Spirito di Genova

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www.liberazione.it I sabato 16 | luglio 2011 | speciale Dieci anni fa trecentomila persone giunsero da tutto il mondo a Genova per contestare il G8. Avevano in mente un altro mondo - senza guerre e sfruttamento - perché quello sotto i loro piedi era in crisi. Avevano un metodo e un patto di lavoro. Avevano ragione e ce l’hanno ancora. Le ragioni per tornare, la memoria di quel luglio, quale città accoglierà i movimenti nelle parole di operai, mediattivisti, scrittori, militanti e ricercatori Il programma del decennale è su www.genova2001.org inserto a cura di Checchino Antonini e Federico Taddei

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speciale di Liberazione su Genova 2001 dieci anni dopo

Transcript of Spirito di Genova

www.liberazione.it

1Isabato 16 | luglio 2011 | speciale

Dieci anni fa trecentomila persone giunsero da tutto il mondo a Genova per contestare il G8. Avevano in mente un altro mondo -senza guerre e sfruttamento - perché quello sotto i loro piedi erain crisi. Avevano un metodo e un patto di lavoro. Avevano ragione e ce l’hanno ancora. Le ragioni per tornare, la memoria di quel luglio, quale città accoglierà i movimenti nelleparole di operai, mediattivisti, scrittori, militanti e ricercatori

Il programma del decennale è su www.genova2001.org

inserto a cura di Checchino Antonini e Federico Taddei

Fabio Mantero*

Sestri Ponente è una delegazioneoperaia di Genova. Su queste rive lecostruzioni navali sono sempre statedi casa, a partire dal 1815, data uffi-ciale di un primo cantiere navale dal-le dimensioni più soddisfacenti dalquale uscì la prima nave costruita inferro, la corazzata Giulio Cesare, epoi negli anni successivi i transatlan-tici Rex (1932) ed Andrea Doria(1951). Si lavorò anche per l’ UnioneSovietica, per la quale si costruì laFiedor Poletaiev in onore del parti-giano sovietico caduto per la libertàin Val Borbera, in Liguria, passandodalla Costa Fortuna del 2001 ed arri-vando alla Oceania Marina di quest’anno, tutte e due navi da crociera.Un cantiere navale ed un quartiere in

cui da sempre si respira il conflittocapitale-lavoro, infatti si può ricorda-re la lotta degli operai della compa-gnia americana Chicago Bridge chelottarono nel dopoguerra per miglio-rare sicurezza e salario, alla tentatachiusura degli anni cinquanta in cuii lavoratori di quella che in futuro sa-rà chiamata Fincantieri risposero conun’ occupazione attiva, cioè un’ oc-cupazione della fabbrica in cui laproduzione non si fermava, al rinno-vato tentativo di chiusura non riusci-to degli anni ottanta col piano Basi-lico, per arrivare ai vari tentativi deinostri anni, dal tentativo fallito nel2005 di quotazione in borsa diun’azienda di Stato come la Fincan-tieri (si sarebbe quotato e tagliato icantieri “più deboli”), alla settimanadi occupazione del 2009 sempre perlo stesso motivo fino all’ ultimo ten-tativo di chiusura del maggio 2011. Ilavoratori hanno risposto sempremettendo in campo il loro punto diforza: il numero. Nelle scorse setti-mane dietro allo striscione delle RsuFincantieri, c’erano i lavoratori ditutte le fabbriche del Ponente, i lavo-ratori da tutti i continenti delle ditted’appalto che lavorano nel cantierenavale, provenienti. La vera integra-zione avviene prima di tutto nelmondo del lavoro.Quello che è successo in queste setti-mane - la forte rabbia operaia che dasubito è scesa in piazza dopo la noti-zia per cui l’amministratore delegatovoleva chiudere i cantieri di Sestri Po-

ne dei lavoratori verso i lager tedeschicon il rastrellamento delle fabbrichedel 16 Giugno 1944.Genova ha sempre fatto da sfondoalle proteste dei lavoratori e degli stu-denti e la repressione da parte delloStato non è mai mancata in tuttiquesti anni. Da lavoratore mi ricor-do le giornate del G8 del 2001 ed ilclima di tensione in fabbrica, il for-

te sentore che sarebbe stato meglionon andare a lavorare e molti mieicolleghi in quei giorni presero ferie oaddirittura andarono via dalla cittàgrazie alla macchina di propagandache le istituzioni avevano messo inpiedi.In faccia al Cantiere Navale, sulla pi-sta dell’Aeroporto, arrivarono i lan-ciamissili dell’esercito ed un dubbioallarme bomba sulla nave fece sbar-care tutti i lavoratori a bordo e l’azienda in quei giorni diede addirit-

ia genovese, e che tanto a dato allalotta di Liberazione ed alla Resisten-za, si vedono adesso assediati dalla lo-gica delle “grandi opere”, gronda, in-ceneritore e terzo valico, che rappre-sentano uno dei paradigmi più per-versi del processo di globalizzazioneneoliberista, in cui la privatizzazione,e militarizzazione del territorio, comeè avvenuto in Val di Susa, vanno avantaggio di pochi e a discapito dimolti.

Nonostante l’ottusità e l’ostracismodei rappresentanti della cosiddetta si-nistra riformista, ed ovviamente delledestre, che per anni hanno tacciato, econtinuano a tacciare di essere con-trari al “progresso” coloro i quali siopponevano a queste opere inutili edevastanti, in questi ultimi anni sem-bra essersi risvegliata la volontà dicontrastare a determinate logiche disviluppo, grazie anche all’attività deimovimenti che si oppongono al pro-getto della gronda di ponente.La speranza è che tutte queste realtàpossano coagularsi in un unico con-tenitore politico che possa propugna-re una visione di sviluppo diversa daquella che vorrebbero i poteri forti edi mercati.Uno sviluppo che per noi non è spo-stare un container dalla Cina a Geno-va e quindi a Rotterdam attraverso ilIII valico, con dentro della merce

quelli della cittadinanza i cui rappre-sentanti istituzionali (sia il presidentedella Regione Burlando che la Sinda-co Vincenzi hanno partecipato allamarcia si accodano a coloro che pro-pugnano la tesi di uno “sviluppo” in-finito e duraturo basato sulla movi-mentazione di merci e sulla cementi-ficazione del territorio, invece di tute-lare il bene comune e pensare allepiccole opere utili e necessarie.Un territorio martoriato, quello dellaValpolcevera, che da zona prevalente-mente agricola, dal dopoguerra haospitato, per circa cinquant’anni, gliinsediamenti dell’industria petrolchi-mica ed il proliferare della speculazio-ne edilizia, per por vedersi “riqualifi-cata” a partire dagli anni ’90, a suondi centri commerciali, emblemi dellaprecarietà del lavoro.Questi quartieri che hanno visto lapunta più avanzata della classe opera-

Davide Ghiglione*

Quando mi è stato chiesto di scriverequesto articolo sulle grandi opere aGenova, soprattutto in Valpolcevera,e la loro connessione con gli eventidell’anniversario del G8 del 2001, hosubito pensato al parallelismo tra lamarcia dei 500 imprenditori indettaqui da Confindustria il 4 luglio del2011, per rivendicare la necessità delTerzo valico, e la marcia dei 40mila diTorino del 14 ottobre 1980 che harappresentato la fine di un ciclo di vit-torie della classe operaia e l’inizio delprocesso delle privatizzazioni e quin-di della globalizzazione neoliberista.Con le debite proporzioni, questamarcia della classe padronale a Geno-va ha rappresentato l’ennesimo esem-pio di pressing delle lobbies dei ce-mentificatori e degli speculatori. Mai loro interessi non coincidono con

> Nelle foto piccole: l’assedio della

Gronda al Ponente genovese

Alla marcia degliimprenditori Yes Tavsi contrappone untessuto vivace dicompetenze popolaricontro la Gronda, ilTerzo Valico, per lademocrazia

sabato 16 | luglio 2011 | II

della fabbrica simbolo della lottacontro il declino industrialeScrive un operaio

Partiamo da Ponenteper scrivere insieme il nostro futuro

tura la cassa integrazione, comequando nevica ed il Cantiere diven-ta pericoloso un po’ dappertutto.Uno striscione esposto sulla banchi-na con su scritto “No G8” fu rimos-so dai Carabinieri.Quella repressione di piazza da par-te dello Stato del luglio 2001 è la stes-sa che avremmo potuto subire noi la-voratori il 3 giugno se la notizia sul-la sorte dei Cantieri Navali fosse sta-ta negativa. Le “forze dell’ ordine”quella mattina ci avevano intrappo-lato nel viale che porta al Colosseo, asinistra una cancellata di quattro me-tri, davanti a noi polizia e guardia di

nente, Riva Trigoso e Castellamare diStabia - fino ad arrivare alla manife-stazione di Roma del 3 Giugno, si in-quadra in una tradizione che da sem-pre ha visto Genova ed i suoi lavora-tori in prima fila, come nella Libera-zione che qua è avvenuta il 24 Apri-le 1945 (prima città d’ Europa libera-ta dai nazifascisti) ed è partita pro-prio dai quartieri operai, dai montidietro a queste delegazioni e dallesue fabbriche.Il 30 Giugno 1960 continua quel filorosso di ribellione allo stato precosti-tuito delle cose, infatti in quei giornial Msi si impedì con una fortissimaprotesta di piazza di fare proprio aGenova un congresso Congresso presieduto dall’ex Prefet-to fascista di Genova Basile, triste-mente noto anche per la deportazio-

finanza in assetto antisommossa, adestra un muro anch’ esso molto al-to con sopra la polizia e alle nostrespalle altre camionette a chiudere lastrada.Quello che successe a Genova, le no-stre lotte operaie, sono le stesse lottedel movimento No Tav in Val di Su-sa che in questi giorni ha lottato elotta contro il treno ad alta velocitàche il centrodestra ed il centrosinistrapiemontesi vogliono costruire inquella meravigliosa valle alla quale,in rappresentanza di tutti i lavorato-ri , ho portato personalmente la no-stra solidarietà nella lotta anche per-

Beni comuni. Le vertenze dei quartieri minacciati

Zona rossa è ciòche assedia la cittàcon le grandi opere

La rabbia antica delletute blu nel luogodove è nato ilmovimento operaioitaliano si riconoscenelle battagliealtermondialiste e notav. E per questosubisce la stessabrutale repressione.Il decennalecomincia dallaresistenza allaFincantieri

del G8 2001 sono in pienosvolgimento da fine giugno, conl’attivo coinvolgimento di realtàgenovesi piccole e grandi chehanno saputo interpretarne in pienole indicazioni emerse dallediscussioni preparatorie: recuperare,allargare ed aggiornare lo “spirito diGenova”, guardando avanti, alfuturo che abbiamo, tutte e tutti, laresponsabilità di costruire. Guardareavanti, ovviamente, senzadimenticare il passato, anzi. E unprezioso contributo in questo sensoviene da Cassandra, una mostra suquesti dieci anni di storia, dal primoforum sociale mondiale di Porto

