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Fiori di Scozia Debra Lee Brown The Virgin Spring Harlequin Historical © 2000 Debra Lee Brown Traduzione: Elisabetta Frattini A Rogue's Heart Harlequin Historical © 2002 Debra Lee Brown Traduzione: Laura Lunardi Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: PARTE PRIMA Il pugnale misterioso 8 9 10

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Debra Lee Brown

Fiori di Scozia

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese:

The Mackintosh Bride Harlequin Historical

© 2001 Debra Lee Brown Traduzione: Maria Grazia Bassissi

The Virgin Spring

Harlequin Historical © 2000 Debra Lee Brown

Traduzione: Elisabetta Frattini

A Rogue's Heart Harlequin Historical

© 2002 Debra Lee Brown Traduzione: Laura Lunardi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2001 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2002 aprile 2001 luglio 2003

Seconda edizione Harmony Special Saga dicembre 2010

HARMONY SPECIAL SAGA

ISSN 1825 - 5248 Periodico mensile n. 62 del 4/12/2010

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 2/5/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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PARTE PRIMA

Il pugnale misterioso

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«S... sei ferito?» chiese incerta la bambina, indicando il plaid mac-chiato di sangue. «No. Ma tu non dovresti essere qui.» Quel rimprovero la ferì quanto il vedere che lui evitava il suo sguardo. Avrebbe voluto consolarlo, ma non sapeva come. Il ragazzo guardava lontano, il viso contratto per il dolore. «Mio padre è stato ucciso dai Grant. Non sono riuscito a salvarlo. Dio solo sa se non avrei voluto farlo, ma non ci sono riuscito.» Nuove lacrime gli rigarono le guance, mentre le mani si chiudevano a pugno con furia impotente. Rischiando un altro rimprovero, lei posò la piccola mano sulla sua e finalmente Iain ricambiò la stretta guardandola negli occhi. La bam-bina gioì per quella dimostrazione di fiducia, ma aveva il cuore gonfio di dolore per il tormento che leggeva negli occhi dell'amico. «Iain, tuo padre ha ucciso Henry Grant» disse, cauta. «Lo hanno visto.» «No! È una menzogna, un ignobile tradimento. Mio padre era a-mico di John Grant e non avrebbe mai fatto del male a suo figlio. Mai!» Le strinse le spalle con tanta forza che lei temette che le avreb-be spezzato le ossa. Si stava facendo tardi, pensò. L'alba stava per cedere il passo al giorno, e alle scuderie avrebbero notato la sua assenza. Era pericoloso restare lì con lui; se qualcuno li avesse trovati insieme... Iain si mosse e lei vide qualcosa luccicare sotto il plaid. Incuriosi-ta, indicò l'oggetto. «Che cos'è?» Il giovane frugò tra le pieghe del plaid ed estrasse un magnifico pugnale ornato di pietre preziose. «Gesù» sussurrò lei, osservando stupita l'impugnatura d'oro e d'argento, sulla quale le gemme formavano un motivo intricato. Le incrostazioni di sangue secco sulla lama affilata le causarono la pelle d'oca. «Dove l'hai preso?» Iain posò il pugnale ai suoi piedi. «Devi tenerlo nascosto fino al mio ritorno.» «Perché? Dove vai?» «Non lo so ancora. Via da qui. Dobbiamo lasciare il castello di Fin-dhorn, è diventato troppo rischioso per noi.» «Non puoi andartene!» protestò la bambina, aggrappandosi alla camicia sporca di fango. «Che ne sarà del tuo clan, dell'alleanza?»

