Stabilimento di Borgostinto

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Nei racconti di "Stabilimento di Borgostinto" l'autore Roberto Bramani Araldi evidenzia con sagacia e ironia gli aspetti contradditori delle dinamiche relazionali nel mondo della fabbrica.

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PIETRO MACCHIONE EDITOREVia Salvo d’Acquisto, 2 - 21100 Varese (VA)Tel. 0332.499070 - Fax 0332.834126 - Cell. 3385337641E-mail: [email protected]: www.macchionepietroeditore.it

ISBN 978-88-6570-111-9

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STABILIMENTOdi BORGOSTINTO

PIETRO MACCHIONE EDITORE

Roberto Bramani Araldi

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Roberto Bramani Araldi

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PREFAZIONE

“Nello stabilimento di Borgostinto niente è più stabile e duraturodelle etichette che vengono applicate alle persone, anche se gratuiteo improprie”. Come il mondo degli uomini, anche la vita di fabbri-ca è governata dalle apparenze e dai ruoli sociali, dal timore del giu-dizio altrui e da una smisurata vanità. Come il mondo degli uomi-ni (che riproduce con la fedeltà di una fotografia o una provetta dalaboratorio) anche lo “stabilimento” è un intreccio di relazionisuperficiali, di illusioni destinate a svanire nel dolore o nel ridicolo,di violenze mascherate dal sorriso o da un’ingannevole bonarietà.Bramani Araldi descrive con la perizia di un tecnico questo micro-cosmo e sceglie lo strumento classico della satira, della risata nonmorbida ma spigolosa, accumulando un catalogo di piccole battu-te, beffe crudeli, “tradimenti” e “congiure” impiegatizie. Non acaso la prima parte del volume ci presenta una coppia di personag-gi grotteschi che attraversano più racconti e incarnano (quasi conla forza di un’allegoria) il ‘male’ del labirinto industriale: il carrie-rista servile e incolto, l’inetta nobildonna costretta a lavorare comeoperaia, sono davvero le guide che ci introducono nel mondo gri-gio di Borgostinto come Virgilio conduce Dante nel buio dell’a-bisso. La discesa infernale è però all’insegna della farsa, come dice-vamo, e il nume del milanesissimo Gadda sembra presiedere amolte pagine di questi racconti, anche in certi divertissements lin-guistici sotto forma di spassose postille al testo.Ma la cornice comica è, appunto, una semplice cornice, perché ilcentro del quadro è occupato da una figura completamente diver-sa: quella di un uomo anziano, con la carriera alle spalle e spessodi salute malferma, in attesa della morte e capace di cogliere - sca-valcando il muro e la piccola vita dello stabilimento - la voce sot-tile della natura e il senso più autentico dell’esistenza. Sono i pro-tagonisti dei racconti finali della raccolta, tutti simili pur nella

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PREFAZIONE

“Nello stabilimento di Borgostinto niente è più stabile e duraturodelle etichette che vengono applicate alle persone, anche se gratuiteo improprie”. Come il mondo degli uomini, anche la vita di fabbri-ca è governata dalle apparenze e dai ruoli sociali, dal timore del giu-dizio altrui e da una smisurata vanità. Come il mondo degli uomi-ni (che riproduce con la fedeltà di una fotografia o una provetta dalaboratorio) anche lo “stabilimento” è un intreccio di relazionisuperficiali, di illusioni destinate a svanire nel dolore o nel ridicolo,di violenze mascherate dal sorriso o da un’ingannevole bonarietà.Bramani Araldi descrive con la perizia di un tecnico questo micro-cosmo e sceglie lo strumento classico della satira, della risata nonmorbida ma spigolosa, accumulando un catalogo di piccole battu-te, beffe crudeli, “tradimenti” e “congiure” impiegatizie. Non acaso la prima parte del volume ci presenta una coppia di personag-gi grotteschi che attraversano più racconti e incarnano (quasi conla forza di un’allegoria) il ‘male’ del labirinto industriale: il carrie-rista servile e incolto, l’inetta nobildonna costretta a lavorare comeoperaia, sono davvero le guide che ci introducono nel mondo gri-gio di Borgostinto come Virgilio conduce Dante nel buio dell’a-bisso. La discesa infernale è però all’insegna della farsa, come dice-vamo, e il nume del milanesissimo Gadda sembra presiedere amolte pagine di questi racconti, anche in certi divertissements lin-guistici sotto forma di spassose postille al testo.Ma la cornice comica è, appunto, una semplice cornice, perché ilcentro del quadro è occupato da una figura completamente diver-sa: quella di un uomo anziano, con la carriera alle spalle e spessodi salute malferma, in attesa della morte e capace di cogliere - sca-valcando il muro e la piccola vita dello stabilimento - la voce sot-tile della natura e il senso più autentico dell’esistenza. Sono i pro-tagonisti dei racconti finali della raccolta, tutti simili pur nella