Alegre alla rivolta nel Maghreb. Unamostra il cui percorso comprendeuna sezione cronologica, unasezione sui fatti di Genova e quattrograndi aree tematiche: guerra-repressione, economia-lavoro, benicomuni, società. Una sceltariconducibile ad una delle paroled’ordine che ci siamo dati:«guardare l’oggi, pensare al domani,anche con gli occhi di ieri».Il percorso che ci ha portati arealizzare il fitto e ricco calendariodi eventi è iniziato nel giugno 2010in un clima politico ben diverso,con una consultazione regionale incui non c’era stata quella nettaaffermazione del centro-sinistra chesi sperava - 7 regioni su 13 – anchese non mancavano timidi segnali dirisveglio politico del nostro paese. Ilpercorso è stato lungo e complesso,così come impegnativo è stato il

Rita Lavaggi e Walter Massa

Non è semplice scrivere di Genova,oggi. Una città attraversata datensioni, in costante diffidenza,quasi immune da quel vento nuovoche pare diffondersi in tutto il Paeseall’indomani delle amministrative e,soprattutto dei referendum. Loscriviamo con il limite degli “addettiai lavori” e ci riferiamo inparticolare a quel mondo,organizzato, che ha ruotato inquesti mesi attorno alcoordinamento Verso Genova 2011.Non è un amara constatazioneperò; è il dato di consapevolezzarisaputo con cui abbiamo deciso diavviare il percorso che oggi ci hariportato a Genova. Quanto èaccaduto negli ultimi vent’anni –come rileva anche Curzio Maltesenel suo ultimo libro “La bolla” -parla di un Paese schizofrenico: dauna parte i fatti hanno dato ragionealle idee della sinistra, deimovimenti pacifisti e no global, coni temi e le lotte che da Seattle in poisono arrivati a Genova nel 2001;dall’altra, un paese ipnotizzato dallapropaganda di un regime in cuiattorno a “Cesare” ha imperversatouna rete clientelare che è arrivatafino ad alcuni settori del Vaticano. Nel frattempo dal G8 2001 sonopassati dieci lunghi anni disofferenza e di piccole, fragilisoddisfazioni (“Lo Sbarco” degliitaliani all’estero del giugno 2010 neè un piccolo, preziosissimoesempio) ma, soprattutto, diincredulità di fronte a ciò che èpotuto accadere in un paese untempo democratico e civile.Profetiche ed inascoltate, almenodai più, furono le parole di ungrande uomo di cultura comeEdoardo Sanguineti che oggi tantoci manca: «Quando fu ucciso CarloGiuliani, ci rendemmo conto chenon poteva non accadere. Vistocome si era svolta la questione. Amio parere era il primo esempio diguerra preventiva a livello di guerracivile».Le iniziative relative al decennale

confronto tra le diverse componenti- i soggetti che allora c’erano, altriche all’epoca non esistevano e altriancora che hanno deciso di essercioggi – tutti concordi nella scelta dicontaminarci tra diversi. Elementosicuramente di rilievo se pensiamo,ad esempio, al significato delcoinvolgimento di realtà importanticome i movimenti per l’acqua econtro il nucleare, i variegatimovimenti No Tav e anche pezzipiù istituzionali come la Cgil.Come coordinamento VersoGenova 2011 abbiamo provato inprimis a recuperare un quadrocollettivo, unitario per certi versi:un ruolo di cucitura, come giàavvenne nel 2001, non perchésiamo nostalgici ma perché nonconosciamo altro metodo percostruire insieme qualcosa. E’ statofino ad oggi un ruolo attivo, volutoe condiviso da tutto ilcoordinamento per risponderepositivamente alla grandeaspettativa che da molti settori èemersa in questi mesi. Ci pareproprio di poter dire che uno deipunti di eccellenza di questopercorso è stato aver voluto rendereil più possibile partecipe la cittàcoinvolgendo tutte quelle realtàpiccole e grandi che sono presentinel tessuto sociale di Genova. Nonsolo nel centro cittadino abitualepalcoscenico di tutto ma, inparticolare con un lavoro nelleperiferie. Va ringraziato per questolavoro in particolare il ForumCultura che ha svolto una preziosatessitura a collegamento tra leiniziative del programma e la città.Ci è parso un “risarcimento”, sipotrebbe dire, ad una città che si èvista infliggere ferite profonde chenon sono ancora completamentecicatrizzate. Saremo in tanti quindi a Genova,per ricordare certamente ma, anche -e forse sopratutto - per ripartire eritrovare una speranza e una vogliadi futuro mai sopite. Questo è lospirito di Genova per noi.

*Coordinamento Verso Genova2011**Presidente Arci Liguria

prodotta chissà da chi e a quali condi-zioni lavorative, in cui si prevede unacrescita infinita e illimitata basata sul-l’aumento del volume del trasportodi merci, ma è significa capire che cisono dei limiti a questa crescita, chebisogna ottimizzare le risorse esisten-ti per renderle più efficienti e durevo-li, in modo da tagliare il superfluo einvestire in crescita intellettuale e cul-turale più che materiale.A dieci anni di distanza dal G8 di Ge-nova del 2001, tutte queste ragioni ri-vivranno nella piazza dei contenutidei Beni Comuni in piazza Massena,il 23 luglio 2011, a Genova-Corni-gliano. Una piazza che non si limite-rà solamente alla testimonianza madove si elaboreranno anche delle pro-poste alternative alla logica delle gran-di opere.Dieci anni fa dicevamo che un mon-do diverso non era solamente possi-

bile ma necessario, e nonostante si siatentato di stroncare il movimentocon la più grande repressione di mas-sa in Europa occidentale dal dopo-guerra ad oggi, secondo quanto diceAmnesty International, abbiamocontinuato le nostra elaborazioni at-traverso l’esperienza dei social forume comunque grazie alla capacità dimettersi in rete e contaminarsi.Questa elaborazione ha comunquepermesso un confronto tra diverseesperienze e seppur tra mille difficol-tà oggi ci possiamo dire ottimisti an-che grazie alla recente vittoria referen-daria che ha sancito il rifiuto della lo-gica delle privatizzazioni dei beni co-muni e del nucleare. Il decimo anni-versario del G8 di Genova potrà esse-re l’occasione per sancire ancora unavolta questa volontà, in quanto lorosono la crisi e noi la speranza!

*circolo Prc Valpolcevera

Rieccoci, dunque,a ricucire le lotte

Lungo la strada isoggetti che allorac’erano sono riuscitia coinvolgere altriche all’epoca nonesistevano e altriancora che stavoltahanno deciso diesserci, come la Cgil

> Maggio 2011, in migliaia per le vie

di Sestri Ponente con gli operai

Fincantieri > foto Ansa/Zennarowww.liberazione.it

«Lo spirito di Genova percontaminarci e ripartire»Parlano i promotori:

sabato 16 | luglio 2011 | III

chè noi come loro siamo decisi a de-cidere noi stessi del nostro futuro.Ed è anche per questo che per il de-cennale del G8 di Genova la nostrapartecipazione comincia dagli ingres-si delle fabbriche del Ponente fino asfilare in corteo nel centro cittadino.Quella giornata per noi sarà una dicommemorazione ma anche di lottaalla crisi a partire dalla denuncia deinuovi accordi che limitano la demo-crazia in fabbrica e il diritto di scio-pero: un salto indietro nel tempo dialmeno duecento anni. Nella totaleassenza ed incompetenza dell’ad edel Governo, i lavoratori della Can-

tieristica reclamano l’uscita dalla cri-si ad esempio, attraverso la rottama-zione di Tirrenia, azienda di Stato,con la costruzione di una nuova flot-ta sare Stato) che farebbe lavoraretutti i suoi cantieri per anni. Oppure,invece di costruire treni ad alta velo-cità senza il consenso dei cittadini sipotrebbe lanciare l’idea, sulla linea dialtri paesi europei, delle autostradedel mare, così le merci trasportate dauno Stato all’altro avrebbero menoimpatto ambientale ed anche un co-sto ridotto, come dimostrano moltistudi fatti nel settore.

*operaio Fincantieri

spirito di genova

Fabio Mantero*

Sestri Ponente è una delegazioneoperaia di Genova. Su queste rive lecostruzioni navali sono sempre statedi casa, a partire dal 1815, data uffi-ciale di un primo cantiere navale dal-le dimensioni più soddisfacenti dalquale uscì la prima nave costruita inferro, la corazzata Giulio Cesare, epoi negli anni successivi i transatlan-tici Rex (1932) ed Andrea Doria(1951). Si lavorò anche per l’ UnioneSovietica, per la quale si costruì laFiedor Poletaiev in onore del parti-giano sovietico caduto per la libertàin Val Borbera, in Liguria, passandodalla Costa Fortuna del 2001 ed arri-vando alla Oceania Marina di quest’anno, tutte e due navi da crociera.Un cantiere navale ed un quartiere in

cui da sempre si respira il conflittocapitale-lavoro, infatti si può ricorda-re la lotta degli operai della compa-gnia americana Chicago Bridge chelottarono nel dopoguerra per miglio-rare sicurezza e salario, alla tentatachiusura degli anni cinquanta in cuii lavoratori di quella che in futuro sa-rà chiamata Fincantieri risposero conun’ occupazione attiva, cioè un’ oc-cupazione della fabbrica in cui laproduzione non si fermava, al rinno-vato tentativo di chiusura non riusci-to degli anni ottanta col piano Basi-lico, per arrivare ai vari tentativi deinostri anni, dal tentativo fallito nel2005 di quotazione in borsa diun’azienda di Stato come la Fincan-tieri (si sarebbe quotato e tagliato icantieri “più deboli”), alla settimanadi occupazione del 2009 sempre perlo stesso motivo fino all’ ultimo ten-tativo di chiusura del maggio 2011. Ilavoratori hanno risposto sempremettendo in campo il loro punto diforza: il numero. Nelle scorse setti-mane dietro allo striscione delle RsuFincantieri, c’erano i lavoratori ditutte le fabbriche del Ponente, i lavo-ratori da tutti i continenti delle ditted’appalto che lavorano nel cantierenavale, provenienti. La vera integra-zione avviene prima di tutto nelmondo del lavoro.Quello che è successo in queste setti-mane - la forte rabbia operaia che dasubito è scesa in piazza dopo la noti-zia per cui l’amministratore delegatovoleva chiudere i cantieri di Sestri Po-

ne dei lavoratori verso i lager tedeschicon il rastrellamento delle fabbrichedel 16 Giugno 1944.Genova ha sempre fatto da sfondoalle proteste dei lavoratori e degli stu-denti e la repressione da parte delloStato non è mai mancata in tuttiquesti anni. Da lavoratore mi ricor-do le giornate del G8 del 2001 ed ilclima di tensione in fabbrica, il for-

te sentore che sarebbe stato meglionon andare a lavorare e molti mieicolleghi in quei giorni presero ferie oaddirittura andarono via dalla cittàgrazie alla macchina di propagandache le istituzioni avevano messo inpiedi.In faccia al Cantiere Navale, sulla pi-sta dell’Aeroporto, arrivarono i lan-ciamissili dell’esercito ed un dubbioallarme bomba sulla nave fece sbar-care tutti i lavoratori a bordo e l’azienda in quei giorni diede addirit-

ia genovese, e che tanto a dato allalotta di Liberazione ed alla Resisten-za, si vedono adesso assediati dalla lo-gica delle “grandi opere”, gronda, in-ceneritore e terzo valico, che rappre-sentano uno dei paradigmi più per-versi del processo di globalizzazioneneoliberista, in cui la privatizzazione,e militarizzazione del territorio, comeè avvenuto in Val di Susa, vanno avantaggio di pochi e a discapito dimolti.