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Solo il giorno prima, infatti, lui le aveva parlato del sogno di suo padre di formare un'alleanza tra quattro clan delle Highlands: quello dei Mackintosh, a cui lui apparteneva, quello dei Davidson, a cui ap-parteneva sua madre, e poi i clan dei Macgillivray e dei MacBain. Riuniti assieme avrebbero preso il nome di Chattan, i Gatti. Il clan al quale apparteneva la bambina, già molto numeroso, non era per il momento compreso. «Non ci sarà alcuna alleanza. Il clan Chattan non esiste più.» Iain le prese le mani fra le sue, dalle quali emanava una forza che in quel momento lei trovò spaventosa. «Io rappresento i Mackintosh, ora. Devo proteggere mia madre e i miei fratelli.» «Qualcuno vuole fare loro del male?» «Grant» rispose lui con disprezzo. «Non è vero. Grant è un uomo gentile. Lui...» Si interruppe ve-dendo che Iain stringeva gli occhi. «Forse non lui in persona, ma qualcuno della sua famiglia» si cor-resse il ragazzo. La bambina sapeva di chi stava parlando e rabbrividì. La notte pre-cedente, nel cortile delle scuderie, aveva visto le armi lorde di sangue, i cavalli con la bava alla bocca e gli occhi roteanti come dopo qual-che odiosa carneficina. Un'improvvisa folata di vento gelido soffiò nel boschetto e una pioggia di foglie rosse e dorate scese dai rami degli alberi, posandosi sulle loro teste. Con un gesto distratto, Iain ne tolse una dai capelli arruffati della bambina. La nebbia si stava alzando. Lei si strinse nel mantello e guardò il cielo, cercando di stabilire l'ora in base alla crescente luminosità del cielo mattutino. «Quando partirai?» «Presto.» Iain distolse lo sguardo. «Oggi.» «No!» Erano mesi ormai che si incontravano, una volta ogni quindici giorni, in quel luogo segreto. Nessuno era a conoscenza dei loro ap-puntamenti, né il clan di lui né quello della bambina. Suo padre l'a-vrebbe battuta se avesse saputo che si allontanava tanto da casa. Tuttavia, più di una volta, lei aveva avuto la sensazione di essere os-servata. Anche in quel momento. «Quando ti rivedrò?» chiese, esitante. «Non lo so.»

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A un tratto, lei si ricordò del pugnale posato sulle foglie morte ai loro piedi. Era pesante, e tra le sue mani di bambina sembrava grande come una spada. Iain la osservò incuriosito mentre si tagliava una ciocca di capelli biondi, ma si irrigidì quando lei fece altrettanto con i suoi, di un bel castano dai riflessi ramati. La bambina formò rapidamente un cerchietto con i loro capelli, intrecciandoli e fermandoli con una strisciolina di tartan con i colori dei Mackintosh che aveva tagliato dall'estremità del plaid di Iain. Do-podiché lo mise nella mano del giovinetto che lo guardò con atten-zione, sfiorandolo con le dita. «Che cos'è?» «Un nodo d'amore» spiegò la bambina, arrossendo. «Mia madre ne fece uno uguale per mio padre che lo portava con sé ogni volta che erano lontani. Lei è francese, sai.» In realtà, Iain non sapeva nulla della famiglia di lei. La bambina non gli aveva mai raccontato niente di sé, nemmeno il suo vero no-me, e quello era un gioco che lo irritava terribilmente. Ogni volta che si incontravano, lei fingeva di essere una persona diversa. Strinse forte il cerchietto prima di infilarlo nello sporran, la borsa appesa alla cintura. Dopodiché conficcò il pugnale ai piedi di lei. «Ri-tornerò. Per te e per questo» promise, indicando l'arma. Per lei. Sarebbe ritornato per lei! «Lo giuri?» chiese la bambina, cercando il suo sguardo. «Lo giuro.» Il giovinetto si alzò di scatto e la guardò con gli occhi cupi. «I Grant pagheranno. Non mi darò pace finché non avrò vendi-cato mio padre. Finché non saranno morti tutti.» «Tutti?» Prima che lui potesse rispondere, il silenzio della foresta fu rotto da un tonfo di zoccoli e un ramo si spezzò poco lontano da loro. La bambina balzò in piedi. «Arriva qualcuno!» Iain rivolse lo sguardo in direzione del suono, cercando di distin-guere qualcosa nella nebbia. «Stanno venendo qui.» Gesù, non dovevano trovarla lì. «Devo andare.» La bambina co-minciò a correre. «Aspetta!» Iain estrasse il pugnale dal terreno, strappò un lembo del suo plaid e ve lo avvolse. «Tieni. Nascondilo in un posto sicuro fino al mio ritorno.» Lei si strinse al petto l'involto e fissò per qualche istante Iain come

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per imprimersi nella mente il suo volto, i suoi occhi, la forza gentile della sua espressione. Un attimo dopo era scomparsa. «Bambina! Dimmi almeno il tuo vero nome!» gridò il ragazzo. Troppo tardi. La nebbia l'aveva avvolta come un freddo, bianco suda-rio. Iain si girò, apprestandosi ad affrontare i cavalieri che si avvicina-vano.