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varietà delle loro vicende, a dare il tono di una scrittura malinco-nica e finemente meditativa, nascosta sotto la superficie satirica:vecchi pensionati che contemplano il ciclo dell’inverno e il ritor-no della primavera; operai orgogliosi di un lavoro ben fatto masempre in bilico sul fiume dei ricordi che li riporta indietro, “attra-verso gli occhi della memoria”, ai giorni lontani; uomini delusidalla vita eppure ancora capaci di fantasticare o appassionarsi peruna bicicletta, per un animale, per la musica. Questa sensibilità per i colori delle stagioni e per gli spazi ampidelle periferie, fra il disegno preciso degli edifici e le sfumaturedegli alberi, ricorda a tratti il Marcovaldo di Calvino e come inquel caso apre un varco al sogno di un mondo migliore:“Eppure l’aria era inusualmente trasparente in quella mattina d’a-prile di una pianura fino allora satura di nebbie e di brume, la lievebrezza generava una sensazione di serenità e, se non fosse eccessi-vo lasciarsi scivolare dentro queste debolezze, di gioia, la gentelavorava alacremente, alcuni addirittura fischiettavano, tutto simuoveva con armonia, quasi che anche il sistema industriale voles-se dimostrare in modo inequivocabile la propria appartenenza aun disegno superiore.”Ciò che Bramani Araldi chiama “debolezza” (con il pudore dei senti-menti che lo caratterizza) è proprio la cifra determinante della suascrittura: un lirismo rigorosamente contenuto eppure capace di agirein profondità, come lievito per una riflessione morale sul mondo(nello specchio del “sistema industriale”) che si spinge ai confini del-l’utopia. Poiché l’esistenza è fatta di “vuoto” e di “perdite irreparabili”ma anche di un “istinto di rinascita” che in certi attimi privilegiati sitrasforma in istinto “dominante”, chiamando tutti i viventi, “indistin-tamente”, a una rinnovata fiducia nel futuro. È questa fiducia ultima,nonostante tutto e contro tutto, il messaggio finale di questi racconti.

Rinaldo RinaldiOrdinario di Letteratura ItalianaUniversità di Parma

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LA MACCHINA GRIGIO-RAL

Mario impugnò di nuovo la ramazza e con cura, quasi delica-tamente, tolse i filamenti di cartone che imbrattavano il

pavimento; era sempre una gioia allontanare quegli elementi estra-nei e veder ricomparire le piccole piastrelle rettangolari, rosse elucenti, allineate, che si rincorrevano in lunghe file sfalsate e anda-vano, poi a nascondersi, come timorose di chissà quale audacia,sotto la macchina.I filamenti di cartone si raggruppavano, si univano a qualche fram-mento di vetro a formare un bel mucchietto, Mario li raccolseattentamente con un quadrotto di cartone e li gettò nell’appositocontenitore dei rifiuti. Si fermò a contemplare la sua opera, si acce-se l’ennesima sigaretta, uno sbuffo fra i denti ingialliti e un po’ irre-golari sotto i baffetti ispidi e biondi, malcurati, come i capelli, delresto, che a riccioli scomposti si accalcavano in testa e sul collo,sporgendosi, infine, sulla fronte a confondersi con le sopracciglia.Gli occhi erano la sua parte più bella: azzurri, non glaciali, ma caldi,infusi di una profonda serenità, che esternava con calma bonariaverso il prossimo, fosse il capo, fosse il compagno di lavoro.Un altro sbuffo di fumo, che si disperse sbiadendo nell’aria, e lacontemplazione della sua creatura riprese più intensa che mai.La sua macchina era lì, distesa, adagiata accanto a lui, aveva final-mente finito di ansimare, di vibrare e tintinnare: forniva un’im-pressione di grande pace e d’immensa, smisurata forza che potevascatenarsi in qualsiasi momento la mano del macchinista avessepremuto il pulsante d’avvio.

