S.T. - Democrazia e Disordine

download S.T. - Democrazia e Disordine

of 308

description

Volume irreperibile nel mercato del nuovo, che probabilmente non vedrà mai più, e nel mercato dell'usato

Transcript of S.T. - Democrazia e Disordine

  • 1990, Sidney Tarrow

    Traduzione di Salvatore Maddaloni

    Prima edizione 1990

    Questo volume stato pubblicato con il contributo del Hull Memorial Publication Fund of Cornell University

  • Sidney Tarrow DEMOCRAZIA E DISORDINEM ovim enti di protesta e politica in Italia

    1965-1975

    Editori Laterza

  • Propriet letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

    Finito di stampare nel gennaio 1990 nello stabilimento d arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari

    C L 20-3538-3 ISBN 88-420-3538-6

  • PREFAZIONE ALLEDIZIONE ITALIANA

    Questo un libro sui movimenti, sullazione collettiva e sulla politica in Italia dal 1965 al 1975. Dopo il declino, alla met degli anni Settanta, della protesta di massa, in questo paese comparsa una vastissima letteratura sul ciclo di protesta appena conclusosi. Alcuni di questi libri erano narrazioni delle vicende degli anni precedenti; altri si fondavano sulla ricca produzione ideologica dei movimenti; altri ancora erano ideologia tout court. Molti autori denunciavano il ruolo svolto in questo ciclo dai partiti e dalle istituzioni, e le loro opere erano caratterizzate da una reazione contro i disordini degli anni precedenti, secondo una tendenza esacerbata dal crescere del terrorismo organizzato, che ha contribuito a portare tutta una generazione di italiani ad avversare la politica di massa.

    Malgrado gran parte della letteratura sulla protesta si debba alla sinistra, sono pochi gli autori di quella tendenza che hanno esaminato a fondo in che modo la popolazione stessa ha vissuto quegli anni. Ci sono state delle analisi sui tassi di sciopero e sul loro rapporto coi trend economici, sugli atteggiamenti del pubblico verso forme non convenzionali di partecipazione, sulle vicissitudini dei gruppi rivoluzionari nati in quegli anni; ma pochi di questi studiosi si sono dati la pena di seguire in che modo si sviluppata lazione collettiva popolare, mentre molti si sono accontentati di difendere gli itinerari politici seguiti da loro stessio dalle loro organizzazioni.

    Una delle conseguenze di tutto questo che sappiamo ben poco circa le origini, le dinamiche o gli esiti dellondata di protesta pi ampia mai avutasi nella storia del paese dopo il fascismo. Unaltra conseguenza stata la sorpresa, la disillusione o le accuse di tradimento da parte di questa o quella organizzazioneo partito di sinistra quando com avvenuto molto prima di

    v

  • quanto chiunque prevedesse le masse sono scomparse dalla scena pubblica. E davvero sorprendente che coloro che credono nella classe lavoratrice come fonte di saggezza e di iniziativa rivoluzionarie abbiano prestato pi attenzione alla produzione ideologica delle lites intellettuali che allattuazione di unazione collettiva da parte della classe lavoratrice. Questo vale ancor pi per lItalia di oggi, in un periodo di generale riflusso ideologico.

    Se questo libro ha un contributo originale da proporre agli italiani, il fatto di prendere sul serio lidea che la storia di una societ si rispecchi nelle azioni collettive della sua popolazione. Con Edward P. Thompson e Charles Tilly le cui opere sono spesso citate ma raramente imitate io credo che le ondate di protesta scuotono una societ non perch gli intellettuali agitino le acque dello scontento, ma quando la gente osa esigere diritti e benefici che ritiene le appartengano. Queste ondate si placano quando la gente soddisfatta, o la sua militanza si esaurisce, o ridotta al silenzio dalla polizia o dal terrorismo, o quando infine presente una combinazione di tutte e tre le cose, come, a mio avviso, avvenuto nel caso italiano alla fine del periodo qui studiato.

    Chi alla guida dei movimenti rivoluzionari non pu far sollevare un popolo, cos come i partiti conservatori o revisionisti non possono fermare un sollevamento popolare una volta avviato. Quando inizia la mobilitazione di massa appare sulla scena della storia un nuovo attore, e sia i rivoluzionari che i moderati vengono sopraffatti. In suo nome alcuni possono salire sulla ribalta pubblica, ma non possono imporre le proprie direttive. E quando malgrado i loro sforzi o per via di essi londata di mobilitazione cala, questi gruppi possono rallentare il processo, ma non arrestarlo. Essi scelgono il loro ruolo entro una gamma limitata: lagitatore trasformatosi in giornalista, il burocrate di un gruppo di interesse, il politico accolto per cooptazione; pi raramente, e pi tragicamente, il fautore della lotta armata.

    In altri termini un ciclo di protesta ha una dinamica propria, una dinamica inscritta nella curva dellandamento della mobilitazione popolare. Esso articolato da alcuni leader di movimento che cogliendo la rabbia e la disponibilit della popolazione a unazione collettiva silludono talvolta di esserne i protagonisti e cercano di indirizzarla verso i propri obiettivi. nostro compito cercare di capire questi obiettivi, perch ci aiutano a spiegare dove si diffondono i cicli di protesta e quali sono i temi suscettibili di scatenare un incendio. Se per scambiamo la registrazione delle proposte degli intellettuali per la storia dei movi

    vi

  • menti di massa confondiamo le espressioni esterne del ciclo con la sua dinamica interna.

    Queste sono le ipotesi guida di questo libro. Esso si basato non sulle esperienze personali dellautore o su un modello deduttivo dei movimenti collettivi, ma su ben otto anni di lavoro consistente nella raccolta di materiale, in colloqui sia con gli ex-partecipanti sia con gli osservatori dei movimenti studiati, nella lettura dei loro documenti e nellesame delle forme e degli obiettivi delle loro azioni collettive. E solo mia la responsabilit se ho impiegato tanto tempo a ultimare un libro che avrebbe goduto di un pubblico pi vasto se fosse stato pi breve, o se fosse uscito nella ricorrenza del ventesimo anniversario del 1968. D altra parte devo ringraziare molte persone per aver alleviato quello che altrimenti sarebbe stato, senza il loro contributo, un ben pesante fardello.

    E stata la stimolante atmosfera del Center for Advanced Stu- dy in th Behavioral Sciences a Stanford (California) a convincermi che un tale studio avrebbe potuto essere compiuto. Il Cornell Center for International Studies ha fornito una copertura amministrativa al progetto. Il Cornell Government Department e il Cornell Institute for Social and Economie Research sono stati altrettanto prodighi di assistenza tecnica e finanziaria.

    La fase di raccolta dei dati stata la parte pi collettiva del progetto. A livello concettuale, esso ha tratto profitto dallispirazione di Charles Tilly, che desidero ringraziare calorosamente. A livello pratico, quattro giovani hanno compensato la mia ignoranza riguardo alle pi moderne tecniche di gestione e d analisi dei dati. Enrico Ercole stato il principale operatore del progetto. Martha Moorehouse ha portato a termine lopera da lui iniziata. Bonny Sweeney ha elaborato gran parte dei dati originari in forma leggibile per il computer, mentre Lisa King ha documentato e razionalizzato un complesso insieme di dati che ha reso disponibile allanalisi. Senza laiuto di questi giovani, impegnati a pieno nella ricerca, questo libro non avrebbe mai visto la luce.

    Nel corso degli anni molti studiosi e collaboratori sono entrati e usciti dal progetto. Tra essi desidero ringraziare in particolare Margherita Perretti, Rossella Ronchi, Jeffrey Ruoff, Michele Zaccheo e Tom Zamora per i loro contributi essenziali. Donatella Della Porta ha gentilmente condiviso con me la sua profonda conoscenza del terrorismo ed stata coautrice di un articolo, parte delle conclusioni del quale sono riferite nel capitolo X (Della Porta e Tarrow 1986).

    La prima e pi impegnativa parte del libro stata redatta

    VII

  • mentre ero Visiting Fellow presso PEuropean University Insti- tute di Fiesole. I miei ringraziamenti vanno allistituto, a Philippe Schmitter e Birgitta Nedelmann, e a Sieglinde Linford- Schreiner per il suo aiuto nelle ricerche, nonch a Henrietta Grant Peterkin per laiuto e i consigli mai venuti a mancare.

    Mentre ero in Italia ho avuto anche il vantaggio della testimonianza insostituibile di osservatori ed ex-partecipanti ai movimenti e ai conflitti esaminati in questo libro. Posso citare solo i nomi di Aris Accornero, Giovanni Arrighi, Ernesto Balducci, Bianca Beccalli, Luigi Bobbio, Paolo Ceccarelli, Rita di Leo, Bruno Dente, Yasmine Ergas, Sergio Gomito, Luigi Manconi, Ida Regalia, Marino Regini, Gloria Regonini, Michele Salvati, Adriano Sofri, Guido Viale e Danilo Zolo. Nessuno di essi in alcun modo responsabile delle mie interpretazioni, ma li ringrazio tutti per essere stati disponibili a esaminare un momento delicato del loro passato a beneficio di un osservatore esterno.

    Durante il mio soggiorno in Italia ho anche avuto accesso alla raccolta d archivio della Organizzazione dei lavoratori comunisti, attualmente conservata presso listituto Gramsci di Roma, allarchivio dellistituto Feltrinelli di Milano, nonch allarchivio della Camera del lavoro di Milano. Stefano Draghi, Renato Mannheimer e Guido Martinotti mi hanno messo a disposizione sia i loro consigli che le risorse dellistituto superiore di Sociologia di Milano. Desidero ringraziare in particolare Adriano Sofri per la sua disponibilit a riflettere su un decennio di militanza, dapprima in Potere operaio toscano e poi in Lotta continua.

    Diversi amici e colleghi hanno letto e commentato tante di quelle stesure successive che li considero praticamente dei coautori. Sono Luigi Bobbio, Donatella Della Porta, Bruno Dente, Miriam Golden, Stephen Hellman, Mary Katzenstein, Peter Lange, Liborio Mattina, Alberto Melucci, Gianfranco Pasquino e Carlo Trigilia. Sono grato per tutto laiuto e i consigli ricevuti da questi amici e colleghi, che naturalmente non hanno colpa alcuna di qualsiasi errore d informazione o d interpretazione.

    Il manoscritto stato ultimato a Cornell nel 1986-87 con limpareggiabile aiuto di Sonia Stefanizzi, che ha iniziato come assistente ed divenuta una collaboratrice (Stefanizzi e Tarrow 1988). Spero che il suo lavoro abbia tratto profitto da questa esperienza. Susan e Christopher Tarrow si sono sacrificati passando un anno fra le colline di Firenze, e soprattutto la prima mi sembrata ascoltare attentamente le disquisizioni senza fine sul lavoro che stavo compiendo.