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Undici anni dopo Reynold Grant lesse attentamente la pergamena dalla quale dipende-va il suo futuro. Io, Beatrice d'Angoulême, primogenita del Conte Renaud d'Angou-lême, emissario di Filippo II di Francia, sul mio letto di morte nomino la mia figlia naturale, Alena, unica erede delle mie fortune e dei miei possedimenti secondo le leggi di questo regno. Datata maggio 1184, firmata e sottoscritta, portava il sigillo oro e porpora degli Angoulême. Sul viso dell'uomo spuntò un ghigno. Ripose la pergamena na-scondendola nuovamente tra le carte dello zio defunto e cominciò a camminare avanti e indietro. Era davvero un'idea eccellente. Alleanze potenti e ricchezze erano lì, a portata di mano. E nessuno era più a-datto di lui per approfittarne. Suo cugino Henry era morto da undici anni e suo zio, John Grant, era appena stato sepolto. Chi altri avrebbe potuto fermarlo? Il volto truce di un giovinetto gli balenò nella mente. Il ragazzo doveva essere un uomo, ormai, e Reynold sapeva che sarebbe torna-to per vendicarsi e riprendere ciò che un tempo gli era appartenuto. Si udì bussare alla porta e Perkins, il suo braccio destro, entrò nella stanza. «Mi avete chiamato, signore?» Signore. Quel titolo gli si addiceva, ma del resto lui lo aveva sem-pre saputo. «Voglio che consegni un messaggio.»

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Andò allo scrittoio e scrisse una breve nota che firmò con uno svolazzo. Arrotolò la pergamena e la consegnò all'ometto. Perkins era debole e avido, e questo gli piaceva. «È per Alena Todd, la figlia del capostalliere.» Gli occhi scuri di Perkins brillarono. «Graziosa» commentò, infi-lando la pergamena tra le pieghe del plaid. «Ma... sa leggere?» «Sì. Una delle assurde idee di mio zio.» Perkins si accigliò. «Capisco. Vado subito a consegnarglielo, si-gnore.» Davanti alla porta si voltò. «Dimenticavo. Gli esploratori han-no segnalato la presenza di guerrieri Mackintosh nella foresta, a un giorno di cavallo da qui.» «Quanti?» «Tre, forse quattro.» «Ne hanno riconosciuto qualcuno?» «No.» Reynold lo congedò con un gesto della mano. «Va'. Voglio che il messaggio sia consegnato adesso.» Perkins uscì dalla stanza con il suo solito passo furtivo. «Mackintosh?» Reynold andò alla finestra e guardò quella che era ormai divenuta la sua proprietà. «Bene. È ora di sistemare la questio-ne una volta per tutte.» Iain Mackintosh non riusciva a concentrarsi sulla caccia. Appoggiandosi a un ceppo mezzo marcio, posò l'arco. Il sole ave-va dissolto la nebbia del mattino. Spiegò il plaid, ancora umido per la notte trascorsa all'aperto, e se lo drappeggiò sulle spalle per ripararsi dall'aria frizzante. Con un gesto meccanico, accarezzò il nodo d'amore che portava sempre con sé. Con il tempo, la striscia di tessuto che teneva insieme la treccia si era logorata, ma il ricordo della bambina era più vivo che mai. Aveva intenzione di tornare ancora una volta al loro rifugio segre-to, ma sapeva che sarebbe stato come gettarsi in pasto al nemico, poiché le terre dei Grant lo circondavano da ogni lato. In quegli anni, Iain l'aveva cercata segretamente in ogni villaggio, scrutando i volti di un numero infinito di ragazze, ma non era mai riuscito a scovarla. Del resto, non conosceva il suo nome né tanto meno quello del suo clan.

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Un fischio lacerò il silenzio della foresta, distogliendolo dai suoi pensieri. Salì sul cavallo che lo aspettava e si diresse verso il punto dal quale era provenuto. Qualche minuto più tardi, vide i suoi uomini che avanzavano mogi verso di lui; neppure loro avevano avuto suc-cesso. «Hamish, a quanto pare hai mancato il colpo!» esclamò. «All'inferno. Era anche una bella bestia.» L'ultima volta che li aveva visti, quella mattina, Hamish e Will stavano inseguendo un cervo rosso. «Siamo in giro ormai da due giorni e non abbiamo preso niente» si lamentò Will. «È meglio che ti presenti a casa con qualcosa, amico.» Iain gli lan-ciò uno sguardo malizioso. «Non vorrai deludere una certa ragazza.» Hamish spronò il cavallo, affiancando Iain. «Quale ragazza?» Will diventò paonazzo e Iain sorrise. «Quella che si occupa della mia signora zia.» «Edwina?» inorridì Hamish. «Ma è vecchia come le pietre di Craigh Mur. Will, non vorrai...» «Non Edwina, scemo!» Will abbassò la voce. «Hetty.» «Ah.» Ammiccando a Iain, Hamish continuò a provocare l'amico. «Una bella ragazza.» Will fermò il cavallo di colpo. «Sì, ma non ti deve interessare.» Vedendo che Iain e Hamish ridevano di gusto, anche Will sorrise e i tre proseguirono da buoni compagni verso meridione. «E tu, Iain?» chiese Hamish. «Nessuna delle incantevoli creature che tuo zio Alistair ti ha proposto ti ha catturato il cuore?» Iain non aveva mai parlato a Hamish della bambina e della pro-messa che le aveva fatto. Non lo aveva detto a nessuno. «Oh, io non ho tempo per queste sciocchezze.» «Tu, forse. Ma io sono solo da troppo tempo. È ora di tornare a Inverness.» Iain ripensò all'ultima volta in cui erano stati là, qualche mese prima, per bere, andare a donne e bere ancora. Il ricordo più vivido del viaggio era il mal di testa che lo aveva afflitto per due giorni. No, la sua irrequietudine era causata da qualcosa di più grave della man-canza di una donna nel suo letto. Era giunto il momento. Sua madre era morta, che Dio accogliesse la sua anima, e i suoi

