-35. 63 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 37. 64 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 149. 65 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 155.

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Nel saggio Schopenhauer come educatore, osserva ancora Alfieri, Nietzsche riconferma il

carattere strumentale dello Stato rispetto alla cultura; la cultura gli appare come “figlia

dell’autoconoscenza del singolo e dell’insoddisfazione di sé”66 e in antitesi con un

potenziamento dello Stato.

Il quadro complessivo che risulta da questa lettura delle opere giovanili di Nietzsche è

quello di una ambiguità marcata del filosofo tedesco il quale oscilla tra l’elogio dello Stato come

forma, speranze in una rinascita ellenica della Germania grazie anche al Reich bismarckiano e

pulsioni rivoluzionarie interamente legate allo sviluppo della nozione di “Dionisiaco”.

Risale al 1985 il saggio di Franco Livorsi Friedrich Nietzsche67che rappresenta una

ricostruzione sobria e completa del pensiero politico di Nietzsche nella quale il concetto di Stato

ha una funzione decisiva per illustrare il pensiero politico del filosofo tedesco. “La linea di fondo

di Nietsche, scrive l’Autore, è relativista-nichilista in gnoseologia; dionisiaca, nel senso del

nesso tra distruzione e creazione e della complementarietà tra nascita, morte e nuova nascita, e

“bene” e “male” come aspetti in sé fusi della vita, e in generale fra l’unità divina e la molteplicità

del reale, sul piano dell’ontologia e dell’etica; e infine aristocratico-libertaria e cesarista, con

aperture democratiche, sul piano politico” 68. La posizione di Nietzsche oscilla, politicamente, tra

”presidenzialismo, o cesarismo, democratico oppure autoritario, respingendo o considerando

molto strumentalmente le altre possibili soluzioni politiche. In ogni caso era contro lo Stato

burocratico-militare e poneva i suoi Cesari sulla linea di svuotamento e annichilimento graduale

dello Stato” 69. Il suo anarchismo aristocratico “è un elitismo a un tempo liberale e libertario” 70;

nel filosofo tedesco “si intersecano due atteggiamenti, che si potrebbero definire da un lato un

anarchismo aristocratico e dall’altro un cesarismo democratico. I due aspetti non presentano la

minima contraddizione: l’anarchismo è il progetto a lungo termine o, se si vuole, l’ “utopia” di

Nietzsche; il cesarismo democratico è il progetto concreto, costante, o quanto meno emergente” 71. Questa “intersezione”, questo intreccio avviene attorno alla concezione dello Stato come

“violenza organizzata sin dalle origini” 72. La figura del Cesare è vista come fenomeno che

caratterizza l’apogeo della “stanchezza di un popolo”, il suo “autunno” ed è la conseguenza dell’

“individualismo sfrenato” tipico della fasi di decadenza di un popolo73. Sotto questo profilo

Nietzsche interpreta anche la figura di Napoleone74.

66 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 326. 67 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1985. 68 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., pp. 63-64. 69 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit. p. 62. 70 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 62. 71 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 62. 72 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 34. 73 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 37. 74 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., pp. 42-43.

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Questo rapido profilo delle più significative interpretazioni del concetto di Stato in

Nietzsche ci mette di fronte a una molteplicità di posizioni per certi versi sconcertante: critica

dello Stato come critica del solo modello “romano” di statualità, o come impedimento al pieno

sviluppo dell’esistenza individuale o, ancora, come critica della sintesi dialettica del conflitto

sociale; subordinazione del discorso sullo Stato alla critica della democrazia e del socialismo o,

infine, radicale ambiguità dell’esaltazione dello Stato “apollineo” connessa con l’esaltazione

dell’“Anti-Stato” dionisiaco; critica dello Stato da un punto di vista “aristocratico-libertario”.

Ognuna di queste interpretazioni coglie certamente un aspetto rilevante e presente nel discorso di

Nietzsche sullo Stato. Ma ognuno di questi aspetti si relaziona a un quadro più vasto che è stato

delineato forse per la prima volta nei suoi tratti generali da Karl Löwith in un saggio redatto nel

1939, Der europäische Nihilismus. Betrachtungen zur geistigen Vorgeschichte des europäischen

Krieges.75Pur non essendo dedicato in modo specifico a Nietzsche il saggio fornisce alcuni

spunti preziosi per i nodi problematici di cui ci occupiamo. Ricostruendo lo sviluppo del

nichilismo politico europeo, Löwith sottolinea la connessione operante in Nietzsche fra diagnosi

della decadenza dell’Europa degli Stati-Nazione e l’auspicio di una decisione volta a creare

un’Europa unita, in grado di essere soggetto politico nell’epoca della groβe Politik. Il nichilismo

è visto da Nietzsche come crisi del cristianesimo, della “malattia degenerativa” della volontà di

potenza. L’organizzarsi della politica estera secondo “grandi spazi”, il tramonto dello Stato-

Nazione e la democratizzazione sono considerati da Nietzsche – secondo Löwith – come i fattori

sinergici operanti per l’unificazione politica dell’Europa in vista della lotta per il dominio della

terra.76 Lo studioso tedesco individua, così, la linea interpretativa che vede nella riflessione sullo

Stato (e, in particolare, sulla crisi dello Stato-Nazione) il filo conduttore della rimeditazione

nietzscheana sulle due figure della Groβe Politik e dell’ Europa.

Intendiamo saggiare quest’ultima linea interpretativa nelle sue potenzialità di

ricostruzione di quello che pare essere il nucleo essenziale del pensiero politico nietzscheano.

75 Cfr. K. Löwith, Il nichilismo europeo, tr. it. di F. Ferraresi, prefazione di Carlo Galli, Roma – Bari, Laterza, 1999. 76 Cfr. K. Löwith, Il nichilismo, cit., pp. 46–53.

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II. Lo Stato e la Cultura (1866-1874)

In una lettera a Carl von Gersdorff del 21 giugno 1871 leggiamo: “Ora si annunziano nuovi

doveri e se una cosa può sopravvivere, anche nella pace, di quel selvaggio giuoco della guerra,

questa sarà lo spirito eroico e insieme riflessivo (der heldmüthige und zugleich besonnene Geist)

non privo, però, di avvedutezza, che con mia sorpresa ho trovato, fresco e forte del vecchio

vigore germanico, nel nostro esercito: è stata quasi una bella e inaspettata scoperta. Su questo si

può costruire: possiamo di nuovo sperare! La nostra missione tedesca non è ancora finita! Mi

sento più animoso che mai, perché non tutto è rovinato sotto il livellamento e l’”eleganza”

francese-ebraica, né sotto l’avido affaccendarsi della vita di “oggigiorno”. C’è ancora del

coraggio, il coraggio tedesco, che è qualcosa di profondamente diverso dall’élan dei nostri

deplorevoli vicini”77. La guerra franco-prussiana è finita, il Secondo Reich è già stato proclamato

e Nietzsche sta riordinando e scegliendo gli appunti raccolti in vista della composizione del suo

primo libro, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, che sarà pubblicato a Natale del

1871.

La guerra franco-prussiana ha per Nietzsche un significato particolare: con essa si

afferma la Cultur78 contro la Civilisation francese (e lato sensu latina), il “pessimismo della

forza” del dramma musicale wagneriano contro l’ottimismo della debolezza tipico, secondo il

filosofo, del “dramma musicale latino”, l’idea dell’ “eroe germanico” contro quella dell’”uomo

buono primitivo” (idea, quest’ultima, che preannuncia i “movimenti socialistici”79).

All’”ottimismo” della Civilisation, culminato nella Commune parigina, Nietzsche non crede che

si possa contrapporre però la mera unificazione politica tedesca come se di per sé essa fosse un

valore,80finché nel nuovo Reich dominerà quella stessa Civilisation che ha al suo fondo la fede

nella “felicità terrena di tutti” e che ha quindi provocato lo scontento di una “classe barbarica di

schiavi”81. Ciò a cui Nietzsche mira nell’abbozzo del febbraio 1871 del “Vorwort an Richard

Wagner” per la Nascita della tragedia è una grecità germanica,” una “rinascita tedesca del

mondo ellenico” 82 di cui Arthur Schopenhauer è il filosofo, Richard Wagner il drammaturgo e

77 Cfr. F. Nietzsche, E II, pp. 194–195 (B II 1, p. 203), trad. leggermente modificata. 78 Nietzsche utilizza sempre la grafia Cultur. Il concetto risente , soprattutto per ciò che concerne il conflitto fra Cultura e Stato, dell’influenza di Jakob Burckhardt, cfr. J. Burckhardt, Sullo studio della storia. Lezioni e conferenze a cura di M. Ghelardi, Torino, Einaudi, 1998, p. 45. Di sostanziale identitrà parla R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 159–160; si v. anche Robert McGinn Cultur as Prophylactic: Nietzsche’s Birth of Tragedy as Culture Criticism in “Nietzsche-Studien”, 1975, pp. 78–79. 79 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, pp. 126–127 (KGA I , pp. 122–123). 80 Cfr. L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi, cit., pp. 83–84. 81 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, pp. 120–121 (KGA I , p. 117). 82 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 363 (KGA III 3 11[1], p. 369). Il confronto tra questo abbozzo e la Prefazione effettivamente pubblicata riuscirebbe particolarmente utile per chiarire l’atteggiamento di Nietzsche nei confronti del progetto bismarckiano agli inizi del 1871. L’adesione al programma nazionale bismarckiano non è acritica: lo statalismo prussiano e il timore di una eccessiva arrendevolezza nei confronti della chiesa cattolica segnano le lettere a von Gersdorff del 7 novembre 1870 (E II, pp. 149–150 = B II 1, pp. 155–156) e a Erwin Rohde del 17 (o 23) novembre 1870 (E II, p. 154 = B II 1, p. 160).

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Otto von Bismarck il condottiero. La Prussia deve creare uno “Stato di cultura” nel quale la fede

nella “missione tedesca” (la lotta contro la Civilisation latina) diventi realtà istituzionale.

Di questa complessa costellazione filosofico-politica il primo libro di Nietzsche è

programmaticamente il manifesto; non a caso vi si legge che l’origine della tragedia è un

problema “schiettamente tedesco”, collocato “come punto focale e di svolta, al centro delle

speranze tedesche83 ”, strettamente connesso alla “splendida serietà prussiana” e in opposizione a

quella cultura tedesca che “galleggia in superficie”84.

La cultura ateniese nell’epoca dello sviluppo della tragedia e della talassocrazia è il

modello, l’idea regolativa di ciò che il Secondo Reich deve diventare. Come è noto, la cultura

tragica ateniese nasce, secondo Nietzsche, dalla tensione creativa tra l’impulso all’ordine e alla

forma (simboleggiato dal dio Apollo) che costituisce ogni realtà individuale e quello allo

scatenamento degli istinti che punta all’annullamento estatico di ogni forma di individuazione

(simboleggiato dal dio Dioniso). La tragedia e la democrazia ateniese sono la sintesi,

rispettivamente sul piano del culto e su quello delle istituzioni sociali e politiche, di questa

coppia di opposti85. L’apollineo è vivificato dal dionisiaco e il dionisiaco è “messo in forma”,

“canalizzato” dall’apollineo. Lo Stato ateniese fu lo strumento apollineo di questa Gestaltung:

non a caso Nietzsche scrive che Apollo è “fondatore di Stati”86. Apollo è, infatti, forma,

individuazione, particolarizzazione. Dioniso, al contrario, è la liberazione da qualsiasi forma e

individuazione (personale, sociale, politica) perché è scatenamento della pura forza vitale

affrancata da ogni limite. Dove domina il principio apollineo allo stato puro si realizza il

dominio fine a sé stesso, come avvenne a Sparta, vero “accampamento militare”87 (Kriegslager)

dell’apollineo. Atene, sintesi dei due princìpi, non si perdette né nel rimuginare estatico tipico

del buddhismo, né nella “logorante cupidità del dominio e della gloria mondiali” tipico

dell’impero romano88. Lo Stato ha come scopo Apollo, l’esistenza ha come scopo Dioniso

afferma Nietzsche tra la fine del 1870 e aprile del 1871 quasi a sintetizzare il giro delle sue

riflessioni89. La risultante della tensione tra le due forze è la Cultur tragica che glorifica

l’esistenza attraverso la guerra e la conquista non meno che attraverso l’arte.

La statualità è identificata con il principio ordinatore della vita sociale greca; il suo

opposto è l’istintività vitale, ciò che Schopenhauer aveva denominato Wille, volontà di vivere

83 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 19 (KGA I, p. 20). 84 Cfr. F. Nietzsche, E II, p. 301 (B II 1, pp. 316–317). 85 Cfr. L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi, cit., p. 95. 86 Cfr. F. Nietzsche OFN III 1, p. 137 (KGA III 1, p. 129). 87 Cfr. F: Nietzsche, OFN III 1, p. 38 (KGA III1, p. 37). Si segue la traduzione proposta da L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi, cit., p. 85, nota 7, in luogo di quella proposta da S. Giametta (“campo di battaglia”). 88 Cfr. F. Nietzsche, OFN III1, p. 138 (KGA III1, pp. 129–130). 89 Cfr. F: Nietzsche, OFN III 3, 7[54], p. 159.

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che vuole soltanto sé stessa ciecamente, irrazionalmente. Di questo antipode rispetto alla

statualità, cioè del dionisiaco, Nietzsche sottolinea l’ ”essenza titanico-barbarica”90: al di sotto

del mondo delle forme (cui appartiene lo Stato) si agitano le cose più terribili91. Il dionisiaco non

è soltanto la porta della dimensione estatica, ma anche l’insieme dei sanguinosi e crudeli miti

pre-omerici; la creazione della forma dello Stato fronteggia questa crudeltà originaria con pari

crudeltà. Nietzsche riconduce a tale creazione la nascita della schiavitù; quest’ultima “appartiene

(gehört) all’essenza di ogni cultura”92. Attraverso il lavoro degli schiavi lo Stato è in grado di

garantire la creazione della bellezza cui si deve la possibilità di riscattare l’orrore dell’esistenza:

una minoranza “eletta” viene liberata dalle cure della vita per poter creare la bellezza. L’arte

(redentrice dell’esistenza) esiste soltanto grazie alla schiavitù che lo Stato alimenta con la guerra

di conquista93. Esso, per questo, è il presupposto concreto della cultura ateniese.

Lo Stato greco, tuttavia, è sempre a un passo dall’essere travolto dalla tirannide; il tiranno

è “il culmine della pulsione politica ellenica”94. Per la tirannide lottano le fazioni all’interno della

pòlis: la tirannide è la modalità dionisiaca per eccellenza della politica greca; la stàsis (tratto

caratteristico di quest’ultima) è la concretizzazione della pulsione agonale che non soltanto

spinge le diverse fazioni delle pòleis una contro l’altra, ma genera anche la guerra fra pòlis e

pòlis. Guerra e stàsis sono le peculiari manifestazioni dell’istinto politico greco. Tra guerra

(civile e non), schiavitù e possibilità dell’arte c’è secondo Nietzsche una relazione

“misteriosa”95, ma reale.

La forma militare è la forma originaria, l’archetipo dello Stato (dello Stato greco, certo. Ma

Nietzsche sembra attribuire portata generale alla sua affermazione): senza la schiavizzazione dei

nemici tramite la guerra l’arte non potrebbe esistere. L’immane energia che originariamente si

manifestava nel bellum omnium contra omnes genera la guerra tra gli Stati. Al’interno di ogni

Stato, sostiene Nietzsche, il rapporto tra i gruppi familiari è naturalmente bellum; lo Stato si è

costituito proprio per proiettare questa conflittualità all’esterno.96 L’antica mitologia pre-omerica

che rispecchia il fondo di violenza cieca, incontrollata, non finalizzata a nulla, viene “purificata”

nell’agòne tra cittadini, nella lotta per prevalere politicamente l’uno sull’altro e nella guerra tra le

città per il dominio. Il dilaniarsi degli uomini “pre-omerici” diventa agòne97 omerico, gara. Ma

90 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 38 (KGA III 1, p. 37). 91 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 67 (KGA III 3, 3 [42] p. 72. 92 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, pp. 143 (KGA III 3, 7[16] e 7[18], p. 148). 93 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, pp. 145 – 146 (KGA III 3, 7[23], pp. 149–150). 94 Cfr. F. Nietzsche, OFN III3, 1, p. 417 (KGA III 3, p. 151, 7[25]). 95 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 351 (KGA III 3, 10[1], p. 357); su tale relazione cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit, pp. 60–67. 96 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 352 (KGA III 3, 10[1], pp. 361–362. 97 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 424 (KGA III 3, 16[26], pp. 429–430).