    Ithaca, New York, maggio 1989

  • DEMOCRAZIA E DISORDINE

  • INTRODUZIONE

    I

    A partire dalla met degli anni Sessanta unondata internazionale di protesta inizi a spazzare lEuropa occidentale, come pochi anni prima aveva fatto negli Stati Uniti. Usando mezzi d azione collettiva diretti, perturbativi, talvolta violenti, dei movimenti si riversarono nelle strade, nelle universit e ai cancelli delle fabbriche, invocando nuovi diritti, laccesso alle risorse e talvolta la rivoluzione. Mescolando una seria minaccia al ridicolo essi sconvolsero le istituzioni, si opposero alle lites, attaccarono le autorit in unondata di proteste che segn linizio di un nuovo ciclo di mobilitazione.

    In un primo momento le proteste furono accolte con sorrisi e incomprensione. Ma via via che la spontaneit giovanile cedeva il passo alla protesta organizzata e che le dimostrazioni pacifiche sfociavano in scontri con la polizia, gli intellettuali furono pronti a riesumare diagnosi del passato: Anarchismo! sentenziava luno; Utopia! rispondevano gli altri. Via via che i movimenti crescevano i critici vi vedevano nientaltro che violenza o utopia, e persino i simpatizzanti cominciarono a essere imbarazzati dai loro eccessi. Post coitum omne animai triste.

    Considerato dal punto di vista di ventanni dopo, il decennio che va dalla met degli anni Sessanta alla met degli anni Settanta appare in una luce pi sfumata. Ci furono s eccessi, violenza e cosa peggiore di tutte terrorismo armato: ma comera avvenuto in periodi passati della politica di massa, una volta quietatosi il polverone divenne chiaro che i confini della comunit politica erano stati ampliati, un fatto questo che viene spesso dimenticato nel riflusso ideologico degli anni Ottanta. Ci furono dei cambiamenti nelle politiche pubbliche e nelle istituzioni; nuovi quadri di riferimento furono introdotti in quello che Gramsci chiamava il senso comune delle democrazie capitali-

    3

  • ste; e, cosa pi importante di tutte, un numero maggiore di cittadini prendeva ora parte alle decisioni che influenzavano la loro vita e nuove forme venivano aggiunte alla gamma di possibilit della partecipazione politica.

    Sullonda degli anni Sessanta gli studiosi di scienze sociali, cos come i politici, tentarono di capire cosa stava succedendo. Erano discordi nelle loro valutazioni. Un primo gruppo provava repulsione per il disordine e la violenza, considerava questo periodo come una pazza aberrazione della tendenza postbellica del capitalismo moderno (Crozier, Huntington e Watanuki 1975). Nei conflitti degli anni Sessanta alcuni vedevano una riproposizione del modo in cui, tra le due guerre, la democrazia era stata minata, dimenticando per, come ci ricorda Przeworski (1986), che la democrazia sempre un esito contingente del conflitto e non mai progredita senza lotta.

    Un secondo gruppo di studiosi si interess degli attori sociali coinvolti nei nuovi movimenti. Essi videro una generazione di giovani, sicuri della loro prosperit e sicurezza personale, che si ribellavano contro il materialismo dei loro genitori e letica dello sviluppo tipica del mondo postbellico (Feuer 1969). Ma questi osservatori studiarono gli atteggiamenti degli individui, non le loro azioni collettive e i loro fini (Inglehart 1971; 1977). Separare latteggiamento personale dallazione collettiva e dal suo obiettivo rende impossibile comprendere perch il ciclo della protesta sia iniziato proprio allora, e perch non sia continuato indefinitamente.

    Un terzo gruppo i fautori della teoria cosiddetta dei nuovi movimenti sociali1 sosteneva che quello proposto dai nuovi movimenti era niente di meno che un nuovo paradigma politico (Offe 1985). Erano nel giusto, ma sottolinearono talmente la novit dei movimenti da non accorgersi di quanto stretta fosse la loro simbiosi con la politica tradizionale. I nuovi movimenti la rifiutavano basandosi su motivazioni ideologiche, ma, alla fine del ciclo, si sarebbero dimostrati radicati in essa ancor pi profondamente di quanto loro stessi e i loro futuri interpreti spesso le medesime persone avessero capito.

    L ondata di protesta iniziata alla met degli anni Sessanta era un breve momento di scompenso dellequilibrio politico postbellico, come speravano i conservatori? Se cos era i movimenti po

    1 Ci sono troppi teorici dei nuovi movimenti sociali per poterli citare col posto e lo spazio che meritano. Per una loro rassegna vedi lintroduzione di B. Klandermans e S. Tarrow a Klandermans, Kriesi e Tarrow (a cura di), 1988.

    4

  • tevano essere tranquillamente considerati una ribellione giovanile e studiati come una manifestazione di alienazione o di ano- mia. Era essa il prodotto di atteggiamenti individuali post-ma- terialisti? In questo caso perch allora si prolungata fino agli anni Ottanta? Costituiva forse una rottura permanente col passato, come credevano i teorici del nuovo movimento sociale? In questo caso ne sarebbe seguito un drammatico sconvolgimento dellassetto politico-economico postbellico ma cos non stato. Oppure il ciclo non era tanto importante in se stesso quanto per i cambiamenti che indicava nelle societ occidentali e nelle loro forme acquisite di partecipazione? Se cos era, si dovrebbe analizzare lintera struttura del conflitto, e non solo i suoi aspetti pi perturbativi, le sue componenti attitudinali o le sue caratteristiche nuove pi evidenti. Questultima posizione lipotesi- guida di questo libro. Se non inseriamo i movimenti della fine degli anni Sessanta e degli inizi degli anni Settanta nei loro contesti sociali e politici nazionali non siamo in grado di giudicare n la loro novit n la loro ampiezza, e nemmeno il loro impatto sulla democrazia. Se non li studiamo nel loro insieme, evitando la tentazione di privilegiare questa o quella grande lotta, rischiamo di esagerare sia la loro peculiarit che la loro violenza. Per finire, se non li studiamo dal loro punto di vista dinamico corriamo il pericolo di dimenticare che sono stati parte di un ciclo ricorrente di mobilitazione e smobilitazione che si ripete praticamente in ogni generazione. Come osserva Alessandro Pizzor- no, se non prestiamo attenzione alla ciclicit della protesta, ad ogni nuovo insorgere di unondata di conflitto saremo indotti a ritenere d essere alle soglie di una rivoluzione, e quando londata inizia a calare predirremo la fine del conflitto di classe (Piz- zorno 1978, p. 291).

    Ci che successo in Europa occidentale e negli Stati Uniti negli anni Sessanta e Settanta non stata che la pi recente di una sequenza di cicli di protesta che periodicamente nata da conflitti strutturali politici di base nella societ capitalista. Bench il contenuto del ciclo fosse nuovo cos come lo erano in qualche misura i suoi attori e forme d azione esso ha seguito una parabola simile a quella delle precedenti ondate di mobilitazione. I conservatori forse lo considerarono pericoloso, ma se seguiva la logica della maggior parte dei cicli passati dalla rottura allistituzionalizzazione, dalla lotta alla riforma avrebbe potuto avere solo un effetto di crescita su quella democrazia che essi affermavano di voler difendere.

    C era molto di nuovo nei movimenti di quegli anni; ma la

    5

  • carica esplosiva del ciclo non proveniva n dal suo essere nuovo n dal suo essere vecchio, quanto da combinazioni di nuovo e vecchio, di movimento e di istituzione. Nei paesi in cui la situazione politica era instabile e vi erano alleati disponibili per i movimenti come lItalia l ondata di mobilitazione si prolungata; mentre l dove le coalizioni erano stabili o le lites repressive, le opportunit di protesta sono rapidamente svanite e ne seguita una smobilitazione. Il disordine nacque s dalla struttura fondamentale di conflitto della societ capitalista, ma fu attraverso la politica di ciascun paese cheja forma e le dimensioni del ciclo di protesta si determinarono. E su queste premesse che si basa questo lavoro.

    1. Il ciclo della protesta in Italia

    Date queste ipotesi, avremmo potuto procedere in svariati modi: risalendo nella storia per individuare un certo numero di diversi cicli di protesta, confrontando la forma e il contenuto del ciclo pi recente in diversi paesi, o incentrandoci su un singolo paese che fosse allinterno del contesto internazionale ma manifestasse effetti peculiari della sua storia e della sua politica. Io ho scelto di soffermarmi sul ciclo di protesta in Italia tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta.

    In quegli anni nacque e si esaur nella societ italiana una lunga ondata di azione collettiva. Essa irruppe per la prima volta con violenza in Alto Adige e poi comparve in scioperi organizzati e nella contestazione universitaria per finire col diffondersi agli operai e agli studenti liceali, a Nord e a Sud, a medici e pazienti, a ferrovieri e viaggiatori, a preti e parrocchiani, a regioni e citt rivali. Sfoci, nel decennio successivo, in una combinazione di violenza e istituzionalizzazione, ma solo dopo che si era raggiunto un culmine di mobilitazione di massa quale mai il paese aveva vissuto dai tragici anni del 1919-222.

    Quando i ricercatori hanno voluto assumere una data e un paese a emblema dellEuropa della fine degli anni Sessanta, si

    2 II periodo 1943-48, quando il fascismo era stato sconfitto ma lassetto politico postbellico non era ancora stato attuato, rivaleggia col nostro come intensit del conflitto. Tuttavia gran parte del conflitto di questo primo periodo era limitata alle fabbriche.

    6

  • sono rivolti alla Francia del maggio 19683, ma se gli eventi francesi furono spettacolari, la loro durata fu per breve e i loro effetti sociali rapidamente mutati di segno (Salvati 1981). Il ciclo italiano inizi prima, dur pi a lungo e influenz la societ e la politica pi profondamente di quello francese. Questi fatti gi da soli esigono che gli si presti molta pi attenzione di quanta ne abbia sinora ricevuta4. Un tale esame dimostrer che per capire la democrazia italiana contemporanea dobbiamo trascendere la visione secondo cui il periodo che va dal 1945 ad oggi non sarebbe altro che un lungo spettacolo allitaliana5.

    Gli studiosi della democrazia sono rimasti sempre colpiti dallapparente mancanza di stabilit della politica italiana. Ma se gli effetti del disordine sulla democrazia possono essere negativi, non dobbiamo commettere lerrore di concludere che la stabilit sia laspetto pi importante della democrazia o che come sostengono alcuni studiosi della teoria della democrazia essa stessa sia la democrazia tout court. D altra parte sarebbe errato concludere pi disordine uguale pi democrazia, anche se una democrazia in cui il disordine fosse impossibile non sarebbe affatto una democrazia.