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fratelli minori erano grandi abbastanza per cavarsela da soli se lui fos-se caduto in battaglia. Era ora di reclamare quello che gli apparteneva e di vendicarsi del bastardo che aveva ucciso suo padre e devastato il suo clan Il ricordo della tragica notte di undici anni prima era vivo più che mai nella sua mente. Tutti ritenevano suo padre colpevole, ma Iain sapeva che non lo era. Se fosse riuscito a recuperare il pugnale! Stranamente, però, non era il pugnale che ossessionava i suoi sogni, ma l'immagine di un folletto dal viso sporco e dalla chioma arruffata nella quale si impi-gliavano le foglie secche. Lo stallone si fermò di botto e Iain si riscosse. D'istinto si guardò intorno controllando al tempo stesso le armi che portava addosso. Era tutto in ordine. Calmò il destriero e si rivolse ai suoi compagni. «Hamish, che cosa si dice di Findhorn?» Da diversi anni ormai si curava ben poco della dimora dei suoi avi. I pochi Mackintosh rimasti là vivevano nelle terre fuori delle mura di cinta. Aveva sentito dire che il castello era in rovina, le terre intorno invase dalla vegetazione e abbandonate. Hamish assunse un'espressione meravigliata. «Non è cambiato molto. I soldati di Grant pattugliano ancora i boschi là intorno.» «Ma gli uomini del clan rimasti si danno da fare.» Will fece avan-zare il cavallo per raggiungere quello di Iain. «Sì.» Hamish annuì. «Sono fedeli ai Mackintosh e pronti a darti il loro appoggio.» Iain scrollò le spalle. «Sono uomini coraggiosi e fedeli alla memo-ria di mio padre.» «Tu sei il signore, adesso» lo corresse Hamish. «Sono fedeli a te.» «Già, sono io il signore.» E tutti sapete perché. Perché suo padre era stato ucciso e lui non aveva fatto nulla per impedirlo. Iain strinse i denti e sentì in bocca un sapore amaro che cercò di cancellare be-vendo un lungo sorso dalla borraccia. «Che cosa pensi di fare?» chiese Will. «Di riprendere ciò che mi appartiene, e di uccidere quelli che me lo hanno sottratto. Avrei dovuto farlo già da tempo.» A dire il vero, quello era sempre stato il suo più grande desiderio. Per anni non aveva pensato ad altro, ma il clan di sua madre aveva soltanto un piccolo esercito e Alistair Davidson, suo zio, era un uo-