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LA MACCHINA GRIGIO-RAL

Mario impugnò di nuovo la ramazza e con cura, quasi delica-tamente, tolse i filamenti di cartone che imbrattavano il

pavimento; era sempre una gioia allontanare quegli elementi estra-nei e veder ricomparire le piccole piastrelle rettangolari, rosse elucenti, allineate, che si rincorrevano in lunghe file sfalsate e anda-vano, poi a nascondersi, come timorose di chissà quale audacia,sotto la macchina.I filamenti di cartone si raggruppavano, si univano a qualche fram-mento di vetro a formare un bel mucchietto, Mario li raccolseattentamente con un quadrotto di cartone e li gettò nell’appositocontenitore dei rifiuti. Si fermò a contemplare la sua opera, si acce-se l’ennesima sigaretta, uno sbuffo fra i denti ingialliti e un po’ irre-golari sotto i baffetti ispidi e biondi, malcurati, come i capelli, delresto, che a riccioli scomposti si accalcavano in testa e sul collo,sporgendosi, infine, sulla fronte a confondersi con le sopracciglia.Gli occhi erano la sua parte più bella: azzurri, non glaciali, ma caldi,infusi di una profonda serenità, che esternava con calma bonariaverso il prossimo, fosse il capo, fosse il compagno di lavoro.Un altro sbuffo di fumo, che si disperse sbiadendo nell’aria, e lacontemplazione della sua creatura riprese più intensa che mai.La sua macchina era lì, distesa, adagiata accanto a lui, aveva final-mente finito di ansimare, di vibrare e tintinnare: forniva un’im-pressione di grande pace e d’immensa, smisurata forza che potevascatenarsi in qualsiasi momento la mano del macchinista avessepremuto il pulsante d’avvio.

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La sirena roca, il lampeggiare intenso dell’unico occhio giallo e ta-ra-wrang e ta-ra-wrang avrebbe incominciato a melodiare, le bot-tiglie che scorrevano superbe, i quadrotti e le forchette di cartoneche scendevano precisi e implacabili a dividerle, i fustellati, ancheloro di cartone, che le avvolgevano... e si ripeteva il miracolo dellascatola elegantemente modellata che usciva traballante, ma subitoincedeva maestosa, avviata al suo ignoto futuro.Quanto avrebbe dato di sé, delle sue speranze, per poter schiaccia-re quel pulsante e sentirsi la guida sicura della sua grande passio-ne; chissà quante scatole in più avrebbe fatto l’imballatrice grigio-ral se avesse potuto sentire la sua mano forte!Si accontentò di sfiorarla delicatamente con i polpastrelli e sentìancora il sottile brivido di piacere che il toccare quel metallo sem-pre gli dava. Il suo amore era puro e semplice, non sapeva se fosseo no ricambiato, ma non gl’importava poi molto, sentiva che peressere felici occorre amare, dare un po’ di sé stessi, e se la macchi-na non voleva riamarlo, pazienza, anche se, nell’intimo, era con-vinto che un pochino di bene glielo volesse.

Eppure gli dava anche molte sofferenze: quando ne parlava con gliamici all’osteria del paese non riusciva ad essere freddo, ma si acca-lorava subito, le mani si muovevano rapide a descrivere le sue azio-ni, i suoi movimenti, l’insieme di ferro e di fili si animava, pren-deva vita con le parole, ma gli amici, le prime volte, sogghignava-no divertiti, urtandosi coi gomiti, poi, col tempo, ridevano e sghi-gnazzavano starnazzanti, irridendo senza alcun ritegno.Il “Zela”, non si è mai saputo l’origine del soprannome, alto,magro, magnifico esemplare di quella stirpe di muratori bergama-schi scolpiti nella pietra, forti, duri, grandi lavoratori, bestemmia-tori e bevitori, gli offriva un bicchiere colmo di vino greve e lo stuz-zicava: “Dai, Mario, conta su di quella volta che gliele hai cantateal macchinista, perché aveva sbagliato a far funzionare i comandi eaveva detto alla macchina che era un ammasso di ferraglia...”