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con ciò lo sfondo originario non è abolito: permane, latente, sempre pronto a scatenarsi nelle

guerre civili.

Queste osservazioni sparse sull’origine dello Stato trovano una formulazione sistematica,

ma estremamente compendiosa, nello scritto Lo Stato greco che vide la luce soltanto postumo98.

In esso Nietzsche ribadisce che la creazione artistica – il vero senso della cultura greca – sarebbe

impensabile senza la schiavitù resa possibile dallo Stato. Lo Stato è un mezzo della natura che

altrimenti “non riuscirebbe a giungere - attraverso la società - alla redenzione nella parvenza,

nello specchio del genio99. Quest’ultimo ha come precondizione la schiavitù che è il risultato

della guerra: questa è l’ ”anamnesi della genesi” della perfezione artistica greca.

Conseguentemente il modello ellenico per la rinascita della Germania è la democrazia

schiavistica ateniese (non senza significativi “riconoscimenti” tributati al modello dorico).100

Quale sia la nuova classe di schiavi è evidente dal giudizio del filosofo sulla Commune

parigina; Nietzsche ha ben chiaro il carattere potenzialmente internazionalistico di questo primo

esempio di “democrazia proletaria;” e non soltanto perché nella lettera a von Gersdorff egli parla

della “testa d’idra dell’ “Internazionale,””né solo perché vede nell’insurrezione parigina la logica

conclusione del “razionalismo ottimistico” socratico (inteso come fenomeno che oltrepassa ogni

confine culturale e nazionale), ma perché egli sembra cogliere perfettamente la tendenza

internazionalistica del capitalismo industriale e del conflitto di classe. Nietzsche osserva che la

divulgazione dei diritti dell’uomo fa sentire all’operaio la sua condizione sociale come

un’ingiustizia e pone, così, le condizioni psicologiche per ogni rivolta; l’espansione del

capitalismo industriale comporta la diffusione della condizione operaia e del conflitto sociale in

Europa e nel mondo.

Per quanto riguarda la Germania Nietzsche ribadisce che se se ne vuole una rinascita

“ellenica”, una “stragrande maggioranza”, la classe lavoratrice, “deve essere al servizio di una

minoranza”. Ma non basta la condizione di schiavitù perché possa ripetersi il “miracolo greco”;

tale condizione è soltanto una premessa che abbisogna di un’autentica svolta nella cultura

tedesca. L’unificazione della Germania, la creazione di un corpo statale unitario ha bisogno di un

“principio di movimento”, di un’”anima” che soltanto la visione tragica della vita può creare101.

Nietzsche aderisce oggettivamente alle posizioni nazional-liberali bismarckiane102;

soggettivamente, il suo progetto di rinascita della Germania è, come si vede, ben più radicale103.

98 Sul periodo della sua composizione cfr. J, pp. 466–471. 99 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 230 (KGA III 2, p. 265). 100 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 60–63. 101 Sulla Nascita della tragedia come una sorta di “manifesto del partito della visione tragica del mondo“cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 71-74. 102 Su questo lato oggettivo si è soffermato D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 26-28

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Il suo apprezzamento per l’opera statuale di Bismarck e il suo disprezzo per i conservatori104 è

ben chiaro. Fin dai tempi della battaglia di Sadowa il filosofo si era convinto della necessità

oggettiva di una guerra contro la Francia: “Una guerra contro la Francia deve risvegliare, in

Germania, un’unità di sentimenti (...). Mai da cinquant’anni a questa parte, siamo stati così vicini

all’avverarsi delle nostre speranze di Tedeschi”105; fintantoché il centro della diplomazia europea

resta a Parigi, “in Europa non vi sarà alcun mutamento. Alle nostre aspirazioni non verrà

risparmiato di sovvertire lo stato di cose in Europa, o, in ogni caso, di tentare di sovvertirlo”106.

Sotto questo profilo Nietzsche aderiva all’ideologia del blocco culturale bismarckiano quale ci è

documentata da Gustav Freytag, dal suo periodico “Die Grenzboten”, da Karl Biedermann e da

Heinrich Gotthard von Treitschke (il cui scritto Die Zukunft der norddeutschen

Mittelstaaten107era noto a Nietzsche che lo cita con favore108).

Dal tempo in cui, giovanissimo, aveva fondato la società culturale “Germania”, Nietzsche

aveva coltivato un’immagine anti-moderna dell’identità germanica; modernità equivaleva per lui

a “troppa riflessione e troppo poca energia naturale”.109 La Germania cui egli pensava era quella

mitizzata da Fichte e dal primo romanticismo la cui immagine, negli anni della guerra franco-

prussiana, si fuse, per il filosofo, con l’Atene del VI e V secolo a. C. e con la ripresa wagneriana

della mitologia germanica. In una lettera a Wagner il filosofo rivela di cogliere nell’opera di

quest’ultimo “l’atmosfera di una visione del mondo più seria e ricca di sentimento, visione che

per via di ogni sorta di miserie politiche e per la confusione della filosofia e dell’invadente

giudaismo (vordringliches Judenthum), da un momento all’altro è venuto a noi poveri tedeschi.

Devo a Lei e a Schopenhauer se finora sono stato fedele alla serietà germanica della vita, ad una

considerazione più profonda di questo modo di esistere tanto enigmatico e rischioso”110.

Il nazional-liberalismo di Nietzsche è, certo, sui generis; von Treitschke aveva affermato

la stretta connessione tra Stato e guerra (in un articolo pubblicato nei “Preussische

Jahresberichte” nell’agosto 1870) e sosterrà più tardi che è compito dello Stat domare “le

103 Si veda anche la critica dell’ “oblìo della germanicità autentica” rivolta a David F. Strauss e al partito nazional-liberale nel 1873 su cui cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 149–165. 104 Per le critiche all’opposizione conservatrice raccolta attorno alla “Kreuzzeitung” di von Gerlach (fieramente anti-bismarckiana) si veda la lettera di Nietzsche alla madre e alla sorella dei primi di luglio 1866 in E I, pp. 438–440 (B I, 2, pp. 134–136) e le osservazioni di J I, pp. 195–201. Sulla sconfitta dei conservatori conseguita alla vittoria del 1866 cfr. M. Stürmer, L’impero inquieto, cit., pp. 201–205; sul conflitto tra liberalismo nazionale e conservatorismo cfr. Bernhard von Bülow, La Germania imperiale (1913), tr. it. Milano, F.lli Treves, 1914, rist. con introduzione di G. Talamo, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, pp. 111–118. 105 Cfr. F. Nietzsche, E I, p. 433 (B I, 2, p. 143). 106 Cfr. F. Nietzsche, E, I, p. 446 (B I, 2, p. 144). 107 Cfr. H. G. von Treitschke, Die Zukunft der norddeutschen Mittelstaaten, Berlin, G. Reimer, 1866. 108 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., p. 27. 109 Cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Milano, Adelphi, 1999, p. 34. 110 Lettera del 22 maggio 1869, cfr. E II, pp. 8–9 (B II, 1, p. 9). Sul contesto ideologico di queste osservazioni cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 105–136.

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malvagie passioni sociali”,111ma non si era spinto sino al punto di riproporre un modello

schiavistico; Gustav Freytag aveva esaltato il Reich come “Kulturstaat”, ma senza affiancargli

quale specchio virtuoso l’Atene classica con la sua imbarazzante stratificazione sociale.

In questo momento la visione che Nietzsche ha dello Stato è estranea sia alla dottrina

hegeliana dello Stato come “eticità realizzata” sia alla contrapposizione che sta lentamente

sorgendo fra dottrina dello Stato di diritto e dottrina dello Stato potenza; tale visione si colloca,

per così dire, alle spalle di queste figurazioni dello Stato moderno. Lo Stato deve essere

strumento della Cultur cui deve fornire i mezzi materiali (la pace tra i gruppi che compongono la

compagine politica nonché una vasta base sociale dedita al lavoro manuale) per la creazione

estetica operata dal genio.112Sullo Stato come mezzo che ha sottratto gli uomini al bellum

omnium contra omnes si era già soffermato Schopenhauer; nel libro IV § 62 dell’opera maggiore

del filosofo di Danzica (Il mondo come volontà e rappresentazione), che Nietzsche aveva

appassionatamente studiato fin dal 1867113. Schopenhauer afferma che lo Stato è nato non già

contro l’egoismo, ma contro gli effetti dannosi dell’egoismo114 e rinvia a Hobbes115.

E’ stato notato116 che Nietzsche, a differenza di Schopenhauer, omette di parlare del patto

costitutivo che genera lo Stato; in termini hobbesiani si può dire che egli consideri soltanto il

“commonwealth by acquisition”117; in termini machiavelliani (la presenza silenziosa di

Machiavelli, del suo Principe è ben percepibile in tutta l’opera di Nietzsche) si può dire che

prenda in considerazione soltanto il “principato interamente nuovo”. Lo Stato canalizza

apollineamente l’istintualità dionisiaca e genera il “redentore estetico”, il genio, soltanto

attraverso la guerra e la schiavitù. E’ questa la strada che, con il libro sulla nascita della tragedia

greca, Nietzsche mostra al Secondo Reich appena sorto.

Negli scritti composti e pubblicati tra il 1873 e il 1874 Nietzsche prende atto della distanza che

separa la vagheggiata “Germania ellenica” dal Reich bismarckiano. Sotto il governo del

Cancelliere e dell’Imperatore, il Reich esprimeva una cultura in cui si mescolavano la fiducia

111 Entrambe le opinioni di von Treitschke sono riportate da Nicolao Merker, La Germania, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 301–302. 112 L’esaltazione della figura del genio è presente notoriamente in Schopenhauer e riveste un ruolo centrale nell’estetica kantiana, ma essa si ritrova – e in contrapposizione alla “mediocrità democratica” – in Richard Wagner, Was ist deutsch?(1865-1878), in Id. Sämtliche Schriften und Dichtungen, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1910, vol. X, p. 46 e in Paul de Lagarde, Schriften fürdas deutsche Volk a c. di K. A. Fischer, Lemann, München, 1937, p. 79 sui quali richiama l’attenzione D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., p. 95. 113 Cfr. F. Nietzsche, La mia vita, tr. it. di M. Carpitella, Milano, Adelphi, 1983, p. 163; J I, pp. 222–224. 114 Cfr. A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, in Arthur Schopenhauer’s Sämtliche Werke, hg. von J. Frauenstädt, Zweiter Band, Leipzig, Brockhaus, 1891 (1^ edizione 1819), p. 408, tr. it. di G. de Lorenzo e P. Savj - Lopez, con introduzione di Cesare Vasoli, Il mondo come volontà e rappresentazione, Roma – Bari, Laterza, 1974, p. 454. 115 Cfr. A. Schopenhauer, ibid.: „Auch Hobbes hat diese Ursprung und Zweck des Staates ganz richtig um vortrefflich auseinandergesetz“. 116 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 152–154. 117 Cfr. Thomas Hobbes, Leviathan or the Matter, Forme and Power of a Commonwealth Ecclesiastical and Civil edited by Michael Oakeshott, Collier Mac Millan Publishers, London – New York, 1962, p. 132.

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positivistica nella potenza della tecnologia e della scienza e l’hegelismo politico118; le istituzioni

politiche erano la giustapposizione di un modello federale e di tratti bonapartistici, sul piano

dell’amministrazione quotidiana; non mancava neppure una tinta democratica con il suffragio

universale maschile. La società tedesca si stava avviando a divenire società industriale di massa e

l’istruzione iniziò a venirvi considerata come funzione della potenza dello Stato. Lo “Stato di

cultura” si configurava come il portatore di una “cultura di Stato” in cui la funzione statale –

fondamentale per Nietzsche, si è visto – è invertita e lo Stato si trova a essere un mezzo

promosso al rango di fine.

Nel saggio David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittore119 (la prima delle “Considerazioni

Inattuali“), pubblicato nel 1873 Nietzsche criticava lo scritto di David F. Strauss Der alte und

der neue Glaube. Ein Bekenntnis pubblicato a Lipsia nel 1872 in quanto elogio della mediocrità

e del conformismo intellettuale che sommerge l’essenza tedesca; un conformismo di matrice

ebraica120, a detta di Nietzsche, che si starebbe impadronendo dell’essenza del Reich

annientando il contenuto “spirituale” della vittoria sulla Francia. Nietzsche attacca Strauss e

profetizza “l’estirpazione dello spirito tedesco a favore del “Reich” tedesco121. Lo scritto di

Strauss rappresentava il quieto agnosticismo alieno da ogni considerazione tragica dell’esistenza

e quindi sostanzialmente “anti-tedesco”. Che Strauss fosse il portavoce di quello che era, allora,

l’orientamento prevalente nelle file nazional-liberali lo prova il duro attacco contro lo scritto

nietzscheano contenuto nei “Grenzboten.”122Nietzsche registra ora il conflitto fra cultura e

Stato; quest’ultimo si è affiancato all’orientamento ottimistico-progressistico già imputato, come

si è visto, alla cultura francese.

La preoccupazione per il conflitto fra cultura e Stato compariva già nel ciclo di conferenze

risalenti al periodo compreso tra il 16 gennaio e il 23 marzo 1872 (note con il titolo Sull’avvenire

delle nostre scuole). Il loro nucleo essenziale consiste nella polemica contro l’istruzione aperta a

tutti che il nuovo Stato tedesco sta realizzando. Nietzsche sostiene che la massima estensione

della cultura la sminuisce e la indebolisce; contro l’istruzione di massa il filosofo evoca due

contro-tendenze “veramente tedesche e specialmente gravide di avvenire”: la restrizione e la

concentrazione dell’istruzione, il rafforzamento e l’autosufficienza della cultura123. Nietzsche

utilizza il termine “Bildung” che nella traduzione italiana è reso con “istruzione” anche nel senso

di “cultura”; “Bildung”, connesso a “Bilden” equivale a “formazione”, “atto del dare forma”: è il

118 Un esempio del hegelismo del tempo è il ponderoso scritto di Karl Rosenkranz Hegel als Nationalphilosoph, Leipzig, Duncker & Humblot, 1870. 119 Su cui cfr. J, I, pp. 498–515. 120 Si vedano le osservazioni su questa “Inattuale” sviluppate da D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 170–176. 121 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 167 (KGA III 1, pp. 155–156. 122 Cfr. la lettera di Nietzsche a von Gersdorff del 27 novembre 1873 in E II, pp. 476–477 (B II 3, pp. 173–174). 123 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 86 (KGA III 2, p. 139)

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medesimo processo dal quale sono nate la tragedia attica e la contemporanea potenza politico-

militare ateniese; l’impulso vitale scatenato ha assunto una forma grazie alla “mediazione” dello

Stato e questo grazie a una minoranza di uomini che hanno “diretto” tale “mediazione”.

Nietzsche continua: “Il vero segreto della cultura (Bildungsgeheimnis) deve trovarsi qui, nel

fatto cioè che innumerevoli uomini aspirano alla cultura e lavorano in vista della cultura,

apparentemente per sé, ma in sostanza solo per rendere possibili alcuni pochi individui”124. Con

una sorta di eterogenesi dei fini il lavoro egoistico degli uomini comuni rende possibili pochi

individui geniali. Il nuovo Reich si sta muovendo nella direzione opposta; la democratizzazione

della cultura comporta “il grande anzi enorme pericolo che a un certo momento la grande massa

salti il gradino intermedio e si getti direttamente sulla felicità terrena. E questo oggi viene

chiamato la questione sociale (...) La cultura comune a tutti è per l’appunto la barbarie”125. Il

controllo della cultura da parte dello Stato sottrae le masse ai grandi individui, le emancipa da

ogni servizio sotto lo “scettro” del genio126. Per arrestare questo processo ormai in atto in

Germania bisogna “mantenere quella salutare incoscienza, quella placidità del popolo, che

costituiscono il rimedio senza cui la cultura, con la divorante tensione ed esasperazione dei suoi

effetti, non potrebbe sussistere”127. Lo Stato bismarckiano sta livellando democraticamente la

realtà germanica. Il genio, afferma Nietzsche, emerge dal popolo, egli è “il giuoco cromatico” di

tutte le forze peculiari di esso. Il genio è colui che collega il popolo con l’eternità. Questo non lo

può fare lo Stato che ora si atteggia a “stella polare” (Leitstern) della cultura”128. Per i Greci lo

Stato era uno strumento per la soddisfazione dei bisogni e un mezzo di difesa; lo Stato moderno,

al contrario fa della cultura il proprio strumento perché si concepisce come la totalità al di fuori

della quale nulla può né deve esistere. Giunto così all’apoteosi, si legge nella considerazione

inattuale Sull’utilità e il danno della storia per la vita del 1874, “lo Stato ha la missione di

diventare patrono di tutti gli egoismi accorti per proteggerli con la sua forma militare e poliziesca

dai terribili scoppi dell’egoismo malaccorto”129. Così Nietzsche sembra leggere il conflitto di

classe il cui episodio più recente era stato quello della Commune parigina: uno scontro fra

egoismi e nulla di più.