    In netto contrasto con una tradizione interpretativa consoli- data, io sosterr che nel periodo tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta la democrazia italiana non solo sopravvissuta alle sue crisi, ma emersa come una democrazia ca-l pitalista matura bench altamente conflittuale. Il ciclo di protesta ha lasciato il paese con amarezze e divisioni, ma anche con un certo numero di importanti acquisizioni: alcune riforme-chiave, una gamma pi ampia di strumenti di partecipazione democra- ! tica, e alcuni elementi di una nuova cultura politica. I disordini

    3 In realt, molti autori inconsciamente fanno rientrare il Sessantotto italiano negli eventi del Maggio francese. Per un esempio tipico vedi il trattamento transalpino da parte di Martin Clark (1984, p. 374), il quale ha forse dimenticato che il movimento studentesco italiano aveva anticipato il Maggio francese di almeno un anno.

    4 La maggior parte della letteratura esistente costituita da ricordi personali, apologie e resoconti ideologici e organizzativi, gran parte dei quali si incentra disordinatamente sul movimento studentesco. Per quanto ne sappia io, solo uno studioso ha tentato una ricostruzione di tutto il periodo, Bob Lumley nel suo eccellente Social Movements in Italy, 1968-78, tesi di dottorato, Centre for Con- temporary Cultural Studies, Universit di Birmingham, Inghilterra, 1983. Gli sono particolarmente grato per avermi permesso di leggerlo e di citarlo. Per una trattazione particolarmente valida del periodo pi breve del 1968, vedi Ortoleva 1988.

    5 Cfr. LaPalombara 1987, cap. II.

    7

  • della fine degli anni Sessanta e degli inizi degli anni Settanta hanno generato un periodo di cambiamento politico che in ultima analisi stato fruttuoso per la democrazia italiana, e negli anni Ottanta le ha permesso di cominciare ad affrontare il problema della riforma istituzionale.

    In questo libro mi porr domande del tipo: qual stato il ruolo delle organizzazioni rivoluzionarie dei movimenti sociali di quel periodo nel far passare l Italia da un periodo di relativa pace sociale a uno di turbolenza generalizzata? Quali gruppi sociali hanno sostenuto i movimenti, e in che modo gli organizzatori di questi movimenti hanno cercato di attrarli a s? Che obiettivi avevano i movimenti, e cosa erano preparati a fare per ottenerli? In che modo le loro richieste si rapportavano ai programmi politici dei principali partiti ed organizzazioni sindacali? Una volta lanciata una protesta, con quale combinazione di riforma e di repressione hanno risposto le lites e le forze dellordine? E per finire: in che modo terminato il ciclo? Nella violenza? Nellistituzionalizzazione? O in una combinazione simbiotica delle due? E perch i temi cruciali della riforma istituzionale non sono stati affrontati sino al decennio successivo?

    2. Protesta, movimenti sociali e politica

    Questa nostra attenzione per la protesta solleva immediatamente il problema di una sua definizione. Definir protesta l impiego dellazione collettiva disgregante, diretta contro le istituzioni, le lites, le autorit pubbliche o altri gruppi a sostegno degli obiettivi collettivi dei suoi fautori o di coloro che essi affermano di rappresentare. Ci sono in questa definizione cinque elementi principali.

    Innanzitutto le proteste sono azioni collettive dirette, non delegate, i cui autori rifiutano la mediazione istituzionale. Grazie al loro contenuto di audacia e al loro effetto-sorpresa , esse creano incertezza tra gli interlocutori riguardo ai limiti fin dove sono disposti ad arrivare coloro che protestano, e permettono loro di superare almeno temporaneamente la debolezza e la mancanza d organizzazione abituali.

    In secondo luogo le proteste mirano prevalentemente a perturbare, e non specificamente alla violenza. Bench la violenza sia la forma estrema di protesta, coloro che protestano cercano pi spesso di sconvolgere i processi economici, lattivit gover

    8

  • nativa e il normale svolgimento della vita di ogni giorno che non a uccidere o a distruggere beni materiali (Eisinger 1973).

    In terzo luogo le proteste sono espressive. Con questo non intendo dire che non possano avanzare richieste strumentali, ma solo che per attirare lattenzione e ottenere solidariet le loro richieste sono spesso espresse in termini simbolicamente caricati e non negoziabili (Pizzorno 1978).

    In quarto luogo, per quanto siano espressive, le proteste comportano delle richieste che coinvolgono altri gruppi o alcune lites politiche o economiche. Queste richieste possono essere concrete0 simboliche, ma trasmettono una domanda di cambiamento di status, e spesso il desiderio di guadagnarsi un posto nella comunit politica.

    In quinto luogo, bench ricorrano ad azioni non convenzionali secondo modalit espressive, coloro che protestano effettuano scelte strategiche riguardo ai tempi, agli obiettivi e ai fini. Come nelle decisioni politiche ed economiche, anche la decisione di partecipare allazione collettiva il risultato di un intergioco di incentivi, probabili rischi e costi percepiti.

    In altri termini io considero la protesta non unazione di massa incontrollata, ma una forma di espressione politica che lesito di un calcolo dei rischi, dei costi e degli incentivi. I gruppi protestano o quando non sono disponibili altri modi di esprimere1 loro interessi o i loro valori, o quando gli incentivi alla protesta sembrano pesare pi dei costi e dei rischi. Segue da questi presupposti che la probabilit che i gruppi ricorrano a unazione collettiva varia non solo in funzione di quanto sono avvertite le loro domande, ma anche a seguito della disponibilit di mezzi d espressione alternativi, dei costi e dei rischi percepiti dellazione collettiva e della presenza o assenza di eventuali organizzatori. Di consenguenza la protesta pu crescere anche quando le domande rimangono immutate.

    Il settore dei movimenti sociali

    Quali gruppi ricorrono alla protesta? Sono soltanto dei movimenti sociali organizzati? Sono gruppi anomici o ad hoc? Sono normali associazioni d interesse prese da una febbre temporanea? O tutte e tre queste cose? Io sosterr che la caratteristica distintiva di un ciclo di protesta lallargamento del settore dei movimenti sociali cos da includervi quei gruppi che normalmente non ricorrerebbero a unazione collettiva al di fuori di un ambito convenzionale.

    9

  • La protesta stata frequentemente associata solo alle azioni dei movimenti sociali, che sono state definite in molti modi, ma che noi con Tilly intenderemo come una sfida organizzata, continuata e consapevole alle autorit esistenti. Una classe speciale di questi movimenti, che Tilly chiama movimenti sociali nazionali, quella in cui coloro che lanciano le sfide sono in conflitto con chi guida gli stati nazionali (1984, p. 304). Allinterno di questi movimenti si costituiscono delle organizzazioni che cercano di rappresentare, guidare e dare nuova forma al movimento, spesso in competizione reciproca per avere il suo sostegno.

    La protesta ha una funzione particolare per le organizzazioni di movimento, perch sopperisce alla loro mancanza di incentivi selettivi (Olson 1968). i movimenti mancano lorganizzazione e le risorse convenzionali con le quali attrarre e mantenere a s i sostenitori. Avanzando alle ltes o alle autorit delle richieste molto visibili, eclatanti e spesso irrealistiche, essi non solo attraggono e influenzano nuovi sostenitori, ma rafforzano anche la solidariet dei vecchi, conquistandosi lattenzione sia dei nemici sia degli alleati. Per i movimenti, lazione collettiva una risorsa utilizzabile in sostituzione degli incentivi accessibili a gruppi pi convenzionali (Lipsky 1968). Ne segue che quando perdono il sostegno, essi possono o cercare di protestare in modo pi radicale o cercare di assumere il controllo di incentivi selettivi.

    Questa caratteristica delle organizzazioni dei movimenti riguardo alla protesta comporta il fatto che per quanto la protesta si incentri sugli interessi e sui valori dei gruppi sociali, non ci si pu aspettare che sparisca in funzione diretta della soddisfazione dei loro interessi. Per una organizzazione di movimento in particolare nella sua fase di formazione le funzioni della protesta vanno oltre lottenimento delle richieste dei sostenitori (Pizzorno 1978). Tali organizzazioni spesso continuano a protestare molto tempo dopo che i temi politici originari sono scomparsi dal loro programma, perseguendo obiettivi che potrebbero essere considerati irrazionali se lunico scopo dei gruppi fosse il loro raggiungimento. Cos, dopo aver avuto avvio dagli interessi concreti degli attori sociali, un ciclo di protesta genera delle organizzazioni di movimento che lo sospingono avanti anche quando questi interessi sono stati soddisfatti, eliminati, o sono divenuti irrilevanti.

    Bench i movimenti spesso ricorrano alla protesta per ottenere dei vantaggi, questi vantaggi per le organizzazioni dei movimenti non vanno visti in termini strettamente economici, quanto strumentali ai loro pi ampi interessi, che sono quelli di

    10

  • consolidarsi, di mantenere la loro coesione interna e reputazione esterna, di distinguersi da nemici e concorrenti. Ecco perch non possiamo sperare di capire i movimenti sociali come semplici aggregati dei desideri dei singoli di ottenere benefici economici razionali6. Un ciclo di protesta iniziato attraverso le richieste concrete degli attori sociali stimola la formazione e la trasformazione di organizzazioni di movimento che lo portano avanti anche dopo che queste richieste sono state accettate, ignorate e rese irrilevanti.

    Movimenti e altri gruppi

    Malgrado siano gli attori pi centrali e visibili delle ondate di protesta, i movimenti organizzati non monopolizzano lazione collettiva durante queste fasi. Da una parte, infatti, nascono forme spontanee di azione collettiva che trovano una piattaforma per le proprie domande nellorganizzazione della vita quotidiana; dallaltra, in particolare quando il disordine generale, i gruppi d interesse, i partiti politici e le istituzioni utilizzano la protesta per ottenere il soddisfacimento delle richieste dei loro aderenti. Bench in periodi pi tranquilli operino allinterno delle istituzioni, durante le ondate di protesta questi gruppi competono coi movimenti convenzionali adottando, sebbene in forma pi convenzionale, tattiche non convenzionali. Soffermandosi unicamente sulle azioni dei movimenti organizzati, molti studiosi non colgono il ruolo importante che ricopre, nel rafforzare un ciclo di protesta, lazione collettiva, sia spontanea sia istituzionalizzata.

    Movimenti e competizione politica

    Il fatto che abbiamo incluso nel nostro studio le assemblee ad hoc, i gruppi d interesse e i gruppi istituzionali fa capire che parleremo di un ciclo di protesta che , al tempo stesso, interiormente differenziato e politicamente competitivo. Queste caratteristiche

    6 Un buon esempio dei rischi di una concezione strettamente economica della partecipazione in Olson (1968), il quale ha sottolineato la difficolt di stimolare la partecipazione di gruppo proprio nel momento in cui il mondo occidentale stava vivendo unesplosione di partecipazione. Vedi la stimolante critica in Hir- schman 1982.

    11

  • del settore dei movimenti sociali aiutano a spiegare le dinamiche del ciclo. Infatti la presenza di un pubblico di massa disponibile alla mobilitazione, la competizione per avere il suo sostegno entro i movimenti organizzati e tra essi e i gruppi d interesse e i partiti costituiti, porta svariati gruppi e partiti ad adottare forme diverse di interazione con le lites e le autorit. Mentre alcuni adottano le strategie pi radicali, altri puntano a uno status pi istituzionale, allinterno del quale cercano di ottenere il controllo di risorse da mettere a disposizione dei loro sostenitori.