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E Mario raccontava per la ventesima volta, ingollando grandi sor-sate del rosso liquido, deterso dalle labbra e dai baffi col dorsodella mano, passato più volte con studiata lentezza; e raccontavaestasiato alla platea che schiamazzava e l’angusto locale, offuscatodal fumo e quasi buio per la scarsa luce che penetrava dalle fine-stre troppo piccole e basse, si ampliava, diveniva il reparto, sedie etavoli rabberciati alla meglio svanivano lentamente e ta-ra-wrang,ta-ra-wrang, le bottiglie impettite a camminare sui nastri e la mac-china che le imballava e...All’ultima risata, Mario si voltò, sorrise debolmente, pensando aquanto fossero insulsi i suoi amici, aprì la porta e uscì al freddo. Lagiornata era grigia, una leggera nebbiolina intorno, l’aria ferma, glialberi spogli e le casette basse in fila irregolare lungo la via dove sor-geva l’osteria, tutto contribuiva a rendere triste e tetro l’umore diMario; era stato felice e leggero per un attimo, ma ora, mentre per-correva la salita che conduceva verso casa non si sentiva ben dispo-sto verso nessuno, non sapeva cosa fare, perché ogni cosa gli sem-brava inutile: meno male che lunedì sarebbe tornato a lavorare!Arrivò dinanzi a casa senza aver incontrato neppure un cane o ungatto, tutti rinchiusi, come i cristiani, a godere un po’ di tepore,ma non aveva voglia d’entrare, un presentimento strano di sciagu-ra imminente lo attanagliava allo stomaco, una specie d’angosciamai provata sino ad ora.Pensò fosse causa del tempo, degli amici o della noia, cercò rifugionei suoi ricordi, ciò gli dava sempre molto conforto, avviandosilungo il viottolo che, passando dietro il giardino, conduceva inmezzo ai campi.Gli piaceva ricordare di Giulia, bella, tanto bella, biondissima, conla carnagione pallida, gli occhi azzurri e un perenne sorriso sma-gliante: era la reginetta del paese. Tutti la guardavano, la corteggia-vano e anche a lui piaceva, eccome! La seguiva da lontano, senzaavvicinarla, in silenzio. Era bello vederla camminare, con quel passoelastico, non molto veloce, lievemente ancheggiante, vissuto con

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E Mario raccontava per la ventesima volta, ingollando grandi sor-sate del rosso liquido, deterso dalle labbra e dai baffi col dorsodella mano, passato più volte con studiata lentezza; e raccontavaestasiato alla platea che schiamazzava e l’angusto locale, offuscatodal fumo e quasi buio per la scarsa luce che penetrava dalle fine-stre troppo piccole e basse, si ampliava, diveniva il reparto, sedie etavoli rabberciati alla meglio svanivano lentamente e ta-ra-wrang,ta-ra-wrang, le bottiglie impettite a camminare sui nastri e la mac-china che le imballava e...All’ultima risata, Mario si voltò, sorrise debolmente, pensando aquanto fossero insulsi i suoi amici, aprì la porta e uscì al freddo. Lagiornata era grigia, una leggera nebbiolina intorno, l’aria ferma, glialberi spogli e le casette basse in fila irregolare lungo la via dove sor-geva l’osteria, tutto contribuiva a rendere triste e tetro l’umore diMario; era stato felice e leggero per un attimo, ma ora, mentre per-correva la salita che conduceva verso casa non si sentiva ben dispo-sto verso nessuno, non sapeva cosa fare, perché ogni cosa gli sem-brava inutile: meno male che lunedì sarebbe tornato a lavorare!Arrivò dinanzi a casa senza aver incontrato neppure un cane o ungatto, tutti rinchiusi, come i cristiani, a godere un po’ di tepore,ma non aveva voglia d’entrare, un presentimento strano di sciagu-ra imminente lo attanagliava allo stomaco, una specie d’angosciamai provata sino ad ora.Pensò fosse causa del tempo, degli amici o della noia, cercò rifugionei suoi ricordi, ciò gli dava sempre molto conforto, avviandosilungo il viottolo che, passando dietro il giardino, conduceva inmezzo ai campi.Gli piaceva ricordare di Giulia, bella, tanto bella, biondissima, conla carnagione pallida, gli occhi azzurri e un perenne sorriso sma-gliante: era la reginetta del paese. Tutti la guardavano, la corteggia-vano e anche a lui piaceva, eccome! La seguiva da lontano, senzaavvicinarla, in silenzio. Era bello vederla camminare, con quel passoelastico, non molto veloce, lievemente ancheggiante, vissuto con