Nella considerazione inattuale Schopenhauer come educatore Nietzsche delinea i tratti

caratteristici dell’intellettuale che rifiuta di dipendere dallo Stato e dalla società. La fondazione

del Reich è stata soltanto una innovazione politica; essa non rigarda pertanto gli “uomini

124 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 107 (KGA III 2, p. 157). 125 Cfr. F. Nietzsche. OFN III 2, pp. 110–111 (KGA III2, p. 160). 126 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 144 (KGA III 2, p. 190). 127 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 145 (KGA III 2, p. 191). 128 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 155 (KGA III2, p. 202). 129 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 342 (KGA III1, pp. 317–318).

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superiori” che hanno “come telelogia” non uno Stato ma la Cultur130. Lo scopo dell’umanità non

consiste nel benessere delle masse, bensì in questi “uomini che redimono” e lo scopo dello Stato

è soltanto quello di “fornire la difesa dall’esterno, la difesa dall’interno e la difesa contro i

difensori”131. Proprio perché lo Stato è un mezzo, esso non ha alcun interesse alla verità, ma

soltanto a ciò che è utile al funzionamento della macchina amministrativa, sia esso verità, mezza

verità o errore”132. E’ ovvio che lo Stato miri a “educare (...) cittadini fedeli e utili”133. Ma fedeli

a chi? Utili a chi? Senza il genio l’intero apparato statale è privo del suo scopo.

Privo di scopo appare a Nietzsche, ormai, il Reich bismarckiano: esso è tutto ciò contro cui il

filosofo si è battuto dalla pubblicazione del suo primo libro sino allo scritto su Schopenhauer.

130 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 390 (KGA III1, p. 361). Cfr. KGA III 1, p. 354: “denn wir ahnen, das solche Menschen, mir allem ihrem Geiste, eine werdende Cultur und die Erzeugung des Genius- das heisst das Ziel aller Cultur- nicht fördern, sondern Verhindern“ (OFN III 1, p. 382). Su questo scopo „unico“ della Cultur cfr. A. Schopenhauer, Über die Universitäts-Philosophie in Parerga und Paralipomena (1851), tr. it. di G. Colli, con un saggio di Manlio Sgalambro e un’avvertenza di Franco Volpi, La filosofia delle università, Milano, Adelphi, 1992, specialmente alle pp. 29, 33, 45, 64. Su questa considerazione inattuale cfr. J I, pp. 551–582. 131 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 438 (KGA III 1, p. 405). 132 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p.452 (KGA III1, p. 418). 133 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 453 (KGA III1, p. 419).

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III. Lo spirito libero, la crisi dello Stato-Nazione e l’idea di

Europa (1877-1882)

La constatazione della “inattualità” di una “rinascita ellenica” della Germania134 spinse

Nietzsche a una radicale storicizzazione135 dell’intero patrimonio ideale nel quale si era

identificato tra il 1868 e il 1876. Come scrive Montinari “caduta, insieme all’arte, la religione,

vanificato il «bisogno metafisico» (che per Nietzsche non è più «eterno», ma storicamente

condizionato), non rimane altro che la ricerca di un ideale di saggezza contemplativa, quella che

Nietzsche ha delineato nella figura dello spirito libero136. E’ la saggezza contemplativa del

Goethe maturo, ma anche di Montaigne, Larochefoucauld, La Bruyère, Fontenelle,

Vauvenargues, Chamfort137 e di Epicuro; riguardo alla politica ciò significa un radicale realismo.

Se il modello del genio era quello di un “costruttore”, lo spirito libero è innanzitutto un

distruttore. Nello spazio creato da tale distruzione il filosofo vede in una nuova luce due processi

sociali e politici che aveva osservato sia nelle “considerazioni inattuali”, sia nelle conferenze

sugli istituti di cultura: il tramonto della ragion d’essere concreta dello Stato-Nazione (e del

nazionalismo) in seguito alla creazione di una rete europea (e mondiale di scambi economici. Un

tramonto che secondo Nietzsche potrebbe essere la premessa per un nuova aurora: l’unificazione

degli Stati europei; d’altro lato, la società di massa e la democratizzazione dei rapporti sociali e

politici nei paesi europei gli appare come una sfida, non più soltanto come una minaccia: la

nuova esigenza di selezionare una nuova aristocrazia che porti le nazioni europee all’unità e a

una politica mondiale all’altezza dei tempi.

Da questo nuovo sguardo scaturisce dunque il grande problema che occuperà il filosofo

sino alla fine della sua vita cosciente: quello di una “aristocrazia europea” che costituisca in

ciascuno Stato e poi nel’unione degli Stati europei il senso dell’esistenza delle masse. Nietzsche

riprende così anche alcune considerazioni già svolte negli scritti 1870 – 1874 sviluppandole in

un tentativo di analisi della forma- Stato nelle sue generalità.

134 Sul periodo compreso tra il 1877 e il 1879 cfr. J, I, pp. 743-797; sul periodo tra il 1879 e il 1882 cfr. ibid. II, pp. 35-96. 135 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, cit., pp. 20-27. 136 Cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., pp. 92-93. 137 Cfr. F. Nietzsche, Il viandante e la sua ombra, af. 214 (OFN IV 3, p. 221, KGA pp. 284 - 285); Brendan Donnelan, Nietzsche and the French Moralists, Bonn, Bouvier, 1982.

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La prima opera della nuova fase è Umano, troppo umano (1878) il cui aforisma 99

presenta una ricostruzione delle origini dello Stato in quanto istituzione; tale ricostruzione

arricchisce quello che possiamo definire il precedente modello “hobbesiano-schopenhaueriano”

senza distruggerlo. Nella condizione che precede lo Stato, sostiene Nietzsche, noi uccidiamo

l’essere, sia esso scimmia o uomo, che vuole strappare a noi il frutto dell’albero, proprio quando

abbiamo fame e corriamo verso l’albero. E’, questa, un’altra versione del bellum omnium contra

omnes teorizzato nel saggio intitolato Lo Stato greco. Come allora Nietzsche non collega la

nascita del potere statale a un qualsivoglia patto: “Nella condizione che viene prima dello Stato,

il singolo può trattare altri esseri in modo duro e crudele, al fine di incutere spavento (...) così

agisce il violento, il potente, l’originario fondatore di uno Stato, che si sottomette i deboli. Egli

ha cioè il diritto che ancora oggi lo Stato si arroga; o piuttosto non esiste alcun diritto che possa

impedire ciò”138. E’ scomparsa dall’immagine nietzscheana del politico la teleologia della

cultura, dell’arte, e il politico stesso si mostra come violenza che fronteggia violenza. La

violenza è raffigurata come un dato originario del rapporto tra i singoli individui. La distinzione

tra “giusto” e “ingiusto” nasce da un atto di forza: “Il terreno per ogni moralità può essere

approntato solo quando un individuo più grande o un individuo collettivo, come per esempio la

società o lo Stato, sottomette i singoli, ossia li trae fuori dal loro isolamento e li ordina in una

associazione”. Nietzsche aggiunge, poi: “La costrizione precede la moralità; più tardi il

comportamento coatto diviene costume, poi libera obbedienza e infine istinto.” La “stabilità

dello Stato” è più preziosa della libertà139. La forza stabile e stabilizzante opera positivamente

sulla formazione di una fede comune e sul senso della collettività; l’uomo appare modificabile,

così, dall’influsso esterno, politico-istituzionale. Menzionando Machiavelli Nietzsche sostiene

che la forma dei governi “è di pochissima importanza”140 rispetto al problema della

stabilizzazione e del mantenimento della stabilità interna. La forza, la violenza, la potenza sono,

secondo Nietzsche gli aspetti decisivi di quello che potremmo chiamare il “potere costituente”

l’istituzione statale.

La tesi dell’origine violenta delle istituzioni sociali e politiche deriva certamente a

Nietzsche dal modello “hobbesiano-schopenhaueriano”; ma non le è estranea, probabilmente, la

tesi positivistica sulla origine della proprietà non dal lavoro, bensì dall’ “accumulazione

138 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, p. 94 (OFN IV 2, p. 77). 139 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, pp. 191-192 (OFN IV 2, p. 77). 140 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, p. 193 (OFN IV 2, p. 162). E’ possibile che Nietsche avesse in mente il passo del cap. XII del Principe in cui si legge:“E principali fondamenti che abbino tutti li Stati, così nuovi come vecchi o misti, sono buone legge e le buone arme: e perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io lascerò indrieto il ragionare della legge e parlerò delle arme“ (N. Machiavelli, Il Principe,a cura di U. Dotti, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 76). L’insistenza machiavelliana sulle „buone arme“ può avere convinto Nietzsche della minore rilevanza per Machiavelli del problema delle forme di governo.

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attraverso conquista e violenza” ricordata da John Stuart Mill141, oppure la teoria dello “stadio

militare” della società come primo momento di uscita dalla barbarie primordiale elaborata da

Herbert Spencer142 sulla scia di Auguste Comte. Sono visibili anche trasparenti analogie,

limitatamente alla teoria dell’origine dello Stato, con la “teoria della violenza” elaborata da

Eugen Dühring e criticata da Friedrich Engels nel suo scritto intitolato AntiDühring143 e con la

riconduzione dei rapporti politici e sociali a rapporti di forza tra individui operata da Max Stirner

nell’opera L’unico e la sua proprietà (1845)144. Non ci sono tracce sicurissime di una

conoscenza da parte di Nietzsche dell’opera maggiore di Stirner; ma egli conosceva il Cursus

der Philosophie als strenger wissenschaftlicher Weltanschauung und Lebensgestaltung

pubblicato dal socialdarwinista Dühring nel 1875 e che risulta conservato nella sua biblioteca145;

sul Cursus (e sulla Kritische Geschichte der Nationalökonomie und des Socialismus, 1875) si

basava principalmente la confutazione engelsiana. Dühring riconduceva al “soggiogamento

dell’uomo in servitù (die Unterjochung des Menschen zum Knechtsdienst)” l’origine dell’intero

sistema dei rapporti sociali ed economici; lo stabilirsi di un dominio (Herrschaft) economico

sulle cose ha avuto come presupposto “il dominio politico, sociale ed economico dell’uomo

sull’uomo146. Tuttavia, se per Dühring questa tesi serviva come spunto per una critica

“socialista” dell’esistente, Nietzsche precisa nell’aforisma 235 di Menschliches

Allzumenschliches: ”Lo Stato è una saggia istituzione per la protezione degli individui gli uni

contro gli altri: se si esagera nel nobilitarlo, l’individuo finisce con l’esserne indebolito, anzi

divelto –l’originario fine viene cioè vanificato nel modo più radicale.”Tale fine originario è la

reciproca difesa degli individui di cui lo Stato è garante. La tutela dell’individualità è, quindi il

fine dello Stato, così come lo era, nel periodo 1868-1876, la tutela delle condizioni atte a creare

l’individuo geniale.

L’ottava parte di Menschliches, Allzumenschliches reca il titolo „Uno sguardo allo Stato“,

anche se gli aforismi coerenti in senso stretto con il titolo non sono molti; vi vediamo emergere il

quadro nietzscheano della crisi dello Stato-nazione. Il più notevole aforisma è senza dubbio il n. 141 Cfr. J. Suart Mill, Principles of political Economy. With some of their Applications to social Philosophy (1848), tr. it. Principii di economia politica con alcune applicazioni alla filosofia sociale, Torino, UTET, 1851, lib. 2, cap. 1. 142 Cfr. Herbert Spencer, The Principles of Sociology ( la cui seconda edizione risale al 1877) in The Works of Herbert Spencer vol. VI, Osnabrück, Otto Zeller, 1966, cap. X (“Social types and Constitutions”), pp. 544-563 e cap. X (“Social Metamorphoses”), pp. 564-575; vol. VII (contenente il secondo volume dei Principles, edizione 1879 parte IV e 1882, parte V), cap. XVII (“The militant Type of Society”), pp. 568-602. 143 Pubblicato tra il 7 gennaio 1877 e il 7 luglio 1878 in forma di articoli e poi, in volume col titolo Herrn Eugen Dühring Umwälzung der Wissenschaft. Philosophie, Ökonomie, Sozialismus, Leipzig, 1878, tr. it. di Fausto Codino, Roma, Edizioni Rinascita, 1950, riediz. con saggio introduttivo di Valentino Gerratana, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp. 151-177 (Karl Marx – Friedrich Engels, Gesamtausgabe (MEGA), Berlin, Dietz Verlag, 1988, I, 27, pp. 350–373). 144 tr. it. L’Unico e la sua proprietà a cura di Claudio Berto, con saggio introduttivo di Giorgio Penzo, Milano, Mursia, 1990, p. 220; p. 251. 145 Cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., p. 188. Nietzsche cita le lezioni tenute da Dühring all’Università di Berlino nel semestre estivo del 1865 (Über Optimismus und Pessimismus) e nel semestre invernale 1865-66 (Über die Grenzen der Poesie und Philosophie mit besondere Rücksicht auf Byron und Schopenhauer), cfr. B I 2, p. 257 (E I, p. 563-564). 146 Cfr. F. Engels AntiDühring, tr,. it. cit., p. 167 (MEGA I, 27, p. 364).

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472 in cui Nietzsche argomenta che la democrazia moderna è “la forma storica della caduta

(Verfall) dello Stato”147. L’affermarsi del modello politico democratico porterà il governo ad

assumere la stessa posizione del popolo in materia di religione. La molteplicità delle opinioni in

merito condurrà a considerare la religione come “affare privato” e sorgeranno, quindi, sètte che

lotteranno tra di loro. Lo Stato dovrà porsi al di sopra di ogni religione; così facendo indurrà a un

fanatismo statalista. Infine “la sfiducia verso qualsiasi governante, la comprensione dell’inutilità

e della gravosità di queste lotte di corto respiro è destinata a spingere gli uomini a una decisione

completamente nuova: all’abolizione del concetto stesso di Stato”, alla soppressione dell’antitesi

“privato-pubblico”. Le società private incorporeranno gli affari dello Stato; persino il governare

sarà compito di “imprenditori privati”. Sicché “il disprezzo, la decadenza e la morte dello Stato,

la liberazione della persona privata (mi guardo dal dire: dell’individuo) saranno la conseguenza

dell’idea democratica dello Stato; in ciò consiste la sua missione”. Il trionfo del privato, però, è

la sfera della produzione capitalistica, della “burocrazia del profitto”, del denaro, in cui la

“grande individualità”, piegata alla logica utilitaristica e condotta lontano dalla ricerca della

verità, si eclissa. In tale contesto il socialismo col suo grido «Quanto più Stato è possibile!»

aspira espressamente “all’annientamento dell’individuo”; ma presto giungerà il grido opposto,

«Quanto meno Stato è possibile!», a tutto vantaggio della sfera economica privata.

L’individualità è presa, secondo Nietzsche, tra i due fuochi del capitalismo e del socialismo che

sviluppano, ciascuno a modo suo, il processo di riduzione degli individui a componenti di una

massa indifferenziata.

Il processo di democratizzazione in atto in Europa si sviluppa parallelamente all’aumento

degli scambi economici e alla creazione di una “cultura superiore” svincolata dai limiti nazionali.