Nonostante l’ottusità e l’ostracismodei rappresentanti della cosiddetta si-nistra riformista, ed ovviamente delledestre, che per anni hanno tacciato, econtinuano a tacciare di essere con-trari al “progresso” coloro i quali siopponevano a queste opere inutili edevastanti, in questi ultimi anni sem-bra essersi risvegliata la volontà dicontrastare a determinate logiche disviluppo, grazie anche all’attività deimovimenti che si oppongono al pro-getto della gronda di ponente.La speranza è che tutte queste realtàpossano coagularsi in un unico con-tenitore politico che possa propugna-re una visione di sviluppo diversa daquella che vorrebbero i poteri forti edi mercati.Uno sviluppo che per noi non è spo-stare un container dalla Cina a Geno-va e quindi a Rotterdam attraverso ilIII valico, con dentro della merce

quelli della cittadinanza i cui rappre-sentanti istituzionali (sia il presidentedella Regione Burlando che la Sinda-co Vincenzi hanno partecipato allamarcia si accodano a coloro che pro-pugnano la tesi di uno “sviluppo” in-finito e duraturo basato sulla movi-mentazione di merci e sulla cementi-ficazione del territorio, invece di tute-lare il bene comune e pensare allepiccole opere utili e necessarie.Un territorio martoriato, quello dellaValpolcevera, che da zona prevalente-mente agricola, dal dopoguerra haospitato, per circa cinquant’anni, gliinsediamenti dell’industria petrolchi-mica ed il proliferare della speculazio-ne edilizia, per por vedersi “riqualifi-cata” a partire dagli anni ’90, a suondi centri commerciali, emblemi dellaprecarietà del lavoro.Questi quartieri che hanno visto lapunta più avanzata della classe opera-

Davide Ghiglione*

Quando mi è stato chiesto di scriverequesto articolo sulle grandi opere aGenova, soprattutto in Valpolcevera,e la loro connessione con gli eventidell’anniversario del G8 del 2001, hosubito pensato al parallelismo tra lamarcia dei 500 imprenditori indettaqui da Confindustria il 4 luglio del2011, per rivendicare la necessità delTerzo valico, e la marcia dei 40mila diTorino del 14 ottobre 1980 che harappresentato la fine di un ciclo di vit-torie della classe operaia e l’inizio delprocesso delle privatizzazioni e quin-di della globalizzazione neoliberista.Con le debite proporzioni, questamarcia della classe padronale a Geno-va ha rappresentato l’ennesimo esem-pio di pressing delle lobbies dei ce-mentificatori e degli speculatori. Mai loro interessi non coincidono con

> Nelle foto piccole: l’assedio della

Gronda al Ponente genovese

Alla marcia degliimprenditori Yes Tavsi contrappone untessuto vivace dicompetenze popolaricontro la Gronda, ilTerzo Valico, per lademocrazia

sabato 16 | luglio 2011 | II

della fabbrica simbolo della lottacontro il declino industrialeScrive un operaio

Partiamo da Ponenteper scrivere insieme il nostro futuro

tura la cassa integrazione, comequando nevica ed il Cantiere diven-ta pericoloso un po’ dappertutto.Uno striscione esposto sulla banchi-na con su scritto “No G8” fu rimos-so dai Carabinieri.Quella repressione di piazza da par-te dello Stato del luglio 2001 è la stes-sa che avremmo potuto subire noi la-voratori il 3 giugno se la notizia sul-la sorte dei Cantieri Navali fosse sta-ta negativa. Le “forze dell’ ordine”quella mattina ci avevano intrappo-lato nel viale che porta al Colosseo, asinistra una cancellata di quattro me-tri, davanti a noi polizia e guardia di

nente, Riva Trigoso e Castellamare diStabia - fino ad arrivare alla manife-stazione di Roma del 3 Giugno, si in-quadra in una tradizione che da sem-pre ha visto Genova ed i suoi lavora-tori in prima fila, come nella Libera-zione che qua è avvenuta il 24 Apri-le 1945 (prima città d’ Europa libera-ta dai nazifascisti) ed è partita pro-prio dai quartieri operai, dai montidietro a queste delegazioni e dallesue fabbriche.Il 30 Giugno 1960 continua quel filorosso di ribellione allo stato precosti-tuito delle cose, infatti in quei giornial Msi si impedì con una fortissimaprotesta di piazza di fare proprio aGenova un congresso Congresso presieduto dall’ex Prefet-to fascista di Genova Basile, triste-mente noto anche per la deportazio-

finanza in assetto antisommossa, adestra un muro anch’ esso molto al-to con sopra la polizia e alle nostrespalle altre camionette a chiudere lastrada.Quello che successe a Genova, le no-stre lotte operaie, sono le stesse lottedel movimento No Tav in Val di Su-sa che in questi giorni ha lottato elotta contro il treno ad alta velocitàche il centrodestra ed il centrosinistrapiemontesi vogliono costruire inquella meravigliosa valle alla quale,in rappresentanza di tutti i lavorato-ri , ho portato personalmente la no-stra solidarietà nella lotta anche per-

Beni comuni. Le vertenze dei quartieri minacciati

Zona rossa è ciòche assedia la cittàcon le grandi opere

La rabbia antica delletute blu nel luogodove è nato ilmovimento operaioitaliano si riconoscenelle battagliealtermondialiste e notav. E per questosubisce la stessabrutale repressione.Il decennalecomincia dallaresistenza allaFincantieri

del G8 2001 sono in pienosvolgimento da fine giugno, conl’attivo coinvolgimento di realtàgenovesi piccole e grandi chehanno saputo interpretarne in pienole indicazioni emerse dallediscussioni preparatorie: recuperare,allargare ed aggiornare lo “spirito diGenova”, guardando avanti, alfuturo che abbiamo, tutte e tutti, laresponsabilità di costruire. Guardareavanti, ovviamente, senzadimenticare il passato, anzi. E unprezioso contributo in questo sensoviene da Cassandra, una mostra suquesti dieci anni di storia, dal primoforum sociale mondiale di Porto

Alegre alla rivolta nel Maghreb. Unamostra il cui percorso comprendeuna sezione cronologica, unasezione sui fatti di Genova e quattrograndi aree tematiche: guerra-repressione, economia-lavoro, benicomuni, società. Una sceltariconducibile ad una delle paroled’ordine che ci siamo dati:«guardare l’oggi, pensare al domani,anche con gli occhi di ieri».Il percorso che ci ha portati arealizzare il fitto e ricco calendariodi eventi è iniziato nel giugno 2010in un clima politico ben diverso,con una consultazione regionale incui non c’era stata quella nettaaffermazione del centro-sinistra chesi sperava - 7 regioni su 13 – anchese non mancavano timidi segnali dirisveglio politico del nostro paese. Ilpercorso è stato lungo e complesso,così come impegnativo è stato il

Rita Lavaggi e Walter Massa

Non è semplice scrivere di Genova,oggi. Una città attraversata datensioni, in costante diffidenza,quasi immune da quel vento nuovoche pare diffondersi in tutto il Paeseall’indomani delle amministrative e,soprattutto dei referendum. Loscriviamo con il limite degli “addettiai lavori” e ci riferiamo inparticolare a quel mondo,organizzato, che ha ruotato inquesti mesi attorno alcoordinamento Verso Genova 2011.Non è un amara constatazioneperò; è il dato di consapevolezzarisaputo con cui abbiamo deciso diavviare il percorso che oggi ci hariportato a Genova. Quanto èaccaduto negli ultimi vent’anni –come rileva anche Curzio Maltesenel suo ultimo libro “La bolla” -parla di un Paese schizofrenico: dauna parte i fatti hanno dato ragionealle idee della sinistra, deimovimenti pacifisti e no global, coni temi e le lotte che da Seattle in poisono arrivati a Genova nel 2001;dall’altra, un paese ipnotizzato dallapropaganda di un regime in cuiattorno a “Cesare” ha imperversatouna rete clientelare che è arrivatafino ad alcuni settori del Vaticano. Nel frattempo dal G8 2001 sonopassati dieci lunghi anni disofferenza e di piccole, fragilisoddisfazioni (“Lo Sbarco” degliitaliani all’estero del giugno 2010 neè un piccolo, preziosissimoesempio) ma, soprattutto, diincredulità di fronte a ciò che èpotuto accadere in un paese untempo democratico e civile.Profetiche ed inascoltate, almenodai più, furono le parole di ungrande uomo di cultura comeEdoardo Sanguineti che oggi tantoci manca: «Quando fu ucciso CarloGiuliani, ci rendemmo conto chenon poteva non accadere. Vistocome si era svolta la questione. Amio parere era il primo esempio diguerra preventiva a livello di guerracivile».Le iniziative relative al decennale

confronto tra le diverse componenti- i soggetti che allora c’erano, altriche all’epoca non esistevano e altriancora che hanno deciso di essercioggi – tutti concordi nella scelta dicontaminarci tra diversi. Elementosicuramente di rilievo se pensiamo,ad esempio, al significato delcoinvolgimento di realtà importanticome i movimenti per l’acqua econtro il nucleare, i variegatimovimenti No Tav e anche pezzipiù istituzionali come la Cgil.Come coordinamento VersoGenova 2011 abbiamo provato inprimis a recuperare un quadrocollettivo, unitario per certi versi:un ruolo di cucitura, come giàavvenne nel 2001, non perchésiamo nostalgici ma perché nonconosciamo altro metodo percostruire insieme qualcosa. E’ statofino ad oggi un ruolo attivo, volutoe condiviso da tutto ilcoordinamento per risponderepositivamente alla grandeaspettativa che da molti settori èemersa in questi mesi. Ci pareproprio di poter dire che uno deipunti di eccellenza di questopercorso è stato aver voluto rendereil più possibile partecipe la cittàcoinvolgendo tutte quelle realtàpiccole e grandi che sono presentinel tessuto sociale di Genova. Nonsolo nel centro cittadino abitualepalcoscenico di tutto ma, inparticolare con un lavoro nelleperiferie. Va ringraziato per questolavoro in particolare il ForumCultura che ha svolto una preziosatessitura a collegamento tra leiniziative del programma e la città.Ci è parso un “risarcimento”, sipotrebbe dire, ad una città che si èvista infliggere ferite profonde chenon sono ancora completamentecicatrizzate. Saremo in tanti quindi a Genova,per ricordare certamente ma, anche -e forse sopratutto - per ripartire eritrovare una speranza e una vogliadi futuro mai sopite. Questo è lospirito di Genova per noi.

*Coordinamento Verso Genova2011**Presidente Arci Liguria

prodotta chissà da chi e a quali condi-zioni lavorative, in cui si prevede unacrescita infinita e illimitata basata sul-l’aumento del volume del trasportodi merci, ma è significa capire che cisono dei limiti a questa crescita, chebisogna ottimizzare le risorse esisten-ti per renderle più efficienti e durevo-li, in modo da tagliare il superfluo einvestire in crescita intellettuale e cul-turale più che materiale.A dieci anni di distanza dal G8 di Ge-nova del 2001, tutte queste ragioni ri-vivranno nella piazza dei contenutidei Beni Comuni in piazza Massena,il 23 luglio 2011, a Genova-Corni-gliano. Una piazza che non si limite-rà solamente alla testimonianza madove si elaboreranno anche delle pro-poste alternative alla logica delle gran-di opere.Dieci anni fa dicevamo che un mon-do diverso non era solamente possi-

bile ma necessario, e nonostante si siatentato di stroncare il movimentocon la più grande repressione di mas-sa in Europa occidentale dal dopo-guerra ad oggi, secondo quanto diceAmnesty International, abbiamocontinuato le nostra elaborazioni at-traverso l’esperienza dei social forume comunque grazie alla capacità dimettersi in rete e contaminarsi.Questa elaborazione ha comunquepermesso un confronto tra diverseesperienze e seppur tra mille difficol-tà oggi ci possiamo dire ottimisti an-che grazie alla recente vittoria referen-daria che ha sancito il rifiuto della lo-gica delle privatizzazioni dei beni co-muni e del nucleare. Il decimo anni-versario del G8 di Genova potrà esse-re l’occasione per sancire ancora unavolta questa volontà, in quanto lorosono la crisi e noi la speranza!