    Le lites possono incoraggiare e sfruttare queste diversit, nonch acuirle attraverso una repressione e una facilitazione differenziali. La repressione costringe alcuni gruppi alla clandesti-

    7 nit, dove lunica tattica che rimane la violenza, mentre altri sono indotti ad abbandonare lattivit del movimento sociale. Quando la strategia dello Stato intelligente e differenziata, le dinamiche del ciclo vengono disinnescate attraverso un equilibrio tra lo Stato e il sempre pi conflittuale settore dei movimenti sociali.

    Il repertorio di possibilit dellazione collettiva

    Questa differenziazione interna e competizione allinterno del settore del movimento sociale pu essere vista nel modo migliore attraverso levoluzione delle forme di azione collettiva cui si ricorre in fasi diverse del ciclo. Scrive Charles Tilly (1978, p. 151):

    In un qualsiasi momento il repertorio di possibilit delle azioni collettive disponibili a una popolazione sorprendentemente limitato, se si considerano gli innumerevoli modi in cui la gente potrebbe, in teoria, utilizzare le proprie risorse nel perseguimento di obiettivi comuni, e dati i molti modi in cui in unepoca storica o in unaltra i gruppi hanno perseguito i loro scopi comuni.

    Nel corso dei secoli il repertorio dellazione collettiva cambia molto lentamente, perch limitato sia dal ritmo del cambiamento strutturale (per esempio, capitalismo, sviluppo dello Stato) sia dalle aspettative circa le forme legittime d azione. Questo repertorio rientra nel ben noto scenario d azione che conduce alla violenza e alla detenzione, ma le cui regole sono note a tutti. Una data forma d azione collettiva non solo ci che i gruppi fanno quando sono coinvolti nel conflitto: anche ci che una

    12

  • societ giunta ad aspettarsi che facciano allinterno di un insieme di opzioni culturalmente sanzionato e limitato7.

    Ma un ciclo di protesta costituisce uneccezione importante al ritmo lentissimo col quale evolve il repertorio di forme di azione collettiva. Allinterno di questi cicli nuove forme di azione collettiva si succedono con rapidit. I gruppi adottano nuove forme d azione e le combinano con le vecchie, forme espressive si mescolano a forme strumentali, nuovi attori entrano in scena e altri adottano le loro forme d azione pi suscettibili di successo.I cicli di protesta sono il crogiolo entro il quale si altera il repertorio delle possibilit dellazione collettiva.

    Nel corso di un ciclo le forme di azione collettiva cambiano via via che gruppi diversi, con risorse e tradizioni diverse, entrano nel gioco, e via via che la capacit di perturbazione delle forme ereditate di azione collettiva svanisce. Le forme di azione collettiva sono anche influenzate dalle dimensioni e dalla competitivit allinterno del settore dei movimenti sociali. Via via che appaiono nuovi gruppi che esigono il sostegno delle masse, infatti, la competizione interna porta alcuni ad adottare forme di azione sempre pi radicali, mentre altri si dirigono verso le istituzioni per accedere alle risorse. Vedremo pi avanti in che modo questa spirale di differenziazione tattica sia legata alla dinamica del ciclo. La competitivit allinterno del settore dei movimenti fra destra e sinistra, e fra partiti, sindacati e movimenti una ragione chiave dellintensit del ciclo in Italia.

    3. I cicli di protesta

    Osserva Peter Gourevitch (1986, p. 9) a proposito dei cicli economici:

    Sette anni di vacche grasse, sette di vacche magre il racconto biblico esprime il concetto di ciclo economico [...] Il sogno del faraone pu essere inesatto riguardo alla lunghezza di ciascuna fase particolare, ma col concetto di ciclo esso coglie un aspetto importante della realt.

    7 Come scrive Stinchcombe (1987, p. 1248), gli elementi del repertorio d azione collettiva sono dati [...] simultaneamente dalle capacit dei membri della popolazione e dalle forme culturali della popolazione.

    13

  • I cicli economici sono di lunghezza irregolare, non sono prevedibili nelle origini e sono variabili di forma. Ricorrono abbastanza spesso e hanno dato origine a una letteratura sufficente- mente vasta da averli resi un tema centrale della teoria economica. Non altrettanto pu dirsi per i cicli politici.

    Lungo tutto larco della storia vi sono state delle variazioni regolari nei fenomeni politici: la nascita e la caduta di imperi, i cicli di riforma, le elezioni critiche, i cicli di impegno politico. Tuttavia lo studio dei cicli politici raramente andato oltre le classificazioni o le indagini pi generiche sulle loro cause. Ci che deve ancora essere spiegato non sono le cause che periodicamente spingono i cittadini ad avanzare richieste dandosi a scioperi, dimostrazioni, tumulti, saccheggi e incendi, quanto il perch lo facciano in particolari momenti della storia, magari attenendosi a una qualche sequenza logica.

    La gente si riversa nelle strade e protesta in risposta a domande e opportunit profondamente sentite, ma questo genera un ciclo solo quando i conflitti strutturali sono sia profondi che visibili, e quando il sistema politico lascia spazio alle possibilit di una protesta di massa. I cicli iniziano allinterno delle istituzioni attraverso forme organizzate di azione collettiva. Da l passano a un momento di follia, o di rottura (Zolberg 1972). E questultimo, con il culmine di mobilitazione che esso genera, a fornire i modelli dellazione collettiva, le persone, i temi e le nuove strutture interpretative che danno nuova energia alle forme convenzionali di azione collettiva.

    Via via che nuovi gruppi si mobilitano e i movimenti organizzati cercano di attrarli a s, la competizione porta a una radicalizzazione dellazione collettiva. Essa fa in modo che a richieste pi specifiche si sostituiscano programmi pi generali, conducendo a una maggiore ideologizzazione e al ricorso alla violenza. Il risultato che molti partecipanti rifiutano lazione collettiva e tornano a rifugiarsi nel privato mentre altri cercano dei ruoli allinterno delle istituzioni, e una piccola minoranza elabora forme d azione violenta che accrescono il ricorso alla repressione da parte dello Stato e il rifiuto dellazione collettiva da parte del pubblico. Il ciclo termina dunque per via della sua dinamica politica interna, e non perch i problemi economici siano risolti, o perch il coinvolgimento privato sostituisca quello pubblico nelle preoccupazioni dei gruppi (Hirschman 1982).

    14

  • La struttura delle possibilit politiche

    Questo approccio porta la nostra attenzione sulle condizioni politiche nelle quali il ciclo inizia, si evolve e termina, perch a seguito di queste condizioni che la protesta diventa plausibile e pu diffondersi dalle sue sedi originarie ad altri settori della societ. Tra queste condizioni possono esservi: la divisione tra le lites, la parziale apertura allaccesso di gruppi prima marginali, la comparsa di nuovi gruppi sociali con nuove risorse e la diffusione di nuove strutture interpretative allinterno della societ8.

    I cambiamenti nella struttura delle possibilit politiche forniscono ai gruppi delle risorse che accrescono lefficacia della loro protesta per esempio una stampa che li guardi con favore o dei partiti politici che cerchino un vantaggio elettorale oppure ancora i costituenti della coscienza (McCarthy e Zald 1977). Inoltre spingono a protestare alcuni gruppi non rappresentati, inducendoli a credere che i costi della protesta siano abbassati come quando un partito politico che li vede con favore entra in una coalizione governativa e afferma di non essere disposto a dare sostegno alla repressione. Per finire, questi cambiamenti aiutano i ceti popolari a individuare i punti di vulnerabilit del sistema, permettendo loro di superare la propria mancanza d unit e d informazione.

    Una struttura aperta delle possibilit politiche contribuisce a dare il via a un periodo di protesta, ma non rimane immutata durante il suo svolgimento. Da una parte i primi arrivati del ciclo di protesta se hanno successo forniscono dei modelli d azione e una prova della vulnerabilit delle lites, tali da indurre dallaltra nuovi attori a entrare nel settore e alcuni appartenenti allarena politica a offrirsi come alleati; ma dallaltra il successo di chi protesta pu far scattare delle reazioni i cui effetti sbarrano la strada alle possibilit politiche. Si verifica una contromobilitazione, vi una reazione di rigetto nellopinione pubblica, le forze dellordine si ricompattano adattandosi alle nuove sfide. In alcuni casi come in Italia nasce un movimento di segno opposto che sfida fisicamente il movimento, radicalizzan- do il conflitto e accelerando il calo della partecipazione di massa.

    Nel caso dellTtalia studiare la struttura delle opportunit politiche significa esaminare il sistema dei partiti, in seno al quale

    8 Per delle tipologie e analisi pi dettagliate della struttura delle possibilit politiche vedi Eisinger 1973, Mcdam 1982, Kitschelt 1985 e Tarrow 1983.

    15

  • sono maturate molte delle tendenze responsabili del ciclo, nonch il riallineamento politico confuso, contraddittorio e incerto della met degli anni Sessanta. E ormai di moda considerare un fallimento il centro-sinistra degli anni Sessanta; io sosterr invece che esso ha generato molti dei temi, alcuni dei leader e tutte le opportunit politiche allinterno delle quali sono maturati i movimenti di protesta. I nuovi movimenti degli anni Sessanta e Settanta sono dipesi per molti versi dalle opportunit politiche create dal periodo del centro-sinistra: dallo sconvolgimento del sistema dei partiti da esso prodotto, dagli alleati di percorso allinterno della classe politica, nonch dalla combinazione tra le nuove proposte politiche e la totale incapacit di elaborarle mostrata dai governi di centro-sinistra.

    Tuttavia non avvenuto solo che il sistema di partiti abbia fornito delle opportunit politiche ai movimenti di protesta, ma anche il contrario: i partiti e i gruppi d interesse hanno anche utilizzato le opportunit politiche presentate dal ciclo di protesta. La presenza di una base di massa attiva e pronta a mobilitarsi per unazione collettiva perturbativa, infatti, costituendo per la classe politica una minaccia, le ha dato lincentivo a portare avanti delle riforme che altrimenti avrebbero potuto essere bloccate, e pu aver contribuito a evitare quellinvoluzione reazionaria che alcuni allepoca ritenevano possibile.

    Le opportunit politiche create dai movimenti non si limitarono per ai partiti della sinistra e ai sindacati confederali; agli inizi degli anni Settanta vi furono sia un rafforzamento dei cosiddetti sindacati autonomi che un rigurgito della destra. Il primo doveva molto alla conflittualit creata dai movimenti e il secondo dipendeva dal backlash generato dallapparente incontrollabilit del settore dei movimenti sociali. Questa minaccia a sua volta stata una delle ragioni del coagularsi della sinistra istituzionale intorno a un progetto di solidariet nazionale. Fu proprio il fatto che nel 1976 il principale partito d opposizione di sinistra si fosse inserito nel sistema ad aprire il periodo pi disperato del terrorismo organizzato.