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trasporto, con la consapevolezza di piacere e di essere ammirata.Ricordava che faceva un lungo giro per incrociarla all’uscita del-l’emporio, per poterle dire: “Ciao Giulia”. “Ciao Mario, vai a farla spesa?”. - “Eh, sì, ciao”. Il dialogo finiva lì, ma era sufficiente adilluminare l’intera giornata.Questi pensieri gli traversavano la mente, mentre a testa bassa, lemani affondate nelle tasche, ripercorreva il viottolo verso casa, sisentiva un po’ meglio, anche se il senso d’angoscia non lo aveva deltutto abbandonato.

Il lunedì sveglia, alle quattro ovviamente, perché alle cinque c’è iltreno, fuori è ancora buio, fa un freddo intenso, umido, la nebbiaè più fitta e la luce dei radi lampioni fa fatica a forare l’aria pesan-te intorno.Il treno ansimante, che cigola in ogni giuntura, che sobbalza conti-nuamente, anche lui freddissimo - il riscaldamento non è ancorariuscito a vincere il gelo della fermata notturna nella stazione dicapolinea - lo accoglie; s’infila in un angolo e cerca di sonnecchiarecome quei pochi che come lui devono essere in fabbrica per le otto.“Maledizione, come sto male, devo aver bevuto un po’ troppo bar-bera ieri, questo stomaco non funziona proprio”; l’angoscia haripreso come domenica, anzi forse è più graffiante, neanche laGiulia lo aiuta.Il treno cammina nella campagna buia, i contorni di case, alberi eoggetti sono così sfumati che riesce difficile distinguere dove ci sitrovi, Mario tenta di guardare fuori, ma, come spesso gli accade, silascia cullare dal dondolio e si appisola, la testa ciondoloni chescende quasi a toccare, con il mento, il petto, poi, improvvisamen-te s’inarca verso lo schienale in un breve momento di lucidità, perritornare lentamente verso la posizione iniziale. È un sonno agita-to, rumoroso, popolato da figure e azioni indistinte, che non la-sciano ricordo, ma, al risveglio lo fanno sentire più stanco e insod-disfatto di quanto non fosse prima di addormentarsi.

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L’arrivo in stazione, il tragitto verso l’uscita fra persone agitate efrenetiche che sgusciano da ogni parte, l’attraversamento dellestrade fino alla fermata dei pullman per Borgostinto, l’accoccolar-si in un sedile rimasto vuoto, è vissuto in una specie di dormive-glia, nel quale rimane vivo solo l’istinto di ripetizione di gesti e attisempre uguali.

Finalmente a Borgostinto, ecco lo stabilimento dove tra poco l’in-tensa attività giornaliera avrà inizio e dove lui avrà la sua parte,forse piccola, ma importante, essenziale, come tutti coloro che vioperano, del resto, e il portone ampio che inghiotte uomini eautomezzi; ma il senso di smarrimento c’è ancora e manca l’usua-le gioia che prova quando varca il cancello.Una gru, sinistra, enorme, orrenda, armeggia nel piazzale intornoad un autocarro parcheggiato vicino al suo reparto: Mario noncapisce che cosa stia facendo, ma il grande gancio, la struttura pos-sente del braccio proteso, mal verniciato e scrostato, gl’incutetimore. E infine la mente realizza lo scopo della presenza dell’or-digno: una macchina nuova, rilucente, che assomiglia troppo aduna imballatrice, sta per essere scaricata.Si precipita nel reparto e le paure, i sospetti, le angosce diventanoconcrete e tangibili, una squadra di operai sta già lavorando intor-no alla sua macchina, la sta disancorando dal pavimento a piastrel-le rosse, la sta smembrando orribilmente pezzo per pezzo, senzarispetto, senza delicatezza, rozzamente.Mario non ha bisogno di chiedere, d’informarsi, la realtà alluci-nante è persino troppo evidente e il suo significato insopportabi-le. S’avvia mestamente allo spogliatoio e, mentre compie meccani-camente il rito della svestizione e della vestizione, ripensa connostalgia alla gioia che provava con la sua macchina che ora se nesta andando verso destini oscuri e lontani. Certo ci sarà la nuova,forse più efficiente, magari anche più bella, ma non potrà essere lastessa cosa, forse che l’innamorarsi di una donna sia possibile solo