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mo prudente. Una volta cresciuto, Iain si era reso conto che le sue responsabilità erano quelle di un signore, non di un uomo qualun-que. Non poteva mettere a repentaglio la vita di tanti bravi uomini per un sogno che forse era pura follia. «Come pensi di riuscirci?» indagò Hamish. «Grant comanda un esercito numeroso.» Erano anni che Iain non pensava ad altro, che era ossessionato dalle strategie e dalle tattiche di guerra e che perfezionava in modo quasi maniacale le tecniche di combattimento sue e dei suoi uomini. In qualsiasi momento, John Grant avrebbe potuto scovarlo e ucci-dere il resto della sua gente, ma non lo aveva fatto. Quella consape-volezza, unitamente alla superiorità numerica dei Grant, aveva tenuto a freno fino ad allora la sete di vendetta di Iain. Ma adesso le cose erano cambiate. John Grant era morto e si dice-va che fosse stato ucciso, anche se nessuno aveva avanzato delle ipotesi circa l'identità dell'assassino. Suo nipote Reynold era diventa-to il signore. Iain sputò in segno di disprezzo. Adesso la situazione era decisamente diversa. «Non possiamo farcela da soli. Questa è l'unica cosa che so» ri-spose a Hamish. «Tutti noi Mackintosh siamo pronti a combattere al tuo fianco.» La lealtà che si leggeva sul viso di Will era quasi commovente, ma Iain gli rispose con un sorriso amaro. «Lo so. Però non voglio portare morte e distruzione in quello che è rimasto del mio clan.» Pochi degli uomini di suo padre erano sfuggiti alla carneficina voluta da Reynold Grant per vendicare l'uccisione del cugino. I migliori erano stati uccisi, e Iain sentiva ancora su di sé il peso di quella responsabilità. «Lo affronteremo con uomini sufficienti oppure rinunceremo.» Hamish lo guardò con aria interrogativa e Iain sostenne il suo sguardo senza esitare. «Sì. Ho intenzione di ricostituire il clan Chat-tan.» Will spalancò gli occhi. «L'alleanza!» «I Davidson sono dalla nostra.» Hamish si accarezzava distratta-mente la barba, come se stesse valutando le loro possibilità di riusci-ta. «E Macgillivray e MacBain?» chiese Will. «Si vedrà.»

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Iain si era stancato di quei discorsi. Il cielo chiaro del mattino ave-va lasciato il posto a quello azzurro intenso del pomeriggio. Dopo essersi stiracchiato, spronò il cavallo. «È una bella giornata per cacciare. Andiamo, amici.» Era lei che comandava, adesso, e strinse le ginocchia sul dorso del cavallo per farglielo sapere. Il sauro le rispose mettendosi docilmente al trotto. Alena Todd era soddisfatta. Dei nuovi cavalli arabi, il sauro si era dimostrato subito il più caparbio, ma adesso lo aveva domato. Dalle scuderie dei Grant uscivano i migliori cavalli scozzesi, veloci e potenti, dalla resistenza ineguagliabile. Suo padre sarebbe stato contento del sauro. Se solo avesse potuto domarlo lui stesso... Alena aveva dodici anni quando Robert Todd era stato disarciona-to da uno stallone riportando un danno permanente alla spina dorsa-le. Riusciva a camminare, ma non poteva montare a cavallo se non a costo di enormi sofferenze. A poco a poco, Alena aveva preso il po-sto del padre nei lavori che lui non poteva più svolgere: domare i nuovi cavalli e trasformarli da creature selvagge e caparbie in destrieri degni dei guerrieri del clan. Fece girare il sauro intorno al cortile delle scuderie, piegandosi leg-germente in avanti per mantenere l'equilibrio. Siccome preferiva il contatto che si stabiliva fra cavallo e cavaliere montando a pelo, non usava mai la sella. «Alena!» La voce del garzone di stalla la fece trasalire. Martin stava attraversando il cortile di corsa, sventolando qualcosa. «Perkins ha detto che è per te.» «Per me?» Alena si asciugò la mano sui calzoni di pelle e prese la pergamena. «Che cosa diamine...» La domanda le morì sulle labbra mentre la leggeva. Mezz'ora più tardi spronava il cavallo lungo la strada in salita che conduceva al castello di Glenmore. Le scuderie, situate ai piedi delle colline coperte di boschi dove c'erano più spazio e pascoli migliori, si trovavano a mezza lega dal castello e lei era contenta di quella distanza che le lasciava più libertà di quanta ne avrebbe avuta vivendo con il resto del clan. I garzoni di stalla portavano i cavalli dalle scuderie dei Todd a quelle del castello, più piccole, che ospitavano i destrieri del signore. Il signore.