    Le opportunit politiche hanno contribuito anche a chiudere il ciclo: quando esso terminato, infatti, invece di portare a un nuovo paradigma politico, come alcuni teorici avevano pronosticato, alcuni movimenti hanno generato sette e bande terroristi- che, altri si sono evoluti in partiti o gruppi d interesse, e un gran numero di persone che erano state accolte nei movimenti sono passate nel sistema dei partiti esistente. Via via che la mobilitazione andata calando le lites hanno riaffermato la propria au

    16

  • torit attraverso una combinazione di riallineamenti, repressione e riforme. Quello che era iniziato come un movimento contro la politica terminato dentro la politica: il ciclo di protesta ha fornito la materia prima di una nuova fase di sviluppo politico.

    Le dinamiche del ciclo

    Riassumendo quanto detto sinora, il ciclo di protesta pu essere visto come una serie di decisioni, individuali e di gruppo, volte a intraprendere unazione collettiva nel contesto di alcuni fattori sistemici generali, bench non uniformemente vissuti, che danno il via al ciclo e contribuiscono a mantenerlo in vita. Come nel ciclo economico, in quello politico i fattori originari che danno vita alla protesta sono strutturali, ma non sono in grado di spiegare direttamente tutte le azioni che si verificano durante il suo corso. Una volta che il ciclo iniziato, le azioni di alcuni gruppi fanno scattare le reazioni degli ultimi arrivati, reazioni che possono essere indipendenti dai fattori strutturali che hanno spinto i primi arrivati.

    Consideriamo come esempio una depressione. I fattori generali che le danno inizio e la prolungano sono sia strutturali (per esempio iperproduzione, tassi e margini d interesse che inducono al rischio) che situazionali (per esempio il clima del mondo degli affari). Essa inizia quando singoli gruppi spesso in risposta a un fattore di scontento improvvisamente comparso quale un crollo della Borsa perdono fiducia nel mercato, poi ampliata dalle reazioni allimpatto di questi effetti per esempio dallimitazione (quando inizia la corsa agli sportelli delle banche) o dalla reazione (quando queste paure portano alla preclusione del diritto di riscatto delle ipoteche) e ha termine quando il governo e altri gruppi di potere intraprendono unazione per invertire il ciclo, e i gruppi reagiscono tornando agli abituali comportamenti economici o inventandone di nuovi.

    La dinamica di un ciclo di protesta pu essere vista allo stesso modo, con leccezione che ci che fa progredire un ciclo di protesta la decisione di alcuni gruppi eli intraprendere azioni collettive contro le lites, altri gruppi o le autorit pubbliche. I cicli di protesta sono anche simili ai cicli economici nel senso che le organizzazioni crescono in risposta a un aumento delle richieste dei gruppi. Questi gruppi possono essere nuovi o vecchi. Essi competono per il sostegno dei gruppi con diverse combinazioni di programmi e forme d azione.

    17

  • Se un aumento delle richieste a portare alla formazione di nuovi movimenti organizzati e a indurre i vecchi a entrare nel settore dei movimenti, cosa porta al progressivo esaurirsi del ciclo? Non possibile una risposta in astratto; tuttavia gli elementi sinora addotti ci forniscono le basi per una spiegazione. Proprio come stata la mobilitazione popolare ad aver inizialmente indotto i gruppi a protestare e ad aver portato i movimenti organizzati a coagulare le loro richieste, allo stesso modo la smobilitazione prodotta dalla stanchezza, dalla repressione e dalla riforma a portare alla fine del ciclo. I gruppi cessano lazione collettiva perturbativa quando le loro richieste immediate sono soddisfatte, quando si stancano dei rischi e dei costi sostenuti e quando diventa troppo pericoloso riversarsi nelle strade.

    Le ragioni di questultimo aspetto sono lelemento pi controverso del ciclo. Esso dipende in parte dal fatto che la polizia diventa pi aggressiva via via che le pressioni politiche le hanno addossato lonere di porre fine ai disordini, ma anche dal fatto che, cercando di ottenere sostegno, i movimenti organizzati si superano e attaccano reciprocamente con mezzi sempre pi radicali. Proprio come, al culmine di un ciclo economico, la gente continua a investire e a costituire nuove societ in un momento in cui la domanda in calo, allo stesso modo in una certa fase del ciclo di protesta continuano a costituirsi nuovi movimenti organizzati anche se la partecipazione in declino. Il risultato che vi un numero sempre maggiore di movimenti organizzati in competizione per ottenere ladesione di una base sempre pi ristretta di sostenitori potenziali. Questa ricerca di adesione avviene ricorrendo a una retorica e a forme d azione collettiva sempre pi radicali. L esito finale la violenza, che porta molti ad abbandonare lattivit del movimento, e di conseguenza al termine del ciclo.

    4. Metodi e obiettivi

    La strategia della ricerca or ora riferita sarebbe quella di studiare empiricamente le azioni collettive di chi effettua una protesta e le loro interazioni con altri soggetti e con le autorit pubbliche, lungo un certo arco di tempo, per vedere in che misura la forza e le forme osservate del conflitto sociale e politico coincidano con questo modello basato sulla partecipazione, i movimenti organizzati, la competizione, la violenza e il progressivo calo

    18

  • del ciclo. Come far questo effettivamente tuttaltro problema.Alla fine degli anni Sessanta negli Stati Uniti un certo nu

    mero di studi quantitativi dellazione collettiva furono stimolati dalla guerra del Vietnam e dalle manifestazioni di violenza nei ghetti neri. Questi studi cessarono di apparire poco dopo la fine degli anni Sessanta, in parte perch gli americani, come gli italiani un decennio pi tardi, ne avevano avuto abbastanza dei disordini, ma anche perch la maggior parte delle ricerche studiava la violenza utilizzando statistiche governative che vedevano ben poco al di l di essa; si prestava cos poca attenzione a gran parte delle proteste non-violente o ai processi di mobilitazione e smobilitazione.

    Due importanti eccezioni furono la ricostruzione storica a lungo termine del conflitto sociale americano da parte di William Gamson (1975) e lopera di Charles Tilly e dei suoi collaboratori in Francia e Inghilterra9. Entrambi questi studiosi hanno elaborato unampia concezione dellazione collettiva nella quale la violenza rappresentava una variabile e gli interessi di gruppo erano centrali: intorno allo studio dei gruppi sfidanti nel caso di Gamson e del contendere nel lessico di Tilly. Attraverso lanalisi dei giornali e delle fonti documentarie entrambi sono riusciti a collegare i resoconti dellazione collettiva dei movimenti alle reazioni delle lites, degli oppositori e dei gruppi alleati lungo un certo arco di tempo.

    Quali che fossero i vantaggi e gli svantaggi di questi approcci, in Italia essi sono penetrati lentamente nelle scienze sociali, mentre i movimenti continuano a essere ampiamente studiati attraverso i loro documenti, le loro affermazioni ideologiche e le decisioni strategiche dei loro leader (per delle eccezioni importanti si vedano le opere di Alberoni, Della Porta, e soprattutto di Me- lucci citate nella bibliografia). Questo libro cercher di correggere questo squilibrio incentrandosi prevalentemente sulla nascita e sulla caduta, sulla diffusione e la composizione della mobi

    9 Voglio segnalare il mio debito a Tilly, il cui contributo a questo studio stato personale oltre che professionale. Tra i suoi contributi alla teoria e allanalisi dellazione collettiva i pi importanti sono probabilmente il suo lavoro sulla Vandea (1964), il suo commento sul contributo dello studio dellazione collettiva europea allo studio della violenza americana (1969), lanalisi sua e di Edward Shorter degli scioperi francesi (Shorter e Tilly 1974), il quadro teorico che egli ha elaborato per lo studio dellazione collettiva (1978) e la sua recente ricostruzione della storia dellazione collettiva in Francia (1986a). La sua opera sullInghilterra tuttora in corso (ma vedi Tilly 1978 e 1986, per delle anticipazioni della sua ricerca).

    19

  • litazione di massa, collegandola alle strategie dei movimenti e delle organizzazioni che affermano di guidarli.

    A questo fine operer in molti modi. Utilizzando alcune fonti giornalistiche, come fa Tilly, studier sia gli aspetti qualitativi che quantitativi di un gran numero di proteste lungo un certo arco di tempo. Come Gamson mi soffermer sugli esiti della protesta, ma nel quadro di un periodo storico molto pi breve. I dati provenienti dai giornali saranno integrati da informazioni tratte da resoconti ufficiali, da fonti documentarie e da colloqui personali su movimenti particolari.

    Ci sono molte cose che uno studio della protesta effettuato in questo modo non in grado di mettere in luce. Per esempio, esso pu solo permettere delle inferenze a distanza sulle ideologie e gli obiettivi profondamente sentiti dei leader e dei loro seguaci, ma non pu analizzare quelle azioni che hanno luogo nel privato, lontano dalla pubblica attenzione, bench il loro effetto sul lungo periodo possa essere importante10. N questo approccio in grado di penetrare nei calcoli strategici, nei processi intergruppo o nelle strutture delle organizzazioni o delle reti del movimento sociale11.

    Queste obiezioni dovrebbero fungere da caveat importanti, ma non vanno sopravvalutate. Il compito di studiare i movimenti sociali attraverso la registrazione pubblica delle loro azioni difficile ma non impossibile, se non altro perch sia le organizzazioni che le ideologie dei movimenti possono essere colte attraverso le azioni di persone che agiscono collettivamente nel perseguimento dei loro interessi. Individueremo gli attori attraverso i resoconti delle loro azioni e richieste; utilizzando fonti complementari possiamo sia individuare le organizzazioni coinvolte, sia scoprire qualcosa sui loro rapporti; collegando tra loro gli episodi di protesta nello spazio e nel tempo possiamo ipotizzare la loro dinamica di fondo e il modo in cui si rapportano sia ai fattori strutturali che a quelli congiunturali.

    Poich quello che ci interessa lazione collettiva svolta pub

    10 Viene da pensare, per esempio, al movimento femminile, per il quale il personale politico.

    11 Melucci (1988) ha criticato questa metodologia sulla base che ci che viene osservato (utilizzando queste tecniche) in realt il prodotto dei rapporti e significati che costituiscono la struttura dellazione. L episodio di protesta il risultato oggettivato [...] di un intreccio di significati e rapporti, di un processo costruzionale che la base dellazione. Melucci forse sottovaluta l importanza dei risultati oggettivati per i rapporti di potere tra gruppi e nellinfluenzare le reazioni dello Stato.

    20

  • blicamente, i resoconti dei giornali sono una fonte di dati quasi obbligata. Agli scettici questo pu far pensare aUimmagine di un meccanico conteggio di elementi d informazione privi di alcun significato. Ma oggi lanalisi del contenuto dei documenti giornalistici andata molto oltre le sue origini, oltre il semplice conteggio degli scioperi, dei disordini e delle dimostrazioni. Abbiamo fatto ricorso a nuove tecniche di registrazione e recupero interattivo dei dati, che ci rendono possibile lutilizzo del computer per unanalisi non solo quantitativa ma anche testuale12.