*circolo Prc Valpolcevera

Rieccoci, dunque,a ricucire le lotte

Lungo la strada isoggetti che allorac’erano sono riuscitia coinvolgere altriche all’epoca nonesistevano e altriancora che stavoltahanno deciso diesserci, come la Cgil

> Maggio 2011, in migliaia per le vie

di Sestri Ponente con gli operai

Fincantieri > foto Ansa/Zennarowww.liberazione.it

«Lo spirito di Genova percontaminarci e ripartire»Parlano i promotori:

sabato 16 | luglio 2011 | III

chè noi come loro siamo decisi a de-cidere noi stessi del nostro futuro.Ed è anche per questo che per il de-cennale del G8 di Genova la nostrapartecipazione comincia dagli ingres-si delle fabbriche del Ponente fino asfilare in corteo nel centro cittadino.Quella giornata per noi sarà una dicommemorazione ma anche di lottaalla crisi a partire dalla denuncia deinuovi accordi che limitano la demo-crazia in fabbrica e il diritto di scio-pero: un salto indietro nel tempo dialmeno duecento anni. Nella totaleassenza ed incompetenza dell’ad edel Governo, i lavoratori della Can-

tieristica reclamano l’uscita dalla cri-si ad esempio, attraverso la rottama-zione di Tirrenia, azienda di Stato,con la costruzione di una nuova flot-ta sare Stato) che farebbe lavoraretutti i suoi cantieri per anni. Oppure,invece di costruire treni ad alta velo-cità senza il consenso dei cittadini sipotrebbe lanciare l’idea, sulla linea dialtri paesi europei, delle autostradedel mare, così le merci trasportate dauno Stato all’altro avrebbero menoimpatto ambientale ed anche un co-sto ridotto, come dimostrano moltistudi fatti nel settore.

*operaio Fincantieri

spirito di genova

Vittorio AgnolettoLorenzo Guadagnucci

All’indomani dei disordini -chiamiamoli così - avvenuti aChiomonte in Val di Susa loscorso 3 luglio, descritti daimaggiori media con toni datregenda, il ministro dell’InternoRoberto Maroni ha datoun’inconsueta quanto roboanteindicazione ai magistrati: imanifestanti violenti - ha dettocon tutta la solennità dovuta alruolo - vanno inquisiti per tentatoomicidio. Maroni ha parlatoseriamente, pur sapendo che le”azioni violente” del fantomaticoBlack Bloc evocato dalla polizia edai grandi media non sono andateoltre un lancio di sassi al di là digrate alte tre metri. Tentatoomicidio per così poco? EppureMaroni ha parlato sul serio ed èstato preso sul serio, a prescinderedai fatti.Non è una novità. Viviamo da unadecina d’anni, diciamo da GenovaG8 in poi (con l’accelerazionedovuta alla cosiddetta guerra alterrore seguita agli attentati dell’11settembre 2001), nella stagionedell’incubo-sicurezza. E’ unincubo che si nutre di suggestionied esagerazioni, proprio com’èavvenuto nel caso Val di Susa-Maroni. Un caso da manuale. Lapolizia, il ministro, i maggioripartiti, perfino il presidente dellaRepubblica che gridano al pericoloestremista e para-terrorista. E igrandi media che riportano,amplificano, arricchiscono diparticolari con toni al limite delgrottesco: si è arrivati a indicarel’inviso comico-politico BeppeGrillo come un fomentatore dellaviolenza, anche qui a prescinderedalla realtà.Dal 2001 in poi, riscoprendo unatradizione ben radicata nellacultura della destra politica, ilbinomio legge-ordine è diventatol’asse culturale della nostra vitapubblica. In un mondo in rapidatrasformazione, con poteri realisempre più forti e sfuggenti (gli 8grandi, la Wto, il Fondomonetario), con una guerra globaleannunciata come permanente, difronte a un sistema economicoglobalizzato che acuisce lediseguaglianze e alza il livello diprecarietà sociale, chi si è trovatodalle parti del potere deve avercapito che dubbi ed incertezzesono una buona leva perconquistare e mantenere ilconsenso.Nel vuoto delle idee, che hainvestito anche le forze politichedefinite di ”centro-sinistra”, e conistituzioni sempre più fragili, si èsopperito all’indebolimento deilegami sociali e alla perdita diautorevolezza con un incrementodel principio autoritario. I migrantie le minoranze - in testa i rom -sono stati la materia prima dicampagne xenofobe e razziste avolte grossolane, a volte più sottili(qualcuno ha dimenticato la

storica ordinanza contro i lavavetridel Comune di Firenze?). In brevegli imprenditori politici della paurahanno preso il sopravvento,spaziando da destra a sinistra; si èaffermata rapidamente una fittizia

emergenza sicurezza, grazie a unsistema mediatico ben disposto adassecondare le nuove strategiepolitiche anche a prescindere dallarealtà: le statistiche sullacriminalità non mostrano alcunaumento significativo dei reati, male notizie di cronaca nera sonoesplose, conquistando le primepagine dei quotidiani e riempiendoi telegiornali, come dimostranovarie ricerche oggi disponibili.Nell’arco di pochi anni, si è reso lavita impossibile a uno sparutaminoranza (rom e sinti in Italia fraautoctoni e immigrati non sonopiù di 150 mila), si sono introdottenormative vessatorie che hannoviolato il principio di eguaglianzafra le persone (addirittura si èinventato un reato detto diclandestinità), si è alzato il livellodi violenza istituzionale, facendo

in modo che gli abusi di potere ei falsi di Genova nel 2001diventassero un precedenteaccettato dalle istituzionipubbliche, che non hanno mairipudiato, e anzi hannolegittimato, quelle violazioni dellalegalità costituzionale.Coi fatti, con le omissioni, concampagne mediatiche asfissianti, siè così ridefinito il concetto didemocrazia, comprimendo idiritti, esaltando il potere dicomando, mettendo argini allapartecipazione. Le forze di poliziasono state protette oltre ognimisura, anche di fronte ad abusievidenti e a responsabilità morali(oltre che penali) innegabili: i casiCucchi, Aldrovandi e troppi altrisono lì a dimostrarlo.E’ oggi in corso unamilitarizzazione strisciante dellasocietà, che marca una nuova fasenel rapporto fra forze di sicurezzae cittadini, fra conflitti bellici edemocrazia: la guerra in Libia èstata avviata ed è tuttora gestitasenza alcuna discussione pubblica;si è riusciti senza sforzo a farlaaccettare dall’opinione pubblica,qualunque cosa significhi questaespressione.E’ questo il segno più vistoso e piùallarmante della piega autoritariapresa dalla nostra democrazia.

quanto oscuro – un’unità speciale(con a capo Canterini, condannatopoi a 5 anni di reclusione per le vio-lenze su manifestanti inermi), com-posta da personale proveniente dai re-parti mobili incitati a “dare una lezio-ne ai rossi…”. Gli attacchi portati a“freddo” da parte delle polizie, com’ètestimoniato dai numerosi video, di-mostra che non si è affatto trattato dicomportamenti tipici di “schegge im-pazzite”, di “mele marce”. Come di-mostrato anche in sede processuale, ilblitz con la “macelleria messicana” al-la scuola Diaz è stato assolutamenteingiustificato, deciso “a freddo”. Cosicome si afferma, sempre dagli atti pro-cessuali che hanno portato alla con-

danna gli agenti presenti alla casermaBolzaneto, le pratiche adottate daglioperatori delle polizie si configuranocome vere e proprie torture, sebbenetale reato non sia previsto nel codicepenale italiano.In altri termini, è assai difficile smen-tire la tesi secondo la quale i compor-tamenti delle polizie a Genova fosse-ro dovuti all’obiettivo di dare una le-zione durissima, se non risolutiva al

E’ oggi in corso unamilitarizzazionestrisciante dellasocietà, che marcauna nuova fase nelrapporto fra forze disicurezza e cittadini.Si è riusciti a farlaaccettaredall’opinionepubblica, qualunquecosa significhiquesta espressione

Italo Di Sabato

La cornice in cui si situa il G8 di Ge-nova è segnata innanzitutto dallanuova tappa della svolta neo conser-vatrice a livello mondiale che si impo-ne in parte già con l’amministrazioneClinton e diventa esplicita con Bush.Una delle caratteristiche cruciali di ta-le svolta riguarda le pratiche di potereo del dominio, ossia la tendenza assaipalese a calpestare il rispetto formaledelle norme dello Stato di diritto avantaggio della guerra permanente equindi della supremazia a tutti i costida parte degli attori più forti.Lo “scenario di guerra” a Genova2001 è stato studiato dai diversi sog-getti istituzionali dell’intelligence in-ternazionale con largo anticipo ed erastato affinato sul campo dei diversiappuntamenti del movimento alter-mondialista che avevano preceduto legiornate del luglio 2001 (Seattle, Que-bec, Praga, Nizza, Napoli, Goteborg).Le disposizioni date ai precedenti go-verni di centrosinistra presieduti daD’Alema e Amato, solo in parte mo-dificate da quello di centrodestra en-trato in carica nell’aprile 2001, prove-nivano infatti da quell’intelligence in-ternazionale che in Italia aveva inGianni De Gennaro il suo attore prin-cipale.La preparazione del G8 genovese èstata accompagnata da un escalationallarmistica, grazie alla complicitàdei media, allo scopo di accentuarel’ansia soprattutto l’ansia sui giova-ni agenti che in alcune strutture edurante l’addestramento sono statiincitati ad accumulare sempre piùodio verso i noglobal accusati diprepararsi a massacrarli e a distrug-gere la città. Salvo qualche rara eccezione, nessu-

na personalità istituzionale ha obiet-tato al piano di sicurezza del G8 cheprevedeva una militarizzazione in-quietante della città ligure. Il disposi-tivo predisposto dai vertici della poli-zia e la scelta del personale da impie-gare non sono stati conformi al-l’obiettivo di garantire lo svolgimen-to negoziato e pacifico delle manife-stazioni. Molti dirigenti delle polizie,presenti a Genova, non erano espertiin servizi di ordine pubblico, ma alcontrario abituati a operare in “teatridi guerra”. In particolare, la scelta diaffiancare al battaglione Tuscania deiCarabinieri – unità militare, non cer-to avvezza alla gestione pacifica del-l’ordine pubblico e con un passato al-

Foto di Riccardo Navone dal volume

“G8 Graffiti” (Via del Campo 2011)

A destra la copertina

di “Per sempre ragazzo” (Tropea, 2011)

La militarizzazionedella città, stabilitada Polo e Ulivo,serviva a dare unalezione durissima aino global. Lo spiegòCondoleeza dopo l’11settembre

sabato 16 | luglio 2011 | VI

il binomio legge-ordine è divenuto l’asse culturale della nostra vita pubblicaL’emergenza sicurezza consente continue violazioni della legalità costituzionaleDal 2001I