Si sta innescando, secondo Nietzsche, un processo di indebolimento e si profila una distruzione

delle nazioni (Vernichtung der Nationen), per lo meno di quelle europee la cui causa risiede

nello sviluppo del capitalismo148. Ne deriverà una “Mischrasse”, quella dell’”uomo europeo” alla

quale dovranno contribuire tutti i popoli dell’Europa. Agiscono contro tale processo

“determinate case regnanti e determinate classi (bestimmte Klassen) del commercio e della

società”. Ma se il processo si compirà fino in fondo, la storia dell’Europa sarà davvero una

continuazione di quella greca. Riconosciuto ciò, “bisogna dirsi francamente solo buoni Europei e

contribuire con l’azione alla fusione delle nazioni”. Se il Cristianesimo ha fatto di tutto per

“orientalizzare” l’Occidente, l’ebraismo – componente decisiva della cultura europea – lo ha 147 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, p. 316 (OFN IV 2, p. 260). 148 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, aforisma 475, pp. 262-264 (KGA IV 2, pp. 319–321). La tesi nietzscheana non manca di punti di contatto con quella espressa da Marx ed Engels nel celebre Manitesto del Partito Comunista: “L’isolamento e l’antagonismo nazionali dei popoli vanno via via scomparendo con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità della produzione industriale e con le condizioni di vita a essi rispondenti (tr. it. di Palmiro Togliatti, Roma, Edizioni Rinascita, 1954, p. 51).

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sempre di nuovo occidentalizzato. L’identità europea, ciò che l’ha distinta dall’Asia, lo sviluppo

prodigioso della cultura razionale, è dovuto all’ebraismo149. L’Europa è il “luogo naturale” dello

“spirito libero”150. E’ chiaro che Nietzsche intende la fusione dei popoli europei alla luce di una

concezione razziale della storia: quella centrata sulla connessione razza-carattere di un popolo.

Egli non si nasconde i pericoli – paventati dal razzismo ‘classico’- di un popolo di “razza mista”:

la razza mista è “crudele”, “malvagia”, “irrequieta”; ma poi, con un processo di adattamento,

assorbimento e di separazione la razza si depura. I Greci ci danno l’esempio “di una razza e di

una cultura divenute pure: e speriamo che una buona volta si realizzi una pura razza e una pura

cultura europea”151.

La democratizzazione dell’Europa porterà, secondo l’aforisma 292 di Il viandante e la sua

ombra “a una federazione europea (ein europäischer Völkerbund) in cui ogni popolo, delimitato

in base a opportunità geografiche, possederà la posizione di un cantone e i particolari diritti di

questo”152. Per quanto riguarda il concetto di individualità, qui indirettamente chiamato in causa

a proposito del processo di democratizzazione-massificazione, il discorso sviluppato da

Nietzsche non è chiarissimo, ma non sembra proprio che ogni individuo sia valore a sé (come

nella prospettiva elaborata da Stirner); le differenze di valore fra gli individui sembrano radicarsi

nel “dato” della razza, pura, mista o depurata che essa sia.

Il processo di massificazione ha nello Stato uno dei suoi migliori strumenti; Nietzsche

afferma che lo Stato fin dal tempo dei Greci è stato una minaccia per lo spirito: “La formazione

intellettuale si sviluppò nonostante la pòlis: certo indirettamente e contro volontà anch’essa

giovò, perché nella pòlis l’ambizione del singolo veniva eccitata al massimo, sicché quegli, una

volta entrato nella strada della formazione intellettuale, proseguiva poi in essa fino all’estremo

limite”153. Nel Reich sembra che l’istruzione generalizzata, il suffragio universale (pur soltanto

maschile), la cultura subordinata alla burocrazia e funzionale all’allevamento di “buoni

impiegati”, lo sviluppo del giornalismo come strumento della cultura di massa e il potere del

denaro stiano per soffocare non l’ “individualità”, ma le potenziali “grandi individualità”154.

Quel sistema di mediazione fondato sull’ “idea-forza” dell’armonia sociale, sull’efficienza

dell’amministrazione statale e sul benessere dei cittadini che caratterizzò, secondo Michael

Stürmer155, l’età bismarckiana si reggeva sull’ “abbinamento di sviluppo dell’economia

149 Su queste posizioni e sulle loro ambiguità cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 252–258. 150 Cfr. F. Nietsche, OFN IV 3, p. 178 (KGA IV 3, p. 230). 151 Cfr. F. Nietzsche, OFN V1, af. 272, pp. 177-178 (KGA V1, pp. 215-216). 152 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 3, p. 251 (KGA, p. 322). 153 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, pp. 318-319 (OFN IV 2, p. 262). 154 E’ questo il quadro che Nietzsche fornisce del Reich bismarckiano in Umano, troppo umano. 155 Cfr. M. Stürmer, L’impero, cit., p. 283. Si vedano peraltro le considerazioni di Bernhard von Bülow, cit., pp. 137-166 sul problema del socialismo in Germania.

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industriale e tradizione del potere burocratico” e sulla stabilità sociale strettamente legata alla

figura di Bismarck156, non sulla selezione delle “grandi individualità.”

Le “grandi individualità” sembrano essere state concepite da Nietzsche come i picchi più

alti di una cultura e la cultura, a sua volta, come la manifestazione di un substrato razziale.

Abbandonato il mito del germanesimo Nietzsche pensa all’Europa come a una realtà che

dovrebbe riuscire a enucleare da sé i “grandi individui.” Nella Gaia scienza (aforisma 362157) il

filosofo intravede nel modello delle aristocrazie rinascimentali una prefigurazione di questa

vagheggiata élite; Napoleone che ne è una incarnazione tarda “ha rimesso in luce un lato interno

della vita antica, il decisivo, forse, -quello di granito (das Stück Granit). E chi sa che quest’antica

faccia del vecchio mondo, l’eroismo antico, cioè, non ridivenga ancora una volta la dominatrice

di codesto movimento nazionale e, nel senso più positivo, l’erede e continuatrice di Napoleone?

– di questi il quale voleva l’Europa una, com’è noto, e signora della terra (Herrin der Erde)?”

Napoleone è il simbolo del superamento del piccolo nazionalismo nella direzione di unità

europea di potenza. Essere “buoni Europei”, continua Nietzsche nell’aforisma 377158 della

medesima opera, non significa né umanitarismo, né nazionalismo, ma l’amore per “il pericolo, la

guerra, l’avventura.” Rispetto a ciò, la nozione di Stato come tutore della sicurezza pubblica in

nome della quale si vorrebbe sacrificare ogni singolo individuo, nozione corrente nel Reich,

appare a Nietzsche “meschina.”

In Aurora (1881), aforisma 132, Nietzsche critica l’idea che “la felicità e insieme il

sacrificio del singolo starebbero nel fatto di sentirsi utile membro e strumento del tutto”159; tale

totalità riceve la sua configurazione più decisiva dalla sicurezza: “Rendere la società sicura dai

furti e dagli incendi e infinitamente comoda per ogni sorta di traffici e di commerci e trasformare

lo Stato in Provvidenza, nel senso buono o cattivo- questi sono obiettivi bassi, mediocri e non

assolutamente indispensabili”, perché è in gioco, invece, lo “spirito”160, si legge nell’aforisma

179. E’ un passo tratto dai frammenti postumi che chiarisce quale sia il criterio in base al quale

Nietzsche sta giudicando l’esperienza politica bismarckiana: “Io vedo nella tendenza statale e

sociale un ostacolo per l’individuazione, una elaborazione dell’homo communis: ma l’uomo

comune ed uguale viene desiderato solo perché gli uomini deboli temono il forte individuo e

preferiscono in luogo dello sviluppo verso l’individuo, l’indebolimento generale”161.

156 Sul “plebiszitärer Cäsarismus” di Bismarck, cfr. Th. Nipperdey, Deutsche Geschichte, Beck, München, 1998, Bd. II, p. 410; sulla Sozialpolitik bismarckiana ibid. Bd. I, pp. 337-346; Gordon Craig, Germany 1866-1945, Oxford University Press, 1978, tr. it di Olga Algranati Merola, Storia della Germania 1866-1945, vol. I, pp. 164-166. 157 Cfr. F. Nietzsche, OFN V 2, p. 238 (KGA, p. 292). 158 Cfr. F. Nietzsche, OFN V 2, p. 256 (KGA, p. 311). 159 Cfr. F. Nietzsche OFN V 1, p. 100 (KGA V 1, p. 121) . 160 Cfr. F. Nietzsche OFN V 1, pp. 129-130 (KGA V 1, pp. 157-158). 161 Cfr. F. Nietzsche OFN V 1, p. 461 (KGA V 1, 6[163], p. 358).

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Lo Stato nega l’individualità forte; in un frammento postumo del 1881-82 si legge: “Lo

Stato non vuole, e non ha mai voluto, una qualità migliore, bensì la massa! Per questo non gli

importa nulla di selezionare gli uomini!”162. Lo Stato dovrebbe selezionare l’individualità forte;

ma il modello bismarckiano – termine di riferimento immediato del discorso di Nietzsche - è del

tutto inidoneo a operare una simile selezione; esso, anzi, seleziona solo fedeli impiegati; da un

simile modo di procedere non può che derivare, nel tempo, una massa senza capi. Siamo molto

distanti dalla mera critica della società industriale ottocentesca come possibile minaccia di

dissoluzione per l’individualità (critica sviluppata, per fare un solo esempio, da John Stuart

Mill163); per Stuart Mill il pericolo che minaccia la natura umana “non è l’eccesso, ma la carenza

di impulsi e preferenze individuali”164, mentre c’è bisogno di persone geniali il cui sviluppo le

istituzioni devono favorire165, e il dominio moderno dell’opinione pubblica minaccia ogni forma

di creatività individuale166. Posizioni analoghe sono reperibili anche nella Entstehung des

moralischen Empfindungen che nel 1877 Paul Rée, amico di Nietzsche, aveva pubblicato,

nonché nelle opere che Georg Morris Cohen Brandes, futuro corrispondente epistolare di

Nietzsche, era venuto pubblicando proprio dal 1877167. Nella critica nietzscheana alla

“massificazione” risuona, tuttavia, una impostazione gerarchica e anti-egualitaria che non ha

molto in comune con gli autori citati168. Ciò che risulta paradossale per il filosofo è che

all’immagine dello Stato come tutore sociale si associ l’orgoglio nazionalista a causa del quale

l’Europa si sta dissanguando, come già fece la Grecia169. I Tedeschi non si accorgono che la

democratizzazione europea prepara ben altro: “Ora è il tempo delle costruzioni ciclopiche!

Sicurezza nelle fondamenta: con ciò l’intero futuro può essere costruito su di esse senza

pericolo!”170. Di quale “costruzione ciclopica” è la base la democratizzazione europea? E’ un

fatto che lo sviluppo economico spinga a un’unificazione del continente; che vaste masse si

concentrino in città sempre più grandi è un altro dato di fatto. Nietzsche si chiede però dove

siano i capi in grado di guidare queste masse.

162 Cfr. F. Nietzsche OFN V 2, p. 394 (KGA V 2 11[179], p. 450). 163 Cfr. John Stuart Mill, On Liberty (1859), tr. it. di Stefano Magistretti, Sulla libertà, Milano, EST, 1999. 164 Cfr. J. Stuart Mill, Sulla libertà, cit., p. 70. 165 Cfr. J. Stuart Mill, Sulla libertà, cit., p. 72. 166 Cfr. J. Stuart Mil, Sulla libertà, cit., p. 83. 167 Cfr. la mia succinta nota introduttiva a G. Brandes, Friedrich Nietzsche o del radicalismo aristocratico (1899), tr. it. di A. Ingravalle, Padova, Edizioni di Ar, 1995, pp. 9–14. 168 Nota invece assonanze e convergenze D. Losurdo, Nietzsche, cit. pp. 17-18 169 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, p. 245 af. 442 (KGA IV 2, p. 298). 170 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 3, af 275, pp. 241–242 (KGA IV 3, pp. 309–310. Citaz. a p. 310).

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Il filosofo vede nelle ideologie “socialiste” lo specchio della massificazione171e d’altra

parte nega che lo sviluppo dell’economia capitalistica sia una fonte valida di rapporti gerarchici.

Il criterio di validità della gerarchia non può essere economico, per lui.

Sin dall’inizio, come è stato detto172 la politica sociale di Bismarck era stata pensata in grande: “

essa doveva essere un a politica costituzionale, integrare in positivo la legge sui socialisti,

togliere ai socialisti l’arma dell’insoddisfazione e offrire anche all’operaio dell’industria quella

protezione materiale che da oggetto della tradizionale assistenza ai poveri lo avrebbe trasformato

in un cittadino industriale. Agli operai bisognava restituire – come Bismarck disse nel Reichstag

(2. 4. 1881) - il senso della dignità umana”.

Quale punto di vista fa proprio Nietzsche in merito alla “questione sociale” che Bismarck

sta, a suo modo, affrontando?

La tutela della stabilità interna del Reich e l’obiettivo di rendere meno facile per la

socialdemocrazia raccogliere consensi sul piano del malcontento sociale risultano estranei al

pensiero di Nietzsche: per il filosofo valgono non soltanto le tesi sul superamento dello Stato-

nazione, ma anche, in vista dell’unione dell’Europa, quelle sulla irrinunciabilità, per una cultura

superiore, della schiavitù e della stratificazione sociale secondo una struttura a caste; tale punto

di vista è ribadito in Umano, troppo umano, aforisma 439 (“Una cultura superiore (höhere

Cultur) può sorgere solo là dove ci sono due distinte caste della società (zwei unterschiedene

Kasten der Gesellschaft): quella di coloro che lavorano e quella di coloro che oziano, capaci del

vero ozio. Il punto di vista della ripartizione della felicità non è l’essenziale, quando si tratta

produrre una civiltà superiore (...)”173) e nell’aforisma 462 intitolato La mia utopia (“ In una

società ordinata, privazioni e lavori pesanti saranno riservati a coloro che meno ne soffrono, cioè

ai più rozzi, e così di grado in grado fino a colui che è eletto a provare tutte le più sublimi

sfumature del dolore anche nella maggiore comodità di vita”174). La differenza di valore tra gli

individui è, pare, un dato immodificabile e lo Stato dovrebbe farne strumento per creare una

cultura superiore e una nuova gerarchia.

Il crollo della “metafisica del genio” è stato compensato dalla teoria dell’”individuo

superiore”, lo “spirito libero”, e dall’emergere della prospettiva politica europea senza 171 E’ probabile che Nietzsche conosca il socialismo soltanto attraverso le pubblicazioni di Dühring; cfr. Aldo Venturelli, Asketismus und Wille zur Macht. Nietzsche Auseinandersetzung mit Eugen Dühring, „Nietzsche-Studien“, 15, 1986, pp. 138-139 e già M. Montinari, Su Nietzsche, Roma, Editori Riuniti, 1981, pp. 96-98; Paolo Chiarini, „Introduzione“ a F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. XVIII. 172 Cfr. M. Stürmer, L’impero, cit., p. 307. 173 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, p. 244 (KGA IV 2, pp. 296–297). 174 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, p. 254 (KGA IV 2, p. 309). In un frammento postumo si legge: „La schiavitù non va abolita, essa è necessaria. Dobbiamo solo voler fare in modo che nascano coloro per i quali gli altri lavorano affinché questa massa immane di energie politico – commerciali non sia consumata invano.” (OFN V 2, p. 413, KGA V 2, 11[221], p. 425,). Questo modo di concepire la gerarchia sociale è reperibile in KGA VIII 3, 14[221], (inizi 1888-gennaio 1889) pp. 186–187 dove si legge (p. 187): “der Begriff Kaste sanktionirt nur die Natur – Abscheidung” tra i “tipi” (caratteri, temperamenti) (OFN VIII 3, pp. 183–184; citaz. a p. 184).

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modificare in nulla né la concezione generale anti-egualitaria della cultura umana (ora

saldamente, ma non certo acriticamente, ancorata a un modello interpretativo socialdarwinistico),

né il ruolo strumentale che, rispetto a essa, deve avere lo Stato.

Da questo complesso di posizioni Nietzsche critica il Reich bismarckiano.

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IV. Il superuomo, la groβe Politik e lo Stato

La perdita dell’orizzonte metafisico ha trasformato il “genio” degli anni 1868-1876

nell’”individualità superiore” degli anni 1877-1882. Nell’ultima parte della sua vicenda

intellettuale Nietzsche radicalizza ulteriormente le sue vedute in merito a coloro che devono

lavorare e a coloro che devono essere dediti all’otium. Egli configura con maggiore precisione

l’immagine della politica del futuro con il concetto di groβe Politik.