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L’arrivo in stazione, il tragitto verso l’uscita fra persone agitate efrenetiche che sgusciano da ogni parte, l’attraversamento dellestrade fino alla fermata dei pullman per Borgostinto, l’accoccolar-si in un sedile rimasto vuoto, è vissuto in una specie di dormive-glia, nel quale rimane vivo solo l’istinto di ripetizione di gesti e attisempre uguali.

Finalmente a Borgostinto, ecco lo stabilimento dove tra poco l’in-tensa attività giornaliera avrà inizio e dove lui avrà la sua parte,forse piccola, ma importante, essenziale, come tutti coloro che vioperano, del resto, e il portone ampio che inghiotte uomini eautomezzi; ma il senso di smarrimento c’è ancora e manca l’usua-le gioia che prova quando varca il cancello.Una gru, sinistra, enorme, orrenda, armeggia nel piazzale intornoad un autocarro parcheggiato vicino al suo reparto: Mario noncapisce che cosa stia facendo, ma il grande gancio, la struttura pos-sente del braccio proteso, mal verniciato e scrostato, gl’incutetimore. E infine la mente realizza lo scopo della presenza dell’or-digno: una macchina nuova, rilucente, che assomiglia troppo aduna imballatrice, sta per essere scaricata.Si precipita nel reparto e le paure, i sospetti, le angosce diventanoconcrete e tangibili, una squadra di operai sta già lavorando intor-no alla sua macchina, la sta disancorando dal pavimento a piastrel-le rosse, la sta smembrando orribilmente pezzo per pezzo, senzarispetto, senza delicatezza, rozzamente.Mario non ha bisogno di chiedere, d’informarsi, la realtà alluci-nante è persino troppo evidente e il suo significato insopportabi-le. S’avvia mestamente allo spogliatoio e, mentre compie meccani-camente il rito della svestizione e della vestizione, ripensa connostalgia alla gioia che provava con la sua macchina che ora se nesta andando verso destini oscuri e lontani. Certo ci sarà la nuova,forse più efficiente, magari anche più bella, ma non potrà essere lastessa cosa, forse che l’innamorarsi di una donna sia possibile solo

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a fronte della perfezione dei lineamenti e delle forme?Mario può solo aggiungere la sua macchina grigio-ral ai ricordi piùbelli, alla Giulia, per esempio, per conservarsela vicino e farla rivi-vere come consolazione alle traversie della vita; e allora si rialza, siaggiusta i pantaloni, forse un po’ troppo larghi, stringe le bretelle,scende le scale e s’affaccia al cortile; lassù il cielo si sta schiarendo,una leggera parvenza d’azzurro compare timida fra gli ultimi bran-delli d’umidità: la giornata di lavoro sta per iniziare e la vita, colsuo infinito succedersi di gioie e di tristezze, riprende il suo tor-mentato corso.

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INDICE

PARTE PRIMA Gli “Eletti”Riunione al consorzioUna passione travolgenteSfida planetariaViaggio premioMostra di pitturaFesta da l’AmbroeusCorse di cavalli

PARTE SECONDAGli “Inferiori”La macchina grigio-ralTradimento in mensaLa congiuraSala medicaCosimo MezzasalmaMoviolaBenito e RobertoEmilioNeroneIl portavoce del CdFAndrea e LilianaLe BouganvilleeL’avventura del rag. Leopoldo

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INDICE

PARTE PRIMA Gli “Eletti”Riunione al consorzioUna passione travolgenteSfida planetariaViaggio premioMostra di pitturaFesta da l’AmbroeusCorse di cavalli

PARTE SECONDAGli “Inferiori”La macchina grigio-ralTradimento in mensaLa congiuraSala medicaCosimo MezzasalmaMoviolaBenito e RobertoEmilioNeroneIl portavoce del CdFAndrea e LilianaLe BouganvilleeL’avventura del rag. Leopoldo

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Roberto Bramani Araldi

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