Sicuri da morireLa piega autoritariadella democrazia

I fatti del luglio 2001 nella cornice della svolta mondiale neoconservatrice

Prove generali di guerra globaleEcco perché lo Stato s’è assolto

movimento no global, tesi tra l’altroconfermata anche da Condoleeza Ri-ce al Congresso americano nell’audi-zione per l’attentato alle torri gemelledell’11 settembre 2001.La ricerca della verità e della giustiziaper la violenta repressione e il difen-dersi dai processi e dai teoremi a cari-co delle compagne/i imputate/i è sta-ta, infine, un lavoro costante in que-sti dieci anni.Alcuni processi individuali in sede ci-vile si sono conclusi con il risarcimen-to dei danni subiti dalle vittime dalloStato che teoricamente dovrebbe cer-care i responsabili di tali danni. I pro-cessi per l’irruzione alla scuola Diaz ele torture alla caserma Bolzaneto,hanno visto condannati in secondogrado tutti gli imputati, anche se mol-ti dei reati contestati sono caduti inprescrizione. Anche il regista princi-pale della repressione l’allora capodella polizia ed oggi al vertice dei ser-vizi segreti Gianni De Gennaro è sta-to condannato in secondo grado ad 1anno e 4 mesi di reclusione per indu-zione alla falsa testimonianza. Ma lacosa più vergognosa è che lo Statonon solo non ha rimosso nessuno de-gli appartenenti alle forze dell’ordineprima imputati e poi condannati maparadossalmente li ha premiati avan-zandoli di grado.In primo grado sono stati pure con-dannati per i reati di devastazione esaccheggio a una pena complessiva di98 anni di carcere 10 dei 25 manife-stanti imputati. Mentre sono stati tut-ti assolti gli imputati arrestati, nel no-vembre 2002, in merito all’inchiestadella procura di Cosenza contro laRete del Sud Ribelle. Inchiesta partitada un dossier dei Ros, ritenuto incon-sistente da più Procure e che trova unambiente accogliente nella Procura diCosenza e che porta all’arresto di ven-ti militanti (alcuni di loro furono rin-chiusi nelle carceri di massima sicu-rezza) con accuse pesantissime, per lopiù relative ad articoli del codice pe-nale di derivazione fascista, introdot-ti negli anni Trenta, come il “sovverti-mento dell’ordinamento economicocostituito nello Stato”.

*Osservatorio sulla Repressione

stati costretti ad attingere ai mate-riali e alle produzioni di attivisti efilmaker indipendenti. Mediattivista si definì allora la pro-pensione a “divenire media”, comerecitava lo slogan fondativo dell’In-dependent Media Center: una di-chiarazione di intenti che sancivauna differenza importante con lacontroinformazione, appannaggiodi movimenti e partiti di massa del-la sinistra del Novecento. Alla me-tafora dei mezzi di comunicazionecome megafono del potere, delquale si dovevano svelare gli ingan-ni e le mistificazioni, i mediattivistisostituivano un atteggiamento di-sincantato, meno ideologico, figliodi una società della comunicazioneormai giunta a maturità, mixato al-la curiosità da bricoleur che si im-mergono nelle dinamiche di produ-zione del simbolico, senza timore

di giocare con il mainstream e ri-combinarne estetiche, formati, stili.Il mediattivismo trova infatti i suoiantenati illustri nel mondo dellecontroculture, nelle stagioni in cuii movimenti sociali hanno intercet-tato l’emergere di nuove soggettivi-tà e il loro bisogno di forme creati-ve di rappresentazione e autorap-presentazione: comunicazione toutcourt, quindi, e non soltanto infor-mazione.Nel “decennio breve” che ci separadai giorni di Genova, la diffusionerapidissima delle pratiche di socialnetworking ha avuto effetti non sol-tanto sul giornalismo e la comuni-cazione tradizionale, ma sulla stes-sa sfera della comunicazione indi-pendente. Alle reti di filesharing, ar-chivi video, siti, web radio e street-tv si sono affiancate forme comuni-cative pulviscolari, atomizzate, ope-ra di singoli. E se da un lato la pro-

liferazione dei nodienunciatari dell’informa-zione può far pensare aduna vittoria sostanzialedei principi del mediatti-vismo, che vedeva nelmoltiplicarsi delle emit-tenti un segnale di demo-cratizzazione sostanzialedel mediascape, non pos-siamo non accorgerci del-lo scadimento complessi-vo dei contenuti dei mes-saggi, della ripetitività, de-gli echi e dei rumori difondo, dell’approccio ta-ke-away e della logica dellapartecipazione che si di-storce affidandosi a unclick su comodi (e inoffen-sivi) like-button. Per non relegare anzitempoil mediattivismo al vintage èallora il caso di ripensare cri-ticamente al modello dell’al-tra comunicazione possibile.Attualizzare riflessioni, com-

portamenti e prassi a partire da unaevidenza: il sistema dei media haraggiunto un punto di non ritornodella propria storia sociale. Il prota-gonismo degli ex-pubblici, divenu-ti utenza attiva e pur composti daindividui non necessariamente po-liticizzati, si è mosso negli ultimianni nella stessa direzione indicatadai pionieri dell’utilizzo critico ecreativo dei media. Ma il web cheabitiamo oggi è anche il web dellemultinazionali e della profilazionea fini commerciali degli utenti, del-l’espropriazione del lavoro di co-municazione. La socialità online èfonte di profitti: accompagna latransizione di paradigma, indivi-duata da Castells, del modo di pro-duzione capitalista dall’industriali-smo all’informazionalismo. DaLovink a Formenti a Terranova, di-versi autori, a vario titolo e da dif-ferenti prospettive, stanno tentan-do la definizione di una teoria cri-tica della rete che spazzi il campodagli entusiasmi della prima ora edall’enfasi ottimista che ha viziatole interpretazioni dell’agire comu-nicativo in rete e rilegga i mediacome terreni del conflitto. Luoghientro i cui confini ancora moltebattaglie meritano di essere com-battute. Genova, in fondo, non èstata che l’inizio.

www.liberazione.it

sabato 16 | luglio 2011 | VII

Genova raccontata. L’irruzione dei fatti del luglio nella produzione culturale

Montalbano, l’unico sbirro a chiedere scusa è di carta

2004) fino a Colpi di coda (Garzanti,2010).C’è chi invece sceglie di parlare d’altro. SoloLimoni (2002) è una video testi-monianza collettiva sui fatti di Geno-va. Si parla di agrumi, spiega Lello Vo-ce, per risentire sapore e odore di quelsucco «che ci seccava le lacrime e davasollievo alle pupille accecate dai gas».Quell’aroma che profuma il cibo,l’amore, «il dolore quieto che sempreci accompagna». «Perché siamo certiche non è d’eroi che abbiamo bisogno,ma di limoni».Maledetto il popolo che ha bisogno dieroi, non di limoni. Stramaledetto ilpaese che crea vittime innocenti. Co-me Carlo. Che eroe non voleva esse-re. Forse voleva solo andare al mare.Ma uscir di casa a vent’anni è quasi unobbligo, quasi un dovere, piacere d’in-contri a grappoli, ideali identici, esse-re e avere, la grande folla chiama, can-ti e colori, grida ed avanza, sfida il so-le implacabile, quasi incredibile passodi danza, canta Francesco Guccini inPiazza Alimonda. Tante le canzoni suquei fatti. Genova brucia di SimoneCristicchi è più ruvida nel ritmo e nel-le parole. Ne è morto solo uno ma po-tevano essere cento, i mandanti del

massacro sono ancora in Parlamento.Genova non ha smesso di bruciare.Come un lutto non elaborato. Sonoappena usciti due libri dedicati a Car-lo: Carlo Giuliani. Il ribelle di Genova,(BeccoGiallo) è un fumetto struggen-te. Sceneggiatura di Francesco Barilli,illustrazioni di Manuel De Carli, pre-fazione di Chiara Ingrao, postfazionedi Checchino Antonini. Per sempreragazzo (Tropea), è curato da PaolaStaccioli. Racconti, poesie di trentascrittori. A dire che Carlo - per sempreragazzo - con quel suo gesto estremocompie una scelta adulta contro l’in-

ordine e legalità. «Ma bada bene Mi-mì: il loro ordine, la loro legalità».Genova sotto assedio dunque. Una cit-tà in gabbia (2003) è il giallo della ge-novese Annamaria Fassio. La sua EricaFranzoni, commissario capo dellasquadra mobile di Genova, «incredu-la, guardò le immagini feroci e brutalicon la sensazione che il mondo le crol-lasse addosso».Ma è scosso da quei fatti anche chi nonsi tira indietro di fronte alla violenza, seserve a ristabilire una sia pur precariagiustizia, come l’Alligatore di MassimoCarlotto. In una storia che trasuda san-gue, Il maestro di nodi (2002), l’imma-gine di Carlo irrompe commuovente:

«Un corpo a terra vicino a un fuoristra-da dei carabinieri. Canottiera bianca,jeans, passamontagna blu intriso disangue». E Sandrone Dazieri spedirà ilsuo Gorilla nella manifestazione in oc-casione del primo anniversario(Gorilla blues, Mondadori, 2002) sulletracce di infiltrati fascisti. Bruno Mor-chio e il suo Bacci Pagano, investigato-re atipico «quasi comunista», non si so-no mossi mai da Genova se non perbrevi puntate in Sardegna, a Tertenia ein Germania. E l’eco del G8 ritornanelle storie di Bacci, sette romanzi, fi-nora, da Una storia da carruggi (Frilli,

giustizia. Senza retorica. Il ventenneche voleva andare al mare e si trova difronte gas, blindati, manganelli di Ber-lusconi e Fini, morendo diventa uo-mo. Con quell’estintore vuoto, inutilescudo al proiettile che lo uccide. Conun passamontagna preso chissà dove.Che lo rende riconoscibile, come glizapatisti in Chiapas. Parte di noi.A volte si parla di Carlo parlando di al-tro. Si colma il vuoto lasciato dagli spa-ri con altro vuoto. Scrivere libri, infat-ti, «ha a che fare col vuoto» dice PaoloNori. Si parla di speranze perdute. De-siderio di ritrovarle. O ci si dichiarastanchi di avere ragione, come PinoCacucci. E il terribile gas usato a Geno-va diventa quasi un amaro divertimen-to in Jumpin’ jack flash di GirolamoDe Michele.Giocando con i titoli, se Il tempo cam-bia e La vita è sogno, l’importante ènon smettere di sentirsi parte del Latoluminoso della sera. Le ultime paroledella poesia di Stefano Tassinari (che aGenova ha dedicato anche il romanzo Segni sulla pelle, Tropea, 2002, sugge-stionato dall’altra morte strana, quelladi una manifestante a Ventimiglia chetornava in Francia), forse, racchiudonoil senso di tanto narrare: per camminarefino a te / e al tuo ricordo vivo / rimasto inci-so nella nostra umile coscienza / di quanto ne-cessario sia il continuare ad inseguirti / senzarischiare di fermarci / mai.