    La tecnica fondamentale consiste nella registrazione nei files del computer delle descrizioni narrative accompagnate da indici numerici pi convenzionali, e nellutilizzare questi indici numerici per recuperare delle registrazioni testuali dai vari files per unanalisi pi qualitativa. In una permutazione ulteriore, linformazione testuale pu essere poi codificata e riportata ai files in forma quantitativa per unanalisi statistica. In questo modo lo studioso non costretto a pre-codificare e pre-digerire delle informazioni qualitative prima di saperne abbastanza per analizzarle con le capacit di cui eventualmente dotato. In questo studio i dati giornalistici sono tratti prevalentemente dal giornale nazionale di maggiore circolazione di quellepoca, il Corriere della Sera, nel periodo dal 1 gennaio 1966 al 31 dicembre1973. Ulteriori informazioni sono state raccolte da giornali locali quale La Nazione di Firenze, nonch da giornali dei movimenti, quali Lotta continua. In questo modo sono state registrate dettagliate informazioni su 4.980 episodi di protesta.

    I critici lamenteranno che il Corriere della Sera un braccio dellestablishment. Questa osservazione giusta, ma offre anche una spiegazione dellutilit di questo giornale. Dato infatti che noi ipotizziamo che la risposta alla protesta da parte delle lites e delle autorit pubbliche sia condizionata dalle proteste precedenti, quale strumento migliore potremmo desiderare del giornale che esse leggono? Altri studiosi che hanno utilizzato il Corriere come fonte di dati riferiscono che esso si occupato

    12 Per una descrizione di come Tilly ha utilizzato la registrazione e il recupero interattivo dei dati utilizzati in questo modo, vedi Schweitzer e Simmons (1981), e Tilly (1986a e b). Per le procedure da me utilizzate per raccogliere i dati per questo studio vedi Social Protest and Policy Innovation Study, Project Manuals (Ithaca, New York, disponibile su richiesta). Un facsimile del protocollo e un riassunto dei metodi pu essere trovato in Sidney Tarrow, Democracy and Di- sorder, Oxford University Press, Oxford 1989, Appendici A e B. Per unattenta valutazione dei rischi e dei vantaggi di utilizzare dei files contenenti episodi tratti dai giornali vedi Franzosi 1987a e b.

    21

  • della stragrande maggioranza dei conflitti rinvenibili anche in un campione di altri giornali nazionali13. D altra parte, il Corriere, come tutti gli altri giornali, molto meno adeguato come fonte d informazione sugli eventi locali, con leccezione della Lombardia, per la quale stato creato un subfile distinto relativo ai conflitti locali.

    Questo non significa che il Corriere della Sera dia un resoconto perfetto dellazione collettiva. Molte proteste sono passate inosservate, e limportanza di altre stata distorta. In particolare non possiamo aspettarci da esso un resoconto fedele di chi ha cominciato per primo nei frequenti scontri tra movimenti e forze dellordine, n cercheremo di farlo. Il Corriere stato scelto come nostra fonte giornalistica principale per quattro ragioni. Innanzitutto il pi vecchio giornale nazionale nel paese ed ha lambizione di essere un giornale che fa testo. In secondo luogo, bench sia politicamente moderato, non controllato da nessun singolo partito o movimento. In terzo luogo, dato che esce a Milano, era vicino al cuore della protesta, sia nellindustria che in generale. In quarto luogo, essendo letto nei circoli economici dellItalia settentrionale, contiene molte notizie sul conflitto nellindustria.

    Altri studiosi, quali Roberto Franzosi, stanno elaborando unanalisi pi sofisticata dal punto di vista metodologico della stampa italiana per studiare lazione collettiva, gli scioperi e la protesta14. Io mi propongo di utilizzare la stampa quotidiana non come fonte esaustiva di tutto ci che successo, ma come quadro

    (enerale allinterno del quale analizzare le forme dellazione col- ettiva, i movimenti che ne sono emersi e i leader che li hanno utilizzati per organizzare i sostenitori e raggiungere i loro obiettivi.

    I resoconti dei giornali sono il punto di partenza di questa analisi, pi che il suo culmine. Nel corso dello studio, essi saranno affiancati dai documenti dei movimenti, da dati statistici nonch da quanto emerso da colloqui con osservatori ed ex-partecipanti, che mostreranno come il ciclo di protesta si sia sviluppato

    13 In una comunicazione personale allautore Alessandro Silj riferisce che in una verifica da lui effettuata su quattro principali giornali nazionali, oltre il 90 per cento degli episodi di violenza riportati in uno qualsiasi di essi era riportato anche nel Corriere. Sono grato a Silj per questa informazione.

    14 Franzosi ha in corso una dettagliata ricostruzione delle ondate di scioperi del periodo postbellico in Italia tratta da fonti giornalistiche. Per delle descrizioni della sua metodologia, vedi Franzosi (1987a e b).

    22

  • a partire dalle richieste di gruppi allinterno delle istituzioni, come abbia dato vita a movimenti organizzati e come attraverso un processo di differenziazione interna, di competizione e di alleanze vi sia ritornato.

    5. Piano delloperaIl libro parte dai livelli dellazione collettiva, dei movimenti

    sociali e delle organizzazioni di movimento generali, per arrivare a quelli pi specifici. Al livello pi generale tratta delle forme, degli attori e delle richieste nellazione collettiva in Italia in quel periodo. Allinterno di questa vasta area vengono analizzati tre dei principali movimenti sociali, e allinterno di questi movimenti sono analizzati il ruolo e le strategie di svariate organizzazioni di movimento.

    Nei capitoli dal II al V analizzo lazione collettiva a livello pi ampio. Nel capitolo II mi soffermo sugli sviluppi economici e politici dei primi anni Sessanta e sulla struttura delle opportunit politiche da essi generata. Nel capitolo III mostro come lascesa e la caduta di forme diverse di azione collettiva si conformino al modello di un ciclo di protesta. Nel capitolo IV passo in rassegna sia la successione dei gruppi sociali che sono ricorsi allazione collettiva sia i loro principali oppositori. Nel capitolo V mi soffermo su conflitti, richieste e ideologie di vario genere e metto in luce le due principali strutture interpretative che hanno contribuito a diffondere le proteste del periodo loperaismo e lidea dellautonomia.

    Nei capitoli VI-VIII esamino tre dei principali movimenti nati durante quel periodo. Nel capitolo VI parlo degli studenti universitari e degli effetti della loro rivolta nel far scattare quello che chiamo il culmine intensivo della mobilitazione. Il capitolo VII si sofferma sui lavoratori dellindustria, in rapporto sia ai sindacati che alla nuova sinistra. Il capitolo V ili illustra quanto fosse diffusa la protesta sociale attraverso lanalisi della rivolta nellistituzione pi tradizionale del paese, la Chiesa cattolica.

    Nei capitoli IX-XI mi soffermo sulla creazione e sulle dinamiche competitive delle organizzazioni dei movimenti sociali. Il capitolo IX sia una rassegna della nuova sinistra extraparlamentare sia un tentativo di illustrare il suo ruolo nel diffondere lazione collettiva. Nel capitolo X analizzo gli effetti del movimento della classe operaia su una delle principali organizzazioni

    23

  • extraparlamentari, Lotta continua, e come il declino della mobilitazione di massa labbia condotta dapprima alla violenza e poi verso listituzionalizzazione. Nel capitolo conclusivo esamino quelli che considero i tre esiti principali del ciclo italiano: violenza, istituzionalizzazione e crescita democratica. Esso mostra che alcuni gruppi hanno scelto la strada dellistituzionalizzazione mentre altri hanno scelto la violenza, ed esamina in che modo le due tendenze, allapparenza cos opposte, fossero in realt simbioticamente collegate. Nella sezione conclusiva espongo gli effetti del ciclo per la democrazia, sostenendo che se, con tutta probabilit, di questo periodo gli italiani ricorderanno la violenza e il terrorismo, gli esiti pi duraturi sono invece stati la formazione politica di una generazione attraverso nuove forme di azione collettiva, la diffusione di nuove strutture interpretative e lampliamento di forme autonome di partecipazione. Tesi centrale del libro che la lotta di classe democratica ha generato un periodo di disordini, alla fine del quale proprio il disordine ha contribuito a un ampliamento della democrazia.

  • CONFLITTI, RICHIESTE, OPPORTUNIT

    II

    Un Capodanno a Livorno

    Sabato 31 dicembre 1966. A Livorno un tranquillo ultimo dellanno. Lo stato anche dal punto di vista politico. Per Natale l amministrazione locale ha fatto mettere dei festoni di luci intermittenti nelle strade del centro storico, mentre la F g c i e la F g s hanno organizzato una ordinata manifestazione di solidariet col popolo del Vietnam.

    L ultimo dellanno, i giovani livornesi vagano senza meta per il centro storico, mentre la portaerei americana Independence con a bordo svariate migliaia di marinai entra lentamente in porto tra la nebbia. Ad accoglierli ci sono solo pochi manifesti stracciati rimasti dopo la dimostrazione dei partiti: Livorno rossa vi accoglie con lo stesso sdegno con cui il popolo vietnamita accoglie le vostre bombe (Il Telegrafo, 2 gennaio 1967).

    Domenica 1 gennaio. Una manifestazione giovanile molto diversa organizzata per accogliere lanno nuovo e VIndependence. Per oltre due ore un lungo corteo di studenti, di operai e di altre persone sfila per le strade della citt vecchia innalzando cartelli che chiedono la fine dellintervento americano in Vietnam. Non vi alcuna presenza di partito, ma nel raduno in piazza Grande i militanti delle federazioni giovanili comunista e socialista si mescolano ai maoisti e agli spettatori, mentre dagli altoparlanti vengono lanciati attacchi a non meglio specificati revisionisti colpevoli di non aver condannato con abbastanza vigore limperialismo americano ( il periodo in cui i comunisti cinesi attaccano lUnione Sovietica attraverso la mediazione del Pei).

    In piazza Grande un gruppo di studenti appende ai fili del tram un fantoccio di paglia vestito da marine con un cartello

    25

  • che dice: Joe, basta uccidere!. I vigili del fuoco venuti per rimuoverlo sono accolti dagli studenti con un coro di fischi. La folla rimane tranquilla fino a che non arriva una pantera della polizia. Improvvisamente, e senza alcuna ragione, ne scendono tre agenti coi manganelli che secondo lUnit hanno cominciato a colpire tutti i cittadini che si trovavano a portata di mano (3 gennaio, p. 2). Ne segue un fuggi fuggi degli studenti lungo via Grande (Corriere della Sera, 2 gennaio), finch la polizia perde le loro tracce nel dedalo di viuzze intorno al vecchio porto.