Un frammento del 1885-1887 recita: “La mia filosofia mira alla gerarchia (Rangordnung),

non a una morale individualistica. Il senso del gregge deve dominare nell’ambito del gregge, ma

non straripare al di là di esso. I reggitori del gregge (Die Führer der Heerde) hanno bisogno di

una valutazione diversa delle loro azioni, parimenti i liberi o le «bestie da preda» etc.”175.

Nietzsche rivendica così la differenza della propria posizione teorica rispetto al culto

dell’individuo. Egli mostra di concepire la massa come un insieme di individui che dovrebbe

avere un capo, ma ne è privo. Se poniamo mente al fatto che con l’espressione “gregge”

Nietzsche indica la massa, vediamo bene che egli non critica la massificazione se non nella

misura in cui essa inibisce la possibilità dell’esistenza degli “individui superiori”.

Evidentemente, fra “individuo” e “individuo superiore” Nietzsche pone una grande differenza.

Pare che l’essere individuo sia un dato di fatto, assiologicamente neutro; ciò che conta è

appartenere al gregge, o, all’opposto, essere fra gli “individui superiori” i quali sono superiori

non in quanto “unici” o “irripetibili”, ma in quanto rappresentano una tipologia, quella del

“capo”. In altri termini, l’individuo non è un valore, come per il pensiero libertario e per quello

liberale; coerentemente con questa posizione, Nietzsche non critica la funzione massificante

dello Stato (tedesco, nello specifico) se non nella misura in cui essa mina le possibilità di

esistenza degli “individui superiori”. Egli è contrario a che si rivendichi la stessa libertà per tutti

in nome dell’eguaglianza dei diritti176 e viene a porre, così, le basi per sostenere che c’è una

morale per chi comanda e una morale per chi obbedisce. Il fondamento di questa posizione si

trova nella concezione che Nietsche ha della cultura177 come autentica sostanza socio-politica e

psicologica di cui lo Stato è il mezzo. Il Secondo Reich esprime, per Nietzsche, la

democratizzazione della vita (equiparata drasticamente alla massificazione) cui si accompagna la

175 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 1, p. 267 (KGA VIII 1, 7[6], p. 288): „ Meine Philosophie ist auf Rangordnung gerichtet: nicht auf eine individualistische Moral. Der Sinn der Heerde soll in der Heerde herrschen,- aber nicht über sie hinausgreifen: die Führer der Heerde bedürfen einer grundverschiedenen Wertung ihrer eignen Handlungen, insgleichen die Unabhängigen, oder die «Raubtiere» usw.“ 176 Come si legge nell’aforisma 188 della Gaia Scienza: “La regale cortesia dell’espressione «siamo tutti lavoratori» sarebbe stata, anche sotto Luigi XIV un cinismo e un’indecenza” cfr. OFN V 2, p. 173 (KGA V 2, pp. 181–182). 177 La parola Cultur indica, come nelle opere precedenti, anche il modello di organizzazione politico-sociale ritenuto corretto da Nietzsche.

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diffusione del lavoro di fabbrica. In un frammento della primavera-estate 1883 si legge: “La

schiavitù del presente: una barbarie! Dove sono coloro per cui gli schiavi lavorano? Non ci si

deve sempre attendere una contemporaneità delle due caste reciprocamente complementari178.”

La società di massa viene, in sostanza, considerata come composta da “schiavi” cui mancano gli

autentici “signori”.

A partire dai frammenti postumi 1882-1884 il “grande individuo” viene trasposto nell’immagine

del Übermensch, il superuomo179; delle precedenti figurazioni il superuomo eredita l’esigenza di

una gerarchia “qualitativa” nell’ambito politico in grado di costituire il senso della vita della

massa.

Nei frammenti postumi 1882-1884 leggiamo che il superuomo è colui che “dice di sì alla

vita”180. E la vita è “volontà di dominio e di possesso”, non “un principio metafisico come la

volontà di esistere o la volontà di vivere” di cui parlava Schopenhauer: essa non “si manifesta”,

bensì è semplicemente un altro modo di dire vita, di definire la vita; la quale per Nietzsche è

rapporto tra “forte” e “debole”, ma soprattutto “superamento di sé” nell’essere vivente che mette

sé stesso a repentaglio “per amore della potenza”. Emerge il tema della vita come volontà di

potenza; ma di esso si parla con chiarezza solo nel capitolo di Così parlò Zarathustra intitolato

“Del superamento di sé stessi”: “Solo dove è vita, è anche volontà: ma non volontà di vita,

bensì... volontà di potenza”181. La polemica contro l’identificazione degli istinti vitali con la

“volontà di vita” è chiaramente rivolta contro il darwinismo182 il quale permetteva, a esempio, a

non pochi teorici anarchici, di ipotizzare utopisticamente una situazione futura in cui, soddisfatti

i bisogni vitali di ogni uomo, si sarebbe realizzata la pace tra gli individui come tra i gruppi e i

popoli. Ma una volta identificata la vita con la volontà di potenza, ciò non è più possibile. Se,

inoltre si sostiene che la vita percorre sempre il medesimo ciclo183, vale a dire la lotta tra quella

che Nietzsche chiama “vita ascendente” e la “vita declinante”184, non si può che giungere alla

conclusione che i valori sui quali si regge ogni codice morale e ogni sistema politico valgono

178 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 1, p. 282 (KGA VII 1, Nachgelassene Fragmente Juli 1882-Winter 1883/4, Frühjahr-Sommer 1883, 7[167], p. 304). 179 Si concorda qui con la traduzione “tradizionale” del termine accreditata, da ultimo, anche da M. Montinari nel già citato Che cosa ha detto Nietzsche.La traduzione attualmente più diffusa (“oltreuomo”) è quella proposta da Gianni Vattimo nel vol. cit. Il soggetto e la maschera, cui si è recentemente affiancata la traduzione proposta dal traduttore degli studi nietzscheani di A. Bäeumler, L. A. Terzuolo: “sovrauomo”. 180 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 1, 1, pp. 127-128 (KGA VII 1, 4[81] , November 1882-Februar 1883, p. 139). 181 Cfr. F. Niezsche, OFN VI 2, p. 140 (KGA VI 1, p. 145: “Nur, wo Leben ist, da ist auch Wille: aber nicht Wille zum leben, sonder- so lehre ich’s dich- Wille zur Macht.“). 182 Cfr. anche F. Nietzsche OFN VIII 3, pp. 93-94 (KGA VIII 3 Nachgelassene Fragmente Anfang 1888 bis Anfang Januar 1889 (Frühjahr 1888), 14[123], pp. 95-97). 183 Cfr. l’interpretazione fondamentale di questo tema in Karl Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno (1936), tr. it. Roma-Bari, Laterza, 1986. 184 Cfr. F. Ingravalle, Filosofie regressive della storia. De Gobineau, Nietzsche, Spengler ,Evola, in S. Belligni, F. Ingravalle, G. Ortona. P. Pasquino, M. Senellart, Trasformazioni della politica. Contributi del seminario di Teoria politica, Working Paper n. 31, September 2002, « Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive Polis», Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Alessandria, pp. 110-116.

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tanto quanto vale la “qualità vitale” di coloro che li pongono, dal fatto che incarnino il

“nichilismo passivo”, oppure il “nichilismo attivo”185.

Posta questa costellazione di idee Nietzsche considera lo Stato come strumento della vita e

della volontà di potenza. A ciò sembrerebbe ostare il celebre passo di Così parlò Zarathustra

contenuto nel capitolo intitolato “Dei nuovi idoli”: “Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi

mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuori di bocca: «Io, lo

Stato, sono il popolo»”186. Nietzsche continua affermando che “creatori furono coloro che

crearono i popoli e sopra di essi affissero una fede e un amore. Distruttori sono coloro che

sistemano trappole per i molti e le chiamano Stato”187. Poi aggiunge: ”Troppi vengono al mondo:

per i superflui fu inventato lo Stato. Guardate come alletta i troppi! Come li ingoia, digerisce e

rumina!”188. Questo è lo Stato tutore e divoratore delle masse, ma “là dove lo Stato finisce –

guardate, guardate, fratelli! Non vedete l’arcobaleno e i ponti del Superuomo?”189. Lo Stato

tutore e divoratore delle masse non è altro che il Reich bismarckiano190, come rivela proprio il

duplice carattere della tutela e del controllo ben espliciti nei passi ora citati; che si tratti di una

realtà e non di teorizzazioni pur presenti, nella Germania di quel tempo, circa l’identità tra

popolo e Stato o sullo Stato come strumento del popolo lo rivela il tono stesso dei brani citati e la

coincidenza sostanziale con le critiche già mosse da Nietzsche al Secondo Reich. All’ identità fra

popolo e Stato e allo Stato come strumento del popolo Nietzsche oppone l’immagine fortemente

normativa della massa e dello Stato come strumenti dell’”individualità superiore”.

Il superuomo non è semplicemente l’individuo, bensì l’ individuo ”superiore”191; in un

frammento della primavera del 1884 si legge: “L’individuo superiore (das hohe Individuum) si

dà tutti i diritti che lo Stato si concede – uccidere, distruggere, spiare, e così via. La viltà e la

cattiva coscienza della maggior parte dei sovrani ha inventato lo Stato e la frase vuota del bien

public. L’uomo vero lo ha sempre utilizzato come mezzo nelle sue mani, per un qualsiasi scopo.

La cultura (die Cultur) è nata solo in culture nobili (in vornehmen Culturen) – e in solitari che

inceneriscono tutto intorno a sé con il disprezzo”192. Più oltre, Nietzsche insiste su tale tema: “Lo

«Stato», in quanto esercita la giustizia (als Gericht), è una viltà, perché manca il grande uomo

185 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 2, pp. 12-14 (KGA VIII 2, Nachgelassene Fragmente Herbst 1887 bis März 1888, 9[35], pp. 14-15). 186 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, p. 54 (KGA VI 1, p. 57). 187 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, p. 54 (KGA VI 1, p. 57); la traduzione è stata lievemente modificata. 188 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, p. 55 (KGA VI 1, p. 58). 189 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, pp. 56-57 (KGA VI 1, p. 60). 190 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 71 (KGA VII 2, 25[272], primavera 1884, p. 78 : “Bismarck wollte mit dem Parlament für den leitenden Staatsmann eunen Blitzableiter schaffen, eine Kraft gegen die Krone und unter Umständer einen Hebel zur Pression auf das Ausland:- er hat auch seinen Sünden- und Unfalls-block.“). 191 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 76 (KGA VII 2, Nachgelassene Fragmente frühjahr 1884-Herbst 1884, 25[298], p. 83: „Vom Range. Die schreckliche Consequenz der «Gleichheit»- schlieβlich glaubt jeder das Recht zu haben zu jedem Problem. Es ist alle Rangordnung verloren gegangen.“). 192 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 69 (KGA VII 2, 25[261], p. 76).

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(der Groβe Mensch) che può fornire un metro con la sua grandezza”193. Sempre in un frammento

della primavera del 1884 si legge, sotto il titolo Rangordnung: “Der die Werthe bestimmt und

den Willen von Jahrtausenden lenkt, dadurch daβ die höchsten Naturen lenkt, ist der höchste

Mensch“194. Non già lo Stato come strumento del „grande individuo“, ma lo Stato in quanto

amministratore della giustizia è „una viltà“; infatti sono i „quanti“ di potenza a costituire la base

della „legittimità“ del potere politico; l’idea stessa di giustizia non può che essere identificata

con la „viltà“ di chi vuole illudersi che esista un’ulteriorità giuridica rispetto ai meri rapporti di

potenza tra gli uomini. Il “grande individuo” è la misura dei valori, proprio perché la potenza è

immediatamente, senza bisogno di alcuna sanzione etica o giuridica, valore, per Nietzsche.

Sotto questo profilo il Reich viene così giudicato: esso è fondato”sul pensiero più abusato

e spregevole (auf den verbrauchtesten und bestverachteten Gedanken), l’uguaglianza dei diritti e

dei voti”195. Ciò che Nietzsche critica non è soltanto il fatto del suffragio universale, ma il

principio dell’uguale diritto di ciascun uomo in quanto uomo all’interno della compagine sociale

e politica inteso; egli critica la democrazia politica perché essa è incapace di enucleare vere

figure di “capi” . Il modello democratico uscito dalla Rivoluzione francese “ha diabolicamente

assorbito i diritti di tutti e io mi domando se, sotto il nome di piena sovranità dello Stato, il futuro

non tenga in serbo per noi ancora una tutt’altra tirannia, servi par le despotisme d’une

bureaucratie française196.Di questo tipo di Stato Nietzsche dice che esso è “violenza

organizzata”. Tale tesi consiste nel vedere nell’ideale democratico sorto dalla fase giacobina

della Rivoluzione francese lo sviluppo del progetto di accentramento amministrativo iniziato da

Luigi XIV. Nietzsche sembra tracciare qui una critica condotta da un punto di vista “libertario”,

ma a evitare equivoci ci soccorrre un frammento nietzscheano sul quale ha richiamato

l’attenzione Norberto Bobbio197: “La nostra ostilità per la Révolution non si riferisce alla farsa

cruenta, all’«immoralità» con cui si svolse; ma alla sua moralità di branco, alle «verità» con cui

sempre e ancora continua a operare, alla sua immagine contagiosa di «giustizia e libertà», con

cui si accalappiano tutte le anime mediocri, al rovesciamento dei ceti superiori”198; una farsa che,

proprio perché cruenta ha impressionato anche gli spiriti più orgogliosi. Nietzsche contesta alla

193 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 92 (KGA VII 2, 25[349], p. 100). 194 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 93 (KGA VII 2, 25[335], p. 102); in KGA VIII 2, Nachgelassene Fragmente Herbst 1887bis März 1888, 11 [36], p. 262 (OFN VIII 2, p. 232) leggiamo: „Über den Rang entscheidet das Quantum Macht, das du bist; der Rest ist Feigheit.“ 195 Cfr. F. Nietzsche, OFN VIII 2, p. 298 (KGA VIII 2, 11[235], p. 334). 196 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 2, p. 298 (KGA VIII 2, 11[252], p. 339). 197 Cfr. N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 102. 198 Cfr. F. Nietzsche, KGA VIII 2, Nachgelassene Fragmente Herbst 1887 bis März 1888, 9[116], p. 67 (OFN VIII 2, p. 59): „Unsere Feindschaft gegen die révolution bezieht sich nicht auf die blutige Farce, ihre «immoralität», mit der sich abspielte; vielmehr auf ihre Heerden-Moralitä, auf ihre «Wahrheiten» mit denen sie immer noch wirkt, auf ihre contagiöse Vorstelung von «Gerechtigkeit, Freiheit», mit der sie alle mittelmäβigen Seelen bestrickt, auf ihre Niederwerfung der Autoritäten höherer Stände. Daβ um sie herum so schrechlich und blutig zugieng, hat dieser Orgie der Mittelmäβigkeit einen Anschein von Gröβe gegeben, so daβ sie als Schauspiel auch die stolzesten Geister verführt hat.“

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Rivoluzione lo spirito di “risentimento” contro il ceto nobiliare e vede nella Rivoluzione stessa la

“rivolta degli schiavi” (con un giudizio analogo a quello che aveva formulato a proposito della

Comune di Parigi del 1871); il modello di Stato che ne è derivato incarna l’ideale

dell’eguaglianza che, secondo il filosofo, si traduce in un dispotismo burocratico nel quale il

“grande individuo” non può dominare (va ricordato peraltro che il giudizio di Nietzsche sulla

Rivoluzione non è totalmente negativo199). Di contro a questo modello, lo Stato è “ l’immoralità

organizzata”; all’interno esso organizza la polizia, utilizza il diritto penale, la suddivisione in

classi, la circolazione delle merci, la famiglia, all’esterno esso è “volontà di potenza, di guerra, di

conquista, di vendetta”. Lo Stato è il mezzo per giungere a far compiere a una grande quantità di

uomini cose che l’individuo non acconsentirebbe mai a fare attraverso “una divisione delle

responsabilità” del comando e dell’esecuzione, facendo intervenire la virtù dell’obbedienza, del

dovere, dell’amore di patria e dell’attaccamento al principe, favorendo la conservazione di tutti i

tratti tipici che contraddicono il tipo del gregario: ”l’orgoglio, la severità, la fortezza, l’odio, la

vendetta.” L’impersonalità fa in modo che noi “ci permettiamo questi affetti come media di una

collettività (giudizi collegiali, giurì, cittadino, soldato, ministro, principe, società, «critico»)... ci

dà il senso come se facessimo un sacrificio”. Il mantenimento dello Stato militare è l’ultimo

mezzo sia per accogliere, sia per mantenere “la grande tradizione riguardo al tipo supremo

d’uomo, al tipo forte. E tutti i concetti che perpetuano l’ostilità e la distanza di rango tra gli Stati

possono sotto questa prospettiva apparire sanzionati... per esempio nazionalismo,

protezionismo..” qui il testo si interrompe; ma non ci sono dubbi che quello che abbiamo appena

letto è il “catalogo” dei “mezzi immorali” di cui si serve il “tipo umano forte” alla guida dello

Stato, tra i quali è compreso il nazionalismo che qui indica presumibilmente, in realtà, un

“nazionalismo europeo”200.