Marco Di Renzo e Paola Staccioli

Genova 2001. Un luglio rovente, unacittà occupata. Il G8. La lotta per unmondo diverso. Violenza di stato.L’uccisione di Carlo Giuliani, l’assaltoalla scuola Diaz, le torture nella caser-ma di Bolzaneto. Per molti Genova èracchiusa in quei giorni. Un luogo del-l’anima. Una ferita sul corpo.Narrare diventa allora una necessità.Anche in nome del ragazzo di piazzaAlimonda. Un lutto fermo nel cuore,che racchiude quelli venuti prima e do-po. Condanne a morte senza proces-so.C’è chi da Genova non è più andatovia. Almeno con la mente. Cristallizza-to da tanto orrore. Come Roberto Fer-rucci. In Cosa cambia (2007) il giornodopo nella Diaz vede «capelli incollatial muro dal sangue rappreso». «Losbuffo allungato di un pennarello im-pazzito».Ma anche chi a Genova non c’era neha vissuto l’affronto sulla pelle di cartadei suoi personaggi. Se i romanzi sonogialli, e l’eroe un poliziotto, la contrad-dizione è lacerante. Il commissarioMontalbano di Andrea Camilleri nonpuò far finta di nulla. Ne Il giro di boa(2003), Salvo sa che non basta voltaregli occhi per rimanere innocenti. C’èstato a Genova «un eccesso di difesa,tanto ostentato da costituire una spe-cie di provocazione». Disgustato dallafalsificazione delle prove per giustifica-re la mattanza della Diaz decide di di-mettersi. Confida all’eterna fidanzataLivia: «Io sono stato tradito. Non sitratta di sensazioni. Ho sempre fatto ilmio mestiere con onestà». Poi riflettecon l’amico collega Mimì Augello.Nelle sale operative genovesi c’era gen-te di troppo. Ministri, deputati. Diquel partito che sempre si appella ad

Il decennio breve del mediattivismo

media sono terreni di conflittoIn fondo, Genova è stato solo l’inizioVecchi e nuoviI

spirito di genova

Per molti la città èracchiusa in queigiorni. Un luogodell’anima. Narrarediventa allora unanecessità. Anche innome del ragazzo dipiazza Alimonda

Stefania Parisi

Interrogarsi sul nodo comunicazio-ne-movimenti a dieci anni dal G8del luglio 2001 vuol dire rileggernela scrittura collettiva fatta di paro-le, immagini, filmati, registrazioniradiofoniche.Sugli schermi e le pagine dei me-dia mainstream il controvertice diGenova aveva assunto il caratteredi emergenza comunicativa findai mesi che ne precedevanol’apertura. Tematizzato come mi-naccia all’ordine pubblico e rac-chiuso nel frame interpretativo-profetico della violenza e dei di-sordini, il movimento vedeva co-sì le sue proposte e ragionischiacciate in partenza su sche-matizzazioni e stereotipi. Nien-te di meglio che ricorrere alleconsuete categorie allarmiste,per rendere l’evento appetibileper i lettori, notiziabile per glioperatori dell’informazione ecomprensibile per entrambi.

La chiave scelta dai media per rac-contare la novità del movimentoche attraversava la politica e la so-cietà di quegli anni metteva infattiin luce l’impreparazione e l’inade-guatezza dell’informazione tradi-zionale: non a caso, nel succedersiconvulso degli eventi di quelle gior-nate, molti professionisti sarebbero

La diffusionerapidissima dellepratiche di socialnetworking ha avutoeffetti non soltantosul giornalismotradizionale ma sullastessacomunicazioneindipendente. Ancoramolte battagliemeritano di esserecombattute

Vittorio AgnolettoLorenzo Guadagnucci

All’indomani dei disordini -chiamiamoli così - avvenuti aChiomonte in Val di Susa loscorso 3 luglio, descritti daimaggiori media con toni datregenda, il ministro dell’InternoRoberto Maroni ha datoun’inconsueta quanto roboanteindicazione ai magistrati: imanifestanti violenti - ha dettocon tutta la solennità dovuta alruolo - vanno inquisiti per tentatoomicidio. Maroni ha parlatoseriamente, pur sapendo che le”azioni violente” del fantomaticoBlack Bloc evocato dalla polizia edai grandi media non sono andateoltre un lancio di sassi al di là digrate alte tre metri. Tentatoomicidio per così poco? EppureMaroni ha parlato sul serio ed èstato preso sul serio, a prescinderedai fatti.Non è una novità. Viviamo da unadecina d’anni, diciamo da GenovaG8 in poi (con l’accelerazionedovuta alla cosiddetta guerra alterrore seguita agli attentati dell’11settembre 2001), nella stagionedell’incubo-sicurezza. E’ unincubo che si nutre di suggestionied esagerazioni, proprio com’èavvenuto nel caso Val di Susa-Maroni. Un caso da manuale. Lapolizia, il ministro, i maggioripartiti, perfino il presidente dellaRepubblica che gridano al pericoloestremista e para-terrorista. E igrandi media che riportano,amplificano, arricchiscono diparticolari con toni al limite delgrottesco: si è arrivati a indicarel’inviso comico-politico BeppeGrillo come un fomentatore dellaviolenza, anche qui a prescinderedalla realtà.Dal 2001 in poi, riscoprendo unatradizione ben radicata nellacultura della destra politica, ilbinomio legge-ordine è diventatol’asse culturale della nostra vitapubblica. In un mondo in rapidatrasformazione, con poteri realisempre più forti e sfuggenti (gli 8grandi, la Wto, il Fondomonetario), con una guerra globaleannunciata come permanente, difronte a un sistema economicoglobalizzato che acuisce lediseguaglianze e alza il livello diprecarietà sociale, chi si è trovatodalle parti del potere deve avercapito che dubbi ed incertezzesono una buona leva perconquistare e mantenere ilconsenso.Nel vuoto delle idee, che hainvestito anche le forze politichedefinite di ”centro-sinistra”, e conistituzioni sempre più fragili, si èsopperito all’indebolimento deilegami sociali e alla perdita diautorevolezza con un incrementodel principio autoritario. I migrantie le minoranze - in testa i rom -sono stati la materia prima dicampagne xenofobe e razziste avolte grossolane, a volte più sottili(qualcuno ha dimenticato la

storica ordinanza contro i lavavetridel Comune di Firenze?). In brevegli imprenditori politici della paurahanno preso il sopravvento,spaziando da destra a sinistra; si èaffermata rapidamente una fittizia

emergenza sicurezza, grazie a unsistema mediatico ben disposto adassecondare le nuove strategiepolitiche anche a prescindere dallarealtà: le statistiche sullacriminalità non mostrano alcunaumento significativo dei reati, male notizie di cronaca nera sonoesplose, conquistando le primepagine dei quotidiani e riempiendoi telegiornali, come dimostranovarie ricerche oggi disponibili.Nell’arco di pochi anni, si è reso lavita impossibile a uno sparutaminoranza (rom e sinti in Italia fraautoctoni e immigrati non sonopiù di 150 mila), si sono introdottenormative vessatorie che hannoviolato il principio di eguaglianzafra le persone (addirittura si èinventato un reato detto diclandestinità), si è alzato il livellodi violenza istituzionale, facendo

in modo che gli abusi di potere ei falsi di Genova nel 2001diventassero un precedenteaccettato dalle istituzionipubbliche, che non hanno mairipudiato, e anzi hannolegittimato, quelle violazioni dellalegalità costituzionale.Coi fatti, con le omissioni, concampagne mediatiche asfissianti, siè così ridefinito il concetto didemocrazia, comprimendo idiritti, esaltando il potere dicomando, mettendo argini allapartecipazione. Le forze di poliziasono state protette oltre ognimisura, anche di fronte ad abusievidenti e a responsabilità morali(oltre che penali) innegabili: i casiCucchi, Aldrovandi e troppi altrisono lì a dimostrarlo.E’ oggi in corso unamilitarizzazione strisciante dellasocietà, che marca una nuova fasenel rapporto fra forze di sicurezzae cittadini, fra conflitti bellici edemocrazia: la guerra in Libia èstata avviata ed è tuttora gestitasenza alcuna discussione pubblica;si è riusciti senza sforzo a farlaaccettare dall’opinione pubblica,qualunque cosa significhi questaespressione.E’ questo il segno più vistoso e piùallarmante della piega autoritariapresa dalla nostra democrazia.

quanto oscuro – un’unità speciale(con a capo Canterini, condannatopoi a 5 anni di reclusione per le vio-lenze su manifestanti inermi), com-posta da personale proveniente dai re-parti mobili incitati a “dare una lezio-ne ai rossi…”. Gli attacchi portati a“freddo” da parte delle polizie, com’ètestimoniato dai numerosi video, di-mostra che non si è affatto trattato dicomportamenti tipici di “schegge im-pazzite”, di “mele marce”. Come di-mostrato anche in sede processuale, ilblitz con la “macelleria messicana” al-la scuola Diaz è stato assolutamenteingiustificato, deciso “a freddo”. Cosicome si afferma, sempre dagli atti pro-cessuali che hanno portato alla con-

danna gli agenti presenti alla casermaBolzaneto, le pratiche adottate daglioperatori delle polizie si configuranocome vere e proprie torture, sebbenetale reato non sia previsto nel codicepenale italiano.In altri termini, è assai difficile smen-tire la tesi secondo la quale i compor-tamenti delle polizie a Genova fosse-ro dovuti all’obiettivo di dare una le-zione durissima, se non risolutiva al

E’ oggi in corso unamilitarizzazionestrisciante dellasocietà, che marcauna nuova fase nelrapporto fra forze disicurezza e cittadini.Si è riusciti a farlaaccettaredall’opinionepubblica, qualunquecosa significhiquesta espressione

Italo Di Sabato

La cornice in cui si situa il G8 di Ge-nova è segnata innanzitutto dallanuova tappa della svolta neo conser-vatrice a livello mondiale che si impo-ne in parte già con l’amministrazioneClinton e diventa esplicita con Bush.Una delle caratteristiche cruciali di ta-le svolta riguarda le pratiche di potereo del dominio, ossia la tendenza assaipalese a calpestare il rispetto formaledelle norme dello Stato di diritto avantaggio della guerra permanente equindi della supremazia a tutti i costida parte degli attori più forti.Lo “scenario di guerra” a Genova2001 è stato studiato dai diversi sog-getti istituzionali dell’intelligence in-ternazionale con largo anticipo ed erastato affinato sul campo dei diversiappuntamenti del movimento alter-mondialista che avevano preceduto legiornate del luglio 2001 (Seattle, Que-bec, Praga, Nizza, Napoli, Goteborg).Le disposizioni date ai precedenti go-verni di centrosinistra presieduti daD’Alema e Amato, solo in parte mo-dificate da quello di centrodestra en-trato in carica nell’aprile 2001, prove-nivano infatti da quell’intelligence in-ternazionale che in Italia aveva inGianni De Gennaro il suo attore prin-cipale.La preparazione del G8 genovese èstata accompagnata da un escalationallarmistica, grazie alla complicitàdei media, allo scopo di accentuarel’ansia soprattutto l’ansia sui giova-ni agenti che in alcune strutture edurante l’addestramento sono statiincitati ad accumulare sempre piùodio verso i noglobal accusati diprepararsi a massacrarli e a distrug-gere la città. Salvo qualche rara eccezione, nessu-

na personalità istituzionale ha obiet-tato al piano di sicurezza del G8 cheprevedeva una militarizzazione in-quietante della città ligure. Il disposi-tivo predisposto dai vertici della poli-zia e la scelta del personale da impie-gare non sono stati conformi al-l’obiettivo di garantire lo svolgimen-to negoziato e pacifico delle manife-stazioni. Molti dirigenti delle polizie,presenti a Genova, non erano espertiin servizi di ordine pubblico, ma alcontrario abituati a operare in “teatridi guerra”. In particolare, la scelta diaffiancare al battaglione Tuscania deiCarabinieri – unità militare, non cer-to avvezza alla gestione pacifica del-l’ordine pubblico e con un passato al-