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Alena rabbrividì. Aveva visto Reynold Grant al funerale del vecchio signore qualche giorno prima, e non le era sembrato troppo dispia-ciuto della morte prematura dello zio. Reynold era nipote della moglie di John Grant. Quando suo padre era morto, la madre lo aveva abbandonato per risposarsi inseguendo la ricchezza che aveva sempre bramato. Il nuovo marito, un inglese, non aveva voluto farsi carico di un figlio non suo, così John Grant aveva adottato Reynold e lo aveva cresciuto come un figlio, anche se tutti sapevano che il ragazzo e suo cugino Henry non andavano d'accordo. Alena provò una fitta di dolore al petto. Ancora adesso, dopo tanti anni, i ricordi tragici del passato bruciavano nella sua memoria. Ricordava John Grant che tornava al castello con il corpo del figlio Henry gettato di traverso sulla sella. Più tardi, quella stessa notte, l'al-lora ventenne Reynold era piombato nelle scuderie insieme a quaran-ta uomini chiedendo dei cavalli freschi. Si portavano tutti addosso l'odore del sangue, e lei era stata attanagliata da una paura gelida. Una paura che non l'aveva mai lasciata. Ma soprattutto nella sua mente era vivo il ricordo del ragazzo, Iain Mackintosh, e della promessa che le aveva fatto. Ritornerò. Quante volte lei era andata al loro rifugio segreto nei primi anni successivi al massacro, ma non vi aveva mai trovato traccia di Iain. Era venuto meno alla sua promessa. Dopo un po' aveva smesso di andarci, e quando era diventata una donna, suo padre si era dato da fare per trovarle un buon partito. Pe-rò lei non ne voleva sapere. Tutti gli uomini che il padre aveva scelto sarebbero stati degli ottimi mariti, ma... Oh, era ridicolo! Non sarebbe mai tornato. Tutti quegli anni tra-scorsi a pensare a Iain Mackintosh erano stati tempo sprecato. E in ogni caso non si sentiva ancora pronta per sposarsi. I suoi genitori avevano bisogno di lei, specialmente suo padre che non avrebbe mai potuto mandare avanti le scuderie da solo. Forse ancora un anno o due, o... Al diavolo! Non era quello il momento per pensarci. Doveva con-centrarsi sul presente. Alena spronò il sauro appena domato che ac-celerò l'andatura. La convocazione al castello l'aveva lasciata sconcertata. Perché

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mai Reynold aveva chiesto di lei? Se fosse stato un problema riguar-dante le scuderie, avrebbe sicuramente parlato con suo padre, invece il messaggio diceva che doveva presentarsi da sola. In fondo sapeva di non correre alcun pericolo. Conosceva quel bosco meglio di qualunque uomo del clan, e si spostava senza scorta da quando aveva l'età per andare a cavallo. Un sorriso malizioso le spuntò sulle labbra al ricordo dei pomeriggi trascorsi con Iain al bo-schetto proprio grazie alla libertà della quale aveva sempre goduto. Malgrado fosse appena la fine di maggio, quel giorno faceva caldo. Il profumo dell'erica e dei pini era quasi soffocante. Sua madre aveva insistito per farle indossare un abito speciale, un vero cimelio di fa-miglia di seta giallo chiaro che aveva portato con sé dalla Francia anni prima, quando aveva la stessa età di Alena. Lei avrebbe voluto tenere gli stivali, ma sua madre, irremovibile, le aveva dato un paio di morbide scarpette di pelle di capretto adatte al vestito. In cintura portava però, come sempre, il pugnale che suo pa-dre le aveva regalato. Quando fu in vista del castello, si aggiustò in fretta le gonne per coprire le gambe nude. Come si sentiva ridicola a cavalcare all'amaz-zone! Dovevano essere stati gli uomini a inventare quello stupido modo di cavalcare, al solo scopo di umiliare le donne. Alena fece il suo ingresso nella corte e salutò la gente del clan. Giunta vicino all'edificio principale, smontò e porse le redini al gar-zone in attesa. Fu Perkins che la fece entrare. Alena non lo conosceva bene e la sua presenza la rendeva nervosa. Si diceva che Reynold lo avesse in-contrato l'anno prima durante uno dei suoi viaggi. L'ometto la squa-drò da capo a piedi, come se fosse stata un cavallo da acquistare. «Il padrone vi aspetta. Da questa parte» disse, indicando la scala di pie-tra che conduceva ai piani superiori del castello. Qualche minuto più tardi, lei si ritrovò da sola in quello che dove-va essere l'appartamento privato del signore. Era una stanza tappez-zata di arazzi e dal mobilio riccamente ornato; i pavimenti di pietra erano ricoperti di giunchi intrecciati. Malgrado la giornata calda, il fuoco ardeva nel camino. Delle voci attirarono la sua attenzione. In fondo alla stanza c'era una porta socchiusa e, senza riflettere, Alena vi si avvicinò. Riconob-be la voce del signore, ma non riusciva a distinguere le parole. Sem-