L’espressione “nazionalismo europeo” non è utilizzata da Nietzsche ma è funzionale

all’espressione del nesso tra la prospettiva dell’unione degli Stati europei e la groβe Politik di

cui tale unione dovrebbe essere la protagonista. La tematica della groβe Politik compare con

chiarezza nei frammenti postumi del 1884-1885201 e non scompare più dalla riflessione del

filosofo. La configurazione della “nuova aristocrazia” compare in un frammento postumo del

199 Si legge in OFN VIII 2, p. 121 (KGAVIII 2, 10[31], p. 137) risalente all’autunno del 1887: “La Rivoluzione rese possibile Napoleone: è questa la sua giustificazione. Per un simile prezzo si dovrebbe desiderare il crollo anarchico di tutta la nostra civilizzazione (Civilisation). Napoleone rese possibile il nazionalismo: questo è il suo limite.” Una valutazione positiva che né gli interpreti liberali, né quelli democratici, né i nazionalisti tedeschi avrebbero condiviso. 200 Su questo aspetto richiama l’attenzione K. Löwith, Il nichilismo europeo, cit., pp. 46-53; sul piccolo nazionalismo come névrose e sulla connessione fra Kleinstaaterei Europa’s e kleine Politik cfr. Ecce Homo in OFN VI 3, p. 370 (KGA VI 3, p. 358). 201 Si confronti il titolo Della Grande Politica (Vom Groβe Politik ) c in OFN VII 3, p. 93, 32[16] (KGA VII 3, pp. 132 – 133) risalente all’inverno 1884–1885; su tale appunto e sul suo contesto nel manoscritto nietzscheano cfr KGA VII 4/2, Nachberichte zur siebenten Abteilung, pp. 321–232.

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periodo maggio–luglio 1885202 in questi termini: “Ci devono essere molti superuomini: ogni

bontà si sviluppa solo tra pari. Un solo dio sarebbe sempre un diavolo! Una razza dominante

(herrschende Rasse). Per «i signori della terra».” Ciò di cui si tratta è la lotta per il dominio della

terra; Nietzsche prospetta addirittura una gerarchia (Rangordnung) realizzata “in un sistema di

governo della terra: i signori della terra (Herrn der Erde) da ultimo, una nuova casta

dominante”203. Da essa sorge un dio affatto epicureo, il superuomo, il trasfiguratore

dell’esistenza.” Di questa aristocrazia che enuclea da sé il superuomo sono stati precursori i

grandi europei, “Vorlaufer der groβen Politik204; suo prodotto è il “nuovo filosofo” il quale “può

sorgere solo se connesso (in Verbindung) con una casta (Caste) dominante. La grande politica,

prossimità del governo della terra; assoluta mancanza di principi per questo.” Poco sopra

Nietzsche aveva affermato: “Il filosofo dev’essere come un legislatore”205. I caratteri di questa

casta dominante sono maggiormente precisati un un frammento scritto tra l’estate 1884 e l’estate

1885: “ Il futuro della cultura tedesca risiede negli ufficiali prussiani”206. In un altro frammento

coevo leggiamo: “Problem einer Verschmelzung der europäischen Aristokratie oder vielmehr

des preuβischen Junkers mit Jüdinnen“207. Un’aristocrazia prussiano-ebraica208 avrebbe le

caratteristiche per guidare l’Europa, unificata, sul cammino della „grande Politica”, cioè sul

cammino del dominio della terra. Si tratta di un’aristocrazia selezionata secondo presupposti

legati alla teoria della corrispondenza fra razza e carattere, nonché della gerarchia dei tipi

psicologici all’interno di ciascuna razza, in vista della groβe Politik. Il maggiore ostacolo

all’avvento di una aristocrazia di questo genere è il “piccolo spirito inglese” (England’s Klein-

geisterei) e il principio inglese della rappresentanza popolare (“abbiamo bisogno di una

rappresentanza dei grandi interessi”); ciò di cui c’è bisogno è una alleanza “assoluta” con la

Russia che vi impedisca l’avvento di schemi inglesi e di un “avvenire americano”209. Alle già

ricordate componenti razziali della futura nuova aristocrazia europea si aggiunge, poi, la

componente slava. Lo Stato si viene a configurare come strumento di una élite nata da “incroci”

tra soggetti “superiori” di “razza” ebraica, prussiana, slava, in omaggio al principio teorico della

connessione razza – carattere, come si è appena detto, ma, al tempo stesso, come si è appena

visto, al rifiuto di qualsiasi concezione egualitaria riguardo ai componenti di un corpo razziale;

l’apparato amministrativo deve essere l’ossatura dell’unione degli Stati europei e garantire la

202 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[ 72] p. 217 (KGA VII 3, p. 263). 203 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[ 73] p. 217 (KGA VII 3, p. 263). 204 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[45] p. 209 (KGA VII 3, p. 254). 205 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[47] p. 210 (KGA VII 3, p. 255). 206 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 3, 36[44] p. 247 (KGA VII 3 p. 293 207 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 3, 36[45] p. 247 (KGA VII 3, p. 293) 208 Nel caso specifico, sul carattere “trasversale” della nozione di “aristocrazia” rispetto alle “differenze psicologiche” fra gruppi razziali cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 827-833. 209 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, 26[335] e 26[336] pp. 216-217 (KGA pp. 236 e 236–237.

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selezione dell’ élite. Nietzsche sta delineando il quadro di un soggetto politico europeo in lotta

per la potenza; di tale soggetto la Cultur è il principio di movimento, la statualità il principale

mezzo; come si esprime il filosofo: “Die Aufgabe ist, eine herrschende Kaste zu bilden mit den

unfänglichsten Seelen, fähig zu die verschiedensten Aufgaben der Erdregierung”210.

In questo quadro deve esistere l’ “animale gregario” (Heerdenthier): “In sé l’animale

gregario non ha niente di malato, esso è perfino prezioso, però incapace di guidare sé stesso, ha

bisogno di un «pastore» -ciò capiscono i preti... lo «Stato» non è abbastanza intimo, segreto, la

«guida delle coscienze» gli sfugge. Come l’animale gregario è reso malato dal prete?”211. E’

chiaro che – ma è necessario ripeterlo ancora - ciò che preoccupa Nietzsche non è, in altri

termini, la massificazione dei popoli dell’Europa212, bensì la scarsa capacità da parte della forma-

Stato che è loro comune di guidare le coscienze e di selezionare sistematicamente un’élite.

Non pare quindi privo di significato il fatto che nelle opere edite tra il 1886 e il 1887 i

temi di maggiore rilievo politico sono il “declino dell’arte di comandare” (che la massificazione

in atto rende invece di importanza decisiva), la ricostruzione del processo di formazione dello

Stato come repressione della violenta libertà originaria213 e la ritematizzazione della groβe

Politik.

L’aforisma 199 di Al di là del bene e del male214 afferma che avendo molti soltanto

obbedito e solo pochi esercitato il comando, nella storia umana si è sviluppato un „istinto di

gregge“ a spese dell’arte del comando. Chi comanda non osa più farlo senza farsi passare

anch’egli per ubbidiente a qualche cosa (esecutore degli ordini degli antenati, della costituzione,

del diritto, delle leggi o persino di Dio), “servitore del suo popolo”, “strumento del bene

comune”. Lo Stato moderno è un esempio, assieme ai gruppi famigliari, comunità, stirpi, popoli,

chiese, di “gregge umano”. Si è creata in Europa, e in particolare in Germania, secondo

Nietzsche, si è visto, una massa gregaria il cui sviluppo coincide col progressivo democratizzarsi

delle istituzioni politiche. Di fronte a questo processo, è un sollievo per il “gregge” degli Europei

l’apparizione di un Napoleone “che comanda in modo assoluto”. Napoleone è un esempio storico

di ciò che Nietzsche intende con l’espressione “grande individuo”; l’opera politica di Bonaparte

lo è per il concetto di “arte del comando”; altri esempi sono Gaio Giulio Cesare e il principe

210 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 2, 25[221], p. 62 (KGA VII 2, p. 68) 211 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 3, p. 371 (KGAVIII 3, Nachgelassene Fragmente 23[4], p. 415-416). 212 Come osservava Max Horkheimer, Nietzsche “verachtet die Masse, aber er will sie doch als Masse erhalten”, Dämmerung. Notizen in Deutschland (1931/1934) in Gasammelte Schriften Band 2: Philosophische Frühschriften 1922–1932, Frankfurt am Main, Fischer, 1987, p. 338, aforisma intitolato Nietzsche und das Proletariat. 213 Quest’ultima è sviluppata attraverso il confronto critico con la teoria del diritto elaborata da Eugen Dühring; cfr. Aldo Venturelli, Asketismus und Wille zur Macht. Nietzsches Auseinandersetzung mit Eugen Dühring, „Nietzsche-Studien“, 1986, pp. 107-139. 214 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 2, pp. 96 – 97 (KGA VI 2, pp.121–122).

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machiavelliano215. Se ammettiamo – e non si può non ammetterlo, a questo punto - che il

“grande individuo” e il superuomo sono la medesima tipologia, sarà agevole comprendere che

Nietzsche sta parlando di un’autorità politica priva di un crisma che venga dall’alto o dal basso,

ma dotata di quello che si dovrebbe definire “carisma” derivante dal “magnetismo”esercitato da

un tipo psicologico che viene riconosciuto come quello di un “capo,” di un “hoherer Typus”216.

Circa il processo di formazione dello Stato, Nietzsche, nel secondo saggio di Genealogia

della morale lo configura come un procedimento repressivo della istintualità umana originaria.

Tale istintualità viene configurata come “inimicizia”, “crudeltà”, “piacere della persecuzione,

dell’attacco, delle mutazioni, della distruzione, della guerra, dell’avventura”. Questo ricco ma

terribile patrimonio pulsionale originario fu costretto a introflettersi, andando a costituire la

“cattiva coscienza”217. Lo Stato è lo strumento di questa introflessione. Non è l’istinto di

autoconservazione a fare di ogni uomo il nemico di ogni altro, ma il piacere della crudeltà, il

piacere di imporre la propria potenza a un proprio simile; già al tempo dei suoi studi sulla

tragedia Nietzsche aveva scorto il piacere della crudeltà al fondo della pulsione dionisiaca; ora

egli lo considera senz’altro il dato centrale della natura umana e ciò non manca di modificare

sensibilmente lo sguardo che egli getta sulle origini dello Stato. Se l’uomo non è guidato

essenzialmente dalla pulsione di autoconservazione donde deriva il calcolo utilitario che fonda,

nel pensiero di Hobbes, la convivenza, la costituzione della società in forma statale non avverrà

attraverso un patto, ma attraverso l’instaurazione violenta di rapporti di dominio; la pulsione che

agisce nell’uomo è quella che opera anche nel protoplasma, come si legge in uno dei frammenti

postumi 1887-1888: ”La volontà di potenza può manifestarsi solo contro delle resistenze (an

Widerständen); cerca quello che le si contrappone – questa la tendenza originaria del

protoplasma quando mette fuori pseudopodi e si tasta intorno. L’appropriazione e l’assimilazione

è anzitutto un voler sopraffare, un formare, modellare e rimodellare, finché il vinto sia passato

interamente sotto il potere dell’aggressore, accrescendolo (...) ‘Fame’ è solo una conformazione

più ristretta, dopo che l’istinto fondamentale di potenza ha assunto una figura più spirituale”218.

215 Il Principe di Machiavelli non è stato soltanto una delle prime letture di Nietzsche ai tempi della scuola di Pforta, ma, come già si è detto, è una presenza quasi costante nell’opera di Nietzsche, anche se non sempre espressamente indicata. 216 Cfr. F. Nietzsche KGA VI 3 (Der Antichrist), aforisma 4, p. 169 (OFN VI 3, pp. 169-170). Su quest’opera nietzscheana cfr. il fondamentale studio di Jörg Salaquarda Der Antichrist, “Nietzsche-Studien” Bd. 2, 1973, pp. 91-136. 217 Cfr. F. Nietzsche KGA VI 2, pp. 337-340 (OFN VI 2, pp. 283-285). 218 Cfr. F. Nietzsche KGA VIII 2, 9[151] p. 88 (OFN VIII 2, p. 77). Sulla reale concezione della volontà di potenza in Nietzsche ricostruita attraverso la critica dell’interpretazione fornitane da Kaufmann, Nietzsche, cit., cfr. Walther H. Sokel, Political uses and abuses of Nietzsche in Walther Kaufmann’s image of Nietzsche, „Nietzsche-Studien“, Bd. 12, 1983, pp. 436-442. L’interpretazione della volontà di potenza come „pienezza traboccante di essere“ e consistente non nel desiderare e nel prendere, ma nel creare, nel dare e nel “differenziare” è dovuta, notoriamente a Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophie, cit., è molto affine a quella di Kaufmann; su di essa si vedano le osservazioni critiche di Ian Donaldson, Hierarchy and Ontological dualism: rethinking Gilles Deleuze’s Nietzsche for political philosophy, “History of Political Thought”, XXII, 2002, pp. 654-669; Donaldson osserva (p. 668): “What is unique in Nietzsche is the combination of difference and hierarchy. Nietzsche’s challenge to us, therefore, is to better understand the of hierarchy in the moral, economic and political structure of our communities”.

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La base del contrattualismo, da Hobbes a Locke, a Rousseau, a Kant è un’antropologia di

carattere meccanicistico sulla quale viene eretta una teoria utilitaristica dell’azione umana; essa

indica come movente dell’azione l’autoconservazione, come si è detto e com’è ben noto;

comunque si voglia definire l’antropologia nietzscheana, è chiaro che essa ha al suo centro la

volontà di potenza descritta dalla precedente citazione: un impulso molto diverso

dall’autoconservazione e che, conseguentemente,non ha nulla a che fare con passioni come la

paura (fondamentale nel modello di Hobbes per la costruzione della società) o la benevolenza

(fondamentale sia nel modello lockiano, sia in quello humeano). La volontà di potenza di cui

parla Nietzsche corrisponderebbe alle passioni che scatenano la guerra civile nel paesaggio

politico hobbesiano e al quadro del vizio delineato nel Discours sull’origine della diseguaglianza

da Rousseau il quale condivide l’antropologia meccanicistica delineata da Hobbes. Se la società

(e poi lo Stato) scaturiscono secondo le teorie meccanicistiche dalla minaccia reciproca cui è

esposta l’autoconservazione dei soggetti, secondo il Nietzsche dell’ultima fase la società è un

“dato” e lo Stato si sviluppa attraverso l’introflessione dell’originaria crudeltà umana, non già a

tutela dell’autoconservazione di ciascun uomo. Lo Stato produce tale introflessione in quanto

esso è l’esito della conquista del potere da parte dei “dominatori”, degli “uomini forti”.

Il filosofo sembra ammettere tacitamente che l’uomo vive necessariamente in relazione

con il suo simile, è, aristotelicamente, animale politico; ma tale relazione è essenzialmente

antagonistica, è lotta per la potenza. Da quest’ultima scaturiscono le gerarchie sociali e politiche;

coloro che si impadroniscono del potere, i “dominatori”, reprimono il naturale conflitto tra gli

individui, i gruppi famigliari e i gruppi sociali attraverso una sorta di “monopolio della forza

fisica” che viene poi giuridicizzato. Ogni Stato sorge in questo modo. E ogni Stato mette in

campo la compattezza dinamica così costituita nella guerra con gli altri Stati.