Foto di Riccardo Navone dal volume

“G8 Graffiti” (Via del Campo 2011)

A destra la copertina

di “Per sempre ragazzo” (Tropea, 2011)

La militarizzazionedella città, stabilitada Polo e Ulivo,serviva a dare unalezione durissima aino global. Lo spiegòCondoleeza dopo l’11settembre

sabato 16 | luglio 2011 | VI

il binomio legge-ordine è divenuto l’asse culturale della nostra vita pubblicaL’emergenza sicurezza consente continue violazioni della legalità costituzionaleDal 2001I

Sicuri da morireLa piega autoritariadella democrazia

I fatti del luglio 2001 nella cornice della svolta mondiale neoconservatrice

Prove generali di guerra globaleEcco perché lo Stato s’è assolto

movimento no global, tesi tra l’altroconfermata anche da Condoleeza Ri-ce al Congresso americano nell’audi-zione per l’attentato alle torri gemelledell’11 settembre 2001.La ricerca della verità e della giustiziaper la violenta repressione e il difen-dersi dai processi e dai teoremi a cari-co delle compagne/i imputate/i è sta-ta, infine, un lavoro costante in que-sti dieci anni.Alcuni processi individuali in sede ci-vile si sono conclusi con il risarcimen-to dei danni subiti dalle vittime dalloStato che teoricamente dovrebbe cer-care i responsabili di tali danni. I pro-cessi per l’irruzione alla scuola Diaz ele torture alla caserma Bolzaneto,hanno visto condannati in secondogrado tutti gli imputati, anche se mol-ti dei reati contestati sono caduti inprescrizione. Anche il regista princi-pale della repressione l’allora capodella polizia ed oggi al vertice dei ser-vizi segreti Gianni De Gennaro è sta-to condannato in secondo grado ad 1anno e 4 mesi di reclusione per indu-zione alla falsa testimonianza. Ma lacosa più vergognosa è che lo Statonon solo non ha rimosso nessuno de-gli appartenenti alle forze dell’ordineprima imputati e poi condannati maparadossalmente li ha premiati avan-zandoli di grado.In primo grado sono stati pure con-dannati per i reati di devastazione esaccheggio a una pena complessiva di98 anni di carcere 10 dei 25 manife-stanti imputati. Mentre sono stati tut-ti assolti gli imputati arrestati, nel no-vembre 2002, in merito all’inchiestadella procura di Cosenza contro laRete del Sud Ribelle. Inchiesta partitada un dossier dei Ros, ritenuto incon-sistente da più Procure e che trova unambiente accogliente nella Procura diCosenza e che porta all’arresto di ven-ti militanti (alcuni di loro furono rin-chiusi nelle carceri di massima sicu-rezza) con accuse pesantissime, per lopiù relative ad articoli del codice pe-nale di derivazione fascista, introdot-ti negli anni Trenta, come il “sovverti-mento dell’ordinamento economicocostituito nello Stato”.

*Osservatorio sulla Repressione

stati costretti ad attingere ai mate-riali e alle produzioni di attivisti efilmaker indipendenti. Mediattivista si definì allora la pro-pensione a “divenire media”, comerecitava lo slogan fondativo dell’In-dependent Media Center: una di-chiarazione di intenti che sancivauna differenza importante con lacontroinformazione, appannaggiodi movimenti e partiti di massa del-la sinistra del Novecento. Alla me-tafora dei mezzi di comunicazionecome megafono del potere, delquale si dovevano svelare gli ingan-ni e le mistificazioni, i mediattivistisostituivano un atteggiamento di-sincantato, meno ideologico, figliodi una società della comunicazioneormai giunta a maturità, mixato al-la curiosità da bricoleur che si im-mergono nelle dinamiche di produ-zione del simbolico, senza timore

di giocare con il mainstream e ri-combinarne estetiche, formati, stili.Il mediattivismo trova infatti i suoiantenati illustri nel mondo dellecontroculture, nelle stagioni in cuii movimenti sociali hanno intercet-tato l’emergere di nuove soggettivi-tà e il loro bisogno di forme creati-ve di rappresentazione e autorap-presentazione: comunicazione toutcourt, quindi, e non soltanto infor-mazione.Nel “decennio breve” che ci separadai giorni di Genova, la diffusionerapidissima delle pratiche di socialnetworking ha avuto effetti non sol-tanto sul giornalismo e la comuni-cazione tradizionale, ma sulla stes-sa sfera della comunicazione indi-pendente. Alle reti di filesharing, ar-chivi video, siti, web radio e street-tv si sono affiancate forme comuni-cative pulviscolari, atomizzate, ope-ra di singoli. E se da un lato la pro-

liferazione dei nodienunciatari dell’informa-zione può far pensare aduna vittoria sostanzialedei principi del mediatti-vismo, che vedeva nelmoltiplicarsi delle emit-tenti un segnale di demo-cratizzazione sostanzialedel mediascape, non pos-siamo non accorgerci del-lo scadimento complessi-vo dei contenuti dei mes-saggi, della ripetitività, de-gli echi e dei rumori difondo, dell’approccio ta-ke-away e della logica dellapartecipazione che si di-storce affidandosi a unclick su comodi (e inoffen-sivi) like-button. Per non relegare anzitempoil mediattivismo al vintage èallora il caso di ripensare cri-ticamente al modello dell’al-tra comunicazione possibile.Attualizzare riflessioni, com-

portamenti e prassi a partire da unaevidenza: il sistema dei media haraggiunto un punto di non ritornodella propria storia sociale. Il prota-gonismo degli ex-pubblici, divenu-ti utenza attiva e pur composti daindividui non necessariamente po-liticizzati, si è mosso negli ultimianni nella stessa direzione indicatadai pionieri dell’utilizzo critico ecreativo dei media. Ma il web cheabitiamo oggi è anche il web dellemultinazionali e della profilazionea fini commerciali degli utenti, del-l’espropriazione del lavoro di co-municazione. La socialità online èfonte di profitti: accompagna latransizione di paradigma, indivi-duata da Castells, del modo di pro-duzione capitalista dall’industriali-smo all’informazionalismo. DaLovink a Formenti a Terranova, di-versi autori, a vario titolo e da dif-ferenti prospettive, stanno tentan-do la definizione di una teoria cri-tica della rete che spazzi il campodagli entusiasmi della prima ora edall’enfasi ottimista che ha viziatole interpretazioni dell’agire comu-nicativo in rete e rilegga i mediacome terreni del conflitto. Luoghientro i cui confini ancora moltebattaglie meritano di essere com-battute. Genova, in fondo, non èstata che l’inizio.

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Genova raccontata. L’irruzione dei fatti del luglio nella produzione culturale

Montalbano, l’unico sbirro a chiedere scusa è di carta

2004) fino a Colpi di coda (Garzanti,2010).C’è chi invece sceglie di parlare d’altro. SoloLimoni (2002) è una video testi-monianza collettiva sui fatti di Geno-va. Si parla di agrumi, spiega Lello Vo-ce, per risentire sapore e odore di quelsucco «che ci seccava le lacrime e davasollievo alle pupille accecate dai gas».Quell’aroma che profuma il cibo,l’amore, «il dolore quieto che sempreci accompagna». «Perché siamo certiche non è d’eroi che abbiamo bisogno,ma di limoni».Maledetto il popolo che ha bisogno dieroi, non di limoni. Stramaledetto ilpaese che crea vittime innocenti. Co-me Carlo. Che eroe non voleva esse-re. Forse voleva solo andare al mare.Ma uscir di casa a vent’anni è quasi unobbligo, quasi un dovere, piacere d’in-contri a grappoli, ideali identici, esse-re e avere, la grande folla chiama, can-ti e colori, grida ed avanza, sfida il so-le implacabile, quasi incredibile passodi danza, canta Francesco Guccini inPiazza Alimonda. Tante le canzoni suquei fatti. Genova brucia di SimoneCristicchi è più ruvida nel ritmo e nel-le parole. Ne è morto solo uno ma po-tevano essere cento, i mandanti del

massacro sono ancora in Parlamento.Genova non ha smesso di bruciare.Come un lutto non elaborato. Sonoappena usciti due libri dedicati a Car-lo: Carlo Giuliani. Il ribelle di Genova,(BeccoGiallo) è un fumetto struggen-te. Sceneggiatura di Francesco Barilli,illustrazioni di Manuel De Carli, pre-fazione di Chiara Ingrao, postfazionedi Checchino Antonini. Per sempreragazzo (Tropea), è curato da PaolaStaccioli. Racconti, poesie di trentascrittori. A dire che Carlo - per sempreragazzo - con quel suo gesto estremocompie una scelta adulta contro l’in-

ordine e legalità. «Ma bada bene Mi-mì: il loro ordine, la loro legalità».Genova sotto assedio dunque. Una cit-tà in gabbia (2003) è il giallo della ge-novese Annamaria Fassio. La sua EricaFranzoni, commissario capo dellasquadra mobile di Genova, «incredu-la, guardò le immagini feroci e brutalicon la sensazione che il mondo le crol-lasse addosso».Ma è scosso da quei fatti anche chi nonsi tira indietro di fronte alla violenza, seserve a ristabilire una sia pur precariagiustizia, come l’Alligatore di MassimoCarlotto. In una storia che trasuda san-gue, Il maestro di nodi (2002), l’imma-gine di Carlo irrompe commuovente:

«Un corpo a terra vicino a un fuoristra-da dei carabinieri. Canottiera bianca,jeans, passamontagna blu intriso disangue». E Sandrone Dazieri spedirà ilsuo Gorilla nella manifestazione in oc-casione del primo anniversario(Gorilla blues, Mondadori, 2002) sulletracce di infiltrati fascisti. Bruno Mor-chio e il suo Bacci Pagano, investigato-re atipico «quasi comunista», non si so-no mossi mai da Genova se non perbrevi puntate in Sardegna, a Tertenia ein Germania. E l’eco del G8 ritornanelle storie di Bacci, sette romanzi, fi-nora, da Una storia da carruggi (Frilli,

giustizia. Senza retorica. Il ventenneche voleva andare al mare e si trova difronte gas, blindati, manganelli di Ber-lusconi e Fini, morendo diventa uo-mo. Con quell’estintore vuoto, inutilescudo al proiettile che lo uccide. Conun passamontagna preso chissà dove.Che lo rende riconoscibile, come glizapatisti in Chiapas. Parte di noi.A volte si parla di Carlo parlando di al-tro. Si colma il vuoto lasciato dagli spa-ri con altro vuoto. Scrivere libri, infat-ti, «ha a che fare col vuoto» dice PaoloNori. Si parla di speranze perdute. De-siderio di ritrovarle. O ci si dichiarastanchi di avere ragione, come PinoCacucci. E il terribile gas usato a Geno-va diventa quasi un amaro divertimen-to in Jumpin’ jack flash di GirolamoDe Michele.Giocando con i titoli, se Il tempo cam-bia e La vita è sogno, l’importante ènon smettere di sentirsi parte del Latoluminoso della sera. Le ultime paroledella poesia di Stefano Tassinari (che aGenova ha dedicato anche il romanzo Segni sulla pelle, Tropea, 2002, sugge-stionato dall’altra morte strana, quelladi una manifestante a Ventimiglia chetornava in Francia), forse, racchiudonoil senso di tanto narrare: per camminarefino a te / e al tuo ricordo vivo / rimasto inci-so nella nostra umile coscienza / di quanto ne-cessario sia il continuare ad inseguirti / senzarischiare di fermarci / mai.