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brava che stesse discutendo con qualcuno; Reynold alzò la voce e lei sussultò udendo un colpo, forse un pugno battuto su un tavolo. Poi l'uomo ruggì un nome e il cuore di lei mancò un battito. Iain Mackintosh! Doveva essere un uomo ormai, un guerriero. A dire il vero, lei lo aveva sempre considerato tale. Il sorriso scomparve dalle sue labbra quando si domandò se avesse preso moglie. Una donna ricca di de-naro e di terre. Quella era stata l'ambizione del giovinetto che l'ave-va ferita di più e Alena scacciò il pensiero di lui dalla mente. Qualun-que cosa fosse diventato, era evidente che aveva fatto infuriare il nuovo signore dei Grant. Avrebbe voluto avvicinarsi maggiormente alla porta per udire me-glio, ma un rumore di passi affrettati la fece indietreggiare appena in tempo prima che la porta si spalancasse. Reynold Grant era là, davanti a lei, e la fissava con i freddi occhi di un azzurro latteo. Non erano mai stati così vicini e Alena provò un moto di repulsione. Il signore dei Grant aveva da poco passato i trent'anni ed era alto e muscoloso, con la pelle bianca e i capelli chiarissimi legati con un laccio di cuoio. Nel plaid dei Grant appariva imponente: un guerriero, un capo. Il fuoco traeva bagliori dal metallo brunito della spada e del pugnale che portava appesi in cintura. Infastidita dall'espressione maliziosa del suo sguardo, lei distolse il proprio. «Mi avete mandata a chiamare, signore?» «Alena» disse Reynold lentamente, pronunciando ogni lettera co-me se il suo nome fosse un poema. Con sua grande sorpresa, le pre-se la mano e se la portò alle labbra senza smettere di guardarla. «Come sei bella. Una bellezza così non dovrebbe stare nascosta nelle scuderie.» Incombeva su di lei, sempre più vicino, e Alena fece uno sforzo per non indietreggiare. «C'è una questione che voglio discutere con te.» Le lasciò la mano e si avvicinò alla finestra. «Che cosa ne pensi di questo posto?» La domanda la colse di sorpresa. «È bellissimo. Ho sentito dire che è uno dei castelli più importanti della Scozia.» «È quello che penso anch'io.» Reynold le si avvicinò e lei si irrigidì quando le prese di nuovo la mano. «Ti piacerebbe vivere qui?» Quella domanda la lasciò di stucco. «Io vivo già qui, signore, nella casa dei miei genitori a mezza lega dal castello.»

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L'uomo ridacchiò. «No, ragazza. Voglio sapere se ti piacerebbe vivere qui, al castello, con me.» «Mi dispiace, non capisco.» Scossa da un orribile presentimento, Alena cercò di ritirare la mano, ma lui la teneva stretta. «Quanti anni hai?» chiese Reynold, attirandola a sé. «Diciannove, signore. Quasi venti.» Perché diavolo quell'uomo si interessava alla sua età? «Hai già superato l'età da marito, eppure non sei ancora sposata.» Le sorrise. «Come mai?» Allora era quello il motivo. Alena sentì il volto che si infiammava. Con uno strattone, liberò la mano e lo guardò negli occhi. «Non voglio sposarmi, signore. Voglio restare alle scuderie. C'è tanto lavoro da...» «Non vuoi sposarti? Certamente tuo padre non ne sarà contento.» Ecco confermati i suoi sospetti. Era stato suo padre a istigarlo. «No, signore, non lo è.» «Nemmeno io. A dire il vero, ti ho fatta venire qui per dirti che ti sposerai, e presto.» Alena sbarrò gli occhi, incredula. «Sposarmi? E con chi?» Un sorriso comparve sul volto dell'uomo, cereo come quello di un fantasma. «Con me. Il giorno della festa di mezza estate.» Iain condusse il cavallo giù per un pendio ripido e boscoso. Non conosceva bene quella zona della foresta e si muoveva con circospe-zione, guardandosi continuamente intorno per cogliere eventuali movimenti. Hamish e Will avevano proseguito verso sud mentre lui si era di-retto a oriente per inseguire un cervo rosso, il più grande che avesse mai visto. A un certo punto era finito nelle terre dei Grant, ma non se n'era preoccupato: presto avrebbe abbattuto la sua preda e sarebbe tornato indietro. I tre si erano dati appuntamento al Loch Drurie, a diverse ore di viaggio da dove si trovava in quel momento. Il colore del cielo gli di-ceva che aveva ancora tempo. Ma dov'era finita la sua preda? Gli arbusti di ginestrone e di mirtillo che tappezzavano il fondo della gola rendevano difficile l'avanzare del cavallo. I boschetti di la-rici e allori gli ricordavano il luogo segreto in cui lui e la bambina mi-steriosa si incontravano. La luce del sole filtrò fra le chiome color