La costrizione all’introflessione della crudeltà dovette avvenire, precisa Nietzsche, con

durezza inaudita: “Lo «Stato» più antico apparve come una tirannia terribile, come un

meccanismo stritolatore e privo di scrupoli, e proseguì su questa via fino a quando questa

materia grezza del popolo e di semianimalità non venne finalmente bene amalgamata e resa

duttile, e altresì dotata di forma”. Lo Stato è il principio formatore dei popoli: si ricorderà che

Nietzsche, al tempo dei suoi studi sull’origine della tragedia aveva già descritto questa “tirannia

terribile” come carattere dello Stato dorico”, manifestazione del principio apollineo e l’aveva

contrapposta alla canalizzazione dell’istintualità e della crudeltà propria del modello ateniese.

Ora Nietzsche vede nella repressione della crudeltà tramite la crudeltà stessa l’origine dello

Stato, il modo in cui il popolo riceve la forma e si allontana dal caos. La vitalità dionisiaca si

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esplica nella lotta per la potenza e nella creazione della forma-Stato attraverso la repressione

dell’istintualità originaria.

La repressione politica genera un potere che Nietzsche descrive in questi termini in uno tra i

suoi brani più noti (e inquietanti): “Un branco qualsiasi di biondi animali da preda, una razza di

conquistatori e di padroni, che organizza militarmente e con la forza di organizzare, abbatte

senza riguardo le sue orribili zampe su una popolazione forse enormemente superiore per

numero, ma ancora priva di forma, ancora nomade. Così inizia in terra lo «Stato»: credo che sia

eliminato il sogno illusorio che lo faceva cominciare con un «contratto». Chi può comandare, chi

è naturalmente «padrone», chi incede tirannico nelle azioni e nei gesti – non ha bisogno di

contratti”219.

La dove un gruppo umano realizza con la conquista la “forma politica” nel senso fin qui

indicato, nasce lo Stato. Questo processo è duplice: da un lato esso crea la gerarchia all’interno

di una compagine sociale; dall’altro crea la gerarchia tra le popolazioni. Se da un lato gli

individui più dotati di virtù guerriere si impadroniscono del potere creando lo Stato, dall’altro lo

Stato così creato lotta per la potenza contro altri Stati.

I conquistati, i vinti, essendo stato bloccato dalla feroce “messa in forma” conseguita alla

conquista lo “sbocco naturale” della innata crudeltà naturale, sviluppano la tendenza ad

autotorturarsi che deriva dalla “crudeltà dell’animale uomo interiorizzato e respinto dentro di

sé”220. Tale tendenza ad autotorturarsi non è altro che la «cattiva coscienza» sulla quale si

innesta poi il Cristianesimo facendo di essa il nucleo psicologico fondamentale della “rivolta

degli schiavi”, della “lotta degli schiavi per la potenza”. Privi di virtus guerriera, gli “schiavi”

sviluppano lo spirito e realizzano l’ “inversione dei valori” dei “forti” e dei “conquistatori”.

Dalla rivolta cristiana degli “schiavi” è nato, secondo Nietzsche, lo spirito moderno i cui tratti

fondamentali sono esposti nel terzo saggio di Genealogia della morale (dedicato alla volontà di

potenza del tipo umano «sacerdotale», guida degli umili e dei calpestati nella loro lotta spirituale

per strappare il potere ai forti).

Lo Stato nasce, dunque, come Stato militare e decade a mero gregge senza vero capo nel

progressivo democratizzarsi della società europea moderna e nello scomparire della virtus del

comando che caratterizza l’intera storia della Moderbnità aperta dal Cristianesimo. Rispetto a

questo processo (che per Nietzsche è un processo di decadenza) sia i principati rinascimentali,

219 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 2, p. 286 (KGA VI 2, (Zur Genealogie der Moral) p. 340). Rivendicando un simile ruolo alla violenza, Nietzsche respinge la teoria spenceriana che vede nelle istituzioni politiche dei mezzi di adattamento dei gruppi umani alle sfide ambientali, cfr. OFN V 2, p. 356) (KGA V 2, Nachgelassene Fragmente, Frühjahr – Herbst 1881, 11[73], pp. 367–368). Il tema è anticipato da Nietzsche in OFN VI 2, pp. 240–241 (KGA VI 2, p. 289) con un significativo rinvio all’epitaffio di Pericle (Tucidide II 41, 4) quale esempio di “morale dei signori”. Sul passo di Tucidide e sulla sua interpretazione nietzscheana cfr. Luciano Canfora, “Introduzione” a Tucidide, Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi, Venezia, Marsilio, 1991, pp. 11–37. 220 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 2, pp. 292-293 (KGA VI 2, (Zur Genealogie der Moral) pp. 347-349).

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sia Napoleone Bonaparte rappresentano contro-tendenze che evocano un tipo analogo a quello

incarnato da Caio Giulio Cesare. Se questo è vero, non sarà fuori luogo denominare “cesaristico”

il modello di potere politico fin qui descritto.

Il filosofo concepisce il politico alla luce del binomio “masse – capi” e vede nello Stato lo

strumento attraverso il quale le masse, come strumenti dei capi, si muovono sul terreno della

groβe Politik.

Nietzsche ha in mente, in questa ultima fase del suo pensiero, uno Stato continentale,

l’Europa, e il suo termine di confronto e modello è, ormai, l’Impero romano. In L’anticristo

(1888) Nietzsche contrappone allo spirito “democratico” del Cristianesimo e alle sue filiazioni

(liberalismo, democrazia, socialismo, anarchismo) da un lato (cioè dal lato socio-psicologico) il

sistema delle caste teorizzato nel Codice di Manu, dall’altro (il lato più propriamente

istituzionale-politico) l’Imperium romanum; del primo si legge: “L’ ordinamento delle caste, la

legge suprema, dominante non è che la sanzione di un ordinamento della natura, di una legalità

primaria della natura, sopra la quale nessun arbitrio, nessuna «idea moderna» ha potere”221;

Nietzsche prosegue affermando che “in ogni sana società si differenziano, condizionandosi

reciprocamente, tre tipi di diversa gravitazione dal punto di vista fisiologico, ognuno dei quali ha

la sua propria igiene, la sua propria sfera di lavoro, la sua propria specie di sentimento della

perfezione e maestria. La natura, non Manu separa gli esseri preminentemente spirituali da quelli

prevalentemente dotati di forza muscolare e temperamento, e in terzo luogo da quelli che non

emergono né per l’uno, né per l’altro verso, i mediocri – questi ultimi rappresentano il gran

numero; gli altri il fiore”222. Non sfugge l’analogia con il paradigma politico platonico223

(analogia del tutto involontaria?) di questa suddivisione sociale che il filosofo chiaramente

approva, e non sfugge neppure che questo è il modello su può innestarsi lo Stato del futuro

preconizzato da Nietzsche nella prospettiva dell’unificazione dell’Europa sotto il dominio della

“nuova aristocrazia”.

Il modello storico prevalente in questa fase del pensiero nietzscheano è quello dell’

Imperium romanum. che il filosofo giudica “la più grandiosa forma di organizzazione – in mezzo

a difficili condizioni – che sia mai stata raggiunta fino a oggi. (...) L’ Imperium romanum (...)

questa del tutto ammirabile opera d’arte in grande stile, era un principio, la sua costruzione era

calcolata per dare prova di sé con millenni – fino a oggi non si è mai costruito in questo modo

(...)”224. La saldezza dell’Impero poteva tollerare i cattivi imperatori, tanto era impersonale, non

221 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 3, aforisma 57, p. 248, (KGA p. 240). 222 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 3, aforisma 57, pp. 248 - 249 (KGA, p. 240) 223 Cfr. Platone, Respublica IV 427 d 1 – 445 e 4. 224 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 3, p. 115 (KGA, pp. 243–244)

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fondata sulle peculiarità individuali questa costruzione della volontà di potenza. Ciò che conta

per Nietzsche è il tipo psicologico del “dominatore”, non la sua realtà individuale, irripetibile e

perciò casuale. Tale tipo era la chiave di volta, secondo il filosofo, di una costruzione come

quella dell’ Imperium Romanum. E’ il modello di quest’ultimo che Nietzsche ha in mente per un’

Europa protagonista della “politica dei grandi spazi”.

Nietzsche combina storia e quella che si sarebbe tentati di chiamare “biostoria” (e

“biopolitica”) nel momento in cui la Rangordnung aristocratica viene legittimata attraverso la

sua “naturalità.” Il suo modello di élite sembra conformarsi del tutto alla virtus “pagana” e non è

lontano dal modello del Principe machiavelliano. Il Cristianesimo (e le sue “filiazioni”) appare

quindi come degenerazione, décadence, corruzione che ha impedito nell’età moderna lo sviluppo

di ordinamenti autenticamente aristocratici e, con la Rivoluzione francese ne ha quasi distrutto il

principio politico.

I valori si svalutano e il nichilismo si diffonde non soltanto perché il Cristianesimo ha

designato come valore ciò che è “contro natura” (la compassione come bene e la volontà di

potenza dei forti come male), contrario alla “vita ascendente” (Il Cristianesimo ha aperto la

strada a un mondo spiritualmente dominato dai “deboli” e dai “malriusciti”, dalla loro

educazione e dai loro valori), ma perchè, sul piano politico, la realtà dei rapporti tra gli Stati si

sta configurando in termini di grande politica, di lotta per la potenza, cioè in termini anti–

cristiani. Il mondo presto sarà del tutto fuori della portata dei valori e dello spirito dei deboli,

profetizza Nietzsche. Nell’aforisma 208 di Al di là del bene e del male si legge: „Die Zeit für

kleine Politik ist vorbei: schon das nächste Jahrhundert bringt der Kampf um die Erd –

Herrschaft – den Zwang zur groβen Politik.225 Il Cristianesimo e tutte le sue filiazioni saranno

presto il passato. E anche il piccolo nazionalismo è il passato. La Germania è il capofila degli

alfieri del piccolo nazionalismo: “Il nazionalismo, questa névrose nationale di cui è ammalata

l’Europa (an der Europa krank ist), questa perpetuazione di un’Europa fatta di staterelli, di

piccola politica” è l’orizzonte della politica tedesca226; le aperture della“monarchia sociale” di

Guglielmo II configurano secondo Nietzsche un quadro in cui la Germania si presenta come un

crogiolo sovversivo in cui si mescolano piccolo nazionalismo, democrazia e socialismo227.

In quanto tale, anche la Germania appartiene al passato. Il futuro appartiene, secondo il

filosofo, all’Europa aristocratica che sarà protagonista della groβe Politik.

225 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 2, p. 115 (KGA VI 2, p. 144) 226 Cfr. F. Nietzsche, Ecce homo in OFN VI 3, p. 370 (KGA p. 358). La traduzione è stata leggermente modificata. 227 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 555–590.

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V. Un abbozzo di teoria cesaristica dello Stato? Il punto d’approdo della riflessione di Nietzsche sullo Stato è chiaro: lo Stato è il mezzo della

volontà di potenza sul piano politico; quest’ultima può esprimere sia la vita “in ascesa” (la nuova

aristocrazia teorizzata dal filosofo), sia la vita “decadente” (gli Stati liberali che lentamente si

stanno aprendo al suffragio universale). La vita dello Stato che Nietzsche preconizza consiste nel

rapporto gerarchico fra “capi” e “gregari” e l’avvento della società di massa è considerato dal

filosofo come la condizione stessa del dominio dei “capi”. Della vita dello Stato il filosofo non ci

dà un quadro istituzionale: egli concentra il suo sguardo sulla tipologia umana che conferisce alla

realtà istituzionale il suo significato: il “genio”, il “grande individuo”, il “superuomo”. Questi è,

alla fine, la guida di un’Europa unificata e in lotta per il dominio sulla terra.

Se nella prima fase della riflessione nietzscheana si considera con favore il ‘modello

ateniese’- perché essa guarda al politico dal punto di vista del problema dell’arte tragica -

nell’ultima fase della sua riflessione - Nietzsche considera con favore il modello ‘romano-

imperiale’ (senza, tuttavia, dimenticare il modello della ‘talassocrazia’ ateniese). L’intero

percorso è accompagnato da una costante avversione ai principi della Rivoluzione francese228 in

nome di una autentica riduzione della politica a una natura intesa in modo anti-meccanicistico,

vitalistico; sotto questo profilo, Nietzsche rappresenta una posizione radicalmente nuova rispetto

alle critiche mosse alla Rivoluzione francese dal legittimismo cattolico: Nietzsche non cerca un

crisma superiore, trascendente, per legittimare l’esistenza e l’attività dello Stato; non guarda

neppure alla tradizione intesa come continuità istituzionale alla maniera di Burke: egli ritiene che

tale continuità rappresenti il passato, di fronte al peso che le masse hanno assunto e assumeranno

nella politica. Il suo discorso politico si muove piuttosto all’interno dei modelli cesariano,

napoleonico e bismarckiano. E lo fa in modo critico. Ciò era stato già rilevato da G. Lukàcs, a

proposito della posizione nitzscheana nei confronti dell’opera politica di Bismarck229. Della

politica bismarckiana Nietzsche critica il “piccolo nazionalismo” (ma il suo atteggiamento sulla

“questione sociale” al tempo della “monarchia sociale” di Guglielmo II è affine a quello

manifestato, nella stessa epoca, da Bismarck) cui contrappone il progetto di un’Europa unita ed

espansionistica impegnata nella lotta per la spartizione del mondo, la groβe Politik di cui uno

228 Non a caso N. Bobbio, L’età dei diritti, cit., p. 102 definisce Nietzsche “il principe degli scrittori reazionari” e D. Losurdo, Nietzsche, cit., p. 73 lo indica come “il più grande pensatore tra i reazionari e il più grande reazionario tra i pensatori.”

229 Cfr. G. Lukàcs, La distruzione della ragione, cit., p. 333 ove si ricorda che Nietzsche è convinto che Bismarck “operi un compromesso con il popolo, antistorico, ma tuttavia abile e opportuno” e stia creando una “democrazia” capace di “formare una nuova élite”. Contro l’interpretazione di Lukacs sviluppa argomentazioni articolate ma discutibili H. Ottmann, Anti - Lukacs. Eine Kritik der Nietzsche-Kritik von Georg Lukàcs, „Nietzsche-Studien“ Bd. 13, 1984, pp. 570-586. Sulla strumentalità del giudizio positivo di Nietzsche sulla democrazia si veda l’aforisma 242 di Jenseits von Gut und Böse, KGA, VI 2, pp. 190-191 (OFN VI 2, pp. 153-155): la democratizzazione delle istituzioni politiche giungerà a fornire un gregge alle “nature dominatrici”

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Stato europeo unitario sarebbe lo strumento. Il modello a cui guarda il filosofo per l’Europa è

l’”unificazione” tentatane da Napoleone.

Il primo interprete a definire la posizione politica complessiva di Nietzsche “cesaristica” fu

Georg Brandes230 (l’ “inventore” , come già si è visto, della formula più felice per definire il

pensiero del filosofo, cioè “radicalismo aristocratico”).

Come categoria politica, il “cesarismo”231 si regge sulla polarità masse – capi donde

deriva la legittimazione di un potere autocratico (sarebbe arduo distinguerlo nettamente da ciò

che è stato denominato “bonapartismo” o, anche, “bismarckismo”); è molto significativa, in

merito a tale categoria, la posizione di Max Weber in La politica come professione (1919): la

democratizzazione e la burocratizzazione della vita sociale moderna pongono di fronte al

dilemma tra “potere burocratico irresponsabile” (la democrazia parlamentare) e la “democrazia

del Führer” (cioè la democrazia guidata)232; tale posizione è stata indicata come

“bonapartistica”233 o “cesaristica”234. Non a caso è stato giustamente sottolineato da Wilhelm

Hennis235 l’influsso esercitato da Nietzsche su Weber.