Marco Di Renzo e Paola Staccioli

Genova 2001. Un luglio rovente, unacittà occupata. Il G8. La lotta per unmondo diverso. Violenza di stato.L’uccisione di Carlo Giuliani, l’assaltoalla scuola Diaz, le torture nella caser-ma di Bolzaneto. Per molti Genova èracchiusa in quei giorni. Un luogo del-l’anima. Una ferita sul corpo.Narrare diventa allora una necessità.Anche in nome del ragazzo di piazzaAlimonda. Un lutto fermo nel cuore,che racchiude quelli venuti prima e do-po. Condanne a morte senza proces-so.C’è chi da Genova non è più andatovia. Almeno con la mente. Cristallizza-to da tanto orrore. Come Roberto Fer-rucci. In Cosa cambia (2007) il giornodopo nella Diaz vede «capelli incollatial muro dal sangue rappreso». «Losbuffo allungato di un pennarello im-pazzito».Ma anche chi a Genova non c’era neha vissuto l’affronto sulla pelle di cartadei suoi personaggi. Se i romanzi sonogialli, e l’eroe un poliziotto, la contrad-dizione è lacerante. Il commissarioMontalbano di Andrea Camilleri nonpuò far finta di nulla. Ne Il giro di boa(2003), Salvo sa che non basta voltaregli occhi per rimanere innocenti. C’èstato a Genova «un eccesso di difesa,tanto ostentato da costituire una spe-cie di provocazione». Disgustato dallafalsificazione delle prove per giustifica-re la mattanza della Diaz decide di di-mettersi. Confida all’eterna fidanzataLivia: «Io sono stato tradito. Non sitratta di sensazioni. Ho sempre fatto ilmio mestiere con onestà». Poi riflettecon l’amico collega Mimì Augello.Nelle sale operative genovesi c’era gen-te di troppo. Ministri, deputati. Diquel partito che sempre si appella ad

Il decennio breve del mediattivismo

media sono terreni di conflittoIn fondo, Genova è stato solo l’inizioVecchi e nuoviI

spirito di genova

Per molti la città èracchiusa in queigiorni. Un luogodell’anima. Narrarediventa allora unanecessità. Anche innome del ragazzo dipiazza Alimonda

Stefania Parisi

Interrogarsi sul nodo comunicazio-ne-movimenti a dieci anni dal G8del luglio 2001 vuol dire rileggernela scrittura collettiva fatta di paro-le, immagini, filmati, registrazioniradiofoniche.Sugli schermi e le pagine dei me-dia mainstream il controvertice diGenova aveva assunto il caratteredi emergenza comunicativa findai mesi che ne precedevanol’apertura. Tematizzato come mi-naccia all’ordine pubblico e rac-chiuso nel frame interpretativo-profetico della violenza e dei di-sordini, il movimento vedeva co-sì le sue proposte e ragionischiacciate in partenza su sche-matizzazioni e stereotipi. Nien-te di meglio che ricorrere alleconsuete categorie allarmiste,per rendere l’evento appetibileper i lettori, notiziabile per glioperatori dell’informazione ecomprensibile per entrambi.

La chiave scelta dai media per rac-contare la novità del movimentoche attraversava la politica e la so-cietà di quegli anni metteva infattiin luce l’impreparazione e l’inade-guatezza dell’informazione tradi-zionale: non a caso, nel succedersiconvulso degli eventi di quelle gior-nate, molti professionisti sarebbero

La diffusionerapidissima dellepratiche di socialnetworking ha avutoeffetti non soltantosul giornalismotradizionale ma sullastessacomunicazioneindipendente. Ancoramolte battagliemeritano di esserecombattute

Bruno Morchio*

In questo luglio assolato, passeg-giando per i carruggi e le creûze chedal Borgo salgono verso le alture diCarbonara e Castelletto, ho avver-tito l’odore della mia città comenon mi capitava da tempo. Cittàmediterranea, Genova, e dunquepermeata dalle fragranze di tutte lecapitali che, dalle sponde dei quat-tro punti cardinali, si affacciano suquesto mare con la certezza che ungiorno o l’altro si riuscirà a scorgerela riva opposta: il refresco delle ac-que stagnanti del porto, il pesce e ilpiscio dei vicoli, l’aroma delle spe-zie e gli incensi che fumano sullebancarelle dell’angiporto. Ma quello di cui parlo è un altroodore, sprigionato dal lastricatosconnesso delle strade e dai murigrigi dei palazzi, quando la canico-la li azzanna con la spietatezza delSolleone. Un’esalazione torrida cheaccorcia il respiro e riempie i pol-moni d’un vago sapore di gomma,ferro e detersivo. In quell’amalga-ma pulsano effluvi diversi, cavatifuori con forza dal caldo e dall’arsu-ra: ci senti industria, miseria, Africa,lavoro e sudore.Mi sono detto che gli odori sonol’anima delle città; che non puoi di-re di conoscere un posto fino aquando non impari a distinguerlochiudendo gli occhi e inalandol’aria che lo pervade come una mu-sica di sottofondo.

Gli odori non sono accidenti, sonoil distillato della Storia.Così ho ripensato a un altro luglio,quando benzina, sangue e lacrimo-geni riempivano l’aria delle strade.Un evento che qualcuno avrebbevoluto archiviare frettolosamente, einvece si è impresso nel ricordo enon vuole più andarsene. Anchequegli odori, e il fumo, e il ronziodegli elicotteri sono rimasti incisinella memoria dei genovesi.Un ossimoro, questa città. Vecchia,conservatrice, chiusa, gretta, gelosadelle proprie bellezze al punto datenerle nascoste e non farsene van-to, forse convinta che lusso e ma-gnificenza suscitino invidia e fini-scano col menare gramo. Superbad’una ricchezza finanziaria che nonsi vede, imboscata nelle banche do-ve la rendita ingrassa un pugno difamiglie a scapito della cronica pe-nuria di opportunità di lavoro per isuoi figli. E però anche capace di accogliere,dentro il proprio ombelico, nel co-siddetto centro storico (espressioneche a me non piace, perché di cen-tri storici, da Voltri a Nervi, se necontano almeno una dozzina) uo-mini, donne e bambini provenien-ti da tutto il mondo, che con i ge-novesi intrattengono un rapportocordiale, mescolandosi nelle scuo-le, nei bar e nelle botteghe dove al-la mancanza di confidenza e inti-mità supplisce almeno uno sponta-neo, civile, scontato rispetto uma-

no. Sempre più spesso ci scappa larisata, lo scambio di consigli, la be-vuta insieme o lo scambio di favoritra vicini: «Mohammed, ho dimen-ticato di comperare il sale, me nepresta un pizzico?». Sì, perché inquei vicoli, così pericolosi nell’im-maginario d’un perbenismo lonta-

no anni luce dalla realtà, stranieri eindigeni, neri e bianchi, bagasce ebancari, in barba agli appetiti degliimmobiliaristi, vivono negli stessipalazzi, e questo è un miracolo cherende Genova una città (forse) uni-ca al mondo. Del resto, i genovesi,fedeli al principio del manimàn –tradotto: “non si sa mai” – sono co-sì diffidenti, o se volete prudenti,fra di loro e verso i foresti del bassoPiemonte e della Lunigiana, che gliarabi, i rumeni, gli albanesi e i suda-mericani non potrebbero sentirsi

troppo diversi da qualsiasi altro abi-tante della città vecchia. Come tutto ciò sia potuto accadereè materia da storici e sociologi. Sa-rà stato il porto, che ha sempre re-clamato affluenza di navi e gentiper restituire alla città ricchezza eprosperità; saranno state le fabbri-che, con la loro aristocrazia operaianutrita di internazionalismo prole-tario. Oggi quelle industrie di statonon esistono più, e il porto soprav-vive con l’affanno a cui è condan-nata l’umanità redenta dal mercatoglobale; ma, quando il sole di lu-glio sferza l’asfalto, dalle valli e dalponente cittadino e sul lungomaredi Sampierdarena si sprigiona anco-ra, densa e forte, quell’inconfondi-bile esalazione di gomma, ferro edetersivo. E i giovani che frequen-tano i licei e le scuole professiona-li, e perfino gli universitari che lanotte invadono la città vecchia be-vendo birra davanti ai locali, qual-cosa si portano dentro di quel-l’odore e di quella Storia. Non han-no dimenticato i loro padri e le lo-ro lotte. Come un soffione boraci-fero, un flusso di idee e principi cheè stato inscritto nel loro dna, di tan-to in tanto si solleva e si fa ventoimpetuoso che fischia e torna a vo-ler cambiare il mondo. È accaduto, anche di recente, nellemanifestazioni dei ragazzi contro itagli della ministra nominata con ibuoni fedeltà; nell’indignazionegridata dalle donne (e non solo) in

febbraio; è successo con il voto re-ferendario, anch’esso frettolosa-mente accantonato nelle intenzio-ni dei modernisti al servizio del ca-pitale, che non hanno compresoche quel cinquantasette-per-centodi italiani ha parlato un linguaggionuovo che pesca ben più in profon-dità della contingenza - le vittorieelettorali berlusconiane del 2001 e2008 – e mette in causa le sirene li-beriste che dagli anni Ottanta ci rin-tronano le orecchie; è accaduto, in-fine, quando a Sestri Ponente tuttele botteghe hanno chiuso solidalicon la lotta degli operai del cantie-re. Cose da pazzi, che fanno venirein mente i tempi della Resistenza alnazifascismo, il 30 giugno del Ses-santa o l’autunno caldo.Ma qui è sempre così, ogni giornoe ogni mese dell’anno; qui la sirenaxenofoba, razzista, liberista non hamai suonato musica consona alleorecchie della gente. Qui le batta-glie leghiste contro la creazione diuna moschea non spostano votinemmeno nel quartiere che dovreb-be ospitarla. E il capitalismo non havinto la sua guerra contro l’uomo, ela sinistra, con tutte le sue magagne,ha continuato a vincere.Come è potuto accadere?Io dico perché quell’odore non ab-biamo mai smesso di sentirlo. Econtinua a guidarci, resistente e in-sopprimibile, anche nelle notti piùscure della Storia.

*scrittore

www.liberazione.it

sabato 16 | luglio 2011 | VIII

Non puoi dire diconoscere un postofino a quando nonimpari a distinguerlochiudendo gli occhi.Così ho ripensato aun altro luglio,quando benzina,sangue e lacrimogeniriempivano l’ariadelle strade

spirito di genovaGomma, ferro, detersivo, industria, miseria, Africa, lavoro e sudore, spezie, pesce, piscio

L’odore di Genovacome un vento che fischia

> Foto Patrizia TRaverso, tratta da

“La Genova di Bacci Pagano” (il nuovo

melangolo editore, 2009)

> Foto Gianni Ansaldi, tratta da“La Genova di Bacci Pagano”

(il nuovo melangolo editore, 2009)