    Nel frattempo un gruppo di marinai americani in libera uscita si accalca in un bar, davanti al quale alcuni studenti li notano e cominciano a canzonarli. Il proprietario abbassa la saracinesca, che viene presa a calci e insulti dagli studenti. Poco distante una jeep della marina americana viene circondata e ribaltata, piegandone lantenna. Una pattuglia di carabinieri, in prevalenza giovani meridionali con scarse simpatie per gli studenti, si fa strada nella folla per liberare i marinai della jeep. Secondo i resoconti dei giornali prima che la folla si disperda tre poliziotti restano feriti e un dimostrante, un operaio, viene tratto in arresto (Corriere della Sera, 2 gennaio; Il Telegrafo, 2 gennaio).

    Luned 2 gennaio. Al loro risveglio i livornesi trovano la citt ricoperta di volantini che invitano: Cittadini, operai, giovani! Continuate a dimostrare senza tregua contro limperialismo americano!. Questi manifestini portano la firma misteriosa Militanti del Pei, del Psiup e sostenitori autonomi del Comitato livornese contro laggressione americana in Vietnam. Di questultimo nessuno ha mai sentito parlare, ma ha tutta laria d essere una creazione del Pcdi-ML dispirazione maoista.

    Chi sono i militanti del Pei e del Psiup che si sono uniti ai cinesi nella dimostrazione? La domanda rimane senza risposta perch nessuno dei due partiti ammette di averla organizzata. In realt, i manifestini prendono di mira dei non meglio specificati revisionisti che organizzano pacifiche dimostrazioni con lapprovazione della polizia, una chiara frecciata al Pei (Il Telegrafo, 3 gennaio). E possibile che il pi forte partito della sinistra sia colpito da lacerazioni interne?

    Il Pei non perde tempo a reagire. Bench guardi con simpatia alle lotte dei giovani democratici contro limperialismo, il partito nega ogni responsabilit dei volantini della mattina del 2 gennaio, e ricorda ai propri lettori la manifestazione della F gci tenutasi la settimana precedente. Questi volantini crudi e pro

    26

  • vocatori, scrive il segretario del partito, sono contrari al nostro spirito (lUnit, 3 gennaio). Quanto al segretario del P s iu p , egli afferma che le nostre proteste noi le facciamo nel rispetto della legge e alla luce del sole (Il Telegrafo, 3 gennaio). I partiti della sinistra sono confusi, irritati e imbarazzati. La stampa borghese coglie loccasione di questo loro sconcerto: Il Telegrafo afferma di esser venuto a sapere che il Pei profondamente preoccupato che i maoisti si infiltrino nelle sue dimostrazioni, radicalizzandole. La presenza dei cinesi, lamenta il partito, render ogni iniziativa un salto nel buio (4 gennaio). Il segretario del Pei costretto ad affermare che non si opposto alla dimostrazione, ma solo ai volantini. Si dice che svariate sezioni del Pei abbiano iniziato una campagna di sostegno ai dimostranti di Capodanno (7 gennaio).

    Ora la F g c i emette un comunicato, che lUnit non pubblica, in cui si criticano i leader del partito per il ritardo con cui hanno dato sostegno alla manifestazione per la pace (13 gennaio). La nuova sinistra accusa senza mezzi termini il Pei di gettar acqua sul fuoco della rivoluzione (Nuova Unit, 5 gennaio). Nella vicina universit di Pisa (frequentata da molti giovani livornesi) lepisodio non passa inosservato ai gruppi militanti a sinistra del Partito comunista.

    Che cosa pu dirci questo episodio, avvenuto in una citt portuale della costa toscana agli inizi del 1967, circa le fonti della mobilitazione di massa in Italia alla fine degli anni Sessanta?

    Innanzitutto, esso illustra le origini internazionali dellondata di protesta che stava per nascere in Italia, come in Francia e nella Repubblica federale tedesca. Bench avesse un colore provinciale, e riflettesse la struttura politica italiana, lepisodio di Livorno mostra anche che l ondata di protesta in Italia si radicava in un ciclo di protesta internazionale e in un sistema internazionale in via di mutamento.

    In secondo luogo, in esso compare un nuovo soggetto sociale dello sviluppo economico postbellico i giovani della nuova classe media che si afferma autonomamente dai partiti della sinistra ufficiale. Questa sfida ai partiti dominanti degli anni postbellici pass inosservata agli studiosi di scienze politiche, tutti presi a reificare la politica del passato nel momento stesso in cui essa si disfaceva sotto i loro occhi. Ma non pass inosservata ai piccoli gruppi rivoluzionari che cercavano di organizzarsi a sinistra del sistema dei partiti.

    In terzo luogo, se gli agenti delle perturbazioni future erano

    27

  • nuovi, gli allineamenti tradizionali del sistema politico italiano erano leggibili tra le righe. In realt, come vedremo, erano state proprio le spaccature allinterno della sinistra classica, aggravate dallesperienza del centro-sinistra, ad aver dato agli studenti e ad altri gruppi la spinta a portare nelle strade le loro richieste.

    In questo capitolo ci soffermeremo su due temi principali: innanzitutto il fatto che londata di protesta italiana non emerse dal nulla, ma si evolse a partire dalla transizione italiana a una fase nuova del capitalismo, matura ma altamente conflittuale, nonch dai conflitti di classe e politici da essa generati. In secondo luogo, il fatto che i temi che avevano spinto i nuovi movimenti sulla scena pubblica discendevano dalle spaccature politiche interne e dai problemi posti sul tappeto dai gruppi e dai partiti istituzionali1.

    1. La coalizione sociale e la politica

    Bench leconomia italiana postbellica fosse una variante del capitalismo misto che era fiorito in tutta lEuropa occidentale sino alla fine degli anni Sessanta, essa era particolare per via dello squilibrio tra il peso dello Stato nelleconomia, da una parte, e la sua incapacit nel dirigerla, dallaltra. Non si trattava per di uneconomia liberale classica, nemmeno di quel tipo di economia di mercato imposta dai governi che abbiamo conosciuto nellera di Reagan e della Thatcher. Infatti se gli imprenditori avevano facile accesso al potere, il partito al governo dipendeva dal punto di vista elettorale da tutta una gamma di altri clienti sociali: contadini, operai, cattolici praticanti, ceti medi autonomi, impiegati pubblici.

    Inoltre lo Stato mancava degli strumenti per unefficace politica di promozione degli interessi degli imprenditori in quanto classe. Molte risorse pubbliche erano profuse in imprese individuali, ma i dirigenti dellindustria mancavano di quellegemonia di cui godevano per esempio negli Stati Uniti o nella Francia

    1 L interpretazione che sar presentata in questo capitolo una sintesi di un certo numero di precedenti scritti e articoli che, per brevit, citer qui e dai quali attinger senza ulteriori citazioni. Le fonti principali sono Tarrow 1967, il capitolo conclusivo di Blackmer e Tarrow (a cura di), 1975, lintroduzione a G raziano e Tarrow (a cura di), 1979, la conclusione a Lange e Tarrow (a cura di), 1980, e Tarrow 1984.

    28

  • gollista. L Italia era uneconomia liberale per difetto. Questo significava che il partito al governo doveva mantenere la propria maggioranza relativa rispondendo a tutta una gamma di interessi sociali e regionali, e questo lo lasciava esposto a unerosione elettorale via via che le trasformazioni delleconomia postbellica sostituivano a parte della sua base sociale attori sociali nuovi e pi autonomi. La sua risposta al restringimento della base elettorale era stata non di elaborare una linea di politica economica tale da creare una nuova base sociale, ma, come vedremo pi avanti, di allargare la coalizione politica di cui era a capo.

    La coalizione sociale

    Il regime sociale dellassetto postbellico era per molti versi un pendant di quello che laveva preceduto. Il mondo imprenditoriale era stato spinto a liberarsi dalle limitazioni corporative entro le quali aveva operato per ventanni, e gli era stato concesso il quadro fiscale e monetario entro il quale farlo. Tuttavia, malgrado il suo populismo cattolico e la sua disponibilit a usare lo Stato come deposito di concessioni clientelari, la De non aveva goduto mai della piena fiducia della borghesia industriale, una classe che si trovava molto pi a proprio agio con il rigore fiscale e la preferenza per il mercato dei liberali che col populismo cattolico. La De facilitava il successo degli imprenditori in molti modi, ma non divenne mai il partito di classe della borghesia industriale.

    La diffidenza della borghesia industriale nei confronti della De non implica che la classe lavoratrice avesse una solida base nel partito al governo. Malgrado le professioni della De di essere al servizio del mondo del lavoro, e i vantaggi che essa offriva alla C isl nel settore gestito dallo Stato, il partito rifiutava il concetto di rappresentare i lavoratori in quanto classe. Ogniqualvolta vi era una minaccia di overheating delleconomia come agli inizi degli anni Sessanta veniva applicata una doccia scozzese per raffreddarla. E sino alla fine degli anni Sessanta, quando fu costretto a farlo, il partito al governo non riusc a creare un sistema moderno di relazioni industriali.

    La posizione subalterna dei lavoratori era pi una questione di politica, e di politica economica, che un fatto di politica sociale o di ideologia. La dipendenza della De dai suoi alleati americani, le divisioni ideologiche allinterno dei sindacati e il gioco politico basato sullisolamento del Pei significavano che laccesso

    29

  • della classe lavoratrice alla politica era limitato, e che in fabbrica la repressione, limmigrazione e i licenziamenti erano modalit dominanti di controllo della forza-lavoro, e questo a sua volta garantiva che i nuovi arrivati nella forza-lavoro industriale ereditassero le dure condizioni di lavoro dellassetto postbellico.

    La De aveva degli impegni ideologici ed elettorali verso altri gruppi. Per esempio, per via della loro posizione privilegiata nellideologia sociale cattolica e di calcoli elettorali, i contadini ottennero protezione e un inaudito accesso al credito, allassicurazione sociale e a un pi sicuro titolo di propriet sulla terra. Dopo le brevi ed esplosive occupazioni di terre alla fine degli anni Quaranta essi erano ricaduti nella passivit politica (molto pi che in Francia, per esempio). Questo costituiva una notevole conquista politica in un paese in cui non pi tardi del 1919-22 la societ rurale aveva conosciuto una vera e propria guerra di classe.

    In gran parte per la stessa ragione, e cio la dipendenza elettorale della De da essi, i ceti medi autonomi della citt e della provincia erano politicamente favoriti, in parte attraverso un sistema di tasse che non decurtava i loro redditi, ma pi fondamentalmente ponendoli nella condizione di trarre profitto nel modo pi vantaggioso da quel clima di mobilitazione individualistica che aveva contrassegnato gli anni postbellici (Pizzorno 1964). I commercianti, i piccoli imprenditori e gli artigiani erano favoriti dalla legge e dalla politica, e costituivano il nucleo della forza elettorale della De nella provincia.