Nel riproporre la categoria di “cesarismo” come la più vicina a una designazione sintetica

del pensiero di Nietzsche sullo Stato, non si può certamente trascurare la critica che fece Marx

di tale categoria nello scritto Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (pubblicato in prima edizione nel

1852 e in seconda edizione ne1869)236 definendola come dovuta a una “superficiale analogia

storica” a causa della quale “ si viene a dimenticare il fatto essenziale che, specialmente

nell’antica Roma, la lotta di classe si svolgeva soltanto all’interno di una minoranza privilegiata,

tra i ricchi e i poveri che erano liberi cittadini, mentre la grande massa produttiva della

popolazione, gli schiavi, costituiva soltanto il piedistallo passivo dei combattenti.” Per Nietzsche

la massa moderna è costituita da “schiavi” (sia pure privi di padrone) in un senso etico, certo,

non storico - sociologico; egli pensa in modo non diacronico, ma sincronico, la connessione tra il

“modello cesariano” e le prospettive di uno Stato gerarchico nell’era delle masse in modo

perfettamente coerente con i dettami anti-storicistici della sua considerazione inattuale 230 Cfr. Georg Brandes, Friedrich Nietzsche, cit., p. 83, in una lettera dell’ 11.1.1888. 231 Per la categoria del “cesarismo” cfr. Friedrich Gundolf, Caesar. Geschichte seines Ruhes, Berlin, Bondi, 1924; Id. Caesar in neunzehnten Jahrhundert, Berlin, Bondi, 1926 (tradotti in italiano da E. Giovannetti in F. Gundolf, Cesare, Milano, Garzanti, 1944). Le pagine finali dell’opera (tr. it. pp. 344–349) sono dedicate alla presenza della figura di Cesare nell’opera di Nietzsche. 232 Cfr. Max Weber, Scritti politici, con una introduzione di A. Bolaffi, Roma, Donzelli, 1998, p. 214 (Max Weber, Gesamtausgabe. Abteilung I, Band 17, Wissenschaft als Beruf (1917/1919), Politik als Beruf (1919), hg. von W. J. Mommsen und W. Schluchter, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck) Tübingen, 1992, p. 224). 233 Cfr. G. Lukàcs, La distruzione, cit., p. 617 234 Cfr. Karl Löwith, Max Weber und seine Nachfolger, „Maβ und Wert“, III, 1939, 1, pp. 166–176. Cfr. F. Tuccari, I dilemmi della democrazia moderna. Max Weber e Robert Michels, Roma–Bari, Laterza, 1993, in particolare alle pp. 41 – 52. Circa la compatibilità tra democrazia e cesarismo cfr. R. Michels, Sociologia dei partiti politici (1911), tr. it. di E. Forni, Bologna, Il Mulino, p. 50. 235 Cfr. W. Hennis, Max Webers Fragestellung. Eine Studie zur Biographie des Werks (1987), tr. it. Il problema Max Weber, Roma–Bari, Laterza, 1991. 236 Cfr. Karl Marx Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, tr. it. di Palmiro Togliatti, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 37 (Karl Marx, Politischen Schriften, Erster Band, hg. von H.-J. Lieber, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1975, p. 270).

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Sull’utilità o il danno della storia per la vita. Un modello cesaristico (vale a dire un’

attualizzazione del tipo ideale del “Cesare”) analogo sarà parzialmente sviluppato, poi, sulle

orme di Nietzsche, da Oswald Spengler237.

Nietzsche fornisce un profilo psicologico del tipo umano “cesaristico” e “bonapartistico”

– due aggettivi quasi equivalenti nel contesto del suo pensiero politico - in un frammento

dell’aprile - giugno 1885 sul quale è ora opportuno soffermarsi: “Un grande uomo, un uomo che

la natura ha costituito e inventato, che cos’è questo? In primo luogo: c’è in tutto il suo agire una

logica lungimirante che in grazia della sua lunghezza è difficilmente visibile nel suo complesso e

quindi ingannatrice; una capacità di tendere la sua volontà su grandi estensioni della propria vita

e di disprezzare tutto ciò che è piccolo (...) In secondo luogo: egli è più freddo, più duro, più

irriflessivo e senza paura dell’ «opinione»: gli mancano le virtù che dipendono dalla «stima» e

dalla «reputazione» e da tutto ci che appartiene alla «virtù del gregge» (...) In terzo luogo: non

vuole «cuori che lo comprendano», ma vuole dei servi (Diener), degli strumenti (Werkzeuge)

(..). Sa di essere incomunicabile: trova la confidenza di cattivo gusto238”.

La figura filosofico – politica dell’ “uomo superiore” che Nietzsche ha sviluppato a partire

dagli anni Settanta è finalmente delineata in modo chiaro e anche potentemente suggestivo: essa

è il vero soggetto politico, il fine della Cultur, rispetto al quale lo Stato è soltanto un mezzo

interamente subordinato, una struttura puramente amministrativa al servizio della “vita

ascendente” incarnata dalla “nuova aristocrazia”.

Sembra essere indifferente a Nietzsche che lo Stato sia guidato da un “grande individuo” o

da una aristocrazia; le caratteristiche psicologiche che “identificano” il “grande individuo” non

sono irripetibili; il “grande individuo” costituisce quindi una tipologia che non ha nulla a che

vedere con la teorizzazione individualistica liberale e libertaria (il cui modello logico è, in fondo,

l’”unico” com’esso è stato pensato con radicale coerenza da Stirner). L’incarnazione della vita

“ben riuscita” nella tipologia dell’aristòcrate (o negli aristòcrati) esercita, secondo il filosofo, una

forza d’attrazione sulle masse che essa è la forza coalescente decisiva. Lo Stato che abbraccia 237 Cfr. O. Spengler, Jahre der Entscheidung, Beck, München, 1933 (tr. it. a cura di Franco Freda, Anni della decisione, Padova, Edizioni di Ar, 1995); sul cesarismo spengleriano cfr. Detlev Felken, Oswald Spengler. Konservative Denken zwischen Kaiserreich und Diktatur, Beck, München, 1988, pp. 127-134 („Das Zeitalter der Cäsaren“), 157-169 („Spengler und Nietzsche“), 194-219 («Jahre der Entscheidung»). Nel saggio Nietzsche und sein Jahrhundert ( discorso pronunciato il 17 ottobre 1924 al “Nietzsche-Archiv” per l’ 80º anniversario della nascita del filosofo) Spengler afferma: “E’ Nietzsche ad avere mostrato al popolo più avido di storia che ci sia al mondo[il popolo tedesco, n. d. r.] la storia com’è realmente. Il testamento ch’egli ci ha tramandato è la missione di vivere la storia secondo questo stile” (O. Spengler, Reden und Aufsätze, München, Beck, 1937, tr. it. parziale da cui si cita in O. Spengler, Scritti e pensieri, con introduzione di Marcello Veneziani, Milano, Sugarco, 1993, p. 103). La categoria di „bonapartismo“ è stata esaminata storico-criticamente da D. Losurdo, Democrazia o bonapartismo, cit. 238 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 3, 34[96], pp. 130–131 (KGA VII 3 p. 172); tra i numerosi richiami alla figura storica di Cesare come tipo ideale cfr. OFN VIII 3, pp. 104–107 14[133] (KGA VIII 3, pp. 107–108); OFN VI 2, Al di là del bene e del male, af. 200, p. 98 (KGA VI 2 pp. 122-123). Su Napoleone, tra i numerosissimi passi, cfr. OFN VI 2, Genealogia della morale p. 252 (KGA VI 2, p. 302): “ è l’uomo più singolare e più tardivamente apparso che sia mai esistito, e con lui l’incarnazione del problema dell’ ideale aristocratico in sé – si faccia attenzione a che tipo di problema sia mai questo: Napoleone, questa sintesi di non-uomo e di superuomo (Unmensch und Übermensch).”

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dimensioni continentali ha la funzione di selezionare colui o coloro che eserciteranno il dominio.

In ulteriori particolari Nietzsche non è mai sceso.

Non è azzardato affermare, a questo punto, che il filo conduttore che attraversa l’intero

arco delle riflessioni di Nietzsche sullo Stato è il problema di una “nuova gerarchia” in grado di

condurre politicamente l’Europa oltre (e contro) la decadenza e il “nichilismo passivo” (le cui

forme - liberalismo, democrazia, socialismo, anarchismo, piccolo-nazionalismo - sono state

generate, secondo il filosofo, dal Cristianesimo) e a misurarsi, come corpo unitario, nella lotta

per il dominio della terra nei termini di un “nichilismo attivo”. Pare agevole constatare ora che

questo filo introduce nel cuore stesso del pensiero politico nietzscheano e nelle immediate

vicinanze del problema cruciale delle “ricadute politiche” del fenomeno del nichilismo, come

aveva intravisto Löwith.

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Bibliografia La presente bibliografia include soltanto le opere relative al pensiero politico di Nietzsche.

1.Le opere di Nietzsche sono citate secondo l’edizione in lingua originale e la traduzione italiana curate da

Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Si v. Abbreviazioni a p. 11

2. Opere sul pensiero politico di Nietzsche

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Sommario

Introduzione............................................, pp. 3-8

Abbreviazioni.........................................., p. 9-11

I. Nietzsche e lo Stato: interpretazioni..., pp. 12-19

II. Lo Stato e la cultura (1866-1874)......., pp. 20-28

III. Lo spirito libero, la crisi dello Stato-Nazione e l’idea di Europa (1877-1882), pp.

29-37

IV. Il superuomo, la Groβe Politik e lo Stato (1883-1888), pp. 38-49

V. Un abbozzo di teoria cesaristica dello Stato?, pp. 50-53

VI. Bibliografia.........................................., pp. 54-56

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Working Papers The full text of the working papers is downloadable at http://polis.unipmn.it/

*Economics Series **Political Theory Series ε Al.Ex Series

2004 n.40** Francesco Ingravalle, Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. W. Nietzsche

2003 n.39ε Marie Edith Bissey, Claudia Canegallo, Guido Ortona and Francesco Scacciati, Competition vs. cooperation. An experimental inquiry

2003 n.38ε Marie-Edith Bissey, Mauro Carini, Guido Ortona, ALEX3: a simulation program to compare electoral systems

2003 n.37* Cinzia Di Novi, Regolazione dei prezzi o razionamento: l’efficacia dei due sistemi di allocazione nella fornitura di risorse scarse a coloro che ne hanno maggiore necessita’

2003 n. 36* Marilena Localtelli, Roberto Zanola, The Market for Picasso Prints: An Hybrid Model Approach

2003 n. 35* Marcello Montefiori, Hotelling competition on quality in the health care market.

2003 n. 34* Michela Gobbi, A Viable Alternative: the Scandinavian Model of “Social Democracy”

2002 n. 33* Mario Ferrero, Radicalization as a reaction to failure: an economic model of islamic extremism

2002 n. 32ε Guido Ortona, Choosing the electoral system – why not simply the best one?

2002 n. 31** Silvano Belligni, Francesco Ingravalle, Guido Ortona, Pasquale Pasquino, Michel Senellart, Trasformazioni della politica. Contributi al seminario di Teoria politica

2002 n. 30* Franco Amisano, La corruzione amministrativa in una burocrazia di tipo concorrenziale: modelli di analisi economica.

2002 n. 29* Marcello Montefiori, Libertà di scelta e contratti prospettici: l’asimmetria informativa nel mercato delle cure sanitarie ospedaliere

2002 n. 28* Daniele Bondonio, Evaluating the Employment Impact of Business Incentive

Programs in EU Disadvantaged Areas. A case from Northern Italy

2002 n. 27** Corrado Malandrino, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota”(1965-66)

2002 n. 26** Guido Franzinetti, Le Elezioni Galiziane al Reichsrat di Vienna, 1907-1911

2002 n. 25ε Marie-Edith Bissey and Guido Ortona, A simulative frame to study the integration of defectors in a cooperative setting

2001 n. 24* Ferruccio Ponzano, Efficiency wages and endogenous supervision technology

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leave an inheritance?

2001 n. 22* Carla Marchese and Fabio Privileggi, Who participates in tax amnesties? Self-selection of risk-averse taxpayers

2001 n. 21* Claudia Canegallo, Una valutazione delle carriere dei giovani lavoratori atipici: la fedeltà aziendale premia?

2001 n. 20* Stefania Ottone, L'altruismo: atteggiamento irrazionale, strategia vincente o

amore per il prossimo?

2001 n. 19* Stefania Ravazzi, La lettura contemporanea del cosiddetto dibattito fra Hobbes e Hume

2001 n. 18* Alberto Cassone e Carla Marchese, Einaudi e i servizi pubblici, ovvero come contrastare i monopolisti predoni e la burocrazia corrotta

2001 n. 17* Daniele Bondonio, Evaluating Decentralized Policies: How to Compare the Performance of Economic Development Programs across Different Regions or States.

2000 n. 16* Guido Ortona, On the Xenophobia of non-discriminated Ethnic Minorities

2000 n. 15* Marilena Locatelli-Biey and Roberto Zanola, The Market for Sculptures: An Adjacent Year Regression Index

2000 n. 14* Daniele Bondonio, Metodi per la valutazione degli aiuti alle imprse con specifico target territoriale

2000 n. 13* Roberto Zanola, Public goods versus publicly provided private goods in a two-class economy

2000 n. 12** Gabriella Silvestrini, Il concetto di «governo della legge» nella tradizione repubblicana.

2000 n. 11** Silvano Belligni, Magistrati e politici nella crisi italiana. Democrazia dei

guardiani e neopopulismo

2000 n. 10* Rosella Levaggi and Roberto Zanola, The Flypaper Effect: Evidence from the

Italian National Health System

1999 n. 9* Mario Ferrero, A model of the political enterprise

1999 n. 8* Claudia Canegallo, Funzionamento del mercato del lavoro in presenza di informazione asimmetrica

1999 n. 7** Silvano Belligni, Corruzione, malcostume amministrativo e strategie etiche. Il ruolo dei codici.

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1999 n. 6* Carla Marchese and Fabio Privileggi, Taxpayers Attitudes Towaer Risk and

Amnesty Partecipation: Economic Analysis and Evidence for the Italian Case.

1999 n. 5* Luigi Montrucchio and Fabio Privileggi, On Fragility of Bubbles in Equilibrium Asset Pricing Models of Lucas-Type

1999 n. 4** Guido Ortona, A weighted-voting electoral system that performs quite well.

1999 n. 3* Mario Poma, Benefici economici e ambientali dei diritti di inquinamento: il caso della riduzione dell’acido cromico dai reflui industriali.

1999 n. 2* Guido Ortona, Una politica di emergenza contro la disoccupazione semplice, efficace equasi efficiente.

1998 n. 1* Fabio Privileggi, Carla Marchese and Alberto Cassone, Risk Attitudes and the Shift of Liability from the Principal to the Agent

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Department of Public Policy and Public Choice “Polis” The Department develops and encourages research in fields such as:

• theory of individual and collective choice; • economic approaches to political systems; • theory of public policy; • public policy analysis (with reference to environment, health care, work, family, culture,

etc.); • experiments in economics and the social sciences; • quantitative methods applied to economics and the social sciences; • game theory; • studies on social attitudes and preferences; • political philosophy and political theory; • history of political thought.

The Department has regular members and off-site collaborators from other private or public organizations.

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The manuscript should be typewritten single-faced and double-spaced with wide margins.

Include an abstract of no more than 100 words. Classify your article according to the Journal of Economic Literature classification system. Keep footnotes to a minimum and number them consecutively throughout the manuscript with superscript Arabic numerals. Acknowledgements and information on grants received can be given in a first footnote (indicated by an asterisk, not included in the consecutive numbering). Ensure that references to publications appearing in the text are given as follows: COASE (1992a; 1992b, ch. 4) has also criticized this bias.... and “...the market has an even more shadowy role than the firm” (COASE 1988, 7). List the complete references alphabetically as follows: Periodicals: KLEIN, B. (1980), “Transaction Cost Determinants of ‘Unfair’ Contractual Arrangements,” American Economic Review, 70(2), 356-362. KLEIN, B., R. G. CRAWFORD and A. A. ALCHIAN (1978), “Vertical Integration, Appropriable Rents, and the Competitive Contracting Process,” Journal of Law and Economics, 21(2), 297-326. Monographs: NELSON, R. R. and S. G. WINTER (1982), An Evolutionary Theory of Economic Change, 2nd ed., Harvard University Press: Cambridge, MA. Contributions to collective works: STIGLITZ, J. E. (1989), “Imperfect Information in the Product Market,” pp. 769-847, in R. SCHMALENSEE and R. D. WILLIG (eds.), Handbook of Industrial Organization, Vol. I, North Holland: Amsterdam-London-New York-Tokyo. Working papers: WILLIAMSON, O. E. (1993), “Redistribution and Efficiency: The Remediableness Standard,”

Working paper, Center for the Study of Law and Society, University of California, Berkeley.