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smeraldo, trasformando la foresta in una galleria incantata attraversa-ta da ombre e luci. Muovendosi senza fare rumore, diresse il roano verso il ruscello poco distante e, mentre respirava il profumo della foresta, scrutava tra il fogliame che lo circondava. Eccolo! Il cervo rosso, inondato dalla luce del sole e immobile contro lo sfondo verde, era a una cinquantina di metri sopravento. Pochi arcieri sarebbero stati in grado di colpirlo da quella distanza, ma a Iain sem-brava già di sentire il peso dell'animale sulla schiena mentre lo cari-cava sul cavallo. Lo stallone puntava il cervo e restò immobile mentre il suo padro-ne imbracciava l'arco e, intinte le dita nel recipiente di grasso che portava appeso in cintura, le faceva scorrere lungo la corda senza mai perdere di vista la preda. Il cervo abbassò la testa raspando il terreno con lo zoccolo, poi scosse il grande corpo e dal mantello si sprigionò una pioggia di goc-cioline d'acqua. Adesso o mai più. Iain innalzò una preghiera silenziosa al suo san-to protettore. Con gesti esperti, accoccò una freccia e prese la mira. Quello era il momento che più lo eccitava. Le lunghe ore di adde-stramento si concentravano tutte nel breve istante che precedeva lo scoccare della freccia. Il cervo alzò la testa di scatto, le orecchie tese. Un istante prima di udire il trambusto, Iain comprese quello che l'animale aveva sentito: cavalieri! «Per San Sebastiano!» Il cervo si rifugiò nella foresta mentre Iain, al riparo di un grosso larice, controllava le armi prima di rivolgere la freccia in direzione dei suoni. Un sauro correva come il vento tra gli alberi sull'altro lato del cri-nale; d'un tratto il cavaliere, una sagoma confusa vestita di giallo, diresse il destriero verso il ruscello. All'ultimo momento, il cavallo superò con un salto le acque agitate e, atterrando malamente, scara-ventò il cavaliere al suolo. Iain scrutò la linea del crinale in ogni direzione, ma non vide nes-sun altro in arrivo. Con cautela guidò il cavallo verso il fondo della gola, la freccia ancora accoccata.

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Il sauro si contorceva per il dolore, il cavaliere era disteso bocconi a poca distanza dall'animale. Buon Dio, una donna! Mentre Iain si avvicinava, lei si sollevò in ginocchio e scosse la testa, visibilmente stordita per la caduta. Lui restò senza fiato. I capelli della donna erano una cascata colore del grano, del lino e dell'oro che incorniciava un viso ovale dal piccolo mento appuntito. L'abito era lacerato all'altezza della spalla e lo strappo metteva in mostra la rotondità di un seno che con il suo candore catturò lo sguardo di Iain. La donna era sporca di fango, e impronte insanguina-te imbrattavano il corpetto dell'abito. Ripresasi dallo stordimento, la giovane si irrigidì nel vedere lo sco-nosciuto che la sovrastava dall'alto del cavallo. I loro sguardi si in-contrarono. Lei afferrò il pugnale insanguinato che portava alla cintu-ra e lo brandì davanti a sé. Iain non aveva mai visto una donna più bella in vita sua, ma un rombo di zoccoli lo strappò dal suo stupore. Dei cavalieri stavano scendendo lungo il pendio. Erano Grant! La donna si voltò a guardarli e un'espressione di terrore le si dipin-se sul volto. Si alzò a fatica indietreggiando verso il suo cavallo, con il pugnale ancora stretto in mano. I guerrieri li scorsero e rallentarono l'andatura. Iain li contò. Una dozzina. Troppi. Si buttò l'arco sulla spalla e porse una mano alla donna. «Andiamo, ragazza, se non vuoi che ci raggiungano.» Lei lo studiò per un momento, guardò di nuovo i cavalieri, dopo-diché rinfoderò il pugnale e si diresse verso di lui. Fatti pochi passi, si fermò. «Il mio cavallo!» esclamò, voltandosi verso il sauro azzoppa-to. «Devo aiutarlo.» Dannazione! Iain riprese in fretta l'arco e mirò al petto del sauro che dopo qualche fremito giacque immobile. La donna si girò di scatto verso di lui. «Lo hai ucciso...» Con una rapida mossa, lui si chinò e la sollevò di peso, mettendo-la davanti a sé sulla sella. Lanciò poi il cavallo su per il pendio nella direzione opposta a quella dei cavalieri in arrivo, chiedendosi in che razza di pasticcio si fosse cacciato.