    Il partito al governo gestiva dunque una coalizione interclassista basata sul clientelismo, sulla religione e sullanticomunismo, che aveva radici profonde tra i contadini e la classe media indi- pendente e meno radicate tra i lavoratori. Bench avesse contribuito allespansione economica pi grande nella storia del paese e a mantenere debole e divisa la classe lavoratrice, la De non aveva mai goduto della piena fiducia del mondo imprenditoriale, e il sostegno che le proveniva dalla classe media e dai lavoratori cominci a svanire a seguito dei cambiamenti strutturali e politici iniziati dal miracolo economico della fine degli anni Cinquanta. Ma fu solo negli anni Sessanta che le nuove e vecchie contraddizioni della politica economica emersero alla luce del giorno.

    30

  • 2. Trasparenza del conflitto e opportunit politica

    Vi unampia e notevolmente disomogenea letteratura sulle cause sociali, economiche e politiche dei movimenti di protesta. La spiegazione tradizionale della nascita dei movimenti sociali il fatto che essi sono semplicemente il risultato di una deprivazione stata considerata notevolmente insoddisfacente (McCarthy e Zald 1973; Oberschall 1973). Questo vale in particolare quando analizziamo i cicli di protesta, dato che essi hanno altrettanta probabilit di nascere sia durante i periodi di prosperit, come gli anni Sessanta, e di coinvolgere gruppi relativamente benestanti, come gli studenti universitari, sia durante i periodi di riflusso economico e tra i poveri (Piven e Cloward 1977).

    Se i periodi di prosperit e i periodi di crisi generano entrambi dei cicli di protesta, sembra logico concluderne che i fattori responsabili dellavvio della protesta possono essere presenti in entrambi i casi, anche se ovviamente non saranno ugualmente presenti in tutti i periodi della storia. Un popolo pi disponibile allazione collettiva, sar la mia tesi, quando vi trasparenza del conflitto sociale e le opportunit politiche sono in via d espansione.

    Con la frase trasparenza del conflitto intendo riferirmi alla semplificazione e allaccresciuta visibilit del conflitto sociale, e alla corrispondente possibilit di collegare richieste particolari a temi generali2. Intendo dire che, in quei periodi, i gruppi sociali ricevono dei segnali che dicono loro che sono in gioco temi che li riguardano, e che essi possono sperare di influenzare i loro esiti senza pagare un costo eccessivo o subire una repressione.

    In quali condizioni il conflitto sociale diverr trasparente nel capitalismo democratico, che per sua stessa natura produce dei meccanismi di sublimazione e giustificazione del conflitto stesso?

    Vi tutta una variet di circostanze che pu rendere trasparente il conflitto sociale, ma esso ha la massima probabilit di emergere nei periodi in cui la cultura giustificatrice di tali societ pi debole, vale a dire quando si verificano importanti transi

    2 Questo vicino a quanto intendono Piven e Cloward (1977, cap. I) quando parlano di transvalutation delle richieste, che porta a ribellarsi quelle persone che hanno tradizionalmente accettato la propria sorte.

    31

  • zioni a nuovi processi produttivi, divisioni internazionali del lavoro e rapporti interni di potere, tali da generare nuovi strati professionali ed eliminarne di vecchi. In questi periodi nascono nuove reti sociali con solidariet alternative, mentre linformazione sulla situazione di altri gruppi cresce grazie allistruzione e allespansione della comunicazione di massa.

    In tali periodi le opportunit politiche si espandono rapidamente, via via che la posizione dei gruppi ben tutelati minacciata dal cambiamento tecnologico e che appaiono nuovi gruppi la cui importanza non ancora riconosciuta per quanto riguarda laccesso al potere e ai servizi. Entrambi questi gruppi si rivolgono allo Stato in cerca di sostegno, mentre questultimo deve far fronte a maggiori oneri finanziari dovuti al cambiamento economico. I cambiamenti temporanei nellequilibrio di potere sociale che si verificano in tali periodi generano opportunit politiche che permettono agli outsiders di ottenere maggiore potere . La gente si riversa nelle strade quando sente che le sue richieste sono riconducibili ad assi generali di conflitto, e quando se ne presenta loccasione.

    La transizione al capitalismo maturo

    La transizione al capitalismo maturo certamente unespressione che va utilizzata con cautela, perch la transizione pu verificarsi in modo tanto lento da essere notata solo quando completamente avvenuta. In Italia la societ passata da uno status semiperiferico a uno status al perimetro del centro della produzione capitalista4, con un declino dei vecchi attori sociali e crescenti possibilit per i nuovi. Via via che una tale transizione diviene visibile vengono individuate e collegate, sia tra loro che ai cambiamenti sottostanti, delle rivendicazioni che mettono improvvisamente in luce delle linee di conflitto, nonch le potenziali alleanze da una parte o dallaltra di esse.

    3 Tali cambiamenti sono simili a ci che si verifica in quelli che Wallerstein (1985) chiama paesi semiperiferici, bench essi sembrino pi tipici di quelli che Lange (1985) chiama la periferia del centro. Il mio esame delle opportunit politiche create dalle transizioni al capitalismo maturo tratto da Tarrow 1984.

    4 Scrive Peter Lange (1985, p. 185): Questo concetto intende [...] esprimereil fatto che il cambiamento di posizione recente, e che vi dunque una discrepanza tra una posizione consolidata nelleconomia mondiale e il processo di transizione da una posizione allaltra per esempio processi che iniziano quando il paese si trova nella semi-periferia ma proseguono quando dal punto di vista strutturale esso entrato nel nucleo.

    32

  • Se le transizioni rendono i conflitti sociali sempre pi acuti e visibili, accrescono per anche limportanza dello scambio politico, dato che le lites tradizionali cercano protezione dallo Stato, emergono nuovi gruppi e domande di risorse e vengono tentate delle riforme da parte di governi ancora legati alle loro tradizionali basi di sostegno. In questo contesto degli scompensi temporanei nellequilibrio del potere possono essere sfruttati da quei gruppi il cui potere sociale in condizioni ordinarie sarebbe minimo5. E proprio una transizione di questo tipo quella che si stava verificando in Italia negli anni Sessanta, e che ha contribuito a rendere pi profonda in Italia che in qualsiasi altro paese europeo l ondata di protesta internazionale di quegli anni.

    Questi cambiamenti si sono verificati in tanti modi diversi: nel passaggio nellindustria alla produzione integrata su larga scala (Arrighi e Silver 1983), nellindebolimento della posizione delle imprese piccole e tradizionali, nella secolarizzazione della cultura popolare cattolica, nella crescita di associazioni autonome al di fuori del controllo della Chiesa e del sistema dei partiti. Ma gli effetti pi visibili furono innanzitutto lemergere di una nuova classe media istruita, in secondo luogo la comparsa di una numerosa classe di lavoratori immigrati nelle citt del Nord e, in terzo luogo, lirrigidimento del mercato del lavoro e la nuova forza che ci diede ai lavoratori dellindustria (Paci 1975).

    La nuova classe media

    La De aveva conquistato il sostegno di gran parte dei contadini e dei lavoratori autonomi, ma cera un gruppo sociale in crescita che era ai margini della schiera della sua clientela elettorale: gli strati medi colti delle citt. Secondo le stime di Sylos-Labini (1975, p. 156), tra il 1951 e il 1971 la piccola borghesia impiegatizia era passata dal 10 al 17 per cento della popolazione, con un aumento che corrisponde da vicino a un simultaneo declino della classe media autonoma. La trasformazione del paese in economia industriale stava generando, prevalentemente nelle citt del Nord, un importante nuovo gruppo sociale, sia nellindustria che nel terziario.

    5 Viene in mente il ruolo dei neri del Sud degli Stati Uniti certamente uno dei gruppi pi marginali della storia politica che hanno acquisito delle risorse politiche dal riallineamento elettorale degli anni Sessanta. Cfr. Piven e Cloward 1977, cap. IV.

    33

  • Questa nuova classe media costituiva non solo il gruppo sociale prodotto dal miracolo economico in pi rapida crescita, ma anche una minaccia alla continuazione del dominio politico della De. Innanzitutto perch essa stava sostituendo fisicamente la classe media autonoma e i contadini, che avevano costituito nel periodo postbellico la base pi affidabile del partito di governo, e in secondo luogo perch era una classe articolata e colta con ambizioni professionali che avevano generato un insieme di richieste che andavano al di l di quelle dei loro predecessori: richieste di modernizzazione civica, di riforma educativa, di pianificazione urbana. Inoltre essa aveva prodotto anche unaltra Cosa nel dopoguerra: un boom demografico; molti di quei bambini negli anni Sessanta avrebbero affollato le istituzioni delleducazione superiore. Alcuni li abbiamo gi incontrati agli inizi di questo capitolo, altri ne reincontreremo nel capitolo VI. Questi ragazzi erano entrati in un sistema di educazione superiore la cui struttura era rimasta fondamentalmente immutata dagli inizi del secolo e che aveva accolto molti pi studenti di quanto potesse effettivamente gestirne. Le proteste studentesche della fine degli anni Sessanta avrebbero tratto origine prevalentemente dai nuovi settori della classe media.

    I lavoratori immigrati

    Un secondo gruppo occupava una posizione equivoca nella coalizione sociale della De: gli immigrati. Tra il 1951 e il 1971, bench il tasso delle nascite delle grandi citt del Nord fosse in calo, queste raddoppiarono quasi di popolazione. Tale aumento fu largamente dovuto alla migrazione di massa di meridionali e di contadini nelle citt. La maggior parte dei lavoratori non qualificati e semiqualificati assunti dalle fabbriche del Nord negli anni Cinquanta e Sessanta erano immigrati che mancavano sia di una tradizione di disciplina industriale sia di un collegamento coi sindacati.

    Molti di questi nuovi lavoratori provenivano da un retroterra cattolico, e i loro antichi legami con la Chiesa avrebbero potuto accrescere la forza della De nelle periferie operaie delle citt del Nord. Ma la mancanza di servizi urbani persino di abitazioni decenti per accoglierli, i bassi salari e le dure condizioni di lavoro che molti di essi trovarono, nonch la discriminazione di cui furono oggetto da parte dei settentrionali aggiunta alla debolezza organizzativa della De fece s che questo non av

    34

  • venisse. Alcuni tra i lavoratori pi militanti dellondata di protesta erano immigrati rurali recenti dal Veneto cattolico. Incontreremo alcuni di essi a Porto Marghera nel capitolo VII.

    Il mercato del lavoro

    Il carattere mutevole del conflitto industriale apparve evidente per la prima volta nel 1960-61, quando venne raggiunto per la prima volta il pieno impiego e la forza-lavoro organizzata cerc di trarne vantaggio con scioperi a livello sia di fabbrica che nazionale. La risposta delle autorit pubbliche fu la recessione del 1962-63, che nel breve periodo ebbe leffetto desiderato di raffreddare leconomia (Salvati 1975). Ma le imprese, invece di proseguire con investimenti in nuove fabbriche e attrezzature per accrescere la produttivit, cercarono di trarre il massimo dalle risorse esistenti accelerando i processi produttivi e ricorrendo a una nuova leva di forz